Indipendentisti brava gentedi ENZO TRENTIN
13/07/2016
http://www.lindipendenzanuova.com/indip ... rava-gente È fuori dubbio che gli indipendentisti veneti sono ben oltre la metà della popolazione. Per sincerarsene non servono i sondaggi che sono sempre eterodiretti, poiché soggiacciono agli stimoli e ai condizionamenti imposti dai committenti; basta parlare con i vicini, con gli amici, con un qualsiasi avventore di pubblico esercizio semplicemente proponendo una soluzione ad uno dei molti problemi creati dalla partitocrazia allo Stato italiano.
Appena i Veneti vedranno la luce dell’autodeterminazione alla fine del tunnel del regime italiota si commuoveranno sino alle lacrime, si abbandoneranno agli applausi, allo sbracciarsi, ai cortei, agli evviva, ai proclami indirizzati agli ospiti, al mondo intero, e ad altre analoghe entusiastiche effusioni. Ci saranno anche baci sulle guance, riunioni ai caffè, brindisi a San Marco, acclamazioni alla restaurata millenaria repubblica.
Probabilmente ci saranno anche tentativi da parte di tre o quattro pseudo leader particolarmente “illuminati” per formare cortei a intervalli di due o tre minuti, che distribuiranno quantità enormi di Prosecco dell’area di Conegliano, di Amarone della Valpolicella, di vino bianco di Soave, di Torcolato di Breganze da tracannare tra urla generali di “W l’indipendenza!”. Alcuni, rientrando a casa un po’ alterali, scriveranno col gesso sui muri, a caratteri ben poco uniformi, “Viva l’indipendenza!”, “Viva il libero Stato Veneto!”, ed è in questo modo che la crisi politica si chiuderà; a meno che, naturalmente, non incontrino qualche politicante. In tal caso le cose procederanno in modo tutto diverso.
In fondo è così che sarebbe bello cominciassero tutte le sommosse degli indipendentisti in Italia. Tuttavia la chiusura dei caffè è quasi sempre stata sufficiente a fermarle. Privo dell’ispirazione euforica, l’indipendentista non è in grado di mantenere a lungo il proprio entusiasmo al livello dell’agitazione. Chiusi i caffè, gli evviva si fanno più sommessi e meno appassionati, i dimostranti rimandano il corteo a un altro giorno, e gli pseudo indipendentisti arrivati al più alto grado di entusiasmo rotolano ben presto sotto le tavole, restando qui a dormire fin quando, il mattino dopo, non arriverà il barista a riaprire il locale.
In effetti l’indipendentista dell’Italia settentrionale sei giorni su sette è un bravo lavoratore subordinato o un accorto piccolo imprenditore, e soprattutto un buon padre di famiglia che parla di politica soltanto il settimo giorno. In quel giorno quello che ormai tutti avvertono è l’indispensabile e l’indilazionabile bisogno di un cambiamento.
In attesa di questo roseo futuro, l’indipendentista veneto continua a farsi imbambolare dalle “ciacole” dei politicanti e degli scriba in servizio permanente effettivo al regime dei partiti. Basta guardare all’attività di Simonetta Rubinato (ex deputato PD), che [sembra voler suffragare le sue argomentazioni sulla base di un sondaggio del giornale “La Tribuna di Treviso”, che pare abbia fatto la bellezza di 329 telefonate] perora la causa dell’autonomia [http://www.simonettarubinato.it/index.php?area=6&menu=116&page=323&lingua=4&np=1&idnotizia=4533 ] facendo da sponda alle iniziative per l’autonomia della Regione Veneto, promosse dagli Zio Tom che in Consiglio regionale fiancheggiano il Presidente Luca Zaia.
Insomma c’è da credere che la strategia dei politicanti sia questa: una volta indetto il referendum per l’autonomia, sia che esso vinca o perda, a mal partito sarà la causa indipendentista, perché i politicanti, più o meno, diranno: «vedete… i veneti vogliono l’autonomia, non l’indipendenza.» oppure: «I veneti non vogliono l’autonomia, figuriamoci l’indipendenza.»
Il popolo veneto, invece, è alla disperata ricerca di valori, di onestà, di persone per bene su cui fare affidamento. La gente comune ripensa a quanto era più desiderabile vivere sotto la millenaria Repubblica, dove [https://venetostoria.com/2014/05/05/inquisitori-sopra-il-morto/] per dirla con le parole di Andrew Calzavara:
«Uno dei punti che, unanimemente, vengono riconosciuti alla Serenissima Repubblica era l’estremo bilanciamento dei poteri. Esisteva un complesso sistema di Magistrature, ciascuna con un compito preciso di controllo e nessuna lasciata senza un controllore. L’unica persona che formalmente non aveva controllori era il Doge, i cui poteri però erano, al di la’ della apparenza, estremamente limitati.
Questi poteri erano stati inoltre progressivamente circoscritti, di elezione in elezione, dalle cosiddette Promissioni Dogali, di fatto una serie di impegni che il Doge assumeva all’atto della sua elezione. Le Promissioni apparirono nel XII secolo e si ampliarono costantemente, fino a lasciare al Doge un margine di azione limitato e un potere puramente formale.
Se questo non fosse stato abbastanza, venne introdotto dopo la morte di Francesco Foscari, all’inizio del XV secolo, anche l’istituto degli “inquisitori sopra il morto”. In sostanza, senza permettersi di investigare il Doge da vivo, alla sua morte, una apposita Magistratura era incaricata dell’esame post mortem, cioè di indagare sul “rendiconto” finale del dogado. Gli inquisitori del Doge defunto spulciavano gli atti del deceduto, per constatare la legittimità delle spese personali fatte e delle entrate percepite, e se trovavano irregolarità toccava agli eredi sopportarne le conseguenze.
Basti pensare ad un grande Doge come Leonardo Loredan, anima della resistenza di Venezia contro quasi tutta l’Europa confederata all’epoca della lega di Cambrai, che ai primi del 1500 ebbe un inchiesta post mortem durata più di due anni, e conclusa con l’imposizione agli eredi di restituire 2700 ducati, percepiti secondo gli inquisitori, illegittimamente durante il suo periodo dogale. Questo avvenne anche se Doge e parenti avevano versato contributi volontari per le spese di guerra, in quanto si trattava di spese che non cancellavano l’illegalità constatata.»
Spostando l’ottica di osservazione sulla libera informazione, ai nostri giorni possiamo notare come i giornalisti sono diventati come i cristiani delle origini. Sembra siano sempre lì a porgere l’altra guancia ai politicanti, e agli uomini d’affari che hanno ben presto capito che sono dei leoni sdentati, i cui ruggiti non impressionano più di tanto. Forse sono leoni diventati vegetariani, forse non hanno alcun interesse a mordere qualche cosa. È giunta l’ora di chiedere a questi giornalisti, o almeno ai più onesti intellettualmente, di avviare una “rivoluzione” nella lotta ai politici corrotti e a quelli portatori di pensiero debole.
È pur vero che questi giornalisti sono sotto assedio, perché i politici si sono resi conto che molti sono diventati un gruppo di vigliacchi, di “tengo famiglia”. Sono diventati i peggiori nemici dell’indipendenza dei popoli, perché vogliono fare una vita agiata invece di fare la differenza nelle nostre comunità, nei nostri paesi e nelle nostre persone. Eppure la penna è più potente di una spada, a patto che la persona che la detiene abbia il coraggio e lo zelo per usarla come arma per difendere la verità, la giustizia, la democrazia, e la millenaria storia del popolo veneto.
Nelson Mandela una volta disse: «Un comunicato critico, indipendente, e di indagine è la linfa vitale di ogni democrazia. La stampa deve essere libera dall’ingerenza dello Stato. Deve avere la forza economica per resistere alle lusinghe dei funzionari di governo. Deve avere una sufficiente indipendenza da interessi costituiti; deve essere audace e indagatrice, senza paura o favoritismi. Essa deve godere della protezione della popolazione, in modo che possa proteggere i diritti dei cittadini».
Se è vero che la storia non si ripete, certamente può insegnare molto, e un confronto con i tempi attuali risulta veramente impietoso. Se le potenti parole di saggezza di Nelson Mandela sono cadute nel vuoto, alcuni politici sono diventati come le zanzare: irritanti e disturbatrici della quiete; succhianti il sangue innocente della gente. La colpa è dei giornalisti ma soprattutto della mancanza di autentici leader indipendentisti. Così la scena politica è intasata da figure politiche insincere, inadeguate e fuorvianti.
Si aggiunga che i giornalisti, specialmente quelli intellettualmente onesti, non possono trasformarsi in facitori di notizie. Essi possono pubblicare, magari con commenti e critiche, non delle notizie propagandistiche, ma almeno delle bozze o dei progetti di un nuovo assetto istituzionale dell’auspicato Veneto indipendente. Diventa umiliante, inutile e poco ortodosso, per essi, continuare a far passare note commemorative su questa o quella ricorrenza storica, sui brogli dei plebisciti truffa, sulla presunta saggezza degli antenati. E domandano: «Dov’è la notizia?».
In fondo per dirla con Frederic C. Lane in “Venice, A Maritime Republic”: «Nella gestione dell’antico governo, […] c’erano i Barnabotti, a cui la povertà e la mancanza di istruzione vietavano di occupare posti importanti, anche se a norma di legge essi erano eleggibili a tutte le cariche. Non potendo, per onore di nascita, dedicarsi a bassi lavori commerciali o manuali, i Barnabotti vivevano in miseria, vendendo i loro voti e brigando per ottenere qualche posto».
È apprezzabile che molti indipendentisti veneti vogliano il riconoscimento della sovranità del cittadino, ma se non si spiega in che cosa essa consista concretamente, il riconoscimento rimane privo di sostanza. Invece il cittadino è sovrano quando si trova nelle condizioni di poter esercitare i diritti democratici fondamentali come: la libertà (di parola, di pensiero, di movimento, di associazione, di partecipazione diretta e responsabile all’attività legislativa a tutti i livelli nel rispetto del principio di sussidiarietà), d’istruzione, d’informazione, alla sicurezza psico-fisica, alla salute, al rispetto della proprietà, alla libertà di culto. Ed è compito primario della comunità far sì che tutto questo sia concretamente garantito ad ogni cittadino, nessuno escluso. E per questo è necessario definire a priori non il “contratto sociale”, ma il “contratto politico” o “di federazione”.