Siria

Re: Siria

Messaggioda Berto » sab mar 19, 2016 5:05 pm

Quattro stereotipi sulla guerra in Siria
Caroline Hayek, L’Orient le Jour, Libano
17 Mar 2016
(Traduzione di Andrea De Ritis)

http://www.internazionale.it/notizie/20 ... stereotipi


Una guerra si combatte su tutti i fronti, in particolare su quello dell’informazione. Il conflitto siriano, che il 15 marzo è entrato nel suo sesto anno, non fa eccezione. I governi, i mezzi di comunicazione, gli analisti forniscono versioni diverse che – volutamente o no – alimentano la confusione sulla natura e gli interessi di questo conflitto. In questo mare di informazioni caotiche, mito e realtà si confondono. Anche teorie che non si basano su alcun fatto concreto sono riprese sui social network e influenzano profondamente la comprensione dell’opinione pubblica.

Ecco quattro stereotipi sulla guerra siriana duri a morire.

1. La guerra in Siria è una guerra di religione

Una guerra di religione è una guerra che contrappone i sostenitori di religioni diverse. Ma anche se l’aspetto confessionale del conflitto siriano non può essere ignorato, non si può parlare di una guerra di religione. La tesi di un semplice scontro tra la maggioranza sunnita, che rappresenta più del 72 per cento della popolazione siriana, e la minoranza dirigente alawita, ramo della religione sciita, non ha alcun fondamento concreto.

Sulla scia delle primavere arabe, la rivolta contro il regime al potere, considerato repressivo e corrotto, è cominciata nel 2011. Alle manifestazioni di protesta hanno partecipato tutte le comunità. Anche i cristiani, spesso presentati come un blocco unitario favorevole al regime, hanno partecipato a queste manifestazioni. A Daraya, città della periferia sud di Damasco per lo più sunnita, dove viveva una comunità cristiana, le prime proteste pacifiche sono state fatte al suono delle campane delle chiese. Alcune personalità provenienti dalla comunità assira hanno subìto la repressione del regime, come Gabriel Mouchi Kouriyed, arrestato a Qamishli il 19 dicembre 2013 e poi condannato per “contatti con personalità dell’opposizione esterna”.

Altre figure dell’opposizione siriana cristiana, come Michel Kilo, giornalista ed esponente della Coalizione nazionale siriana delle forze dell’opposizione e della rivoluzione, e Georges Sabra, presidente del Consiglio nazionale siriano (un’istituzione dell’opposizione in esilio) hanno dovuto subire la confisca dei loro beni da parte del regime. Nel 2011 Sabra è stato il leader del movimento di rivolta della sua città, Qatana, e per questo motivo è stato imprigionato con l’accusa di aver “minacciato il morale dello stato”, di aver voluto “creare un emirato islamista (a Qatana) e di aver ” incitato la gente a manifestare “contro il regime del presidente Bashar al Assad.

Con il protrarsi del conflitto la sua dimensione confessionale ha assunto sempre più rilevanza, a causa delle strategie del regime e dei suoi alleati, ma anche per le politiche delle potenze regionali dome Turchia, Qatar e Arabia Saudita, che hanno sostenuto l’opposizione armata. Questa opposizione armata è oggi composta solo da sunniti. La popolazione che vive nelle regioni ribelli è esclusivamente arabo-sunnita. Anche il reclutamento militare avviene in base a criteri confessionali. I combattenti stranieri a fianco del regime – libanesi, afgani, pachistani, iraniani e iracheni – sono scelti a causa della loro appartenenza alla comunità sciita. I jihadisti dello Stato islamico o del Fronte al nusra (ramo siriano di Al Qaeda) invece reclutano solo sunniti, qualunque sia la loro nazionalità.

Tuttavia non sarebbe giusto presentare il conflitto siriano come una guerra tra sunniti e sciiti. La città di Aleppo ne è l’esempio migliore. Sia parte ovest, controllata dal regime, sia la parte est, nelle mani dell’opposizione, sono abitate soprattutto da sunniti. Qui il principale fattore di separazione è l’appartenenza sociale (borghesia/classi popolari) e non l’appartenenza comunitaria. Allo stesso modo, la provincia di Latakia, considerata come un feudo della famiglia Assad, è oggi per lo più popolata da sunniti che sono fuggiti dalle zone di guerra e si sono rifugiati nelle aree controllate dal governo.

Altri criteri comunitari e sociali si aggiungono al criterio etnico. I curdi siriani (più dell’8 per cento della popolazione) sono per il 95 per cento sunniti, ma questa minoranza non è entrata in conflitto diretto con il potere e non si è neppure unita alla rivolta.

2. L’obiettivo della guerra in Siria sono il gas e il petrolio

Su internet sono numerose le teorie del complotto sull’origine della guerra in Siria. Queste teorie si basano sulle affermazioni di diverse personalità di primo piano, di esperti o di giornalisti. Per esempio Robert Kennedy Junior ha rivelato il mese scorso su Politico le “vere ragioni della guerra in Siria”. Secondo Kennedy “la decisione statunitense di organizzare una campagna contro Assad non è cominciata con le manifestazioni pacifiche della primavera araba del 2011, ma nel 2009 quando il Qatar si è offerto di costruire un oleodotto da dieci miliardi di dollari che avrebbe attraversato l’Arabia Saudita, la Giordania, la Siria e la Turchia”. Molto prima di lui l’ex ministro degli esteri francese Roland Dumas aveva affermato che “i britannici preparavano la guerra in Siria già due anni prima delle manifestazioni del 2011”. Queste tesi accreditano la teoria ufficiale del regime siriano, che si dice vittima di un complotto internazionale. Come ogni teoria del complotto, quella sul controllo degli idrocarburi in Siria ha un fondo di verità, ma la deforma facendone l’unica chiave di lettura di un conflitto dagli aspetti molteplici.

Nel 2009 il Qatar ha effettivamente proposto ad Assad la costruzione di un gasdotto capace di collegare i loro due paesi passando per l’Arabia Saudita e la Giordania e portare il gas dal giacimento North dome nel golfo Persico verso l’Europa. Ma Damasco ha rifiutato il progetto del Qatar e nel 2011 ha firmato un accordo con Teheran per la costruzione di un gasdotto tra l’Iran e la Siria attraverso l’Iraq. Secondo un rapporto dell’agenzia France-Presse (Afp) la motivazione del rifiuto di Assad era quella di “proteggere gli interessi del (suo) alleato russo, primo fornitore di gas all’Europa”. Tutti gli attori esterni del conflitto siriano – cioè l’Iran, la Russia, il Qatar, l’Arabia Saudita, la Turchia e gli Stati Uniti – sono potenze che hanno importanti risorse energetiche, e il territorio siriano ha una posizione strategica per portare il gas dai paesi arabi o dall’Iran in Europa.

Ma anche se la questione energetica è uno dei motivi del conflitto siriano, non è il più importante e non basta a spiegarne l’origine. Lo scontro politico tra l’Iran e l’Arabia Saudita per l’egemonia regionale è più importante della questione energetica.

Del resto i limiti di questa tesi sono evidenti: i russi e gli iraniani, per esempio, hanno interessi contrastanti in tema di idrocarburi, ma cooperano per sostenere Assad. Gli occidentali invece, in particolare Stati Uniti e Israele, che sono accusati di aver fomentato l’insurrezione, sono rimasti relativamente defilati rispetto alle potenze regionali e alla Russia. Gli interventi delle potenze regionali sono stati tutti motivati da considerazioni politiche, strategiche e religiose e non dalla volontà di instaurare la democrazia in Siria. Ma diffondere l’idea di un complotto contro la Siria serve a liberare il regime e i suoi alleati dalle loro responsabilità e a nascondere le reali origini delle manifestazioni del 2011: la lotta pacifica e multiconfessionale contro un regime repressivo.

3. La Siria è uno stato laico

Nel novembre del 2012, in un’intervista concessa alla tv russa Russia Today (Rt), il presidente siriano affermava che il suo regime era “l’ultima roccaforte della laicità in Medio Oriente”. Ma qual è la situazione reale? In una tesi intitolata “La problematica della laicità attraverso l’esperienza del partito Ba’th in Siria” (2012), Zakaria Taha chiarisce bene la presunta laicità del regime siriano. “La laicità è un aspetto importante dell’ideologia del partito Ba’th, al quale sono affezionati molti sostenitori di questo movimento. Con la trasformazione del potere politico in regime autoritario, la laicità è stata oggetto di una strumentalizzazione da parte dei dirigenti, il cui obiettivo principale è quello di mantenere il potere”.

Ma lo stato è veramente separato dalla religione? Secondo la costituzione siriana del 1973 il presidente deve essere musulmano, ma l’islam non è una religione di stato. La famiglia Assad ha sempre potuto fare affidamento su un ministero degli affari religiosi e su un muftì della repubblica per gestire una burocrazia islamica. E come ricorda Jean-Pierre Filiu nel suo articolo sul “Mito della laicità degli Assad”, ogni venerdì gli imam in Siria devono celebrare la gloria del capo dello stato e i suoi successi. Per dimostrare la sua laicità, il regime ha “cercato di promuovere la rappresentatività delle comunità, in particolare di quelle minoritarie, nel governo e nell’esercito. Questo rappresenta un mezzo per ottenere l’appoggio delle diverse comunità e per presentarsi all’esterno come un regime sensibile ai diritti delle minoranze”, osserva Taha. Gli alawiti, da cui proviene la famiglia Assad, occupano i vertici del potere, ma il partito ha sempre garantito una rappresentanza alle minoranze religiose e ha ottenuto il sostegno di numerose personalità sunnite. Taha conclude che “la laicità rimane l’unica carta da giocare per il regime, che si presenta nei confronti delle minoranze come il solo bastione contro la violenza”.

4. Lo Stato islamico è una creazione…

Le origini del gruppo Stato islamico (Is) non sono note. Molte teorie, spesso contraddittorie, attribuiscono la paternità del movimento jihadista a una o più potenze internazionali. Le due tesi più diffuse affermano che l’Is sarebbe rispettivamente una creazione di Assad o degli Stati Uniti e dei loro vassalli in Medio Oriente, Israele e l’Arabia Saudita.

…del governo siriano

La prima tesi si basa su due argomenti: lo stato siriano compra gli idrocarburi dall’Is e (secondo argomento) farebbe solo finta di combattere il gruppo jihadista. Il primo argomento è confermato ed è stato anche oggetto di diversi articoli dettagliati, come quello di Le Monde del 26 febbraio 2016 intitolato “In Siria il regime, la Russia e lo Stato islamico uniti per sfruttare i giacimenti di gas”. Ma il regime non è l’unico a comprare petrolio all’Is. L’organizzazione jihadista si è infatti impadronita di molti giacimenti, e di conseguenza tutte le fazioni del conflitto siriano sono costretti a collaborare con esso per avere gas e petrolio.

Il secondo argomento invece poteva essere sostenuto fino al giugno del 2014. In effetti fino ad allora il regime e l’Is avevano evitato lo scontro diretto e si erano concentrati sulla lotta contro le milizie ribelli. Ma da quel momento in poi i due schieramenti si affrontano un po’ ovunque nel paese. Gli jihadisti inoltre hanno moltiplicato gli attentati contro le posizioni governative, colpendo in particolare in febbraio la città di Homs e il mausoleo di Sayyeda Zeinab. La strumentalizzazione dei gruppi jihadisti da parte del regime di Assad, soprattutto nel momento dell’intervento statunitense in Iraq e la liberazione, nel 2011, dei prigioni islamisti, ha contribuito a rendere popolare la tesi di un’alleanza fra l’Is e il regime. Ma questa idea non tiene conto di un fatto essenziale: l’Is è fondamentalmente un’organizzazione irachena.

…degli Stati Uniti, di Israele e dell’Arabia Saudita

Secondo Kennedy Junior “la Cia ha utilizzato l’Is per proteggere gli interessi degli Stati Uniti sugli idrocarburi e per strumentalizzare le forze radicali in modo da ridurre l’influenza dell’(ex) Unione Sovietica nella regione”. Le affermazioni della presentatrice della tv egiziana Al Hayat, Iman Izz al Din, nel novembre del 2015, vanno ancora più lontano. Per lei, l’Is “è una creazione israelo-anglo-americana e le sue iniziali – Isis – non sono altro che quelle dell’Israeli secret intelligence service (i servizi segreti israeliani). Il capo dell’Is, Abu Bakr al Baghdadi è un ebreo, tale Simon Elliot, sostenuto dal senatore statunitense John McCain. Sui social network si parla molto delle analogie con Osama bin Laden, il cui addestramento militare in Afghanistan da parte della Cia non è certo un segreto per nessuno”.

Gli Stati Uniti hanno senza dubbio una parte di responsabilità nella creazione dell’Is a causa del loro intervento in Iraq. L’Is è in effetti uscito Al Qaeda in Iraq, che ha potuto espandersi grazie all’intervento statunitense. Allo stesso modo anche le petromonarchie del golfo Persico e la Turchia hanno la loro parte di responsabilità nell’espansione dell’organizzazione jihadista. La Turchia, infatti, per molto tempo ha chiuso gli occhi sui jihadisti che volevano andare in Siria e all’inizio l’Is ha potuto contare sui finanziamenti arrivati dal golfo Persico. Ma oggi tutte le potenze della regione, a eccezione di Israele, sono impegnate nella lotta contro l’Is, che costituisce una reale minaccia per loro.

Tuttavia questa lotta non è per loro una priorità e quindi hanno fatto – e continuano a fare – il gioco dell’organizzazione jihadista, che è forte soprattutto grazie alla debolezza o all’ipocrisia dei suoi avversari. Tenuto conto dei legami tra le fazioni del conflitto e della storia dell’organizzazione, fare di una sola potenza la responsabile dello sviluppo del movimento è un’idea semplicistica e per ora impossibile da dimostrare.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » dom mar 20, 2016 11:44 am

Alauita è Baššār al-Asad, presidente siriano dal 2000, così come, prima di lui, suo padre Hafiz al-Asad.

https://it.wikipedia.org/wiki/Alauiti

Gli Alauiti, o Alawiti, ossia i seguaci della Alawiyya (Arabo ﻋﻠﻮﻴـة ʿAlawiyya), altrimenti detti Nusayri, sono un gruppo religioso vicino-orientale, diffuso principalmente in Siria. Non vanno confusi con gli Aleviti, gruppo presente in Turchia.
Alauita è Baššār al-Asad, presidente siriano dal 2000, così come, prima di lui, suo padre Hafiz al-Asad.
Gli alauiti si fanno chiamare ʿAlawī (Arabo ﻋﻠﻮﻱ). Il termine ʿAlawī fu riconosciuto dai francesi quando questi occuparono la regione nel 1920. Storicamente venivano chiamati Nuṣayrī, Nāmiriyya, o Anṣāriyya. Il termine ʿAlawī per mostrare la loro reverenza ad ʿAlī, cugino e genero del profeta Maometto. Per evitare confusione, in questo articolo viene usato il termine moderno.

L'origine degli alauiti è argomento di discussione. Secondo alcune fonti, essi erano in origine dei Nusayri, una setta che troncò i propri legami con gli sciiti duodecimani nel IX secolo. Gli alauiti fanno risalire le loro origini all'undicesimo Imam, al-Ḥasan al-ʿAskarī (m. 873), e al suo pupillo Ibn Nuṣayr (m. 868). Nuṣayr si proclamò bāb o "porta" (rappresentante) dell'11º Imam. La setta sembra sia stata organizzata da un seguace di Ibn Nuṣayr noto come al-Khaṣībī, che morì ad Aleppo attorno al 969.
Il nipote di al-Khaṣībī, al-Ṭabarānī, si trasferì a Latakia sulla costa siriana dove elaborò il credo nusayri e, con i propri discepoli, convertì gran parte della popolazione locale. Oggi gli alauiti, pur rappresentando appena il 20% dell'intera popolazione siriana, costituiscono una minoranza religiosa politicamente assai potente.

Gli alauiti nacquero come movimento nel X secolo, durante la dinastia hamdanide di Aleppo; i suoi seguaci tuttavia furono cacciati quando la dinastia cadde, nel 1004. Nel 1097 i Crociati inizialmente li attaccarono, ma in seguito si allearono con loro contro gli ismailiti. Nel 1120 gli alauiti vennero sconfitti dagli ismailiti e dai Curdi, ma tre anni dopo combatterono con successo questi ultimi. Nel 1297 ismailiti e alauiti cercarono vanamente di negoziare una fusione.

Gli alauiti vennero perseguitati attivamente durante il dominio mamelucco, dal 1260 in poi. Apparentemente alcuni Turchi si convertirono e divennero alauiti. Dopo che questi attaccarono il villaggio ismailita di Masyaf, nel 1832, il Pascià di Damasco inviò le proprie truppe contro di loro.

Dopo la caduta dell'Impero ottomano, Siria e Libano vennero poste sotto Mandato francese. I francesi concessero autonomia agli alauiti e ad altri gruppi minoritari, per meglio controllare sunniti e sciiti duodecimani, e arruolarono gli alauiti nelle loro truppe coloniali. Durante il Mandato, molti capi tribù alauiti sposarono il concetto di una nazione alauita separata e cercarono di convertire la loro autonomia in indipendenza. Un territorio degli "Alaouites" venne creato nel 1925, e nel maggio 1930 venne costituito il governo di Latakia, che durò fino al 28 febbraio 1937.

Nel 1939 una parte della Siria nord-occidentale, il sangiaccato di Alessandretta, nell'odierna Provincia di Hatay, che la maggior parte della popolazione era formata da alauiti, venne ceduto alla Turchia dai francesi, facendo infuriare la comunità alauita e i siriani in generale. Zakī al-Arsūzī - il giovane capo alauita di Iskandarūn (Alessandretta), che guidò la resistenza all'annessione della sua provincia da parte dei turchi - divenne in seguito uno dei fondatori del partito Baʿth assieme a Michel Aflaq.

Dopo la seconda guerra mondiale, quando le province alauite vennero unite con la Siria, i seguaci alauiti di Sulaymān al-Murshid cercarono di resistere all'integrazione. Egli venne catturato e impiccato a Damasco nel 1946 dal governo siriano, il cui Paese era recentemente diventato indipendente.

La Siria divenne indipendente il 16 aprile 1946. A seguito della Guerra arabo-israeliana del 1948 per il controllo della Palestina, la Siria passò attraverso una serie di colpi di stato militari nel 1949, l'ascesa del Partito Baʿth, e l'unificazione della nazione con l'Egitto nella Repubblica Araba Unita nel 1958. La RAU sopravvisse per tre anni e si dissolse nel 1961, quando un comitato militare segreto, che includeva diversi ufficiali alauiti insoddisfatti, tra cui Ḥāfiẓ al-Asad e Ṣalāḥ Jadīd, aiutò il Partito Baʿth a prendere il potere nel 1963.

Nel 1966, gli ufficiali dell'esercito di orientamento alauita si ribellarono ed espulsero la dirigenza del vecchio Baʿth propenso ad accettare la guida di Michel ʿAflaq e Ṣalāḥ al-Dīn al-Bīṭār. Questi promossero Zakī al-Arsūzī come "Socrate" del loro ricostituito Partito Baʿth.


Nel 1970, l'allora colonnello dell'Aeronautica Militare Ḥāfiẓ al-Asad prese il potere e si batté per un "movimento correzionista" nel Partito Baʿth. Nel 1971 al-Asad divenne presidente della Siria. Lo status degli alauiti venne migliorato significativamente e nel 1974 l'Imam Musa al-Sadr - capo spirituale degli sciiti duodecimani del Libano e fondatore del partito Amal (Speranza) - proclamò l'accettazione degli alauiti come autentici musulmani. Fino a quel momento le autorità musulmane - sia sunnite sia sciite - si erano rifiutate di riconoscerli come musulmani e, di fatto, la massima parte del mondo sunnita e sciita rifiuta ancor oggi di riconoscere come confratelli di fede gli alauiti.

Gli Asad sono stati vigili nel promuovere la tolleranza religiosa: fatto che speravano consentisse loro di meglio dominare un Paese a fortissima maggioranza sunnita.

Quest'ultima, dal canto suo, non apprezzò il potere dell'estrema minoranza alauita e i Fratelli Musulmani cercarono perciò di assassinare al-Asad il 25 giugno 1980, prendendo a pretesto l'eliminazione dalla Costituzione dell'articolo secondo il quale l'Islam era la "religione di Stato" e che il Presidente della Repubblica doveva essere musulmano. Asad rispose inviando nel 1982 le sue truppe migliori, al comando di suo fratello Rifāʿa, contro la roccaforte sunnita di Ḥamā. L'esercito siriano, all'atto pratico, eliminò i simpatizzanti dei Fratelli Musulmani nel "massacro di Ḥamā", durante il quale tra le 20 000 e le 30 000 persone vennero uccise. Dalla rivolta di Ḥamā, con la conseguente repressione, la Siria non ha più manifestato forme violente di opposizione al regime, fino all'inizio della Guerra civile siriana del 2011

Dopo la morte di Ḥāfiẓ al-Asad nel 2000, il figlio Baššār al-Asad ha mantenuto le linee guida del regime di suo padre. Anche se gli alauiti dominano all'interno dei vertici militari e dei servizi segreti, il governo civile e l'economia nazionale sono ampiamente guidate dai sunniti. Il regime di Asad è attento a permettere a tutte le sette religiose di condividere il potere e l'influenza nel governo.

Teologicamente gli alauiti odierni sostengono di essere sciiti duodecimani ma tradizionalmente sono stati indicati come "estremisti" (ghulāt) e sono considerati al di fuori dell'Islam dalla corrente principale dei musulmani (quella sunnita), a causa della loro quasi deificazione di ʿAlī b. Abī Ṭālib.
Queste notizie hanno il grande limite di non essere del tutto sicure, dal momento che la religione alauita è una religione esoterica, rivelabile per gradi a pochi iniziati, giudicati in grado di capirla nella sua intima essenza. Nel passato era tanto avversata dal mondo sunnita da incorrere nella proibizione di esprimere il suo credo e per questo gli alauiti nascosero la loro fede ricorrendo allo strumento della taqiyya.
Essi affermano infatti di essere dalla parte della verità e che il loro mostrarsi come devoti dell'Islam sunnita o sciita è una specie di vestito puramente esteriore, mentre la sostanza del loro credo resta segreta.

Le popolazioni alauite affermano di discendere dai popoli che abitavano la Siria prima della conquista islamica. Alcuni studiosi addirittura si spingono a sostenere (senza alcuna prova documentaria) che gli alauiti nascosero la propria civiltà e la propria cultura a Greci e Fenici della costa siriana prima della diffusione dell'Islam, per consentire una più agevole loro sopravvivenza. Solo uno dei libri sacri degli alauiti, il Kitāb al-Majmū', è stato tradotto in francese e stampato. Questo avvenne a metà del XIX secolo, a Beirut per opera di un alauita convertito al Cristianesimo che venne in seguito ucciso da un alauita per la sua apostasia.
...

Mi a sostegno Assad e no i Fradełi Muxlim
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Re: Siria

Messaggioda Berto » sab mar 26, 2016 8:28 am

In Siria vi è un'alleanza di minoranze alawita, cristiana, yazida e curda che lotta per la vita e non scomparire qualora vincesse la coalizione mussulmana fondamentalista dei Fratelli Mussulmani e dei terroristi come l'IS; sappiamo bene come e quanto la "santa compagnia mussulmana" sunnominata sia rispettosa delle diversità religiose e dei Diritti Umani Universali. Io sto dalla parte di queste minoranze che giustamente lottano per la loro vita. La democrazia dei numeri si trasformerebbe in una dittatura che perseguiterebbe, caccerebbe, ucciderebbe tutte queste minoranze. In Israele le minoranze cristiana, mussulmana drusa e la maggioranza ebraica invece possono vivere in pace, cosa impossibile anche a Gaza e nell'ignorante e arrogante mondo islamico in generale.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » lun mar 28, 2016 7:43 am

Jero a Damasco

http://silviafranceschini.blogspot.it/2 ... citta.html

"Ero a Damasco, una bellissima città accogliente, la Pasqua del 2011, quando è cominciato tutto in un villaggio ai confini con la Giordania. Sentii subito puzza di bruciato quando i quotidiani stranieri, italiani inclusi, cominciarono a pubblicare notizie di grandi manifestazioni anti Assad nella capitale, di feroce e sanguinosa repressione davanti la moschea degli Ommayadi, nel centro storico. Peccato che il figlio della mia compagna vivesse lì da più di un anno, in una casa che si affacciava proprio sulla moschea. Era lì per perfezionare l'arabo classico all'Università insieme a decine di studenti stranieri. Nessuno di loro. americani, francesi, danesi, aveva visto alcuna manifestazione nè episodi di repressione sanguinaria davanti la moschea. Chiedemmo anche all'ambasciata italiana se era sicuro rimanere lì a studiare e ci risposero che era tutto tranquillo e non stava succedendo alcunchè a Damasco. Le proteste popolari ci sono state inizialmente ma sono subito state utilizzate come scintilla per un piano già pronto, volto a far cadere quel governo. Testimone oculare".
di Antonino Salerno
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Re: Siria

Messaggioda Berto » lun mar 28, 2016 8:05 am

??? Ma coała democrasia? Coeła de ła ditatura de la majoransa fondamentałista xlamega dei Fradei Musulmani ???

Il messaggio in ebraico dei ribelli siriani “Lottiamo per la democrazia chiediamo aiuto a Israele”

http://moked.it/blog/2016/03/27/il-mess ... _refQuery=

Noi del movimento Ghad al-Suri esortiamo tutte le forze nazionali a rovesciare la tirannia e a mettere in piedi una democrazia. Poi costruiremo il governo su cui si accorderanno tutte le forze nazionali siriane e i movimenti, un governo che garantisca i diritti di tutti”. È questo il messaggio, redatto in ebraico, inviato attraverso le pagine del giornale israeliano Ma’ariv Hashavua al pubblico di Israele, con l’intenzione del neonato gruppo di opposizione al regime siriano di Bashar Assad di sensibilizzarne l’opinione pubblica. Ghad al-Suri ha anche agito nella speranza di mettersi in contatto con l’ufficio del Primo ministro e organizzare un incontro con un rappresentante della diplomazia israeliana. E mentre nel paese continuano a confluire attraverso il confine migliaia di persone rimaste ferite nella guerra civile che infiamma la Siria, Israele viene visto sempre di più come un alleato nella difesa dei valori della democrazia e dei diritti umani. La diplomazia israeliana, dal canto suo, continua a professarsi neutrale nel conflitto, e gli ufficiali della sicurezza sono pessimisti sul fatto che una risoluzione possa mai essere positiva per lo Stato ebraico.
Il movimento Ghad al-Suri – che tradotto significa “Il domani della Siria” – è stato fondato al Cairo la scorsa settimana, e il suo presidente Ahmad Jarba (ex presidente della Coalizione nazionale siriana delle forze dell’opposizione e della rivoluzione), ha voluto immediatamente comunicarne la nascita ai cittadini dello Stato d’Israele. La traduzione del messaggio in ebraico è stata affidata a una donna araba-israeliana che vive a Londra. Inoltre, si riporta che il movimento ha anche operato più dietro le quinte al fine di intraprendere un dibattito, indifferentemente in forma pubblica o privata, con il governo israeliano. Il Jerusalem Post scrive che la richiesta di Jarba all’ufficio del Primo ministro è stata inviata “discretamente al fine di evitare una perdita di credibilità di fronte al pubblico siriano e tra i potenziali sostenitori nel mondo arabo”.
“Il regime tirannico, attraverso il suo controllo sulla società siriana, è riuscito a disintegrare tutta la Siria”, si legge nel messaggio, che accusa il governo di aver operato con la corruzione, con l’isolamento ai margini della società e la repressione degli oppositori, e sobillando i conflitti tra gruppi minoritari nei suoi interessi. “Così facendo – continua il messaggio in ebraico – ha trasformato la Siria in un vulcano, pronto a eruttare e a seguire il suo corso nazionale, intellettuale, politico e sociale, unificando popoli e terre. Così è iniziata la rivoluzione, sventolando la bandiera dell’unità di tutto il popolo siriano”. Una rivoluzione, si sottolinea, che non ha tuttavia lo scopo di imporre una determinata nuova forma di governo – sia esso centrale, federale o di altro tipo – ma si pone l’obiettivo di lasciare questa scelta al popolo siriano, a differenza di molti altri stati e federazioni intervenuti militarmente e politicamente nel conflitto. I quali, si legge, “hanno approfittato del vuoto di potere e della guerra civile per imporre una soluzione senza l’accordo del popolo, che può essere espresso solo attraverso un referendum”. Al contrario, il movimento Ghad al-Suri crede “nei diritti politici, nazionali, culturali e dell’istruzione per tutta la società siriana, basati su una dottrina di uguaglianza, con un’amministrazione equa, e non centralizzata. Un simile regime – si conclude – garantirebbe alle province, alle regioni e ai distretti amministrativi il pieno diritto di gestire i loro problemi civili, religiosi e culturali, nel rispetto delle norme internazionali sui diritti umani”.
Una risposta da parte del governo israeliana a questo messaggio non è ancora stata diffusa. Lo Stato ebraico dall’inizio del conflitto ha scelto di mantenersi più o meno neutrale nella guerra civile siriana. Tutela i suoi confini e la sua sicurezza da eventuali aggressioni (intervenendo anche con raid contro rifornimenti ai terroristi di Hezbollah in territorio siriano) e osserva il pericoloso quanto ingestibile disintegrarsi dei vicini. Ciononostante – riporta il Times of Israel – è stato confermato che Tsahal ha contatti con i ribelli al di là del confine, anche se è ancora chiaro con quali gruppi.
A confermare questo rapporto è l’afflusso di circa duemila siriani negli ospedali israeliani dal dicembre 2013, tra cui molte donne e bambini. Seicento di essi sono arrivati all’ospedale Ziv Medical Center di Safed, a circa 30 chilometri dal confine. La linea ufficiale dell’esercito israeliana è quella di curare qualunque siriano necessiti di assistenza medica urgente. Nessuna importanza all’identità della persona poiché si tratta di una “iniziativa umanitaria”. I feriti siriani qualche volta possono scegliere se andare a curarsi in Giordania o in Israele, ma la gran parte sceglie il secondo nonostante sia uno stato “nemico” poiché sa di poter contare su un’assistenza medica di alta qualità e in breve tempo. Dei circa seicento pazienti curati allo Ziv Medical Center – l’80 percento dei quali è arrivato con gravi traumi ortopedici – solo nove sono deceduti. Molti tornano in Siria capaci di camminare nuovamente, grazie a dispositivi ortopedici che possono costare anche fino a 3 mila dollari l’uno. Ogni paziente – riporta sempre il Times of Israel – costa a un cittadino israeliano che paga le tasse circa 15 mila dollari. Lo staff dell’ospedale, ha spiegato una dei suoi dirigenti Channa Bikel, non conosce l’identità dei siriani che cura, nota esclusivamente all’esercito. “Adottiamo una politica di deontologia professionale medica, non facciamo differenze. Curiamo chiunque ne abbia necessità urgente, perché se una persona arriva al confine senza gambe – conclude – semplicemente non è possibile lasciarlo lì”.

Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked
(27 marzo 2015)


No, io sto con Assad l'alawita, con i curdi (??? se concedesse loro l'indipendenza non sarebbe male), con i cristiani e con gli yazidi, io sto con il regime di Assad che è l'unico che garantisca queste 4 minoranze dallo steminio democratico da parte della maggioranza islamica dell'IS e dei Fratelli Mussulmani. La democrazia ha senso soltanto se vi è rispetto delle minoranze, diversamente le minoranze in pericolo di vita hanno tutto il diritto di imporre la loro dittatura.
Come in Egitto la democrazia dei Fratelli Mussulmani sarebbe una tragedia per la minoranza cristiana copta che sono i veri indigeni del paese del Nilo; la dittatura laica di al Sisi è da preferisi alla dittatura teocratica della maggioranza islamica che sterminerebbe i cristiani.
Israele non può che difendere le minoranze etniche e religiose della Siria e non può certo sostenere l'integralismo islamico sia estremista che moderato, che per sua natura è antisamita e antisraeliano, se no lo facesse Israele sarebbe perduto.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » mer mar 30, 2016 3:04 pm

Le ultime parole dell'Eroe di Palmira
Franco Iacch - Mer, 30/03/2016

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ult ... 40536.html

Stanno commuovendo il mondo, con attestati di stima provenienti da tutte le forze armate del pianeta, le ultime parole di Alexander Prokhorenko, 25 anni, lo specnaz che ha diretto su di sé gli aerei russi per evitare di farsi catturare dalle forze nemiche dello Stato islamico che lo avevano ormai circondato.

Il soldato delle forze speciali, in una missione segreta nell'antica città siriana di Palmyra, è stato definito un eroe in Russia. La moglie Ekaterina, incinta del loro primo figlio, ha rivelato di non sapere che suo marito combattesse in Siria e che fosse uno specnaz. Il 25enne si congedò dalla moglie due mesi fa, dicendo che sarebbe andato in addestramento nel Caucaso russo. Prokhorenko era in realtà un elemento del Vympel, unità delle forze speciali agli ordini diretti dei servizi segreti russi, specializzata nello spionaggio e nella raccolta di informazioni in territorio nemico.

Arruolatosi subito dopo aver conclusi gli studi, è accettato nell'Accademia Militare di difesa aerea delle Forze Armate della Federazione Russa. Prokhorenko proviene da una famiglia di militari: anche i suoi due fratelli appartengono ai reparti speciali russi.

La missione del giovane "lupo" era quella di identificare le postazioni nemiche del califfato in vista dell’offensiva dell’esercito siriano.

Per cause non divulgate dal Cremlino, l’uomo è identificato dagli estremisti: inizia un feroce scontro a fuoco. Lo specnaz è circondato da numerosi terroristi che giungono dalla roccaforte e che continuano a stringere il cerchio verso la sua posizione. I russi non dispongono di squadre di estrazione rapida in zona. Considerando la superiorità numerica delle forze ostili, la prossimità di queste ultime così come la consapevolezza dei sistemi terra-aria presenti a difesa di Palmira, una missione di salvataggio si sarebbe potuta trasformare in un bagno di sangue per i russi. Ne è ben consapevole lo specnaz che esaurite le munizioni, comunica ai caccia amici in volo di non avere scelta.

Ecco la trascrizione degli ultimi istanti di vita di Alexander Prokhorenko diramate dal Ministero della Difesa russo.

Prokhorenko: “Non posso lasciare la mia posizione. Mi hanno circondato e si avvicinano. Vi prego sbrigatevi”.

Comandante: “Procedi verso la linea di estrazione, ripeto linea verde, linea verde. Vai nella zona sicura”.

Prokhorenko: “Negativo, non posso. Sono ovunque, è la fine. E' la fine. E' la fine...richiedo attacco aereo sulla mia posizione. Dite alla mia famiglia che li amo e che sono morto combattendo per la mia patria. Eseguite l’attacco, vi prego”.

Comandante: “Negativo, ripiega sulla linea verde, questo è un ordine”.

Prokhorenko: “Non posso. Comandante, sono circondato. Sono ovunque, non voglio che mi prendano, faranno di me ogni cosa. Vi prego fatemi morire con dignità e che possa portarmi dietro tutti questi bastardi. Vi prego è la mia ultima volontà, io sono già morto. Vi prego, non posso resistere a lungo”.

Comandante: ”… Alexander …conferma la tua richiesta”.

Ufficiale: “Mi hanno ormai raggiunto, non ho più munizioni. Grazie comandante, dite alla mia famiglia che li amo, che ho lottato fino alla fine. Vi prego, prendetevi cura della mia famiglia, vendicate la mia morte, vendicatemi. Addio comandante, dite alla mia famiglia che li ho sempre amati.”

Comandante: “….”

Le forze speciali russe non sono autorizzate a farsi catturare vive dal nemico. Il presidente Vladimir Putin presenzierà personalmente sia ai funerali di Stato, consegnando all’eroe la più alta onorificenza del Paese che alla solenne cerimonia privata riservata esclusivamente agli specnaz in un luogo segreto.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » gio mar 31, 2016 5:13 am

Siamo sicuri che Assad l'alawita fosse un mostro e che "il popolo siriano tutto" si sia ribellato alla sua crudele dittatura?
https://www.facebook.com/Silvia-Layla-O ... 1221240717

Siamo sicuri che Assad l'alawita fosse un mostro e che "il popolo siriano tutto" si sia ribellato alla sua crudele dittatura? Forse non era così, forse le minoranze alawita, cristiana, curda (??? se concedesse loro l'indipendenza non sarebbe male) e yazida trovavano nella dittatura di Assad una protezione, un'argine alla dittatura di una maggioranza islamista che le avrebbe martoriate come poi hanno fatto l'IS e i Fratelli Mussulmani. Forse Assad era ed è il male minore (confrontiamo il caso Siria-Assad ai casi Irak-Saddam, Libia-Gheddafi, al Sisi-Egitto) stiamo attenti a non semplificare il conflitto nella contrapposizione "popolo siriano unito oppresso contro la crudele casta dominante capeggiata da Assad). Quello dell'accoglienza è un'altra questione e secondo me non va trattata nel modo semplicistico e sentimentale come ha fatto lei. Per noi in Europa accogliere islamici sunniti e sciti (moderati e fondamentalisti senza alcuna distinzione) è un problema non solo di ordine pubblico ma di conflitto di civiltà-inciviltà (come tutti possiamo osservare da quello che accade in Europa e nel Mondo); secondo bisogna fare i conti con le diisponibilità e con le risorse reali dei paesi europei, molti dei quali sono in piena crisi economica ed esportano migranti economici (come possono accogliere quei paesi che non sono nemmeno in grado di garantire alla loro stessa gente o cittadini un'esistenza decente ?). Chi ha bisogno di aiuto è umile e no arrogante, per me gli arroganti possono anche morire io non mi sento affatto in dovere di aiutarli. Le questioni sono comunque complesse e difficili e quando vi sono delle guerre civili con tanti attori con interessi diversi e che non hanno rispetto per gli altri e per la vita umana il sangue scorre e il popolo (che magari in parte vorrebbe solo vivere in pace con tutti senza tante storie, viene calpestato). Io non mi sento assolutamente in colpa per quanto succede e per non aver accolto; non mi posso far carico dei problemi del mondo, io sono soltanto una semplice creatura che tra poco morirà magari di malattia e soffrendo. Se in Africa fanno figli a tutto spiano e non sono in grado di mantenerli non dobbiamo certo farci carico noi; come non dobbiamo importarci l'orrore dell'Islam che da problemi al mondo intero. Non abbiamo alcun dovere, anzi sarebbe demenziale accogliere ed aiutare chi non rispetta i Diritti Umani Universali, chi non ci rispetta, non ci ama ma ci disprezza e ci odia e che non vede lora di farcela pagare, di ammazzarci, di imporci la sua inciltà coranica, no per me questi mostri non vanno aiutati minimamente e chi lo fa è nostro nemico, nemico dell'Europa e della nostra civiltà. L'ordine dell'Islam per voce ed esempio del suo "profeta" è di sottomettere l'umanità intera ad Allah anche con la violenza sterminando chi rifiuta Allah; la missione dei cristiani su ordine ed esempio del loro Cristo è di evangelizzare l'umanità intera con la parola, il buon esempio, l'amore fraterno, la carità, la misericordia, la nonviolenza. Non vi è compatibilità e la convivenza è impossibile come in tutto il mondo mussulmano la persecuzione e le stragi dei cristiani dimostrano senza alcun dubbio. Gli scafisti che hanno speculato e speculano provocando miliaia di morti annegati non erano e non sono cristiani ma di area, credo e cultura mussulmana. Importare mussulmani per farci uccidere è un folle suicidio collettivo.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » gio mar 31, 2016 9:04 am

La parlamentare cristiana: "Assad non è un dittatore, il Papa interceda per la Siria"
Intervista a Maria Saadeh, 41enne e di religione cristiana, eletta come indipendente alle elezioni politiche subito dopo l’inizio della guerra
Sebastiano Caputo - Ven, 25/09/2015
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/par ... 75429.html

Da Damasco – Pochi sanno che nel parlamento siriano esiste un’opposizione composta da tutta una serie di piccoli gruppi politici e che su 280 deputati, 30 sono donne. Tra queste emerge Maria Saadeh, 41enne e di religione cristiana, eletta come indipendente alle elezioni politiche subito dopo l’inizio della guerra.

L’abbiamo incontrata e intervista in esclusiva per IlGiornale.it nella capitale siriana in occasione della conferenza internazionale per la pace “Step for Syria” organizzata da esponenti della società civile.

Come rispondete a chi dice che siete una parlamentare in un regime dittatoriale?

Sono in particolare i media occidentali che definiscono la Siria, senza averne il diritto, una dittatura. Noi siriani non lo pensiamo affatto, soprattutto ora che ricordiamo la qualità della vita del nostro Paese prima della guerra. La Siria è civilizzazione, è cultura, è religione, è storia, è una terra che dà lezioni di umanità al mondo intero. Quello a cui noi facciamo oggi fronte è contro l’umanità. Allora i governi occidentali non ci venissero a dire che viviamo in una dittatura, per loro è solo un pretesto, per distruggere il nostro patrimonio. Io come cittadina siriana, come donna, che ha visto con i suoi occhi le falsità recitate a gran voce da Stati Uniti ed Europa, posso dirvi che la loro strategia è stata quella di scegliere dei rappresentanti che a parole parlavano a nome dei siriani ma che in realtà lavoravano per gli interessi occidentali. Per questo motivo ho deciso di candidarmi come parlamentare, per avere una tribuna legale, e parlare veramente a nome del popolo siriano, e dire agli occidentali che si sono sbagliati e che non potranno cancellare il nostro patrimonio, la nostra storia e il nostro avvenire. E poi diciamocelo, la democrazia occidentale è una bugia.

Quando Lei era una cittadina e appena eletta in Parlamento cosa rinfacciava a Bashar al Assad?

C’erano molti disaccordi! Ma ora il problema non è più se ci sono o meno, qui in Siria è in corso una guerra internazionale contro lo Stato. È nostro dovere, del governo e dell’opposizione, difenderlo. È nostro dovere difendere la nostra sovranità politica, economica e militare. Il governo ha fatto molti errori ma chi non ne ha mai fatti? Il mio dovere da deputata è di farli notare e correggere e, allo stesso modo, di dire alla stampa e ai giornali siriani di mediatizzare i veri problemi della gente comune, così da non lasciare margine di pressione alle potenze straniere. Oggi viviamo una guerra che viene da fuori, dobbiamo rimanere uniti, maggioranza e esposizione.

Chi erano questi manifestanti che nel 2011 scendevano nelle strade per manifestare contro il governo?

Vi racconterò un aneddoto personale. Quando ero ancora architetto avevo degli operai che lavoravano per me. All’inizio della crisi non li vedevo mai nei cantieri perché partecipavano in massa alle manifestazioni. La verità è che questi non venivano a lavorare non perché condividevano le ragioni della protesta ma perché venivano pagati molto di più da chi orchestrava il tutto!

Molti di quei manifestanti che erano in buona fede e che si sono fatti manipolare hanno raggiunto Bashar Al Assad quando la situazione si è aggravata?

Certo perché non si trattava di una vera rivoluzione. Settimana dopo settimana sono cadute le maschere.

Nel 2013 avete incontrato il Papa in Vaticano, cosa vi siete detti?

Ho chiesto di incontrarlo mandandogli una lettera a nome di tutto il popolo siriano, musulmani compresi, e ho ricevuto una risposta tramite l’ambasciata che è qui nel mio Paese. Così l’ho incontrato in Vaticano. Papa Francesco nel suo ruolo deve aiutarci prendendo una decisione precisa in vista della pace. Lui che è una figura così amata nel mondo può far capire che la causa siriana è anche la causa di tutta l’umanità.

Forse è anche grazie a Lei che è stata organizzata una veglia per la pace in Siria?

Non lo so però sono l’unica siriana che ha fatto visita al Papa. Può darsi.

E i cristiani che posizione hanno sulla guerra e sul governo?

Faccio una premessa. Io non parlo a nome dei cristiani ma a nome di tutti i siriani indipendentemente dall’etnia o dalla religione di riferimento. La Siria è la culla culturale e religiosa del cristianesimo dunque è nel loro interesse la pace.

Come giudica l’intervento dei russi nel conflitto siriano?

Purtroppo sono i russi ad aiutarci. Dico “purtroppo” perché storicamente abbiamo avuto ottimi rapporti con l’Occidente a parte ora che conducono una battaglia contro di noi da 4 anni. È in corso una guerra internazionale di conseguenza è inevitabile che dobbiamo combatterla al fianco di altri Paesi che appoggiano la nostra causa. Sono fiera e onorata se la Russia come altre nazioni stanno dalla nostra parte.

Crede che la pace in Siria debba essere raggiunta con un governo di transizione oppure attraverso una vittoria militare del partito Baath a cui fa capo Bashar Al Assad?

Credo che se le dimissioni del presidente Bashar Al Assad vengano decise da lui senza pressioni internazionali potrebbe nascere un governo di transizione, tuttavia non sono d’accordo sul fatto che lui debba lasciare il suo incarico perché qualcuno dall’estero lo ha deciso al suo posto. Il futuro della Siria lo decidono soltanto i siriani.

Ma il popolo siriano ha degli strumenti istituzionali per farsi sentire?

Assolutamente si. Ci sono delle elezioni, c’è un’opposizione, ci sono tanti partiti politici, e soprattutto tutti hanno il diritto di candidarsi.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » gio mar 31, 2016 10:09 am

Par ki lavoreło, a ke mułin xe kel porta acoa sto Miełi, on cativo ebreo, kel rema contro Ixrael e contro i veneti ke łi vol esar popoło endendente e ke lù gnanca el recognose cofà popoło?


Tutti i crimini di Assad a cui non dobbiamo pensare
Paolo Mieli elenca le responsabilità del dittatore siriano, che l'Occidente sarà costretto ad affrontare - a suo dire - in un altro momento
19 novembre 2015

http://www.ilpost.it/2015/11/19/crimini-assad-siria

L’ex direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli ha scritto – in prima pagina sul quotidiano giovedì – una riflessione che prova a fare convivere un giudizio severissimo nei confronti del dittatore siriano Bashar al Assad e la necessità da parte dei paesi occidentali di aiutarlo militarmente combattendo i suoi nemici dell’ISIS.
La riflessione di Mieli sembra trascurare troppo sbrigativamente il ruolo nel conflitto dei ribelli contro la dittatura, e ricorre a un paragone un po’ fragile con la situazione italiana di settant’anni fa: ma prova a ricordare efficacemente che “sarebbe da sciocchi pensare che si possa partecipare ad un’impresa così ambiziosa senza essere costretti a pagare un prezzo. Limitiamoci, per il momento, ad evitare gli eccessi indotti dal realismo politico, a non inoltrarci per sentieri che potrebbero condurci alla beatificazione del despota di Damasco”.

Veniamo, perciò, alle conseguenze sgradevoli della decisione di posticipare la questione Assad. La prima comporta l’abbandono al loro destino dei ribelli anti-Assad, quei «fantasmi» (la definizione è del ministro degli Esteri russo) sui quali Barack Obama aveva investito cinquecento milioni di dollari, ricevendone una delusione tale che già un mese fa era stata sospesa la generosa politica di aiuti.
???
Dobbiamo poi iniziare a dimenticare (temporaneamente) come tutto ha avuto inizio: le manifestazioni di Damasco del marzo 2011, allorché gli uomini di Assad chiusero i manifestanti dentro le moschee per poi lasciarli uscire a piccoli gruppi, farli prendere a sassate e legnate da militanti baathisti e provocare in questo modo 180 morti nel giro di una decina di giorni.
Dovremmo dimenticare (temporaneamente) che a novembre di quello stesso anno la Lega araba votò al Cairo una dura reprimenda contro la Siria anche in conseguenza del fatto che proprio in quei giorni, secondo un rapporto della Commissione di inchiesta indipendente dell’Onu, le forze di Assad avevano ucciso una quantità impressionante di oppositori tra i quali «almeno 256 bambini».


Goera çevil siriana
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_civile_siriana
Le iniziali proteste hanno l'obiettivo di spingere alle dimissioni il presidente Baššār al-Asad ed eliminare la struttura istituzionale monopartitica del Partito Ba'th. Col radicalizzarsi degli scontri si aggiunge con sempre maggiore forza una componente estremista di stampo salafita che, anche grazie agli aiuti di alcune nazioni sunnite del Golfo Persico, si pensa possa aver raggiunto il 75% della totalità dei combattenti. Tali gruppi fondamentalisti hanno come principale obiettivo l'instaurazione della Shari'a in Siria.

Per questo motivo, le nazioni a maggioranza sciita sono intervenute a protezione del governo siriano. Sia l'Iran che l'Iraq cercano di mantenere un governo alleato che permette di creare una macroregione che arrivi fino al Libano. Sia combattenti iracheni che iraniani sono presenti a fianco dell'esercito regolare. Il fronte dei ribelli è invece stato sostenuto dalla Turchia e soprattutto dai Paesi sunniti del Golfo, in particolare Arabia Saudita e Qatar che mirano a contrastare la presenza sciita in Medio Oriente. In ambito ONU si è verificata una profonda spaccatura tra Stati Uniti, Francia e Regno Unito che hanno espresso sostegno ai ribelli e Cina e Russia che invece sostengono il governo siriano sia in ambito diplomatico che militare.

La delicata composizione etnica siriana si è fortemente riflessa negli schieramenti in campo. Sebbene le prime manifestazioni antigovernative avessero uno spirito "laico" (???) e avessero coinvolto tutte le principali città del paese, incluse quelle a maggioranza alawita (come Latakia), il perdurare della crisi ha polarizzato gli schieramenti, portando la componente sciita a sostenere il governo insieme a gran parte delle minoranze religiose, che hanno goduto della protezione del governo laico del Partito Ba'th. Il fronte dei ribelli rimane composto prevalentemente da sunniti anche se non costituiscono un blocco compatto. Parte della popolazione sunnita continua a sostenere il governo. Sono sunniti alcuni membri del governo e buona parte dell'esercito, nonché la stessa moglie di Bashar al-Assad. Le stragi perpetrate dalle componenti fondamentaliste dei ribelli nei confronti delle minoranze religiose in Siria hanno portato le Nazioni Unite a definire la guerra civile come un "conflitto di natura settaria".

Le organizzazioni internazionali hanno accusato le forze governative e i miliziani Shabiha di usare i civili come scudi umani, di puntare intenzionalmente le armi su di loro, di adottare la tattica della terra bruciata e di eseguire omicidi di massa. I ribelli anti-governativi sono stati accusati di abusi dei diritti umani tra cui torture, sequestri, detenzioni illecite ed esecuzioni di soldati e civili.
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Re: Siria

Messaggioda Berto » gio mar 31, 2016 10:19 am

I Curdi in Siria

A cura di UIKI ONLUS
http://www.retekurdistan.it/i-curdi-in-siria

SVILUPPI POLITICI NEL KURDISTAN OCCIDENTALE (KURDISTANA ROJAVA)

PREFAZIONE

I curdi che vivono nel Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava) e in Siria hanno vissuto a lungo ai margini degli sviluppi politici generali e sono stati loro stessi a rischio di scomparsa. Non avevano mai acquisito il posto che si meritavano a livello di dibattito pubblico regionale e internazionale. Quando si parlava dei curdi siriani, anche negli ultimi tempi, non era che a margine degli avvenimenti verificatisi nel Kurdistan iracheno o nel Kurdistan turco. Eppure i curdi del Kurdistan occidentale non hanno sperimentato meno problemi degli altri; ma questo fatto si spiega attraverso considerazioni geografiche, demografiche e soprattutto fondamentalmente politiche, il motivo principale essendo la persistenza dello status quo nella regione di fronte alle politiche negazioniste che hanno ignorato i diritti e persino l’esistenza di un popolo.

Tuttavia la rivolta popolare scoppiata nel Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava) contro il regime siriano ha aperto la strada a un rapido cambiamento della situazione e ha finalmente attirato l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale su questa parte del Kurdistan. Questa regione, la più piccola del Kurdistan, è diventata attualmente la chiave per risolvere la questione curda, e un modello di organizzazione politica per l’intero Medio Oriente. I cambiamenti avvenuti in Kurdistan occidentale hanno prodotto effetti sulle altre parti del Kurdistan (Turchia, Iran e Iraq), effetti che, ovviamente, non vanno in un’unica direzione. Si possono valutare le difficoltà affrontate per arrivare a un tale livello di cambiamento. Le politiche repressive, i programmi d’assimilazione e la propaganda negazionista sono simili nelle diverse parti del Kurdistan e, in Kurdistan occidentale, sono state spinte fino al punto in cui i curdi abitanti in quella regione non avevano acquisito alcun diritto fondamentale in quanto residenti, alcuni privati perfino dei documenti necessari per il godimento dei diritti civili. Essi stessi hanno quindi dovuto resistere per lunghi anni.

Questo dossier, oltre alle informazioni generali presentate, consentirà di osservare gli sviluppi della situazione dopo la rivoluzione del 19 luglio 2012 in Kurdistan occidentale. Sarà possibile constatare come le cosiddette forze dell’opposizione, i gruppi islamisti, Al-Qaeda così come le forze del regime abbiano intensificato i loro attacchi contro i curdi del Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava). Questo dossier contiene inoltre articoli e analisi provenienti da diverse fonti di stampa.

1. LA REGIONE DI CIZRE
Questa regione comprende le seguenti città: Dêrika Hemko, Rimêlan, Tilkoçer, Girkê Legê, Çilaxa, Tirbespiyê, Qamişlo, Amudê, Dirbêsiyê, Serêkaniyê, Tiltemir e Hesekê. I tre quarti sono attualmente sotto il controllo delle autorità curde. Istituzioni civili e militari sono state introdotte da più di un anno in tutti i centri urbani della regione. La popolazione della zona supera il milione di abitanti.

La densità della popolazione e la ricchezza del suo sottosuolo fanno di Cizre la regione più importante del Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava). Non è esagerato affermare che essa si trova nel cuore del Rojava, è essa stessa Rojava. Il governo siriano ha collegato tutte le città della regione alla provincia di Hesekê. I giacimenti di petrolio della regione Rimelan-Cizre sono più importanti di quelli della Siria. Rimelan ha lo stesso potenziale petrolifero di Kirkuk. Un’altra fonte di ricchezza della regione Cizre è l’agricoltura.

2. LA REGIONE DI KOBANE
La regione è costuituita dai comuni di Kobanê, Til Ebyad, Eyn İsa, Menbec e Cerablus. E’ situata proprio davanti alla pianura di Suruç, nel Kurdistan del Nord (Kurdistan di Turchia). Più di 500.000 curdi vivono in questa regione agricola attraversata da uno dei due fiumi della Mesopotamia, l’Eufrate. Il centro della città e un gran numero di villaggi sono sotto controllo curdo.

3. LA REGIONE DI EFRIN
La popolazione della regione è stimata sui 500.000 abitanti. Tuttavia, a seguito di migrazioni interne dalle altre città dove erano presenti curdi in Siria, questo numero si è raddoppiato. Una parte importante di questa popolazione vive a Êzaz, Cebel Seman e İdlip. La regione è interamente sotto controllo curdo.

Queste tre regioni curde sono attualmente tre parti distinte del Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava), ma questa suddivisione amministrativa non impedisce le relazioni gerarchiche tra le strutture politiche. I partiti e le associazioni politiche si sono organizzati nelle tre parti del Kurdistan occidentale. Le istituzioni create durante la rivoluzione nella regione di Kurdistana Rojava lavorano nell’ambito di uno stesso coordinamento, L’Alto Consiglio Curdo. Le Forze di Difesa del Popolo (YPG) hanno unità decentrate in ciascuna di queste tre aree per garantire il controllo e la difesa delle frontiere.

SINTESI STORICA

Con gli accordi di Losanna del 1923 il Kurdistan fu diviso in quattro parti. Il confine tra la Turchia e la Siria ha seguito il percorso della linea ferroviaria tra Berlino e Baghdad. Qamişlo (Kurdistan occidentale) e Nusaybin (Kurdistan turco) erano in precedenza una sola città, ma dopo il passaggio della ferrovia Qamişlo si trovò in terra siriana e Nusaybin in terra turca.

Molti villaggi, comuni e città furono divisi in due. Le tribù, le famiglie, decine di migliaia di curdi che vivevano sulla stessa terra si trovarono separati da barriere di filo spinato e mine. Solo in questi ultimi anni sono stati in grado di incontrarsi di nuovo oltre il muro di filo spinato. Questo autentico dramma vissuto da migliaia di curdi è ancora oggi oggetto di documentari e programmi televisivi in occasione di festività religiose. I curdi furono vittime di politiche repressive e divisi, durante la prima guerra mondiale, da parte delle grandi potenze che non ne riconobbero né l’esistenza, né i diritti. I curdi del Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava) hanno visto peggiorare la loro situazione con l’arrivo al potere del partito Baath nel 1963. Furono considerati pericolosi da Damasco e furono vittima di numerosi attacchi e di operazioni repressive. Un decreto di 12 articoli pianificò ufficialmente questa politica che portò all’insediamento degli arabi nella regione curda costringendo i curdi all’esilio. L’amministrazione attirò gli arabi offrendo loro facilitazioni economiche e facendoli stabilire in villaggi arabi al fine di tagliare le comunicazioni tra i villaggi curdi rimanenti. Si trattò di una cacciata «incrociata» nel paese, i curdi cacciati dalla regione vennero deportati nelle regioni arabe al centro della Siria. Questa politica mirava a arabizzare i curdi e ad assimilarli.

In Siria così come in Turchia la lingua curda fu proibita nella stampa e nella società. I nomi delle città e dei luoghi storici curdi furono arabizzati. 300.000 curdi furono privati dei loro diritti fondamentali, come il diritto di essere naturalizzati. Oltre al genocidio culturale, il regime siriano non ha smesso di impegnarsi nelle aggressioni fisiche. Il 12 marzo 2004 a Qamişlo, per esempio, nel corso di una partita di calcio tra la squadra del Qamişlo e quella di Der Ez Zor, le forze governative siriane aiutate dai nazionalisti arabi hanno attaccato con violenza i curdi. Nel corso di questi scontri una trentina di curdi sono stati uccisi, centinaia feriti e imprigionati. Le manifestazioni di protesta sono durate per dieci giorni; in seguito a questi tragici eventi i curdi hanno deciso di organizzarsi nel modo che ha portato agli sviluppi attuali. Il Partito dell’Unità Democratica (PYD) è stato fondato nel 2003 e, nello stesso periodo, sono state poste le premesse per la fondazione delle Unità di Difesa del Popolo (YPG).

Il fatto che Abdullah Öcalan, leader del popolo curdo, abbia vissuto più di venti anni in Siria, e che abbia sviluppato il movimento di liberazione del Kurdistan, ha riguardato direttamente i curdi del Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava) e ha sostenuto la riflessione e la strategia delle loro organizzazioni. Attualmente i curdi del Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava), attraverso la loro propria organizzazione, hanno fondato autorità locali autonome.

LA RIVOLUZIONE DEL 19LUGLIO 2012
UN MODELLO PER I POPOLI A RISCHIO

Prendendo in mano la gestione e l’amministrazione della città di Kobanê lo scorso 19 luglio 2012, il popolo del Kurdistan occidentale ha già acquisito un anno di esperienza sulla strada dell’istituzione del processo rivoluzionario. Con il sistema di “autonomia democratica” da esso fondato, è diventato un esempio per gli altri popoli del Medio Oriente. Il popolo curdo è ormai riconosciuto in tutto il mondo come la terza forza in Siria.

La Siria, durante il terzo anno di occupazione militare ad opera di forze esterne, è diventata una terra dove è presente la guerra tra comunità con tutto il dramma umano che essa genera; le distruzioni sono aumentate. Nel Kurdistan occidentale, al contrario, nello stesso periodo, è avanzato passo
dopo passo il processo rivoluzionario avviato dal popolo.

La prima tappa, il primo anno del processo rivoluzionario – anno in cui il popolo ha preso il controllo delle autorità locali di Kobanê il 19 luglio 2012 – è stata quella di far riconoscere la propria esistenza come popolo e di stabilire la propria autorità nelle province intorno a questa regione. Nonostante le forti pressioni e l’embargo dall’esterno, il popolo ha saputo far funzionare le istituzioni in tutti i settori della società e ha costruito un sistema di libera espressione per tutti, indipendentemente dalla diversità delle opinioni.
Una domanda si impone: com’è stato possibile che il Kurdistan occidentale abbia potuto seguire la propria strada mentre la guerra in corso in Siria continuava e continua tutt’ora, alimentata dalle potenze dominanti del mondo?

LE CONDIZIONE IN CUI LA RIVOLUZIONE E’ COMINCIATA
La “Primavera dei Popoli” chiamata “Primavera Araba”, che ha avuto inizio in Tunisia ed è proseguita in Egitto e Libia, è riuscita anche in Siria. La rivoluzione popolare iniziata ufficialmente il 26 marzo 2011, ma in realtà il 15 marzo 2011, ha gradualmente guadagnato terreno in tutto il paese. Durante questo periodo, le grandi potenze come gli Stati Uniti, l’Europa, la Russia e la Cina e altri paesi ‘satelliti’ come la Turchia e l’Iran erano desiderosi di sviluppare una politica nel loro interesse di stati regionali. Così si sono cominciate a organizzare le forze di opposizione siriane (N.d.T. al regime di Bashar al-Assad): tredici partiti di sinistra, tre partiti curdi e diversi personaggi pubblici si sono uniti nel settembre 2011 sotto il nome di Comitato di Coordinamento per il Cambiamento Democratico Nazionale – CCCND) (El Heyet Tensiq). I soldati che disertavano l’esercito siriano hanno cominciato a fuggire in Turchia e hanno fondato l’”Esercito siriano libero” (ESL). Più tardi, gruppi organizzati da Arabia Saudita, Iran, Turchia e Al-Qaeda si sono inquadrati nei ranghi dell’ESL. Il 15 settembre 2011, un gruppo di opposizione siriano ha fondato a Istanbul, con il sostegno della Turchia, il Consiglio nazionale siriano (CNS). Allo stesso modo i gruppi di opposizione si sono riuniti a Doha, capitale del Qatar, e hanno fondato l’11 novembre 2012 la Coalizione Nazionale delle forze della Rivoluzione e dell’opposizione siriana (CNFROS). Nel frattempo, la guerra tra clan è proseguita con il suo strascico di tragedie e distruzione.

DIECI ANNI DI ESPERIENZA
La lotta e la resistenza dei curdi contro le politiche negazioniste e le guerre distruttive sono state, molto prima di questo periodo che ha coinvolto oggi il Kurdistan occidentale, le forze motrici della “Primavera delle Nazioni”. La resistenza del Kurdistan occidentale risale infatti a ben prima del 2011. La lotta di liberazione del popolo curdo è stata – in questa parte del Kurdistan, dove ha vissuto per molti anni Abdullah Ocalan, il leader del popolo curdo – molto importante e i curdi in Siria hanno pertanto acquisito di fatto dieci anni di esperienza.

Gli eventi del 12 marzo 2004, allorché il regime Baath ha proceduto ad un vero e proprio massacro nella città di Qamişlo, fu come uno shock per il movimento curdo che ha in seguito rafforzato i suoi mezzi di auto-difesa e moltiplicato le sue attività in campo sociale. La creazione della maggiore formazione politica nella regione, il Partito dell’Unione Democratica, il PYD, risale a questo periodo (2003). Questa politica ha dato i suoi frutti e ancora oggi le forze di difesa del popolo (YPG) si possono appoggiare a questa mobilitazione.

IMPEGNO ATTIVO NELLE RIVOLUZIONE
La rivolta popolare contro il regime siriano per i curdi è stata l’occasione di portare la propria lotta a un livello superiore. Il movimento curdo, pur decidendo di partecipare attivamente alla rivoluzione, è stato in grado di fare tesoro della sua esperienza storica, e in conformità con la propria visione di società ha deciso di seguire un corso indipendente. Ha preso le distanze sia dalle forze del regime Baath sia dalle forze di opposizione, mostrando di posizionarsi come terza forza, una forza che propone una soluzione. All’inizio, durante le manifestazioni nazionali del venerdì, sia le forze del regime Baath, sia quelle dell’opposizione cercavano di tirare i curdi ciascuno dalla propria parte. Gli uni e gli altri promettevano di riconoscere ai curdi i loro diritti, ma “dopo la risoluzione del conflitto”, entrambi accusandoli di fare il gioco dell’avversario: pro-regime per l’uno, pro-opposizione per l’altro.

Di fronte all’approccio e del regime e dell’opposizione, i curdi hanno deciso, per rimanere attivi nella rivoluzione e mobilitati politicamente, di creare il Movimento della Società Democratica (TEV-DEM) e l’Assemblea Popolare del Kurdistan Occidentale (MGRK). Sedici partiti curdi del Kurdistan occidentale hanno a loro volta creato l’Assemblea nazionale curda della Siria (ENKS). I curdi sono stati gli iniziatori dei cortei del venerdì nelle regioni curde e il TEV-DEM è stato l’organizzatore delle proteste contro le politiche negazioniste. Per la prima volta corsi di lingua curda sono stati inaugurati a Efrin. Assemblee popolari sono state istituite in tutte le città, assicurando servizi che in precedenza erano di competenza dello Stato, come la distribuzione di gasolio e la pulizia delle strade. Giovani curdi hanno iniziato a offrire corsi di curdo nelle scuole secondarie e superiori. Nello stesso periodo è stato creato l’Istituto per la Lingua curda (Saziya Zimane Kurdi-SZK).

LE FORZE DI DIFESA
I curdi si sono organizzati politicamente e, dopo aver sviluppato le loro attività nella società civile, hanno rafforzato le loro forze di legittima autodifesa (YPG), fondate nel 2004 e riconosciute ufficialmente nel 2011. Tutte le unità legate alle YPG hanno successivamente preso posizione lungo i confini del Kurdistan occidentale.

LA RIVOLUZIONE DEL 19 LUGLIO E LA STRATEGIA IN TRE FASI
La strategia curda è stata quella di stare lontano da questa sporca guerra e di organizzare la propria resistenza, cercando di sviluppare una propria politica indipendente. La rivoluzione del 19 luglio 2012 ha permesso al popolo del Kurdistan occidentale di prendere gradualmente il controllo di tutte le assemblee comunali in base alla strategia avviata dal movimento curdo, una strategia in tre fasi. La prima fase è stata diretta a prendere il controllo delle zone rurali e dei villaggi collegati al comune, la seconda a prendere il controllo delle istituzioni civili e dei servizi pubblici connessi allo stato, la terza al controllo di tutte le città curde.

Il 18 luglio 2012, quando gran parte dei quadri dirigenti del regime siriano sono stati uccisi nel corso di una riunione di crisi a Damasco, capitale della “Repubblica araba siriana”, l’Esercito siriano libero (ESL) ha preso il controllo delle città di Minbic e Cerablus situate tra Kobanê e Aleppo. Questi hanno contribuito al ritiro delle forze militari siriane nelle città curde tra cui quella di Kobanê, con il sostegno della popolazione curda. A partire dal 19 luglio 2012, la terza fase della strategia del movimento curdo poteva dispiegarsi. Dopo Kobanê è stata la volta delle città di Serêkaniyê, Dirbêsiyê, Amude, Derik, Girke lege, Tirbespiyê e Tiltemîr. I quartieri curdi delle città siriane ancora sotto il controllo delle forze del regime – Aleppo, Raqqa e Hassaké – sono stati anch’essi “liberati”. Durante questo periodo di 2-3 mesi, tutte le collettività locali curde sono andate nelle mani del popolo, ad eccezione di Qamişlo, la più grande città della regione, ancora sotto il controllo delle forze del regime siriano, e di alcune istituzioni pubbliche.

Il mese di luglio è diventato ancora una volta un punto di svolta nella storia dei curdi. Il 2 luglio 1979, infatti, il leader del popolo kurdo, Abdullah Ocalan, aveva varcato i confini del Nord Kurdistan per andare in Kurdistan occidentale, aprendo la strada per la rivendicazione identitaria: si trattò di un passo storico nella lotta per la liberazione del Kurdistan. I 14 luglio 1982 quattro quadri del PKK, Hayri Durmuş, Mehmet Kemal Pir, Akif Ali Yilmaz e Ali Çiçek, detenuti nel carcere di Diyarbakir, avevano iniziato uno sciopero della fame fino alla morte per protestare contro il sistema carcerario, le pressioni, la tortura e la politica negazionista verso l’identità curda. Attraverso questa resistenza è stata scritta una nuova pagina nella lotta per la liberazione del Kurdistan. Questa lotta si è diffusa nei quattro angoli del Kurdistan e ha portato la voce del popolo curdo a tutto il mondo.

Il 19 luglio 2012, i curdi che avevano cacciato le forze del regime dalle città del Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava) hanno preso la gestione del governo locale per mettere in pratica i principi di un sistema chiamato “autonomia democratica”, tra cui il controllo politico, l’organizzazione delle forze di legittima autodifesa, l’amministrazione della giustizia e le attività economiche e socio-culturali, nonché le questioni riguardanti i diritti delle donne.

LA FONDAZIONE DELL’ALTO CONSIGLIO CURDO
Gli eventi del 19 luglio 2012 e le loro conseguenze hanno rafforzato l’unione dei diversi gruppi politici curdi nel Kurdistan occidentale. Il PYD – che è la più grande delle forze politiche della regione – rilevando, dopo diversi incontri, una concreta evoluzione,
si è riunito all’Assemblea del popolo del Kurdistan occidentale e ha formato con altri sedici partiti curdi l’Assemblea nazionale curda della Siria (ENKS). A seguito di questo importante incontro, che si è tenuto l’11 luglio a Erbil, nel Kurdistan meridionale, le due assemblee hanno deciso di lavorare insieme e hanno annunciato ufficialmente il 24 luglio la fondazione dell’Alto Consiglio Curdo. Questo passo decisivo per l’unità fra i curdi è stato accolto il 29 luglio in Kurdistan occidentale da centinaia di migliaia di curdi che sono scesi in piazza per dare il proprio riconoscimento all’Alto Consiglio Curdo. Successivamente l’Alto Consiglio Curdo ha istituito tre comitati: il “Comitato della diplomazia”, il “Comitato dei Servizi Sociali” e “Comitato della Difesa”.

LA VITTORIA DIPLOMATICA
Questa nuova situazione è stata ben accolta a livello internazionale. Così Lakhdar Brahimi (già alto rappresentante della Lega Araba e delle Nazioni Unite nel mondo, nominato il 17 agosto 2012 mediatore internazionale delle Nazioni Unite nella guerra civile siriana), si è incontrato con funzionari dell’Alto Consiglio Curdo. Allo stesso modo, funzionari del Consiglio hanno avuto l’opportunità di condividere la loro visione politica con l’opinione pubblica internazionale durante le visite nei paesi europei. I più importanti sviluppi diplomatici sono avvenuti nel maggio 2013, quando, su proposta del PYD, l’Alto Consiglio Curdo è stato ufficialmente invitato a partecipare alla Conferenza di Ginevra, alla quale parteciperanno gli Stati Uniti, la Russia, l’Unione europea e le forze dell’opposizione siriana. I curdi, la cui esistenza non è stata fino ad ora riconosciuta, potranno partecipare per proprio conto a una piattaforma internazionale.

YPG, LE FORZE DI DIFESA NAZIONALE
Insieme a questi sviluppi politici e diplomatici e alla presa di controllo delle autorità locali della città, importanti misure sono state adottate nel settore della difesa. Le YPG, fondate nel 2004, si sono organizzate dopo la rivoluzione del 19 luglio 2011 in brigate e battaglioni che hanno preso posizione in tutte le città del Kurdistan occidentale e in città della Siria come Aleppo e Hassaké. Le YPG, che svolgono un importante ruolo di difesa nella regione, hanno dato prova di una grande resistenza agli attacchi del regime nelle città di Aleppo, Efrin, Serêkaniyê, Amude e Hassaké. Le YPG, nonostante la perdita di decine di combattenti che sono morti negli scontri, hanno mantenuto la loro posizione e protetto senza distinzione tutti i popoli della regione. Le YPG sono oggi riconosciute come la “Forza di Difesa Nazionale”, nonostante la propaganda anti-curda le dipinga come una “forza armata di un gruppo politico.”

LA SICUREZZA NELLE CITTA’ E’ DI CONPETENZA DELL’ASAYIS
Un passo importante è stato compiuto per garantire la sicurezza nelle città, considerata un requisito indispensabile per il funzionamento di base dell’auto-governo democratico. La polizia ha preso posizione prima a Kobanê, poi in tutte le province del Kurdistan occidentale. La sicurezza delle città è stata affidata a loro dopo aver ricevuto un addestramento nelle accademie militari delle regioni di Cizre, Kobanê e Efrin. Finora hanno soddisfatto le aspettative. I loro interventi nell’ambito dei reati penali (rapina, sequestro di persona, omicidio, conflitti familiari) sono apprezzati.

LE AUTORITA’ INDIPENDENTI E LE ASSAMLEE POPOLARI
Oltre a queste attività, sono state create nel Kurdistan occidentale assemblee popolari in città come Derik, Girke lege, Tirbê Spiyê, Qamişlo, Amude, Dirbêsiyê, Serêkaniyê, Tiltemir, Kobanê e Efrin, e in sette province collegate a Efrin ma anche in Siria, a Damasco, Aleppo, Raqqae Hassaké. “Case del popolo” sono stati istituite in ogni distretto. Sono proprio queste assemblee a essere responsabili per la soluzione dei problemi della popolazione.

Le popolazioni assire, araba, cecena, armena e caldea, prima diffidenti, hanno successivamente preso il loro posto in queste assemblee. Numerosi sono coloro che, tra queste persone, si sono impegnati non solo nelle attività di queste assemblee, ma anche tra le fila delle forze di difesa.

SI ISTITUZIONALIZZA L’ISTRUZIONE IN LINGUA CURDA
Una delle attività educative più importanti è quella dedicata alla comprensione del sistema di auto-governo democratico attraverso una formazione rivolta a tutti i cittadini. Per raggiungere quest’obiettivo sono state istituite in molte città accademie che offrono formazione continua. Molte di queste istituzioni sono chiamate “Pensieri di Nuri Dersimi” (N.d.T. uno dei principali organizzatori della rivolta alevita di Dersim nel 1937, che si rifugiò in Siria fino alla morte avvenuta nel 1973). Vi si insegna la filosofia di Nuri che comincia così a raggiungere tutti i segmenti della società. Importanti passi sono stati compiuti attraverso questi sistemi educativi. Anche l’istruzione in lingua madre è stata una delle attività più importanti svolte nel Kurdistan occidentale. Per far fronte al flusso di formazione richiesta fornito dall’Istituto per la lingua curda (SZK), sono state costruite centinaia di scuole e sono stati formati quasi un migliaio d’insegnanti. Migliaia di bambini curdi sono educati fin dalla più tenera età in curdo. Inoltre corsi di curdo si sono tenuti per la prima volta nelle scuole appartenenti al regime. Queste attività vogliono essere un sistema alternativo al sistema di istruzione. E’ stata inoltre creata l’Unione degli insegnanti curdi. Si sono cominciate a creare importanti istituzioni nel campo dell’arte e della cultura. Diversi centri di “Arte e Cultura” sono stati aperti a Qamişlo, Derik, Amude, Aleppo, Efrin e Kobanê. Questi centri forniscono all’intera popolazione, adulti e bambini, attività quali lezioni di musica, danze popolari, teatro. E’ stato aperto inoltre un centro di ricerca sulla cultura regionale.

I COMITATI
I comitati sono stati istituiti per soddisfare le esigenze della popolazione e risolvere i problemi sociali, giudiziari e economici. In questo contesto, oltre al comitato per i servizi sociali dipendente dall’Alto Consiglio Curdo, sono stati istituiti comitati per la pace e i servizi sociali in ogni assemblea. A fronte di un sistema giudiziario statale, è stato istituito un comitato “giustizia” che riceve lamentele dai residenti durante il lavoro di modernizzazione: è stata costituito un comitato per la pace e la giustizia, legato all’Alto Consiglio Curdo, per una riforma del sistema giudiziario, il 4 aprile 2013 è stata creata l’Accademia delle Scienze Sociali della Mesopotamia, l’Ufficio “diritto e giustizia sociale.”

LE DONNE SONO LA FORZA MOTRICE DELLA RIVOLUZIONE
Le attività dei giovani e delle donne sono uno dei pilastri del sistema di autonomia democratica. Le donne curde mobilitatesi sotto il nome di Yekitiya Star (L’Unione di Stelle), hanno preso parte alla decisione di creare “assemblee popolari” per le donne e “case delle donne”. Esse sono rappresentate in modo adeguato nelle “assemblee popolari”. Hanno creato diversi centri educativi e scientifici e hanno fondato un’accademia per le donne il cui scopo è quello di diffondere l’ideologia della “liberazione delle donne”. Le donne assicurano la co-presidenza delle “autorità popolari”. Le organizzazioni femminili svolgono un ruolo attivo nella risoluzione dei conflitti politici, educativi, familiari, economici e quelli con le forze dell’ordine. Queste donne che si sono ritagliate un proprio ruolo per l’istruzione in lingua madre hanno deciso di riunirsi in un’associazione dal nome “Unione delle donne insegnanti” nell’Istituto per la Lingua Curda (SZK).

LE YPJ: LE UNITA’ DI DIFESA DELLE DONNE
Le donne, per sbarazzarsi del patriarcato e dello stato, hanno compiuto passi significativi nella costruzione di un sistema autonomo. Coloro che avevano preso posto fino a allora nelle file delle YPG hanno deciso di organizzarsi in modo indipendente a livello militare e prendere il nome di YPJ (Unità di Difesa delle Donne). Esse sono attualmente organizzate in brigate e battaglioni in tutte le province per difendere la popolazione.

Anche le attività dei giovani sono organizzati autonomamente sotto il nome di “Movimento della Gioventù Rivoluzionaria”. Inoltre, gli studenti sono organizzati sotto il nome di “Federazione degli Studenti Patriottici”. Alcune accademie sono incaricate della formazione.

COOPERATIVE PER LA ROTTURA DELL’EMBARGO
L’embargo presente nella regione crea notevoli problemi, in particolare nel campo della salute. La popolazione manca di generi di prima necessità come medicinali, cibo e carburante. Una commissione speciale è stata istituita sotto gli auspici dell’Alto Consiglio Curdo per risolvere questi problemi. La mezzaluna curda – Heyva Sor Kurd – è a disposizione per soddisfare al meglio le esigenze della popolazione e organizzare gli aiuti dall’estero.

E’ stata inoltre intrapresa nel 2013 un’altra iniziativa in campo economico, che è anche uno dei pilastri fondamentali del sistema, chiamata “Associazione per lo sviluppo dell’economia del Kurdistan occidentale”, creata al fine di rompere l’embargo e per costruire un sistema di risoluzione dei conflitti in questo settore. Questa organizzazione ha iniziato la sua opera nelle città di Kobanê e Derik, e intende sviluppare l’economia
basandosi sul dinamismo della popolazione. Essa promuove in particolare le cooperative.

STAMPA E INFORMAZIONE
Un’altra attività fondamentale nell’ultimo anno in Kurdistan occidentale riguarda la stampa e l’informazione. Nonostante l’obsolescenza dei mezzi di comunicazione risalenti a più di trent’anni fa, i servizi di stampa e di informazione hanno, a partire dallo scorso anno, lavorato costantemente e sistematicamente, con un canale TV, giornali, una rivista e una radio, tutte in collegamento alle agenzie di stampa. Radio locali trasmettono ora i loro programmi nelle città di Qamişlo, Kobanê, Derik e Efrin.

Mentre la lotta per il potere provoca sempre più morti e distruzione in Siria, le autorità autonome del Kurdistan occidentale creano un clima di fiducia e sono diventate un modello per i popoli della regione. Sono diventate il bersaglio di varie forze i cui interessi sono ora a rischio e che considerano la volontà popolare come una minaccia. Ecco perché il Kurdistan occidentale è sotto attacco e vittima di una guerra speciale.

Queste forze portate in campo dalla Turchia hanno creato incidenti ad arte per attirare i curdi nella trappola di un conflitto cieco. Un membro delle YPG è stato ucciso e altri tre gravemente feriti durante gli scontri del 2 ottobre 2012 nella città di Dirbesiyê dopo che le forze armate turche si sono posizionate in misura ingente al confine. Il PYD è stato accusato di collaborazionismo con il regime di Bashar al-Assad per seminare la divisione tra i curdi, ma tale piano è stato sventato. L’Esercito siriano libero (FSA), a sua volta, cerca di avvicinarsi a diversi gruppi e partiti curdi attaccando i valori del popolo curdo.

LE MANOVRE DELLA TURCHIA
Oltre agli attacchi militari, la Turchia è impegnata in importanti manovre diplomatiche per contrastare la volontà politica del popolo curdo. Dopo la creazione dell’Alto Consiglio Curdo, alcuni partiti curdi si sono incontrati ad Erbil con Ahmet Davutoğlu, ministro degli Affari esteri della Turchia. Nel contempo è stato rivelato un documento segreto del Ministero degli Affari Esteri della Turchia: un tentativo di screditare il PYD di fronte agli altri partiti curdi. Parallelamente Abdulhakim Besar, presidente del Partito democratico curdo (PDK-S/Al-Parti), si è riunito a Londra con le autorità statunitensi.

Da parte sua, Lakhdar Brahimi (mediatore delle Nazioni Unite nel conflitto siriano) ha chiesto un incontro con i funzionari del PYD che lo hanno messo al corrente della loro posizione, e cioè che l’organismo che rappresenta i curdi era l’Alto Consiglio Curdo e che non vi poteva essere quindi alcun dubbio che il PYD avrebbe dovuto essere l’unica organizzazione invitata a questo incontro. Diversi partiti curdi rappresentati nell’Alto Consiglio Curdo e nell’Assemblea nazionale dei curdi della Siria, come conseguenza di questa posizione del PYD, sono stati invitati a partecipare alla riunione con Lakhdar Brahimi tenutasi a Damasco.

INCONTRI SEGRETI ANTI PYD
Emissari turchi, americani e israeliani hanno tenuto nel corso di questi ultimi mesi di primavera, a Erbil, un incontro segreto con le autorità del Sud Kurdistan, il cui scopo era di silurare il PYD. A seguito di questo incontro, è stata rapidamente intrapresa una campagna diffamatoria contro il PYD, ma i curdi del Kurdistan occidentale hanno contrastato questa offensiva scendendo in piazza in massa.

Su richiesta dell’Alto Consiglio Curdo, l’Ensk (l’Assemblea nazionale curda della Siria creato da 16 partiti curdi nel Kurdistan occidentale) convocato per chiarire la sua posizione, e l’Assemblea Popolare del Kurdistan occidentale si sono incontrati e, il 4 novembre, il Presidente della Regione del Kurdistan del Sud (Mesut Barzani) ha fatto una dichiarazione sostenendo l’unione di tutti i curdi. Ma tre giorni dopo, contrariamente allo spirito dell’appello, sono stati invitati a partecipare alla riunione dell’opposizione siriana a Doha (Qatar) solo il Partito democratico curdo (PDK-S/Al-Parti) e il Partito dell’Unione Libertà (Azadi), “dimenticando” di invitare l’Alto Consiglio Curdo.

GLI ATTACCHI DELLE BANDE
La Turchia, le cui manovre per stabilire zone “cuscinetto” sono andate fallite, ha quindi optato per un’altra tattica tesa a far attaccare le città del Kurdistan occidentale da bande organizzate che hanno intensificato i loro attacchi. I quartieri curdi di Aleppo sono stati vittime di queste bande il 25 e 26 ottobre 2012. Trenta curdi sono stati uccisi in questi attacchi. Queste bande supportate dalla Turchia hanno lanciato attacchi senza sosta fra il 27 e il 30 ottobre 2012 contro la città di Efrin e i suoi dintorni. Successivamente è risultato che anche partiti curdi, il Partito democratico curdo (PDK-S/Al-Parti) e il Partito dell’Unione Libertà (Azadi) avevano partecipato ad attacchi contro curdi nelle città di Aleppo e Efrin.

QUANDO IL PIANO E’ FALLITO A EFRIN SI SONO DIRETTI A CIZRE
Nel momento in cui il piano contro la città di Efrin è fallito, un secondo piano è stato messo a punto contro Cizre dall’esercito turco che il 2 settembre ha attaccato la linea di confine a Dirbesiye uccidendo un membro delle YPG e ferendone gravemente altri tre. Il 20 settembre un membro della ENKS, Ebu Candia, è stato assassinato a Serêkaniyê. L’8 novembre, gruppi armati con base in Turchia hanno cominciato ad attraversare il confine a Serêkaniyê, dichiarando di essere gruppi dell’opposizione siriana venuti a combattere le truppe governative. Ma il 19 novembre hanno preso a attaccare i curdi.

Va notato che questi attacchi sono stati commessi con la partecipazione dei partiti curdi, il Partito Democratico Curdo (PDK-S/Al-Parti) e il Partito dell’Unione Libertà (Azadi), mentre si teneva un incontro segreto a Doha, capitale del Qatar. Le forze delle YPG hanno opposto una strenua resistenza che ha sventato questo secondo piano, costringendo il 13 dicembre questi gruppi di banditi a firmare un accordo in base al quale si ritiravano dalla città. Allo stesso tempo, le truppe del regime Baath sono state respinte al di fuori delle città curde di Dirbêsiyê, Tiltemir, Amude e Derik. Secondo l’accordo, le forze di opposizione siriane hanno accettato di riconoscere tali aree come zone franche e si sono impegnati a fermare i loro attacchi.

GİRZİRO E DI NUOVO SERÊKANİYÊ
Questo accordo è durato solo un mese, e il 16 gennaio 2013, mentre le forze di difesa delle YPG e il movimento curdo erano impegnati a cacciare i militari del regime Baath di Girziro, un villaggio nel comune di Girke lege che si trova nella regione petrolifera, i gruppi armati hanno attaccato di nuovo Serekaniyê. Gli scontri sono durati quindici giorni e sono stati condotti da venti gruppi diversi. Nel corso di questi scontri due ambulanze, una francese e l’altra turca, sono state sequestrate dalle forze delle YPG mentre stavano trasportando armi fabbricate in Turchia. Uno degli aggressori era un cittadino turco. Si è inoltre constatato che paesi come la Turchia, la Francia, l’Iran, il regime Baath e le forze di opposizione siriane hanno preso parte agli scontri. Le perdite da parte degli aggressori sono state ingenti. Da parte curda si è lamentata la morte di quattro civili e undici combattenti, membri delle YPG.

Le forze delle YPG hanno combattuto le forze del regime a Girziro e polverizzato i gruppi armati a Serekaniyê. Le forze delle YPG hanno inoltre preso il controllo il 1° marzo 2013, dopo una settimana di scontri, del comune di Cil Axa (Al Jawadiyah) attaccato alla città di Girke lege e nella regione petrolifera di Rimêlan. Parallelamente a questi eventi, il 13 febbraio 2013 i gruppi armati hanno attaccato la città di Tiltemir dove vivono insieme in pace, curdi, arabi e assiri. Gli scontri tra le forze dell’ESL e delle YPG hanno provocato dieci morti tra gli assalitori.

LE FRONTIERE SONO STATE CHIUSE
Dopo questi attacchi, il governo regionale del Kurdistan del Sud ha deciso il 19 maggio 2013 di chiudere il posto di confine di Sêmalka, nonostante le proteste della popolazione curda che ha interpretato questa decisione come parte del piano anti-curdo.

NUOVI ATTACCHI AD EFRIN
Questi gruppi armati, dopo aver fallito a Cizre, hanno attaccato di nuovo Efrin, e per raggiungere i loro scopi hanno messo l’intera regione sotto embargo. Dal 25 maggio 2013 hanno cominciato ad attaccare i villaggi vicino a Efrin e costretto la popolazione di Aleppo (Aleppo) all’emigrazione forzata. Questi gruppi hanno anche cercato di tagliare acqua ed elettricità. Tre attivisti di Al-Qaeda usciti dalla Tunisia sono arrivati in Siria attraverso la Turchia per partecipare ai combattimenti. Hanno detto che avevano ricevuto aiuto dai servizi segreti dello Stato turco. La zona è ancora soggetta ad embargo.

Durante gli scontri nella città di Hassaké, forze delle YPG hanno identificato soldati turchi. Questi gruppi armati hanno provato ad attaccare il tessuto sociale della regione sviluppando un traffico di droga, ma si sono confrontate con le forze dell’ordine popolari che hanno cacciato i trafficanti e messo sull’avviso la popolazione. Mentre tutti questi piani venivano neutralizzati, il movimento politico curdo decideva tuttavia di rafforzare e formalizzare il proprio sistema di difesa per
mezzo di tutte le istituzioni create durante questo periodo di conflitto.

In questo quadro, tutti i capi delle principali tribù del Kurdistan occidentale si sono riuniti il 24 febbraio 2013 a Amude per dare vita a un’assemblea delle tribù.

VITTORIA DIPLOMATICA DELL’ALTO CONSIGLIO CURDO
La più importante vittoria diplomatica curda si è avuta nel maggio 2013 quando, su proposta del PYD, l’Alto Consiglio Curdo è stato ufficialmente invitato dalla Russia alla Conferenza di Ginevra, che vedrà la partecipazione degli Stati Uniti, della Russia, dell’Unione europea e delle forze dell’opposizione siriana. I curdi, la cui esistenza non era precedentemente riconosciuta, saranno in grado di partecipare per proprio conto a una piattaforma internazionale. Alcune forze guidate dagli Stati Uniti hanno cercato da allora di far annullare questo invito e per frantumare l’unità dei curdi hanno proposto nomi come quello di Abdulbasit Seyda (che è stato per un periodo presidente del Consiglio nazionale siriano, ed è considerato dal Consiglio nazionale curdo come la voce della Turchia, mentre per il CNK rappresenta solo se stesso).

Infine, nonostante tutti questi ostacoli, i curdi, in base alle loro esperienze e risultati, eleggeranno un’autorità regionale provvisoria in cui verranno rappresentati tutti i gruppi etnici. Un “contratto sociale” sarà firmato da tutte le parti. Sarà nominato un comitato dall’autorità regionale provvisoria, previa consultazione e discussione con le strutture etniche, culturali e religiose. Questa autorità provvisoria che prenderà il posto dell’Alto Consiglio Curdo dovrà pubblicare ufficialmente il contratto sociale da sottoporre a referendum popolare durante le elezioni regionali. Queste elezioni regionali si terranno entro tre mesi dall’istituzione dell’autorità provvisoria. In questo modo il popolo avrà ufficialmente scelto la propria autorità.

E’ possibile datare tutti questi sviluppi dal 19 luglio 2012, primo anno della rivoluzione. I popoli del Kurdistan occidentale hanno fondato e costruito un solido sistema contro le politiche negazioniste. Hanno iniziato a praticare questo sistema in tutti i settori della vita con il nome di “autonomia democratica”. (Fonte: Dildar Aryen, Questo articolo è stato pubblicato in tre parti dall’agenzia di stampa ANF dall’17.07.2013)

LA BANDA DI ALQAEDA ASSASINA I CURDI

In Siria da due anni è in corso una guerra civile e si vive una tragedia umana. E i curdi soffrono sempre di più delle sue conseguenze. Fin dall’inizio i curdi non hanno preso posizione, ovvero si sono comportati in modo estremamente prudente. Prudenti, affinché i combattimenti non si estendessero alle loro zone. Le precauzioni prese in buona parte hanno avuto successo. Perché hanno avviato un autogoverno dei loro territori. Nel nord della Siria i curdi sono la maggioranza. Oltre ai curdi, in questa zona vivono anche arabi, assiri e armeni. La regione curda rappresenta anche per questi popoli una regione sicura. Tali popoli, così come i gruppi religiosi come cristiani e yazidi, sono rappresentati nelle comunità di autogoverno costituite. Ma questo autogoverno non è piaciuto a tutti coloro che hanno interessi nella regione e quindi hanno provato a distruggerlo. In primo luogo era lo Stato turco a sentirsi disturbato. Ha immediatamente chiuso i confini, decretato l’embargo e impedito l’avvicinamento tra i curdi e l’opposizione siriana. E successivamente ha appoggiato all’interno dell’opposizione siriana il Fronte Al Nusra nella guerra contro i curdi con armi e tutti i mezzi possibili. In questo modo ha poi rafforzato questi gruppi che intendono dominare la regione. Sentendosi rafforzati nei loro intenti, hanno attaccato. Attualmente si combatte dappertutto nelle zone curde di Haseki, Raqqa e Aleppo. Questo vuol dire che dal confine iracheno fino alla città di confine di Hatay/Turchia, ovvero una zona di confine lunga 700 km sono in corso combattimenti.

Fin dall’inizio i curdi non erano amici del regime siriano. Come in altre zone del paese, anche nelle zone curde ci sono state proteste. Ma l’opposizione siriana si è appoggiata al nazionalismo arabo. E il popolo curdo con i suoi diritti umani fondamentali non veniva riconosciuto. Le richieste dei curdi non venivano ascoltate. Per questa ragione i curdi hanno preso una terza via e così determinato la propria collocazione in Siria. Ovvero né con il regime, né dalla parte dell’opposizione. Perché i curdi non hanno attaccato nessuno e/o si sono appropriati della terra di qualcuno. Ma contro gli attacchi, da qualunque parte provenissero, hanno cercato di difendersi. Anche le forze del regime hanno combattuto contro i curdi. Soprattutto ad Aleppo sono state usate armi chimiche contro i curdi. E nonostante questi attacchi, i curdi sono rimasti sulla posizione dell’autogoverno e cercano pazientemente di mantenere questa posizione. Gli attacchi del 16 luglio sono stati iniziati dal Fronte Al-Nusra, che è subordinato ad Al-Qaeda. L’obiettivo di questo Fronte è di costituire in tutta la regione un emirato islamico. Sotto il nome “Stato Islamico Iraq-Damasco” nelle zone occupate hanno già proclamato il proprio potere. Con l’occupazione delle zone curde vogliono completare il loro “emirato islamico”. Il Fronte Al-Nusra Front viene appoggiato dalle formazioni jihadiste della regione. Questi gruppi sono costituiti prevalentemente da persone organizzate in diversi paesi e inviate in Siria in nome della guerra santa “Jihad” e che con la Siria non hanno nulla a che vedere, ovvero non sono siriani.

È interessante anche osservare che in diversi paesi islamici, molti prigionieri legati ad Al-Queda sono ‘fuggiti’, ma in realtà sono stati liberti e mandati in Siria (Iraq/Bagdad: Carceri di Abu Graib e Taci – più di 800 detenuti, Libano: carcere Bingazi Kuveyfiye– circa 1200 prigionieri, Pakistan: circa 250 prigionieri dal carcere Dera Ismail Han). In Arabia Saudita Arabia sono stati rilasciati circa 1400 pericolosi criminali condannati e mandati in guerra in Siria. Questi gruppi non hanno nulla a che vedere con giustizia, diritti umani, etica, coscienza morale. Anche con il vero Islam non hanno niente a che fare. Sono spietati e barbari. Da loro presunti studiosi religiosi vengono proclamate le cosiddette “Fatwa” contro i curdi. Secondo loro i curdi sono “infedeli” e uccidere i loro uomini è un buon atto di fede. E il sequestro dei loro beni, di donne e bambini è permesso. Non c’è distinzione tra civile e soldato. Fino ad ora sono stati uccisi centinaia di persone indifese e di bambini. Da ultimo, il 1 agosto 2013 sono state uccise più di 70 persone nei villaggi di Til Eran e Til Hasil ad Aleppo. Le riprese di questo massacro sono state anche pubblicate. Sono state trasmesse anche le riprese del rogo di tre ostaggi curdi cosparsi di benzina. Nessuno sa cosa sia successo con centinaia di altri curdi che hanno portato via durante controlli stradali e assalti ai villaggi.

L’embargo proclamato contro i territori curdi diventa sempre più rigido. Non solo i valichi di confine turchi sono chiusi, ma sono stati chiusi anche quelli verso il Kurdistan meridionale e l’Iraq. E dall’altro lato, le strade che portano verso le città siriane sono controllate dai banditi e criminali già citati. Per salvarsi, soprattutto da Aleppo e Damasco, la gente (curdi, assiri, armeni, in parte arabi e cristiani e yazidi) fuggono verso le zone curde. La popolazione di questa zona è raddoppiata. Quindi le tragedie umane sono predeterminate. Le zone curde hanno di fronte due grandi problemi: da un lato sono esposti agli attacchi armati di questi gruppi barbarici e senza scrupoli. Se dovessero davvero riuscire a vincere questa guerra, significherebbe un massacro su larga scala. Dall’altro lato a causa dell’embargo sono confrontati con un dramma umanitario. Siamo consapevoli del fatto che in tutta la Siria si verificano delle tragedie. Ma la minaccia alla quale sono esposti i curdi è particolarmente seria e grande. Perché porta in sé il potenziale di una grande tragedia.

Per questo sarebbe necessario intervenire prima che sia troppo tardi:

• gli attacchi e i massacri ai quali sono esposti i curdi devono essere condannati

• la Turchia deve smettere immediatamente di fornire appoggio ai gruppi citati e aprire i valichi di frontiera. Allo stesso modo devono essere aperti i valichi di frontiera verso il Kurdistan meridionale e l’Iraq

• vanno forniti aiuti umanitari alle zone curde sotto la sorveglianza dell’ONU.

• riconoscimento dell’identità curda in Siria e la realtà del popolo curdo e dei suoi diritti umani e con il diritto all’autogoverno e alla costruzione di una Siria democratica e pluralista.

Per queste ragioni facciamo appello a tutti i paesi, ma soprattutto all’ONU, all’UE, alla Commissione europea, a tutti gli enti/istituzioni e a tutti coloro che credono nella pace, nella democrazia, nella libertà e nei diritti umani, perché alzino la propria voce, prendano posizione, mostrino sensibilità e prendano misure adeguate. (Comunicato Stampa del Consiglio Esecutivo del Congresso Nazionale del Kurdistan -KNK)

FONTE
http://www.firatnews.com/news/guncel/yo ... evrimi.htm
http://www.ilkehaber.com/haber/rojava-n ... -27052.htm
http://www.yeniozgurpolitika.com/index. ... e&id=22317
http://www.firatnews.com/news/guncel/ro ... -evran.htm
http://www.kongrakurdistan.net

KNK, Congresso Nazionale del Kurdistan
Rue Jean Strass 41, 1060 Brussels, Belgio
www.kongrakurdistan.net / kongrakurdistan@gmail.com
Tel. 0032 26 47 30 84
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