Padre Sorge a Salvini: "Porti chiusi disumani come le leggi razziali"Francesca Bernasconi - Lun, 08/07/2019
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... JaYgiFk9eQ Il gesuita 90enne critica la misure sui migranti adottate con la chiusura dei porti: "Col tempo mostreranno la loro disumanità"
"Il Sicurezza bis è come le leggi razziali". Così padre Bartolomeo Sorge, gesuita ex direttore di Civiltà cattolica, parla in un'intervista a Repubblica, delle misure sui migranti e dell'ultimo atto "eroico", compiuto da Carola Rackete.
Sorge ritiene che il consenso mostrato a Salvini verrà "smascherato", ma per il momento sembra stia aumentando. Il motivo? A detta del padre, è perché "il Sicurezza Bis ha una parte di verità: nasce dalla paura della gente che pensa che il proprio Paese venga invaso. Non è così, ma la paura è comprensibile". E la mossa di Salvini sarebbe stata quella di "assolutizzare questa parte di verità a discapito del fatto che nel complesso si tratta di misure disumane" e in futuro ce ne renderemo conto, proprio come è successo con le leggi del regime fascista del 1938, "accolte, anche nella Chiesa, da un clima di indifferenza collettiva salvo poi anni dopo tutti prenderne le distanze".
Ma, in questo clima, sembra che qualcuno abbia ascoltato la voce della coscienza. Per Sorge, questo qualcuno è Carola, che "ha fatto un atto di eroismo mettendosi contro tutti e smascherando l'errore complessivo della legge", che va contro la coscienza ed è, per questo, disumana. Queste leggi, a detta del padre, vengono giustificate perché "assolutizzano parti di verità". Della stessa idea è anche Papa Francesco, che propone soluzioni pratiche, come la creazione di corridoi umanitari per i migranti, "affinché non prevalga la disumanità. E, quindi, senza dirlo, va contro Salvini quando rende la legge disumana".
Padre Sorge, su Twitter, aveva scritto diversi post contro Salvini, affermando che chi chiede alla Madonna di benedire i porti chiusi, bestemmia.
E condanna l'uso dei simboli sacri da parte dei politici, che spesso invocano i Santi per "farsi giustizia da soli": "È una bestemmia".
Alberto PentoQuesto è un parassita (tra quelli che vivono estorcendoci l'8xmille con la violenza coercitiva dello stato), idolatra fanatico e disumano, verbalmente un criminale.
La disumanità criminale è quella di chi ci vuole stuprare/violentare, imponendoci l'accoglienza indiscriminata contro la nostra volontà e a nostre spese riducendoci in schiavitù.
SHOAH E MIGRANTI: PERCHÉ ASSIMILARE DUE TRAGEDIE DIFFERENTI INDEBOLISCE LA CONOSCENZAdi Maurizio Molinari
Progetto Dreyfus
La Stampa Lettere al Direttore, 2 Febbraio 2019
https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 7937526888 Caro Direttore,
il livello di scontro verbale fra leader ed esponenti politici tende a crescere in maniera vertiginosa. Gli insulti sono divenuti moneta corrente, le fake news dilagano, sembra nessuno badi più a nulla altro che offendere la controparte. Adoperando ogni argomento e termine come una clava. C’è un rimedio a tutto questo o dobbiamo rassegnarci alla degenerazione del linguaggio pubblico?
Il rimedio è restituire alle parole il loro valore, dare importanza ai contenuti e rifiutare le generalizzazioni. C’è un esempio che lo riassume e dimostra in maniera cristallina. Viene dalla recente celebrazione della Giornata della Memoria in cui si ricorda lo sterminio di sei milioni di ebrei da parte dei nazifascisti nella Seconda guerra mondiale. Nel nostro Paese più celebrazioni, commenti e dichiarazioni in merito hanno sovrapposto la Shoah al dramma dei migranti.
Si tratta di un errore perché due tragedie, in quanto tali, non sono mai assimilabili.
Sovrapporre le persecuzioni naziste all’esodo dei migranti crea una confusione storica che non contribuisce a conoscere meglio nessuna delle due tragedie. La decisione di Adolf Hitler di adoperare l’intera macchina bellica e industriale tedesca per eliminare tutti gli appartenenti al popolo ebraico - senza eccezione - andandoli a prendere nelle loro case per ridurli in cenere è un orrore senza paragoni possibili nella Storia dell’umanità. Così come la fuga dei migranti da povertà, fame e violenze verso il Nord del Pianeta è un fenomeno epocale che dobbiamo comprendere, affrontare e risolvere perché appartiene alle nostre vite.
Ma i due eventi non devono essere confusi o assimilati perché ciò non facilita ma complica la comprensione della loro specificità. Non c’è alcun dubbio che eventi storici diversi possono avere caratteristiche comuni: l’odio razziale contro gli ebrei e l’ostilità viscerale verso i migranti hanno in comune l’intolleranza per le diversità così come la scelta di più Paesi di chiudersi ai migranti evoca la conferenza di Evian del 1938 che vide la comunità internazionale dell’epoca decidere di non soccorrere gli ebrei in fuga dalla Germania nazista. È tuttavia un grave errore confondere singoli aspetti simili di queste grandi tragedie con una equiparazione o sovrapposizione totale perché ciò porta a considerare la Storia come una sorta di minestrone dove tutto si mischia e nulla alla fine conta. Con il risultato di nuocere alla conoscenza, banalizzare la Shoah e non dedicare la necessaria attenzione al dramma dei migranti. La forza di una nazione nasce dalla capacità di ricordare, conoscere e trasmettere ogni singolo evento della propria Storia nella sua peculiare specificità. La ricetta contraria porta alla cancellazione della memoria collettiva. Rendendo tutti più deboli.
Alberto PentoGino Quarelo
Cit.: "Non c’è alcun dubbio che eventi storici diversi possono avere caratteristiche comuni: l’odio razziale contro gli ebrei e l’ostilità viscerale verso i migranti hanno in comune l’intolleranza per le diversità così come la scelta di più Paesi di chiudersi ai migranti evoca la conferenza di Evian del 1938 che vide la comunità internazionale dell’epoca decidere di non soccorrere gli ebrei in fuga dalla Germania nazista."
Queste considerazioni dell'autore sono del tutto false e fuorvianti.
Non vi è alcuna intolleranza verso la diversità assimilabile all'odio razziale e la chiusura all'invasione scriteriata e indiscriminata dei clandestini non c'entra nulla con il rifiuto di accogliere gli ebrei in fuga dalla Germania nazista.
Sono accostamenti, deduzioni e considerazioni che falsificano la realtà e servono in modo fraudolento e intollerabilmente infido unicamente a demonizzare chi sensatamente, naturalmente e umanamente difende i confini del suo paese, della sua parte di Mondo, la sua sicurezza, i suoi beni, i suoi sacrosanti diritti, la sua vita, la sua libertà e sovranità civile e politica a decidere quando, perché e chi, può entrare nella sua casa e nel suo paese.
Non sta certo ad altri deciderlo trasformando la migrazione, l'invasione, la clandestinità in una forzatura violenta che ha strettissime analogie con la violenza sociale dei matrimoni forzati delle bambine, con la violenza brutale dello stupro, divenendo essa uno strupro collettivo, di massa, etnico che viola i diritti umani universali, naturali, civili e politici delle persone, dei popoli, dei cittadini e delle nazioni.
Io credo che se da qualche parte vi è una qualche analogia o somiglianza tra i nazisti hitleriani e la Shoà del passato con i fatti dell'attualità questa la si possa trovare nei ragionamenti e nelle politiche sinistre che violano i diritti umani dei cittadini e dei nativi europei esemplificati dall'autore di questa lettera.
Rashida Tlaib paragona il boicottaggio di Israele al boicottaggio della Germania nazista, e altre storie…2019/07/26
https://osservatorerepubblicano.com/201 ... J7tA96m6MQ Lo scorso Martedì la Camera dei rappresentanti ha votato sul BDS, una risoluzione che condanna qualsiasi campagna di boicottaggio contro lo stato di Israele. La risoluzione è passata con una maggioranza schiacciante: 398 voti favorevoli contro 17 contrari.
Tra i voti contrari, che vedono anche quello del rappresentante repubblicano del Kentucky Thomas Massie (unico esponente del GOP ad aver votato contro la risoluzione, ovviamente non potevano mancare quelli di: Alexandria Ocasio- Cortez (D-New York), Ilhan Omar (D- Minnesota) e ovviamente quello di Rashida Tlaib (D- Michigan).
A colpire l’opinione pubblica sono state proprio le motivazioni portate dalla Tlaib, che ha difeso il boicottaggio dello stato ebraico, paragonandolo al “boicottaggio” (?) degli Stati Uniti nei confronti della Germania nazista.
Gli americani hanno boicottato la Germania nazista in risposta alla disumanizzazione, alla prigione e al genocidio del popolo ebraico.
Ha detto Martedì motivando la propria scelta. Nel corso del suo discorso – che deve aver mandato in autocombustione almeno mezzo milione di libri di storia – la rappresentante del Minnesota si è cimentata in altri arditissimi paragoni – uno più azzeccato dell’altro.
Il diritto al boicottaggio è profondamente radicato nel tessuto del nostro paese. Cos’è stato il Boston Tea Party se non un boicottaggio? Dove saremmo ora senza il boicottaggio guidato dagli attivisti per i diritti civili negli anni ’50 e ’60 come il boicottaggio degli autobus Montgomery e il boicottaggio dell’uva United Farm Workers?
In poche parole, la Tlaib, oltre ad aver dichiarato la volontà, di alcuni, di affossare l’economia dell’unica democrazia occidentale in medioriente, che ha la sola colpa di voler esistere e di volersi difendere da vicini particolarmente bellicosi, ha paragonato il “boicottaggio”, che vuol fare, alle seguenti cose:
Al Boston Tea Party, ma che altro non fu una protesta contro i dazi che il Regno Unito imponeva alle tredici colonie americane, le quali (tra le altre cose) erano anche stufe, giustamente, di pagare le tasse a sua maestà Re Giorgio III senza ricevere nemmeno uno straccio di rappresentanza parlamentare.
Alle proteste per i diritti civili dei neri, un movimento che non ha avuto solo boy scout al suo interno. Infatti, assieme a Martin Luther King – che effettivamente si batteva affinché bianchi e neri potessero vivere insieme e con gli stessi diritti – si trovavano anche personaggi come Malcolm X, la Nation of Islam e le Black Panther. Movimenti suprematisti neri che – oltre ad essere pervasi da un vomitevole antisemitismo – predicavano a loro volta la separazione tra neri e bianchi. Basti pensare che la Nation of Islam invitò ad una riunione una delegazione dell’American Nazy Party per discutere di un progetto che vedeva la creazione di stati solo per neri e di stati solo per bianchi.
I deliri non finiscono qui. La Tlaib, in quanto figlia di “immigrati palestinesi” non sopporterebbe alcuna restrizione al diritto di “boicottare le politiche razziste del governo e dello stato di Israele“.
Negli anni ’80, molti di noi in questo stesso corpo boicottarono beni sudafricani nella lotta contro l’apartheid. Il nostro diritto alla libertà di parola è minacciato da questa risoluzione. Stabilisce un precedente pericoloso perché tenta di delegittimare il discorso politico di un determinato popolo e di inviare un messaggio che il nostro governo può agire e agirà contro ogni discorso che non gli piace.
Il discorso non fa piega. Si paragona la segregazione razziale in Sud Africa, situazione oggi ribaltata e con risvolti ancora più drammatici, alla realtà di un paese dove musulmani, ebrei e cristiani godono degli stessi diritti; dove musulmani, ebrei e cristiani lavorano assieme; dove nell’IDF (l’esercito di difesa israeliano) servono anche soldati arabi di fede musulmana; dove, paese unico nel Medio oriente, si può organizzare un gay pride senza che intervengano le forze dell’ordine a disperdere i manifestanti.
Non solo, questo discorso trascura tranquillamente uno dei pilastri della democrazia americana: quello di bilanciamento delle libertà. Vale a dire che “la mia libertà finisce dove inizia quella di un altro”. La libertà di dire tutto ciò che ci passa per la testa finisce nel momento in cui le nostre parole possono ledere qualcun’altro o, in questo caso, avere gravi conseguenze sull’economia di un Paese amico.
Torniamo al paragone iniziale: boicottaggio di Israele = boicottaggio degli Stati Uniti ai danni della Germania nazista. Premettendo che gli Stati Uniti scesero direttamente in guerra contro il Terzo Reich, e non passarono nemmeno per il “boicottaggio”, e lo fecero sicuramente anche per interessi geopolitici (un po’ di sano realismo non fa mai male) ma restituirono la libertà a gran parte dell’Europa e della regione Pacifica, cadute sotto le mire imperialistiche ed espansionistiche della Germania hitleriana e dell’Impero nipponico. Occorre dire anche che, mentre gli ebrei combatterono sempre al fianco degli Alleati anglo-americani, fu proprio la popolazione arabo-palestinese a combattere nell’Asse, grazie al contributo del muftì Amin al- Husseini che facilitò il reclutamento di soldati arabi-musulmani nelle Waffen-SS. Famosa una sua foto in bianco e nero che lo ritrae in visita alle Waffen-SS bosniache-musulmane.
Ma il paragone non è nuovo all’interno del fronte democrat. Il BDS, infatti, nasce in risposta ad una risoluzione introdotta dalla rappresentante democratica del Minnesota, Ilhan Omar, per rafforzare il “diritto” a boicottare lo stato di Israele.
Gli americani di coscienza hanno una storia orgogliosa di partecipazione ai boicottaggi per difendere i diritti umani all’estero, tra cui boicottare la Germania nazista dal marzo 1933 all’ottobre 1941 in risposta alla disumanizzazione del popolo ebraico in vista dell’Olocausto.
Ha affermato la Omar, introducendo la risoluzione.
Oggi più che mai quello dell’asino sembra un simbolo azzeccatissimo per i democrats.
SENZA SE E SENZA MANiram Ferretti
11 settembre 2019
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063 Il buongiorno si vede dal mattino, e il mattino comincia su "La Repubblica" con la perorazione del proimmigrazionista Gad Lerner, uno dei fautori della ripugnante equazione ebrei morti durante la Shoah=migranti morti in mare. Cosa ci dice l'ex militante di Lotta Continua che ha lasciato il PD quando Marco Minniti era Ministro degli Interni perché era troppo severo con gli sbarchi?
"Anche quando si trattò di abrogare le leggi razziali del regime fascista ci fu chi raccomandò gradualità e prudenza sostenendo che vi fossero buoni contenuti da salvaguardare. Lo tenga a mente Giuseppe Conte che ieri al Senato ha ottenuto la fiducia definitiva del Parlamento per un governo di svolta: non gli basterà un generico elogio della mitezza per contrastare il clima d'odio codificato anche nei decreti sicurezza da lui precedentemente sottoscritti".
Un altro infame paragone caro a Lerner, i decreti sicurezza sono come le leggi razziali. Esattamente il paragone che fecero i ragazzi dell'Istituto Tecnico Industriale Vittorio Emanuele III, il Giorno della Memoria, producono delle slide sotto la supervisione dell'insegnante Rosa Maria Dell'Aria.
Nelle slide il decreto sicurezza promosso da Salvini venne paragonato alle leggi razziali fasciste del 1938 contro i cittadini ebrei italiani e di seguito, l'incontro di Innsbruck del 2018, durante il quale Salvini specificava la quota dei migranti da accogliere in Italia, con la Conferenza di Evian del 1939 in cui, a seguito delle Leggi di Norimberga si doveva trovare una soluzione per i profughi ebrei dalla Germania.
Lerner ci insegna che il fascismo, anzi il nazismo è tornato sotto forma del leghismo marcato Salvini, così come, ieri al Senato la senatrice Liliana Segre, strumentalizzata a più non posso, ci ha detto che finalmente il pericolo è scampato. Quale pericolo senatrice Segre? Ce lo spieghi, con rispetto per la sua tragica storia famigliare, quale pericolo?
Intanto il Segretario del PD, Zingaretti, un altro che un giorno sì e un giorno no ci parlava di "emergenza democratica", il refrain abituale della sinistra tutte le volte che al governo c'è qualcuno di destra, dichiara che la Ocean Viking sulla quale ci sono 84 migranti "Deve sbarcare senza sì e senza ma".
Sono gli splendori abbaglianti del nuovogiorno che squarciano la tenebra.
Migranti, politicamente corretto, ipocrisia: il caso di MentanaCommento di Deborah Fait
Informazione Corretta
02.10.2019
http://www.informazionecorretta.com/mai ... qAnLbMCQdQLe ultime novità di questo povero paese, intendo l'Italia, è il cibo dell'accoglienza, cioè d'ora in poi bisognerà mangiare solo cibo che non disturbi la sensibilità dei musulmani, dei figli di Allah come li chiamava Oriana Fallaci. A Bologna l'ordine è arrivato dalla Curia, alla festa di San Petronio che si terrà venerdì prossimo, verrà offerta una versione pork-free dei tortellini, solo carne di pollo, bandito il tradizionale tortellino con la carne di maiale. Chi vorrà rispettare le tradizioni e anche il gusto dei bolognesi verrà probabilmente ghettizzato per non contaminare il pollo. Ormai non c'è più limite all'assassinio della cultura e delle tradizioni occidentali, tutto viene islamizzato e lo stanno facendo anche in gran fretta. Via i crocefissi dalle scuole, in memoria di quel Adel Smith che li aveva gettati fuori dalle finestre dell'ospedale dove era ricoverata la madre perché quel piccolo Gesù in croce la disturbava. Si vuole eliminare lo studio della Divina Commedia nelle scuole perché qualche idiota ha accusato Dante di essere islamofobo e di nominare troppo spesso la Vergine Maria. Anche questo potrebbe turbare gli studenti islamici. Per me questi giorni sono stati particolarmente motivo di nervosismo.
Enrico Mentana
Domenica noi ebrei abbiamo iniziato i festeggiamenti per l'anno nuovo, Rosh haShanà. Una data importante e gli ebrei italiani anche se non sono tanti, comunque sono cittadini fedeli della penisola dall'epoca di Gesù e anche prima. Il presidente Mattarella, il primo ministro Conte, Salvini hanno fatto gli auguri alla Comunità ebraica. Tutti i capi di stato occidentali hanno mandato gli auguri a Israele. Avete sentito gli auguri del Papa almeno agli ebrei italiani? Io no! L'ho sentito invece sperticarsi in auguri per i musulmani ad ogni Ramadan. Non è che gli auguri del Papa mi interessassero particolarmente ma l'ho ritenuto un segno di grande maleducazione e di ostilità, un sentimento che Bergoglio non si preoccupa più nemmeno di nascondere, ci odia e basta. Il secondo motivo di nervosismo è stato quell'orrore depositato in Piazza San Pietro in onore dei migranti.
Lo hanno messo a San Pietro, capite? A due passi dal Vaticano che non ha accolto nemmeno mezzo migrante. Ci vuole una bella faccia di bronzo. Un monumento davvero osceno in cui l'autore canadese ha messo persino un ebreo, tanto per fare la solita schifosa equiparazione tra ebrei (deportati nei forni crematori) e i migranti belli palestrati muniti di cellulare di ultima generazione . Una schifezza unica, un'offesa per gli occhi messa proprio là, davanti alle colonne del Bernini che si rivolterà nella tomba! A compimento di questi tre giorni di rabbia per l'idiozia incredibile di chi governa e di chi ha in mano l'educazione dei giovani, ecco che arriva Enrico Mentana commentando da par suo, nei suoi 100 secondi alla radio, la storia dei tortellini dell'accoglienza. Lo fa con queste parole: "Niente maiale per rispetto a tutti gli altri. (altri chi? Uno si chiede, e Mentana glielo spiega) "per rispetto a due delle tre grandi religioni, quella ebraica e quella musulmana". E qui non c'ho visto più, mi sono venuti i crampi allo stomaco. Mentana mente sapendo di mentire e non riesco a capire con quale coraggio sia arrivato a nominare la religione ebraica! Gli ebrei, come dicevo, sono in Italia da più di 2000 anni e mai nessuno si è sognato di fare o non fare qualcosa per non urtare i loro sentimenti e le loro tradizioni religiose. Prima dell'invasione islamica dell'Europa nessuno aveva pensato di levare il maiale dalle mense scolastiche per rispetto agli ebrei o di evitare di fare il presepio per le strade a Natale, o di non far arrivare San Nicolò nelle scuole materne. Ma soprattutto gli ebrei non lo hanno mai chiesto, non hanno mai protestato per il crocefisso, non hanno mai preteso mense di solo carne di pollo. Chi non voleva mangiare carne non kasher si portava il panino da casa, la scuola se ne fregava altamente! Non vi sta bene qualcosa, ebrei? Attaccatevi al tram! L'ipocrisia di Enrico Mentana è semplicemente vergognosa, è stato capace di inventarsi una sensibilità inesistente verso il mondo ebraico, complice di tutti quelli che da anni si calano le brache dinnanzi alla prepotenza musulmana. L'Italia è distrutta, ormai nessuno parla d'altro che di islam, di maiali, di croci, di non offenderli, di non disturbarli, Dio ne guardi che si arrabbiassero. C'è una cosa che non capisco, gli ebrei non hanno mai creato problemi, non hanno mai preteso niente, non hanno mai protestato eppure tutti li odiano. Com'è sta storia?
Paragoni improponibili: la mistificazione e le omissioni di RepubblicaNiram Ferretti
20 ottobre 2019
https://www.progettodreyfus.com/repubbl ... nmBDH1djyg Come scrivere la storia inserendo la mistificazione e la distorsione nel tessuto degli eventi, creando paralleli improponibili. È ciò che fa il giornalista di Repubblica, Gianluca Di Feo rievocando in un articolo del 19 Ottobre scorso dal titolo “I curdi e la lezione di Sabra e Chatila”, il massacro omonimo per mano dei falangisti libanesi occorso durante la prima guerra del Libano del 1982, e accostandolo in modo totalmente improprio e tendenzioso all’offensiva turca nei confronti dei curdi avvenuta in questi giorni in Siria.
Il copione è identico, in maniera agghiacciante. Una nazione potente che invade all’improvviso un altro Paese piegato dalla guerra civile, ma solo per colpire una comunità precisa. Aerei che bombardano le città e carri armati che avanzano inarrestabili. Poi la tregua. I combattenti sconfitti consegnano le armi pesanti e vanno via. Con la garanzia americana che la popolazione sarà protetta.
L’avevano chiamata operazione “Pace in Galilea”, così come quella di oggi è stata battezzata “Fonte di pace”. Il 6 giugno 1982, mentre si giocavano i Mondiali di Spagna, l’esercito israeliano irrompe in Libano. Obiettivo dichiarato: creare una fascia di sicurezza sul confine, per impedire gli attacchi terroristici. Lo stesso che oggi viene ripetuto da Ankara: “Cacciare i terroristi lontano dalla frontiera”. Allora erano palestinesi, ora curdi.
Ed ecco, già qui, il primo raffronto fraudolento tra i curdi operativi in Siria e membri del YPG (Unione di Protezione del Popolo), il braccio siriano dell’PKK (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan) e i “miliziani” dell’OLP guidati da Arafat.
Di Feo si guarda bene dallo specificare la differenza sostanziale tra operativi palestinesi dell’OLP e membri del YPG, e di cosa stessero facendo i primi nel paese in cui si trovavano, il Libano, perché, se lo facesse, dovrebbe raccontare la parabola di Arafat e dei suoi seguaci prima dell’operazione Pace in Galilea.
Dovrebbe ricordare una lunga storia di terrore e sedizione, di come, quando l’OLP, “I palestinesi” si trovavano in Siria nel 1966, cercarono di rovesciare il regime attraverso la sovversione e il terrorismo e furono costretti ad abbandonare il paese. Dovrebbe ricordare quando, cacciati dalla Siria e trasferitosi in Giordania tra il 1968 e il 1970 la usarono come principale piattaforma terroristica per attaccare Israele e di come, anche qui, nel 1970, si sentirono abbastanza forti per cercare di rovesciare il regime hashemita. La guerra civile che ne seguì li costrinse a fuggire. E qui giungiamo al Libano, dove, riprodussero lo stesso schema.
Nel 1975 si sentirono abbastanza forti per cercare di rovesciare il governo centrale di Beirut. A questo punto, Beirut per contrastare i “palestinesi”, ovvero i terroristi dell’OLP (definiti tali già dai siriani e dai giordani), dovettero ricorrere in aiuto alla Siria che occupò militarmente il Libano per fronteggiare l’emergenza.
Di Feo dovrebbe ricordare anche come l’OLP avesse creato in Libano uno Stato nello stato e fosse uno degli attori principali della guerra civile all’interno del paese e dovrebbe, di seguito, visto che si parla di massacri, rendere giusta memoria alle azioni gloriose dei “palestinesi”, come quelle avvenute a Damour il 20 gennaio del 1975 quando l’OLP macellò 584 civili e poi si diede al saccheggio del cimitero cristiano, esumando le bare e sparpagliando i cadaveri e gli scheletri in giro, per poi collocare un ritratto di Arafat armato sull’altare della chiesa.
Dovrebbe ricordare quello che accadde il 12 agosto del 1976 a Tel al-Zaatar quando la città venne sottoposta a un’orgia di stupri, mutilazioni e omicidi e dove vennero massacrati tra i 2000 e i 3000 civili. Di questo orrore abbiamo la diretta testimonianza di John Bulloch, corrispondente sul posto del The Daily Telegraph e certamente non di un amico di Israele, un altro celebre corrispondente inglese, Robert Frisk.
Dovrebbe ricordare di come Arafat, durante l’assedio alla parte occidentale di Beirut nel 1982, dove aveva creato una infrastruttura terroristica per attaccare la popolazione israeliana tramite il lancio di missili, avesse applicato la tecnica che anni dopo Hamas avrebbe fatto propria, collocando le postazioni militari vicino a ospedali, moschee, centri abitati.
Dovrebbe infine ricordare di come Israele venne costretto a invadere il Libano perché l’organizzazione terroristica di Arafat costituiva una minaccia concreta per la sicurezza dello Stato ebraico. Ma tutto ciò è, ovviamente, omesso. Ciò che il giornalista ricorda di Arafat e dei “palestinesi” è questa commovente fotografia:
I guerriglieri dell’Olp lasceranno il Libano, sotto la protezione di una forza internazionale a guida americana. Partono in più di 14 mila. I filmati ingialliti mostrano Yasser Arafat che si imbarca, alzando un ramoscello di ulivo come fosse un segno di vittoria.
Il ramoscello di ulivo alzato da un signore della guerra conclamato, e i guerriglieri dell’OLP, responsabili di stupri, mutilazioni, massacri, che se ne vanno come se fossero degli inermi, degli innocenti, costretti ad abbandonare il paese da una forza proterva e soverchiante.
I curdi, in Siria, non hanno neanche lontanamente fatto ciò che fecero i palestinesi in Libano dal 1975 al 1982, destabilizzato il paese per sette lunghi anni, massacrando una parte della sua popolazione, cercato di rovesciare il suo legittimo governo, e creando una struttura militare atta a colpire Israele a soli pochi chilometri di distanza.
I curdi si sono alleati con gli americani per sconfiggere l’ISIS, e la Turchia non è intervenuta in Siria come Israele intervenne in Libano, per rimettere ordine nel paese ed eliminarvi chi, dal 1964 aveva fatto della eliminazione dell’”entità sionista” la propria ragione d’essere. La Turchia è intervenuta pretestuosamente (i curdi in Siria non rappresentano alcuna minaccia immediata o diretta alla sicurezza turca) per impedire il consolidamento di una realtà curda in una regione non limitrofa, così come ha già fatto al proprio interno e in Iraq.
Ma Di Feo non è soddisfatto dal parallelo, deve, evocare Sabra e Chatila. I falangisti libanesi che massacrarono i rifugiati palestinesi nel campo mentre gli israeliani non impedirono il massacro, starebbero ai turchi a cui gli americani hanno dato il via libera per l’invasione nel nordest della Siria.
Paragone farraginoso e oscenamente sbilanciato. Gli israeliani non diedero nessun via libera ai falangisti libanesi di massacrare i palestinesi nel campo di Sabra e Chatila.
Fu una grave negligenza e una sottovalutazione del comando militare israeliano, così come stabilito dalla Commissione Khan, non considerare la sete di vendetta dei falangisti libanesi. L’Amministrazione Trump ha dato il via libera all’operazione militare turca, lasciando intenzionalmente i curdi esposti all’offensiva delle truppe. Differenza sostanziale.
La realtà dei fatti, la sua ragione d’essere, la profonda diversità dei contesti, delle situazioni, degli attori in scena, viene rimossa al fine di potere creare un parallelo improponibile, di trovare il modo di fare dei terroristi dell’OLP gli omologhi dei combattenti curdi al fianco degli Stati Uniti e delle vittime innocenti della furia falangista gli omologhi delle eventuali vittime della violenza turca, (“In Siria domani potrebbe succedere la stessa cosa, scrive il giornalista). Eventuali, sì, perché non c’è stato fortunatamente alcun massacro dei curdi da parte turca.
Su una pura eventualità si tira in ballo retrospettivamente Israele, convocandolo sul banco degli imputati in correo con gli Stati Uniti, per un massacro di cui non è stato direttamente responsabile, in rapporto a un massacro non avvenuto. Analogamente, si associano i terroristi dell’OLP che sventrarono un paese e furono cacciati precedentemente da altri due, ai combattenti turchi che hanno valorosamente combattuto contro l’ISIS.
È questo il risultato della mistificazione, degli accostamenti improponibili, che travisando la realtà dei fatti li piegano del tutto alla strumentalizzazione più grossolana.
Germania, la tv ha paragonato gli ebrei in fuga dal nazismo ai profughiFederico Giuliani - Gio, 24/10/2019
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ger ... BdPvt28QvE La tv pubblica tedesca ha rievocato l'episodio storico della nave St. Louis, paragonando gli ebrei in fuga dal nazismo ai profughi che oggi attraversano il Mediterraneo
Nel corso di una ricostruzione storica la televisione pubblica tedesca ha paragonato gli ebrei in fuga dal nazismo ai profughi che attraversano il Mediterraneo.
Lunedì scorso l'Ard, cioè il primo canale televisivo della Germania, ha mandato in onda un Dokudrama, cioè un mix tra documentario e sceneggiato con attori in carne e ossa, riguardante un episodio risalente al 1939.
Il film, intitolato "Die Ungewollten" (Gli indesiderati), ripercorre la vicenda della crociera St. Louis, un transatlantico che salpò da Amburgo per trasportare a Cuba 939 ebrei in fuga da Adolf Hitler. L'imbarcazione partì dalla Germania il 13 maggio, a pochi mesi dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
I passeggeri – ricorda il quotidiano Italia Oggi - hanno pagato una fortuna per l'epoca, solo 150 dollari per ottenere il visto per L'Avana, dove pensano di dover transitare in attesa di sbarcare negli Stati Uniti. Eppure Cuba rifiuta lo sbarco perché quei visti non sarebbero validi.
Il St. Louis, respinto dall'isola dei Caraibi, ha di fronte a sé due strade: tornare in Germania, condannato praticamente a morte l'equipaggio, oppure fare rotta direttamente verso gli Stati Uniti. Il capitano della nave opta per la seconda opzione e si dirige a Miami.
Un paragone azzardato
Qui l'imbarcazione si trova davanti a un muro, perché il presidente americano Roosevelt non intende accogliere gli ebrei. È periodo di elezioni: il popolo statunitense è in subbuglio, non vuole accogliere stranieri e la disoccupazione sale. Oltre agli Stati Uniti, il St. Louis si vede chiudere le porte in faccia anche dal Canada.
A bordo la situazione è critica. Un passeggero si uccide, altri minacciano di fare lo stesso disperato gesto. Alla fine la nave troverà un porto sicuro ad Anversa. Il 17 giugno arriva l'agognato sbarco, e quindi la ridistribuzione dei migranti tra Belgio, Gran Bretagna, Olanda e Francia. Un terzo di loro troverà la morte per mano dei nazisti nel corso della guerra.
Questi sono i fatti storici. L'Ard ha ricostruito esattamente quanto avvenuto 80 anni fa ma si è spinta a fare un paragone a dir poco azzardato con la situazione migratoria attuale. Accostare gli ebrei ai profughi odierni è quanto mai disonesto e irrispettoso.
Smettiamola di paragonare la Shoah al razzismo contro i migrantiSofia Ventura
18 febbraio 2019
http://espresso.repubblica.it/plus/arti ... 76GafoXrbw Maestra di vita per Cicerone e quindici secoli dopo per il fiorentino Niccolò Machiavelli, la Storia può davvero fornire degli insegnamenti? Questa è spesso la pretesa, o la speranza, di chi si dedica alla ricostruzione, all’insegnamento, alla divulgazione delle grandi tragedie della storia recente, dei genocidi, della Shoah.
Perché non accada mai più.
La “Documentation Française” ha da poco pubblicato (dicembre 2018) il rapporto finale della “Missione di studio in Francia sulla ricerca e l’insegnamento dei genocidi e dei crimini di massa”, commissionato nel maggio 2016 dal ministero dell’Educazione nazionale e consegnato nel febbraio 2018. Si tratta di un lavoro di impressionante profondità e estensione, realizzato da sessantacinque ricercatori di quindici diverse nazionalità, che risponde oltre che agli imperativi della conoscenza e della ricerca, anche a quelli della divulgazione, della diffusione e dell’insegnamento. «Dobbiamo aspettarci dalla conoscenza», si legge nella lettera ministeriale del 2016 che dà vita alla missione, «l’emergere di una coscienza e di una responsabilità tanto individuali quanto collettive di fronte alla disumanità?». Possiamo aspettarcelo?
La risposta non è scontata, tanto più se osserviamo il presentismo nel quale ormai sono scivolate e continuano a scivolare le generazioni che hanno cominciato a diventare adulte a partire dalla fine degli anni Novanta, come scriveva Eric Hobsbawm nel suo “Il secolo breve”: «La distruzione del passato, o meglio la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti, è uno dei fenomeni più tipici e insieme più strani degli ultimi anni del Novecento. La maggior parte dei giovani alla fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono».
Memoria e divulgazione sono, anche per questo, diventate preoccupazione crescente man mano che l’evento tragico che più ha segnato la storia contemporanea del nostro continente, la distruzione degli ebrei d’Europa, ha cominciato ad allontanarsi nel tempo e i testimoni diretti sono divenuti sempre meno. Tanto che nel 2005 le Nazioni Unite proclamano il 27 gennaio, giorno in cui, era il 1945, le truppe sovietiche giungono ad Auschwitz, Giorno della memoria. L’Italia lo aveva fatto cinque anni prima, nel 2000. Due settimane fa le reti pubbliche e private italiane, in occasione di quella ricorrenza, hanno dato ampio spazio al ricordo, attraverso la trasmissione di film, docu-fiction, documentari. Alcune giornate, in particolare sulle reti Rai, in cui la Shoah è stata al centro dei palinsesti. Tanto materiale, di qualità variabile, presentato all’eterogeneo pubblico televisivo. Che certo ha costituito per molti l’occasione di conoscere, sapere di più. Magari, per i più giovani, di scoprire.
Tuttavia. Tuttavia la Shoah è un evento di straordinaria complessità e la sua comprensione tutt’altro che banale. E le diverse forme attraverso le quali quell’evento è fatto conoscere sono in grado di raggiungere non solo diversi livelli di profondità, ma possono esprimere al tempo stesso diverse interpretazioni del fenomeno. A un pubblico che ormai comincia ad essere informato, bisognerebbe forse iniziare a proporre anche una lettura critica di come la memoria è trasmessa, innanzitutto domandandosi: la memoria di cosa? Ecco, perché non è che dopo avere visto “Schindler’s List” di Spielberg si ha la stessa idea della Shoah che si può avere dopo aver seguito le dieci ore del documentario di Claude Lanzmann “Shoah”, del 1985, frutto di un lavoro decennale, o anche i trenta minuti del film di Alain Resnais del 1955, “Nuit et Brouillard” (Notte e Nebbia), ancor meno conosciuto al grande pubblico rispetto a “Shoah”, ma che costituisce una pietra miliare della rappresentazione visiva della tragedia dello sterminio (peraltro visibile gratuitamente su vimeo.com).
“Schindler’s List” e “Shoah” nella letteratura sulla rappresentazione dell’Olocausto sono spesso contrapposti. Anche il semplice spettatore può cogliere nel primo la presenza della dimensione spettacolare hollywoodiana e degli artifici narrativi per attrarre, sorprendere ed emozionare (il cappottino rosso, le docce ove le donne entrano nude e che, contro ogni aspettativa, dopo che la scena sprofonda nel buio, irrorano acqua); nel secondo il desiderio del regista-narratore-intervistatore di compiere un viaggio alla scoperta di ciò che è stato, attraverso i luoghi, che vengono fatti parlare, e i protagonisti: vittime, carnefici (portati a testimoniare anche con l’inganno), spettatori talvolta inquietanti. Senza indulgere nella ricerca di effetti, nella sollecitazione di emozioni.
Come è stato osservato, sarebbe in realtà riduttivo, ed anche inutile, considerare queste due modalità di raccontare lo sterminio come mutualmente escludenti. Se non altro perché la prima, quella di Spielberg, ha ottenuto un successo mondiale. Tuttavia, il compito della memoria, da parte di chi produce cultura, richiede anche la consapevolezza dei rischi di banalizzazione di un tema così enorme e tragico che interpella anche la profondità della ragione, oltre che l’intensità delle emozioni. Rischi sui quali si erano, ad esempio, concentrati una serie di saggi pubblicati in un volume del 2016 a cura di Francesca R. Recchia Luciani e Claudio Vercelli, dal titolo “Pop Shoah? Immaginari del genocidio ebraico” (Melangolo). I quali avevano messo in evidenza i pericoli insiti nella trasmissione della memoria attraverso i canoni della contemporanea società dello spettacolo. Come l’edulcorazione, che circonda, ad esempio, la narrazione della vicenda di Anna Frank e la «carinizzazione» della sua figura, mai raccontata sino al tragico epilogo della morte nel campo, o la rappresentazione della Shoah come «male assoluto» che arriva a trascendere la specificità di quello sterminio come sterminio degli ebrei europei, viziando la capacità di analizzare criticamente quell’evento.
In tal senso è stata interpretata l’iconizzazione del cappottino rosso del film di Spielberg - la bambina che si muove, unica figura a colori, nel caos dello sgombero del ghetto di Varsavia per poi divenire cadavere - nel quale si identificherebbe la stessa Shoah, male assoluto che sacrifica gli innocenti, non più culmine dell’antisemitismo europeo. Un male assoluto che, come categoria interpretativa, può condurre anche alla percezione di un evento come la Shoah come qualcosa di altro da sé e che quindi non interroga la coscienza umana.
Esiste, però, una produzione filmica che ha soprattutto rappresentato un tentativo di appropriarsi di una realtà, indicibile, ma imprescindibile per la comprensione della storia del Novecento. Che non ha raggiunto un grande pubblico, in molti casi poco nota al pubblico italiano, ma che potrebbe arricchire il nostro modo di concepire la «memoria». Un modo intellettualmente più complesso e eticamente più corretto. La scomparsa del regista francese Claude Lanzmann, avvenuta nel luglio 2018, non ha molto interessato i media italiani. Eppure, come scriveva su Repubblica il 6 luglio dello scorso anno Wlodek Goldkorn: «Per chiunque voglia raccontare l’annientamento degli ebrei per mano dei nazisti, esiste un prima e un dopo quell’opera. Misurarsi con l’Olocausto non è possibile senza misurarsi appunto (sapendo di perdere il confronto) con il film “Shoah”».
Comprendere significa anche sapere collocare e comparare, cogliere le specificità di un evento e ciò che può assimilarlo, pur nelle profondissime differenze, ad altri eventi. Così, come abbiamo visto, la Shoah ha costituito l’oggetto dello studio commissionato dal governo francese sui genocidi e i crimini di massa, insieme ad altri eventi - dal genocidio perpetrato dai Khmer rossi a quello dei Tutsi in Rwanda -, nel loro insieme considerati come «fenomeni incommensurabili, che toccano il significato stesso dell’umanità».
La Shoah non può essere compresa al di fuori della plurisecolare vicenda dell’antisemitismo europeo, così come degli sviluppi tecnologici e della razionalizzazione burocratica che nel ’900 vengono messi al servizio dell’ideologia totalitaria, e non si può dimenticare come con il suo universo concentrazionario essa abbia rappresentato probabilmente il più perfezionato tentativo di trasformare esseri umani in «cose», ancorché con cuori pulsanti. La sua specificità non impedisce, però, di interrogarsi su analogie e punti di contatto con fenomeni precedenti - come lo sterminio dei contadini kulaki e l’universo concentrazionario sovietico - o successivi - come il genocidio cambogiano. In tutti questi casi, ad esempio, emerge con tutta evidenza la potenza dell’ideologia come motore di distruzione dell’uomo. In particolare laddove questa ideologia produce generalizzazioni su gruppi umani «altri» in una contrapposizione tra noi e loro dove «loro» perdono la dimensione umana.
Da un lato, dunque, lo sterminio degli ebrei d’Europa si presenta come un fenomeno complesso, storicamente (e non solo) specifico. Utilizzarlo come pietra di paragone rispetto ad altri eventi o a tragedie contemporanee non appare corretto, implica una sua banalizzazione. Proprio quella banalizzazione che è insita nella sua illustrazione attraverso i canoni dello spettacolo e alla quale si sfugge anche attraverso quelle opere citate mosse dagli imperativi della conoscenza e della comprensione, più che dalla preoccupazione di colpire il pubblico. Dall’altro lato, la Shoah ha mostrato il cammino che possono percorrere certe «idee» e il male che può venire da esse e dalla loro traduzione in atti.
Oggi la Shoah è sovente richiamata con riferimento alla tragedia dei migranti che trovano la morte nel tentativo di raggiungere l’Europa via mare, in un clima di indifferenza dei governi europei e di crescente ostilità fomentata dai movimenti populisti. O anche con riferimento al trattamento riservato ai migranti nei nostri Paesi. I due fenomeni sono radicalmente diversi: non è in atto un genocidio di un popolo o di un gruppo da parte di un governo a partire da una precisa ideologia. Non esiste l’intenzione di liberarsi di un popolo o di un gruppo considerato “nemico”.
Tuttavia, echi inquietanti, in particolare attraverso la propaganda dei partiti populisti, e in Italia della Lega in primis, sembrano riemergere da quel nostro non lontano passato, ovvero il tentativo di «disumanizzare» i migranti, costruendo su di loro generalizzazioni e luoghi comuni, facendo perdere di vista la specificità «umana» per costruire categorie di «esseri pericolosi e indesiderati». Che quindi possono essere trattati come previsto dal decreto sicurezza voluto da Matteo Salvini, con il sostegno di buona parte dell’opinione pubblica.
La Shoah fu altra cosa, ma avrebbe dovuto insegnarci il male che può derivare dal voltarsi dall’altra parte o dal lasciarsi trascinare da un senso comune che si abbevera a generalizzazioni manichee e semplicistiche che sottraggono ai nostri simili la specificità di persone per trasformarli in categorie da disprezzare o odiare. Avrebbe dovuto insegnarci, ma forse non è accaduto. La strada verso la conoscenza è ancora lunga.
Shoah: Dureghello, no banalizzazioni e non chiedeteci perdono25 gennaio 2021
https://www.shalom.it/blog/news-in-ital ... o-b1090171 "Temo le banalizzazioni della memoria, i tentativi di attualizzare quanto accaduto al popolo ebraico attraverso accostamenti impropri. Mi preoccupa il continuo riaffiorare dei suprematismi. E credo sia giunto il momento di smettere di chiedere il perdono per interposta persona. Questo e' un atto che nell'ebraismo non e' concepibile". Lo dice Ruth Dureghello, presidente della comunita' ebraica di Roma, in una conversazione con l'AGI, alla vigilia delle celebrazioni per la Giornata della Memoria. Iniziative che quest'anno saranno diverse dal solito, a causa del Covid, ma non per questo meno intense. "La pandemia non ci ha certo impedito di continuare a lavorare, di produrre cultura, di pregare e quindi di fare memoria e trasmetterla. Tutto quello che si svolgeva in presenza, quest'anno e' passato nella forma piu' tutelante della divulgazione attraverso i canali social o le piattaforme informatiche. Senza pero' depotenziare o svilire il lavoro che si sta svolgendo e che, anzi, continua alacremente non solo nella Giornata della Memoria ma tutto l'anno. Il calendario delle iniziative e' denso - spiega Dureghello - fra quelle con l'Archivio, il Museo, il Centro di Cultura. E poi c'è una mia chiacchierata, bellissima, con l'ultimo sopravvissuto di Roma: Sami Modiano. È una 'passeggiata' nel suo percorso umano, una delle cose più belle che ho fatto nella mia vita".
La conversazione con Sami Modiano, "sara' pubblicata sui social delle comunita' e destinata ai ragazzi, perche' quest'anno, per motivi contingenti, Sami non poteva certo andare nelle scuole. Abbiamo quindi voluto 'storicizzare' un suo dialogo - dice ancora la presidente - e metterlo a disposizione degli studenti che abitualmente, vedevano Sami in aula magna, o seduto fra loro. Ne e' nata una chiacchierata delicata, colma di messaggi significativi e di grande speranza". Rispetto allo scorso anno anno, e' cambiato qualche atteggiamento verso la cultura della memoria? "Sono cambiate tante cose - spiega la presidente della comunita' ebraica romana - e' sotto gli occhi di tutti che la nostra societa' e i suoi valori sono stati completamente stravolti. Di positivo, c'e' che ci arrivano, ad esempio, tante sollecitazioni dalla societa' civile, soprattutto dalle scuole attive per concretizzare una riflessione sulla giornata della memoria. Ma dall'altra parte, c'e' in questo ultimo anno un riaffiorare del tema dell'antisemitismo. Con la pandemia sono riemersi pregiudizi, teorie complottiste, stereotipi sul web di natura antisemita. Ha ripreso vigore il tema dell'antisionismo, reso ancora piu' evidente e conclamato verso lo Stato di Israele e al suo diritto a esistere. E non ultimo, cosa che mi preoccupa moltissimo, c'e' la ripresa del suprematismo, come accaduto nella societa' americana, che credevamo affrontato. Il suprematismo oggi, purtroppo, suscita tanto interesse e ha tanto appeal anche nella societa' europea, non ultimo in quella italiana. I suprematismi sono un pericolo, inutile negarlo, un pericolo reale. E in una societa' sofferente che vive un disagio, il modello di idolatria che il suprematismo crea puo' essere uno strumento per accalappiare le coscienze dei piu' deboli o di chi soffre e diventa facilmente strumento di diffusione di odio e violenza. Si' - sottolinea Dureghello -, ci sono stati cambiamenti in un senso e nell'altro. L'importante e', pero', che non muti lo spirito con cui si affronta la Giornata della Memoria e quello con cui questa e' stata istituita dai padri fondatori".
Secondo Dureghello, "il monito che si deve fissare, e' quello di ricordare la unicita', la gravita' e la disumanita' della Shoah, affinche' questa non si ripeta. Se invece il ricordo deve diventare un pretesto per strumentalizzare, rivedere, analizzare o addirittura fare retorica ad uso della destra, sinistra, della politica in generale, allora sicuramente c'e' qualcosa che non va e occorre riportate tutto nella giusta direzione". C'e' quindi un rischio di banalizzazione della memoria? "Certo. E di questo sono molto preoccupata. Si sta distorcendo il senso originario di fare memoria - afferma - e alle volte si usa la Shoah con i suoi testimoni e modelli per rappresentare concetti politici che non hanno nulla a che vedere con la memoria ma andrebbero affrontati in modo diverso. Il problema e' anche culturale, lo sappiamo bene. Dobbiamo infatti insistere sulla cultura europea della consapevolezza, sull'educazione alla memoria. Perche', da qui a dire che abbiamo tutti maturato un processo di responsabilizzazione, introitamento e consapevolezza, ce ne corre. Quella cultura che davamo in qualche modo acquisita avendoci lavorato tanto, non e' invece cosi solida, come l'avevamo immaginata. Troppo spesso viene impoverita dall'ignoranza, nel senso del vero della parola".
E a proposito di scarsa cultura, c'e' un tema spesso mal posto ed e' quello del perdono. Molte volte ad un sopravvissuto, si chiede se e' disposto a perdonare... "Troppo spesso siamo sollecitati sul tema del perdono perche' ai piu' - spiega Dureghello - risulta difficile comprendere quello che nell'ebraismo e' un concetto fondamentale: quando vengono perpetrate delle offese, il perdono non puo' essere per delega. Io posso, nelle condizioni in cui e' possibile, operare un reciproco confronto e cercare di superare la situazione perche', e lo sottolineo, non c'e' nessun tipo di delega al perdono. Non puo' esserci. E anche questo e' un pregiudizio, perche' pensare o immaginare che il popolo ebraico debba vivere questo modello esattamente come altre culture e altre religioni, significa non riconoscere una connotazione tipica, una peculiarita' millenaria che e' quello che ci ha consentito di arrivare fino a dove siamo arrivati oggi e dove speriamo, saremo per altri millenni insieme all'umanita' intera. Culturalmente, questo concetto del perdono nell'ebraismo non c'e' e se esiste, e' frutto di un confronto fra due parti contrapposte che cercano di trovare una sintesi fra posizioni diverse. Il rapporto e il dialogo sono diretti, non puo' essere mai mediato. Noi non abbiamo assolutamente la delega per altri: sarebbe un abominio se io, per esempio, dicessi si' o no al posto di mio nonno. E' inconcepibile. Quasi fosse una colpa se non perdoniamo... Questa cosa ci mette in difficolta' perche' devo prendermi una responsabilita' per un mio parente non sopravvissuto. Non spetta a noi viventi perdonare".
Tempo fa, la presidente della comunita' ebraica di Roma ha indicato Israele come un modello nella gestione della pandemia e delle vaccinazioni: "Ho detto e ripeto che se dobbiamo guardare a modelli positivi, e Israele nel momento della pandemia e vaccinazione ha costituito un modello positivo, non vedo perche' non guardare a questo Stato e comprendere quell'esempio. A volte, anche nelle cose positive c'e' presunzione. Anche questo e' un pregiudizio. Mentre invece Israele, grazie anche a innovazione e tecnologia, ha affrontato la pandemia e puo' essere un valido strumento di confronto e miglioramento. Non vorrei ci fossero dietro le solite teorie complottiste e negazioniste che spesso si palesano. Anche questo e' uno spunto per riflettere sul tema dell'antisemitismo". (AGI)
Alberto PentoHa ragione solo in parte.
Io veneto, europeo, bianco ed ex cristiano, e sovranista come lo sono gli ebrei di Israele, non ho alcuna colpa di quanto capitato loro nel passato e non ho da farmi perdonare nulla da loro.
Io da cristiano e critico verso gli ebrei e Israele sono divenuto aidolo e fraternamente amico degli ebrei e di Israele che considero uno dei popoli e uno dei paesi più umani e civili della terra e che difendo contro tutti e tutto come difendo il mio diritto umano, civile e politico sovranista di veneto, italiano ed europeo.
La Dureghello che condanna la strumentalizazzione politico ideologica della Shoah, da ogni parte essa provenga, sembra non accorgersi di fare altrettanto a danno della destra poiché lei è di sinistra, confondendo il suprematismo razzista minoritario con il sovranismo che demonizza altrettanto pregiudizialmente e demenzialmente di quanto fanno i suprematisti di ogni colore della pelle, di ogni ideologia politica e religiosa con gli altro religiosi (specialmente se ebrei e cristiani) con i bianchi e con i neri.Il suprematismo non va confuso con il sovranismo.Tutti i suprematisti (di ogni colore, razza, etnia e ideologia politico religiosa) sono demenziali e non vanno confusi con gli uomini di buona volontà di tutta la terra che nella loro casa, nella loro terra, nel loro paese difendono i loro sacrosanti diritti umani, civili e politici, la loro vita, i loro beni, la loro dignità, la loro libertà e sovranità
L'analisi della realtà e la attribuzione delle colpe e delle responsabilità del male esistente, proprie di questi demenziali suprematisti è condizionata da abissale ignoranza e da pregiudizialità insensate e immotivate che ricalcano il modello preistorico del capro espiatorio scelto sulla base di tradizioni come quella antisemita che il buon senso e la storia hanno ampiamente dimostrato non avere alcun fondamento.
Io nel mio passato e nel passato della mia gente, lungo almeno 2000 anni, non trovo alcun episodio in cui gli ebrei ci abbiano fatto del male, anzi trovo solo comportamenti umani e civili.
Cosa che invece non trovo nei cristiani poco cristiani e in particolare nei maomettani osservanti e negli utopisti di matrice socialista come i fascisti, i nazisti e i comunisti.
Suprematismo, identitarismo/civilizzazionismo e sovranismohttp://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 205&t=2832La missione democratica del sovranismo in Italia e in EuropaDaniele Scalea
https://www.centromachiavelli.com/2021/ ... ia-europa/ “Sovranista non è colui che si rifiuta di cedere sovranità, ma di cederla a organismi non controllabili democraticamente“. Sono parole di Marcello Pera, già presidente del Senato, in occasione d’un recente dibattito promosso dal Centro Studi Machiavelli.
Il Prof. Pera ricordava come l’UE, elitaria e burocratica, non possa considerarsi gestita in maniera democratica. Ne è esempio recente il caso dello scontro con Polonia e Ungheria sullo Stato di diritto: l’introduzione surrettizia, tramite reinterpretazioni ad hoc, di norme atte a imporre a Polacchi e Ungheresi valori estranei alle loro tradizioni e non graditi. Ma, ricordava Pera, anche il paradosso verificatosi a partire da luglio 2019, allorché quello stesso PD sconfitto in Italia alle elezioni si trovò a dettarci le regole stando in maggioranza all’Europarlamento (paradosso risoltosi rapidamente solo grazie al cambio d’alleanze del M5S che ha riportato il PD al potere anche in Italia).
Le considerazioni di Marcello Pera ci richiamano a quell’intima connessione che lega sovranismo e democrazia. Una connessione negata dai suoi detrattori, che riconducono falsamente il sovranismo a fascismo e nazismo, ma talvolta non messa sufficientemente in risalto nemmeno da commentatori neutrali o persino favorevoli al sovranismo, che maggiormente fanno riferimento a concetti come “Stato nazionale” e “sovranità nazionale” per spiegarlo. Concetti positivi con cui v’è senz’altro attinenza, ma che fanno apparire il sovranismo come un qualcosa di desueto e nostalgico.
Il sovranismo risponde invece a una grande emergenza della nostra epoca: il progressivo declinare della democrazia, in particolare quella di matrice liberale e rappresentativa. Un declino che va di pari passo, non a caso, con quello della cultura occidentale che ne è stata madre e nutrice. Diverse sono le cause e i segnali di ciò:
l’esautorazione del Parlamento dalla sua funzione legislativa. Sempre più norme (vincolanti o soft law) sono introdotte nell’ordinamento d’uno Stato come quello italiano sotto forma di direttive dell’Unione Europea, di risoluzioni dell’ONU o del Consiglio d’Europa, di trattati e dichiarazioni internazionali. A ciò s’aggiungono certe correnti “progressiste” della magistratura, che teorizzano e pongono in atto l’idea che il suo potere di “interpretazione” si traduca in uno di legiferazione de facto: ne sono esempi gli assertori americani della living constitution o gli abusi nostrani della “interpretazione costituzionalmente conforme”;
il venir meno dell’unità di fondo, valoriale, all’interno delle società occidentali. La logica dell’alternanza, propria delle nostre democrazie, riesce a funzionare laddove ci sia una reciproca accettazione e legittimazione tra le parti; il che, a sua volta, avviene laddove la totalità o stragrande maggioranza dei cittadini sia accomunata almeno nella visione dei fondamentali. Solo così la parte minoritaria non si sente minacciata nei suoi diritti irrinunciabili da quella maggioritaria. La nuova svolta ideologica della Sinistra, che oltre al laicismo anti-cristiano ha abbracciato un neo-comunismo non più operaista ma ancor più rivoluzionario, la allontana dalle tradizioni della civiltà occidentale, che ormai essa ripudia apertamente. Ecco perché Destra e Sinistra si scambiano accuse di “illegittimità” ogni qual volta l’altra assurga al potere. Quadro ulteriormente complicato dall’immigrazione di massa: una società multiculturale, in cui convivono enclavi con usi, costumi e tradizioni agli antipodi, è ancor meno in grado di trovare una condivisione sui diritti fondamentali e le regole inviolabili.
le tendenze monopoliste e “l’economicidio” della classe media. Emergono potentati economici sempre più concentrati, spesso più ricchi di intere nazioni, che in nome della “corporate responsibility” abbracciano agende progressiste e intervengono con pesanti ingerenze nella vita politica, censurando o boicottando le voci non allineate. Tali giganti multinazionali, che godono di privilegi fiscali da aristocrazia d’Ancien Regime, sono assieme alle frontiere aperte i principali responsabili dell’annichilimento del ceto medio, da sempre spina dorsale del repubblicanesimo democratico.
A fronte di queste pericolose tendenze esiziali per l’ordine democratico – tendenze, tutte, favorite e vezzeggiate da coloro che più amano definirsi (indegnamente) “i democratici” – tocca ai sovranisti difenderlo. Il sovranismo deve riconsegnare nelle mani dei cittadini l’esclusività del potere legislativo (cosa non incompatibile, si badi, con una necessaria riforma presidenzialista in Italia, che sanerebbe l’attuale esautorazione de facto del Parlamento a opera di esecutivi non votati direttamente dal popolo). In tema d’Europa, non si tratta di perdersi nella diatriba europeismo-euroscetticismo, poiché tra l’Italexit e gli Stati Uniti d’Europa vi sono molte soluzioni intermedie: la battaglia sovranista è, in primis, che ogni istituzione europea sia trasparente e controllabile democraticamente. Il che richiederà un dibattito, aperto e coraggioso, su come riempire il deficit democratico dell’UE con nuovi o riformati ordinamenti e istituzioni.