L'Ucraina è antisemita e antisraeliana? No, la Russia sì!

L'Ucraina è antisemita e antisraeliana? No, la Russia sì!

Messaggioda Berto » lun ott 10, 2022 7:39 am

L'Ucraina è antisemita e antisraeliana? No, la Russia sì!

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Re: L'Ucraina è antisemita e antisraeliana? No, la Russia sì

Messaggioda Berto » lun ott 10, 2022 7:40 am

Antisemitismo e antisraelismo nella Russia nazi fascista di Putin
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Re: L'Ucraina è antisemita e antisraeliana? No, la Russia sì

Messaggioda Berto » lun ott 10, 2022 7:41 am

Indice:

1)
L'Ucraina è antisemita e antisraeliana? NO assolutamente no!

2)
La Russia è antisemita e antisraeliana, Sì assoluamente sì!

3)
Anche i democratici euro americani che sono contro la Russia di Putin e che difendono l'Ucraina sono antisemiti, specialmente nella versione antisraeliana e filo nazismo maomettano palestinese e iraniano

4)
Anche la destra e la sinistra filo Russia e anti Ucraina sono in parte antisemite e antisraeliane

5)
Questi sono finti ebrei o ebrei demenziali filo Putin che hanno iscenato questa finzione per demonizzare gli ucraini e l'Ucraina.

6)
Il voto dell'Ucraina all'ONU su Israele

7)
Il caso del patriora ucraino Mykola Mychnovskiy

8)
Varie

9)
La giornata della memoria

10)
Israele si schiera con l'Ucraina



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Re: L'Ucraina è antisemita e antisraeliana? No, la Russia sì

Messaggioda Berto » lun ott 10, 2022 7:43 am

1)
L'Ucraina è antisemita e antisraeliana? NO assolutamente no!



L'Ucraina non è antisemita

Francesco M. Cataluccio
22 febbraio 2022

https://www.ilfoglio.it/esteri/2022/02/ ... a-3715395/

La stessa propaganda che parla di Putin “accerchiato” puntualmente dice che gli ucraini non meritano solidarietà perché nazionalisti e contro gli ebrei. Cenni storico-letterari per smontare questi miti

In questi giorni di giochi di guerra attorno all’Ucraina, oltre a leggere su alcuni giornali e nel web molte voci di comprensione verso l’“accerchiato” Vladimir Putin (che intanto, sempre col pretesto degli “aiuti”, si è preso il totale controllo della Bielorussia e del Kazakistan), ci è toccato anche sentire che gli ucraini non meriterebbero solidarietà perché sono “nazionalisti e antisemiti”. A parte il fatto che ogni generalizzazione è sempre sbagliata, soprattutto se viene ripetuta con gli stessi argomenti (in rete viene puntualmente mostrata una foto di una decina di decerebrati che sventolano una bandiera con la svastica), la grande maggioranza degli ucraini, per la sua drammatica storia, non merita di essere semplicisticamente definita così (come ha ribadito pochi giorni fa anche Rav Jonathan Markowitz, rabbino della Comunità ebraica di Kiev). La realtà della questione ucraino-russa va letta nella sua complessità, con radici e intrecci storici che non possono essere ignorati.

“Poco fa dormivo e ho sognato Kiev, volti noti e cari, che suonavano il piano... Ritorneranno i vecchi tempi? Il presente è tale che vivo senza farci caso... non vedere, non sentire (…) La follia di questi ultimi due anni ci ha spinto su una strada tremenda in cui non c’è tempo di fermarsi, di riprendere fiato. Abbiamo cominciato a bere il calice del castigo e lo berremo fino in fondo”: così scriveva, nel 1919, durante la guerra civile, il medico e scrittore ucraino Michail Bulgakov, uno dei più grandi della letteratura russa del Novecento, autore, tra l’altro, del magnifico romanzo postumo “Il Maestro e Margherita” (1966), la più graffiante rappresentazione del fallimento dell’esperienza sovietica.
La Russia nasce dall’Ucraina: la cosiddetta Rus’ di Kiev fu il più antico stato monarchico slavo orientale

Terra storicamente disgraziata è l’Ucraina, stretta tra la Russia e la Polonia: un miscuglio talmente confuso, violento ma anche virtuoso, di popoli e lingue da rendere difficile definire dei confini certi. La Russia nasce dall’Ucraina: la cosiddetta Rus’ di Kiev, sorta verso la fine del IX secolo, fu il più antico stato monarchico slavo orientale che si estendeva nel territorio delle odierne Ucraina, Russia occidentale, Bielorussia, Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia orientali. La sua fine avvenne quando, nel 1240, Kiev fu rasa al suolo dai conquistatori tataro-mongoli (che spadroneggiarono in quei vasti territori fino al XV secolo, come mostrò efficacemente Andrej Tarkovskij nel film “Andrej Rublëv”). La religione greco-ortodossa giocò un grande ruolo nell’avvicinamento tra i feudatari ucraini e russi (i moscoviti erano gli esattori per conto dell’Orda d’Oro tartaro-mongola). Nel 1328 il metropolita greco-ortodosso di Kiev abbandonò la sua sede, ormai decaduta, e si trasferì a Mosca, che divenne il centro religioso del paese. Nel 1277 Daniele, figlio di Aleksander Nevskij, fondò la dinastia dei principi di Mosca e nel 1380 il principe Dimitrij affrontò i tartari, e li sconfisse al Campo delle quaglie (Kulikovo). Il fondatore dello stato russo fu il principe di Mosca Ivan III Vasil’evic detto il Grande (1462-1505), che sposando nel 1472 la nipote dell’ultimo imperatore bizantino, Sofia, diede inizio al mito imperialista (tanto caro anche agli odierni nazionalisti russi) della “Terza Roma”. Secondo tale mito la Russia sarebbe stata l’erede della civiltà romano-bizantina e, in nome di ciò, avrebbe dovuto conquistarsi l’Europa e un pezzo di mondo.

L’Ucraina nel frattempo era diventata dominio dei polacchi, padroni delle terre, che importarono un gran numero di ebrei, impiegandoli come gestori delle loro proprietà. Fu così che gli ebrei si trovarono ben presto in mezzo al conflitto tra contadini ucraini, appoggiati dai russi, e nobiltà polacca. Nella lotta sanguinosa tra ucraini e polacchi, gli ebrei furono sempre dalla parte dei signori polacchi e quindi costantemente oggetto di manifestazioni ostili da parte dei contadini ucraini e dei cosacchi. Il re Sigismondo I, Granduca di Polonia e Lituania (1506-1548) e il suo successore, Sigismondo Augusto (1548-1572), protessero gli ebrei, garantendo loro eguali diritti e la possibilità di insediarsi liberamente. Ma fu Sigismondo III (1587-1632) che, nel mezzo del conflitto religioso tra Uniati (appoggiati dalla chiesa cattolica) e Ortodossi, per garantirsi l’appoggio delle popolazioni locali, proibì, nel 1619, agli ebrei di risiedere a Kiev concedendo loro di recarvisi temporaneamente soltanto nei giorni di mercato e di fiere. La situazione peggiorò tragicamente in seguito alle rivolte dei servi della gleba ucraini contro la Confederazione polacco-lituana, guidati dall’atamano cosacco Bohdàn Chmel’nitskij (1596-1657), e alla Guerra russo-polacca (1654-1667), detta Guerra di Ucraina, che si concluse con una significativa espansione territoriale russa e segnò l’inizio della sua grande potenza. Bohdàn Chmel’nitskij ottenne sin dall’inizio un importante aiuto da Alessio I di Russia in cambio della sua alleanza, sancita, nel 1654, dal Trattato di Perejaslav (per festeggiare degnamente il suo trecentesimo anniversario, nel 1954, l’allora segretario del Pcus, Nikita Krusciov, regalò all’Ucraina la penisola di Crimea che, nel 2014, i russi si sono ripresa).
Nel 1941 arrivarono i tedeschi, accolti all’inizio come liberatori. Un milione di ebrei furono assassinati

I cosacchi, nell’immaginario polacco e russo, divennero sinonimo di ucraini. Per capire cosa fossero i cosacchi basta leggersi “Taràs Bul’ba” (1835) di Nikolàj Gogol’. I suoi eroi combattono contro i polacchi, i tartari, i turchi, gli ebrei e i cattolici, nemici del cristianesimo ortodosso della grande madre Russia, e hanno una ferocia barbarica che si manterrà immutata fino alle imprese della leggendaria Armata a cavallo (1926) di Isaac Babel’ e anche un po’ dopo. Le fruste, come le sciabole, erano le loro armi preferite. Per Gogol’, il cosacchismo era “il vasto irresistibile slancio della natura russa”. Nel suo romanzo, alcuni bambini vengono infilzati nelle lance e gettati con le donne nelle case in fiamme.

La svolta tragica per il destino degli ebrei nell’Impero russo fu conseguenza dell’attentato che costò la vita, a San Pietroburgo, allo zar Alessando II Romanov (il 13 marzo del 1881, proprio il giorno della firma del Decreto di soppressione delle lingue non russe), a opera di un gruppo di terroristi legati al movimento populista della “Narodnaja Volja” (la volontà del popolo). Con la scusa che tra gli autori dell’attentato c’era una ragazza ebrea (Hesia Helfman), iniziarono allora i primi pogrómy (persecuzioni) di massa, incoraggiati dalle autorità russe. Il luogo dove si scatenò, sin dall’aprile di quell’anno, la furia più selvaggia e sanguinaria fu proprio Kiev e la sua provincia. Anche per questo, a partire dal 1897, alcuni ebrei iniziarono ad abbracciare la causa sionista e a immaginare il loro futuro fuori dall’“inferno russo”. Molti intrapresero la difficile strada dell’emigrazione verso l’America.

In seguito alla Rivoluzione, nel 1921, l’Ucraina venne incorporata nella Repubblica socialista ucraina. E subito, nel 1922, nella regione ci fu la prima terribile carestia. Ma non fu nulla rispetto a quella che accadde dieci anni dopo. Gli ucraini, essendo milioni di piccoli contadini, religiosi e nazionalisti, non erano considerati dai russi “affidabili”, mostrando di andare in direzione opposta ai piani sovietici. Allora i bolscevichi misero in piedi un programma di collettivizzazione forzata che si spinse ad affamare un’intera popolazione. “Holodomor” (che deriva dall’espressione ucraina moryty holodom, che significa “infliggere la morte attraverso la fame”), è il nome attribuito alla carestia, non generata da cause naturali, che si abbatté sul territorio dell’Ucraina negli anni dal 1929 al 1933 e che causò circa 7 milioni di morti. O anche di più. Ci sono le testimonianze di qualche osservatore straniero, come il console italiano a Kharkov, Sergio Gradenigo, che nei suoi rapporti diplomatici sostenne di aver saputo da rappresentanti del governo che i morti erano 9 milioni. Una strage: è stata definita “genocidio”. La descrizione della fame contadina che fa, nel 1956, l’autore del capolavoro postumo “Vita e destino” (1970), l’originario ucraino Vasilij Grossman, è terribile: “A certi invece dava di volta il cervello, non si calmavano fino alla fine. Li riconoscevi dagli occhi, lucidi. Erano loro quelli che facevano a pezzi i morti e li cuocevano, uccidevano i propri figli e li mangiavano. Si risvegliava in loro la belva, quando l’uomo moriva. Ho veduto una donna, l’avevano portata sotto scorta al centro distrettuale. Il suo viso era di un essere umano, ma aveva gli occhi di un lupo. Dicono che questi li han fucilati tutti quanti. Ma non erano loro i colpevoli, colpevoli erano quelli che riducevano una madre al punto di mangiare i propri figli [...] È per il bene dell’umanità che loro hanno ridotto le madri a quel punto”. E Igort, uno dei migliori autori e divulgatori del graphic novel italiano, è riuscito a raccontare l’Ucraina nel Novecento con grande efficacia nel suo “Quaderni ucraini. Memorie dai tempi dell’Urss” (2010). Poi arrivarono, nel 1941, i tedeschi che inizialmente furono accolti da gran parte della popolazione come dei liberatori. Fu invece la devastazione finale dell’Ucraina, con un milione di ebrei assassinati dalle Einsatzgruppen, dalla Wehrmacht e dai collaborazionisti ucraini inquadrati nella milizia. Nella sola Odessa furono massacrati 50 mila ebrei; nel fossato di Babij Jar, tra il 29 e il 30 settembre sempre del 1941, furono ammazzati 33.771 ebrei di Kiev (e per molti anni non ci fu nemmeno una lapide commemorativa, come ricordarono il poeta russo-ucraino Evgenji Evtušenko e il compositore Dmitrij Šciostakovic, con la sua Tredicesima Sinfonia, 1962).
La Russia ha vissuto malissimo l’indipendenza, molto più del distacco delle altre nazioni sovietiche

Alla fine della guerra, l’Ucraina contò 4 milioni e mezzo di morti e 2 milioni di deportati come schiavi (200 mila rimasero in occidente). Se a essi si aggiungono i 7 milioni di morti tra deportazioni, fucilazioni e fame (Holodomor), si ha un quadro del numero enorme di vite che furono spezzate in quella regione. Dopo la guerra mondiale, nelle foreste dell’Ucraina si protrasse fino al 1950 una strisciante, e violenta, guerra condotta dall’esercito e le forze di sicurezza sovietiche contro le formazioni indipendentiste clandestine dell’Upa, l’ala militare dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (il cui capo era Stepan Bandera, assassinato nel 1959 a Monaco di Baviera da sicari di Mosca), guidata dal generale antisemita Roman Shukhevich (1907-1950).

Nonostante che molti dirigenti del Pcus, a cominciare da Nikita Krusciov a Leoníd Bréžnev, fossero ucraini o molti legati a essa, anche dopo la destalinizzazione continuò un rapporto di sfruttamento sconsiderato di quella terra nera che potenzialmente potrebbe essere il “granaio d’Europa” e un’industrializzazione senza regole e sicurezze (di cui la tragedia della centrale atomica di Chernobyl’, il 26 aprile del 1986, è stata la catastrofica punta dell’iceberg: nel film intervista, del 2018, del regista tedesco Werner Herzog, Gorbaciov dichiara solennemente che “la fine dell’’Urss è iniziata con Chernobyl’”).

La Russia ha vissuto malissimo l’indipendenza dell’Ucraina, molto più del distacco delle altre nazioni sovietiche. Anche là, come per esempio in Lettonia, è rimasta una considerevole comunità russofona che si è sentita abbandonata e discriminata. In una conversazione telefonica del 1° dicembre 1991, giorno del referendum sull’indipendenza dell’Ucraina, riportata nel diario del principale consigliere di politica estera dell’ultimo presidente dell’Unione Sovietica, Anatolij Cernjaev si leggono in filigrana tutti i problemi che sono riemersi oggi: “[George Bush] passò al tema dell’Ucraina. A lungo spiegò la sua posizione… M.S. [Mikhail Sergevic Gorbaciov], a sua volta, gli ripeteva la sua concezione: ‘L’indipendenza non è la separazione’, e la separazione è ‘Yugoslavia’ al quadrato, al decimo grado! Bush era molto prudente, ha assicurato due volte che non avrebbe fatto nulla che potesse mettere ‘Michael’ [Gorbaciov] e il ‘Centro’ [il governo dell’Unione sovietica] in una situazione imbarazzante. Una volta ha perfino detto: ‘Ostacolerebbe il processo di riunificazione dell’Unione’. Era evidente (ha detto che avrebbe telefonato anche a Eltsin) che lo preoccupava particolarmente la possibilità di ‘processi violenti’ a causa della Crimea, del Donbass… L’accenno di M.S. a questo problema è stato accompagnato dalla replica di James Baker (lui, Scowcroft e Hewitt erano a dei telefoni paralleli): sì, sì, è molto pericoloso… Evidente: Baker è più libero nei giudizi, meno soggetto alla pressione di lobbisti, più aperto! È finita con Bush che ha augurato a Michael successo nell’opera molto difficile ‘della riunificazione’” (da: “Limes”, n. 4, 2014).
Nel 2014 all’Euromaidan c’erano molte anime: anche i nazionalisti, certo. Mosca ha così aizzato i russofoni

Il difficile assestamento dell’economia postsovietica ha ulteriormente impoverito le campagne (in certe zone del sud dell’Ucraina si assiste al crescente fenomeno di donne che lasciano le famiglie e vanno a lavorare all’estero, mantenendo mariti disoccupati o non interessati a lavorare e dediti spesso all’alcolismo), arricchendo pochi magnati (esattamente come in Russia), ingigantendo la corruzione, dando sempre più spazio a investimenti dall’estero di dubbia natura. Le manifestazioni pro europee, dette Euromaidan, iniziate a Kiev nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013, all’indomani della sospensione da parte del governo dell’accordo per una Zona di libero scambio globale e approfondito (Dcfta) tra Ucraina e l’Unione europea, hanno mutato ulteriormente la situazione. In particolare il 30 novembre 2013, ci fu un’escalation di violenza a seguito dall’attacco delle forze governative contro i manifestanti. Le proteste sfociarono nella cosiddetta “rivoluzione ucraina” del 2014 e, infine, alla fuga e alla messa in stato di accusa del presidente filorusso Viktor Yanukovych. Come sempre accade, in quella piazza c’erano varie anime: molti giovani che chiedevano un vero cambiamento della vita politica; intellettuali e professionisti stanchi della crescente corruzione; nazionalisti che pretendevano una maggiore indipendenza della Russia; gruppi paramilitari di destra. La propaganda, anche in occidente, ha fatto di ogni erba un fascio. E la Russia ha soffiato sul fuoco aizzando i russofoni nella parte orientale del paese, dove ci sono le grandi industrie minerarie e una classe lavoratrice tutto sommato meglio retribuita rispetto ai lavoratori nelle campagne. In quelle regioni (Donetsk e Lugansk, nel Donbass, che ora la Camera bassa russa, Duma, ha appena riconosciuto come autoproclamate repubbliche popolari, filorusse e quindi “intoccabili” nel loro desiderio di riunirsi alla madrepatria) è iniziata una guerriglia definita eufemisticamente a “bassa intensità”, con la partecipazione di mercenari ed elementi delle truppe speciali russe, che potrebbe costituire in ogni momento l’occasione di un intervento dello truppe di Mosca. Hanno purtroppo ragione gli ucraini intervistati, in queste settimane, per strada: “La guerra c’è già e dura da otto anni”.


Ucraina – Kiev, la piazza e gli ebrei
Daniel Reichel
25 febbraio 2014

https://moked.it/blog/2014/02/25/ucrain ... ntisemita/

Nessun paese della democratica Unione Europea legittimerebbe un governo in mano all’estrema destra xenofoba e razzista. Lo sanno gli insorti ucraini, lo sanno i sostenitori del latitante Victor Yanukovych. E quando i media riportano di due ultraortodossi ebrei brutalmente picchiati o di una sinagoga colpita da una Molotov e rilanciano il ruolo del partito ultranazionalista Svoboda nelle proteste di piazza Maidan, comincia ad insinuarsi l’idea che l’Ucraina sia pericolosamente vicina a dare sfogo al suo animo più nero e violento. Preoccupazioni arrivate fino in Israele che – come si ricordava ieri su queste pagine – ha deciso di far fronte all’allarme antisemitismo arrivato da Kiev e dintorni inviando, tramite l’Agenzia Ebraica, una squadra di assistenza alle comunità ebraiche ucraine.
E se tre indizi fanno una prova, l’Ucraina sembrerebbe sempre più in mano all’estremismo di destra, quello che non esita a usare la retorica antisemita per fomentare la violenza. Eppure il presidente del Congresso ebraico ucraino nonché vicepresidente di quello europeo, Vadym Rabynovych dipinge un’altro quadro. Anzi punta il dito contro i media: “le accuse di antisemitismo e xenofobia di massa in Ucraina non sono vere”, ha dichiarato ieri Rabynovych, aggiungendo che i rapporti della comunità ebraica con i manifestanti sono stati “tolleranti e pacifici”.
Chi dice il contrario, afferma il presidente, vuole provocare. “Insieme a tutto il popolo, la comunità ebraica dell’Ucraina parteciperà attivamente alla costruzione di uno stato democratico e per promuovere il rilancio e la prosperità del paese”, conclude Rabynovych.
Sono tante le personalità del mondo ebraico ucraino ad essere scese in piazza Maidan per protestare contro al regime di Yanukovych, contro la corruzione del governo, contro la soggezione nei confronti della Russia di Putin: a fianco di persone comune, intellettuali, docenti universitari, esperti e ricercatori di storia ucraina.
Alcuni di loro sono tra i 40 firmatari di una lettera diretta al mondo dell’informazione internazionale di cui si parla nel numero di marzo di Pagine Ebraiche. “Ai giornalisti, commentatori e analisti che stanno scrivendo sul movimento ucraino di protesta EuroMaidan: l’EuroMaidan di Kiev è un movimento di massa non estremista di disobbedienza civile”, si legge nel messaggio, inviato a fine gennaio in risposta a una rappresentazione, secondo i firmatari, distorta del movimento di piazza Maidan. Molto in così poco tempo è cambiato. Yanukovych è stato costretto alla fuga, dopo aver lasciato una scia di feriti e morti dietro di sé. E ora la protesta dovrà darsi una guida, con Yulia Tymoshenko, la leader della rivoluzione arancione, già candidatasi alla presidenza del paese e l’estrema destra di Svoboda a caccia di un riconoscimento più ampio. Secondo i russi, osservatori molto interessati della situazione, il nuovo governo in formazione sarebbe già in mano agli estremisti. A uomini armati di kalashnikov e coperti da passamontagna, secondo la definizione del presidente russo Dimitri Medvedev che ha dichiarato che la Russia non riconoscerà un governo illegittimo e incostituzionale come quello provvisorio che ha sostituito Yanukovych. E mentre i russi ringhiano, il rabbino Moshe Reuven Azman consigliava agli ebrei di lasciare Kiev e l’Ucraina, oramai, secondo lui, senza timone e a rischio violenza antisemita. La Molotov di ieri sembra dimostrare che il rabbino Azman non si sbagliava. Però sempre ieri sono arrivate le parole di rassicurazione di Rabynovych. Del suo parere anche altri volti noti dell’ebraismo ucraino come l’oligarca Victor Pinchuk, il giornalista Vitaly Portnikov e l’artista Aleksandr Roitburd. Non solo, tra coloro che hanno organizzato il servizio di sicurezza del movimento Maidan spunta anche un ebreo ortodosso, che nelle ultime ore ha rilasciato al sito vaadua.org un’intervista, rimanendo però anonimo. “Come la maggior parte delle persone, sono venuto a Maidan non “per” qualcosa, ma “contro” qualcosa – afferma l’uomo nell’intervista – Non ho mai appoggiato l’autorità pubblica ucraina ma l’uccisione di persone è diventato il Rubicone (punto di non ritorno). Quello è stato il momento in cui ho realizzato che dovevo raggiungere le persone a Hrushevskoho (la strada dove è stata eretta dai manifestanti la barricata di difesa)”. Di fronte alla disorganizzazione, la mancanza di strategia e leadership, l’uomo, che vuole celare l’identità probabilmente preoccupato per eventuali ritorsioni, ha cominciato a dirigere le fila del servizio di difesa, diventandone uno dei capi. Assieme a lui ci sono quattro israeliani, con un passato nell’Idf, giunti per dare una mano contro la violenza del regime. “Siamo come i caschi blu dell’Onu” afferma l’anonimo leader. Dei “peacekeeper” che cercano di organizzare e calmare la piazza sempre più nervosa e in cerca di vedetta dopo i morti delle scorse settimane. Alla domanda sull’antisemitismo, l’uomo spiega, “non c’è stato neanche un accenno a questo atteggiamento. Sono stato in contatto con gli attivisti di Pravy Sector (militanti di estrema destra), dell’Assemblea nazionale ucraina e dell’Autodifesa delle gente ucraina (altre organizzazioni di estrema destra), tutte persone che probabilmente non avrei mai guardato negli occhi in tempo di pace. In ogni caso, mi presento come ebreo, come un ebreo religioso”. Con lui, decine di georgiani, azeri, armeni, russi, mondi diversi che hanno sposato una sola causa e non sono mai caduti nel tranello di non tollerarsi a vicenda. Poi interviene sulla presenza di ebrei in piazza, osteggiata e criticata da una parte della comunità stessa, “considero la presenza di ebrei a Maidan non solo come la santificazione del nome di Dio, ma come il dialogo del mondo ebraico con il futuro governo. Questo è ciò che aiuterebbe gli ebrei per vivere e lavorare in questo paese”. “Alla fine della giornata – chiosa l’intervistato – è valsa la pena vivere in questo paese perché abbiamo vissuto per vedere piazza Maidan”.



Gli ucraini sono nazisti antisemiti? - NO!

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Più di mille pellegrini sono già arrivati a #Uman per la celebrazione di #RoshHashanah, il capodanno ebraico. Ad annunciarlo è il capo dell’amministrazione militare della regione di #Cherkasy, Igor Taburets.
Dopo il 18 settembre dovrebbero arrivare ulteriori 10.000 fedeli.
Taburets ha osservato che le autorità locali hanno avvertito in anticipo i pellegrini del pericolo di rimanere in #Ucraina a causa dell'aggressione militare della #federazionerussa e hanno chiesto loro di non partecipare alle celebrazioni di Rosh Hashanah.
Anche la polizia ucraina ha chiesto ai pelligrini di astenersi dal visitare Uman.
A prescindere, stanno rafforzando le misure di sicurezza in città ed elaborando una rapida risposta a possibili minacce.
Nella città di Uman (in yiddish אומאַן) è sepolto il famoso rabbino Nachman di Breslov, pronipote di Baal Shem Tov e fondatore della tradizione chassidica di Breslov.
La sua tomba è meta di pellegrinaggio fin dal 1811, anno della sua morte.
Durante il regime sovietico le autorità proibirono il pellegrinaggio, divieto che cessò solamente nel 1989, poco prima del crollo dell'Unione Sovietica.
«Ricorda: anche se la situazione fosse estremamente negativa, può trasformarsi in una situazione rosea... in un batter d'occhio.»
(Nachman di Breslov)




Patriottismo, indipendentismo, nazionalismo e nazismo in Ucraina e in Russia
e la Russia nazi fascista e comunista, suprematista e imperialista del falso cristiano Putin il violento e criminale dittatore russo

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20)
L'Ucraina è antisemita e antisraeliana?
No, la Russia sì!
Come lo sono i suoi sostenitori e molti di coloro che sono contro Putin e a favore dell'Ucraina ma sono contro Israele e a favore del Polticamente Corretto e contro i diritti umani, civili e politici dei nativi e cittadini italiani, europei e americani.
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L'Ucraina nel Medioevo è stata antisemita come lo è stato tutto il Mondo cristiano europeo, l'Impero zarista e quello sovietico del'URSS e come lo sono stati i blocchi nazifascisti e internazicomunisti,
Ma non tutti tutti gli ucraini cristiani e poi atei e comunisti e nazisti erano antisemiti e se nel passato una parte consistente di loro lo è stata oggi non lo è più e sempre oggi le minoranze antisemite e antisraeliane in Ucraina sono sicuramente meno di quelle che si possono trovare a destra e a sinistra nei paesi europei e certamente molto meno che in Russia.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: L'Ucraina è antisemita e antisraeliana? No, la Russia sì

Messaggioda Berto » lun ott 10, 2022 7:43 am

L'Ucraina e il genio del giudaismo
La resistenza secondo Bernard-Henri Levy
Massimo Ankor
30 gennaio 2023

https://www.facebook.com/massimo.ankor/ ... S97upcb5Ul

È un brusio di fondo. Un disgustoso ritornello orchestrato dalla propaganda putiniana e dai suoi utili idioti – scrive il filosofo francese Bernard-Henri Lévy sul Point –. Ed è l’idea, in sostanza, che l’Ucraina in guerra e martire sarebbe anche uno dei paesi europei più incorreggibilmente antisemiti. Allora, una volta per tutte, qual è la verità?
La verità è che, sicuramente, l’Ucraina degli anni Trenta e Quaranta del Ventesimo secolo è stata una terra di sangue per gli ebrei. È che l’Ucraina sovietica, sovietizzata o, più precisamente, combattuta tra sovietismo e hitlerismo, è stata uno dei teatri delle Einsatzgruppen con, solo nel massacro di Babi Yar, 33.711 uomini, donne e bambini ebrei costretti a scavare la fosse dove avrebbero seppellito i loro cadaveri ancora caldi, ancora tremanti, perché non erano ancora morti. E quando dico “sovietico” o “sovietizzato”, non è naturalmente per minimizzare la partecipazione di alcuni compatrioti delle campagne e delle città, ma è per ricordare che ci sono state, e ci sono ancora, due Ucraine. Quella lì, quella che non esisteva ancora come nazione libera e sovrana, e quella che il poeta russo di origine ucraina Evgenij Evtušenko ha dipinto, nel suo requiem ai morti di Babi Yar, come il paese degli “ubriaconi”, assetati di “sangue dei pogrom”, che puzzavano di “vodka e cipolla”, e, quando le vittime, “scaraventate a terra a colpi di stivale”, chiedevano la grazia, incoraggiavano gli assassini: “Colpisci l’ebreo, salva la Russia!”. Eh sì, la Russia… E poi tutta un’altra Ucraina, quella che si è liberata proprio di questa Russia, quella che, dall’esplosione dell’Urss, e in seguito con la rivoluzione di Maidan e l’invasione militare da parte di Putin, rifiuta lo status di vassallo, di umile serva e gemella, di Cenerentola della tundra al quale gli invasori, ebbri del loro “Lebensraum”, vorrebbero relegarla. E quella che, diventata un giovane paese libero, irrevocabilmente schierata nel campo delle democrazie e dell’Europa, sta voltando la pagina del proprio passato.
Questa Ucraina qui sa di essere uno dei quattro paesi a contare, con l’arcivescovo metropolita Andrej Szeptycki e molti altri, il maggior numero di Giusti fra le nazioni. È l’Ucraina di Uman, la città del rabbino Nachman di Breslov, dove ho filmato un “rav”, una sorta di Giusti fra le nazioni al contrario, raccontando che è nella sua sinagoga che i contadini dell’oblast di Cherkasy hanno trovato rifugio i primi giorni dell’attacco russo. È l’unico paese al mondo dove, il 17 dicembre, primo giorno della festa ebraica di Hannukkah, si sono visti degli hassidim, in piazza Maidan, innalzare una gigantesca menorah, e un popolo intero, con il sindaco di Kyiv in testa, accompagnare l’accensione di quella fiamma che ha illuminato la città bombardata e priva di elettricità. “I russi ci lanciano dei missili balistici” – scherzò un rabbino – “noi manderemo loro dei missili cabalistici!”. È il paese del battaglione Azov dove un comandante, Ilya Samoilenko, sopravvissuto all’inferno di Azovstal e soldato dal coraggio infinito, è appena rientrato da Israele dove è andato, a Masada, a trovare le forze che gli servivano per tornare a combattere (…).
E poi questa Ucraina è – non smetteremo mai di ricordarlo – la patria di Volodymyr Zelensky, questo presidente churchilliano eletto da un’ampia maggioranza che è anche un eroe ebreo: la storia di questo discendente di sopravvissuti della Shoah che all’inizio, per affrontare il Gigante, non aveva né carri armati, né apparecchiature, né apparatcik, ma solo la sua difficile libertà non sembra direttamente uscito dal racconto biblico? Non è forse, di fronte al ritorno di Golia il Filisteo, la rinascita del piccolo Davide, maestro di verità e capo della resistenza, artista che sa cantare e incomparabile stratega che all’oltraggio dell’invasione oppone l’intelligenza dei suoi muscoli e delle sue mosse? Non è la storia di Abramo che, secondo il Midrash, combatte da solo gli eserciti dei cinque sovrani che tengono Loth prigioniero? E non è Giuda Maccabeo che segna, dinanzi all’impero, l’impressionante vittoria dei deboli sui forti, degli umili sugli orgogliosi, di chi è in minoranza sulla maggioranza e, alla fine, contro il falso fulgore del tempio profanato, della piccola fiala la cui luce non è quella della potenza ma dell’eccezione?
Astuzia della ragione. Avventura della memoria. Piaccia o no, è questa la realtà. La storia non è sempre una maledizione. Non è l’eterno ritorno del risentimento e del crimine. Se c’è un luogo, in questa guerra, dove, dinanzi al neofascismo russo, si sente l’eco dell’anima ebraica, questo luogo è l’Ucraina.
Traduzione di Mauro Zanon - https://rb.gy/phcy8l
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: L'Ucraina è antisemita e antisraeliana? No, la Russia sì

Messaggioda Berto » lun ott 10, 2022 7:43 am

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Re: L'Ucraina è antisemita e antisraeliana? No, la Russia sì

Messaggioda Berto » lun ott 10, 2022 7:44 am

2)
La Russia è antisemita e antisraeliana, Sì assoluamente sì!



Gorbaciov e gli ebrei
Ugo Volli
4 settembre 2022

https://www.facebook.com/groups/1807630 ... 4175232260

Il giudizio dei russi e quello del mondo
La morte di Mikhail Gorbaciov, l’ultimo leader dell’Unione Sovietica, avviene nel momento in cui la Russia mostra di nuovo un volto autoritario e imperialista con l’invasione dell’Ucraina, le minacce all’Occidente, la repressione di ogni dissenso interno, perfino la minaccia di impedire di nuovo l’emigrazione ebraica, proibendo le attività dell’Agenzia Ebraica. Putin dichiara che la fine dell’URSS propiziata da Gorbaciov (ma solo dopo il tentativo di colpo di stato del 1991 che cercò di eliminarlo) fu “la più grande catastrofe geopolitica del ventesimo secolo” (peggiore dunque delle due guerre mondiali e della Shoà), il che implica un giudizio drasticamente negativo sul suo predecessore, condiviso del resto dalla maggioranza dei russi, fra cui, secondo i sondaggi, solo l’otto per cento lo vede positivamente. Il giudizio del mondo, o almeno del mondo occidentale, è assai diverso, com’è testimoniato dal Premio Nobel per la Pace che gli fu assegnato nel 1990 e dalla grande popolarità e dall’immenso rispetto con cui l’ex segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica fu trattato ogni volta che si trovava all’estero, per esempio nella sua visita in Israele nel 1992.

Il punto di vista ebraico
Gorbaciov, oltre a concludere la guerra fredda e consentire che la dittatura comunista fosse rovesciata senza spargimenti di sangue, ebbe una enorme importanza anche per il mondo ebraico. La grande maggioranza degli ebrei europei sopravvissuti alla Shoà si trovava alla fine della Seconda guerra mondiale in Unione Sovietica, guardata con sospetto e spesso perseguitata dal regime comunista, che, dopo un’iniziale posizione favorevole, a partire dagli Anni Cinquanta vedeva Israele come un alleato degli Usa e il sionismo come un movimento nazionalista, anticomunista, nemico della “liberazione” del Terzo Mondo. I numerosi ebrei che volevano emigrare in Israele non potevano farlo, anzi se insistevano conoscevano spesso le carceri sovietiche e la Siberia. Erano i cosiddetti “refusenik”, che lottavano per la democrazia oltre che per il diritto di emigrare. Fra questi coraggiosi, accanto a Sakharov, l’esponente ebraico più importante fu Natan Sharanski, destinato poi a diventare ministro in Israele e presidente dell’Agenzia ebraica. Fu Gorbaciov a far liberare progressivamente questi prigionieri politici e poi a consentire l’immigrazione in Israele di oltre un milione di cittadini sovietici.

Gorbaciov e i dissidenti ebrei
Quanto queste concessioni furono frutto di autentica convinzione democratica e quanto furono forzate dai rapporti di forza, dall’azione di grandi leader occidentali come Thatcher e Reagan, dallo stato disastroso dell’ economia dell’Urss? Vale la pena di leggere quel che ha scritto di lui in un editoriale sul Washington Post Nathan Sharanski, il primo leader dei refusenik liberato da Gorbaciov nel 1986, che ne parla con rispetto, ma con un certo distacco.

L’opinione di Sharanski
“Bisogna anzitutto ricordare che Gorbaciov era un vero sostenitore delle idee di Marx e Lenin, e l'intenzione originale dietro le sue riforme era di rilanciare il comunismo con un volto più umano. Nel momento in cui è diventato chiaro che il desiderio del popolo di una maggiore libertà avrebbe potuto alla fine rovesciare il regime, Gorbaciov ha fatto del suo meglio per frenare le forze che aveva scatenato. Durante i suoi primi viaggi in Occidente, prima di diventare capo del Politburo, Gorbaciov scoprì che l'Unione Sovietica aveva pagato un pesante prezzo diplomatico ed economico per il trattamento riservato ai dissidenti. Di conseguenza, entro il primo anno dall'ascesa al potere, iniziò a rilasciare prigionieri politici e refusenik. Quando divenne presto chiaro, tuttavia, che questa politica poteva portare a un'emigrazione di massa, furono introdotte nuove restrizioni. L'emigrazione più libera portò rapidamente a richieste di autodeterminazione da parte di gruppi religiosi e nazionali. Anche a questo Gorbaciov ha resistito, inviando truppe in Georgia, Lituania e altrove, che uccisero decine di manifestanti. Dopo la mia liberazione, mi è stato subito chiesto se volevo ringraziarlo per la mia libertà. Ho risposto che ero grato a tutti coloro che hanno combattuto per la mia liberazione, compresi i compagni ebrei e i leader stranieri, perché ho capito che senza la loro lotta non sarebbe successo. A quel tempo evitai deliberatamente di ringraziare Gorbaciov perché, con così tanti miei compagni dissidenti ancora in prigione e l'emigrazione ancora non consentita, sentivo che sarebbe stato irresponsabile e persino sleale dargli credito.” In seguito, in occasione di incontri ufficiali, Sharanski racconta di aver tentato di ringraziare anche lui, ma di aver trovato Gorbaciov quasi offeso per quel che percepiva come ingratitudine. Era dunque un uomo che restò legato al passato comunista. “Tuttavia, se guardiamo al XX secolo non attraverso la lente delle lotte politiche, ma piuttosto dalla prospettiva a volo d'uccello della storia, vediamo quanto fosse assolutamente unico Gorbaciov. In quasi tutte le dittature ci sono dissidenti, e di tanto in tanto ci sono anche leader occidentali disposti a rischiare il loro destino politico per promuovere i diritti umani all'estero. Ma Gorbaciov era un prodotto del regime sovietico, un membro della sua élite dominante che credeva nella sua ideologia e godeva dei suoi privilegi, ma decise comunque di distruggerlo. Per questo, il mondo deve essergli grato.”



La incivile e malvagia Russia nazifascista di Putin, i suoi primati negativi e le sue azioni criminali

viewtopic.php?f=143&t=3010
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 4000746683
La Russia di Putin non è un faro di civiltà per il mondo, non è certo un paradiso per i cristiani e non è nemmeno una patria felice e ideale per i russi e per le altre etnie di questa federazione imperiale a egemonia suprematista russa.

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Antisemitismo e antisraelismo russo
Non tutti i russi sono complici del criminale del Cremlino e della sua Russia nazifascista, suprematista, imperialista, incivile e disumana.

C'è anche chi dissente, si oppone, si rifiuta e che per ciò viene ucciso, imprigionato o costretto a fuggire.



Fugge il Rabbino Capo da Mosca, non voleva sostenere la guerra

7 giugno 2022

https://www.rainews.it/articoli/2022/06 ... 56298.html

Il rabbino capo di Mosca, Pinchas Goldschmidt, è fuggito dalla Russia. Lo ha reso noto la nuora, la giornalista newyorkese Avital Chizhik-Goldschmidt, moglie di uno dei figli del rabbino. L'esponente religioso sarebbe stato “messo sotto pressione dalle autorità” per sostenere l'invasione russa dell'Ucraina.

Il rabbino e sua moglie Dara "si sono rifiutati" di sostenere la guerra. "Sono volati in Ungheria due settimane dopo l'invasione russa dell'Ucraina. Ora - scrive la giornalista su Twitter - sono in esilio dalla comunità che hanno amato e costruito e in cui hanno cresciuto i loro figli per oltre 33 anni. Il dolore e la paura nella nostra famiglia in questi ultimi mesi è al di là delle parole". Il rabbino Goldschmidt è anche presidente della Conferenza dei rabbini europei.



Vanda Semionova aveva 10 anni quando rifugiatasi in una cantina sfuggì al rastrellamento degli ebrei.
Nella stessa cantina ha trovato la morte a 91 anni per fame, freddo e stenti per nascondersi dall'invasore russo .
Che la Terra le sia lieve.
26 luglio 2022

https://www.facebook.com/paolo.ligozzi/ ... a2PdoUMzyl



Ucraina e Israele, la stessa posta in gioco
Niram Ferretti
9 Aprile 2022

http://www.linformale.eu/ucraina-e-isra ... -in-gioco/

La frase spesso citata, al limite dell’usura, di Ugo La Malfa, “La libertà dell’Occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme”, formulata in relazione alla necessità di riconoscere in Israele il baluardo in Medio Oriente al tracimare dell’estremismo islamico, si può traslare oggi con riferimento all’Ucraina e alla guerra di aggressione scatenata dalla Russia.

Non vi è alcun dubbio sul fatto che al di là dei pretesti addotti e variabili, dell’invasione voluta da Putin (espansione della NATO, minaccia alla sicurezza russa, “denazificazione” del paese), ciò che muove ideologicamente questa guerra è ben radicato nella volontà russa di ridisegnare l’ordine geopolitico emerso con la fine della Seconda guerra mondiale e successivamente quello scaturito dal crollo dell’Unione Sovietica, per formarne uno alternativo, in cui, all’interno di una costellazione euroasiatica, la Russia sia potenza di prima grandezza appoggiata dalla Cina. Il collante dell’alleanza è l’avversione esplicita per l’architettura liberale, di cui gli Stati Uniti hanno tutelato e governato negli ultimi 76 anni, come potenza egemone del globo, l’esistenza.

Se, al di là della prosa turgida, dell’enfasi messianica, si traduce in sintesi ciò che dichiara Alexander Dugin, si troverà una notevole consonanza con le affermazioni meno esagitate di Sergey Karaganov, ex Consigliere di Putin, e a capo oggi del Centre for Foreign and Defense Policy di Mosca, il quale non si fa alcuno scrupolo nel dichiarare, come ha fatto in due recenti interviste apparse questo mese, la prima su The Newstatesman e la seconda su Il Corriere della Sera, che la guerra contro l’Ucraina è in realtà un tassello di una guerra più ampia contro l’Occidente.

Quando Karaganov afferma, “Ci sentiamo tutti parte di un grande evento nella storia, e non si tratta solo della guerra in Ucraina; si tratta del crollo finale del sistema internazionale che si è creato dopo la Seconda guerra mondiale e poi, in modo diverso, è stato ricostruito dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Quindi, stiamo assistendo al crollo di un sistema economico – del sistema economico mondiale – la globalizzazione in questa forma è finita” come si fa a non sentire, in forma diversa, l’eco delle stesse parole di Dugin, “L’operazione speciale in Ucraina è diretta soprattutto contro il liberalismo e il globalismo”?

L’unico paese in Medioriente che ha fatto della difesa del liberalismo e della democrazia la propria ragione d’essere è, ovviamente, Israele. Non a caso, lo stesso Dugin, qualche anno fa attaccò Israele per questa sua specificità, affermando, “Lo stato di Israele è stato sin dall’inizio una base strategica per l’Atlantismo militante (prima l’Inghilterra, ora gli Stati Uniti) nel Medio Oriente. Questo stato è sia ideologicamente che politicamente orientato al capitalismo ed occidentalizzato per quanto riguarda il sistema di valori. Questi valori sono in completa contraddizione con la visione nazionale russa del mondo, così come l’intera idea di Geopolitica Eurasiatica”. http://www.linformale.eu/aleksander-dug ... necessita/

La “visione nazionale russa del mondo” non prevede infatti una Ucraina libera, autonoma, in grado di potere determinare il proprio futuro spostandosi maggiormente verso Occidente per sottrarsi all’influenza russa. E questo perchè all’Ucraina non è riconosciuta una sua specificità nazionale, come ha scritto Putin stesso nel saggio, Sull’unità storica di russi e ucraini pubblicato il 12 luglio del 2021. Ma non è forse la stessa specificità ed esistenza autonoma di Israele negata fin dal principio dal mondo islamico che con tre guerre ha cercato di distruggerla, per poi passare con la Seconda intifada al terrorismo su larga scala? E non è forse l’Iran che da anni si riferisce ad Israele come un “cancro”, una anomalia patologica da estirpare dal corpo considerato imperituramente musulmano del Medio Oriente?

Come non vedere nell’aggressione a freddo dell’Ucraina da parte della Russia, aggressione che è sfida aperta all’Occidente, la medesima volontà di chi, sul fronte islamico, condivide lo stesso odio per la democrazia e l’assetto liberale che essa garantisce e di cui, in Medio Oriente, Israele è simbolo?

Il nazionalismo esasperato che motiva, da parte russa, la guerra in corso, portatore di una volontà imperialista che si declina nel modo più brutale, è esattamente speculare al suprematismo musulmano per il quale Israele sarebbe un elemento estraneo e patogeno (un “cancro”, appunto) collocato su un territorio che viene ritenuto interamente waqf islamico.

Le differenze sono, inevitabilmente, di natura culturale, ma la sostanza soggiacente è la stessa, così come vi sono strette analogie con la propaganda messa in campo atta alla demonizzazione dell’avversario. Nei confronti dell’Ucraina, la Russia ha utilizzato un rodato strumento del proprio armamentario, non a caso fornito proprio dal’Unione Sovietica agli arabi a partire dagli anni ’60 per demonizzare Israele, quello della nazificazione.

Nel suo discorso del 24 febbraio, Putin ha esplicitamente utilizzato l’espressione “denazificare”, riferita alla decisione di invadere l’Ucraina, come una delle ragioni dell’invasione, in linea di continuità con la rappresentazione propagandistica degli ucraini come nazisti utilizzata in rapporto al conflitto nel Donbass.

La nazificazione degli israeliani da parte della propaganda araba e islamica in generale, è in corso almeno da trent’anni, c’è solo l’imbarazzo della scelta nella florida pubblicistica antisionista che originata dal Cremlino, ha progressivamente innondato il mondo musulmano trovando numerose adesioni anche in Occidente. E se Israele non ha l’equivalente del Battaglione Azov, la milizia nazionalista, perfetta per la reductio ad hitlerum dell’intera Ucraina, ciò non ha impedito e non impedisce la raffigurazione di primi ministri israeliani e semplici soldati con la svastica sul braccio o in uniforme delle SS.

L’Ucraina si trova oggi, sotto assedio russo, nella posizione in cui Israele si trova dal 1948. Entrambi i paesi, in aree geografiche assai distanti, sono luoghi in cui la rappresentazione politica e culturale dell’Occidente, non solo è a rischio di essere travolta da regimi che le sono ontologicamente avversi, come è il caso di Israele, ma, nel caso dell’Ucraina, è aggressivamente ed esplicitamente messa in mora.

Non è dunque possibile per chi ha cuore l’ordine democratico occidentale e l’insieme di valori che esso custodisce e mette in circolazione, soprattutto per chi è da sempre dalla parte di Israele e delle sue ragioni, non trovarsi naturalitater dalla parte dell’Ucraina, ovvero dalla parte occidentale, lasciando a chi le è avverso, e spera nella sua disarticolazione, di sposare le ragioni di Putin e il suo regime.






La Russia contro Israele.
Deborah Fait
21 aprile 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4786604731

Putin telefona al leader palestinese per esprimere disapprovazione per le azioni di Israele sul Monte del Tempio mentre crescono le ricadute della dichiarazione di Lapid sui "crimini di guerra" russi.
Di Lauren Marcus, World Israel News
Sulla scia di una lettera con parole forti al primo ministro Naftali Bennett chiedendo che Israele trasferisse la proprietà di una chiesa a Gerusalemme alla Russia, il presidente Vladimir Putin ha telefonato al presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas per criticare le recenti azioni delle forze di sicurezza israeliane sul Monte del Tempio.
Secondo un rapporto dell'agenzia di stampa statale russa RIA, Putin ha discusso una serie di argomenti con Abbas.
Mentre i prezzi alimentari globali aumentano a causa dell'inflazione, con la crisi della catena di approvvigionamento innescata dalla pandemia di COVID e dalla guerra in Ucraina, Putin avrebbe detto ad Abbas che i palestinesi godranno dell'accesso illimitato a "grano, materiali e raccolti russi".
L'agenzia di stampa statale Wafa di proprietà dell'Autorità Palestinese ha affermato che "Putin ha sottolineato la ferma posizione della Russia a sostegno dei diritti del popolo palestinese e che la Russia continuerà a ... sostenere ... la causa palestinese in tutti i forum internazionali".
Wafa ha riferito che Putin ha espresso la sua disapprovazione per gli arresti su larga scala di rivoltosi violenti da parte di Israele sul Monte del Tempio, dicendo di non essere d'accordo con "le pratiche israeliane che impediscono ai fedeli di accedere liberamente alla moschea di Al-Aqsa".
Si dice anche che Putin abbia criticato Israele per non aver "rispettato lo status quo storico esistente alla moschea di Al-Aqsa e a Gerusalemme".
Mosca ha mantenuto a lungo cordiali legami con l'AP. Decine di palestinesi a Betlemme hanno organizzato una modesta manifestazione pro Putin nella piazza centrale di Betlemme all'inizio dell'invasione russa dell'Ucraina.
Dopo che il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid ha criticato Putin per aver commesso "crimini di guerra" in Ucraina, in un importante allontanamento dalla politica del governo israeliano di rimanere neutrale durante il conflitto, la Russia ha risposto al fuoco con una dura dichiarazione.
"Le dichiarazioni del ministro degli Esteri israeliano suscitano rammarico e rifiuto", ha affermato sabato il ministero degli Esteri russo.
"C'è stato un tentativo mal camuffato di sfruttare la situazione in Ucraina per distrarre l'attenzione della comunità internazionale da uno dei più antichi conflitti irrisolti, quello palestinese-israeliano", ha affermato il ministero.
Da Rodolfo Chur
(italiani in Israele)


Le Russia attiva i missili contro Israele: è alta tensione in Siria
Alessandro Scipione
24 Maggio 2022

https://it.insideover.com/guerra/le-rus ... siria.html

La Russia ha azionato per la prima volta i sistemi di difesa anti-aerei S-300 dislocati in Siria contro i caccia di Israele. L’episodio è avvenuto la notte del 13 maggio nei pressi della città di Masyaf, nel nord-ovest del Paese arabo, a circa 45 chilometri dalla base navale di Tartus, gestita da Mosca. Il raid israeliano ha provocato cinque morti e sette feriti, come riferito dall’agenzia di stampa siriana ufficiale Sana. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione non governativa con sede a Londra ma presente sul territorio siriano con una rete di fonti, segnala che quattro delle vittime erano combattenti di nazionalità non precisata.

“Aerei da guerra israeliani hanno lanciato almeno otto missili contro depositi di armi e siti iraniani nell’area di Masyaf”, aggiunge l’Ong. Secondo l’emittente televisiva israeliana Channel 13, il missile anti-aereo russo è stato sparato mentre i jet israeliani stavano tornando alla base e non ha agganciato alcun obiettivo. L’episodio, finora non smentito, segna un deciso cambio di passo nell’atteggiamento di Mosca nei confronti dello Stato ebraico. Secondo la rivista statunitense Forbes, la risposta russa ai raid israeliani in Siria “potrebbe essere un grosso problema”.

Chi ha sparato?

Finora, tra Russia e Israele era in vigore un tacito accordo che permetteva allo Stato ebraico di colpire obiettivi dell’Iran e degli Hezbollah libanesi in Siria, senza finire nella rete anti-aerea avanzati dislocata da Mosca nel territorio del regime di Damasco. A tentare di colpire gli aerei israeliani sono in genere le obsolete e poco efficaci batterie Pantsir S-2. Secondo Channel 13, i sistemi S-300 in Siria sono azionati delle Forze armate russe e non possono attivarsi senza l’approvazione di Mosca. “Se, tuttavia, la Russia avesse trasferito il pieno comando e controllo degli S-300 all’esercito siriano, e avesse permesso a Damasco di usarli per cercare di impedire a Israele di attaccare obiettivi collegati all’Iran nel Paese, sarebbe tutta un’altra storia”, sottolinea Forbes.

Linea rossa

Il quotidiano The Times of Israel afferma che, a prescindere da chi abbia azionato i missili, l’episodio è preoccupante per Israele. Lo Stato ebraico ha compiuto centinaia di attacchi aerei all’interno della Siria a partire dal 2011, in relativa tranquillità. Gli S-300 permetterebbero a Damasco di colpire bersagli ad alta quota a oltre 160 chilometri di distanza. L’intelligence israeliana ha fatto filtrare alla stampa le immagini satellitari scattate prima e dopo il raid che mostrerebbero una struttura sotterranea completamente distrutta. L’area del bombardamento dista appena qualche decina di chilometri dalla strategica base di Tartus. “Molto probabilmente il personale russo ha lanciato il missile per segnalare a Israele si è spinto troppo oltre secondo il punto di vista di Mosca. In altre parole, è il classico colpo di avvertimento”, afferma Forbes. Secondo un’analisi di Stratfor, “la vicina provincia siriana di Latakia ospita le basi aeree e navali russe ed è normalmente off-limits agli attacchi israeliani, portando così il redente raid israeliano molto vicino alle linee rosse indicate da Mosca”.

Rapporti incrinati?

Il ministro della Difesa israeliano, Benny Gantz, senza mai menzionare apertamente l’episodio, ha dichiarato che lo Stato ebraico “continuerà ad agire contro qualsiasi nemico che lo minacci e impedirà il trasferimento di capacità avanzate dall’Iran”. Secondo Forbes, “mentre Israele indubbiamente non vuole uno scontro militare con la Russia in Siria, Mosca certamente non può permetterselo, soprattutto in un momento in cui la sua capacità di rifornire le sue forze in Siria è stata gravemente limitata dopo che la Turchia ha chiuso lo stretto del Bosforo”. L’escalation avviene mentre i rapporti tra Israele e Russia sono tesi dopo le dichiarazioni a Mediaset del ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, giudicate antisemite, e le successive “scuse” di Vladimir Putin, queste ultime riferite però solo dalla parte israeliana e non dal Cremlino. In Israele vive una vasta comunità russofona ed è nell’interesse di tutti mantenere rapporti cordiali, ma è altrettanto vero molto israeliani hanno origini ucraine: a Odessa, ad esempio, vive una folta e nota comunità ebraica.

Il fattore ucraina

Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio, lo Stato ebraico ha cercato di preservare i suoi legami con Mosca e fino a poco tempo fa ha rifiutato di inviare equipaggiamento difensivo in Ucraina, trasferendo invece oltre 100 tonnellate di aiuti umanitari e allestendo un ospedale da campo nell’Ucraina occidentale. Adesso Israele sembra aver mutato cambiato posizione e lo dimostra l’annuncio dell’invio, pochi giorni fa, di elmetti e giubbotti antiproiettile all’Ucraina. In una dichiarazione, il ministero della Difesa ha affermato che avrebbe spedito 2.000 elmetti e 500 giubbotti antiproiettile, i primi inviati dallo stato ebraico dall’inizio dell’invasione russa. I canali Telegram russi riferiscono anche dell’invio di consiglieri militari e droni israeliani. Eventualità che Insideover non può verificare e che poterebbe rientrare nel novero della propaganda di Mosca.



Israele e Medio Oriente
Il gioco sporco della Russia con Israele

Davide Cavaliere
27 Giugno 2022

http://www.linformale.eu/il-gioco-sporc ... n-israele/

Circa due settimane fa, Israele ha bombardato l’aeroporto di Damasco, in Siria, causando gravi danni a una pista d’atterraggio, a una sala d’attesa, a dei magazzini e alla superstrada che conduce allo scalo aereo. Per Gerusalemme è da qui che partono le armi iraniane per l’esercito di Assad e per Hezbollah in Libano.

Gli armamenti e i sistemi militari vengono contrabbandati su aerei civili. Quella di occultare armi e munizioni all’interno o in prossimità di strutture civili è una consolidata strategia dei nemici dello Stato ebraico. Hamas, a Gaza, posiziona le sue batterie di missili sui tetti delle scuole o degli ospedali, così da poter poi accusare l’aviazione militare israeliana di colpire, deliberatamente, edifici di pubblica utilità.

Israele ha molte prove riguardo all’uso improprio che il regime di Assad, Hezbollah e Teheran fanno dell’aeroporto di Damasco. Inoltre, Israele può presentare le prove dei depositi di armi che sono collocati ai margini dell’infrastruttura, dove le armi vengono immagazzinate, dopo essere state scaricate dagli aerei civili, fino al giorno della consegna agli agenti del gruppo terroristico libanese.

Quest’ultimo bombardamento ha scatenato le ire della Russia, che ora sta preparando una risoluzione anti-israeliana al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. «Siamo costretti a ribadire – ha dichiarato Maria Zakharova, portavoce del ministero degli esteri – che i continui attacchi israeliani sul territorio della Repubblica araba siriana, in violazione delle norme di base del diritto internazionale, sono assolutamente inaccettabili. Condanniamo con forza il provocatorio attacco israeliano a uno dei più importanti elementi delle infrastrutture civili siriane».

La scorsa settimana, Mosca ha anche convocato l’ambasciatore israeliano, Alex Ben-Zvi, per chiedere chiarimenti sull’attacco. Tuttavia, i funzionari israeliani hanno espresso dubbi sul fatto che la risoluzione proposta sarà sostenuta dagli altri membri del Consiglio. Molto probabilmente andrà incontro al veto di Stati Uniti, Regno Unito e Francia, sebbene sia necessario solo il voto di uno di loro per impedirne l’adozione.

La Russia, sotto i riflettori del mondo per via della guerra in Ucraina, sembra stia cercando di spostare l’attenzione internazionale su un altro attore dello scacchiere mondiale, qualcuno capace di suscitare forti passioni e contrasti, come Israele. La risoluzione russa non ha alcuna possibilità di essere adottata, ma la sua semplice presentazione metterà la Russia in ridicolo. Mosca, infatti, sta conducendo una guerra sporca in Ucraina, un vero e proprio «urbicidio», accompagnato da rapimenti di massa di bambini ed esecuzioni sommarie, ma si dice «indignata» per gli attacchi israeliani contro fasulli obiettivi «civili».

Questa volontà d’infangare Israele procede in parallelo con un consolidamento delle relazioni russo-iraniane. Il ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, in visita a Teheran, ha chiesto che vengano eliminate tutte le sanzioni economiche contro l’Iran e che venga ripristinato il JCPOA, il disastroso accordo sul nucleare del 2015 promosso da Obama e affossato dal presidente Trump.

La Russia, definitivamente isolata dall’Occidente a causa dell’invasione dell’Ucraina, è destinata ad assumere posizioni sempre più antiamericane, dunque anche avverse a Israele. Non bisognerà stupirsi se, a breve, il Cremlino non fornirà più il suo tacito consenso alle operazioni militari israeliane in Siria. Uno scenario che dovrebbe indurre Gerusalemme a sostenere in modo più risoluto l’Ucraina, allontanandosi in modo definitivo dalla Moscovia filoaraba.


Israele e Medio Oriente
Il gioco sporco di Putin con Israele

Davide Cavaliere
5 Agosto 2022

http://www.linformale.eu/il-gioco-sporc ... n-israele/

Il 28 dicembre 2021, la Corte Suprema della Federazione Russa ha decretato la chiusura di Memorial Internazionale, l’associazione che da tre decenni custodisce coraggiosamente i diritti civili e lavora per preservare la memoria delle vittime delle repressioni sovietiche.

Adesso, attraverso l’inasprimento della «legge sugli agenti stranieri» del 2012, una nuova organizzazione si appresta a essere bandita dalla Russia di Putin, si tratta della filiale dell’Agenzia Ebraica per Israele, che da sempre si occupa di far emigrare in sicurezza gli ebrei russi verso lo Stato ebraico.

Negli ultimi mesi, circa tredicimila ebrei russi hanno lasciato il loro Paese d’origine per Israele. Un numero superiore a quello degli ebrei che hanno lasciato l’Ucraina (8.500). Una fuga dettata principalmente dal rifiuto della guerra in atto, che il Cremlino non ha apprezzato.

Fermare le attività dell’Agenzia in quello che, ormai, è il regno personale di Vladimir Putin, avrebbe pesanti conseguenze per gli ebrei russi, per i quali diventerà più difficile trasferirsi nello Stato ebraico, poiché le reti di supporto per facilitare il processo di espatrio spariranno e, insieme a esse, tutto il lavoro che l’Agenzia stava portando avanti per gestire le comunità ebraiche in territorio russo.

La celebrazione organizzazione ebraica, fondata nel 1929 da Chaim Weizmann, futuro primo presidente dello Stato d’Israele, venne bandita dall’Unione Sovietica e solo alla fine degli anni Ottanta ha ripreso le sue attività in Russia.

Putin sta utilizzando gli ebrei del suo Paese come pedine per compiacere l’Iran, uno dei pochi alleati rimastogli. Non a caso il leader supremo iraniano, l’Ayatollah Khamenei, ha scritto su Twitter: «Le recenti posizioni assunte dal presidente della Russia contro i sionisti sono lodevoli». Non poteva andare diversamente.

Le azioni della Russia nei confronti d’Israele e degli ebrei, dalla condanna delle operazioni militari in Siria fino al recente incontro con la Turchia per discutere del grano ucraino avvenuto proprio in Iran, dovrebbero mettere in allarme coloro che si dicono «filoisraeliani e simpatizzanti della Russia». Insomma: continua il gioco sporco di Putin con Israele.





TENSIONE ISRAELE-RUSSIA: "GRAVE CHIUDERE L'AGENZIA EBRAICA"
Progetto Dreyfus
25 luglio 2022

https://www.facebook.com/progettodreyfu ... 3329762319

Israele considera «grave» la possibile chiusura degli uffici dell'Agenzia ebraica a Mosca, anticipata la settimana scorsa dal ministero della Giustizia russo, che sarà discussa a fine mese in una Corte distrettuale locale. Al termine di una consultazione di emergenza tenuta oggi a Gerusalemme, il premier Yair Lapid ha avvertito che la vicenda potrebbe avere «ripercussioni sui rapporti bilaterali».
«Le relazioni con la Russia sono importanti per Israele - ha affermato Lapid - ma la comunità ebraica in Russia è grande, ed è importante per noi». L'Agenzia ebraica, un'emanazione del Movimento sionista con sede a Gerusalemme, è preposta all'organizzazione dell'immigrazione in Israele degli ebrei sparsi nel mondo. In Russia, secondo la ministra per l'Immigrazione Pnina Tamano Shata, ci sono 600mila ebrei che avrebbero il diritto di trasferirsi in Israele. Per il momento Israele sta cercando di circoscrivere la vicenda. Lapid ha chiesto ad una delegazione di esperti di questioni legali di tenersi pronta a partire in ogni momento per Mosca. «Cerchiamo ancora - ha detto Tamano Shata - di trovare un'intesa con le autorità locali».



Putin contro Israele: chiusa l'Agenzia ebraica
Fiamma Nirenstein
27 luglio 2022

https://www.facebook.com/groups/1807630 ... 8511361160

Nella nuova avventura che il mondo, bendato, sta intraprendendo, Israele e Russia confliggono. Putin ha annunciato la chiusura dell'Agenzia Ebraica in Russia, l'Agenzia, la "Sochnut"che divenne il primo governo di Israele: nata nel 1923, divenne nel '48 il primo governo di Ben Gurion; tiene insieme nel mondo il bandolo della diaspora, laica e religiosa, del ritorno in Israele del popolo ebraico. Paese per paese, città per città, il nesso fra identità culturale e religiosa delle varie comunità e Israele è là. Il Ministero della Giustizia russo ha accusato la "Sochnut" di raccogliere informazioni sui cittadini russi, e questo è illegale. La risposta tecnica è stata lo stupefatto incarico a un gruppo di legislatori israeliani di partire per Mosca per trovare il modo di far cessare l'inquisizione, ma per ora il gruppetto aspetta presso il Ministero degli Esteri e non ottiene il permesso di presentarsi in Russia. L'Agenzia ha deciso al momento di spostare la sua attività online e a Gerusalemme, una sconfitta momentanea, accompagnata dalla protesta simile a una vera e propria minaccia di rappresaglia da parte del Primo Ministro e Ministro degli Esteri Yair Lapid. Insieme a un gruppo di Ministri in un incontro a porte chiuse ha segnalato rabbia, decisione, ma soprattutto un grande sconcerto insieme alla promessa di rivedere i rapporti con la Russia. Lapid pensa di richiamare l'Ambasciatore per consultazioni, di rimandare la consegna alla Russia del complesso di una Chiesa a Gerusalemme da tempo promesso, e soprattutto, si capisce senza dirlo, di spostarsi dalla scelta di non fornire armi agli Ucraini, né aiuto strategico. Non saranno certo le minacce a spaventare Putin: nella sua irritazione oltre alla spallata da bullo, probabilmente c'è anche un elemento personale. Lapid, al contrario di Bennett, e del rapporto molto cortese con l'accordo di non ingerenza del 2015 con Netanyahu, non ha contatti con Putin, e ha inveito parecchio contro i "crimini di guerra", le "stragi", le "aggressioni non provocate", pur mantenendosi sulla linea degli aiuti puramente umanitari e del sostegno morale a Zelensky. Israele, che sapeva bene di camminare su un'asse di equilibrio data la presenza militare massiccia della Russia in Siria, ha votato all'ONU il 7 di Aprile per espellere Putin dal Comitato per i diritti umani, ha spinto molto l'aiuto sanitario e l'immigrazione, Lapid è apparso come il miglior amico di Biden durante la visita di pochi giorni; l'incontro di Putin a Teheran e i nuovi accordi con gli ayatollah, anche se non hanno contemplato un aspetto esplicitamente anti-israeliano, pure devono non averne escluso qualcuno. L'asse formatosi fra Russia, Iran e Turchia ha un tratto antiamericano e anti-israeliano. E in Siria Israele contrattacca il disegno iraniano di creare un fronte nemico pronto alla guerra, come quello degli Hezbollah in Libano. Adesso, vedremo se la Russia seguiterà a chiudere un occhio. Difficile che voglia confrontarsi militarmente con Israele, che sul campo resta un nemico molto temibile, e Putin è già molto occupato. Ma la chiusura dell'Agenzia è un atto duro, che mette insieme un attacco agli ebrei russi e allo Stato d'Israele, così catturato nello scontro mondiale di cui ha cercato invano di restare ai margini. Israele non può ignorare l'incubo degli ebrei bloccati come ai tempi di Nathan Sharansky, che dovette trascorrere 9 anni in prigione fra gli anni '70 e '80, quando l'Unione Sovietica perseguitava gli ebrei refusenik. Per ora, siamo agli inizi di quello che si può trasformare in una prigione per circa un milione di ebrei russi. Un milione giunsero negli anni novanta dopo la fine dell'URSS. Ma quando c'è una crisi mondiale, è raro che non risuoni un ritornello anti-ebraico. Funziona.



"La guerra, una catastrofe per la Russia La cortina di ferro si sta richiudendo"
Moked
25 luglio 2022

https://moked.it/blog/2022/07/25/la-gue ... chiudendo/

In parte in esilio, in parte a casa. La nuova vita a Gerusalemme per l’ex rabbino capo di Mosca rav Pinchas Goldschmidt è carica di contraddizioni. Aver lasciato quella che per oltre trent’anni è stata casa sua, dove ha contribuito a ricostruire un tessuto ebraico, è stata una scelta difficile. Ma, come ha raccontato alla tedesca Süddeutsche Zeitung di recente, la pressione da parte delle autorità russe perché assecondasse pubblicamente l’invasione dell’Ucraina lo ha spinto a trasferirsi in Israele. Qui ha studiato da giovane e qui vive parte della sua famiglia. “Conosciamo molto bene il Paese, i miei genitori vivono qui, abbiamo figli e nipoti qui. Quindi da un lato è anche casa mia, ma naturalmente mi sento davvero in esilio”, ha spiegato il rav al giornalista Peter Münch, in quella che è stata la sua prima intervista pubblica dall’abbandono forzato di Mosca.
Tra le prime domande, una sulla pressione subita dal Cremlino per dare appoggio all’aggressione avviata il 24 febbraio scorso. “Chiunque parli della guerra corre il rischio di essere punito e imprigionato. Eravamo sotto pressione perché la comunità ebraica si esprimesse ufficialmente a favore della guerra. Poiché non avevamo la possibilità di dire qualcosa di critico, inizialmente abbiamo deciso di non dire nulla. – ha spiegato rav Goldschmidt – Per me è stato un grande problema morale: rimango in silenzio, eppure devo fare qualcosa. Per questo motivo io e mia moglie abbiamo deciso di lasciare la Russia”. Come i coniugi Goldschmidt, altre migliaia di persone nella prima metà del 2022 hanno deciso di fare l’aliyah dalla Russia. Secondo i dati del Ministero per l’Aliyah e l’Integrazione, ai primi di luglio ad emigrare sono state 16.598 persone. Il doppio rispetto al 2021 e il 40 per cento in più rispetto a chi è arrivato nello stesso periodo dall’Ucraina. Ora il Cremlino sta cercando di ostacolare questo flusso, colpendo l’Agenzia ebraica a Mosca. Passando attraverso i tribunali infatti, le autorità russe vorrebbero far chiudere l’ufficio locale dell’ong basata a Gerusalemme. Una notizia che sui social il rav Goldschmidt ha commentato con un certo sarcasmo: “in realtà la Russia ha fatto di più per promuovere l’emigrazione in Israele negli ultimi mesi di quanto abbia fatto l’Agenzia Ebraica negli ultimi dieci anni”. La guerra, come raccontano i numeri, ha spinto molti russi a chiedere, attraverso la Legge del Ritorno, la cittadinanza israeliana e a trasferirsi direttamente nel paese. Il perché lo spiega in poche parole Goldschmidt alla Süddeutsche: “Questa guerra è una catastrofe totale non solo per l’Ucraina e l’ebraismo ucraino, ma anche per la Russia, che sta facendo un grande passo indietro verso l’Unione Sovietica”. La comunità ebraica del paese continua ad andare avanti, ma i problemi da tempo si stanno aggravando. “Negli ultimi anni, ad esempio, più di dieci rabbini sono stati espulsi per vari motivi. Questo indica che la situazione è molto delicata”. Il giornalista Peter Münch poi chiede conto dei rapporti del mondo ebraico con Putin. “Ci sono conflitti all’interno dell’ebraismo russo quando si parla di Vladimir Putin?”, chiede Münch. E aggiunge: “Per esempio, il rabbino capo della Russia, Berel Lazar, è sempre stato considerato un confidente del presidente ed è rimasto nel Paese”. “Essere vicini a un governo o a un presidente può portare molti vantaggi, ma alla fine c’è un prezzo da pagare. – la replica di Goldschmidt – Ma spetta ad altri giudicare da che parte della storia si vuole stare”. Il rav poi spiega di aver deciso di rassegnare le dimissioni dall’incarico di rabbino capo di Mosca per non mettere in difficoltà la sua comunità. E nel frattempo sono sempre più i suoi membri, racconta, che lo chiamano da Israele. “Probabilmente la mia partenza ha aiutato molte famiglie a prendere questa decisione. – la sua valutazione – Secondo le ultime statistiche, dall’inizio della guerra sono immigrati in Israele più ebrei russi che ucraini”. E il dato sarebbe anche superiore a quello ufficiale (16.598). “I numeri sono molto più alti perché una gran parte degli ebrei di Mosca aveva la cittadinanza israeliana già prima della guerra. Questa è sempre stata una rassicurazione. E non vengono più registrati all’ingresso”. Quanto il flusso di immigrazione potrà durare non è chiaro, con un clima che per Goldschmidt ricorda sempre più i tempi dell’Unione Sovietica. “Un terzo della vecchia cortina di ferro è di nuovo chiuso. – afferma – Questo non solo a causa della Russia, ma anche a causa delle sanzioni occidentali. Lasciare la Russia oggi è piuttosto difficile, non solo per gli ebrei ma per tutti. E la grande paura è che questa cortina di ferro si abbassi ulteriormente”.
Infine il commento su un eventuale ritorno in Russia: “Come ebrei dobbiamo sempre essere ottimisti. E sì, spero di tornare un giorno”.



Antisemitismo geopolitico | La rappresaglia di Putin contro gli ebrei russi che vorrebbero andare in Israele

Linkiesta.it
3 agosto 2022

https://www.linkiesta.it/2022/08/russia ... i-israele/

La settimana scorsa il ministero della Giustizia russo ha chiesto la liquidazione della filiale dell’Agenzia Ebraica per Israele presente sul suo territorio. L’ente finito nel mirino del Cremlino è un’organizzazione no-profit con sede a Gerusalemme che da quasi un secolo lavora per portare gli ebrei in Israele: è la più grande organizzazione ebraica senza scopo di lucro al mondo, fondata nei primi del Novecento. La sua mission, come da statuto, è «assicurare che ogni persona ebrea senta un legame indissolubile l’una con l’altra e con Israele, indipendentemente da dove vivano nel mondo, in modo che possano continuare a svolgere il loro ruolo fondamentale nella nostra storia ebraica in corso».

Fermare le attività dell’agenzia in Russia avrebbe dirette e pesanti conseguenze: per gli ebrei russi diventerà quasi impossibile fare domanda per trasferirsi o viaggiare nello Stato ebraico. È vero che possono ancora comprare un biglietto per un aeroporto israeliano, perché al momento non sono richiesti documenti particolari, ma le reti di supporto per facilitare il processo spariranno, insieme a tutto il lavoro che l’agenzia stava facendo per gestire scuole ebraiche e rafforzare un certo senso di comunità ebraica sul territorio russo.

Il vero problema è che tutto questo sforzo extra necessario per emigrare creerà inevitabilmente dei sospetti su coloro che ci provano, restituendo l’apparenza di un atto illecito, di slealtà: l’operazione del Cremlino rischia di creare un’aria di illegalità attorno a molti ebrei in Russia.

Dall’inizio della guerra gli ebrei stavano lasciando la Russia con ritmi decisamente maggiori rispetto agli ultimi anni – conseguenza piuttosto ovvia, come d’altronde hanno già fatto moltissime persone. Circa 16mila cittadini russi si sono registrati in Israele come nuovi immigrati da febbraio, il triplo rispetto allo scorso anno. Altri 34mila si sono presentati nel Paese come turisti, forse per restare. Tra loro ci sono cittadini come Elena Bunina, che era l’amministratore delegato di Yandex, una società che la Russia considerava la sua risposta a Google.

Ma Mosca prova a difendersi: le autorità russe temono una fuga di cervelli, che sembra, almeno alla sua classe dirigente, una buona ragione per fare fondo alla repressione.

«L’azione punitiva sorprende per il carattere tempistiche e immediatezza», scrive Gal Beckerman sull’Atlantic. «Per anni, le relazioni tra Israele e Russia sono state in ripresa e Israele ha assunto una posizione particolarmente neutrale quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina».

Ma il tono è cambiato negli ultimi tempi: il ministro degli Esteri israeliano, Yair Lapid, ha parlato espressamente di crimini di guerra per descrivere il comportamento della Russia in Ucraina. Recentemente diventato primo ministro ad interim dello Stato ebraico, e non è un caso che da quel momento è iniziata una raffica di reati russi, a cominciare dall’affermazione che il governo ucraino, guidato da un presidente ebreo, è in realtà neonazista e include le riflessioni ad alta voce del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov a maggio sulla questione se forse Hitler «avesse sangue ebreo».

In tutto questo, Vladimir Putin sta muovendo i fili della sua diplomazia per giocare anche contro Israele. Il recente incontro con la Turchia per discutere del grano ucraino è avvenuto in Iran, Paese nemico numero 1 di Israele. Dopo il viaggio di Putin, il leader supremo iraniano, l’Ayatollah Khamenei ha twittato: «Le recenti posizioni assunte dal presidente della Russia contro i sionisti sono lodevoli».

Il riferimento è ovviamente all’Agenzia Ebraica per Israele. L’Atlantic nel suo articolo ripercorre la storia dell’istituzione nel corso del Novecento. «L’Agenzia fu bandita dall’Unione Sovietica, ma iniziò a operare nella regione alla fine degli anni ’80 e aiutò circa un milione di ebrei a raggiungere Israele negli anni ’90. Da questo esodo di massa, il ruolo dell’agenzia è stato quello di mantenere la vita comunitaria ebraica per i circa 150mila ebrei che è rimasto, oltre a sostenere chiunque voglia emigrare in Israele. La mossa di Putin deve essere vista come un atto di aggressione, inteso a rendere più difficile la partenza degli ebrei».

La settimana scorsa, commentando la notizia della decisione del Cremlino, l’ex presidente dell’Agenzia Ebraica Natan Sharansky ha detto: «È il momento di essere pragmatici, ma allo stesso tempo non è il momento di mostrare le debolezze. Hai qui una superpotenza che vuole intensificare le cose e finora non stanno cercando una soluzione: siamo in una fase storica che sembra riportarci indietro di mezzo secolo».

Forse il riferimento temporale non è casuale. Negli anni ‘70 ci fu uno dei più grandi esodi di ebrei dall’Unione Sovietica – anche se la data storica è il 1979, non proprio cinquant’anni fa. In quell’anno ci fu la più grande emigrazione dalla fine degli anni ’60: 50mila ebrei sovietici iniziarono a chiedere il diritto di andarsene. Quasi tutte le richieste furono respinte con perdite.

«Per i sovietici l’emigrazione degli ebrei era un’arma, o meglio, un rubinetto da aprire e chiudere a piacimento per compiacere o punire l’Occidente», si legge sull’Atlantic. E oggi l’idea di Putin di chiudere l’Agenzia Ebraica è la dimostrazione che la Russia consideri ancora gli ebrei delle semplici pedine, merce di scambio senza volto da usare come leva geopolitica per i suoi interessi.

«Solo un Paese preoccupato di essere diventato un posto indesiderabile in cui vivere – è la conclusione di Beckerman nel suo articolo – reagisce in questo modo. Ma se uno Stato limita e manipola il suo popolo, costringendolo perfino a supplicare per i suoi diritti fondamentali, allora la parola più accurata per descriverlo è “totalitario”».


???
Russia, l'impegno dei rabbini: "Resteremo, ma preghiamo per la pace"

Rosalba Castelletti
6 settembre 2022

https://www.repubblica.it/esteri/2022/0 ... 364434532/

MOSCA – “Continueremo a servire le nostre comunità”: è l’impegno preso in una dichiarazione rilasciata al termine di una Conferenza d’emergenza dei rabbini delle comunità ebraiche russe convocata ieri a Mosca per discutere delle sfide che si trovano ad affrontare i 165mila ebrei che vivono nella Federazione.

Un impegno ribadito anche da Aleksandr Boroda, presidente della Federazione delle comunità ebraiche in Russia, nel suo messaggio letto ai 75 rabbini presenti nell’anfiteatro del Centro ebraico di Mosca in rappresentanza dei 400 sparsi in tutta la Russia: “Potrebbe sembrare che affrontiamo enormi sfide geopolitiche ed economiche, ma non dobbiamo rinunciare ai nostri doveri”, ha detto ricordando gli attacchi contro i leader religiosi sin dalla caduta della cortina di ferro.

Il documento prudentemente non menziona mai né l’Ucraina, né la cosiddetta “operazione militare speciale” russa. I rabbini russi, in rappresentanza di 400 colleghi provenienti da tutta la Russia, si limitano ad affermare di “pregare per il benessere di tutti gli abitanti del mondo, indipendentemente dalla razza o dalla nazionalità” e a lanciare un appello finale. “Chiediamo ai leader mondiali di fare tutto ciò che è in loro potere per portare la pace tra le nazioni. Noi preghiamo perché non venga più versato sangue e invitiamo ovunque le persone di buona coscienza ad aiutare i bisognosi, compresi i rifugiati, e a porre fine alle sofferenze”.

“Il nostro ruolo non è essere coinvolti in questioni interne o geopolitiche. Siamo scioccati dal fatto che alcuni individui non solo credano che i rabbini abbiano il dovere di mettere a repentaglio le loro comunità impegnandosi in attività politiche o addirittura di abbandonare del tutto la loro comunità come forma di protesta politica”, sostiene la dichiarazione. “Inoltre queste persone rilasciano dichiarazioni che condannano i rabbini e i leader della comunità che hanno scelto di rimanere e servire la loro comunità”.

Anche qui non vengono fatti nomi, ma sembra chiaro il riferimento all’ex rabbino capo di Mosca Pinchas Goldschmidt che, a inizio giugno, rivelò di essere fuggito dalla Russia pur di non cedere alle pressioni delle autorità russe e di non dare la sua benedizione all’offensiva in Ucraina.

Pressioni che Aleksandr Boroda, parlando con Repubblica, smentisce: “Nessuno ha subito pressioni. Sembra strano che Goldschmidt sia stato il solo”. Uno degli scopi della conferenza è proprio questo, dice: contrastare l’idea che gli ebrei in Russia non abbiano altra scelta che andarsene e che in tanti lo stiano facendo. “La stragrande maggioranza ha scelto di restare”.

Una scelta sostenuta dai principali rabbini e leader di Israele, incluso il presidente Isaac Herzog che in un messaggio letto dall'ambasciatore israeliano Alexander Ben Zvi li ha invitati a continuare il loro lavoro “anche adesso, in mezzo alla terribile tragedia caduta sulla comunità in Ucraina e la paura e l’incertezza che consuma in Russia”.

“Voi siete quelli che guidano la vostra comunità verso la sua destinazione”, ha detto il rabbino capo ashkenazita David Lau in una lettera indirizzata ai rabbini russi. “La comunità ebraica della Russia fa affidamento su di voi spiritualmente e materialmente”, gli ha fatto eco il rabbino capo sefardita Yitzhak Yosef.

Mentre l’ex presidente dell’Agenzia Ebraica e attivista per i diritti umani Natan Sharanskij ha riconosciuto che i rabbini “stanno attraversando un momento difficile”, ricordando la minacciata chiusura dell’Agenzia Ebraica in Russia che assiste nell’emigrazione verso Israele di cui il 19 settembre si deciderà in tribunale. “Il conflitto iniziato dalla leadership russa in Ucraina porta sofferenze incalcolabili al popolo ucraino e alle comunità ebraiche. Non sorprende che l’aliyah dall’Ucraina sia aumentata notevolmente. Ma l’aliyah dalla Russia è cresciuta ancora di più”, ha scritto in un messaggio. “È importante che i leader delle comunità ebraiche assistano tutti coloro che decidono di unirsi a noi in Israele”, ma anche il loro “lavoro per rafforzare la comunità ebraica, per salvare il legame di ogni famiglia ebrea con la nostra tradizione, il nostro popolo e il nostro paese nelle condizioni più difficili”.

Boroda sottolinea che la minacciata chiusura dell’Agenzia ebraica è un problema legale: “Si tratta di un’organizzazione russa e come tale deve sottostare alle regole russe”. Ma si dice comunque preoccupato. Non tanto dai suoi risvolti pratici: “Il ministero dell’Immigrazione continua ad aiutare gli ebrei che vogliono effettuare l’aliyah, il ritorno”, dice a Repubblica. Quanto da quelli simbolici. Che però, insiste Boroda, “non compromettono le relazioni tra Russia e Israele”.

Neppure la dichiarazione del ministro degli Esteri Serghej Lavrov che, intervenendo su una tv italiana, aveva detto che “i maggiori antisemiti sono proprio gli ebrei e anche Hitler, come Zelenskij, era ebreo” ha inficiato i rapporti.

“Ne abbiamo parlato”, spiega Boroda a Repubblica. “È stata solo una gaffe. Il ministro non si era reso conto della portata delle sue parole. Quel che è certo è che non è stata una buona idea prendere concetti della seconda guerra mondiale e applicarli a questo contesto. Non è giusto per nessuna ragione. L’Olocausto è la tragedia che ha riguardato gli ebrei nella seconda guerra mondiale. Non ha nulla a che vedere con quello che sta succedendo oggi”.
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Re: L'Ucraina è antisemita e antisraeliana? No, la Russia sì

Messaggioda Berto » lun ott 10, 2022 7:46 am

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Re: L'Ucraina è antisemita e antisraeliana? No, la Russia sì

Messaggioda Berto » lun ott 10, 2022 7:46 am

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Re: L'Ucraina è antisemita e antisraeliana? No, la Russia sì

Messaggioda Berto » lun ott 10, 2022 7:47 am

3)
Anche i democratici euro americani che sono contro la Russia di Putin e che difendono l'Ucraina sono antisemiti, specialmente nella versione antisraeliana e filo nazismo maomettano palestinese e iraniano


Il caso inglese

A proposito di Jeremy Corbyn. Quando assunse la guida del Labour Party, riempì il partito di antisemiti.
Letta, nel compilare le liste elettorali, deve essersi ispirato a lui
È IL LABOUR PARTY O UNA CELLULA DI HAMAS?
Gerardo Verolino
Italia-Israele-Today (14 Agosto 2018)
https://www.facebook.com/emanuel.segrea ... 9705084112

Che Jeremy Corbyn fosse un fervente antisemita era cosa nota da tempo. Si sa che ha finanziato la Interpal (Palestinian Relief and Development Found) una ong inglese che inneggia all'odio verso gli ebrei. Ha ben remunerato Paul Alsen un noto conferenziere negazionista. È andato a Gaza paragonandola a Stalingrado e incolpando gli israeliani di comportarsi così da nazisti. Ha definito "amici dell'Inghilterra" i terroristi di Hamas. Ha fatto parte del gruppo Facebook "Palestina Live", una feccia antisemita dove gli ebrei vengono descritti come "demoni" e che sarebbero dietro l'attacco terroristico del 2015 a Parigi.
Ma il suo partito, il Labour Party, è zeppo di antisemiti. L'ex sindaco di Londra, "Ken il Rosso" Livingstone ha detto che "Hitler era un sostenitore del sionismo" e che la sua idea era di "deportare gli ebrei in Israele". Qualche anno prima, quando è direttore del "Labour Weekly", appare una vignetta in cui il primo ministro israeliano Menachem Begin è vestito con l'uniforme della Gestapo. Viene anche condannato a quattro mesi di sospensione dalla carica per aver insultato il giornalista ebreo Oliver Finegold paragonandolo ad un kapò nazista. Poi c'è una deputata, Naz Shah , che invece pensa di risolvere il problema palestinese spostando Israele negli Stati Uniti. Un altro parlamentare Vicki Kirbi definisce Hitler "un dio sionista". Nasreen Khan, un candidato al consiglio laburista, è preoccupato per il lavaggio del cervello che si pratica nelle scuole facendo credere agli studenti che "Hitler era cattivo". Il sindaco laburista di Blackburn, Salim Mulla, dice che "gli ebrei sionisti sono una vergogna per l'umanità".
Di fronte alle accuse di antisemitismo, Corbyn ha sempre minimizzato. Ma da quando è lui leader del partito, dal 2015, il Labour Party, è stato investito da oltre trecento denunce per antisemitismo. E due membri ebrei del Labour, Joe Goldberg e Natan Doron, hanno lasciato il partito per protesta accusando i colleghi di utilizzare vecchi stereotipi antisemiti come "gli ebrei hanno il naso grosso, controllano i media e sono ricchi" mentre le battute insultanti contro la Shoah si sprecherebbero.
Ci sono poi le foto pubblicate dal "Sunday Times" che ritraggono Corbyn in Tunisia nel 2014 mentre porta una corona di fiori ai terroristi di "Settembre Nero", Sala Khalaf e Fakhiri Al-Omarie e Hayel Abdel-Hamid dell'Olp, il Commando palestinese (finanziato con 9 milioni di dollari anche da un certo Abu Mazen) che nel Settembre del '72 alle Olimpiadi di Monaco di Baviera trucida, dopo averli sequestrati, 11 atleti israeliani; e mentre si inginocchia per pregare rivolgendo gli occhi al Cielo, come farebbe un musulmano, verso la tomba di Atef Beseiso, l'ideatore dell'attacco terroristico, lo inchiodano
Corbyn si è goffamente giustificato asserendo di essere andato in Tunisia per commemorare le 47 vittime palestinesi dell'attacco israeliano al quartier generale dell'Olp a Tunisi nel 1985. Ma le tombe di cui parla sono una quindicina di metri più distanti dalla foto in cui è ripreso. Quindi ha rimediato una sonora figuraccia dimostrando di essere in malafede.
Ma se è esecrabile parteggiare per dei terroristi, è agghiacciante solidarizzare per dei terroristi che si sono comportati peggio del "Canaro" romano o di un Oskar Dirlewanger, il "boia di Varsavia".
Come rivelato dal "New York Times" prima e da un documentario poi "Munich 1972 & Beyond" le sevizie gratuite a cui furono sottoposti alcuni incolpevoli atleti (e non esaltati esponenti politici o criminali di guerra: i quali neanche avrebbero meritato un simile trattamento) furono spaventose. Due di loro, Yossef Romano, olimpionico di sollevamento pesi, e l'allenatore di scherma, Andre Spitzer, subirono torture indicibili. Yossef, come racconta la vedova Anna che ha visionato le tragiche e scioccanti foto che lo documentano, fu violentato ripetutamente, evirato e lasciato morire dissanguato. Agli altri ostaggi furono spezzate le ossa, dopo un barbaro pestaggio.
E dunque è a simili bestie immonde che Corbin ha voluto rendere omaggio portando romanticamente una corona di fiori come un nostalgico del Risorgimento potrebbe portare una corona a Garibaldi. Ha onorato Atef Beseiso, che fu ucciso nel '92 a Parigi dal Mossad nel corso dell'operazione "Ira di Dio" voluta da Golda Meir, ma avrebbe potuto onorare Jack lo Squartatore degli ebrei o il mostro di Firenze antisemita.
Se le azioni, censurabili, dei terroristi sono ammantate da pseudo finalità politico-patriottiche, nelle azioni di "Settembre Nero" che ha agito come un Commando di efferati aguzzini con lo scopo deliberato di procurare quanto più assurda e immotivata sofferenza alle malcapitate vittime, queste "nobili" finalità vengono annullate dalla cieca è inutile crudeltà delle loro azioni.
Che senso "politico" ha fratturare le ossa degli ostaggi procurandone la lenta agonia? Che senso "politico" ha evirare uno di essi, violentarlo e lasciarlo morire dissanguato? Forse potrà spiegarcelo il signor Corbyn quando diventerà Capo della cellula di Hamas in Inghilterra.



Il caso americano
...
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