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La Russia di Putin è il male, una delle fonti principali del male che infesta la terra"Il costo della libertà. Se vincono i russi crolla l'Occidente"Roberto Fabbri
23 Novembre 2022
https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 87968.htmlL'ultimo libro di Vittorio Emanuele Parsi è prezioso e necessario. Il posto della guerra e il costo della libertà fa razionale giustizia di una quantità di luoghi comuni ed equivoci penosi che imperversano, soprattutto in Italia, in questo 2022 segnato dall'aggressione militare russa all'Ucraina. In primo luogo quello secondo cui può esistere, e anzi sarebbe moralmente giustificabile, una pace senza libertà da imporre agli ucraini in cambio di un ipotetico ma in realtà impossibile, e Parsi lo dimostra ritorno a ciò che l'Europa è stata prima dello scorso 24 febbraio. Il libro non è solo un'analisi lucida di ciò che c'è in gioco la sopravvivenza stessa dei valori democratici messi sotto attacco a livello globale dall'alleanza russo-cinese - ma anche un'esortazione a comprendere che, poiché Putin ha deciso di interrompere 77 anni di pace europea, siamo costretti a riconsiderare l'idea stessa che abbiamo della guerra: in altre parole, siccome la democrazia non è gratis, se non la difenderemo noi nessun altro lo farà.
Professor Parsi, perché afferma che il punto non è «fermare la guerra» bensì «salvare la democrazia»?
«Perché esiste un rapporto sostanziale reciproco tra le istituzioni dei Paesi democratici e quelle delle istituzioni internazionali. Se l'egemonia passasse alle autocrazie, verrebbe meno un intero sistema di valori».
Come risponde a chi afferma che la Nato avrebbe «abbaiato ai confini russi» e sarebbe quindi responsabile della guerra all'Ucraina?
«La Nato non aggredisce nessuno, è un'organizzazione difensiva. Tutti i Paesi dell'Europa orientale che vi hanno aderito lo hanno fatto per libera scelta. Nessuno di loro si è rivolto alla Russia, il cui regime basato sulle menzogne non ha capacità attrattiva e i cui difetti essi ben conoscono».
Nel libro evidenzia il ricatto economico di Putin e il «disegno orwelliano» che ha in serbo per noi...
«È un elemento di debolezza dell'Occidente aver creduto che la crescita dei commerci favorisca l'avvicinamento tra i Paesi. Questo purtroppo non vale per quei Paesi autoritari in cui il potere politico coincide con quello economico, il quale diventa così un'arma per trasformare la vulnerabilità economica in sottomissione politica».
Lei critica, pur senza far nomi, il ruolo di «propagandisti prezzolati» delle autocrazie...
«Mi colpisce che chi era un attento cane da guardia delle responsabilità occidentali ad esempio in Irak, oggi si accucci volentieri sulle ginocchia di Putin che aggredisce l'Ucraina. Così dimostrando di agire per pregiudizio anti-occidentale. Ciò detto, è vero che in Irak abbiamo sbagliato e che figure come Bush e Blair meritavano la censura per i loro errori».
Cosa direbbe a chi afferma che l'Ucraina non ci riguarda?
«Che la nostra libertà ha un costo. Che il costo per sostenere Kiev è alto, ma quello del rischio del crollo dei principi fondativi del nostro sistema in caso di vittoria russa è molto superiore».
Perché in Italia tanti non capiscono la differenza tra vivere liberi e non liberi?
«Siamo così concentrati sui nemici interni da non capire la gravità delle minacce esterne. La democrazia italiana non durerebbe più di due-tre anni senza connessione con le istituzioni europee e occidentali».
Come finirà la guerra?
«Finirà in primavera, quando a Mosca capiranno che nessun obiettivo in Ucraina è stato conseguito. Che l'Ucraina resiste, che Svezia e Finlandia entrano nella Nato, che la Cina sceglierà l'ordine internazionale. La pace verrà col ritiro russo dalle terre occupate nel '22 e con un negoziato su quelle prese nel 2014».
"Troppo cauti contro Putin". Le rivelazioni di BoJo sullo scoppio della guerraFederico Giuliani
24 novembre 2022
https://www.ilgiornale.it/news/guerra/j ... 88485.htmlLa Germania di Olaf Scholz, la Francia di Emmanuel Macron e pure l'Italia di Mario Draghi sono finite nel mirino di Boris Johnson per le loro reazioni iniziali all'attacco russo in Ucraina dello scorso 24 febbraio. L'ex premier britannico ha lanciato frecciatine velenose all'indirizzo dei tre membri di spicco della Nato, lasciando intendere che il Regno Unito, al contrario di altri, ha subito sostenuto Kiev senza esitazioni. In un'intervista alla Cnn Johnson ha fornito la propria ricostruzione dei fatti, tra toni di comprensione e attacchi diretti, quasi a volersi paragonare ad un Winston Churchill contemporaneo di fronte ai tentennamenti attribuiti ad altri leader e governi europei. Va da sé che le sue parole hanno scatenato non poche polemiche per un modus operandi ben poco diplomatico.
L'affondo di Johnson
Secondo Johnson, la Francia "negava" la prospettiva di un'invasione russa dell'Ucraina, mentre il governo tedesco è stato accusato dall'ex inquilino di Downing Street di favorire inizialmente una rapida sconfitta militare ucraina anziché un lungo conflitto. L'ex primo ministro britannico non ha lesinato critiche neppure alla risposta iniziale del governo Draghi: "A un certo punto ci stava semplicemente dicendo che non sarebbe stato in grado di sostenere la posizione che stavamo assumendo", data la "massiccia" esposizione dell'Italia agli idrocarburi russi.
Certo, Johnson ha spiegato che questi atteggiamenti sono poi evaporati come neve al sole, sottolineando che, in seguito, le nazioni dell'Unione europea si sono mobilitate per sostenere l'Ucraina, fornendo a Kiev un supporto costante. Ma, ha ribadito, la situazione sarebbe stata ben diversa prima dello scoppio delle ostilità.
Critiche e polemiche
"Potevamo vedere i gruppi tattici del battaglione russo accumularsi, ma Paesi diversi avevano altre prospettive", ha ricordato Johnson. "L'opinione tedesca – ha proseguito - ad un certo punto era che se ci fosse stata un'invasione russa, allora sarebbe stato meglio che tutto terminasse in fretta e che l'Ucraina si piegasse".
L'ex primo ministro ha spiegato che non poteva sostenere un simile modus operandi: "Pensavo fosse un modo disastroso di vedere la cosa. Ma posso capire perché lo hanno fatto". Dalla Germania è arrivata una risposta secca e pungente. La Francia di Macron, nel ricordo di Johnson, avrebbe invece negato fino all'ultimo la prospettiva di un'invasione dell'Ucraina, malgrado gli avvertimenti di Usa e Gran Bretagna.
La replica di Berlino: "Parole senza senso"
Berlino ha accusato Johnson di avere "un rapporto unico con la verità". Steffen Hebestreit, portavoce del governo Scholz, ha definito le parole di Johnson "senza senso", tenuto conto che la Germania è arrivata a rompere a beneficio dell'Ucraina il proprio tabù post nazista sul divieto "d'invio di armi a Paesi in guerra". Da Parigi, così come da Roma, non sono arrivate repliche.
Al netto degli affondi, Johnson non ha mancato di rendere "omaggio all'Ue" per il graduale allineamento alla strategia delle "sanzioni dure". E per aver contribuito alla fin fine "in modo brillante" a un fronte occidentale "unito". Tanto da invocare il via libera in tempi brevi dell'ingresso dell'Ucraina nel club di Bruxelles come "una cosa positiva" per Kiev.
LA RUSSIA STA IMPLODENDO? E DOBBIAMO SPERARLO O TEMERLO? IL RISCHIO CAOS E LA PROFEZIA DI EISENHOWERdi Gianluca Mercuri, Il Corriere della Sera
Niram Ferretti
24 novembre 2022
https://www.facebook.com/niram.ferretti ... 2630052178Arrivati a nove mesi, tondi, di guerra, una questione riaffiora puntualmente: Putin può cadere? La Russia può implodere? Il conflitto può terminare finalmente con l’autocombustione del contendente meno atteso, l’aggressore superpotente anziché l’aggredito indifeso? Il fatto che i due assunti di partenza si siano rivelati sballati — l’aggressore non è così superpotente e l’aggredito non è affatto indifeso — finirà per tradursi in un crollo degli invasori, sul fronte interno prima ancora che sul campo di battaglia? E quali potrebbero essere le conseguenze globali di quel crollo?
Finora, al ciclico riproporsi di queste domande, il consueto giro di analisi sulla stampa internazionale finiva per convenire a stragrande maggioranza che no, il frutto di Putin è avvelenato ma non ancora abbastanza maturo da cadere, il grosso della popolazione sta con lui per paura, convinzione, abitudine o convenienza, l’élite si guarda bene dallo sfidarlo, i potenziali successori sono screditati dall’andamento della guerra e in competizione fra loro, eccetera eccetera. In sostanza, l’opinione comune era che Putin fosse, e sia, uno zar non di nome ma di fatto, per la presa ferrea sul Paese e la capacità di declinare a suo favore la miscela di nazionalismo, nichilismo e frustrazione che è la sottotraccia perenne dell’anima russa.
Per questo ieri sera in molte redazioni di giornali sparse sul pianeta qualcuno è sobbalzato vedendo arrivare la mail dell’Economist che annunciava il nuovo intervento del suo stimato Russian editor, Arkady Ostrovsky, dal titolo così sbilanciato — «La Russia rischia di diventare ingovernabile e di precipitare nel caos» — da farsi aprire immediatamente.
Ma cosa dice Ostrovsky? In sintesi, questo:
• Uno Stato fallito
«La guerra di Putin sta trasformando la Russia in uno Stato fallito, con confini incontrollati, formazioni militari private, popolazione in fuga, decadenza morale e la possibilità di un conflitto civile. Sebbene la fiducia dei leader occidentali nella capacità dell’Ucraina di resistere al terrore di Putin sia aumentata, cresce la preoccupazione per la capacità della Russia di sopravvivere alla guerra. Potrebbe diventare ingovernabile e precipitare nel caos».
• I confini in via di liquefazione
L’annessione farsa di 4 territori ucraini e il successivo, rapido ritiro da Kherson hanno stabilito un precedente devastante: la Russia perde territori che considera suoi, e dopo averli appena dichiarati suoi. Già Lucio Caracciolo ha sottolineato che questo, di per sé, vuol dire che tecnicamente è cominciata la disintegrazione dell’impero. L’Economist è sulla stessa linea, e cita la politologa Ekaterina Schulmann: «La Federazione Russa, così come la conosciamo, si sta autoliquidando e sta entrando in una fase di Stato fallito. L’annessione non scoraggerà le forze ucraine, ma creerà dei precedenti per le regioni russe in crisi, comprese le repubbliche del Caucaso settentrionale, che probabilmente si dirigeranno verso l’uscita se il governo centrale inizierà ad allentare la presa».
• La fine del monopolio statale della forza
Da che Stato è Stato, da che Hobbes ne ha spiegato le caratteristiche precipue, la prima è che detenga in modo esclusivo l’uso della forza, allo scopo di garantire la sicurezza dei cittadini in cambio della loro obbedienza. In Russia, ora, è tutto un proliferare di milizie che rispondono solo ai loro capi, dai mercenari della Wagner di Evgeny Prigozhin ai «Kadyrovtsy», l’esercito privato del leader ceceno Ramzan Kadyrov, finora un alleato ferreo di Putin ma pronto — dopo averlo represso — a cavalcare il ricorrente irredentismo ceceno se a Mosca dovesse scoppiare il caos (vedi l’analisi dell’australiano Matthew Sussex su The Conversation). Non solo: l’anarchia dilaga proprio nella capitale, dove «anche le agenzie di sicurezza governative sono sempre più al servizio dei propri interessi aziendali». Una rivalità, quella tra i vari servizi segreti, che Putin ha usato per vent’anni pro domo sua ma che ora può scoppiargli in mano.
• Il senso di minaccia per la gente comune
Questo è un fattore decisivo: «Putin ha rotto il fragile consenso in base al quale la gente aveva accettato di non protestare contro la guerra e, in cambio, di essere lasciata in pace». Ora, i trecentomila coscritti di settembre non sanno se saranno vivi tra pochi mesi. Altre trecentomila persone sono fuggite dopo l’ultima mobilitazione e si aggiungono alle altrettante trecentomila delle prime settimane di guerra. «La maggior parte di loro sono giovani, istruiti e pieni di risorse. Il pieno impatto della loro partenza sull’economia e sulla demografia del Paese non si è ancora manifestato, ma la tensione sociale sta aumentando».
• La strada senza uscita
«Putin non può vincere, ma non può nemmeno permettersi di porre fine al conflitto». Conta su tre cose: propaganda, repressione e stanchezza delle opinioni pubbliche occidentali.
• La profezia di Navalny
Ha detto il leader dell’opposizione durante una delle sue udienze in tribunale: «Non siamo stati in grado di prevenire la catastrofe e non stiamo più scivolando, ma volando verso di essa. L’unica domanda sarà quanto duramente la Russia toccherà il fondo e se cadrà a pezzi».
Tutti questi ragionamenti, naturalmente, si incrociano con noi, con la nostra tenuta politica, morale ed economica nell’appoggio che da sette mesi assicuriamo agli ucraini, una delle pagine di storia di cui l’Occidente potrà andare più orgoglioso per secoli. Ma come dobbiamo porci di fronte all’ipotesi del caos russo? È chiaro che la fine ideale della guerra sarebbe: l’uscita di scena definitiva di Putin, la sua sostituzione con governanti in grado di assicurare stabilità interna e riallacciare un rapporto fecondo con il mondo libero, la restituzione del maltolto agli ucraini con l’aggiunta delle dovute riparazioni. È altrettanto chiaro, però che tutto questo, e tutto insieme, si colloca nell’improbabile con ampie oscillazioni verso l’impossibile.
Per questo conviene sempre avere a mente la lezione di un grande leader.
Si tratta di Dwight David Eisenhower, che da soldato fermò il nazismo e da presidente il comunismo. Negli anni ‘50, la sua politica estera oscillò tra velleità di Rollback — la dottrina che teorizzava la necessità di contendere territori ai sovietici palmo su palmo, e fu attuata in Iran e Guatemala — al più cauto Containment, la scelta di limitare la loro espansione. Dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria, Eisenhower decise di tornare al Containment, basato essenzialmente sull’equilibrio nucleare. Alla fine, la dottrina più lungimirante della sua presidenza si rivelò il cosiddetto Detroit Deterrent, in base al quale alla lunga avrebbe prevalso la superiorità economica e industriale dell’America. Si trattava solo di aspettare, senza sparare un colpo.
Ma tra tutte queste mosse e contromosse, alla fine c’è una frase del 34° presidente degli Stati Uniti che può aiutare a riflettere sulla situazione attuale:
«L’unica cosa peggiore di una vittoria russa è una sconfitta russa».
Che cosa vuol dire? Che fin da allora il meglio della leadership occidentale ragionava sull’ovvia necessità di badare alla tracotanza moscovita ma anche sui rischi di un collasso dell’impero nemico. Quei rischi si sono mostrati in tutta la loro evidenza al crollo dell’Urss, e le conseguenze di quel crollo il mondo le paga ancora: un’esplosione salutare di libertà e autodeterminazione dei popoli, ma anche la bomba a tempo del risentimento russo e di piccoli Stati canaglia fuori controllo e magari armatissimi.
Scrive Matthew Sussex, l’analista australiano: «A parte l’emergenza diritti umani che rappresenterebbe, una Russia frammentata (o nel bel mezzo di una guerra civile) metterebbe la sicurezza regionale e globale in una posizione precaria. Anche una rottura localizzata avverrebbe inevitabilmente lungo linee etniche, e potenzialmente creerebbe una serie di aspiranti staterelli dotati di armi nucleari. E mentre la fine dell’Unione Sovietica ha letteralmente rimodellato la mappa dell’Eurasia, qualsiasi scissione contemporanea del potere russo sarebbe potenzialmente molto più pericolosa, senza alcuna garanzia di poter evitare un effetto domino potenzialmente sanguinoso. È quindi solo ipotetico parlare di un futuro collasso russo? Sì. Ci sono prove che sia imminente? No. Ma per molti versi è proprio questo il problema: quando i regimi autoritari implodono, tendono a farlo molto rapidamente e con poco preavviso».
Il punto è che a coltivare questo scenario, indipendentemente dai rischi che porta con sé, sono esplicitamente alcuni membri della Nato: la Polonia e i Paesi baltici. La loro russofobia va capita e perfino rispettata perché ha radici storiche serie, ma arriva a concepire la guerra in Ucraina come occasione per promuovere la fine della Russia. Ne ha parlato a lungo Limes: in maggio, la Polonia ha ospitato un Forum con gruppi indipendentisti tatari, bashkiri, ceceni, nord caucasici, siberiani e altri. Il refrain: «La completa liberazione della nostra parte di mondo sarà possibile solo quando tutti i popoli che sono ancora oppressi dall’impero del Cremlino diventeranno liberi». I polacchi e i baltici pensano che non sia una questione di «se» ma solo di «quando» anche loro saranno attaccati dai russi, e che l’unico modo per evitarlo sia che la Russia crolli prima, tra fattori interni — ribellione delle repubbliche etniche — ed esterni, una guerra senza compromessi in Ucraina, che non eviti nemmeno di correre il rischio nucleare.
Per tutti questi motivi, ogni volta che si legge della possibilità del collasso russo viene un brivido. Vai a capire se di piacere o di paura.
Grigory Yudin: "La guerra contro l'Ucraina è catastrofica anche per la società russa"Nona Mikhelidze
27 giugno 2022
https://www.affarinternazionali.it/inte ... eta-russa/Grigory Yudin è uno scienziato politico e sociologo russo, un esperto di opinione pubblica e sondaggi in Russia. Il podcast dell’intervista realizzata da Nona Mikhelidze, ricercatrice senior dell’Istituto Affari Internazionali, è disponibile qui
https://www.affarinternazionali.it/podc ... a-suicida/ .
Vorrei iniziare con una domanda sul 24 febbraio. Si aspettava lo scoppio della guerra su larga scala? E cosa significa questa guerra per la Russia e per il suo futuro?
Sì, purtroppo me l’aspettavo! Avevo capito già nel 2020 che ci sarebbe stata una grande guerra contro l’Ucraina. E credo che dalla metà del 2021 tutto sia diventato ancora più chiaro. Voglio dire, era chiaro che ci sarebbe stato un grande scontro tra la Russia e la Nato. E dal 2021 era ovvio che la prima fase di questa guerra sarebbe avvenuta in Ucraina. Penso che fosse abbastanza ovvio soprattutto dopo la comparsa del famoso articolo del presidente Putin sull’Ucraina, al quale hanno fatto seguito molte analisi militari. Parlavano dell’imminente invasione, quindi aspettavo ogni giorno che la guerra scoppiasse. Questo, ovviamente, non ha reso la vicenda meno dolorosa!
Ho cominciato ad avvertire la gente di questa guerra imminente, sia in Europa, parlando con i politici europei, sia in Russia. Cercavo di far capire loro l’inevitabilità della guerra. Praticamente senza successo però, tutti erano scettici al riguardo.
Così siamo arrivati al 24 febbraio. Ora, parlando di cosa significa questa guerra per il futuro del Paese, la diagnosi generale è che a lungo termine tutto questo sarà devastante per la Russia. È una guerra suicida. La Russia ha avuto guerre ingloriose nel suo passato, ma questa è la guerra più stupida, la più catastrofica per il Paese stesso, perché fondamentalmente distrugge i legami che la Russia ha con quasi tutti i Paesi.
La Russia è davvero legata e culturalmente vicina agli ucraini, ovviamente, ma anche ai bielorussi che sono molto, molto coinvolti in questa guerra.
Questo è il primo aspetto. Il secondo aspetto è la cosiddetta fratellanza slava, che ora si sta distruggendo. E poi l’appartenenza più ampia all’Europa, che è anche, ovviamente, assolutamente cruciale per la Russia. La Russia è un Paese molto speciale. Ha un posto speciale nella storia europea e non può essere separata dall’Europa. È assurdo che le persone ora parlino dell’avvicinamento alla Cina. Voglio dire, non capiscono nemmeno di cosa stiano parlando. La Russia è sempre stata un Paese europeo, da Kaliningrad a Vladivostok. E questo è estremamente evidente quando si esce per strada. Si tratta quindi di un suicidio, di un colpo di testa!
E poi come se non bastasse, è una guerra che non si può vincere. Non può essere vinta, non c’è nessuno scenario in cui la Russia possa avere successo a lungo termine. Quindi le conseguenze per la Russia saranno totalmente devastanti. Onestamente penso che questa sia una delle decisioni peggiori di tutta la storia russa… e la storia russa è ricca di decisioni non ponderate. Questa probabilmente è la peggiore.
E allora perché è stata presa questa decisione?
Beh, la decisione è stata presa da Putin e probabilmente anche da alcune persone a lui molto vicine. Ma ora dobbiamo rivalutare anche questo aspetto, perché prima pensavamo almeno che ci fosse un’élite di potere dietro di lui, ma dopo questa famosa riunione del Consiglio di sicurezza abbiamo dovuto riconsiderare questa assunzione perché molte delle persone che si pensavano molto, molto vicine al processo decisionale, si sono rivelate dei burattini, come tutti hanno avuto modo di vedere.
Quindi la decisione è stata presa dal Presidente stesso e per lui si tratta di una guerra difensiva. Si sta difendendo, si sente minacciato esistenzialmente. Pensa di essere molto vicino a essere ucciso e vuole proteggere la sua vita. E l’unico modo per proteggere la sua vita è rimanere al potere.
Stiamo parlando di due cose inseparabili: deve rimanere al potere per proteggere la sua vita e la sua posizione. La situazione negli ultimi anni si è lentamente deteriorata, sia internamente che esternamente. C’era un crescente senso di stanchezza per il governo di Putin, anche tra le persone che generalmente gli sono grate, era abbastanza evidente che c’era un significativo distacco dei giovani dal regime. Soprattutto negli ultimi quattro o cinque anni abbiamo assistito a una netta spaccatura negli atteggiamenti della popolazione tra gli anziani e i giovani. Questa era una parte del problema.
L’altra parte del problema era rappresentata dal fatto che l’Ucraina, in quanto Paese culturalmente molto vicino alla Russia, per lui era sul punto di ottenere un’alleanza militare con gli Stati Uniti. E questo avrebbe trasformato l’Ucraina in una roccaforte per le forze di opposizione contro Putin. Credo che il modo migliore per capire questo sia il paragone con il colonnello Gheddafi che ha affrontato il movimento di resistenza in Libia. Era pronto a schiacciarlo, a uccidere le persone, probabilmente centinaia di migliaia. Gli è stato impedito dalla Nato e alla fine è stato rovesciato e ucciso. E sappiamo che impressione ha avuto la morte di Gheddafi su Vladimir Putin. Ne è rimasto assolutamente scioccato, terribilmente scioccato.
Queste due cose di cui parlavo, le cause interne e le cause esterne, non vanno distinte perché qualsiasi tipo di opposizione o malcontento in Russia, Putin lo percepisce immediatamente come un complotto contro di lui orchestrato dall’Occidente. E anche questi atteggiamenti critici dei giovani sono intesi come il risultato della propaganda occidentale. Quindi per lui l’unico motivo per cui la gente potrebbe essere scontenta del regime è perché c’è una propaganda occidentale che opera per distorcere i valori russi che per lui sono importanti.
È così che si è arrivati all’idea di condurre una guerra inevitabile contro l’Occidente, contro la Nato e contro gli americani. Questi termini sono usati in modo intercambiabile e l’Ucraina è diventata solo il primo campo di battaglia, come dice lui, che la vede come anti-Russia. L’ha ripetuto molte volte, e questo è il significato: in sostanza da qui si può vedere che l’esistenza stessa dell’Ucraina è sentita come una minaccia per la Russia. E per Russia, ovviamente, intende sé stesso. Quindi l’esistenza stessa dell’Ucraina è già una minaccia mortale per la sua vita. Ecco come siamo arrivati all’inevitabilità di questa guerra.
Prima ha detto che per lei era chiaro che doveva esserci uno scontro con la Nato, e poi ha parlato delle cause interne ed esterne, delle ragioni che hanno portato Putin a invadere Ucraina. In tanti pensano che una delle cause per scatenare questa guerra fosse anche o soprattutto l’allargamento della Nato.
Sono d’accordo, ma solo con riserva. La stessa esistenza della Nato sarà sempre un fattore provocatorio per Putin per iniziare una guerra, a meno che non venga sciolta. Negli anni Novanta si era creata una chiara prospettiva di scioglimento della Nato dopo la fine della guerra e del Patto di Varsavia. Se il Patto di Varsavia non esisteva più, perché la Nato non avrebbe dovuto sciogliersi? O almeno rimodellare o riformulare in modo significativo i suoi obiettivi? Oppure si poteva parlare di inclusione della Russia in un sistema di sicurezza più ampio in Europa. Beh, questo è stato fatto, in una certa misura, con il consiglio Russia-Nato, ma dopotutto, forse ci si aspettava proprio il suo scioglimento. Non si è sciolta anche per ragioni comprensibili, perché c’erano i paesi dell’Europa orientale che giustamente si sentivano minacciati dalla Russia e facevano pressione per unirvisi.
È così che la Nato, forse anche non intenzionalmente, si è estesa a est, nonostante le promesse di non farlo. Promesse che non sono mai state formalizzate: non c’è mai stato un obbligo formale da parte della Nato di non espandersi, ma per la Russia si è trattato di un abuso della sua fiducia.
Ma in realtà, basta parlare della Nato… il vero problema è che la Russia, e in particolare Putin, non hanno mai considerato i vicini come paesi sovrani con i quali cercare un linguaggio comune dopo la dolorosa esperienza sovietica di coesistenza. La Russia non si è mai preoccupata di fornire le garanzie di sicurezza a quei Paesi, le garanzie che li avrebbero dissuasi dall’entrare nella Nato. Anzi, la Russia ha fatto di tutto per incoraggiarli a entrarci e sotto il governo di Putin la Nato si è espansa in modo significativo verso est.
Quindi, in pratica, ora Putin con questa guerra sta cercando di coprire il completo fallimento della sua politica estera. Lui non è stato in grado di impedire ai paesi vicini di entrare in questo blocco militare. Perché non li ha mai trattati come partner, li ha sempre considerati come nazioni inesistenti, paesi inesistenti. E questa è la vera radice del problema. Si può quindi parlare dello scioglimento o non scioglimento della Nato, ma poi la colpa è solo della folle politica estera di Putin.
Ripeto, non è stata la Nato ad espandersi. Sono stati i Paesi realmente, genuinamente volenterosi ad entrare in questo blocco. E questo è un problema enorme per la Russia, perché significa che quei Paesi hanno paura della Russia. Una politica ragionevole, ovviamente, sarebbe stata quella di renderli meno timorosi, di offrire loro qualcosa, di includerli in un sistema di sicurezza diverso, invece di ricattarli con il gas o con le armi, come ha sempre fatto Putin. Questo, secondo me, è vero fallimento per Putin.
Passando alla parte ideologica di questa guerra e all’idea di Putin di creare Ruskyi Mir, il mondo russo: il concetto, da come è stato disegnato, ha sempre riguardato un mondo fatto da popoli ma non da cittadini con senso civico, non dalla società civile. Insomma, un concetto che rispecchiava la Russia dove i russi sono sottomessi al sistema autoritario. Quindi stiamo parlando di un modello completamente opposto a quello Ucraino dove, soprattutto dal 2014, dopo la rivoluzione di Euromaidan, stiamo assistendo alla creazione di una società civile vibrante e di una governance liberale. Due cose che il Cremlino ha sempre impedito che accadessero in Russia. Non pensa che questa guerra sia anche lo scontro fra questi due mondi diversi?
Credo sia giusto descrivere questa guerra come una lotta tra due sistemi politici molto diversi, visioni politiche molto diverse di ciò che costituisce lo spazio post-sovietico. Una può essere sommariamente descritta come il sistema imperiale, non necessariamente nel senso espansionistico, nonostante abbia anche questa caratteristica, ma piuttosto il modo di strutturare il sistema politico, che è monarchico in Russia.
Non so se la gente ne sia consapevole, ma in realtà la concentrazione di potere in Russia è quasi senza precedenti per il nostro Paese. Non è vero che la Russia è sempre stata così. Ci sono probabilmente episodi nella storia russa in cui abbiamo avuto questa concentrazione di potere politico, ma non spesso. Probabilmente è successo con Stalin ad un certo punto. Probabilmente, anche se il paragone non è esatto, con Ivan il Terribile e, in una certa misura, con Pietro il grande. Altri, come Nicola I, hanno cercato di farlo, ma in realtà non ci sono mai riusciti. Quindi ora stiamo assistendo a qualcosa di quasi senza precedenti nella storia. Si tratta di uno Stato ultra-monarchico. Questa è l’immagine della struttura dello spazio politico. E questo vale per tutta la Russia, perché ovunque, a ogni livello, ci sono quei piccoli Putin che pensano fondamentalmente che usare la violenza e la forza sia l’unico modo per governare nel servizio pubblico e nelle imprese. Questa è l’intera filosofia.
E poi c’è la filosofia repubblicana, che è il caso dell’Ucraina, che si contrappone ad essa con una posizione molto più pluralistica e con una maggiore fiducia in alcune fazioni indipendenti del potere. Perciò nel sistema politico ucraino l’élite è molto meno consolidata attorno ad un unico leader. Il sistema è oligarchico, ma ha anche un significativo elemento democratico, perché sappiamo che gli ucraini hanno sviluppato una cultura politica che ha sempre il potenziale per una rivolta, per una rivoluzione.
Si tratta quindi di due visioni molto, molto diverse ed è importante vedere come queste visioni si riflettono in ciascuno di questi Paesi. Guardate cosa sta succedendo in Ucraina. C’è la prevalenza di questo punto di vista repubblicano, ma ci sono anche persone che sono felici di essere, diciamo così, liberate da Putin, perché hanno questo atteggiamento imperiale, si sentono più naturali nel ripristinare l’impero.
Si pensi alla Bielorussia: lì c’è una situazione molto interessante. Abbiamo il presidente che appoggia questa visione imperiale e più o meno tutta la popolazione è contraria e viene terrorizzata per questo. I bielorussi sono ovviamente per la maggior parte dei repubblicani. E poi ci sono i russi, ma c’è lo stesso problema: la stessa lotta tra coloro che sostengono Putin e quelli che cercano un’impostazione repubblicana nel Paese. Quindi, in sostanza, in questi Paesi c’è la stessa, identica lotta. E questo spiega, ovviamente, perché alcune persone in Russia provano maggiore simpatia per gli ucraini, non perché siano grandi fan dell’Ucraina o della cultura ucraina o di qualsiasi altra cosa, o del nazionalismo ucraino, ma solo perché vedono la situazione come uno scontro tra la visione repubblicana e imperialista. Lo stesso vale per la Bielorussia e il Kazakistan in una certa misura.
Questo è ciò che stiamo vedendo. Ed è per questo che penso che etichettare questa guerra come guerra russo-ucraina sia in realtà fuorviante. Non si tratta di russi contro ucraini. Si tratta di una guerra fra due modelli politici molto diversi.
Come viene percepita oggi la guerra dalla società russa? E che dire dell’indice di gradimento del presidente Putin? Se non sbaglio, il centro di Levada lo dava intorno all’82% ad aprile… Ora, capisco che non possiamo prendere sul serio i sondaggi condotti in sistemi autoritari, specialmente in tempo di guerra, ma forse possiamo comunque spiegare qualcosa sui sentimenti dei russi e della società nei confronti della guerra.
Permettetemi di introdurre il concetto. La Russia è un sistema plebiscitario, il che significa che il potere dell’imperatore si basa sul ricevere il sostegno popolare attraverso i plebisciti. Quindi l’imperatore sovrasta l’intero sistema politico, sostenendo di avere una legittimità popolare e per lui anche democratica! E questo è fondamentalmente il bastone con cui minaccia la sua élite, la sua burocrazia, ma anche il popolo stesso, perché la Russia è un Paese molto depoliticizzato. L’unico modo per i russi di sapere cosa pensano i russi è guardare la televisione e osservare i numeri dei sondaggi, perché normalmente i russi non comunicano tra di loro. Quindi il modo più semplice per sapere cosa pensa il tuo vicino è accendere la TV e guardare gli ultimi numeri dei sondaggi.
Dialogare, comunicare con il prossimo non è usuale per molte persone in Russia. Si tratta quindi di un sistema plebiscitario in cui il leader riceve la cosiddetta “acclamazione” da parte del popolo. Ora abbiamo diverse istituzioni per l’“acclamazione”. Abbiamo, naturalmente, le elezioni, che sono di carattere plebiscitario e “acclamazione” significa che coloro che partecipano alle elezioni o a qualsiasi tipo di votazione non le vedono come un meccanismo per fare una scelta tra vari candidati, ma piuttosto come una convalida di una decisione già presa. Quindi c’è il leader che prende la decisione e il popolo che acclama questa decisione. Questa è l’idea delle elezioni in Russia sia durante il voto nazionale o presidenziale che alle amministrative.
Questo è anche il caso dei veri e propri plebisciti. Nel 2020 abbiamo avuto una sorta di gioco costituzionale, quando a Putin si è data la possibilità di rimanere al potere fino al 2036. Dico gioco costituzionale perché ha costituito una convalida di una decisione già presa ed era anche inquadrata in questo modo, perché tecnicamente il plebiscito non era necessario dal punto di vista costituzionale, era superfluo, ma doveva essere convalidato dalla popolazione.
La stessa cosa accade con i sondaggi d’opinione che funzionano anch’essi in questo modo, in modo che la gente capisca che le si chiede di acclamare il leader. E questo è ancora più vero durante i periodi di emergenza come questo, perché fondamentalmente tutti coloro che vengono contattati con il sondaggio capiscono che gli viene chiesto di acclamare il leader. Probabilmente le persone reagirebbero in modo diverso. Alcuni direbbero: “no, non acclamerei, odio Putin”, ma questo non cambia il quadro generale. Il quadro di base è che viene chiesto di acclamare. Ovviamente è possibile sfidarlo, ma è comunque inteso come una richiesta di acclamazione.
Non tutti i russi sono disposti a giocare a questo gioco. E quindi il segreto che viene nascosto è che i tassi di risposta sulle domande poste dai sondaggi sono molto, molto bassi. Questi dati di solito non vengono riportati ma, dall’esperienza che abbiamo avuto sappiamo che sono, in qualche modo, a seconda della metodologia, tra il 7 e il 15% del campione iniziale. Cosa pensa il resto della gente non lo sappiamo, perché le persone tendono a non rispondere. Piuttosto che sfidarlo o acclamarlo, tendono fondamentalmente a non rispondere.
Questo ci dice molto sui russi, perché i russi non vogliono avere a che fare con la politica. Vivono la loro vita privata. Ed è così che è stato costruito questo regime. Gli è stato chiesto di non occuparsi della politica, quindi alla gente non interessa la politica e non importa dell’Ucraina. L’unica cosa di cui si preoccupano è la loro vita privata orientata al consumismo. Ai russi interessa pagare i mutui e forse fare carriera. Quindi questo è ciò di cui si preoccupano. Il resto può essere delegato al Putin di turno. Putin è lì, pensa lui a tutto. Se lui pensa che gli ucraini siano nazisti, beh, saprà lui come affrontarli. Quindi la popolazione è molto depoliticizzata. E credo che il modo migliore per spiegare questo, per spiegare questi indici di gradimento, sia di immaginare il 24 febbraio in un modo diverso. Immaginiamo che Putin avesse detto che per motivi di sicurezza la Russia dovesse restituire Donetsk e Lugansk all’Ucraina. Il tasso di approvazione sarebbe stato esattamente lo stesso di oggi. Assolutamente lo stesso, perché l’approccio è questo: Putin sa meglio di noi.
Allora questo vuol dire che in realtà c’è una via d’uscita da questa guerra per Putin, perché qualsiasi tipo di risultato può essere descritto come una vittoria e verrà accettato dalla società
Credo che questo sia vero solo fino ad un certo punto. Voglio dire, se si sottolinea la sua capacità di imporre ogni tipo di decisione alla popolazione e di ottenere l’acclamazione, penso che allora lei abbia ragione. Ma dal momento che la posta in gioco è alta e ovviamente richiede alcuni sacrifici da parte della popolazione russa – ed è molto, molto chiaro che ci saranno sacrifici – allora penso che ci sia un’aspettativa generale di una vittoria significativa.
Ormai questa guerra è stata inquadrata come la lotta esistenziale per la Russia. Questa non è una lotta per il Donbass. Non so perché le persone in Europa abbiano questa idea folle che si tratti di una lotta per il Donbass. No, questa è una lotta esistenziale per la Russia, con la quale la Russia deve sconfiggere l’Occidente. Questa è la missione e non quella di prendere Kramatorsk. Questo aspetto è così secondario rispetto a ciò che sta accadendo. Il 99% dei russi non sa neanche dove si trovi Kramatorsk. Quindi questa è una lotta esistenziale e conquistare Kramatorsk è solo il primo passo.
Ma se l’esercito russo dovesse davvero fallire in Ucraina, cedendo, ad esempio, i territori controllati prima del 24 febbraio, sarebbe davvero difficile per Putin venderla come una vittoria. Il problema non sono tanto i numeri dei sondaggi, ma alcuni strati della società russa, che si renderebbero improvvisamente conto che Putin può anche fallire, perché l’intero potere politico si regge sulla forte convinzione che Putin vince sempre. Se lui non vince, se qualcuno comincia a dubitare della sua vittoria, la situazione cambierebbe.
Il cambiamento, però, non si rifletterebbe subito nei sondaggi d’opinione, perché lì funziona al contrario: ci sarà per primo un vero e proprio cambio di potere, e poi si vedrà come questo si rifletterà nei sondaggi d’opinione, e non il contrario. Non vincere questa guerra, credo, potrebbe significare la fine di questo regime.
Ma nella realtà russa che sta descrivendo, cosa potrebbe essere percepito come un fallimento dell’operazione militare e cosa come una vittoria? Cioè, qual è il minimo che dovrebbe essere raggiunto per dichiarare la vittoria?
È difficile a dirsi. Beh, per quanto riguarda il fallimento, è abbastanza facile: in realtà dovrebbe essere una sconfitta militare, una vera e propria sconfitta, che non lascia spazio per le interpretazioni. Quindi…
… quindi lo status quo prima del 24 febbraio?
Si, ma ormai il 24 febbraio è militarmente impossibile perché se l’Ucraina riuscisse a respingere le forze armate russe fino alle posizioni pre-24 febbraio, perché dovrebbe fermarsi lì? Voglio dire, in Donbass non ci sono confini naturali. La Crimea è una questione diversa, forse lì ci sono confini naturali, ma, per quanto riguarda il Donbass, il pre-24 febbraio è andato per sempre. Non sarà mai ripristinata quella linea di separazione delle forze. Quindi questa sarebbe una vera e propria sconfitta.
Per quanto riguarda la vittoria, come ho detto, la conquista e l’annessione delle quattro regioni – Zaporizhia, Kherson e dell’intero Lugansk e Donetsk – sarebbe la prima tappa. Questa sarebbe una sorta di vittoria, visto che Putin non controllava tutte le quattro regioni prima. Si tratterebbe quindi di un’acquisizione e credo che sarebbe un passo preliminare per un’ulteriore espansione, che includerebbe sicuramente Transnistria e presumo anche l’intera Moldavia. Ora abbiamo questo limbo con il sud Ossezia. L’Abkhazia è forse più difficile, ma il sud Ossezia sicuramente verrebbe incluso in Russia. Quindi questo sarebbe un passo preliminare verso ulteriori annessioni. E poi si andrà sempre più avanti perché, ancora una volta, qua non si tratta di ripristinare l’appartenenza imperiale all’Unione Sovietica, no, si tratta di spezzare la schiena all’Occidente. Per questo motivo mi aspetto che il prossimo passo avvenga molto presto dopo questa sorta di vittoria.
Quindi non ci sarà nessun negoziato fra Russia e Ucraina in un futuro vicino?
Assolutamente no!
La maggior parte delle sanzioni occidentali prende di mira l’economia e l’establishment politico della Russia, mentre altre mirano specificamente all’arte e alla cultura russa. Questo sta causando molte discussioni e speculazioni qui in Occidente sulla “cancel culture”. Qual è la sua opinione in merito?
A dire il vero, credo che sia un fenomeno enormemente esagerato. Voglio dire, a parte alcuni casi spiegabili di reazione eccessiva, personalmente non ne sono stato colpito. Nessuna persona che conosco è stata colpita da una sorta di boicottaggio immeritato o qualcosa del genere.
Ammetto che ci siano stati casi di reazione eccessiva, ma sono abbastanza comprensibili. E dietro c’è una lobby ucraina. Posso capirli. Ad essere onesti, penso che stiano facendo qualcosa di controproducente per loro stessi, perché fondamentalmente dicendo: “beh, guardate che tutti i russi sono come Putin”, stanno rendendo il miglior servizio a Putin stesso, perché in questo modo trasmettono questo tipo di messaggio agli italiani, per esempio, o ai tedeschi… E come vuoi che reagiscano gli Europei? Diranno che se tutta la Russia è così, allora è meglio negoziare con Putin, tanto non si può fare la guerra e sconfiggere l’intera Russia. Quindi forse gli ucraini sbagliano quando promuovono la narrazione che tutti i russi sono uguali, anche se capisco perfettamente la loro rabbia. E penso che questa reazione sia in misura significativa giustificata.
In generale penso che, anziché lamentarsi di un trattamento immeritato, si dovrebbe far sentire la propria voce e esprimersi contro la guerra. Altrimenti è un’ipocrisia. Se si sostiene questa enorme guerra fondamentalmente contro l’intera Europa, cosa ci si può aspettare? Un’accoglienza di benvenuto da parte degli europei? Questa è ipocrisia. Perché qua non si chiede di sostenere gli ucraini. La questione è diversa, perché ovviamente i soldati russi stanno morendo e questo crea naturalmente un problema morale per i russi. Bisogna semplicemente dire “non in mio nome! questa guerra non in mio nome!”. Penso che questo sarebbe sufficiente per far capire che si è contrari alla guerra.
Non credo che si tratti veramente di cancel culture o come la chiamate ora. Ovviamente ci sono misure che colpiscono tutti e, ad essere onesti, personalmente subisco un danno collaterale. Viaggiare in Europa è diventato complicato. Proprio ieri sera stavo pensando a come viaggiare in Germania. È logisticamente molto difficile. E poi non posso pagare il biglietto per il viaggio perché le mie carte sono bloccate. Quindi è davvero difficile, ma c’è poco da lamentarsi. È la guerra. Voglio dire, gli ucraini sono stati e continuano ad essere bombardati quindi perché dobbiamo sorprenderci che le sanzioni ci portino dei danni collaterali? Ci sono alcune misure o azioni alle quali non dobbiamo opporci e lamentarci.
Non penso che siano moralmente sbagliate, penso solo che sanzioni contro le strutture di istruzione e cultura siano controproducenti. Non me ne lamento: gli europei sono liberi di imporle. Penso solo che siano controproducenti. Voglio dire, guardate per esempio, all’università di Tartu in Estonia: ora non sono più disposti ad accettare gli studenti russi… Ripeto, non mi lamento, ma credo solo che azioni simili siano controproducenti perché in pratica fanno il gioco di Putin consolidando la sua immagine come rappresentante di tutti i russi, il che non è assolutamente vero.
Lei ha detto che alcune persone appoggiano questa guerra mentre altri forse dicono “non in mio nome”. Fino a che punto è responsabile la società russa di questa guerra? E, in termini generali, cosa pensa della colpa collettiva e della responsabilità collettiva?
Perché la società russa sia responsabile della guerra, dovremmo avere chiaro cosa sia la società russa. Ma non esiste nulla che possa esser definito come “la società russa”. Si pensa che sia la collettività a prendere questa decisione, ma non è vero. Ancora una volta, l’intero regime politico è stato costruito sulla distruzione di qualsiasi tipo di soggettività politica.
È difficile, credo, per molte persone in Europa capire fino a che punto sia stata distrutta la concezione di essere soggetti, attori in politica. Qualsiasi discorso su qualsiasi tipo di azione politica, qualsiasi tipo di pensiero normativo, tutto è diventato illegittimo in Russia. Tanto per fare un esempio: anche solo pensare di discutere di migliorare qualcosa nelle nostre vite è già percepito come un’assurdità perché, per come è strutturato il mondo, le cose non possono essere migliorate. Questo è come i russi si approcciano alla vita e al loro posto nella vita politica.
I russi pensano che il mondo sia fondamentalmente un brutto posto. Lo ha detto anche Putin: durante la conferenza stampa dopo l’incontro con Biden, è stato abbastanza chiaro nel dichiarare che “nel mondo non esiste la felicità”. Perché mi chiedete di migliorare il mondo? Il mondo non può essere migliore di quello che è. È solo un luogo in cui gli esseri umani si uccidono a vicenda. Questo è normale. Questo è ciò che gli esseri umani fanno normalmente”.
E questo è un pensiero abbastanza diffuso in Russia. Un pensiero notevolmente sottovalutato ma che preclude qualsiasi possibilità di azione politica collettiva. Se non ti fidi di nessuno, perché dovresti impegnarti in qualcosa con il prossimo? Così uno finisce a preoccuparsi solo di sé stesso, dei suoi soldi, dei suoi affari personali. Quindi, credo, che l’intera questione della responsabilità della società russa sia del tutto irrilevante.
Naturalmente questo non esime i russi dalla responsabilità individuale, ma credo che la responsabilità stia nell’altro… Dobbiamo distinguere due cose: non si tratta dei russi che sostengono davvero questa guerra, non è questo il caso finora, ma si tratta della loro indifferenza. Vedo una sorta di fascistizzazione della società e questo è molto pericoloso. Questa completa indifferenza alla sofferenza umana è un problema importante. Ma questo è sempre stato un problema in Russia: i russi sono indifferenti non solo nei confronti degli ucraini ma anche verso i propri compaesani. Per esempio, lei pensa che la gente si preoccupi davvero delle sofferenze della gente di, non so, Krasnodar? No, per niente! Finché non è un mio problema non mi interessa! Quindi questo è il vero problema: la totale mancanza di idea di responsabilità per i problemi politici e sociali, e questo è ciò che rende le cose terribilmente pericolose. Implica, infatti, che qualsiasi azione da parte del governo venga percepita come qualcosa al di fuori del controllo del singolo, che quindi non ha alcuna responsabilità su qualsiasi cosa stia accadendo in Russia. Questo credo sia terribile e qui sta il problema, perché la gente dice: “Non mi piace questa guerra, ma cosa ha a che fare con me? Non è affar mio, non potrei cambiare nulla, come potete chiedermi di oppormi a questa guerra? Potrei oppormi, ma in quel caso probabilmente perderei il lavoro”.
Questo senso di impotenza diffusa nella società è stato alimentato e poi strategicamente usato da Putin. E in questo e, voglio sottolineare questo punto, Putin è stato aiutato in modo significativo dagli europei, dalle élite globali in generale, ma soprattutto dagli europei. Perché ogni volta che i russi cercavano di trovare una soggettività politica, di condurre qualche azione politica, di resistere, di impedire che accadessero le cose peggiori, ogni volta Putin riceveva un enorme sostegno dall’Europa, enormi contratti finanziari, enormi investimenti… Insomma, si è creata inevitabilmente una situazione strana. Beh, voglio dire, non stiamo chiedendo aiuto per risolvere i nostri problemi, ma potreste per favore non aiutare Putin almeno in modo massiccio? Ogni volta che c’è un movimento di resistenza, lui ottiene immediatamente un grande accordo che porta milioni in Russia e che viene poi investito nell’esercito per sopprimere la protesta… Beh, questo ovviamente fa sentire la gente disperata. Questo sentimento di disperazione può essere spiegato, ma non esime la Russia dalla responsabilità politica della propria posizione. Questo è, a mio avviso, un grosso, grosso problema, un pericolo terribile per l’Europa e ovviamente un problema con terribili conseguenze per la Russia nei prossimi decenni.
Quindi lei pensa che l’Occidente abbia tradito la società russa aiutando Putin?
Beh, pensando all’Occidente… chi è l’Occidente? Chi è responsabile di questo, non saprei fino in fondo. Ma, sapete, una cosa che vorrei davvero respingere è l’idea di Putin come un orso russo che esce dalla Taiga e all’improvviso, di punto in bianco, scatena questa guerra contro l’Ucraina. Ecco, questo non è vero. Putin sa come funzionano le cose nel capitalismo contemporaneo. Non è un caso che sia riuscito a corrompere le élite finanziarie e politiche in tutta Europa e anche in Italia. Ha semplicemente capito come funzionano le cose, in una certa misura è un maestro di questo sistema capitalistico.
Non parlo quindi di una responsabilità dell’Occidente, ma di élite politiche ed economiche molto specifiche. E questa élite occidentale corrotta, proprio ora che stiamo parlando, sta ancora facendo pressioni sui propri governi, stanno facendo lobbying per promuovere fondamentalmente l’idea del “bene, lasciamogli un pezzo di Ucraina e così otteniamo la pace perché vogliamo tornare a fare affari come prima”. E gli uomini d’affari italiani sono ancora qua in Russia a fare business anche se ci sono delle sanzioni perché a loro non interessa nulla dell’Ucraina, vogliono fare soldi e basta. E per loro Putin va bene finché possono fare soldi in Russia. Qui ci sono ottime condizioni per fare affari. Perché dovrebbero occuparsi dell’Ucraina? Questo è il problema. Non darei la colpa all’Occidente, ma se siamo arrivati fino a questo punto è colpa anche dell’élite politica ed economica corrotta di alcuni Paesi occidentali, e l’Italia è certamente tra questi.
Articolo realizzato nell’ambito del progetto dell’IAI – “L’impegno selettivo dell’Ue con la Russia”, finanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale