Via da ła tera veneta łi barbari viołenti tałiani

Via da ła tera veneta łi barbari viołenti tałiani

Messaggioda Berto » dom apr 06, 2014 8:35 am

Via da ła tera veneta łi barbari viołenti tałiani
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Xentaja ke canta ste cante orende łi ga da esar parà fora da ła tera veneta:

L’orenda canta mamełega
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... V3TWs/edit
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Via da ła tera veneta łi viołenti exaltai del tricołor e dei romani ke łi xe stà łi veri sasini de l’ebreo Cristo e ła caouxa de ła pesecousion de łi ebrei.

Łi sasini de l’ebreo Cristo - I romani
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... dtS1k/edit
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Re: Via da ła tera veneta łi barbari viołenti tałiani

Messaggioda Berto » dom apr 06, 2014 11:03 am

Xe 150 ani ke patimo par colpa de sti sasini de taliani.

A go on sogno!
A go on sogno da vivar vanti de morir e lè coeło de poder vedar, miłara de Veneti montegar so łe nostre Alpi sante e ke a miłara łi se raduna so łe piane dei 4 osari vixentini: del Cimon, del Paxoubio, de Axiago, del Gràpa
e ke da łi, łi ghe sighe ai nostri morti, a l’Ouropa e al mondo intiero kel nostro canto no lè coeło barbaro e viołento de łi tałiani, el canto mamełego-roman de łi sasini de Cristo ma tuto naltro, na canta de paxe, de fradernetà e de ben;
e ke dapò a miłara ognoun el porte on tricołor tałian a bruxar so l braxer del riscato e ke l’oxe alto: mi so veneto e no tałian e ke pì gnente me podarà costrenxar a portar sta orenda bandera ke ła gronda del sangoe de ła nostra xente veneta.
No łi se vargogna mia łi alpini de ver sempre en man el tricołor tałian e de cantar l’orenda canta mamełega piena de viołensa e ke ła exalta łi sasini de Cristo.


Me despiaxe asè ma mi co vedo łi alpini col tricołor tałian a provo n’oror e na desperasion sensa fine.
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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... logo-a.jpg
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Re: Via da ła tera veneta łi barbari viołenti tałiani

Messaggioda Berto » sab apr 12, 2014 3:06 pm

Il Veneto molla l’Italia, qualche considerazione sul futuro

http://www.lindipendenza.com/il-veneto- ... sul-futuro

di MARCO MOGGIA

Esisterà mai un Veneto indipendente? Nessuno ovviamente può saperlo, tuttavia si possono tracciare congetture sulle conseguenze e sulle dinamiche che tale scenario potrebbe innescare; l’ipotesi di un’indipendenza veneta potrà anche sembrare impensabile ai più, nonostante ciò è un dato di fatto che una questione veneta esista e che la massima napoleonica «l’immaginazione governa il Mondo» resta sempre valida.

Ogni volta che si parla di secessionismi si finisce per discutere se vi sia un’autentica legittimità storica-culturale dei movimenti nello specifico, scandagliando il passato ed il presente dei popoli secessionisti alla ricerca di un’effettiva fondatezza per le loro pretese. Tuttavia ricercarne una legittimità in quanto tale è un’attività sterile e (a mio modesto parere) fondamentalmente sbagliata.

In primo luogo, la fondatezza o meno dei presunti diritti storico-naturali dei separatisti non va in nessun modo a decretare l’esito stesso del separatismo, quindi che senso ha dannarsi nel tentativo di capire se essa vi sia o meno? Prendiamo ad esempio il caso del Kosovo, che l’etnia kosovara-albanese l’avesse o meno, non è stata certo la legittimità del suo diritto naturale all’autodeterminazione a decretarne la vittoria. Il carattere naturale dei diritti non produce nessuna forza gravitazionale, furono piuttosto le armi, dell’UCK e della NATO, che consentirono la nascita dello Stato Kosovaro.

In secondo luogo chi stabilisce quali debbano essere le legittime discriminanti perché un popolo abbia il diritto a rivendicare come autentica la propria battaglia? Tradotto, chi può dire se uno scozzese abbia diritto a rivendicare la sovranità della propria nazione mentre un veneto no? Fare una distinzione tra casi significa compiere una scelta arbitraria. Nel corso della storia i popoli, tutti i popoli, hanno sempre in un ipotetico anno zero inventato o reinventato la propria identità. Per altro, non avrebbe senso nel breve periodo discutere con un indipendentista della vera o solo presunta tale legittimità delle proprie ragioni, nessuna speculazione metafisica potrebbe distoglierlo dai suoi propositi, e questo è un dato oggettivo.

Cosa succederebbe materialmente se domani il Veneto uscisse dall’Italia?

La maggior parte delle voci ostili all’indipendenza veneta, anche le più autorevoli, non entrano mai nello specifico dei vari ed eventuali problemi che un Veneto indipendente potrebbe trovarsi a dover affrontare, si limitano piuttosto a paventare la semplice vaghezza di fondo di un incerto futuro. La più quotata delle teorie anti-venete sembra essere quella, banale, del «ma dove andrebbe un paese così piccolo?», questa tesi viene di solito accompagnata ad ipotetiche situazioni di confronto con grandi rivali contemporanei quali Cina, India. Tuttavia questa sembra essere l’osservazione più sciocca, oltre al fatto che non si capisce per quale motivo il Veneto dovrebbe andare a trovarsi proprio in competizione con un gigante del sistema internazionale, anche nel caso di un eventuale confronto con la Cina, ad uscirne sconfitto non sarebbe solo il piccolo Veneto, bensì probabilmente l’intera Europa e certamente l’Italia, quindi in verità non è certo la prospettiva di rimanere sotto l’ombrello italiano ad essere garanzia di sicurezza. Per altro la realtà del Sistema internazionale ci mostra che paesi piccoli possono tranquillamente vivere, sopravvivere e prosperare, due esempi su tutti: Svizzera e Norvegia.

Le conseguenze, potenzialmente dannose, più importanti che andrebbero a condizionare il Veneto sarebbero ad ogni modo originate da ben specifiche contingenze sistemiche in cui il nuovo Stato finirebbe per trovarsi uscendo dall’Italia, poiché ciò significherebbe in primo luogo uscire da tutti i trattati stipulati dalla Repubblica italiana, due su tutti, Unione Europea ed Alleanza Atlantica (NATO). Escluso dalla UE, il Veneto si troverebbe circondato, letteralmente, da stati membri di una Unione di cui non farebbe parte. Si potrebbe ribattere che, come detto giusto sopra, la Svizzera stessa è circondata da paesi UE, tuttavia i rapporti svizzero-europei sono stati finora improntati piuttosto che su competizione sulla collaborazione, nel caso di un Veneto nato dalla secessione da un paese membro è invece più che probabile che le relazioni estere euro-venete sarebbero tutt’altro che distese. L’esclusione dall’Unione Europea implicherebbe automaticamente la fuoriuscita dagli accordi del cosiddetto Mercato europeo, oltre che l’uscita da Schengen (che si ricordi non è un propriamente un trattato UE, infatti ne sono parte anche paesi come Islanda, Norvegia, Svizzera), da ciò la conseguente riapparizione della dogana, verso ogni direzione. Le conseguenze sui trasporti di merci e persone potrebbero essere tutt’altro che piacevoli, con amara sorpresa per le classi imprenditoriali venete, e per tutti quei lavoratori veneti che sono inseriti in un contesto di amplia mobilità regionale europea.

Un ulteriore questione andrebbe a riguardare la nuova cittadinanza veneta, con qual criterio verrebbe assegnata alla popolazione residente? Verrebbe concessa a qualunque cittadino italiano, a prescindere dalla regione di nascita, residente fino al giorno prima dell’indipendenza sul territorio veneto, oppure si applicherebbero criteri identitari, riservando ai soli «veneti etnici» la nuova cittadinanza, ed i relativi diritti politici? Verrebbero infine riconosciute dallo Stato veneto situazioni di doppia cittadinanza? Come si comporterebbe la Repubblica italiana, all’indomani della secessione con la popolazione nata in Veneto ma residente al di fuori dei nuovi confini della Nazione veneta stessa?

Fuori dall’Italia quindi fuori dall’UE, il Veneto dovrebbe attuare una riorganizzazione da zero del proprio sistema monetario. In realtà esistono casi di paesi che utilizzano la moneta europea pur non facendo parte dell’Unione stessa, è il caso della Bosnia ed Erzegovina e della Repubblica del Montenegro, tuttavia questi paesi quando hanno iniziato ad utilizzare l’euro si trovavano in una condizione di singolarità politica, ovvero il collasso della Repubblica federale di Jugoslavia, ma non si trovavano in alcun rapporto di conflittualità con i paesi membri utilizzatori dell’euro. Viceversa nel caso di un Veneto indipendente peserebbe dunque il contrasto con Roma, è molto probabile che la Repubblica italiana non darebbe alcun assenso alla possibilità veneta di utilizzare la valuta europea, qualora il nuovo stato ne volesse continuare a far uso. Il contrasto tra Roma e Venezia capitale segnerebbe quindi nel complesso molte delle dinamiche internazionali per il nuovo stato a livello globale. Nell’eventualità che il paese volesse, dopo la secessione, entrare a far parte dell’UE, si potrebbe immaginare facilmente un netto veto italiano, al veto italiano si andrebbero ad aggiungere secondariamente quelli di tutti quei Paesi europei che non avrebbero alcun interesse a che uno Veneto indipendente possa tanto esistere quanto essere membro dell’Unione.

Questo ci apre all’ulteriore problema del riconoscimento internazionale per un Veneto indipendente. Il riconoscimento internazionale da parte degli altri Stati non è un fatto dovuto, né una questione da poco, non cade dal cielo ed è per altro difficile che la futura nazione veneta possa disporre di una qualche forma di ricatto, in primo luogo verso i suoi più prossimi vicini, tale da costringerli volenti o nolenti a riconoscere il nuovo paese. Quanti e quali stati-nazione europei ed internazionali avrebbero un interesse a riconoscere la sovranità della Nazione veneta? Quali paesi sarebbero disposti ad avallare il verificarsi di un precedente secessionista all’interno dell’Europa occidentale? Soprattutto quali potenze internazionali avrebbero un esplicito interesse a che uno Stato veneto riuscisse in definitiva a comparire nella storia europea? Dietro il successo di due recenti casi di secessionismo in Europa, Kosovo e Crimea, vi era la potenza esterna di giocatori ben più potenti, i kosovari furono aiutati da Washington, il tentativo secessionista crimeano ha ricevuto il supporto di Mosca, mentre dietro il secessionismo veneto, per ora, non sembrano esservi supporti internazionali degni di nota.

L’articolo 5 della Costituzione italiana continua a recitare «La Repubblica, una e indivisibile», alla luce di questo fatto appare chiaro come lo stato italiano, implicitamente, permettendo la fuoriuscita del Veneto verrebbe a disconoscere la propria stessa costituzione. È da escludere in ogni modo che il processo di secessione possa avere un carattere cooperativo tra lo Stato italiano e lo Stato veneto.

All’opposto si pensi a quanto sta accadendo nel Regno Unito, dove il governo centrale (Londra) ha autorizzato il referendum sulla secessione scozzese. Lo stato italiano invece è schiavo dell’art. 5, ciò lo vincola a non prendere neppure teoricamente in considerazione l’ipotesi di una cessione di sovranità territoriale. Sia chiaro che in quanto tale i soli articoli costituzionali, come tutte le leggi, sono dichiarazioni d’intenti dietro cui può nascondersi un vuoto materiale totale, tuttavia appare difficile credere che la Repubblica italiana sarebbe disposta a non attuare una effettiva difesa dell’articolo 5, ovvero la sua sovranità sul Veneto. In sostanza, per andare al sodo, il nuovo ipotetico Stato veneto per guadagnare la propria indipendenza dovrebbe prima vincere un rapporto competitivo contro l’Italia.

Le recenti dimostrazioni di forza dei secessionisti hanno assunto per ora un carattere esclusivamente simbolico, referendum plebiscitari, assalti ai campanili, trattori trasformati in carri armati, ma al di là delle dichiarazioni retoriche sul fatto che la maggior parte del popolo veneto si senta, già ora, mentalmente al di fuori della sovranità italiana, percependo la Repubblica italiana come un corpo estraneo, resta il fatto cheuno Stato veneto ancora non esiste e continuerà a non esistere fintantoché i separatisti non riusciranno a disporre di un vero potere coercitivo tale da costringere lo Stato italiano alla rinuncia della sovranità. Le modalità di lotta potrebbero assumere ogni forma, dallo sciopero fiscale, al boicottaggio commerciale, fino alle forme più violente della protesta politica. Ma al di là dei gesti puramente simbolici dei separatisti, resta da capire in che modo e in che numero i veneti sarebbero davvero disposti a spingersi fino in fondo in una lotta di liberazione. Per ora nella Storia delle Relazioni internazionali non si ha notizia di tentativi separatisti unilaterali – cioè fatti senza il consenso della controparte del Governo centrale, in questo caso Roma – che non siano avvenuti «all’ombra della morte», saranno i veneti il primo popolo a vincere un conflitto separatista senza dover fare ricorso alla violenza?

TRATTO DA http://www.agoravox.it
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Re: Via da ła tera veneta łi barbari viołenti tałiani

Messaggioda Berto » sab mag 10, 2014 7:01 pm

Filippo Focardi
Il cattivo tedesco e il bravo italiano
Editori Laterza

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http://www.treccani.it/scuola/itinerari ... c_413.html

Alpini tricolorà
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El tricołor, ła canta mamełega el nasionałeixmo tałian
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Straje de ła I goera mondial ente l'ara veneta
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Stermegno de łi afregani da parte de łi tałiani
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Ençeveltà tałega, straji, połedega, caste, corusion
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Re: Via da ła tera veneta łi barbari viołenti tałiani

Messaggioda Berto » lun mag 12, 2014 4:10 pm

Quando Napolitano disse: "in Ungheria l'Urss porta la pace"

http://www.storialibera.it/epoca_contem ... php?id=732

Nel 1956, all'indomani dell'invasione dei carri armati sovietici a Budapest, mentre Antonio Giolitti e altri dirigenti comunisti di primo piano lasciarono il Partito Comunista Italiano, mentre "l'Unità" definiva «teppisti» gli operai e gli studenti insorti, Giorgio Napolitano si profondeva in elogi ai sovietici. L'Unione Sovietica, infatti, secondo lui, sparando con i carri armati sulle folle inermi e facendo fucilare i rivoltosi di Budapest, avrebbe addirittura contribuito a rafforzare la «pace nel mondo»...

Giorgio Napolitano nel nov. 1956: "Come si può, ad esempio, non polemizzare aspramente col compagno Giolitti quando egli afferma che oltre che in Polonia anche in Ungheria hanno difeso il partito non quelli che hanno taciuto ma quelli che hanno criticato? E' assurdo oggi continuare a negare che all'interno del partito ungherese - in contrapposto agli errori gravi del gruppo dirigente, errori che noi abbiamo denunciato come causa prima dei drammatici avvenimenti verificatisi in quel paese - non ci si è limitati a sviluppare la critica, ma si è scatenata una lotta disgregatrice, di fazioni, giungendo a fare appello alle masse contro il partito. E' assurdo oggi continuare a negare che questa azione disgregatrice sia stata, in uno con gli errori del gruppo dirigente, la causa della tragedia ungherese.

Il compagno Giolitti ha detto di essersi convinto che il processo di distensione non è irreversibile, pur continuando a ritenere, come riteniamo tutti noi, che la distensione e la coesistenza debbano rimanere il nostro obiettivo, l'obiettivo della nostra lotta. Ma poi ci ha detto che l'intervento sovietico poteva giustificarsi solo in funzione della politica dei blocchi contrapposti, quasi lasciandoci intendere - e qui sarebbe stato meglio che, senza cadere lui nella doppiezza che ha di continuo rimproverato agli altri, si fosse più chiaramente pronunciato - che l'intervento sovietico si giustifica solo dal punto di vista delle esigenze militari e strategiche dell'Unione Sovietica; senza vedere come nel quadro della aggravata situazione internazionale, del pericolo del ritorno alla guerra fredda non solo ma dello scatenamento di una guerra calda, l'intervento sovietico in Ungheria, evitando che nel cuore d'Europa si creasse un focolaio di provocazioni e permettendo all'Urss di intervenire con decisione e con forza per fermare la aggressione imperialista nel Medio Oriente abbia contribuito, oltre che ad impedire che l'Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, abbia contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell'Urss ma a salvare la pace nel mondo.

«Napolitano non venga a Budapest. Con il Pci appoggiò i russi invasori», tratto da il Giornale, 26.5.2006.

Un portavoce dei superstiti: "Tardivo il su ripensamento, chi pagò con la vita non vorrebbe essere commemorato da lui".

Hanno perdonato Boris Eltsin, erede dei loro carnefici. Potrebbero, sforzandosi, mandar giù anche un boccone indigesto come Vladimir Putin «l'opportunista» ma Giorgio Napolitano no, proprio no. Il nostro presidente della Repubblica non merita sconti e in Ungheria non deve andare. Soprattutto in quei giorni, nel prossimo autunno, in cui a Budapest si ricorderanno i 50 anni dell'invasione sovietica. A lanciare il diktat è un gruppetto sparuto ma autorevole di magiari, quelli raccolti intorno a «56 Alapitvany» (Fondazione '56). Sono in diciannove, tutti accomunati dallo stesso destino: essersi ribellati agli occupanti venuti da Mosca e aver pagato per questo con duri anni di galera.

Per questo, l'altroieri, sono insorti quando hanno saputo che il presidente ungherese Laszlo Solyom aveva invitato per il prossimo autunno a Budapest anche Giorgio Napolitano. In nove hanno firmato una lettera-appello per chiedere che Napolitano non venga. O se proprio ci tiene a visitare l'Ungheria, lo faccia prima o dopo le commemorazioni. Facendo riferimento alla posizione presa dal Pci nel 1956, la lettera afferma che il documento di allora offrì sostegno internazionale ai sovietici che «repressero nel sangue il desiderio di libertà dell'Ungheria».

E Laszlo Balazs Piri, tra i nove firmatari dell'appello, membro del board della Fondazione, già condannato a 3 anni e 6 mesi di reclusione per la sua partecipazione alla rivolta, rilancia: «Purtroppo i governi dei grandi Paesi occidentali non poterono aiutarci. L'opinione pubblica dei Paesi liberi era accanto a noi. Nello stesso tempo, però, in Paesi come Italia e Francia i Partiti comunisti erano allineati a Mosca. Furono d'accordo con questa resa dei conti sanguinosa contro la lotta di liberazione ungherese. Napolitano a quel tempo non era un bambino e aveva un'opinione».

A poco vale per i «reduci» della repressione sovietica il ripensamento del presidente italiano. Un dietrofront tardivo, sostengono. E Balasz Piri è categorico: «La comunità dei veterani del 1956 sente che quest'uomo non deve partecipare alle commemorazioni del '56 ungherese. Chissà cosa direbbero quelli che sono stati impiccati in seguito alla repressione».

Il 26 settembre 2006, a Budapest, Napolitano ha reso omaggio alle vittime della rivoluzione del 1956, soffocata nel sangue dai carri armati sovietici. In quell'occasione ha detto: "Ho reso questo omaggio sulla tomba di Imre Nagy a nome dell'Italia, di tutta l'Italia, e nel ricordo di quanti governavano l'Italia nel 1956 e assunsero una posizione risoluta, a sostegno dell'insurrezione ungherese e contro l'intervento militare sovietico". Non una dichiarazione sulle responsabilità sue e dei suoi «compagni» di partito, non una richiesta di perdono alle vittime (forse 25.000), non un'affermazione che definisse il comunismo «male assoluto».
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Re: Via da ła tera veneta łi barbari viołenti tałiani

Messaggioda Berto » mar mag 13, 2014 6:33 pm

Marco Paolini - Il Sergente [2007]

https://www.youtube.com/watch?v=eTV4Y4OvTDQ

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Donau, Danubio - el fiume de l'Ouropa e 'l Don
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Re: Via da ła tera veneta łi barbari viołenti tałiani

Messaggioda Berto » ven mar 27, 2015 6:23 am

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