Siria

Re: Siria

Messaggioda Berto » gio mar 31, 2016 1:25 pm

Resistencia Cristiana en Siria y en Iraq
https://www.facebook.com/Resistencia-Cr ... 1067751382
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Re: Siria

Messaggioda Berto » gio mar 31, 2016 3:22 pm

La mia esperienza nell'Isis spiegata a mio figlio
di Gloria Riva
21 marzo 2016

http://d.repubblica.it/attualita/2016/0 ... /?ref=fbpr


Quando si parla di Europei, soprattutto donne, che si uniscono al Califfato lo stupore, l'incomprensione, regnano sovrani. A questo corto circuito culturale e morale ha provato a rispondere Sophie Kasiki, francese di 34 anni, con il libro “Fuggita dall'Isis”. Non si tratta di un'analisi a tavolino ma di un racconto di vita vissuta perché Sophie, forse troppo ingenuamente com'è capitato a molte ragazze, al Califfato ha dedicato alcuni mesi della sua vita. Sophie ha deciso di unirsi allo Stato Islamico e partire per Raqqa, in Siria, portando con sé il figlio di soli 4 anni: non per "fare la guerra" ma convinta di andare a lavorare nel reparto maternità di un ospedale.
Spaventata dall'orrore che ha toccato con mano, dopo mesi difficili riesce finalmente a scappare e, tornata in Francia, assume una nuova identità (Sophie, non è il suo vero nome) per proteggere lei stessa e la sua famiglia dall'incubo dell'Isis.
La sua storia, raccontata nel libro “Fuggita dall'Isis” edito da Tre60, è diventata un caso internazionale, soprattutto perché non sono molte le donne - sono 220 le francesi che si sono unite al Califfato - che sono riuscite a tornare indietro dall'inferno.
D.it l'ha intervistata per chiederle, prima di tutto, come è riuscita a spiegare a un figlio le ragioni della sua scelta, e soprattutto di alcuni atti di violenza che il bambino si è trovato a vivere in prima persona.

Perché se una volta "il cattivo" era alla peggio un disegno a pastello su un libro illustrato - L'uomo nero, il lupo cattivo, Barbablù - adesso è tutto diverso. La paura dei bambini si concretizza in uomini armati che sparano all'impazzata, squarciando la notte di Parigi (13 novembre 2015), di Ankara, di Istanbul, lasciando a terra ragazzi innocenti. Ne sentono parlare alla tv, li vedono sui social network e su YouTube e capiscono subito che quelli non sono cartoni animati, sono cattivi in carne e ossa. In una famiglia dove circolano giornali, è un attimo che lo sguardo di un bambino cada sulle parole Califfato, Jihad, Terrorismo, Burqa. L'attimo dopo, ecco la spinosa domanda: «Mamma, cos'è la Jihad e perché quei bambini giocano alla guerra dei grandi?».

Il figlio di Sophie, poi, in questa guerra ci si è trovato dentro. Senza saperlo. Sophie, come parla a suo figlio di quel buio periodo, durato da febbraio a novembre 2015? «È una questione molto delicata, evito di introdurre l'argomento, di parlare di quei giorni così orribili se non è lui a chiederlo. Mio figlio, che ha compiuto cinque anni da pochissimo, non ha ancora fatto domande specifiche su quell'esperienza. Forse perché quando eravamo in Siria ho fatto il possibile per proteggerlo e nascondere a lui tutto il male che ho visto laggiù, ma non è stato possibile tenerlo totalmente al riparo da quelle violenze».

Quindi, suo figlio si è reso conto di quanto stava succedendo? «Eccome. A Parigi facevo l'assistente sociale in una banlieue ed ero entrata in contatto via Skype con tre ragazzi che erano partiti per la Siria, dei ventenni che avevano deciso di unirsi all'Isis. Volevo convincerli a tornare, invece sono stati loro a persuadermi ad andare laggiù, con la scusa di lavorare nel reparto maternità di un ospedale. Mio figlio aveva già conosciuto quei ragazzi a Parigi ed erano molto gentili con lui, ci giocava spesso. Quando li ha rincontrati in Siria, inizialmente, mio figlio ha continuato a giocare con loro, ritenendoli amici. Poi, quando ho manifestato apertamente il desiderio di tornare a casa, il loro atteggiamento è diventato aggressivo nei miei confronti, mi hanno portato via il telefonino e isolato. Da lì, mio figlio ha capito che quelle persone erano malvagie e ha smesso di giocare con loro, ha cominciato ad avere paura».

Cos'ha raccontato a suo figlio di quegli uomini? «Nonostante fossimo tornati a Parigi, continuava a essere spaventato da quegli uomini, temeva potessero tornare, e così ho pensato fosse meglio raccontargli che quelle persone non esistono più, scomparse, morte e non sarebbero mai più tornate, non gli avrebbero mai fatto del male».

Gli ha dovuto spiegare altro? «Quando siamo fuggiti dalla prigione in cui ci avevano rinchiuso ha cominciato a essere molto turbato, non capiva cosa stesse succedendo, dove stessimo andando. Gli ho chiesto di essere coraggioso, perché avremmo intrapreso un viaggio per tornare a casa, da papà e dai nonni. E lui ha capito».

Suo figlio le ha mai fatto domande su quello che accadeva laggiù? «Durante tutto il periodo vissuto a Raqqa ho fatto il possibile per creare intorno a lui delle abitudini e una cintura di protezione. Il giro al parco, i giocattoli, il suo tablet per vedere i cartoni animati non sono mai mancati. Era molto piccolo, quasi non parlava e forse è per questo che non mi ha domandato come mai le donne erano bardate dalla testa ai piedi, perché soffrissero così tanto, perché i bambini, poco più grandi di lui, giocassero alla guerra. Ma forse un giorno me lo chiederà».

E a quel punto cosa gli racconterà? «Gli dirò che ci sono delle persone, cattive e pericolose, che non hanno alcun rispetto per la vita degli altri esseri umani e che considerano le donne come degli oggetti e che tutto questo è male. Che ci sono donne costrette a vivere una vita da schiave, per colpa di queste persone malvagie che pretendono di imporre le loro idee agli altri. Gli dirò che queste cattive persone hanno spinto i bambini a fare la guerra, mettendogli fra le braccia un fucile, e che anche questo è sbagliato. Perché quando si è bambini non si può fare la guerra dei grandi. Gli dirò che nella vita la cosa più importante è imparare a rispettare il prossimo».

Qual è la reazione di suo figlio quando oggi incontra una donna velata? «Spesso le vede per le strade di Parigi, ma un velo che copre il capo è ben diverso da un burqa. Non credo che ci trovi alcuna somiglianza».

Qual è la cosa più difficile che dovrà spiegargli? «Il perché l'ho portato in quell'inferno. Prima o poi dovrò raccontargli perché la sua mamma l'ha preso e l'ha portato a Raqqa. Ho deciso di non nascondergli la verità, perché sono convinta che un bambino abbia gli strumenti per capire e il diritto di sapere. Proverò a spiegargli che mi trovavo in un momento difficile, che mi sono fatta ingannare da quei ragazzi che mi hanno convinta a raggiungerli in Siria. Gli dirò cosa mi è passato per la testa in quel momento e spero che lui possa perdonarmi».

Sophie, lei è nata con un'educazione cristiana. Poi si è convertita all'Islam, ma dopo quell'esperienza tremenda ha scelto di non essere più musulmana. E suo figlio? «È stato battezzato quando era un bebè, ma abbiamo deciso che sceglierà da solo, quando sarà grande, se vorrà coltivare una religione. Io non farò nulla per influenzarlo, ma sicuramente gli spiegherò che la religione è una questione personale, che non c'è bisogno di professare a tutti e a tutto il mondo quale sia il proprio credo, perché si tratta di una questione privata, personale. E gli dirò anche che dovrà accettare e rispettare chi avrà una fede diversa dalla sua o non l'avrà affatto».

Se suo figlio dovesse chiederle se i jihadisi possano arrivare fino a Parigi a portare terrore e guerra anche lì, cosa risponderà? «Gli dirò che le persone cattive sono ovunque nel mondo e che dobbiamo lottare contro le loro idee. Che non dobbiamo lasciarci spaventare, perché nel mondo ci sono anche tantissime persone buone e dobbiamo fare fronte comune contro la pericolosità delle persone malvagie».

Ha conosciuto delle donne siriane? Come spiegavano ai loro figli quello che stava accadendo? «Quelle donne erano così impaurite che non avevano neppure la voce per raccontare ai loro figli quello che stava succedendo. Penso che in cuor loro avessero un immenso senso di colpa per averli messi al mondo, in quel mondo così osceno e senza prospettive. Restavano mute di fronte allo straniero che prendeva i loro figli e li portava via per arruolarli, per insegnargli a fare la guerra. E cosa avrebbero mai potuto dire? Spero solo che un giorno le donne siriane possano dire ai loro figli che quegli islamici cattivi, che uccidono, non ci sono più».

Cos'altro spera? «Che i bambini e le bambine di oggi siano più intelligenti dei grandi e che tutto l'orrore toccato a loro non capiti a quelli che un giorno saranno i loro figli e nipoti».
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Re: Siria

Messaggioda Berto » gio mar 31, 2016 9:27 pm

CICLONE ASSAD: “REGNO UNITO, FRANCIA E TURCHIA SOSTENGONO IL TERRORISMO”
2016 marzo 31

http://www.informarexresistere.fr/2016/ ... terrorismo

Il presidente siriano, intervistato dal russo Sputnik: “La fase di transizione deve prevedere un governo composto da varie forze politiche”

“Il terrorismo è il vero problema. È sostenuto direttamente dalla Turchia. È sostenuto direttamente dalla famiglia reale dell’Arabia Saudita e da un certo numero di Stati occidentali, in particolare dalla Francia e dal Regno Unito”. L’accusa arriva da Bashar al Assad, intervistato da Sputnik, quotidiano vicino al Cremlino.

Il rais ha poi parlato fase di transizione in Siria che, secondo lui, deve avvenire “nel quadro dell’attuale costituzione” e deve prevedere “un governo di unità nazionale” che comprenda “varie forze politiche”. Tale esecutivo dovrà essere composto da membri “dell’opposizione, indipendenti, dell’attuale governo e altri”. Il suo obiettivo primario dovrebbe essere quello di “lavorare alla nuova costituzione e farla votare dal popolo siriano”, solo dopo la transizione alla nuova costituzione “può avere luogo”.

Assad si è detto poi certo che molti “Paesi che erano contro la Siria, voglio dire prima di tutti i Paesi occidentali, cercheranno di portare le loro aziende a partecipare a questo processo. Per noi, in Siria, non c’è assolutamente alcun dubbio che chiederemo, prima di tutto, ai nostri Stati amici, principalmente dalla Russia. Penso – ha concluso – che le aziende russe avranno un ampio spazio per contribuire alla ricostruzione della Siria”
Fonte: http://www.interris.it



Siria, l'attacco di Assad: "Francia e Gran Bretagna sostengono il terrorismo"
Il presidente cita anche Turchia e Arabia Saudita. E poi: "Damasco si appoggerà principalmente su Russia, Cina e Iran per ricostruire il Paese dopo la guerra"
30 marzo 2016

http://www.repubblica.it/esteri/2016/03 ... -136548170

DAMASCO - "Il terrorismo è il vero problema. E' sostenuto direttamente dalla Turchia. E' sostenuto direttamente dalla famiglia reale dell'Arabia Saudita e da un certo numero di Stati occidentali, in particolare dalla Francia e dal Regno Unito". Lo afferma il presidente siriano Bashar al Assad in una intervista rilasciata a Sputnik, testata vicina al Cremlino. "Dobbiamo combattere il terrorismo a livello internazionale perché non coinvolge solo la Siria: il terrorismo c'è anche in Iraq", ha aggiunto.

Secondo Assad, il conflitto in Siria è costato finora al suo Paese più di 200 miliardi di dollari. "Il danno economico e il danno alle infrastrutture supera i 200 miliardi", ha dichiarato, "e per i restauri sarà necessario molto tempo".

La fase di transizione in Siria deve avvenire "nel quadro dell'attuale costituzione" e deve prevedere "un governo di unità nazionale" che comprenda "varie forze politiche", ha aggiunto Assad - questo governo deve essere composto da membri "dell'opposizione, indipendenti, dell'attuale governo e altri". L'obiettivo primario del governo di unità nazionale sarebbe quello di "lavorare alla nuova costituzione e farla votare dal popolo siriano", solo dopo la transizione alla nuova costituzione "può avere luogo".

Secondo Assad, Damasco si appoggerà principalmente su Russia, Cina e Iran nella ricostruzione del Paese dopo la guerra. "Suppongo che molti Paesi che erano contro la Siria, voglio dire prima di tutti i Paesi occidentali, cercheranno di portare le loro aziende a partecipare a questo processo
- ha poi aggiunto Assad -. Per noi, in Siria, non c'è assolutamente alcun dubbio che chiederemo, prima di tutto, ai nostri Stati amici, principalmente dalla Russia". "Penso che le aziende russe avranno un ampio spazio per contribuire alla ricostruzione della Siria".




Deso capiso parké la Merkel ła vołea rancurar i siriani.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » gio mar 31, 2016 9:41 pm

???

Bashar al Assad deve essere processato come Radovan Karadžić
Francesca Borri
30 marzo 2016 15:45

http://www.internazionale.it/opinione/f ... rnazionale

Come suona strano qui in Turchia il nome di Radovan Karadžić. Su Al Jazeera la notizia della condanna dell’ex presidente della Repubblica serba di Bosnia per il genocidio di Srebrenica arriva che è già sera, è già buio e la polizia turca già spara: spara contro i profughi che dalla Siria, che comincia oltre il filo spinato, provano ad attraversare il confine per rifugiarsi qui. Ogni mattina, tra l’erba, s’intravedono uno o due cadaveri. I jihadisti e le armi invece passano da un’altra parte. Chissà dov’è oggi e cosa fa il giudice Baltasar Garzón?

Sembra di guardare un telegiornale di vent’anni fa, quando si duellava su ogni parola delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza, cercando almeno una parvenza di legittimazione per le proprie guerre. Gli anni degli interventi umanitari, dei caschi blu, del capitolo 7 della carta delle Nazioni Unite. Gli anni del Tribunale penale internazionale e delle commissioni d’inchiesta, di Richard Goldstone, della giurisdizione universale, dell’arresto di Pinochet a Londra su mandato di Garzón. Gli anni in cui si temeva che il diritto internazionale fosse troppo forte, perché poi nella vita, si diceva, bisogna anche dimenticare. Non riapriamo le ferite del Cile.

Un tempo sul bombardamento della tv di Belgrado si scrivevano libri interi. Erano civili, erano solo giornalisti o erano agenti della propaganda, complici di Slobodan Milošević quanto i suoi apparati di sicurezza? Erano un obiettivo militare o no? Ora invece non si ha neanche idea di chi stia bombardando. Sarà la Russia, sarà Bashar al Assad, saranno gli Stati Uniti? Sarà la Turchia? Saranno amici o nemici? Ti vogliono vivo o morto?

Capire non vuol dire legittimare

Un tempo Milošević finiva in carcere. Ora scrivi “il regime di Assad”, e in redazione ti correggono: non bisogna esprimere opinioni personali. Si dice “il governo di Assad”. Ora giuristi e analisti sono sempre meno: è il tempo degli investigatori. Il tempo degli attentati terroristici affrontati come casi di cronaca nera. Il jihadista della porta accanto.

Tutta la nostra attenzione è per le biografie individuali: e più sono storie strane, e quindi poco rappresentative, più trovano spazio. Quello che prima di arruolarsi si è assicurato che al fronte ci fosse la Nutella, quello che in aeroporto si è comprato il bignami sull’islam. Il ricercato che si è consegnato alla polizia e ha chiesto la ricompensa per il suo arresto.

Stiamo qui a scavare nelle adolescenze difficili, in questi giorni, nell’alienazione degli immigrati, nel degrado di Molenbeek: di tutto parliamo tranne che delle motivazioni dei jihadisti, nella convinzione che discuterle significhi legittimarle – e quindi parliamo di Bruxelles, solo di Bruxelles, tutti concentrati a capire perché è così vulnerabile. Le forze di sicurezza inadeguate, l’amministrazione divisa in 19 distretti. I valloni e i fiamminghi. O forse i tanti stranieri tra cui è facile mimetizzarsi, forse la legge, che non consente di sorvegliare le moschee – ma il vero fallimento, in questi giorni, non è dell’intelligence, ma della politica. Il vero fallimento non è in Belgio, ma in Siria.

Nelle sentenze di Antonio Cassese non c’erano mai cristiani e musulmani: c’erano solo uomini

“Per ora non abbiamo alternativa, perché non abbiamo contraerea: possiamo solo rispettare la tregua”, mi hanno detto dei militanti del Fronte al nusra, la filiale locale di Al Qaeda. “Ma rispettarla non significa accettarla. Sposteremo il fronte. Attaccheremo altrove”. Ed è quello che ti dicono tutti i jihadisti, qui. Tutti. Perché questa tregua è completamente sbilanciata in favore di Assad. Contrariamente alle apparenze, il regime e i ribelli sono in stallo come sempre: sul piano militare, e soprattutto, politico e sociale, non sono abbastanza forti da vincere, ma entrambi sono abbastanza forti da non perdere. Il mondo guarda Palmira, ma ad Aleppo i siriani sono di nuovo tutti in piazza con le bandiere della rivoluzione.

In questa guerra quello che cambia è il sostegno esterno, che adesso che l’Arabia Saudita e la Turchia sono in difficoltà per ragioni proprie è diminuito per i ribelli ed è aumentato per Assad. L’Onu per la prima volta ha l’opportunità di negoziare un compromesso, invece questa tregua punta alla capitolazione dei ribelli. Non fa concessioni, e infatti esclude imprecisati “gruppi terroristi”: non è cambiato niente, qui, chiunque può essere bombardato in ogni momento. Perché l’idea di fondo è che Assad sia il male minore. Che Assad sia il nostro migliore alleato nella guerra al califfato.

Quello che in Iraq sono le milizie sciite: l’ultima in cui mi sono imbattuta aveva appena twittato la foto di un jihadista appeso a un traliccio e arrostito come un kebab. Il comandante sorrideva e lo affettava con una sciabola. Ma per molti iracheni il male minore è lo Stato islamico. È come il fiume di Aleppo, che divide in due la città e vomita cadaveri. Da che parte arrivano? Dalla metà sotto il controllo del regime o dalla metà sotto il controllo dei ribelli? Chi sono? E da chi sono stati uccisi? Il male minore, in Medio Oriente, dipende semplicemente dalla corrente, dalla riva del fiume su cui ti trovi.

Le sentenze scritte da Antonio Cassese, primo presidente del tribunale per la ex Jugoslavia, erano affascinanti. Perché scomponevano la guerra nei dettagli. Ricostruivano un episodio specifico, un singolo omicidio all’interno di un singolo massacro: e attraverso quel singolo omicidio, in controluce, l’intera Bosnia. Nelle sue sentenze non c’erano mai sunniti e sciiti, cristiani e musulmani: c’erano uomini, solo singoli uomini con le loro azioni. Le loro decisioni. Le loro motivazioni.

Responsabilità individuali

Il diritto internazionale penale contemporaneo, di cui Cassese è stato tra i fondatori, ha affiancato alla tradizionale responsabilità degli stati la responsabilità individuale di chi pianifica, ordina, compie o lascia compiere crimini di guerra, nella convinzione che solo la prospettiva di un ergastolo può fermare chi combatte. Ma per Cassese ricollocare al centro di tutto la persona, con i suoi limiti, le sue fragilità, la persona con la sua storia, aveva anche un altro obiettivo: sottrarsi all’epica del bene contro il male. Perché una guerra non è mai in bianco e nero: la guerra è grigia. E Cassese era l’opposto di Carla Del Ponte, che era a capo invece della procura del tribunale, e intitolava le sue memorie La caccia. Cassese minimizzava: questo è solo il giudizio di un tribunale, diceva. Non è il giudizio di Dio.

E invece oggi è di nuovo il tempo del far west. Oggi è di nuovo il tempo del nemico assoluto. Del nemico che è altro da noi, è solo un assassino. Solo uno squilibrato. Il nemico perfetto: quello contro cui non ci si interroga. Ma per chi vive in Medio Oriente le ragioni alla base della forza dei jihadisti sono evidenti. Discuterle non significa legittimarle, tutt’altro: significa riconoscere che sono la risposta sbagliata a problemi reali.

Nessuno qui ha davvero intenzione di sottomettersi a un uomo in turbante: quello che risuona del califfato è piuttosto l’abbattimento delle frontiere, l’idea dell’unità araba – anche perché avere un visto è un’impresa: non sono frontiere, sono barriere. O la sharia, che non significa mozzare la mano al ladro. La sharia è un ordinamento giuridico fondato sull’esperto di diritto invece che sul giudice e sul legislatore. E chi la vuole in fondo vuole un diverso equilibrio tra l’individuo, la società e lo stato: un ruolo maggiore per la società e minore per lo stato.

E poi la contestazione dell’occidente, naturalmente. Che non è la contestazione dei nostri valori, ma della collusione tra i nostri governi e le nostre multinazionali da una parte e le élite locali dall’altra, la contestazione della corruzione, del clientelismo, di un sistema per cui in un paese come l’Iraq, che galleggia sul petrolio, gli iracheni non hanno la benzina né l’elettricità.

Questa è una parte di mondo in cui si è semplicemente ostaggi, di chiunque. Non esistono regole

Ma soprattutto l’estremismo, qui, sembra essere il solo modo di opporsi all’invisibilità. All’irrilevanza. Questa è una parte di mondo in cui si è semplicemente ostaggi, di chiunque. Non esistono regole. All’improvviso la Russia non bombarda più, ma magari domani ricomincia. E così gli Stati Uniti. Così l’Italia in Libia. Chiunque può arrivare e bombardare. E sei ostaggio se rimani, ma anche se fuggi: il tuo destino di rifugiato dipende dalla generosità di Angela Merkel, dai calcoli di Recep Tayyip Erdogan. Da chi vince le elezioni in Ungheria. In questa parte di mondo la tua vita e la tua volontà non contano niente.

E Assad è il simbolo di tutto questo: il simbolo del ritorno alla politica di potenza, alle partite a scacchi tra stati. E quando consideriamo le dimissioni di Assad non come una precondizione dell’accordo di pace, ma come una sua clausola qualsiasi, al pari di quanti deputati avrà il prossimo parlamento, quando diciamo che non spetta a noi decidere su Assad, non assistiamo alla capitolazione dei ribelli ma del diritto internazionale. Ed è da questo che i jihadisti traggono consenso, dalla lotta contro un ordine internazionale che è ordine solo per noi che siamo nati dalla parte dei potenti: non è che la legge del più forte. Visto da qui non è ordine, ma l’arbitrarietà più totale.

Cassese scriveva sentenze lunghe centinaia di pagine, dieci volte più lunghe delle altre, perché era un teorico dell’obiter dictum, “quello che viene detto di passaggio”. Come il diritto angloamericano, il diritto internazionale si basa sui precedenti, e l’obiter dictum è tutto quello che non rientra nella decisione in senso stretto ma serve a chiarire il contesto. È quello a cui i giudici delle generazioni successive si appigliano quando cercano di adeguare il diritto ai tempi che cambiano, quando tentano di migliorarlo, ricostruendo che a quei tempi in effetti la maggioranza finì per pensarla così, ma non tutti. Qualcuno era già più avanti.

Quindi non importa come vada il mondo e dove sia oggi Baltasar Garzón. Bisogna comunque dire “il regime di Bashar al Assad”.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » gio mar 31, 2016 10:21 pm

“Ricostruiamo la Siria sull’amicizia tra cristiani e musulmani”
30/03/2016

http://www.lastampa.it/2016/03/30/vatic ... agina.html


Mentre in Siria la guerra continua e i grandi della terra discutono le sorti di questo Paese, ogni giorno, ad Aleppo, si rammendano pazientemente e tenacemente vite lacerate dal dolore e dalle privazioni e si tessono quei legami di cura, ospitalità e dedizione che consentono a donne, uomini e bambini cristiani e musulmani di non precipitare nello sprofondo della disperazione inconsolabile.

Padre Ibrahim Alsabagh, siriano, 45 anni, parroco della chiesa di San Francesco, guardiano del convento, vicario episcopale e responsabile della comunità latina di Aleppo, inizia a raccontare la quotidianità della città mettendo in evidenza i legami che coinvolgono anche persone di fede diversa. «Nella zona dove viviamo, governata dall’esercito regolare, la convivenza fra cristiani e musulmani è sostanzialmente buona. Diverse famiglie cristiane e musulmane sono anche unite da amicizie di lunga data, che non sono state incrinate o compromesse dalla guerra. Quotidianamente colgo segnali di solidarietà, comunione e rispetto reciproco, che noi francescani non ci stanchiamo di incoraggiare. Da parte nostra, io e i miei quattro confratelli ci prendiamo cura di tutti, senza fare distinzioni fra cristiani e musulmani: corriamo per portare aiuto materiale o spirituale e accogliamo chiunque – a ogni ora del giorno e della notte – bussi alla nostra porta».

La vita ad Aleppo

Da quando è iniziata la tregua, la situazione in città è cambiata e le condizioni di vita sono un poco migliorate: l’erogazione dell’acqua è ripresa, anche se non in tutte le zone della città; c’è di nuovo la corrente elettrica, almeno per qualche ora al giorno. I bombardamenti sono quasi del tutto cessati ma, riferisce padre Ibrahim, «poiché non tutti i gruppi hanno aderito alla tregua, ogni tanto si vedono missili cadere in alcune zone della città. Nessuno si sente al sicuro: siamo costantemente in allerta, timorosi che la tregua – unanimemente considerata un segno di speranza – possa venire infranta da un momento all’altro e riprendano i bombardamenti massicci. Purtroppo, dopo cinque anni di guerra, c’è ovunque grande povertà. Noi interveniamo in molti modi: vi sono kit alimentari da distribuire, medicine da procurare, malati da assistere e portare in ospedale, anziani e neonati da accudire con speciali cure, case danneggiate dalle bombe da riparare. E poi, ogni giorno, vi sono cuori feriti da ascoltare e consolare».

Segni di speranza

Per padre Ibrahim i buoni rapporti tra cristiani e musulmani sono particolarmente incoraggianti: «li considero segni di speranza per il futuro del popolo siriano e invito costantemente i miei parrocchiani a leggerli in questa chiave. Insieme ai fedeli preghiamo sempre per tutti gli abitanti di Aleppo e della Siria (oltre che del mondo) e ringraziamo il Signore per il bene che viene compiuto, mettendo in luce anche quello fatto dai musulmani. Ad esempio: alcune famiglie musulmane hanno ospitato famiglie cristiane che avevano perso la casa sotto i bombardamenti; oppure vi sono stati musulmani che hanno custodito le abitazioni di quei cristiani che avevano deciso di lasciare temporaneamente Aleppo. Questi specifici gesti di carità non sono stati numerosi, ma sono accaduti e li reputo significativi. In molti altri modi abbiamo ricevuto solidarietà e premure da parte dei fedeli islamici. Forse qualcuno di loro è stato anche incoraggiato vedendo noi cristiani moltiplicare gli sforzi per accudire e proteggere tutti, indipendentemente dalla fede professata, sull’esempio di nostro Signore Gesù».


Alcuni tradimenti

Purtroppo, rileva padre Ibrahim, non sono mancati episodi dolorosi: «alcuni musulmani che vivevano in pace con noi si sono rivelati tutt’altro che amici e fratelli durante la guerra: hanno manifestato un cuore fondamentalista, svelando una doppiezza di vita che nessuno avrebbe potuto immaginare: ciò ha causato grande amarezza nei cristiani che li conoscevano e avevano avuto con loro ottimi rapporti. Noi frati sosteniamo e accompagniamo questi nostri fedeli esortandoli a non chiudersi nella sofferenza. Quando le persone (ma anche intere comunità) vivono esperienze di tradimento sono facilmente esposte al rischio di ripiegarsi su se stesse preoccupandosi unicamente del proprio bene e della propria sopravvivenza, diventando avare. Noi frati ci prodighiamo affinché non prevalga l’amarezza. Questi tristissimi episodi tuttavia non offuscano la bella comunione che c’è tra molti cristiani e musulmani: è anche su di essa che, penso, si potrà ricostruire il futuro della Siria».



La cura pastorale

Durante questi cinque anni di guerra, nonostante le condizioni molto difficili, dice con semplice fierezza Padre Ibrahim, «la parrocchia ha sempre mantenuto tutte le attività che impegnano ogni comunità cristiana nel mondo: dai corsi di catechismo, attualmente frequentati da 200 bambini, a quelli per i fidanzati. Ogni giorno celebriamo messe, molto partecipate, sia nella chiesa di san Francesco sia nelle due succursali della parrocchia. Abbiamo aperto la Porta Santa nella nostra chiesa e seguiamo con attenzione il magistero di papa Francesco, al quale siamo molto grati per gli appelli e le preghiere a favore della Siria. Percepiamo il suo sostegno e quello della chiesa universale».

Le autorità religiose islamiche

Di recente, ricorda padre Ibrahim, il consiglio dei responsabili della chiesa cattolica di Aleppo ha fatto visita al consiglio che riunisce le autorità religiose islamiche locali: «Abbiamo parlato per oltre due ore con grande sincerità affrontando diverse questioni, come facciamo ormai da tempo quando ci incontriamo. Ho constatato che la guerra ha modificato gli atteggiamenti di tutti: da una parte il mondo musulmano si è sentito chiamato a una maggiore sincerità e trasparenza fra il pensare, il dire e l’agire; dall’altra noi siamo diventati più coraggiosi nell’annunciare ad alta voce i principi della nostra fede e della nostra dottrina sociale, e più decisi nel pretendere, quando occorre, la libertà e lo spazio necessari per vivere con tranquillità nel nostro Paese. Questo cammino, questo lavoro di dialogo (che spero si approfondirà ulteriormente) è una sfida per tutti. Considero il miglioramento dei rapporti fra le autorità religiose cristiane e musulmane uno dei frutti buoni di questi anni di dolore».
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Re: Siria

Messaggioda Berto » gio mar 31, 2016 10:29 pm

Siria, raid su civili a Damasco. Assad: pronto a indire elezioni presidenziali
2016-03-31

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/20 ... d=AC8RIzxC

Si tratta del bilancio più grave registrato da quando un mese fa è entrato in vigore il cessate il fuoco in Siria: 23 persone uccise, tra cui quattro bambini, sono morti in un bombardamento dell'aviazione siriana contro una roccaforte dei ribelli a sud-est di Damasco. Lo riferisce l'osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, mentre altre fonti parlano di 17 uccisi. Secondo il direttore dell’Osservatorio, Rami Abdel Rahmane, questi raid contro la località di Deir al Assafir - che hanno inoltre provocato decine di feriti - rappresentano la «più grande violazione del cessate-il-fuoco nel Ghouta orientale». La tregua tra il regime e i ribelli è entrata in vigore a fine febbraio, sotto l'egida della Russia e degli Stati Uniti e non riguarda comunque le milizie jihadiste dello Stato Islamico e del Fronte al Nusra, la filiale siriana di al Qaida.

Sul fronte politico, invece, da registrare la presa di posizione del presidente siriano Bashar al-Assad, che si è detto pronto a indire elezioni presidenziali anticipate in Siria «se questa è la volontà dei siriani». Assad, il cui settennato presidenziale si conclude nel 2021, ha aggiunto all’agenzia Ria Novosti che alle elezioni potranno votare «tutti i siriani, sia che vivano in Siria sia che si trovino fuori dalla Siria... Ciascun cittadino siriano in qualsiasi parte del mondo ha diritto al voto». Dall'inizio del conflitto nel Paese, nel marzo 2011, più di 270mila persone sono state uccise e circa cinque milioni di siriani sono scappati.

Le ultime elezioni presidenziali si sono svolte nel giugno del 2014 e Assad aveva vinto il suo secondo mandato con l'88,7%. Il voto, però, si era svolto soltanto nelle zone controllate dal regime e in alcuni Paesi che non hanno interrotto le relazioni diplomatiche con Damasco come il Libano.

Il futuro di Assad è uno dei punti più difficili da risolvere al tavolo dei negoziati di pace di Ginevra. Le potenze internazionali che partecipano alle trattative e l'inviato delle Nazioni Unite Staffan de Mistura hanno auspicato di organizzare un voto, parlamentare e presidenziale sotto l'egida Onu, entro 18 mesi.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » dom apr 03, 2016 12:20 pm

Palmira, trovata fossa comune con 25 decapitati
La fossa è stata rinvenuta nel quartiere di Masaken al Yahizia, alla periferia nordest della città, che si trova nella provincia centrale di Homs
Raffaello Binelli - Ven, 01/04/2016

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/pal ... 41486.html

Fra questi vi sarebbero anche tre bambini e due donne, decapitati dal gruppo terroristico Stato islamico. Lo riferiscono fonti sul terreno all'agenzia di stampa siriana Sana, aggiungendo che i corpi riportavano anche segni di tortura.

La fossa è stata trovata nel quartiere di Masaken al Yahizia, alla periferia nordest della città, che si trova nella provincia centrale di Homs ed è stata ripresa dalle autorità di Damasco domenica scorsa, dopo combattimenti con i miliziani del sedicente stato islamico, che la controllavano dal 20 maggio dell'anno scorso.


Le fosse e altri luoghi di sterminio islamici da Maometto a l'IS
viewtopic.php?f=188&t=2029
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Re: Siria

Messaggioda Berto » sab apr 09, 2016 11:59 am

"L'intervento Usa in Siria? Una farsa"
Gian Micalessin
09/04/2016

http://www.occhidellaguerra.it/parla-il ... -di-aleppo

“L’intervento russo ha smascherato la commedia dell’intervento americano. Quando a bombardare erano gli americani e i loro alleati lo Stato islamico si espandeva. Quando i russi hanno incominciato a bombardare l’Isis ha, finalmente, iniziato a ritirarsi. Me lo lasci dire… verrebbe un po’ da interrogarsi sul ruolo degli americani”.
Monsignor George Abu Khazen, 69 anni, vescovo cattolico di Aleppo, non ha peli sulla lingua. Da mesi loda l’intervento russo e l’offensiva dell’esercito siriano perché, come ribadisce in questa intervista a Il Giornale, “l’avanzata dei nostri militari garantisce una maggiore sicurezza a tutti gli abitanti della città e regala per la prima volta po’ di speranza. Prima di quest’offensiva le bombe dei ribelli cadevano sulla città e uccidevano ogni giorno più di dieci civili. Senza contare che Aleppo è rimasta per due mesi senz’acqua e per sei senza elettricità. Oggi, invece, tutto sta finalmente tornando alla normalità”.
Per lei dunque l’intervento russo è stato positivo?
“Finché a intervenire erano gli Stati Uniti e i loro alleati lo Stato islamico ha continuato a estendersi ed è arrivato ad occupare fino al 50 per cento del territorio. Con l’intervento russo, Stato islamico e Al Nusra hanno perso in meno di due mesi molti dei territori occupati. Secondo lei con chi dovremmo stare? Con Al Nusra e Isis o con i russi? Ma la conseguenza più importante dell’intervento russo è il processo di pace. Per la prima volta in cinque anni si è aperto un dialogo tra le parti che ha portato a un cessate il fuoco”.
In Europa gli organi d’informazione accusano l’esercito siriano di assediare Aleppo.
“Non so se ignorino la verità o seguano una sorta di verità ufficiale… L’esercito siriano è un esercito regolare impegnato a difendere i propri civili. Doveva abbandonare la città nelle mani dello Stato islamico e di Al Qaida? Per noi l’esercito siriano rappresenta la liberazione. Dove entra riprende la vita. In molti villaggi i bambini non andavano a scuola da tre o quattro anni. Appena è arrivato l’esercito hanno ripreso a studiare. Se questo è un assedio allora benvenuto l’assedio”.
Dunque lei e i cristiani di Aleppo state con Bashar Assad.
“Noi cristiani non stiamo con Bashar Assad. Stiamo con i valori di convivenza e tolleranza di una Siria che in Medio Oriente ha rappresentato un’autentica oasi di pluralismo garantendo la convivenza di 23 gruppi etnici religiosi. In Europa preferite un colore solo? Preferite quello nero?”.
In Europa si è detto che i bombardamenti russi generano nuovi profughi.
“E quelli arrivati prima dell’intervento russo da cosa scappavano? In Europa dovreste informarvi un po’ meglio… qui dove arriva l’esercito la gente non scappa, ma torna ai propri villaggi”.
Cosa si augura per Aleppo e per la Siria?
“Bisogna che tutti s’impegnino a garantire la continuazione di questo processo di pace. I governi che hanno appoggiato i gruppi venuti a combattere in Siria devono chiedere loro di farla finita. Devono spingerli a trovare una soluzione attraverso il dialogo”.
C’è spazio per una riconciliazione?
“L’intervento russo ha spinto molti militanti a cercare la riconciliazione e il dialogo. In questo momento molti ribelli stanno abbandonando le armi e collaborano con il governo. Voi europei dovreste capire che se qui arriva la pace non avrete più il problema dei profughi. La Siria in passato non esportava profughi, ma li accoglieva. Quindi se voi europei volete veramente risolvere il problema dei profughi lavorate per la pace in Siria”.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » gio apr 14, 2016 7:39 pm

Il quadrante strategico in Siria
14 aprile 2016
Giancarlo Elia Valori

http://www.progettodreyfus.com/il-quadr ... o-in-siria

La pressione principale dei vari gruppi jihadisti in Siria è oggi diretta verso il nord della provincia di Aleppo.
Se cade Aleppo, cade anche la Siria non jihadista, se invece i salafiti terranno la città dove è stato inventato il sapone, allora non sarà possibile nessuna credibile riconquista della Siria.

Proprio mentre scrivo, il 13 Aprile 2016, riaprono a Ginevra le trattative n. 3 per la “pace” in Siria ma, come diceva Machiavelli, “amare la pace e saper fare la guerra” è la regola prima del buon Principe.
L'obiettivo delle forze USA e, solo in parte, turche e della coalizione è ancora quello di interrompere le linee di comunicazione del califfato tra Ar-Raqqa e il confine turco-siriano.
Naturalmente, il fine della guerra, per Ankara, è quello di contrastare i successi dei curdi YPG, mentre gli USA sostengono anche l'Unità di Protezione Popolare YPG contro Al Baghdadi.
Ma, oggi, i curdi si stanno avvicinando anche ai russi, e la fedeltà dell'YPG alla linea della Coalizione dei 59 Paesi è messa in discussione.
È probabile allora che potrà essere solo Mosca a poter chiedere, con successo, l'autonomia curda a Assad.
L'Esercito Arabo Siriano di Assad opera oggi dalla base aerea di Kuweires per penetrare l'area califfale della provincia di Aleppo, dove si sta radunando anche Jabhat Al Nusra per la sua ultima difesa.
Sul piano strategico, i numerosissimi gruppi jihadisti (oltre 25 i principali) operanti in Siria hanno queste finalità: a) far divergere gli attacchi dell'EAS di Assad e dei russi e renderli inutili, b) fare da scudo all'Isis, il gruppo principale, c) creare infine le condizioni di una “vietnamizzazione” della guerra siriana e, quindi, della lunga disfatta degli “invasori” russi, iraniani e “infedeli” occidentali.
Poi, i vari jihadisti fanno direttamente gli interessi, zona per zona, dei loro sponsor: Turchia, Qatar, Arabia Saudita.
Ciò è in funzione delle linee di comunicazione petrolifera e delle risorse, soprattutto minerarie, della Siria. Lo vedremo in seguito.
Inoltre, la guerra per bande jihadista vuole ritardare il più possibile la riunificazione del territorio sotto il regime baathista siriano, costringendolo in futuro ad una “cantonizzazione” che lo renda irrilevante per i suoi alleati, sia russi che iraniani, oltre che cinesi.
E quindi la Siria potrebbe diventare permeabile alle azioni petrolifere e politiche dell'Arabia Saudita, in contrasto con le mire iraniane e russe sulla Siria di Bashar.
L'Esercito Libero Siriano, costituitosi nell'agosto 2011 da disertori ospitati in Turchia, conta circa cinque fronti aperti (Nord, Aleppo e Idlib) Est (Raqqa, Deir al Zour e Hassaka) Centro (Homs e Rastan) e infine il Sud (Damasco, Deraa e Suwaida).
Sostenuto dagli ormai famosi e invisibili 59 paesi della Coalizione anti-Isis, l'ELS collabora, in vari quadranti, con i jihadisti e con numerosi sottogruppi, quali la Brigata della Tempesta del Nord, la Brigata Ahrar Souria, i Martiri della Siria. Ahrar al Sham.
Tutte le attuali posizioni dell'ELS sono però ai bordi delle zone dominate dall'Esercito Arabo Siriano di Assad.
Una situazione OPFOR, Opposing FORce.
I due avversari mimano le stesse tecniche di guerra e le stesse linee di azione, per equalizzare, con la guerra ibrida, i loro potenziali.
È ovvio: l'ELS e i jihadisti devono chiudere i russi e i siriani nelle loro aree iniziali per permettere ai gruppi jihadisti di coprire le posizioni dell'Isis.
Il Fronte Islamico conta oggi su circa 45.000 militanti, ed è composto dalla fusione di sette gruppi jihadisti.
È estraneo, come afferma nei suoi documenti ufficiali, sia ad Al Nusra che all'Isis, si trova ad operare soprattutto nell'area di Aleppo e intende, come linea tattica, impedire l'entrata e la stabilizzazione delle forze siriane di Assad nella regione del Nord, tra Latakia e, appunto, Aleppo.
L'Harakat Ahrar Al Sham al-Islamiyya è un gruppo salafita sorto vicino a Idlib e, prima che il Fronte Siriano Islamico si sciogliesse nel novembre 2013, l'Harakat ha collaborato sia con Al Nusra che con i gruppi affiliati all'Eserrcito Libero Siriano.
È la brigata jihadista specializzata soprattutto negli attacchi informatici ed opera, inoltre, come una rete di supporto umanitario e sociale per le popolazioni.
Jaysh Al Islam vale circa 10.000 elementi ed è stata formata dalla unificazione di ben 50 precedenti gruppi jihadisti.
Opera soprattutto nell'area di Ghouta intorno a Damasco.
Il gruppo jihadista Suqour Al Sham dovrebbe valere ancora circa 10.000 militanti ed opera nelle provincie di Aleppo e di Damasco.
Tutti i dati che riferiamo, è bene chiarirlo, sono al netto di defezioni, assassinii mirati, passaggi dall'uno all'altro gruppo.
Liwa al Tawhid, sempre con elementi armati tra gli otto e i diecimila, opera anch'essa nella regione di Aleppo, ha buoni rapporti di collaborazione con Al Nusra ma teorizza un governo islamico meno radicale degli altri movimenti salafiti.
Al Nusra, finalmente. Si tratta di un gruppo salafita (è la rappresentante di Al Qaeda in Siria) che vale circa 7000 elementi e opera a ranghi dispersi in almeno 11 delle 14 provincie della Siria.
Oggi, controlla soprattutto parti del territorio settentrionale siriano.
L'Isis/Daesh, pur essendo il più noto tra i gruppi jihadisti in Siria, ha solamente circa 5000 uomini in armi.
Opera soprattutto nel Nord e nell'Est della Siria,
L'Isis è il punto di congiunzione tra le varie anime salafite del jihad siriano, e svolge un ruolo di “camera di compensazione” tra le varie fazioni della rivolta fondamentalista. Ed è questa la sua forza.
Il Daesh/Isis è una sorta di Komintern del jihad siriano, e usa spesso gli altri gruppi salafiti come coperture e esche per le azioni russo-siriane.
Quando Vladimir Putin ha dichiarato, all'inizio delle ostilità, che la Russia non avrebbe fatto differenze tra i vari movimenti jihadisti, ha colpito con questo programma proprio il cuore dell'organizzazione e dell'attività politico-militare del Daesh/Isis.
Gli Iraniani hanno mandato la Brigata di commandos Saberin, che in farsi vuol dire “i pazienti”.
Fondata nel 2000, la brigata dei pasdaran opera soprattutto come gruppo di penetrazione in profondità multiruolo in territorio nemico e nelle azioni di cecchinaggio.
Nel Febbraio scorso i Pasdaran e il Saberin sono stati i maggiori gruppi militari a lanciare l'offensiva verso Aleppo per interrompere gli scambi tra Isis e Turchia, e oggi i 2500 militari iraniani operano in gran parte come “consiglieri” dell'Esercito Arabo Siriano di Bashar El Assad.
Qualche volta anche come piloti dei Sukhoi-24M che Mosca ha ceduto ai militari di Bashar El Assad.
I curdi dell'YPG, ne abbiamo già fatto cenno, comandano circa 15.000 combattenti.
Nascono quando, nel 2012, l'esercito siriano abbandona le aree curde e i due partiti nazionali (il PKK e il Partito Unitario Democratico PYD) iniziano a gestire autonomamente l'area curda nella Siria nordoccidentale.
Controllano varie città di confine tra la loro area e il resto della Siria e parte della città di Aleppo, che è evidentemente il centro strategico di tutta questa guerra siriana.
I russi operano oggi come istruttori delle forze di Bashar el Assad e proteggono le loro basi di Tartus, Humaymin e Latakia, mentre si parla di una nuova base russa in costruzione sul confine turco, ad Al-Qamishli, con gli USA che, invece, starebbero costruendo una base nel nordest della Siria insieme ai militanti curdi.
Mosca ha mantenuto in Siria, comunque, i sistemi Pantzir F e S-400 Triumph,
Il primo è un sistema evoluto di missili terra-aria con sensori e direzione automatica del fuoco.
Il S-400 Triumph è inoltre un sistema antimissile particolarmente evoluto, si dice anche migliore del classico Patriot di fabbricazione USA.
L'Esercito Arabo Siriano, la forza di Bashar el Assad, vale circa 14.000 uomini che oggi, dopo la “cura ricostituente” russa e la collaborazione iraniana, hanno una buona efficienza sul terreno.
La recente vittoria dell'EAS ad Al Qaryatain è centrale: garantisce la sicurezza delle pipelines nell'area e permette alle forze di Assad di rompere le linee di comunicazione tra il deserto di Al Badyia e al-Qalamoun, essenziali per i rifornimenti del Daesh-Isis.
Ma qual'è poi il nesso tra le linee di passaggio del gas e del petrolio e la guerra civile e il jihad in Siria?
Se osserviamo una carta geografica, vediamo come le principali pipelines attualmenet attive abbiano evidenti punti di contatto con questo o quel gruppo salafita islamista: ogni rete di trasporto del petrolio o del gas viene controllata in almeno due punti da questo o quel gruppo jihadista.
Ed è proprio per questo motivo che il salafismo locale, Isis compreso, non copre mai tutto il territorio a cui afferisce, ma solo i contorni delle aree che ha conquistato militarmente, che intersecano in almeno due punti una pipeline esistente..
Ma vediamo meglio la questione gaziera e petrolifera, che non è marxisticamente all'origine della guerra in Siria, ma spiega certamente molte cose.
Nel 1989, l'Iran e il Qatar cominciarono a sviluppare il maggior deposito di gas naturale al mondo, il South Pars-North Dome.
Un terzo delle riserve di South Pars sono presenti nelle acque territoriali iraniane e il rimanente nelle zone marine qatariote.
Ma sono due i progetti di sfruttamento, in competizione tra di loro e che riguardano l'attuale guerra civile in Siria.
Il primo è la pipeline Qatar-Turchia: nel 2009, l'emirato offrì ad Ankara la prospettiva di una linea che passava dall'Arabia Saudita, dalla Giordania, dalla Siria fino alla Turchia, per vendere il gas ai consumatori europei e, in particolare, turchi.
Vi è anche un secondo tracciato proposto, che va dall'Arabia Saudita al Kuwait fino all'Iraq e alla Turchia, ma al confine iraqeno ci sono i curdi del PKK, che impedirebbero ogni arrivo del gas naturale sulle coste turche.
E' questo l'unico progetto per il trasporto di idrocarburi che farebbe diventare secondario il funzionamento delle linee russe, con gli efetti geopolitici che è facile immaginare.
Ma l'Iran ha poi proposto, nel 2011, un tragitto che potrebbe essere alternativo a quello Qatar-Turchia: la linea Iran-Iraq-Siria.
Il gas arriverebbe dal South Pars via Iraq, Siria e Libano.
Se Mosca recupera la sua egemonia in Siria, questa linea potrebbe sovrapporsi alle pipelines iraniane e siriane, evitare la Turchia e far diventare la Russia il leader globale del gas naturale.
Una linea, quella Iran-Iraq-Siria, che potrebbe anche far concorrenza alla rete TANAP-TAP, il corridoio meridionale, i cui lavori sono però in fase di conclusione.
Il TANAP-TAP, nato anch'esso nel 2011, va dall'Azerbaigian attraverso la Georgia fino alla Turchia, attraversando tutta l'Anatolia.
Quindi, la Federazione Russa può, se eserciterà ancora la sua dominance in Siria, distruggere entrambi i progetti, controllando appunto il solo territorio di Damasco.
Da un lato, è molto probabile che Mosca abbia letto la pipeline Qatar-Turchia come una minaccia per i progetti di Gazprom per il mercato europeo.
Ma anche il progetto di origine iraniana, la pipeline Iraq-Siria, potrebbe danneggiare la quota di mercato delle aziende gaziere russe, ancora essenziali per l'intera economia della Federazione.
Ma Mosca potrebbe invece sponsorizzare la linea Iran-Iraq-Siria solo se arrivasse ai porti di Latakia e Tartus, antiche e note sedi militari prima sovietiche e poi russe sul Mediterraneo, fuori dal controllo della Turchia.
Se questo accadrà, la Federazione Russa sarà il vero pivot della geopolitica e dell'economia mediorientale, se invece la tensione in Siria aumenterà o, peggio, se il territorio di Damasco diverrà preda dei jihadisti e delle loro potenze protettrici, allora non avremo nessuna pipeline.
I progetti che passeranno a lato del territorio siriano saranno costantemente minacciati dal jihad della spada, che peraltro non avrà nessuna remora a colpire anche le reti dei Paesi che lo hanno sostenuto finora in Siria.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » ven apr 15, 2016 5:16 am

Rischio pulizia etnicaa Palmira «liberata» da Assad
Milano, 7 aprile 2016

http://www.corriere.it/cultura/16_april ... d3d4.shtml

Sono gli stessi abitanti a lanciare l’allarme: «Praticamente nessuno dei 55.000 residenti sunniti di può tornare alle sua case. La dittatura di Bashar ci accusa di essere tutti pro Isis e i giovani maschi vengono uccisi sul posto»

La comunità internazionale plaude la cacciata di Isis da Palmira. Un sentimento corroborato dalle prime informazioni, per cui pare che le distruzioni delle stupende rovine greco-romane catalogate come patrimonio dell’umanità dall’Unesco siano meno gravi di quanto temuto. Ma che accade ora alla sua popolazione? Non c’è il rischio che le truppe legate al regime di Bashar Assad compiano l’ennesima pulizia etnica?

Il dubbio è più che lecito. Sono gli stessi abitanti locali a lanciare l’allarme. «Praticamente nessuno dei 55.000 residenti sunniti di Palmira, Tadmor come la chiamiamo noi, può tornare alle sua case. La dittatura di Bashar ci accusa di essere tutti pro Isis. I giovani maschi vengono uccisi sul posto», ci dice per telefono Ayman al Jemaiel, un residente di Palmira la cui famiglia è ora scappata a Homs. A dare la caccia agli abitanti sunniti non sono solo i soldati del regime, ma soprattutto le milizie sciite dell’Hezbollah libanese. «Hezbollah detta legge. I suoi uomini hanno preso la città con la copertura dell’aviazione russa e adesso fanno da padroni. Tanti di noi sono diventati profughi in cammino verso la Giordania e Raqqa», aggiunge.

Una denuncia confermata dai profughi di Palmira che di recente hanno raggiunto le milizie sunnite ribelli nelle zone di Aleppo e Idlib. E indirettamente confermata anche da Bryan Denton, un fotografo del New York Times che racconta di aver raggiunto la città scortato dai portavoce dell’Hezbollah sabato scorso. Nel suo articolo Denton descrive il problema delle cariche inesplose lasciate da Isis per rallentare l’avanzata nemica. Ma aggiunge anche che la città è deserta e che i nuovi «liberatori» non sono affatto certi che la popolazione potrà tornare alle sue case, «altrimenti Isis tornerà con loro». L’ennesima prova che il conflitto contro il Califfato nasconde in effetti una lacerante guerra civile regionale dai risvolti politici, religiosi e sociali.
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