Israele mostra i muscoli: parlare a nuora perché suocera intendaWritten by Sarah G. Frankl|
04/09/2017
http://www.rightsreporter.org/israele-m ... ra-intendaIeri la stampa internazionale ha diffuso la notizia che Israele ha dato il via alla più grande esercitazione militare degli ultimi anni, forse la più grande di sempre. Lo scenario ipotizzato dai “giochi di guerra” è quello di una invasione dal nord, cioè dal Libano e dalle Alture del Golan.
Nelle esercitazioni che prenderanno il via oggi e dureranno fino al 14 settembre saranno impiegati decine di migliaia di soldati e vedranno la partecipazione di tutti i corpi armati israeliani, esercito, aviazione, marina e servizi segreti.
Quella di Israele non è solo una delle più grandi esercitazioni militari di sempre, è una vera e propria prova di forza per mostrare ad Hezbollah cosa succederebbe in caso di un attacco da parte dei terroristi libanesi allo Stato Ebraico. Ma soprattutto è un messaggio all’Iran che con sempre più decisione si sta posizionando in Siria con l’intenzione di aprire un nuovo fronte contro la piccola democrazia israeliana.
E a tal riguardo non è secondaria la scelta di coinvolgere nell’esercitazione anche una certa quantità di riservisti, non solo per coinvolgere anche questi nell’esercitazione ma per dimostrare al nemico che in brevissimo tempo l’esercito israeliano è in grado di passare da 150.000 a oltre 750.000 effettivi da schierare sui vari fronti.
È un po’ come parlare a nuora perché suocera intenda, parlare a Hezbollah perché Teheran intenda che non sarà per niente facile attaccare Israele. È una esercitazione muscolare che mette in campo tutte le armi ad alta tecnologia in mano all’esercito israeliano, armi di cui né Hezbollah né gli iraniani possono disporre.
Quando Israele distrusse il reattore nucleare di AssadRebecca Mieli
06 settembre 2017
http://www.progettodreyfus.com/operazio ... ia-israeleOperazione Orchard (frutteto). Nel 2007, mentre il Consiglio di Sicurezza ONU varava diverse risoluzioni contro l’Iran a causa delle attività di arricchimento dell’Uranio su scala industriale, un’altra nazione attirò l’attenzione di Israele per le attività compiute nel medesimo ambito.
Israele scoprì che la Siria stava costruendo un reattore nucleare: già dal 2002 il Mossad aveva intercettato una serie di conversazioni tra la Corea del Nord e la Siria riguardante una collaborazione in ambito nucleare, ma solo nel 2007 emersero i dati lampanti della costruzione di un reattore nucleare clandestino per la produzione di plutonio, nella regione del Dayr az Zawr (a 140 km di distanza dal confine iracheno, sulla sponda est dell’Eufrate).
La sorpresa di tale scoperta derivò da una parte dalla grande enfasi con cui Israele aveva cercato di mettere sotto i riflettori della comunità internazionale il programma nucleare iraniano, che in quel momento sembrava la minaccia più preoccupante e che aveva finito per monopolizzare l’attenzione dei servizi segreti; dall’altra dalla scarsa fiducia riposta nelle capacità di leadership di Bashar Al-Assad, che aveva preso le redini del paese alla morte del padre ma che non era considerato alla sua altezza.
Israele non si concentrò con sufficiente attenzione sulla cooperazione tra Siria e Corea Del Nord, pensando, da un lato, che la crisi economica e l’arretratezza siriana avrebbero tenuto il nuovo leader lontano dall’impegnarsi in una costosa nuclearizzazione del paese, e dall’altro che la lunga serie di visite di Ahmadinejad e Mohsen Fajgrizadeg-Mahabadi a Damasco fossero soltanto una successione di occasioni per rinnovare un’alleanza già consolidata da anni.
Il dibattito tra le forze militari, l’intelligence e il governo israeliano si tradusse in un vano tentativo di chiedere l’assistenza statunitense per la distruzione del reattore di Al-Kibar. Bush si oppose fermamente alle richieste di Olmert, che dopo una serie di fallimenti politici avrebbe avuto l’occasione di riconquistare la fiducia del paese.
Il presidente statunitense non volle in alcun modo partecipare ad un ennesimo attacco contro un paese arabo. Per questo motivo il leader israeliano convocò un team di specialisti militari e scienziati per valutare l’ipotesi di un attacco militare.
Ignorare il reattore avrebbe significato la nascita di un “nuovo Iran” in Siria, una nazione ostile nuclearizzata e fuori controllo, ma questa volta al confine con Israele. Il reattore, probabilmente solo all’inizio della costruzione, venne valutato da Israele come un simbolo per impressionare i paesi vicini, non certo come l’avvio di un programma nucleare con fini non pacifici, ma l’implicita accettazione della presenza di questo sito avrebbe comportato la costruzione di altri reattori in ulteriori nazioni arabe.
Olmert era comunque determinato ad attaccare: voleva ripristinare in pieno il senso della missione difensiva dell’esercito israeliano, demoralizzato dall’esito della guerra in Libano, e voleva inviare un segnale netto e deciso ad Ahmadinejad, che si stava approssimando a iniziare il secondo mandato come leader dell’Iran. Dopo una serie di incontri tra Israele e Stati Uniti, Bush accettò l’idea che il reattore siriano rappresentasse una minaccia all’esistenza di Israele, e che in questo caso un attacco militare potesse essere giustificato.
Olmert decise di rafforzare la propria posizione con un ultimo incontro negli Stati Uniti, dove avvertì Bush dell’attacco imminente, ricordandogli di come l’attacco contro il reattore nucleare iracheno di Osirak (1981) fosse stato in un primo momento condannato dall’amministrazione Reagan per poi essere invece ritenuto di fondamentale ausilio solo dieci anni dopo, in occasione della la Guerra del Golfo.
Nella notte tra il 5 e il 6 Settembre del 2007 l’aviazione israeliana entrò nello spazio aereo siriano e bombardò il reattore, portando a termine la missione con successo. Il presidente Olmert ottenne una delle più importanti vittorie della sua carriera, mostrando una determinazione che non era emersa durante la guerra libanese e riuscendo in una delle operazioni militari più critiche della storia dello stato ebraico.
Tratto da L’EFFETTO DEL PROGRAMMA NUCLEARE IRANIANO SUL DIBATTITO POLITICO IN ISRAELE, di Rebecca Mieli
Israele ha attaccato una base militare di Assad in SiriaCi sono due morti e secondo l'opposizione siriana è stato colpito un centro per le armi chimiche
giovedì 7 settembre 2017
http://www.ilpost.it/2017/09/07/attacco ... i-chimiche Un portavoce dell’esercito siriano di Bashar al Assad ha detto che questa mattina Israele ha attaccato una base militare delle forze legate al dittatore siriano Bashar al Assad nei pressi della città di Masyaf, nell’ovest del paese, uccidendo due soldati siriani. L’attacco, dice la Siria, è stato condotto con alcuni missili lanciati dallo spazio aereo libanese e ha prodotto gravi danni alla base. Israele, come già fatto in passato, non ha confermato l’attacco, di cui hanno parlato però anche diverse fonti legate all’opposizione siriana, che sostengono inoltre che sia stato colpito un centro per la produzioni di armi chimiche.
Negli ultimi anni del conflitto in Siria, Israele ha spesso attaccato segretamente convogli militari siriani o basi legate ad Hezbollah, storico rivale di Israele che negli si è ritagliato un ruolo molto importante nella guerra in Siria. Come ha fatto notare Amos Harel, un giornalista di Haaretz che si occupa spesso di sicurezza e operazioni militari, ieri le forze israeliane hanno invece preso di mira una base governativa.
Harel ipotizza che l’attacco sia stato «una specie di segnale di protesta contro le potenze del mondo»: a luglio infatti Russia e Stati Uniti si sono accordati per imporre una tregua nella regione di confine della Siria sud-occidentale senza tener conto delle obiezioni del governo israeliano (che teme un nuovo impegno di Heezbollah nell’area fra Siria e Israele).
In questi giorni, fra l’altro, Israele sta conducendo una delle più grandi esercitazioni militari degli ultimi 20 anni proprio nel nord del paese. Ieri i media libanesi avevano parlato di aerei israeliani nello spazio aereo del Libano, ma non è chiaro se la cosa sia collegata agli attacchi di questa mattina o alle esercitazioni militari in corso.
Gli iraniani alle porteSenza allentamento delle sanzioni, Teheran non avrebbe potuto nemmeno sognare di investire enormi risorse finanziarie e militari nell’edificazione di un nuovo impero persiano
Di Avi Issacharoff
Times of Israel, 3.9.17
http://www.israele.net/gli-iraniani-alle-porteA meno di grossi cambiamenti, Israele rischia di trovarsi avviato verso un altro scontro violento lungo il suo confine settentrionale, questa volta contro truppe iraniane o combattenti sostenuti dall’Iran e dotati di missili su ordine da Teheran.
La scomparsa dello Stato Islamico (ISIS) da vaste porzioni della Siria, unita alla mancanza di interesse (o di volontà) da parte delle superpotenze di rimuovere Assad dal potere, stanno aprendo la strada al controllo iraniano dei territori fino a poco tempo fa tenuti dal gruppo jihadista. Allo stesso tempo, un enorme numero di combattenti Hezbollah fedeli all’Iran si sono trincerati nel Libano meridionale, sia in postazioni ben visibili sia in punti d’osservazione spacciati per “osservatori a scopi ambientali”, stando a quanto riferiscono gli ufficiali israeliani. Israele non potrà tolleralo a lungo. La presenza di forze sciite al confine, siano esse Hezbollah o altre milizie sostenute dall’Iran, unita agli sforzi dell’Iran di far affluire armamenti in grado di alterare gli equilibri militari, segnalano che l’era della calma che Israele ha goduto dopo la guerra contro Hezbollah dell’estate del 2006 sta arrivando al capolinea.
All’inizio di questo mese il nuovo ministro della difesa iraniano ha dichiarato che il suo paese ha privilegiato il potenziamento del proprio programma missilistico e l’esportazione di armi per puntellare i vicini alleati. “Quando un paese diventa debole, altri sono incoraggiano ad attaccarlo – ha detto il generale Amir Hatami, senza specificare di quali paesi stesse parlando – Dovunque sia necessario, esportiamo armi per aumentare la sicurezza della regione e di singoli paesi, per evitare guerre”.
Gerusalemme ha messo in guardia contro gli sforzi iraniani di creare strutture per la produzione di missili in Libano. Il ministro della difesa Avigdor Liberman ha detto al Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, nel loro incontro in Israele alla fine di agosto, che l’Iran sta “lavorando per creare fabbriche per produrre armi di precisione all’interno dello stesso Libano”. Liberman non ha minacciato esplicitamente di attaccare le fabbriche di missili iraniani in Libano, ma ha affermato che “il governo libanese e i cittadini del Libano meridionale devono sapere” che Israele sarà costretto a reagire con determinazione e potrebbe essere trascinato in futuri conflitti. La presenza di progetti per almeno due stabilimenti iraniani per la produzione di missili è stata rivelata da Israele all’inizio dell’estate. A fine agosto il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto a Guterres che l’Iran è coinvolto anche nella costruzione di un’altra base missilistica in Siria. Non è ancora il momento di correre nei rifugi. A quanto risulta l’Iran non ha ancora iniziato a costruire gli impianti missilistici, verosimilmente destinati a produrre missili più potenti e più precisi di quelli nell’attuale arsenale di Hezbollah. Ma non ci vorrà molto tempo. I contratti tra la Siria e il Libano da una parte e l’Iran dall’altra per creare le fabbriche sono quasi completati, cosi come un accordo che permetterà all’Iran di costruire un porto in Siria, guadagnandosi un accesso diretto al Mediterraneo.
Perché tutte queste carte notarili? Secondo i funzionari israeliani, l’Iran sta cercando di adottare il modello usato dalla Russia quando si è assicurata il permesso di piazzare un porto a Tartus, cosa che venne fatta con l’approvazione di entrambi i rami del parlamento secondo modalità che supererebbero anche l’esame di un tribunale internazionale. Questi contratti possono essere annullati solo con l’accordo di entrambe le parti. Anche gli iraniani vogliono assicurarsi il loro porto marittimo, ed ecco perché stanno prestando un’attenzione così meticolosa agli aspetti legali.
L’investimento iraniano non si limita al porto marittimo e agli impianti per la produzione di razzi. Teheran investe molti denari e risorse anche in vari progetti economici in Siria, da una rete per cellulari alle estrazioni minerarie. Assad, consapevole che questo è l’unico modo per garantire la sopravvivenza della sua dinastia alawita, ha dato la sua benedizione. Per ora la presenza militare iraniana in Siria si limita ufficialmente ai “consiglieri” della Guardia Rivoluzionaria. Ma si tratta di qualcosa di molto più consistente se si tiene conto delle molte migliaia di sciiti sparsi in tutta la Siria che sono a libro-paga di Teheran. Hezbollah, la milizia più fedele all’Iran, ha già schierato in Siria in modo permanente un terzo delle truppe da combattimento che ha a disposizione, e nonostante le gravi perdite subite sembra non avere alcuna intenzione di lasciare il paese nel futuro prevedibile.
In Libano, dove il denaro è nelle mani di grandi e ben note famiglie di affaristi sunniti e cristiani, gli iraniani sono meno interessati a investire in infrastrutture e vogliono solo costruire l’impianto per produrre missili di precisione. Il primo ministro libanese Saad Hariri – il cui governo comprende anche Hezbollah sebbene egli abbia accusato la Siria, alleata di Hezbollah, d’aver assassinato suo padre Rafik Hariri il 14 febbraio 2005 – è troppo debole per affrontare Hezbollah e i suoi sostenitori.
Mentre Teheran investe enormi risorse per trasformare la Siria in una provincia iraniana, gli Stati Uniti e la Russia hanno deciso di trascurare questo dramma che altera profondamente la regione. I russi sono gli unici che potrebbero veramente fare la differenza. Ma non hanno alcuna intenzione di farlo. È vero il contrario: per loro, la presenza di migliaia di sciiti servirà a puntellare il regime di Assad. L’incontro del mese scorso a Sochi tra Netanyahu e il presidente russo Vladimir Putin probabilmente non cambierà di molto questa aritmetica. La Russia vuole vedere Assad rafforzato, anche se questo significa consentire a Teheran di farlo.
Washington avrebbe potuto fare pressione sulla Russia. Ma il presidente Donald Trump, in tutt’altre faccende affaccendato, ha scelto di ignorare ciò che sta succedendo in Siria: una scelta di per sé assai pericolosa. A fine agosto il quotidiano Asharq al-Awsat ha riferito che gli Stati Uniti hanno ceduto con la Russia su diverse questioni, durante i recenti colloqui ad Amman sul cessate il fuoco nella Siria meridionale e presso le alture del Golan. In primo luogo, gli americani hanno convenuto che spetterà agli ispettori russi monitorare l’attuazione del cessate il fuoco e farsi “giudici” nei conflitti tra le forze filo-Assad e filo-Iran e i loro avversari: in pratica, come lasciare i topi a guardia del formaggio. In secondo luogo, gli americani hanno accettato che le milizie sciite (filo-iraniane) si schierino fino a 10 miglia (16 km) dal confine con la Giordania e il Golan israeliano, e non a 20 miglia (32 km) come Washington e Amman avevano inizialmente chiesto. Secondo il reportage, in alcuni punti la zona cuscinetto si ridurrà addirittura a cinque miglia (8 km). Se la notizia è vera, non si può fare a meno di pensare che l’amministrazione Usa sta voltando le spalle alle più elementari esigenze di sicurezza di Israele su questo fronte.
Ma non è solo colpa di Trump. I massicci investimenti dell’Iran sono evidentemente il risultato della maggiore stabilità finanziaria raggiunta dal paese grazie all’accordo sul nucleare iraniano sottoscritto dal predecessore di Trump, Barack Obama. Il budget delle forze armate iraniane è ora di 23 miliardi di dollari e le Guardie Rivoluzionarie hanno visto un balzo del 40% del loro bilancio rispetto allo scorso anno. Senza l’allentamento delle sanzioni, Teheran non si sarebbe mai potuta nemmeno sognare di lanciarsi nell’edificazione di un nuovo impero persiano esteso dallo Yemen al Libano, passando per l’Iraq e la Siria.