Andropołoghi, creminołoghi, arkiteti e singani

Andropołoghi, creminołoghi, arkiteti e singani

Messaggioda Berto » sab apr 25, 2015 6:16 pm

Andropołoghi, creminołoghi, arkiteti e singani
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Perché non è corretto chiamare i rom “zingari” ???
http://dailystorm.it/2015/04/14/perche- ... mpi-nomadi

14 apr 2015 - di Martina Sciamplicotti


Il blocco di Salvini su Facebook ha fatto discutere molto su questo termine. Che, sebbene faccia parte del lessico comune, getta gruppi diversi in un unico calderone. Ed è usato come un sinonimo (sbagliato) di nomadi. Così un errore linguistico si è trasformato nel tempo in un’espressione dispregiativa. Oggi più in auge che mai

Pochi giorni fa Matteo Salvini è stato bloccato da Facebook per aver utilizzato la parola “zingaro”. In realtà pare che la vera motivazione non fosse questa, ma ciò non ha impedito la nascita immediata di un dibattito sul termine. Il leader della Lega si è giustificato asserendo che è stata di uso comune fino a pochi anni fa. È certamente vero, ma da allora molte cose sono cambiate. Oggi in molti si chiedono se sia legittimo usarlo o se invece si faccia portatore di significati potenzialmente offensivi o devianti. Sappiamo infatti, e lo sanno bene i linguisti e gli antropologi, che le parole sono estremamente mutevoli e dinamiche nel tempo. E che saperle usare bene è importante perché possono avere delle ripercussioni nella vita sociale.

Come spiega l’antropologo Leonardo Piasere, il termine è entrato in uso a partire dalla fine del Medioevo per circoscrivere tutti coloro che avessero rivelato comportamenti critici nei confronti dell’idea classica di Stato. Critici perché i popoli rom, da sempre, hanno vissuto al limite: geografico, dato che in passato queste persone tendevano a porsi proprio lungo i confini nazionali per sfuggire alle persecuzioni di cui sono state oggetto per secoli; sociale, per la separazione tra loro e noi, i gagé; legale, come mostra il vuoto legislativo che c’è sempre stato attorno ai rom e che qui in Italia ha spesso autorizzato pratiche lesive dei diritti garantiti anche dall’articolo 16 della nostra Costituzione. Quello, per intenderci, che salvaguarda la libertà di circolazione e soggiorno.

Quanti sono gli “zingari”?

Oggi più che mai il termine “zingaro” presenta molti limiti. Quando lo utilizziamo gettiamo di fatto etnie diverse in un unico calderone, arrivate in Europa in momenti distinti e, in ultima analisi, con bisogni e aspettative differenti. Esistono tantissimi gruppi e sottogruppi rom, chiamati genericamente così in quanto parlanti romaní. Vale la pena a questo punto tentare di fare un po’ di chiarezza, almeno per quanto riguarda l’Italia.

I primi ad arrivare furono i rom di origine indiana, nel XV secolo. Hanno acquisito da tempo la cittadinanza italiana, sono inseriti nella società e vivono soprattutto nel centro-sud. Nel XIX secolo giunsero altri rom da piccole regioni dei Balcani, e anch’essi hanno oggi la cittadinanza. Praticano soprattutto la lavorazione dei metalli e il nomadismo a lungo raggio, per potersi ricongiungere ai parenti sparsi in tutta Europa. Rifiutano la sedentarietà, sono di numero molto esiguo ma si distribuiscono lungo tutto lo stivale. Nel XX secolo fu invece la volta dei róma, che fino a qualche anno fa affrontavano frequenti spostamenti per seguire l’attività di compravendita di equini per mezzo delle fiere. Oggi continuano a vendere cavalli ma si sono trasformati in sedentari. Questo perché hanno bisogno di accumulare il cosiddetto capitale gaǧikáno per lavorare, ovvero i rapporti che si stabiliscono nel tempo con i medesimi fornitori e clienti. La maggior parte di essi è in possesso della cittadinanza italiana e si trovano nella parte centro-settentrionale del Paese. Gli ultimi furono i romá, giunti qui a partire dal 1960 principalmente dall’ex Jugoslavia: per questo motivo la maggior parte di loro è apolide e il loro approvvigionamento proviene soprattutto dalla mendicità. Proprio questi ultimi sono i più discriminati, sia dalle popolazioni autoctone che dagli altri gruppi rom, e ad oggi sono distribuiti in tutta l’Italia.

Altre persone definite col termine “zingari” sono i sinti, di origine italiana e residenti perlopiù al centro-nord. Praticavano il nomadismo perché di mestiere facevano principalmente i giostrai e i circensi. Infine ci sono anche i camminanti, italiani di origine siciliana. La faccenda tuttavia è ben più complessa, dal momento che esistono anche altri gruppi e sottogruppi.

Da errore linguistico a discriminazione

Usare il termine “zingaro” non è sbagliato tanto per una questione di essere o meno politically correct. Loro stessi non amano essere definiti così, dal momento che questa parola non descrive affatto le loro identità e tantomeno le loro differenze interne. Abbiamo visto come il termine sia nato nel Medioevo per definire i primi nomadi in Europa, provenienti principalmente dall’India. Con il tempo, man mano che arrivavano altri gruppi, l’uso della parola “zingaro” si è allargata a tutti divenendo in pratica un sinonimo di nomade. Ma se prima si faceva portatrice di un significato fuorviante, successivamente ne ha assunto uno discriminatorio. Due diverse accezioni che sono ben spiegate nel dizionario Treccani:

1. Appartenente al gruppo etnico degli Zingari, che, dalla propria sede originaria nell’India nord-occidentale, si diffuse tra il X e il XVI sec. in Europa e nell’Africa settentrionale, conservando le tradizioni di vita nomade in carri e accampamenti, e di attività non fisse come il commercio di cavalli, la lavorazione e riparazione di oggetti di rame, la musica ambulante, la chiromanzia e l’accattonaggio.

2. Con riferimento alla loro vita nomade, senza dimora né casa fissa e in condizioni di scarsa igiene, o al modo di vestire e di curare la persona considerato trascurato e sporco, si usa spesso come termine di confronto o di identificazione in espressioni fig., di tono spreg. o polemico, come fare una vita da zingaro, vivere come zingari, essere soggetti a continui trasferimenti o cambiamenti di sede, oppure a vivere in alloggi provvisori e inadatti; va in giro vestito come uno z., sembra uno z., vestito male, trascurato nella persona, sporco o trasandato.

Come possiamo vedere, dalla prima definizione si evince che sono un preciso gruppo etnico giunto in Europa secoli fa. Grave è ciò che emerge dalla seconda definizione, più recente e formatasi con il tempo. Una vera e propria etichetta che associa la pratica nomade ad una condizione di “sporco”, con una evidente connotazione dispregiativa.

Le conseguenze

In molti hanno minimizzato la scelta linguistica di Salvini, giustificandola con il fatto che è una parola di uso comune anche tra i non razzisti. E in effetti è proprio così. Tuttavia, utilizzare erroneamente certi termini può portare a delle conseguenze concrete. L’uso della stessa parola per definire più gruppi può essere offensivo verso i suoi appartenenti e far sì che nell’immaginario comune non esistano distinzioni, «tanto sempre di criminali si tratta». Prendiamo ad esempio il sistema terminologico dei róma. Questi ultimi hanno una parola per designare il luogo in cui vivono, maro mìsto (“nostro posto”), e distinguono tra i gìftaria, i sinti, e i raháne, coloro che si autodeterminano romá. Noi invece tendiamo ad etichettarli sotto lo stesso nome, utilizzando indistintamente “zingaro”, “nomade” e “rom”, senza spingerci oltre nell’analisi.

Pensare che tutti siano zingari porta a credere che sia giusto tenerli nel medesimo campo rom. Ma per alcuni l’aspirazione massima è avere una base minima per i loro spostamenti (con bagni e docce, ad esempio) che gli permetta di vivere il loro essere nomadi. Per altri il sogno da realizzare è la possibilità di rimanere in un campo attrezzato o avere una casa che rispetti il loro essere sedentari. Il problema è che molti sono stati costretti dall’esistenza dei campi a una sedentarietà che non vogliono, e ad altri l’esistenza dei campi preclude l’inserimento nella società auspicato. Senza contare che chi vorrebbe essere sedentario è costretto a spostarsi spesso a causa degli sgomberi periodici. E che tra sedentarietà e nomadismo ci sono delle sfumature, come ad esempio chi si sposta solo per un periodo.

Perché “non si vogliono integrare”?

In passato, perlomeno, il termine “zingaro” aveva un’accezione misteriosa: si pensava a chi leggeva la mano, a chi toglieva il malocchio, a chi conosceva il mondo esoterico. Oggi anche quest’ultima nota di fascino, per quanto criticabile anch’essa, è andata perduta. Rimane una parola vuota che non rispetta l’autodeterminazione e la scelta (con conseguente sforzo) di essere e restare rom, sinto, camminante, sentendosi al tempo stesso italiano. A questo proposito si dice spesso che i rom non si vogliano integrare nella nostra società: in parte è vero, se per “integrazione” intendiamo l’annullamento di qualsiasi specificità culturale. Anche se la maggior parte di loro è perfettamente inserita nella società (solo lo 0,4% vive nei campi), i rom tendono ad autodeterminarsi in base al principio di identità flessibile, in opposizione a quello di identità fissa. Se quest’ultimo è dato dall’appartenenza a uno Stato che ci definisce in quanto italiani, nel loro caso si concepisce un “noi” sia in opposizione che in rapporto ai gagé, cercando il più possibile di conservare le loro pratiche culturali.

Nella nostra testa di italiani e occidentali, come afferma Piasere, c’è un’ansia costante di etichettare qualunque cosa. Collochiamo ogni aspetto della nostra vita (e di quella altrui) entro definizioni binarie e opposte tra loro: bianco o nero, buono o cattivo, zingaro o italiano. Per giunta ignorando, in quest’ultimo caso, che molti di loro sono italiani come noi. Spesso nel definire le persone ci facciamo aiutare dalla loro appartenenza territoriale, un’abitudine che Salvini conosce bene e sa sfruttare magistralmente. Ma mantenendo questo approccio, linguistico e non, ci risulterà sempre difficile cercare di capire (e di definire) un popolo come quello rom, che è così diversificato al suo interno e rigetta ogni etichetta.


Comenti:

Mi dispiace ma questo articolo è pieno di falsità:
El rasixmo dei singani - etnorasixmo
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Martina Sciamplicotti
Ciao, quali sarebbero le falsità?


Alberto Pento

La prima falsità è quella sul termine zingaro o singano nella mia lingua veneta che sta a indicare quelle genti nomadi o girovaghe con carri, carrozze, cavalli, asini, tende , roulottes, camper, automobili varie che da secoli passavano e si fermavano nelle nostre terre come ancora oggi passano e sifermano.
Il termine in sè non ha alcuna connotazione etno-razzista e indica questi specifici nomadi o girovaghi.
Altri girovaghi stagionali o meno come gli ambulanti, gli spazzacamini, gli attori, i giocolieri, i calderai o ramai, ecc., mercatanti, non appartengono a questa specifica categoria dei singani.

Che queste genti girovaghe o nomadi o senza fissa dimora siano di etnia rom o sinta o altro non ha alcuna importanza, il termine indica soltanto i nomadi o girovaghi a prescindere da l'etnia.
Quello che è importante è il come questa gente girovaga, detta zingara, si comporta e mi pare che questi girovaghi, compresi anche tanti giostrai, non si siano e no si comportino affatto bene ... .

La seconda è quella sull'atteggiamento che le nostre genti europee, i veri abitanti indigenti, hanno nei confronti di questi girovaghi detti zingari che non è affatto razzista, etnicamente discriminatorio e persecutorio nei loro confronti per il fatto che fossero e che siano stranieri o foresti e nomadi ... no no, l'avversione verso questa gente è nata o si è formata nel corso dei secoli perché questa gente da sempre si è comportata malissimo, rubando, rapinando, sequestrando, imbrogliando, truffando, assasinando ... e non si tratta come per gli ebrei di pregiudizi e odio religioso, ma di esperienza quotidiana che la nostra gente, da generazioni ha fatto nel corso della sua esistenza.

Non esistono motivi di natura politica, ideologica, religiosa, antropologica culturale ed etnica alla base dell'avversione che i più hanno verso costoro chiamati zingari o singani.

Quelli che nel corso dei secoli si sono sedentarizzati, integrati e che si guadagnano il pane con l'onesto lavoro non sono fatti oggetto di avversione, primo perché non sono più zingari in quanto non sono più girovaghi o nomadi e secondo perché guadagnandosi il pane con il sudore della fronte di un onesto lavoro non suscitano negli altri alcun timore.
I sinti e i rom che vivono come tutti gli altri lavorando onestamente (e non in nero o per finta) non sono oggetto di alcuna forma di discriminazione e di persecuzione.

Tutto il suo ragionamento è una costruzione falsa che altera i termini della realtà e delle cose trasformando dei carnefici in vittime e le vittime in carnefici.

L'odio verso gli "zingari o girovaghi o nomadi" (a prescindere da l'etnia) se lo sono guadagnato nei secoli come compenso naturale per i loro misfatti, colpa e responsabilità esclusivamente loro.

Chi vuole vivere nelle roulottes o nei camper e girare lo può fare come tutti osservando le leggi sul codice stradale, sostando nelle aree apposite e pagandosi i servizi come fanno tutti i nomadi camperisti e roulettisti e nel massimo rispetto dell'igiene pubblica.

Martina Sciamplicotti · Università degli Studi di Roma Tor Vergata
Per quanto riguarda il termine zingaro io ho riportato le definizioni della Treccani.
Prima di iniziare qualsiasi discorso mi può dire se quello che sostiene è supportato da fonti? Oppure sono le sue opinioni personali?
Rispondi · Mi piace · 23 aprile alle ore 13.23


Alberto Pento
Se per lei la Treccani è una fonte allora anch'io ho più di una fonte come la Treccani, ma ne ho anche di migliori tra cui l'esperienza personale che non è un'opinione ma una fonte di primaria importanza. Per me un professore universitario, un accademico è soltanto una pseudo fonte secondaria e non costituisce di per sè un'autorità, quello che vale sono i dati verificabili e le argomentazioni sensate, coerenti, non dogmatiche e non ideologiche e soltanto in tal caso i professori accademici acquistano autorità. La parola zingaro non è un prodotto o un'invenzione dei dotti (come le convenzioni gergali delle lingue tecniche o specialistiche) ma una voce prodotta dalla storia è ha tutto il suo valore più che scientifico. Il problema non è la parola zingaro ma i comportamenti degli uomini e di coloro che comunemente sono chiamati, no... Altro...
Rispondi · Mi piace · Non seguire più il post · Modificato · 23 aprile alle ore 14.41

Martina Sciamplicotti · Università degli Studi di Roma Tor Vergata
Se legge l'articolo si tratta di una riflessione che dice qualcosa in più, non è semplicemente una questione di termini. Per il resto, la Treccani non è la mia fonte ma solo un supporto. Le mie fonti principali sono Leonardo Piasere e Francesco Careri. Il primo è un docente italiano di antropologia ed è uno dei maggiori esperti sulle popolazioni rom in Italia. Li ha studiati e ci ha vissuto insieme per più di vent'anni. Ha vissuto nei campi rom. Careri invece ha realizzato un progetto con Stalker insieme all'Osservatorio nomadi e altri progetti molto interessanti, tra i quali una camminata tra i campi romani sulle sponde del Tevere con la quale ha conosciuto e fatto amicizia con molti di loro. Ha studiato e si è occupato del campo di Testaccio, sempre a Roma: insomma anche lui, da architetto, ci ha passato molto tempo. La invito a leggere questi testi. Capisco l'esperienza personale che può essere più o meno negativa ma nella sua vita quanti avrà potuto incontrarne? A meno che non decida di studiarli, di dedicarci del tempo, di dedicarci la vita così come hanno fatto Piasere o la Sidoti, o Careri o tanti altri lei avrà sempre una visione molto parziale della faccenda. Segnalo inoltre il fatto che Piasere nei suoi libri porta dati affidabili e verificabili, tra i quali quelli forniti dal sito del Consiglio d'Europa. Non parta prevenuto. Se è interessato le indico i titoli.



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Chi sono gli Zingari? - Intervista a Leonardo Piasere

http://www.albertomelis.it/fondazione%20piasere.htm

Il prof. Leonardo Piasere, antropologo, è uno dei maggiori conoscitori della vita zingara in Italia. Una conoscenza che non si è evoluta a tavolino ma che è iniziata all'interno dei Campi, dove, allora giovane studente, visse con gli Zingari la loro stessa vita e conobbe di prima mano usi, costumi e tradizioni spesso vietate agli occhi degli estranei.
Questa intervista, rilasciata a Dafne Turillazzi per la trasmissione radiofonica Ethnos, trasmessa da Radio Sardegna, è stata da egli stesso rivista e adattata per la pubblicazione in La terza metà del cielo.

Prof. Piasere, direi di iniziare questo breve viaggio tra i popoli nomadi illustrando innanzi tutto che cosa comprende, comunemente, il termine "Zingari", ossia quante comunità esistono e, per quanto riguarda l'Italia, dove esse sono dislocate...

Questa è la classica domanda a cui è molto difficile rispondere, perché il termine "zingaro" è un termine che viene dato dall'esterno ad un insieme di popolazioni e, dal momento che le popolazioni così denominate normalmente non accettano questo termine, il suo uso è questione di convenzione. Un po' come usare il termine "crucchi" per le popolazioni del Nord Europa. Chi sono i "crucchi"? Sono un 'insieme di popolazioni che noi definiamo così. Ma dal momento che il termine ha una connotazione negativa, gli interessati, di norma, non vogliono essere definiti in questo modo.
Molto in generale, si può dire che quelli che noi chiamiamo Zingari comprendono un insieme di popolazioni parlanti lingue di origine neo-indiana e un insieme di popolazioni non parlanti lingue di origine neo-indiana. Questi due grandi insiemi condividono caratteristiche di vita particolari. Caratteristiche segnate per esempio dal nomadismo, in certe regioni d'Europa, e da altri tratti culturali in altre regioni. Perché una caratteristica da sottolineare, in quelli che noi chiamiamo Zingari, è che essi sono per la stragrande maggioranza sedentari e non nomadi.

Quindi avrebbero abbandonato la caratteristica fondamentale dello spostamento?

E' difficile dire se abbiano abbandonato o se abbiano sempre praticato il nomadismo. Sta di fatto che oggi non sono nomadi, ed è molto difficile dire se un tempo lo siano stati.

Tornando alla domanda iniziale, brevemente, possiamo schematizzare a grandi linee quali sono queste comunità? Noi conosciamo maggiormente i Rom, perché li conosciamo direttamente. Poi immagino che ve ne siano molte altre...

Sì. Le comunità Rom, tra quelle che noi chiamiamo zingare, sono senz'altro le comunità più numerose in tutta Europa. Sono concentrate soprattutto nell'Est Europa, oltre la linea immaginaria che va da Roma a Helsinki. Nella parte occidentale d'Europa abbiamo comunità che si definiscono altrimenti, come ad esempio i Sinti, i Manus, i Kalé della Spagna o del Galles (questi ultimi in via di estinzione). All'interno dell'Europa occidentale ci sono anche popolazioni che non parlano lingue neo-indiane, come ad esempio i Voyageurs francesi, gli Jenis tedeschi, i Minceir irlandesi, i Tattaren della penisola scandinava, che pure sono considerati "Zingari" dalle popolazioni locali. Nella letteratura specializzata degli ultimi anni è invalso l'uso di denominare "Zingari" solo le popolazioni che si ritengono originarie dell'India e "Viaggianti"solo quelle di origine autoctona. Ma una netta divisione è spesso impossibile da stabilire.

Per quanto riguarda la religione, qual è quella più sviluppata tra i Nomadi?

La caratteristica principale degli Zingari è che normalmente adottano la religione delle popolazioni non zingare fra cui vivono. Per cui nei Paesi musulmani, come in certe regioni dei Balcani, essi sono musulmani (gli Zingari della Bosnia, della Macedonia e del Kosovo) e restano in sintonia con le religioni dominanti in quei territori. Nel Nord Europa sono protestanti, in Serbia sono ortodossi, in Italia, i Spagna e in Francia sono cattolici e così via. Da segnalare che negli ultimi anni ha preso piede la Chiesa Evangelica, che sta facendo adepti zingari un po' ovunque in Europa.

Una suddivisione importante tra le varie comunità di Nomadi credo sia, oltre quella religiosa, anche quella basata sulla ricchezza, cioè sulle risorse economiche degli Zingari. Possiamo spiegare quali comunità sono più o meno ricche? Il perché e quali valori comprendono la povertà o la ricchezza delle comunità? Quelle più ricche si avvicinano maggiormente ai nostri valori di vita oppure mantengono intatte le loro caratteristiche, anche se in condizioni economiche diverse?

Non credo che si possa stabilire un confronto in questo senso. E le spiego
subito il perché. Da noi la ricchezza e il benessere sono collegati all'appartenenza ad una classe sociale. Fra gli Zingari non esistono le classi sociali come noi le intendiamo. Le uniche distinzioni all'interno delle comunità sono quelle tra i sessi, tra maschi e femmine, e un po' meno quelle relative alle diverse età. Vi possono essere comunque degli Zingari più ricchi o più poveri, ma la ricchezza o la povertà sono sempre congiunturali, causate dal momento, perché i modelli di distribuzione delle risorse all'interno delle comunità seguono canali egualitari. Per cui quando vi è accumulazione di ricchezza all'interno di una famiglia il tentativo non è quello di consumare quanto accumulato al suo interno, ma di distribuirlo. Per cui lo Zingaro oggi ricchissimo, all'indomani può essere veramente povero e vi assicuro che spesso succede veramente così...

Noi ad esempio, qua a Cagliari, abbiamo visto poco tempo fa l'arrivo dei Lovara, molto ricchi rispetto agli Zingari che siamo abituati a vedere nelle nostre periferie, cioè i Rom...

Che ci siano dei gruppi che attuino delle strategie verso l'esterno più efficienti dal punto di vista del guadagno personale è senz'altro vero. D'altra parte i confronti tra Zingari ricchi e Zingari poveri intersecano parzialmente i confini dei gruppi. E vero quindi che i Lovara, a partire dagli ultimi venti, trent'anni, sono riusciti ad arricchirsi, anche se il discorso forse non vale per tutte le famiglie. Ciò è successo perché ad un certo punto sono riusciti a praticare strategie economiche vincenti.

Sono cambiati i loro valori di vita, in rapporto a questa maggiore ricchezza?

Dipende dalle comunità. In certe comunità sì, in altre no. E' difficile generalizzare da questo punto di vista. Comunque, normalmente, diciamo a livello statistico, quello che conta è la singola comunità. Ma soprattutto ciò che conta è che all'interno delle comunità non si creino disuguaglianze, perché la tensione principale è quella di mantenere un'uguaglianza che non permetta la formazione di capi veri e propri.

Comunque, all'interno delle comunità, i capì ci sono?

Non ci sono capi all'interno della comunità. Ci sono certo dei leaders che possono essere considerati più prestigiosi degli altri, ma il loro prestigio dipende dalle proprie singole capacità. Non sono investiti di potere da parte della comunità, questo no, assolutamente...

In questo discorso che ruolo ha l'anziano? E' considerato di più rispetto ai giovani?

Sì, l'anzianità normalmente ha più prestigio. Ma l'anziano che fa degli errori perde il proprio prestigio. Voglio dire che dipende sempre dai comportamenti reali.
Nella famiglia nucleare, che è sempre spinta all'autonomia, il prestigio viene conquistato dal capofamiglia per quello che realmente fa in realtà e non tanto perché riesce ad imporre la propria volontà su altre persone.

Mi sembra di capire che in questa sua situazione in pratica acquista più autonomia e potere decisionale. Da questo punto di vista le donne hanno possibilità di emancipazione all'interno della famiglia? Di potere decisionale?

Bisogna vedere come s'intende il termine "emancipazione". C'è il rischio di voler trapiantare i nostri valori, i nostri concetti, in situazioni un diverse. Che all'interno delle comunità zingare vi sia una divisione tra i gruppi maschile e femminile, è certo. Più o meno tutti i gruppi zingari presentano questa grande dicotomia. Che i maschi adulti abbiano da questo punto di vista più potere delle donne, è anche questo sicuro. All'interno della famiglia il ruolo della donna è però fondamentale, importante dal punto di vista della conduzione familiare. In tanti gruppi sono di fatto le donne di famiglia, le mogli, che danno le direttive di azione, anche se ufficialmente, per l'esterno, è sempre il maschio che fa la figura del capofamiglia. Molto spesso vi sono delle forti personalità, senza che questo porti a quel fantomatico matriarcato degli Zingari che qualcuno ha voluto vedere.

Che rapporti hanno i Nomadi con la città? I nomadi accampati nelle periferie? Rispetto anche ai valori che si possono assimilare dalla città?

Normalmente, per gli Zingari, i non zingari circostanti costituiscono grosso modo l'ambiente su cui operare. Il fenomeno dell'urbanizzazione degli Zingari, intensificatosi in molti Paesi dell'Europa occidentale egli ultimi quaranta, cinquant'anni, ha seguito grosso modo il fenomeno dell'urbanizzazione della popolazione non zingara. Quindi, da questo punto di vista, non possiamo dire che il rapporto tra Zingari e non zingari sia cambiato. E' cambiato soltanto semmai, in rapporto alle condizioni di vita sia degli uni che degli altri: tutti si sono inurbati con un'azione intensiva.
Ci sono dei casi di Zingari e famiglie zingare che si sono inurbate e vivono in modo tranquillo, e ci sono casi di famiglie e di comunità di Zingari che si sono inurbati in modo non tranquillo, ad esempio nelle periferie desolate delle nostre città, così come è avvenuto per i non zingari.

Lei ha vissuto per alcuni anni all'interno di vari Campi nomadi. Ci vuole raccontare la sua esperienza? Come si è svolta? Ha incontrato problemi? E' stato accettato subito?

La mia esperienza si è sviluppata soprattutto presso due diversi gruppi, in un gruppo di Roma xoraxané e in un gruppo di Roma sloveni, cioè proveniente dalla Slovenia ma che vivono in Italia.
I due gruppi sono molto diversi dal punto di vista sociale e culturale. I Xoraxane sono un grande gruppo venuto in Italia dal Sud della Jugoslavia a partire dagli anni '60. Quando io sono entrato nella comunità alla fine degli anni '70, e sono andato a vivere con loro, erano da poco in Italia: quindi avevano problemi di tipo linguistico e giuridico. I Roma sloveni invece sono qui da una cinquantina di anni, sono già più o meno alla terza generazione di residenti in Italia e non avevano più questi problemi. I primi sono di religione musulmana, i secondi cattolica.
I primi attuano strategie economiche che da noi sono considerate illegali, soprattutto la mendicità infantile e femminile, i furtarelli etc., quindi hanno sempre problemi di contatti e di scontro con le istituzioni e le autorità. I secondi attuano invece strategie economiche già molto più accettate. Sono commercianti di ferro vecchio, di macchine usate, e un tempo facevano i commercianti di cavalli. Oggi alcuni sono ancora commercianti, ma di cavalli da corsa. Questi secondi rappresentano un esempio di adattamento senz'altro più riuscito o perlomeno più tranquillo. Il fatto che essi siano commercianti non significa però che riescano ad essere sempre in regola, perché per loro è sempre molto difficile ottenere le licenze di commercio, per cui si può dire che anche loro sono fuorilegge sotto molti punti di vista. Hanno comunque dei rapporti di tipo diverso con i non zingari circostanti.
Per parlare del mio ingresso in queste due comunità bisogna tenere presente una situazione più ampia. Le situazioni molto diverse delle due comunità hanno portato ad un inserimento di tipo completamente diverso. Sono stato molto ben accettato dai primi, che non avevano problemi di chiusura verso l'esterno e anzi ricercavano in, qualche modo degli "amici" fra i non zingari italiani. Per gli altri invece, che godevano di una certa floridezza economica e che tutto sommato si erano ben impiantati, e che quindi non avevano il problema di cercare "amici" all'esterno, il mio inserimento non è stato molto tranquillo.

Quali sono stati i problemi iniziali fra i Roma, considerato anche che lei stava lavorando?

Non è che ci siano stati veri problemi, che ti dicano: "no, non ti vogliamo " Perché questo non si dice chiaramente al non zingaro. Però nel momento che tu sei accampato fra loro si fa soltanto pesare la tua presenza, non ti si avvicina, ti si lascia solo. In questo modo, dopo alcune settimane di questa vita, uno è triste...

Lei si è adeguato completamente ai loro modi di vita, nel periodo in cui è vissuto con loro?

Sì. Ho tentato perlomeno...

Questo le ha causato dei problemi?

Certo, lo shock culturale c'è sempre per un ricercatore...

Non era quindi una ricerca a tavolino?

No, assolutamente. D'altra parte gli antropologi che fanno ricerca col metodo dell'osservazione partecipante conoscono bene il problema dello shock culturale del ricercatore: è lui che si deve adattare alla comunità. E non è sempre facile, ci vuole del tempo.

Qual è stata la realtà all'interno dei Campi che l'ha segnata maggiormente, come sua sensazione od emozione personale?

In tutte e due le comunità quello che ho vissuto di più, quello che in qualche modo si è incarnato in me, è il senso della solidarietà interna. Nonostante a volte tra le famiglie possano esservi dei litigi, discussioni di tutti i giorni, c'è un gran senso della solidarietà interna, un senso che noi non conosciamo assolutamente e che si manifesta in mille modi; per esempio tutti sono disposti ad aiutarti nel momento in cui tu hai bisogno. Ad esempio, nel momento in cui io sono stato accettato, ero di fatto mantenuto da loro, perché non avevo borse di studio, non avevo soldi, non avevo niente di mio. Io praticamente sono stato mantenuto da loro. Poi ho cominciato a fare il loro mestiere, che mi hanno insegnato. Poi ho cominciato a conoscere la loro rete di clienti, e così via.

A parte il valore della solidarietà, come sono vissuti valori come "amore" e "fedeltà", rispetto a come sono vissuti da noi?

L'amore tra marito e moglie, tra ragazzi e ragazze? Anche qui le manifestazioni esterne variano da comunità a comunità, da gruppo a gruppo. Comunque è un valore che è sentito moltissimo; certo, la visione della Zingara focosa, ben disponibile verso il non zingaro, è veramente una visione romantica. L'adulterio femminile, anche se la situazione varia da comunità a comunità, resta un caso fuori dalla norma. La fedeltà ha un valore molto sentito soprattutto da parte delle donne; anche qui, come da noi, grosso modo l'ideologia che possiamo chiamare maschilista è certamente presente.

Che importanza hanno per i Nomadi la festa, la musica e la danza. Sono tutt'ora "vive" anche tra quelle comunità urbanizzate?

Direi che anche qui non si può generalizzare, perché non tutti gli Zingari sono abili suonatori, come vuole il cliché dello Zingaro normalmente riconosciuto in Italia. In Italia sono pochi i gruppi in cui, soprattutto gli uomini, fanno i suonatori di professione. Comunque la festa, il momento della festa, è sentito da tutti. Perché la festa è la manifestazione verso l'esterno della coesione interna ed è il momento di massima apertura di una comunità. Nelle feste degli Zingari i non zingari sono sempre ben accolti.

Le feste di solito cosa celebrano?


Dunque, dipende come sempre da comunità a comunità...

Si festeggiano, per esempio, i compleanni? Al di là delle feste religiose?

No, solitamente. Anche se alcuni gruppi hanno cominciato a farlo da un decennio. Ma non sono molto importanti. Normalmente gli Zingari festeggiano, né più né meno, le occasioni rituali che assumono dalle popolazioni circostanti. Ad esempio certi Xoraxané che vengono dal Sud della Jugoslavia festeggiano il San Giorgio, la grande festa del Maggio. Il San Giorgio è una festa molto importante nei Balcani, perché San Giorgio è l'unico santo che è venerato dai cattolici, dagli ortodossi e dai musulmani. I Rom Kalderas presenti nel Nord, ma più o meno sparpagliati in tutta Italia, festeggiano la Slava, che è una festa familiare adottata dai Serbi ortodossi.
I Rom cattolici normalmente festeggiano come noi, né più né meno, il Natale e la Pasqua, dando più importanza (penso ancora ai Roma sloveni) al Capodanno, che per loro è più importante del Natale. Ossia festeggiano le nostre feste, ma ne reinterpretano la funzione.

Generalmente noi siamo abituati a considerare la magia dei Nomadi come frettolose e occasionali "letture" della mano. Invece vorrei sapere se, proprio all'interno del gruppo, si pratica o comunque si crede alla magia, al soprannaturale.


E' sempre difficile fare una distinzione netta tra credenze magiche e religiose. Quindi io rubricherei questa domanda in credenze magico-religiose. Tutti gli Zingari che io ho conosciuto sono ferventi credenti, il che non implica che siano credenti come noi vorremmo o come qualcuno di noi vorrebbe. Tutti credono in esseri o potenze soprannaturali, tutti, siano essi cattolici, musulmani o ortodossi. Presso molti gruppi vi è la credenza su quello che loro chiamano il "rispetto" per i morti. Per cui attuano comportamenti tesi a salvaguardare la memoria di un morto, e questo può comprendere il non pronunciare più il suo nome, il bruciare la carovana appena uno muore, il non mangiare più il piatto preferito del morto, ecc. L'insieme di queste credenze e pratiche caratterizza e distingue le singole comunità le une dalle altre.

Ho parlato con dei Nomadi che raccontavano della "lettura" del caffè...


Sì, questa è una pratica comune ai gruppi provenienti dal Sud della Jugoslavia. La "lettura" del caffè è comune anche fra i non zingari del Sud della Jugoslavia.

In conclusione vorrei che lei ci desse un giudizio sulle molteplici rappresentazioni degli Zingari nel cinema e nella letteratura. Secondo lei sono espressioni puramente folkloristiche, queste, che quindi mistificano un po' ciò che è la vera anima del popolo nomade, oppure possono essere considerati lavori attendibili e non banalmente oleografici?

Sinteticamente: potrei dire che il 99% della produzione artistica e letteraria ci mostra uno zingaro stilizzato, che non ha assolutamente niente a che fare con la realtà zingara. Vi sono però alcune opere in cui gli autori hanno cercato di rappresentare la realtà pur tenendo presente la vena artistica. Penso per esempio all'ultimo film di Kusturiza: la realtà che lui ha tentato di descrivere si avvicina molto alla realtà "vera".

Invece queste forme stilizzate, come lei ha detto prima, in che cosa consistono?


Consistono in un amalgama di stereotipi negativi e positivi di forma un po' ameboide, diciamo così, che si tramandano nella letteratura occidentale di generazione in generazione a partire dal '400. Ad esempio la Zingara che legge il futuro, quando non sono tante le comunità in cui le Zingare effettivamente leggono il futuro; lo Zingaro sporco e ladro, stereotipo negativo; oppure lo Zingaro amante della libertà e Figlio del Vento, quando è molto difficile dire che gli Zingari siano "figli del vento", liberi come il vento. Voglio dire che la libertà individuale all'interno della comunità certo c'è, ma, nella comunità, l'importante è la coesione interna: vi è sempre la ricerca dell'unanimità.

Sempre a questo proposito, volevo chiederle se la concezione di vita, la scansione del tempo ai ritmi della filosofia di vita, alla libertà che abbiamo appena nominato, si differenzia e in cosa dalla nostra? Abbiamo parlato di libertà, di una mitica libertà che forse, tutto stimato, non esiste?

La libertà non esiste? No. Per loro la libertà esiste nel momento in cui continua la distinzione tra Zingari e non zingari. Ciò significa che tutte le attività di una comunità sono tese al mantenimento della comunità stessa. La libertà è questa, il fare, come dicono loro, romané e non gagikané, da Zingari e non da non zingari. All'interno di questa filosofia c'entra naturalmente la visione del tempo, che è particolare. Un tempo che non è scandito da tappe precise come normalmente da, noi è scandito.

In che senso? A parte magari il fatto che noi possiamo tenere la nostra agenda, con i nostri appunti, con i nostri orari e appuntamenti, in che consiste questa differenza?

Consiste in questo: ogni persona vuole essere padrona del proprio tempo, di amministrare la propria giornata. Il che implica normalmente che cosa? Il rifiuto del lavoro salariato, ad esempio. Perché tutti gli Stati hanno avuto problemi nei loro tentativi di proletarizzare gli Zingari? Dal momento che il lavoro salariato impone un ritmo che "ruba" il tempo, gli Zingari non l'hanno mai accettato o l'accettano sporadicamente e soltanto temporaneamente. In Italia questo fenomeno è generalizzalo. Studi condotti nell'Europa dell'Est su Zingari proletarizzati a forza dalle autorità, dimostrano che questa tensione al mantenimento della padronanza del proprio tempo persiste. Le tattiche messe in pratica sono diverse, prima fra tutte quella dell'assenteismo, ossia quello che dai non zingari è considerato assenteismo.

Come considera, da un punto di vista culturale, i tentativi di alcune associazioni di solidarietà di trovare un posto di lavoro ai Nomadi?

Dipende. Se questi tentativi vengono fatti insieme agli interessati, va bene. Perché bisogna sempre partire da questo. Bisogna vedere poi se gli interessati chiedono un posto di lavoro per far piacere agli amici delle associazioni, oppure se ci credono veramente. Le convinzioni sul lavoro salariato, ma anche qui non bisogna generalizzare, variano. Perché so che tanti gruppi del Sud della Jugoslavia, abituati negli ultimi decenni ad avere un minimo di lavoro salariato, lo accettano abbastanza volentieri. Altri meno. Quello che io penso sia più consono per loro fare, o proporre, sarebbe di agevolare al massimo l'ottenimento delle licenze di commercio. Perché lo Zingaro, normalmente e prima di tutto, è un commerciante. Questo è lo Zingaro...

Per quanto riguarda il recupero della materia prima esistono dei problemi? Per esempio il costo del rame?

Sì e no, nel senso che se uno Zingaro decide veramente di fare il lavoro di sbalzare il rame, lo compra, lo cerca. Se lo vuole veramente fare. Ma il problema è che non bisogna esagerare l'importanza dell'artigianato. Io vedo tante associazioni che a volte, per difendere gli Zingari nei confronti dei non zingari, caricano l'importanza dell'artigianato all'interno delle comunità. Anche i gruppi che fanno artigianato privilegiano non tanto il lavoro dei metalli, ma lo smercio del proprio lavoro. Un valore diverso. Perché la tendenza è sempre quella di porsi come dei partners commerciali nei nostri confronti. Questa filosofia economica può anche sconfinare da un lato in attività illegali per noi, o, dall'altro, in attività che sono vissute come illegali da loro. Ad esempio il lavoro salariato. Perché per molti di loro vendere la propria forza lavoro è considerato alla stregua di essere derubati dagli altri, dai non zingari.

E' tutto relativo, quindi...

Ah, guardi, le assicuro che se si guarda il mondo dal punto di vista di una comunità zingara, ci si accorge che tutto è davvero relativo.
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Re: Andropołoghi, creminołoghi, arkiteti e singani

Messaggioda Berto » sab apr 25, 2015 6:29 pm

BREVE STORIA DEI RAPPORTI TRA ROM E GAGÈ IN EUROPA - Leonardo Piasere

http://www.romsintimemory.it/assets/fil ... Europa.pdf

Le prime due figure mostrano la situazione prendendo in considerazione i Rom, i Sinti, i Manush ecc., quali sono visti dall’esterno quando vengono
chiamati col termine razzista di “zingari”.

Me despiaxe par ti ma "singani" no lè on moto rasista.
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Re: Andropołoghi, creminołoghi, arkiteti e singani

Messaggioda Berto » sab apr 25, 2015 6:30 pm

Francesco Sidoti (...) è professore di sociologia e criminologo italiano

http://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Sidoti

Francesco Sidoti (...) è professore di sociologia e criminologo italiano, si è laureato nel 1970 presso l'Università di Catania.
Dopo la specializzazione a Roma nel 1971, presso la Fondazione Olivetti, e a Torino nel 1972, presso il Centro Studi di Scienza Politica, sotto la direzione di Norberto Bobbio, ha ricoperto diverse cariche: Direttore del Dottorato in Diritto penale e criminalità organizzata nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bari; Direttore del Dottorato in Criminologia nell'università Ludes di Lugano; Fellow, Center for Terrorism Studies and Security Research, Facoltà di Scienze Politiche, Università di Belgrado; Direttore Scientifico dell'Osservatorio provinciale sulla criminalità e sicurezza, Treviso 2008. È stato Guest Scholar presso The Brookings Institution a Washington D. C.
È fondatore del Corso di Laurea in Scienze dell'Investigazione presso l'Università degli Studi de L'Aquila ha pubblicato vari volumi in Italia, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania, Canada, Corea, Turchia. Ha commentato in varie riviste internazionali le vicende politiche italiane l'Italia.
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Re: Andropołoghi, creminołoghi, arkiteti e singani

Messaggioda Berto » sab apr 25, 2015 6:34 pm

Francesco Careri, Walkscapes. Camminare come pratica estetica.

Einaudi, 2006

http://www.giornaledifilosofia.net/publ ... .php?id=78

Francesco Careri è architetto ed insegna Arte civica (così ha preferito ribattezzare la public art) all'Università di Roma Tre. Ma non si tratta di un architetto qualsiasi: sarei tentato di dire che Careri non costruisce né progetta alcunché. Si può essere architetti senza costruire? È precisamente la sfida che Careri porta avanti, non da solo, ma con il collettivo Stalker/Osservatorio Nomade, che da diversi anni opera a Roma e non solo. Alcuni di voi conosceranno già sicuramente Stalker. Il gruppo comunque, è bene ricordarlo, nasce ispirandosi al movimento studentesco della Pantera e a quella pantera imprendibile, che terrorizzava la metropoli di Roma apparendo ora qui ora lì senza che si riuscisse a catturarla, continua in qualche modo ad ispirarsi Stalker. E qui veniamo all'argomento del libro, Walkscapes. Camminare come pratica estetica. Gli Stalker camminano, ma non si limitano a passeggiare per la città dei monumenti, delle piazze, dei grandi viali, dei parchi. La loro pratica è "estrema", è un tentativo di "mappare" la città dal di dentro, di scoprire com'è possibile vivere la città – in particolare le sue periferie – al di fuori degli spazi progettati dagli architetti, che troppo spesso sono diventati i simboli di un'invivibilità delle grandi metropoli. È possibile raggiungere Roma da Tivoli a piedi, passando per dei percorsi alternativi alla strada che inevitabilmente dovremmo percorrere in auto? Per gli Stalker è possibile, è questione di sperimentazione sul campo e di scoperta di spazi sconosciuti, che sono però, forse, gli spazi dell'autentico incontro nei quartieri ai margini delle grandi città.

In questo testo Careri vuole dar conto delle premesse storiche e concettuali di questo approccio alla conoscenza della città. L'autore parte dal racconto biblico di Caino e Abele. Caino è l'agricoltore, lo stanziale (il termine ebraico kanah significa "possedere" o "governare", ricorda Careri, e, aggiungo io, ha un essenziale riferimento alla manipolazione tecnica); Abele è il pastore, il nomade ancora in contatto con le cose quali esse si mostrano all'uomo (hebel vuol dire "fiato", "vapore"). Caino è, potremmo dire, il bravo ragazzo, ma le sue povere offerte sono sgradite a Dio in confronto ai ricchi sacrifici di animali di Abele. Di qui l'invidia, l'uccisione del fratello e, per Francesco Careri, l'originario dissidio tra "nomadi" e sedentari. Si sente in queste pagine l'eco di un debito verso Deleuze; tuttavia il libro conserva sempre un'impronta agile e fresca, senza lasciarsi irretire nel gioco della citazione colta.

Il nomadismo diventa perciò un'istanza di re-visione dello spazio urbano che non passi attraverso l'aggiunta di nuove costruzioni. Non si può parlare per questo di architettura in senso stretto per Stalker e l'ibridazione (di pratiche, di stili, proposte e ricerche teoriche) diventa la cifra della sua azione sul territorio. In questo senso Careri individua una precisa generalogia nella storia dell'arte nell'ultimo secolo. Il 14 aprile 1921 Dada organizza la prima visita ad un luogo banale della città: la chiesa di Saint-Julien-le-Pauvre, a Parigi, che sarà il primo gesto per scardinare un'idea "auratica" di arte. Tre anni dopo i surrealisti, nati dall'esperienza di Dada, danno vita alla "deambulazione", che sarà sia urbana che extra-urbana. L'idea di fondo di Breton, che guida il gruppo, è quella di dar voce alla "città inconscia". Saranno i lettristi negli anni '50 a dare per la prima volta importanza all'aspetto di una pratica artistica che non lascia tracce visibili, mentre i situazionisti si allontaneranno dai lettristi, dando vita di nuovo a delle "psicogeografie".

Particolarmente interessante è l'esperimento di New Babylon, che l'Internazionale situazionista portò avanti ad Alba nel 1956: si trattava di una città-labirinto predisposta per accogliere ed ospitare una comunità zingara che una volta l'anno, per un certo periodo, sostava ad Alba. Città perciò nomade nella sua stessa costituzione ed aperta all'accoglienza di chi non si plasma sulla forma del luogo che gli è stato assegnato come abitazione, ma che al contrario chiede uno spazio aperto da "disegnare" con la propria presenza. È quello che in chiave artistica porterà poi avanti, e con questa esperienza si conclude la carrellata genealogica di Careri nella storia dell'arte, la cosiddetta land art, in particolare americana (di cui facciamo almeno un nome: Richard Long), che fa assurgere il passaggio in un luogo ad opera d'arte. Nella sua forma più avanzata questa pratica (a questo punto, liberi dalla pretesa rivoluzionaria che avevano ancora i situazionisti, possiamo parlare di pratica) non lascia più nemmeno una traccia effimera sul terreno e tutto viene affidato ad una documentazione, perlopiù fotografica, che già non è più l'opera d'arte. Qui posso riallacciarmi ad alcune considerazioni iniziali dell'autore per trarre alcune conclusioni.

La pratica del camminare viene letta da Careri alla luce dell'archeologia, ricollegandola all'elevazioni di menhir da parte di molte antiche civiltà. Il menhir viene visto come il segno di un passaggio, che necessariamente incidiamo nella memoria (e Derrida ci ha insegnato che non c'è memoria se non nella protesi di memoria). Questo significa, aggiungo io, che non si può pensare la percezione se non come sempre insieme riconoscimento. Riconoscimento di un luogo che è già stato visitato, ma anche riconoscimento della presenza di un altro (e perciò riconoscimento dell'altro), secondo la modulazione che Careri dà del menhir da luogo di passaggio a luogo di culto o luogo d'incontro dei differenti gruppi umani in movimento. I walkscapes sono perciò landscapes, paesaggi, letteralmente "pezzi di terra" non posseduta, ma vista, attraversata: i walkscapes sono, potremmo dire, pezzi di cammino che ci servono a ricostruire la geografia di un luogo, la metropoli, altrimenti inimmaginabile (nel senso del sublime matematico kantiano, come già Stefano Catucci in un volume in collaborazione con Stalker sottolineava).

Il libro di Francesco Careri va letto perciò lasciandosi sollecitare e un po' affascinare da questi continui rimandi alle avanguardie, all'archeologia, all'architettura, secondo una schema che è facilmente individuabile ormai come un classico, il movimento cioè dalla riscoperta di una condizione primitiva alla ridefinizione della condizione umana moderna. Questo volume dev'essere per questo letto come un tentativo di articolare una lunga esperienza sul campo, dandole un più forte fondamento teorico. Questo libro è sicuramente un invito a conoscere meglio e magari partecipare, visto che è possibile, ad una delle "azioni" sul campo di Stalker, ma anche soprattutto ad interrogarsi sulla possibilità di ripensare la vita nelle metropoli contemporanee come una vita strutturalmente nomade, dove anzi il nomadismo è l'unica possibile alternativa a quello che alcuni definiscono (e lo stesso Careri non sembra del tutto estraneo a quest'impostazione) un governo biopolitico della popolazione ???.

PUBBLICATO IL : 18-07-2006

http://www.strozzina.org/authors/francesco-careri
Francesco Careri (1966, Italia) è architetto e dal 2005 è ricercatore universitario presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Roma Tre. Dal 1995 è membro fondatore di Stalker/Osservatorio Nomade, il collettivo con cui sperimenta metodologie di intervento creativo e di abitare informale a Roma: prima con azioni di arte pubblica al Campo Boario, poi a Corviale con studi e progetti sulle microtrasformazioni operate dagli abitanti, in seguito nella città dei Rom, tra baraccopoli, campi attrezzati e auto recupero di spazi occupati. Dal 2006 è titolare del Corso di Arti Civiche della Facoltà di Architettura di Roma Tre, un corso opzionale a struttura peripatetica che si svolge interamente camminando, analizzando e interagendo in situ con i fenomeni urbani emergenti. Dal 2012 è Direttore del Master Arti Architettura Città. Tra le sue pubblicazioni: Constant. New Babylon, una città nomade, Testo & Immagine, Torino 2001 e Walkscapes. El andar como pràctica estética / Walking as an aesthetic practice, Gustavo Gili, Barcellona 2002 ( trad.it. Walkscapes. Camminare come pratica estetica, Einaudi, Torino 2006).


Me despiaxe par ti, ma l'Ouropa no ła jera dei singani nomadi ma de łe xenti stansiałi ouropee, łi singani łi xe rivà dopo da foresti e łi dovea adatarse luri e no łi endexeni ouropei a łi singani.
El rasixmo dei singani - etnorasixmo

viewtopic.php?f=150&t=459
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Re: Andropołoghi, creminołoghi, arkiteti e singani

Messaggioda Sixara » lun apr 27, 2015 8:47 am

Berto ha scritto:La pratica del camminare viene letta da Careri alla luce dell'archeologia, ricollegandola all'elevazioni di menhir da parte di molte antiche civiltà. Il menhir viene visto come il segno di un passaggio, che necessariamente incidiamo nella memoria (e Derrida ci ha insegnato che non c'è memoria se non nella protesi di memoria). Questo significa, aggiungo io, che non si può pensare la percezione se non come sempre insieme riconoscimento. Riconoscimento di un luogo che è già stato visitato, ma anche riconoscimento della presenza di un altro (e perciò riconoscimento dell'altro), secondo la modulazione che Careri dà del menhir da luogo di passaggio a luogo di culto o luogo d'incontro dei differenti gruppi umani in movimento. I walkscapes sono perciò landscapes, paesaggi, letteralmente "pezzi di terra" non posseduta, ma vista, attraversata: i walkscapes sono, potremmo dire, pezzi di cammino che ci servono a ricostruire la geografia di un luogo, la metropoli, altrimenti inimmaginabile

I canpi nòmadi i ghe entra marjnalmente tel discorso ca fà Careri, se no' come exenpio de riconoscimento ( o de non riconoscimento de on posto e de conseguenzha, riconoscimento/non de l altro da ti.
I podarìa èsare mile altri posti par de là de on canpo-nòmadi : l area de on manicomio xbandonà par ex. o na colonia marina de le suore Canosiane a Caromàn. I stalker i rièse ndarghe drento e riconosarli cofà posti e persone ca i gà vivesti.
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Re: Andropołoghi, creminołoghi, arkiteti e singani

Messaggioda Sixara » lun apr 27, 2015 8:47 am

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la corte de l manicomio de Rovigo

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Caromàn

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Re: Andropołoghi, creminołoghi, arkiteti e singani

Messaggioda Berto » mar mag 02, 2017 11:39 am

Gli zingari e i loro difensori credono che la persecuzione subita durante il nazismo faccia scomparire i loro crimini storici, attenui e giustifichi a ritroso il loro secolare razzismo predatorio e assassino, che è tra i più persistenti e odiosi, e dia loro il diritto di continuare a perpetrarli contro le genti "indifese" di tutta Europa.

Gli zingari, questi nomadi o seminomadi, di varia etnia, cittadinanza e provenienza,
che vivono prevalentemente nei campi abusvi o regolari e attrezzati, nelle baracche, nei prefabbricati, nelle rulotte, nelle carovane, ... a volte anche in appartamenti, case e casolari di proprietà,
e che da sempre, in Europa si sostengono sfruttando e depredando il prossimo,
prevalentemente con l'abuso dell'assistenza pubblica e della carità cristiana e umana,
con gli espedienti criminali a danno delle nostre comunità tra cui il furto, la ricettazione, la truffa, il raggiro, l'estorsione, il sequestro di persona, lo sfruttamento dei loro minori, la rapina, l'omicidio, il ricatto, il traffico degli stupefacenti, lo smercio di cartamoneta falsa, anche in forme di criminalità organizzata di stampo mafioso ... con integrazioni lavorative regolari e semiregolari nel settore circense e delle giostre;

costoro che si fanno passare e vengono fatti passare falsamente per vittime di un secolare razzismo nei loro confronti, da parte delle nostre genti stanziali, in quanto "sempre e ovunque diversi come etnia proprio perché nomadi"; ma che in realtà, da secoli, si può dire da sempre si sono fatti avversare e odiare profondamente per la loro disumanità, il loro spaventoso razzismo e per i danni che hanno sempre procurato a tutti con la loro feroce, impietosa e crudele disumanità.

È vergognoso e da perseguire penalmente che vi siano degli irresponsabili che si prestano a sostenere e a giustificare i comportamenti criminali di questa gentaglia razzista, carnefici fatti passare per vittime.

Anche gli ebrei sono stati perseguitati e sterminati dai nazisti, molto ma molto più degli zingari, eppure gli ebrei non rubano, non rapinano, non ammazzano la gente, non vivono da parassiti e da delinquenti e lavorano e contribuiscono grandemente al benessere dell'umanità. Hanno trasformato la loro terra semidesertica d'Israele in un paradiso terrestre pieno di fiori, di erba e di frutti; i campi degli zingari invece sono immondezzai a cielo aperto senza alcun rispetto per l'ambiente e per il prossimo.
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