Indipendentisti, meglio cento giorni da Leone che uno da pecorahttp://www.lindipendenza.com/indipenden ... -da-pecoradi ENZO TRENTIN
Ognuno dei governi successivi all’ultimo cinquantennio ha, più o meno, distrutto con ritmo sempre più rapido la vita locale e regionale; ed essa, alla fine, è scomparsa. L’Italia è come quei malati che hanno già fredde le membra e in cui ormai solo il cuore palpita ancora. Non c’è un fremito di vita in nessuna parte del corpo nazionale, tranne che a Roma; fin dai sobborghi che la circondano la città comincia a puzzare di morte morale. Se lo Stato ha ucciso moralmente tutto quel che, dal punto di vista territoriale, era più piccolo di lui, ha anche trasformato le frontiere territoriali nelle mura di un carcere, per imprigionarvi i pensieri.
Se guardiamo la storia un po’ più da vicino, al di fuori dei manuali, rimaniamo sbalorditi scoprendo di quanto altre epoche, quasi prive di mezzi materiali di comunicazione, fossero superiori alla nostra per ricchezza, varietà, fecondità e intensità di vita nella circolazione intellettuale, attraverso territori vastissimi. Per esempio nel Medioevo, nell’antichità preromana, nel periodo immediatamente anteriore ai tempi storici. Ai giorni nostri con la radio, la televisione, l’aviazione, astronautica, lo sviluppo di mezzi di trasporto d’ogni genere, la stampa, i giornali, internet, il fenomeno delle moderne nazionalità chiude in piccoli compartimenti stagni persino la scienza che è così naturalmente universale.
I ribelli che si agitano intorno a questo giornale quotidiano, siano essi collaboratori o lettori, sono forti sempre la metà di quanto lo siano i difensori del potere ufficiale. Anche quando si pensa di sostenere una buona causa. Come scrisse Ètienne De La Boètie, intorno al 1550: «Com’è possibile che tanti uomini sopportino un tiranno che non ha la forza se non quella che essi gli danno. Da dove prenderebbe i tanti occhi con cui vi spia se voi non glieli fornite? Siate risoluti a non servire più, ed eccovi liberi.»
Ma in Italia viviamo in una particolare atmosfera. Per questo ci piace ricordare le parole che una volta si scambiarono uno dei favoriti di Serse I (519 a.C. – 465 a.C.), il gran re persiano, e due Spartani. Quando Serse preparava il suo enorme esercito per conquistare la Grecia, mandò degli ambasciatori alle città greche per chiedere acqua e terra: era questo il modo con cui i Persiani intimavano la resa alle città nemiche. Si guardò bene dal mandarli ad Atene e a Sparta, dato che gli Ateniesi e gli Spartani avevano a suo tempo gettato rispettivamente nei fossati e nei pozzi gli ambasciatori inviati per lo stesso motivo da Dario, suo padre, dicendo loro di prendere laggiù l’acqua e la terra da portare al loro principe: infatti non potevano sopportare che si attentasse neanche solo a parole alla loro libertà. E tuttavia, per aver agito così, gli Spartani riconobbero di aver offeso gli dei, e soprattutto Taltibio, dio degli araldi. Decisero allora, per calmarli, d’inviare a Serse due cittadini, affinché, disponendone a suo piacimento, potesse vendicarsi sulle loro persone dell’assassinio degli ambasciatori di suo padre. Due Spartani, di nome Sperto e Buli, si offrirono come vittime volontarie. Partirono e cammin facendo arrivarono al palazzo d’un Persiano chiamato Idarno, luogotenente del re per tutte le città della costa asiatica. Costui li accolse con tutti gli onori, e dopo aver parlato d’altro chiese loro perché rifiutassero tanto orgogliosamente l’amicizia del gran re. E aggiunse: «O Spartani, prendete il mio caso ad esempio, e vedete come il re sa ricompensare coloro che lo meritano, e pensate che se voi foste dei suoi sareste trattati altrettanto bene. Se voi foste al suo servizio ed egli vi conoscesse, farebbe di ciascuno di voi il governatore di una città greca». «Quanto a questo, o Idarno – risposero gli Spartani – tu non sei in grado di darci un consiglio valido. Infatti tu hai provato il bene che ci prometti, ma quello che noi godiamo non sai cosa sia; tu hai fatto esperienza dei favori del re, ma della libertà non sai nulla, non ne conosci il gusto e la dolcezza. Orbene, se tu l’avessi assaporata, tu stesso ci consiglieresti di difenderla, non già con la lancia e lo scudo, ma con i denti e le unghie». Solo lo Spartano diceva il vero; ma senza dubbio ciascuno parlava secondo l’educazione ricevuta. Infatti sarebbe stato impossibile che il Persiano rimpiangesse la libertà che non aveva mai avuto e che gli Spartani sopportassero la servitù dopo aver assaporato le dolcezze della libertà.
Allo stesso modo chi oggi prospetta l’indipendenza dall’Italia, e non abbia un progetto chiaro, dettagliato e convincente, difficilmente potrà scalzare dalla mente e dal cuore degli italiani l’idea che la democrazia in Italia possa diventare reale, e che lo Stato possa riformarsi in senso favorevole al cittadino, anziché alla partitocrazia. Infatti, possiamo osservare che ogni volta la protesta (Forconi, Presidi 9/12 fermiamo l’Italia, solo per citare gli ultimi) ha assunto un più evidente carattere di sradicamento e un più basso livello di spiritualità e di pensiero. Si può anche osservare che questi spiriti liberi, da quando sono stati attivati, hanno dato un contributo piuttosto ridotto alla cultura e alla causa indipendentista.
Bene fanno i Veneti ad insistere sulla loro cultura, sulle loro tradizioni, sul loro particulare.
Solo i collaborazionisti tipo Idarno sono soddisfatti dell’attuale stato di cose in Italia. Infatti se guardiamo altrove ed al passato, per esempio, la contea di Borgogna era sede di una cultura originale e splendida che non sopravvisse alla conquista. Alla fine del XIV secolo le città delle Fiandre avevano relazioni fraterne e clandestine con Parigi e con Rouen; ma c’erano dei fiamminghi feriti in battaglia che preferivano morire piuttosto che essere curati dai soldati di Carlo VI. Quei soldati compirono una scorreria nel territorio olandese, e ne tornarono portando prigionieri alcuni ricchi cittadini. Avevano deciso di ucciderli; ma un moto di pietà li spinse a offrir loro la vita a condizione che diventassero sudditi del re di Francia; quelli risposero che, una volta morti, persino le loro ossa si sarebbero rifiutate, se avessero potuto, di essere sottomesse all’autorità del re di Francia. Uno storico catalano della stessa epoca, raccontando la storia dei vespri siciliani, dice: «I francesi, che, ovunque dominano, sono crudeli quant’è possibile esserlo…». Meglio vivere cent’anni da leone che un giorno da pecora.
I bretoni si disperarono quando la loro sovrana Anna fu costretta a sposare il re di Francia. Se quegli uomini ritornassero oggi, o piuttosto qualche anno fa, avrebbero forse molte ragioni di credere d’essersi sbagliati? Per quanto sia screditato l’autonomismo bretone, per coloro che lo manovrano, e per i fini inconfessabili che essi perseguono, è certo che quella propaganda risponde a qualcosa di reale tanto nei fatti quanto nei sentimenti di quelle popolazioni. Ci sono, in quel popolo, tesori latenti che non hanno potuto manifestarsi. La cultura francese non conviene a quel popolo; la sua non può portar frutto; da allora esso è costretto ai bassifondi delle categorie sociali inferiori. I bretoni dei secoli passati fornirono gran parte dei soldati analfabeti; le bretoni, si dice, gran parte delle prostitute di Parigi. L’autonomia non sarebbe un rimedio, ma ciò non significa che la malattia non esista. Meglio vivere cent’anni da leone che un sol giorno da pecora.
Pasquale Paoli, l’ultimo eroe corso, spese la sua vita per impedire al suo paese di cadere nelle mani della Francia. C’è un monumento in suo onore in una chiesa di Firenze; in Francia nessuno lo ricorda. La Corsica è un esempio del pericolo di contagio implicito nello sradicamento. Dopo aver conquistato, colonizzato, corrotto e contagiato gli abitanti di quell’isola, i francesi li hanno subiti come questori, poliziotti, marescialli, sorveglianti e in altre funzioni del genere grazie alle quali essi trattavano a loro volta i francesi come una popolazione più o meno conquistata. Essi hanno anche contribuito a dare alla Francia, presso molti indigeni delle colonie, una reputazione di brutalità e crudeltà.
Guardando ai Corsi è difficile che il nostro pensiero non vada ad un parallelismo con la “lotta al brigantaggio” immediatamente successiva all’unità d’Italia, ed all’odierna «occupazione» di quasi tutti gli uffici pubblici del nord da parte di funzionari meridionali portatori di una cultura che con il settentrione ha poco a che spartire. Quando si elogiano l’unità d’Italia e l’italianità, bisogna dire soprattutto che esse hanno, e largamente, sradicato le culture autoctone. È un procedimento di facile assimilazione, alla portata di chiunque. Ai popoli cui si toglie la propria cultura, o rimangono senza cultura o ricevono qualche briciola della cultura che ci si degna di voler loro trasmettere, poco rimane. In ambedue i casi quei popoli sembrano essere del medesimo colore, e paiono assimilati. Meraviglioso è invece assimilare popoli che conservino viva, benché modificata, la loro cultura. È un miracolo che di rado si realizza. Solo il neofederalismo di G.F. Miglio lo può fare.
Come giustamente ed autorevolmente è stato scritto in questo quotidiano: «…ad ogni indipendenza debba precedere una fase “costituente”, o piuttosto “ricostituente”, che dia vita però a costituzioni molto mondane, flessibili, leggere…». Si è proseguito con: «Per il Veneto […] possibile, attendo se non 700 pagine, almeno 200 di programma buono e concreto.». Tutto ciò è stato compreso ed approvato da più lettori. Al Veneto manca appunto l’equivalente del «Libro Bianco» dello SNP di Alex Salmon per la sua “Scozia possibile”. A rafforzare quest’idea vorremmo ora aggiungere che voler condurre creature umane, si tratti di altri o di se stessi, verso il bene indicando soltanto la direzione, senza essersi assicurati della presenza dei moventi necessari, equivale a voler mettere in moto un’automobile senza benzina, premendo sull’acceleratore. O è come se si volesse accendere una lampada a olio senza aver messo l’olio. Quest’errore è stato denunciato in un testo abbastanza celebre e abbastanza letto e riletto e citato da venti secoli. Eppure si continua a commetterlo.
A questo punto le possibili soluzioni sarebbero che alcune forze politiche stendessero per loro conto il loro “progetto istituzionale”; ma questo ci sembra abbastanza improbabile. I partiti indipendentisti veneti sono ridotti al lumicino di poche manciate (ed esageriamo) di “aficionados”. Di conseguenza anche laddove essi riuscissero a produrre un tale documento, esso sarebbe più il parto del loro leader, piuttosto che un documento elaborato collegialmente, discusso e condiviso. Tìmeo Dànaos et dona ferentis. [Temo i Danai anche quando portano doni]. Come si ricorderà sono le parole pronunciate da Laocoonte ai Troiani per convincerli a non fare entrare il famoso cavallo di Troia nella città. Anche se apparissero più progetti, elaborati da più soggetti partitici, tutti demandati alla all’approvazione della cosiddetta sovranità popolare; probabilmente non faremmo un buon servizio alle nostre comunità. Tìmeo Dànaos et dona ferentis.
L’immediata soluzione pratica è l’abolizione dei partiti politici, ivi compresi quelli sedicenti indipendentisti. La lotta dei partiti e nei partiti, quale quella esistente in questo paese, è intollerabile; il partito unico, che d’altronde ne è l’inevitabile conclusione, è l’estremo grado del male già sperimentato col fascismo; non resta altra possibilità che quella di una vita pubblica senza partiti. Oggi una simile idea suona nuova e audace. Tanto meglio, visto che il nuovo è necessario. Come acutamente osservò Simone Weil, in verità, questa sarebbe semplicemente la tradizione del 1789. Agli occhi degli uomini del 1789, non ci sarebbero state neppure altre possibilità; una vita pubblica quale la nostra nel corso dell’ultimo mezzo secolo sarebbe parsa loro un orrido incubo; non avrebbero mai creduto possibile che un rappresentante del popolo potesse abdicare alla propria dignità al punto da diventare membro disciplinato di un partito.
Rousseau d’altronde aveva chiaramente dimostrato che la lotta dei partiti uccide automaticamente la repubblica. Ne aveva predetto gli effetti. Sarebbe opportuno, di questi tempi, incoraggiare la lettura del «Contratto sociale». Infatti oggi, dovunque ci sono partiti politici, la democrazia è morta. Tutti sanno che i partiti inglesi hanno tradizioni, mentalità e funzioni inconfrontabili con quelle di altri paesi. Tutti sanno altresì che i raggruppamenti in lizza negli Stati Uniti non sono partiti politici. una democrazia dove la vita pubblica si riduca alla lotta fra i partiti politici non è in grado di impedire l’avvento di un partito capace di distruggerla. Se emana leggi eccezionali, si suicida. Se non lo fa, la sua sicurezza vale quella di un uccellino di fronte a un serpente.
Proviamo, invece, a lavorare per la creazione di una “Tavola Rotonda” con assisi tutti i rappresentanti dei soggetti politici indipendentisti.
Cominciamo dal veneto. Si provi ad immaginare che costoro, spinti da autentico spirito civico, lascino le loro beghe, i loro contrasti, i loro meschini litigi per futili motivi, i loro impicci, fuori della porta, e attraverso una discussione pacata ed approfondita licenzino un progetto della sostanza di quanto viene diffuso in Scozia a responsabilità dello SNP. Bisogna farlo subito. Dopo l’auspicata indipendenza, nello scatenamento irresistibile degli appetiti individuali per la conquista del benessere o del potere, sarà assolutamente impossibile cominciare qualcosa. Bisogna farlo immediatamente. E incredibilmente urgente. Mancare questo momento vorrebbe dire incorrere in una responsabilità che è quasi un delitto.
A questo punto si faccia anche un sforzo d’immaginazione: si prefiguri pure un referendum elettronico autogestito ed informale; ma solo dopo una massiccia, e lunga – quanto basta – campagna informativa presso la popolazione avente diritto. Si aggiunga infine (tanto nel campo delle ipotesi si può fare anche questo) che tale referendum venga vinto. Il giorno dopo non si potrebbe legittimamente dichiarare la secessione? Quali Stati o organismi internazionali “democratici” potrebbero opporsi? Dunque, meglio vivere cent’anni da leone che un sol giorno da pecora.
Comenti================================================================================================================================
Michele De Vecchi3 Febbraio 2014 at 11:04 am #
Facile affermare, come chiusura dell’articolo, che per fare il referendum digitale ci vuole uno sforzo d’immaginazione.
Caro Trentin, con l’immaginazione non si fa una massiccia e lunga campagna informativa: per fare quest’ultima ci vogliono soldi e volontari.
Tutte cose che Plebiscito.eu ha chiesto e sta chiedendo da molto tempo, e che per questo viene da molti in questo blog schernito e ridicolizzato.
Il lavoro che ha fatto Plebiscito.eu, e che sta ancora facendo, è per tutti i Veneti, e lo sta facendo non con l’immaginazione, ma con la buona volontà e con il tempo regalato dai volontari al progetto.
Se poi ancora qualcuno aspetta che l’indipendenza gli venga calata dal cielo per volontà divina, faccia pure: aspetti, aspetti, aspetti, aspetti, aspetti, aspetti, aspetti, aspetti, aspetti, aspetti, aspetti, aspetti, aspetti, aspetti, aspetti, …….
Agli altri, che tengano veramente all’indipendenza, Plebiscito.eu chiede un qualsiasi tipo di aiuto; per chi vuole saperne di più c’è il blog
http://www.plebiscito2013.euOppure, come dicevo, si può continuare ad aspettare, aspettare, aspettare, aspettare, aspettare, aspettare, aspettare, aspettare, aspettare, aspettare, aspettare, aspettare, …
Alberto Pento3 Febbraio 2014 at 1:16 pm #
No no, spetar, spetar!
Se pol prategar:
-la rexistensa lengoestega, coultural e çevil
-la demolision/desfamento de i sinboli taliani a scuminsiar dal mito roman, de le raixe latine e de la “çeveltà clasega” e de tuta la retorega regnasemental, resorximental e de la rexistensa conprexa la degralixasion de la lengoa taliana
-desfamento del mito dei morti par la parea taliana de la prima goera mondial
-obiesion a mostruoxetà cofà l’orenda canta mamelega ke exalta li sasini de Cristo, li persecudori de i cristiani e de li ebrei
-boicotajo de le atività e manifestasion a sostegno de l’onidà taliana e de la falba fradelansa talega
-denunça de tute le malefate taliane a dano dei veneti da 150 ani ancò
-rexistensa e obiesion fiscal
-obiesion del voto talian par la so nadura antidemogratega e castual
-altro …
Alberto Pento3 Febbraio 2014 at 1:28 pm #
Coresion:
conprexa la degralixasion de la lengoa taliana
conprexa la desagralixasion de la lengoa taliana
Michele De Vecchi3 Febbraio 2014 at 2:42 pm #
Ben, tut condivisibie!!!!
Ti situ drio far tute ste robe???? Spero de sì ….
Qualchedun altro eo drio far tute ste robe???? Spero de sì ….
Anca mi son drio far ste robe che te ha scrit, trane a obiesion fiscal parchè son dipendente e i schei i mei i ciava prima de darmei ….
E des che mi e ti sen drio far ste robe (e spero anca qualchedun altro), cosa vemo otegnù????????????
Forse e meio ciapar anca altre strade ….
Traduzione, visto che siamo in un blog non solo veneto:
Bene, tutto condivisibile!!!!
Tu stai facendo tutte queste cose???? Spero di sì ….
Qualcun’altro sta facendo tutte queste cose???? Spero di sì ….
Anche io sto facendo queste cose che hai scritto, tranne la disobbedienza fiscale perché sono dipendente e i soldi me li fregano prima di darmeli ….
E adesso che io e te stiamo facendo queste cose (e spero anche qualcun’altro), cosa abbiamo ottenuto????????????
Forse è meglio seguire anche altre strade ….
Alberto Pento3 Febbraio 2014 at 5:02 pm #
No no, ti no te si drio far tute ste robe kì, łe robe le va fate piovegamente, senpre, dapartuto, co tuti e se fate come ke se deve e co forsa … łe xe tute a ri’scio de denuncia penal e par coalkedona de aresto!
Łi to “cai” o guide o leader (,,,) e no faso nomi, no łi xe drio far gnente de tute ste robe, ansi pal pasà łi ga cretegà cruamente ki ke ga ciapà poxision contro ła canta mamełega e ke ga fato contestasion a le manifestasion par l’onedà tałiana … łori łi ama li tałiani e no łi ga gnente contro de łori, i dixe; però no łi vol farse nemighi, łi vol stà en mexo co łi pie e łe man ente do xgalmare e do manopole … łi strenxe le man dei veneti e coele de łi tałiani.
En pì cogna no votar e me par ke łi to cai e caeti fina a l’altro di łi jera senpre en canpagna eletoral a sigar … deme el voto parké naltri semo laoreà, ła nova clàse dirixente veneta ke ła ve portarà a la łebertà … e viste łe rixultanse łi gà pensà ben de darse a łi referendi en rexon e a łi plebesiti via web (envense de darse a l’epega o de tacarse drio el tram).
Dapò so la dexobediensa o obiesion fiscal, contributiva ghe xe mile robe da far e naturalmente coeli ke se propon cofà “cai” li ga da dar el bon somexo anca a ri’scio secoestri e prexon.
Seto, anca on laorador dependente come ti el pol prategar la dexobediensa fiscal no fandose far le fature, le reçevude, li scontrini e metendose d’acordo co li so conpagni de laoro e col paron par boicotar el sostitudo d’enposta.
En po’ cogna parlar ciàro e contar ben come ke xe le robe, sensa enganar, sensa eludar, co ometlà, creansa e amor.
Cogna dir ke sto plebesito lè coel ke lè e ke lomè entel caxo ke ghe fuse miłioni de veneti ke ndase a votar e ke li fuse par l’endependensa … ‘lora e lomè ‘lora se podaria ver ła forsa etno-poledega, organixandose, par enpor a le istitusion rejonal, tałiane e ouropee de endir on referendo vero.
E no xe çerto spetando la majoransa del voto ke se pol canviar le robe … se ga da scuminsiar ente l’ancò, entel dèso a cavarse łe caene ke le ne łiga e ła camisa de forsa ke la ne sofega.
Ke li to cai łi vaga scoła da la storia e da i veri leader come Gandhi e da tuti coełi ke li ga ri’scià e magari perso ła vida par amor de łebertà e de ła so xente.
Dapò cogna ke łi to cai e caeti łi se fàsa tuti on łongo bagno de omiltà … altro ke sitar a barufar par ła carega, par la soramansia, par star davanti, par esar i primi, par star sol palco, par esar sora-sora-sora.
Alberto Pento3 Febbraio 2014 at 7:02 pm #
Caro mio,
par portar miłioni o anca lomè sentomiła omani veneti en piàsa o a votar ente on plebisito sondajo fato da na asoçasion, cogna en vanti gagnarse ła so fede e el so amor, cogna concoistarse el so cor e ła so mente, cogna farse łuxe, bon somexo ke s’ciantixa.
Me par ke łi to cai e tuti coełi ke te pol metar en canpo ti … no ghe nè ono kel posa podaria meritarse ła fede, el cor, ła mente e el bràso no di go de miłioni o de sentenara de miłara de omani veneti, ma cianca de diexemiła.
Mi ke so tuto fora ke on caregaro, on caopopoło, n’anbisioxo, on scaldascràgni, on furbo e on grand’omo, on połedegante e on corajoxo … ente ła me mexeria omana a gò però na roba ke ła me aia e lè na cosiensa e el senso de łe robe e sento come ke łi xe łi omani drento e fora e ła coerensa de coel ke łi dixe e ke łi fa … e te digo ke no ghe ono de coełi ke te pol nomarme ti e ke ga “anbision” połedeghe ke łi posa meritarse el ben e ła fee de ła xente veneta ben desposta a narghe drio o coeła mia.
No ghe xe boni pastori en vista e el povoło no lè gnancora pronto.
Cognoso coalke bon omo ke podaria ma xe mejo kel staga kieto e kel fasa coel kel xe xa drio far ke xe senpre mejo e de pì de col ke fa e siga łi tanti fanfaroni e anbisioxi sensa creansa e sensa ben ke ghè en volta.
Christian3 Febbraio 2014 at 10:53 am #
“Chi vedesse i Veneziani quel pugno d’uomini, che vivono con tanta libertà che il più meschino di loro non cambierebbesi con un re; che tutti sono nati, ed educati in modo tale, che altra ambizione non hanno, se non quella di fare a chi più può, affin di conservare con maggiore studio, la loro libertà, e che sono sì fatti ed ammaestrati sin dalla culla, che non vorrebbero rinunziare a una benchè minima particella della loro indipendenza per tutte le altre delizie del mondo chi avesse veduto, dico, cotesti uomini, e che partendo da loro si recasse nelle terre di colui, che vien da noi chiamato il Gran Signore, ritrovandovi delle genti, che non possono essere nate ad altro, che a servirlo, e che per mantenerlo sacrificano la loro vita, potrebbe egli mai credere, che quelli, e questi fossero della stessa natura? Non si avviserebbe egli piuttosto di pensare, che, sortendo da una città d’uomini, foss’entrato in un serraglio di fiere?” Étienne de La Boétie
Federico Lanzalotta3 Febbraio 2014 at 10:46 am #
ottimo Trentin, è esattamente quello che cerco di far capire ai miei compagni di avventura.
Con un paragone comprensibile, senza il calcolo del cemento armato non si può costruire una casa o almeno sperare che possa reggere al suo peso o ad eventi eccezionali come i terremoti ed il vento.
Ecco, dobbiamo finalmente a pensare a come deve essere la struttura di una convivenza all’insegna dell’indipendenza da uno stato sia italiano o lombardo o veneto che per loro definizione sono comunque centralisti e di conseguenza oppressori della LIBERTÀ.
renato3 Febbraio 2014 at 8:37 am #
Parole sante. E, speriamo, non al vento !
“………..siate risoluti a non servire più, ed eccovi liberi “
Marcaurelio3 Febbraio 2014 at 8:27 am #
El Doge
è un leone???
AHAHAHAHAHAHAH!!!!!
Lorenzo e un’altro leone??
AHAHAHAHAH!
Garbin un’altro leone ancora ???
AHAHAHAHAH:!!
Ce deve esse ‘ un errore di concetto a me questi me sembreno tutti belli pecoroni.
Questi dovrebbero fa’ la rivoluzione e raggiunge l’indipendenza?
Ahahahahahah!!!
Sono domestici nati , non c’è niente da fa’ so’ come don Abbondio se er coraggio nun cè l’hai ma come fai a dartelo.
Non avete scampo dovete rimanere sotto la cappella de Roma lavorare e pagare le tasse.
Noi mica stiamo a perdere tempo.
Alberto Pento3 Febbraio 2014 at 8:04 am #
El toko lo go leto volentiera.
Trentin el scrive:
…Meraviglioso è invece assimilare popoli che conservino viva, benché modificata, la loro cultura. È un miracolo che di rado si realizza. Solo il neofederalismo di G.F. Miglio lo può fare. …
Se me cato d’acordo co la prima parte a gavaria coalke problema co la seconda:
1) le scoàse leghiste
2) el curto respir de sto projeto confenà rento la Talia, mì a prefariso on respiro ouropeo e sensa costrision drento le confinanse taliane.
Padania ??? NO GRASIE !!!