La criminale "operazione speciale" del Cremlino nazifascista

La criminale "operazione speciale" del Cremlino nazifascista

Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 8:03 am

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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La criminale "operazione speciale" del Cremlino nazifascista

Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 8:03 am

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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La criminale "operazione speciale" del Cremlino nazifascista

Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 8:06 am

d)
In verità si tratta di vera e propria guerra criminale di aggressione inizialmente per riportare l'Ucraina tutta sotto l'egemonia russa come con l'Impero degli Zar e come con l'Impero dell'URSS o male che vada solo una parte la Crimea e il Donbass.
Guerra di predazione per rapinare sovranità, risorse territoriali, geo economico politiche, risorse umane, ...




La Russia di Putin,
ha tentato di destabilizzare l'Ucraina e di riportarla sotto l'egemonia russa attraverso i politici ucraini filorussi (gli oligarchi dell'URSS in Ucraina), ha provocato nel 2013 le rivoluzioni democratiche di Euromaidan represse con centinaia di morti e migliaia di feriti;
ha invaso e occupato militarmente nel 2014 la Crimea e organizzato un falso referendo non riconosciuto né dall'ONU, né dal resto del Mondo libero per l'annessione alla Russia;
nel 203/014 ha fomentato/istigato, finanziato il terrorismo separatista e la guerra civile in Donbass, violando la sovranità dell'Ucraina e i diritti umani, civili e politici della minoranza ucraina;
nel 2022 ha invaso militarmente l'Ucriana e ha iniziato una guerra di distruzione, di sterminio, di destabilizzazione politica, di deportazione e sostituzione etnica nel Donbass; con l'aggravante di crimini di guerar e crimini contro l'umanità.
Questa è la Russia nazifascista di Putin il macellaio del Cremilino.




Le guerre di Putin per la riconquista dell'impero russo.

Tutte le guerre di Putin dal 1999 all'Ucraina di oggi
Barbara Massaro
30 marzo 2022

https://www.panorama.it/news/dal-mondo/ ... na-di-oggi

Da quando lo scorso 24 febbraio la Russia ha invaso l’Ucraina dichiarando, di fatto, guerra all’Occidente (attraverso la Nato) i riflettori del mondo sono tornati a puntare – ancora una volta- sulla cosiddetta polveriera balcanica.

Dal crollo dell’ex Unione Sovietica, infatti, l’intero territorio è stato soggetto a una serie di conflitti, tensioni, guerre e battaglie che – purtroppo - nulla hanno da invidiare al mezzo secolo di Guerra Fredda che ha contrapposto l’Occidente all’ex blocco comunista, contrapposizione, di fatto, mai risolta.

Più o meno sono una ventina i conflitti armati cui la Russia post URSS ha partecipato negli ultimi 30 anni e la maggior parte di questi ha il sigillo della Z di Putin in calce.

A riavvolgere a ritroso il nastro della storia dalla fine dell’URSS la Russia ha firmato una guerra ogni 18 mesi; conflitti giustificati dalla necessità di ristabilire la pace, di sostenere fazioni filo russe o di aiutare alleati in difficoltà, ma in realtà guerre che mal celano il desiderio russo di tornare a dominare l’intero territorio che si snoda al di là degli Urali e di sedare le spinte centrifughe della costellazione di repubbliche nate dal crollo dell’URSS.

La fine dell’era Eltsin

All’alba dell’era Eltsin i cannoni puntati sulla Georgia hanno portato allo scoppio della prima guerra cecena (1994-1996) un genocidio finito con un armistizio che non piaceva a Mosca. Dopo la fine ufficiale degli scontri a fuoco la Cecenia si è trasformata in un far west dove mafia, corruzione e criminalità impedivano il ritorno di qualsivoglia forma di controllo pubblico sul paese. Putin, al momento della sua ascesa al Cremlino – 9 agosto 1999 - senza esitazione, ha preso in mano lo scettro del potere e la guerra è stata la lingua attraverso la quale lo Zar ha regolato le sue relazioni internazionali sia con l’Occidente sia con la costellazione delle repubbliche ex sovietiche.

Il terreno Putin se lo stava coltivando bene già da un pezzo. Gioco facile per l’ex tenente colonello del Kgb arrivato a Mosca nel 1996 per ricoprire la carica di capo delegato per la gestione della Proprietà presidenziale. Eltsin allora, alcolizzato e malato, stava affondando la neonata federazione russa con una politica economica scellerata che aveva ridotto i russi in uno stato di povertà assoluta permettendo il dilagare di corruzione e criminalità.

La seconda guerra cecena: 1999-2009

E così Putin ha visto bene di chiudere la questione cecena sedando ogni spiraglio indipendentista della piccola repubblica caucasica. L’occasione è stata fin troppo ghiotta. L’8 agosto 1999 – giorno prima dell’insediamento ufficiale di Putin – erano state inviate truppe russe nella regione caucasica del Daghestan, una della 85 entità amministrative che componevano la Federazione russa per sedare la guerriglia islamista cecena che aveva occupato quattro villaggi. Due giorni dopo i 4 villaggi avrebbero dichiarato l’indipendenza dando il là al via della marcia russa sulla Cecenia. Dopo 4 settimane il Daghestan era riconquistato. Meno di un mese dopo una serie di attentati sospetti a Mosca e in altre città russe furono imputati alle milizie filo islamiste cecene e furono il bottone rosso schiacciato per avviare la macchina da guerra di Putin. Certo, come dimenticare che la giornalista Anna Politkovskaja e l’ex spia Alexander Litvinenko rivelarono come ci fosse l’Fsb, l’ex Kgb, dietro quegli attentati, ma Anna e Alexander vennero ammazzati e con loro anche la verità sull’inizio del massacro ceceno.

L’offensiva russa fu brutale. L’episodio più noto fu la pioggia di bombe sul mercato di Grozny, capitale cecena, il 21 ottobre 1999. Morirono 140 civili, per lo più donne e bambini. Durante un decennio la Russia mosse la sua crociata contro il terrorismo ceceno massacrando la popolazione in nome del ritorno all’ordine. L'esatta stima delle perdite di questa guerra è tuttora sconosciuta, anche se fonti non ufficiali contano un numero di circa 25.000 - 50.000 vittime tra morti, feriti e dispersi, molti dei quali tra i civili.

Il fronte kosovaro

Mentre il fronte ceceno rimaneva aperto Putin (che nel frattempo, nel 2000, era stato confermato al Cremlino con il 53% dei voti) aveva già deciso che la seconda questione da chiudere era quella kosovara. Mosca da un anno faceva parte, insieme ai paesi Nato della Kosovo Force, un’operazione di peacekeeping volta a trovare una soluzione alle tensioni belliche in corso da un decennio tra gli indipendentisti filo albanesi e i fedeli Ortodossi filo serbi vicini alla Russia. Se però i paesi Nato puntavano a favorire l’indipendentismo albanese, il peso sulla Kosovo Force e soprattutto il timore di incendiare un’altra volta la polveriera balcanica hanno determinato la scelta di appoggiare gli ortodossi a scapito degli albanesi. In questo periodo la Russia si è avvicinata tanto all’Occidente da entrare a far parte del G8.

La prima guerra del nuovo millennio: la Georgia

La prima guerra del XXI secolo è rapidissima e violenta. La Georgia cercava da tempo di liberarsi dall’influenza di Mosca, ma per farlo avrebbe dovuto affrancarsi dalle regioni russofile dell’Abkhazia dell’Ossezia del Sud. E così la notte del 7 agosto 2008 la Georgia bombardò la capitale sud-osseta Tskhinvali provocando centinaia di morti e enormi distruzioni.

Mosca non aspettava altro: la mattina dopo la Russia intervenne a fianco dei secessionisti e la Georgia dichiarò lo stato di guerra, nei giorni successivi il conflitto si allargò in Abkhazia. Con la mediazione dell’allora presidente francese Nicolas Sarkozy il 12 agosto fu raggiunto l’accordo per il cessate il fuoco.

Due settimane dopo Mosca riconobbe l’indipendenza delle due repubbliche separatiste.

In quel periodo in realtà al Cremlino la poltrona presidenziale era occupata da Medvedev, stretto collaboratore di Putin. L’ex presidente non aveva potuto ricandidarsi per la terza volta perché non previsto dalla costituzione. Putin era rimasto, però, al Cremlino in qualità di primo ministro ma, di fatto, non aveva mai perso le redini del potere. Alle presidenziali del 4 marzo 2012 Putin si ricandidò vincendo a mani basse con il 64% dei voti. Da allora è sempre stato presidente e ha visto bene di mettere mani alla costituzione garantendosi la poltrona almeno fino al 2035.

Mosca e le guerre degli altri

Oltre ai conflitti diretti intrapresi da Mosca c’è anche da tenere conto delle volte in cui il Cremlino ha fornito appoggi più o meno indiretti a conflitti in corso determinandone la sorte come nel caso della Siria. Putin scese in campo a gamba tesa a favore del Presidente Assad in un momento che, il numero uno siriano, ormai fiaccato avrebbe perso a breve le redini del Paese. Dopo undici anni di guerra, 400mila morti, undici milioni di profughi grazie a Putin il dittatore di Damasco riuscì a ribaltare il fronte e a ricacciare fazioni ribelle e jihadisti.

Ripercorrendo tutti gli interventi armati di questi decenni Putin con le sue armate era sempre presente dalla contesa del Batken fra kirghizi e tagiki (1999), agli scontri etnici nel sud del Kirgizistan (2010) il Cremlino ha utilizzato la guerra come canale di comunicazione del suo potere sul mondo

La guerra in Crimea 2014

Per capire come si è arrivati alla guerra in Ucraina di queste settimane bisogna però ricordare quanto accaduto a Sochi, in Russia, nel 2014 durante lo svolgimento dei primi giochi olimpici in territorio russo della storia. In quell’occasione gli scontri presso la tendopoli pro-Ue di Maidan a Kiev provocarono il ribaltamento del governo filo-russo di Yanukovic.

La reazione di Putin – come sempre immediata - fu quella di mandare soldati russi senza mostrine né bandiere – i cosiddetti mercenari del Gruppo Wagner - a occupare militarmente la penisola di Crimea, annettendola ufficialmente il 18 marzo.

Le conseguenze di questi fatti, con gli anni di guerriglia separatista nel Donbass e i mercenari a orologeria intervenuti sullo scacchiere sono la premessa delle bombe di oggi su Kiev.

Il penultimo intervento militare russo risale solo a due mesi fa, quando Putin è intervenuto a favore dell’enorme area ex sovietica del Kazakhstan. A gennaio (e i piani per l’Ucraina erano già in fase di avanzata composizione) il Cremlino ha inviato le forze armate ad aiutare il presidente Kassym-Jomart Tokayev a far rientrare i violenti moti di protesta innescati dall’aumento dei prezzi dell’energia. Una mossa astuta che ha permesso a Mosca di sedare il clima teso nella zona e mantenere gli equilibri della regione come richiesto dalla vicina Cina che, guarda caso, oggi si dimostra morbida e dialogante sul tema Ucraina..



Le guerre di Putin: dalla Cecenia alla Georgia, tutti i conflitti della Russia dopo la fine dell'Unione Sovietica
Enrico Franceschini
10 marzo 2022

https://www.repubblica.it/esteri/2022/0 ... 340897694/

Quando crollò l’Unione Sovietica, nel 1991, sembrò che l’evento fosse avvenuto senza atroci spasmi, senza violenza, senza sangue. Certo, negli anni precedenti la repressione dell’Armata Rossa nel Baltico e nel Caucaso aveva causato vittime; e anche nel fallito golpe contro Mikhail Gorbaciov nell’estate di quello stesso anno avevano perso la vita tre giovani saliti sulle barricate per ostacolarlo.

Ma la scomparsa dell’Urss, formalizzata a dicembre, facendo sorgere al suo posto quindici nazioni indipendenti compresa la Russia, era stata una faccenda per lo più indolore. Si diceva che la Rivoluzione del 2017, al di là della retorica un golpe della minoranza bolscevica pressoché incruento e circoscritto a Pietrogrado, come si chiamava allora l’ex-San Pietroburgo e la futura Leningrado, era stata comunicata al resto dell’impero degli zar “con un telegramma”: e la fine di quel colossale e per molti versi mostruoso esperimento chiamato Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche era stata simile.

“Abbiamo detto troppo presto che l’Urss era implosa senza spari e senza sangue”, commenta in questi giorni, di fronte alla brutale invasione russa in Ucraina, un diplomatico italiano che era a Mosca in quei giorni di trenta e passi anni fa. Del resto, dopo la rivoluzione del ’17 venne una spaventosa guerra civile fino al 2022, che ebbe per epicentro, corsi e ricorsi della storia, la guerra tra rossi e bianchi proprio in Ucraina. In modo analogo, nei tre decenni trascorsi dalla scomparsa dell’impero sovietico, di sanguinosi conflitti ce ne sono state tanti. Ecco quali sono state le guerre di Vladimir Putin.

Ha cominciato Putin a lanciare iniziative militari, dopo il crollo dell’Urss?

No. Già sotto Boris Eltsin, presidente della Russia, di fatto il successore di Gorbaciov e il predecessore di Putin, Mosca ha mandato le sue truppe a combattere in altre ex-repubbliche sovietiche, per reprimere rivolte o partecipare a conflitti locali: in Georgia nel ’91-’93, in Moldavia nel ’92 (dove si consolidò la Repubblica di Transnistria, un eclave russofono tuttora fedele alla Russia e separato dal resto della piccola nazione), in Inguscezia (una regione russa ai confini del Caucaso) sempre nel ’92, in Tagikistan nel ’92-’97, e soprattutto nella prima guerra cecena nel ’94.’96, quando Eltsin tentò di piegare la ribellione separatista della Cecenia, regione autonoma che produce l’1 per cento del petrolio russo e dunque di cruciale importanza.

L’ultimo conflitto ordinato da Eltsin fu in un’altra regione autonoma separatista russa, il Daghestan, nell’agosto ’99, ma è il caso di notare che dal mese prima al Cremlino, come primo ministro, c’era già anche Putin, che sarebbe diventato presidente a interim, su designazione di Eltsin, il 31 dicembre, poi confermato da un voto popolare tre mesi più tardi.

Dunque quale è stata la prima guerra di Putin?

La seconda guerra cecena, anche quella in realtà iniziata nell’estate del ’99 quando Putin era primo ministro, ma andata avanti con una ferocia senza precedenti fino al 2000 e poi ancora con operazioni limitate contro la guerriglia cecena fino al 2009. La capitale cecena Grozny (che in russo significa “la terribile”, nome imposto dagli zar dopo una guerra dei secoli precedenti) fu quasi completamente rasa al suolo dai bombardamenti russi: un modello per quello che Putin ha fatto in seguito ad Aleppo, in Siria, e per quanto sta facendo in Ucraina. Usando la forza senza limiti, e corrompendo alcuni capi ceceni per portarli dalla propria parte, Putin riuscì a vincere un conflitto che sembrava irrisolvibile.

C’è da notare che a scatenare la seconda guerra cecena o meglio l’attacco russo, violando accordi firmati dopo la prima guerra, furono una serie di attentati che fecero centinaia di morti a Mosca: vari osservatori, tra cui il difensore dei diritti umani Sergej Kovalev e l’ex-agente del Kgb Aleksandr Litvinenko (più tardi assassinato a Londra con il polonio radioattivo nel tè da agenti collegati al Cremlino), sostengono che fu l’Fsb, il servizio segreto russo erede del Kgb sovietico, del quale Putin aveva fatto parte per sedici anni e di cui era stato il capo prima di diventare premier e presidente, a mettere le bombe in edifici di civili, per accusare poi “terroristi ceceni”, suscitare indignazione nella popolazione russa e avere una scusa per ricominciare la guerra con metodi più duri di prima. Si calcola che ci furono tra 50 mila e 80 mila morti.

Ma la prova generale per l’invasione dell’Ucraina è stata un’altra?

Sì, è stata la guerra in Georgia nel 2008. Le somiglianze sono impressionanti. Un governo filo-occidentale, che era stato eletto democraticamente a Tbilisi al posto di uno filo-russo, aveva chiesto di entrare nella Nato per proteggersi dall’onnipresente minaccia di Mosca. Putin reagì invadendo due regioni autonome georgiane, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, dove un conflitto a intermittenza era in corso fin dai tempi dell’Urss, ufficialmente giustificando l’intervento con la necessità di proteggere la popolazione delle due regioni, a maggioranza russa, da discriminazioni del governo georgiano.

Da allora Abkhazia e Ossezia del Sud sono praticamente sotto il controllo del Cremlino e a Tbilisi, come risultato della guerra, si è insediato un governo di nuovo filo-russo. Tuttavia di fronte all’invasione dell’Ucraina ci sono state in Georgia manifestazioni di protesta talmente massicce contro Mosca da indurre l’attuale governo a chiedere, proprio nei giorni scorsi, l’adesione all’Unione Europea, sebbene i commentatori ritengano che si tratti più di una mossa politica per calmare la piazza che di una intenzione reale, poiché il procedimento di adesione richiederebbe comunque molti anni e non è chiaro come si concluderebbe, specie con due aree della Georgia ancora in stato di guerra contro Tbilisi. Un caso da manuale di quello che Putin ha fatto successivamente in Ucraina a partire dal 2014 a oggi.

Come si è svolta la “prima guerra” contro l’Ucraina, se così si può definire?

Con le stesse ragioni usate per l’intervento in Georgia, la protezione della minoranza russa, e le medesime motivazioni reali, impedire la richiesta di adesione alla Nato presentata dal governo filo-occidentale eletto a Kiev dopo un governo filo-russo, Putin ha invaso con le proprie truppe la penisola della Crimea, annettendola quasi immediatamente, e ha usato forze non regolari ma controllate dal Cremlino per invadere parte del Donbass, le regioni autonome di Donetsk e Lugansk, la zona mineraria dell’Ucraina che confina con la Russia ed è storicamente da sempre abitata in prevalenza da una popolazione di etnia e lingua russa. Quella “prima guerra ucraina” ha fatto 7 mila morti e decine di migliaia di feriti, suscitando in Occidente proteste un po’ più forti di quelle che avevano accompagnato l’invasione russa della Georgia nel 2008, ma non abbastanza forti da impensierire Mosca o da causare danni alla sua economia.

Perché la “seconda guerra” contro l’Ucraina è scoppiata proprio ora?

Ci sono varie ipotesi. In Ucraina la situazione era praticamente invariata rispetto al 2014. Ma altrove sono successe cose che possono avere spinto Putin a decidere che fosse il momento giusto per prendersi tutta l’Ucraina o perlomeno per prendersene un pezzo e installare un governo fantoccio a lui fedele nella parte che rimane formalmente indipendente: l’imbarazzante ritiro americano dall’Afghanistan; la Brexit che ha indebolito e diviso l’Europa, separando il Regno Unito dall’Unione Europea; un cancelliere appena insediato in Germania dopo il lungo governo di Angela Merkel; le imminenti elezioni presidenziali in Francia, potenziale distrazione per Parigi. La convinzione, insomma, di poterla fare franca, con una facile vittoria militare sul campo e senza pagare un prezzo troppo alto in sanzioni occidentali.

Ci sono state altre avventure militari sul fronte interno nell’era Putin?

Insurrezioni in varie regioni del Caucaso settentrionale, tra il 2009 e il 2017, hanno provocato l’intervento delle forze russe: non solo in Cecenia, come già detto, ma anche in Daghestan, Inguscezia, Kabardino-Balkaria e Ossezia del Nord. Inoltre Putin ha inviato truppe in Bielorussia e Kazakistan, l’anno scorso e quest’anno, per aiutare il regime autoritario locale a reprimere vaste rivolte popolari, così rimettendo sotto il controllo di Mosca anche quelle due ex-repubbliche sovietiche.

Nel frattempo Putin è entrato in guerra anche all’estero?

Sì, in Siria, in Libia, nella Repubblica Centroafricana, nel Mali, in modo diretto e manifesto oppure occulto, attraverso il dispiegamento del Gruppo Warner, unità di soldati mercenari che in realtà secondo molto osservatori dipendono dal ministero della Difesa e dal ministero degli Interni russo. Ma pure l’Unione Sovietica ha partecipato direttamente o indirettamente a numerosi conflitti durante la guerra fredda, dalla guerra di Corea a quella del Vietnam.

Le guerre di Putin nell’ex-Urss, in conclusione, sono una cosa diversa?

Le guerre di Putin nei territori dell’ex-Urss hanno un altro significato: sono la coda sanguinosa e violenta del crollo dell’Unione Sovietica, il tentativo di Mosca di riprendersi quello che considera suo. L’ossessione del capo del Cremlino: riparare “la più grande tragedia geopolitica del ventunesimo secolo”, come lui definisce la fine dell’impero dei Soviet, che altri leader e altri popoli consideravano invece la liberazione da una dittatura durata settant’anni, il tramonto dell’ultimo impero multi-etnico della terra.



La guerra in Ucraina, ultimo episodio del disegno imperialista di Putin
VoxEurop
Andrea Pipino - Internazionale (Roma)
30 marzo 2022

https://voxeurop.eu/it/la-guerra-in-ucr ... -di-putin/

Il cerchio si è chiuso. Dal crollo dell’Unione Sovietica è bastata una generazione per far precipitare la nuova Russia all’inferno. Trent’anni di promesse mancate, speranze bruciate, segnali mal interpretati, da Eltsin che si arrampica sui carri armati nell’estate del 1991 e ferma il golpe dei sostenitori del regime sovietico fino alla messa in scena del 18 marzo 2022 allo stadio Lužniki: un carnevale ultranazionalista in cui il kitsch patinato dei video della musica pop russa degli anni duemila si è fuso con il gigantismo posticcio delle parate nordcoreane di Kim Jong-il. La fine di un’epoca.

Il compimento di una transizione che a un certo punto è impazzita e si è messa a girare all’incontrario, trasformando un paese post-sovietico, imperfetto ma curioso e vivace, in un mostro imperialista e neosovietico. Non doveva per forza andare così. E per quanto si voglia insistere sulle responsabilità e gli errori dell’occidente, è difficile pensare che quello che è successo a Mosca negli ultimi dieci anni sia esclusivamente il risultato di un’aggressiva strategia fondata sul mercato e delle interferenze occidentali nel delicato periodo della trasformazione degli anni Novanta.

Se così fosse, oggi ci troveremmo di fronte tante piccole Russie putiniane sparse in tutta l’Europa centro-orientale. Cosa che fortunatamente – pur con tutti i difetti delle democrazie dei paesi ex comunisti – non è la realtà.

Passaggio sanguinario

Tante volte, nelle analisi e nei tentativi di capire le motivazioni dell’attacco russo all’Ucraina, si è parlato di “umiliazione della Russia”. E spesso si è puntato il dito sull’ingresso nella Nato dei paesi dell’Europa centro-orientale, spiegato come allargamento o espansione dell’alleanza, con quella tipica mentalità occidente-centrica che tende sempre a privare ogni soggetto di una capacità decisionale autonoma. Tale espansione c’è stata perché a volerla sono stati gli europei dell’est, per i quali la fine della Seconda Guerra mondiale non è stata una liberazione ma il passaggio dal più sanguinario dei totalitarismi a un nuovo assetto politico, che dopo la prima fase rivoluzionaria si è dimostrato brutalmente autoritario.

L’ingresso nella Nato l’hanno chiesto, come garanzia alla propria sovranità e integrità territoriale, i paesi baltici, che dopo l’appartenenza all’impero zarista e i vent’anni d’indipendenza tra le due guerre furono nuovamente risucchiati nell’universo sovietico in seguito alla firma del patto Molotov-Ribbentrop (la loro appartenenza all’Urss non è mai stata formalmente riconosciuta dagli Stati Uniti). O i cechi, che nel 1968 avevano visto i carri armati del Patto di Varsavia distruggere l’esperimento delle primavere di Praga. O gli ungheresi, che dodici anni prima avevano vissuto un’esperienza simile, perfino più violenta. O i polacchi, memori delle repressioni dei moti operai del 1956 e del 1970 e della legge marziale del 1981I rapporti tra i russi e la Nato sono più complessi e più delicati di quanto spesso vengano dipinti

Il compimento di una transizione che a un certo punto è impazzita, si è messa a girare al contrario, trasformando un paese post-sovietico, imperfetto ma curioso e vivace, in un mostro imperialista e neosovietico

Spesso si cita il vertice Nato di Bucarest del 2008 come prova dell’avventuristico espansionismo dell’alleanza. Ma in effetti la dichiarazione con cui quel summit si chiuse sembra più una generica dichiarazione d’intenti, forzata dall’amministrazione statunitense, che una vera road map politica: “La Nato accoglie le aspirazioni euroatlantiche di Georgia e Ucraina. […] Oggi abbiamo concordato che questi paesi diventeranno membri della Nato”. Già allora era chiaro che i paesi europei dell’alleanza non avrebbero accolto volentieri l’ingresso di altre nazioni dell’est, soprattutto ex repubbliche sovietiche.

In soldoni, anche se la Russia non avesse invaso la Georgia nell’agosto del 2008, ufficializzando il suo controllo delle due repubbliche non riconosciute dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, che controllava già da sedici anni, difficilmente Tbilisi sarebbe entrata nella Nato in un arco di tempo relativamente breve.Lo stesso si può dire dell’Ucraina. Prima dell’intervento russo in Crimea e nel Donbass del 2014 i cittadini favorevoli all’ingresso nella Nato erano una netta minoranza, intorno al 20 per cento del totale.

E se il vero obiettivo di Mosca fosse stato tenere Kiev lontano dall’alleanza atlantica, per raggiungerlo sarebbe bastato limitarsi all’applicazione dei protocolli di Minsk. Qualcuno potrebbe ribattere che negli ultimi anni sul territorio ucraino si sono svolte diverse esercitazioni militari con la presenza di paesi Nato, per la comprensibile preoccupazione di Mosca. Va aggiunto, però, che mentre l’Ucraina e altri 23 stati, non solo della Nato, partecipavano nel luglio 2021 alle esercitazioni militari Sea breeze (cinquemila soldati coinvolti, organizzate dal 1997), Mosca aveva già ammassato decine di migliaia di soldati ai confini orientali dell’Ucraina.

Inoltre, quattro mesi prima le navi russe avevano partecipato insieme a quelle di diversi paesi Nato a una serie di manovre militari nel mare del Pakistan. I rapporti tra i russi e la Nato, insomma, sono più complessi e più delicati di quanto spesso vengano dipinti. Senza scomodare Pratica di mare o i vari protocolli e accordi siglati tra gli anni Novanta e gli anni Duemila, per avere un quadro più veritiero della situazione basta ricordare come gran parte del secondo conflitto ceceno (1999-2009) è stato combattuto dalla Russia sotto il cappello della cosiddetta guerra al terrore lanciata dagli Stati Uniti contro il jihadismo internazionale.

Un percorso verso la democrazia

Quanto all’Ucraina, di motivi per pretendere garanzie di protezione dal suo ingombrante fratello maggiore ne avrebbe diversi. Oltre all’attacco alla sua integrità territoriale del 2014, risultato della violazione del Memorandum di Budapest del 1994, e alle continue interferenze politiche del Cremlino, che hanno innescato prima la Rivoluzione arancione del 2004 poi la rivolta di Euromaidan del 2014, ci sono le ferite di un secolo terribile: l’occupazione sovietica dei territori della Galizia orientale e della Volinia nel 1939, la collettivizzazione forzata e i più di tre milioni di morti dell’Holodomor nel biennio 1932-33.

Comprensibile quindi che in questi trent’anni l’Ucraina indipendente abbia cercato, pur tra mille difficoltà e battute d’arresto, un suo percorso verso la democrazia e la formazione di un’identità nazionale plurale (multireligiosa e multilinguistica) al riparo dalle mire di Mosca.
2014: un “colpo di stato”?

A tale proposito, due parole vanno spese sui fatti del 2014. Se, come è scritto nell’Enciclopedia italiana Treccani, il “colpo di stato” è una trasformazione dell’ordinamento dei pubblici poteri “operata da uno degli stessi organi costituzionali”, allora quanto è successo a Kiev tra il novembre 2013 e il febbraio 2014 è tutto fuorché un golpe. Perché la natura della mobilitazione è popolare, quindi semmai rivoluzionaria.

Proviamo a ricostruire rapidamente gli eventi: le proteste cominciano spontaneamente quando il presidente Viktor Janukovič (le stesso deposto nel 2004 dalla Rivoluzione arancione per i gravissimi brogli alle elezioni presidenziali, poi riletto nel 2010) fa un’improvvisa marcia indietro e rifiuta di firmare l’accordo di associazione con l’Unione europea (che, è bene sottolinearlo, non significava affatto l’ingresso di Kiev nell’Ue).

Il motivo sta nelle fortissime pressioni del Cremlino, che promette a Kiev anche sconti sul gas e sostanziosi investimenti. I manifestanti chiedono le dimissioni del presidente e respingono il progetto politico e sociale incarnato dal suo regime, fatto di corruzione, autoritarismo sempre più scoperto e asservimento alla Russia.

“È impensabile che in Russia ci sia una rivoluzione democratica, come è inimmaginabile che l’Ucraina possa accettare un governo autoritario”.

Jaroslav Hrytsak, storico ucraino

La risposta del governo è brutale – rapimenti, pestaggi, omicidi – ma invece di fiaccare le proteste, ne rafforza la determinazione. Dopo tre mesi di mobilitazione, violenze, repressione, Janukovič scappa in Russia e a Kiev si insedia un governo d’emergenza guidato dal premier ad interim Arsenyj Jatsenjuk, che convoca subito elezioni presidenziali per il mese di maggio.

Negli stessi giorni il parlamento approva la proposta di abolire la legge del 2012 che attribuiva al russo lo status ufficiale di “lingua regionale”, proposta però bocciata dal presidente facente funzioni, Oleksandr Turčinov. A nessuno viene impedito di parlare il russo, come invece sostiene la propaganda di Mosca. Come tutto questo possa essere definito un golpe non è chiaro.

La risposta della Russia non si fa attendere. Il momento è propizio per mettere in pratica un progetto che il Cremlino cova da tempo – riprendersi la Crimea – e per appoggiare, con invio di miliziani e armi, la nascita di due repubbliche separatiste nell’est russofono del paese, la regione del Donbass. Il pretesto per l’intervento è la protezione dei russi dal governo di Kiev e l’obiettivo è lo stesso degli altri conflitti congelati seminati da Mosca nelle ex repubbliche sovietiche (oltre ad Abkhazia e Ossezia del Sud, c’è anche la Transnistria, in Moldova): indebolire la sovranità del paese colpito, creando elementi di instabilità nel suo territorio e mettendo quasi un’ipoteca sulle sue future scelte geopolitiche.

A chi sostiene che l’annessione della Crimea sia il risultato di un pronunciamento popolare, occorre ricordare che il referendum sulla sovranità della regione (già repubblica autonoma all’interno dell’Ucraina) è stato organizzato in due settimane sotto l’occupazione militare dei famigerati omini verdi, militari russi senza mostrine e simboli di appartenenza, mentre gli attivisti tatari e ucraini venivano fatti sparire e senza la possibilità di un seppur minimo dibattito pubblico. Che questo possa essere considerato un sistema accettabile per ridisegnare i confini di un paese sovrano è quantomeno singolare.

L’Ucraina fa storia a sé

Detto dei fatti di Euromaidan, vanno messe nella giusta prospettiva anche le accuse all’Ucraina di essersi radicalmente spostata a destra, perfino su posizioni neonaziste. Sono accuse chiaramente amplificate e diffuse dalla propaganda russa, ma non basate su elementi reali. È vero che nel paese esistono alcune sigle minoritarie di estrema destra. E l’ormai celebre battaglione Azov ha avuto un ruolo importante nei combattimenti nell’est del paese nel 2014, ed è poi stato integrato nella guardia nazionale ucraina. Ma si tratta di circa 1.000 soldati, che hanno una capacità di mobilitazione che non supera le 10mila persone. L’Ucraina ha 44 milioni di abitanti, e il suo esercito conta 125mila effettivi.

A livello politico, invece, il picco del successo dell’estrema destra (che ovviamente non vuol dire neonazisti) è stato raggiunto nel 2014, con l’1,8 per cento di Pravyj Sektor e il 4,7 per cento dei nazionalisti di Svoboda alle elezioni legislative. Nel 2019 il fronte nazionalista (Svoboda, Pravyj Sektor e altre due sigle minoritarie) ha raccolto il 2,1 per cento dei voti. L’unico deputato portato in parlamento è stato eletto in un collegio uninominale. Senza dover ricordare le origine ebraiche di Volodymyr Zelenskyj, e il fatto che diversi suoi parenti siano morti nella la Shoah, è evidente che chi definisce nazista un paese in base a criteri simili lo fa in malafede o perché completamente vittima della bugie del Cremlino (che peraltro i neonazisti e i suprematisti bianchi li ha ampiamente utilizzati nella guerra del Donbass, dove hanno combattuto diverse sigle dell’estremismo di destra russo – Gioventù eurasiatica, Unità nazionale russa, Altra Russia – e dove i primi leader delle repubbliche non riconosciute di Donetsk e Luhansk erano estremisti di destra e nazionalisti radicali russi).

Poi, a voler essere onesti, è abbastanza prevedibile che ogni violazione dell’integrità territoriale di un paese e della sua sovranità possano spostarne l’asse politico verso il nazionalismo. Ma anche qui il caso ucraino fa storia a sé: nonostante il Donbass separatista e la Crimea perduta, nel 2019 l’ex comico Zelenskyj ha sconfitto il presidente uscente Petro Porošenko proprio grazie alla scelta di non cavalcare l’etnonazionalismo e gli istinti bellicisti inevitabilmente presenti in parte della società. L’Ucraina precedente all’invasione russa era meno nazionalista di quella del 2015. E se c’è una cosa che questa mistificazione su nazisti ed estremisti di destra dimostra è la capacità della propaganda russa di avvelenare il dibattito e far circolare informazioni false o scorrette.

Il problema insomma, non è cosa ha fatto, cosa ha desiderato, cosa ha deciso l’Ucraina. Il problema è a Mosca. In quella miscela di autoritarismo sempre più sfacciato, ortodossia religiosa, revanscismo, nazionalismo e tradizionalismo che negli ultimi dieci anni sembra essersi impossessata delle élite del Cremlino. Il problema è l’ideologia che vuole negare agli ucraini il diritto di avere un paese indipendente e sovrano, che li cancella dalla storia e ne fa un’appendice della nazione russa.

La Russia è precipitata in una spirale autoritaria senza via d’uscita. Gli oppositori sono diventati dissidenti, e i dissidenti sono finiti in prigione

Più volte in questi giorni si è scritto e si è detto che dietro alla decisione di nvadere l’Ucraina ci siano le informazioni errate che Putin avrebbe ricevuto sul paese, la sua forza militare e la sua determinazione a difendere la propria sovranità. Gli errori dell’intelligence contano senz’altro. Ma al Cremlino c’è soprattutto una profonda incomprensione dei tratti salienti di una società che i leader russi immaginavano pronta a piegarsi e ad accogliere il “liberatore” moscovita e che invece sta dimostrando una straordinaria capacità di resistenza.

I rapporti tra i russi e la Nato sono più complessi e più delicati di quanto spesso vengano dipinti

Non per il culto della bandiera o per un astratto ideale di patria, ma per difendere la propria esistenza, per non rinunciare alla libertà di vivere in un paese che sia in grado di determinare in autonomia le proprie scelte e la propria posizione nel mondo. Come ha spiegato sul New York Times lo storico ucraino Jaroslav Hrytsak, i due paesi hanno cultura e lingua quasi comuni, ma tradizioni politiche diverse. Il risultato è che oggi “è impensabile che in Russia ci sia una rivoluzione democratica, come è inimmaginabile che l’Ucraina possa accettare un governo autoritario”.

Tutto questo le élite russe non l’hanno capito semplicemente perché non potevano capirlo. È come se Putin e la sua cerchia più ristretta, ex uomini dei servizi che al leader devono la ricchezza e il potere, fossero rimasti vittime della loro stessa propaganda, del genietto malefico del nazionalismo che ai tempi di Euromaidan hanno deciso di far uscire dalla lampada e che ha finito per fagocitare ogni loro pensiero e azione. Alla radice di questa radicalizzazione può esserci stato un freddo calcolo politico che poi ha portato a conseguenze inattese – Putin può aver cercato una contronarrazione dal basso da contrapporre alle parole d’ordine della democrazia e da usare come strumento di mobilitazione dopo l’ondata di proteste in Russia del 2011-12 – oppure la sincera adesione alle teorie eurasiste e imperialiste di Lev Gumilëv e più recentemente di Aleksandr Dugin. Ma il risultato non cambia: la Russia è diventata – o è tornata a essere – una potenza aggressiva, tradizionalista, nazional-imperiale.


Traiettorie perdute

Vent’anni fa non era detto che le cose dovessero prendere questa piega. All’inizio degli anni Duemila, la prima fase della presidenza dell’allora sconosciuto Vladimir Putin, il paese aveva di fronte a sé diverse possibili traiettorie. E aveva un grande bisogno di stabilità, modernizzazione economica e aperture compiutamente democratiche. In un tempo relativamente breve il primo obiettivo – che era senz’altro il più urgente – è stato raggiunto e per un certo periodo è perfino sembrato possibile che il paese prendesse la strada delle riforme politiche ed economiche, anche se con grande prudenza e in base alle proprie inclinazioni nazionali.

Con il passare degli anni è successo invece il contrario: gli spazi di libertà hanno cominciato a restringersi, le voci discordanti nel governo e al Cremlino hanno cominciato a essere marginalizzate, la repressione del dissenso si è fatta sempre più brutale, la diffidenza verso il mondo esterno ha raggiunto livelli mai conosciuti da decenni, la retorica ufficiale ha rispolverati i miti della missione storica, della grandezza e dell’unicità della Russia.

Il paese è così precipitato in una spirale autoritaria senza via d’uscita. Gli oppositori sono diventati dissidenti, e i dissidenti sono finiti in prigione. E si è capito definitivamente che, più delle armi della Nato, il vero spauracchio del Cremlino era la democrazia. In particolare quella che cercava faticosamente di affermarsi nelle vecchie terre dell’impero zarista e poi sovietico.
La Russia è diventata – o è tornata a essere – una potenza aggressiva, tradizionalista, nazional-imperiale

Oggi nelle università di Mosca s’incoraggiano gli studenti alla delazione di chiunque osi criticare la guerra di Putin, e in tutto il paese le "Z" simbolo dell’invasione compaiono sulle giacche dei bravi cittadini timorosi del potere e nei video della propaganda di stato. Il tutto mentre in tv il capo denuncia traditori e quinte colonne. Chi non ci sta, chi non accetta il progetto di “purificazione nazionale” avviato da Putin abbassa la testa e tace, protesta e viene arrestato, o decide di lasciare il paese.

Nonostante tutti gli errori che l’Europa, e soprattutto gli Stati Uniti, possano aver commesso nel rapporto con Mosca nel periodo successivo alla fine della guerra fredda, a umiliare la Russia non è stato l’ingresso dell’Estonia o della Lettonia nella Nato. E nemmeno l’intervento di Washington in Serbia nel 1999. In questi ultimi vent’anni, in fondo, Mosca ha fatto quel che le è parso e piaciuto in politica estera e all’interno del paese, dalla Cecenia alla Siria, dalla Georgia alla Crimea. E non ne ha mai pagato il prezzo.

A umiliare la Russia e i russi sono stati gli omicidi di Anna Politkovskaja, Natalia Estemirova, Boris Nemtsov; gli ostaggi morti nel teatro sulla Dubrovka; i rapimenti, gli stupri e le esecuzioni nella Cecenia di Ramzan Kadyrov; la morte in carcere di Sergej Magnitskij; l’avvelenamento e la persecuzione giudiziaria di Aleksej Navalnyj; la chiusura di Memorial e di tante altre ong. E oggi le bombe. Su Mariupol, su Kiev, su Charkiv.



Guerra, Aleksandr Dugin l'ideologo di Putin svela i piani dello zar: «Annettere l'Ucraina, pronti anche al conflitto nucleare»
Mercoledì 4 Maggio 2022

https://www.ilmessaggero.it/mondo/putin ... 67779.html

Pronti a tutto, anche alla "collisione nucleare". Non usa mezzi termini il filosofo Aleksandr Dugin, considerato l’ideologo di Vladimir Putin, in un'intervista al Quotidiano Nazionale. Il filosofo conservatore, maggiore esponente del tradizionalismo russo nelle sue dichiarazioni svela alcuni obiettivi strategici della Russia e tra gli scenari possibili, non esclude neanche lo scoppio di una Terza Guerra Mondiale o di una guerra nucleare in caso di intervento della Nato nel conflitto. Secondo Dugin, l'ingresso di militari di paesi europei in Ucraina potrebbe avere conseguenze gravi: «tutto dipende non dalla Russia, ma dall'Occidente» dice «I russi faranno letteralmente di tutto per raggiungere i loro obiettivi. Anche fino a una collisione nucleare».



Gli obiettivi di Putin in Ucraina

Ma quali sono i reali obiettivi di Putin in Ucraina? L'ideologo del Cremlino non ha dubbi e svela i piani russi che si celano dietro la frase di "sconfiggere il nazismo in Ucraina": l'obiettivo è il controllo completo sul territorio ucraino, una nazione che, a suo parere, è "inventata" e non ha ragione di esistere al di fuori della Russia. Se la conquista completa dell'Ucraina non fosse possibile l'obiettivo minimo sarebbe comunque la liberazione di Novorossia, che indica i territori di Kharkiv, il Donbass, Kherson, Zaporozhye, Nikolaev, e l'area di Dnepropetrovsk e Odessa: tutta la regione attualmente maggiormente sotto pressione da parte delle forze russe. La Russia mira anche all'annientamento dell'esercito ucraino e la smilitarizzazione di Kiev, «che ha ripetutamente dichiarato che si sta preparando a usarle contro la Russia e contro le repubbliche del Donbas, oltre a sradicare la russofobia» dice il filosofo.


«L'Occidente è corrotto»

Le parole di Dugin sintetizzano un pensiero radicale di opposizione tra russia e mondo occidentale, ampiamente utilizzata anche dalla propaganda filo-russa e vicino alle idee del Cremlino. La cultura europea e se il Papa viene definito una figura "insignificante", la società occidentale è vista come "decadente e tossica", un mondo che ha rinnegato le proprie radici in nome del postmodernismo, della cancel culture e delle LGBT+: "Meno contatti ha la Russia con questa dannata società tossica, meglio è per la Russia" dice Dugin. Il filosofo, diventato famoso come teorico dell'euroasiatismo contemporaneo, sostiene che la Russia non appartenga affatto alla cultura europea e ci tiene a rimarcare la diversità della propria nazione: «La Russia non ha mai fatto parte dell’Europa né prima degli Urali né oltre, poiché è una civiltà separata speciale: ortodossa ed eurasiatica».

Il commento su Lavrov a Rete 4

Sulla recente intervista del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov a Mediaset, Dugin si dice perplesso: «Le sue dichiarazioni sono un po’ strane, non credo che Adolf Hitler fosse ebreo. Si tratta di alcune idee che alcuni cospirazionisti hanno sviluppato ma non ci sono argomenti seri». Su Zelensky invece taglia corto: «è eticamente ebreo ma non pratica il giudaismo e per ragioni puramente pragmatiche tollera questo neonazismo marginale in Ucraina per utilizzare le forze che secondo lui aiutano a consolidare la nazione artificialmente creata».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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La criminale "operazione speciale" del Cremlino nazifascista

Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 8:06 am

Lo schema di Putin: Intervista a Massimiliano Di Pasquale
Davide Cavaliere
25 Febbraio 2022

http://www.linformale.eu/lo-schema-di-p ... -pasquale/

Massimiliano Di Pasquale (Pesaro, 1969) è ricercatore associato dell’Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici. Ucrainista, esperto di Paesi post-sovietici, negli ultimi anni si è occupato di disinformazione, guerra ibrida e misure attive anche sulle pagine di Strade Magazine (stradeonline.it).

Membro della Sezione di Studi Baltici dell’Università di Milano, nel 2012 ha pubblicato Ucraina terra di confine. Viaggi nell’Europa sconosciuta, che ha fatto conoscere l’Ucraina al grande pubblico italiano. Nel 2018 è uscito per Gaspari Editore Abbecedario ucraino. Rivoluzione, cultura e indipendenza di un popolo, cui ha fatto seguito nel marzo 2021 Abbecedario ucraino II. Dal Medioevo alla tragedia di Chernobyl.

Ha accettato di rispondere alle domande de L’informale.

In queste settimane abbiamo assistito a un crescere di tensioni politiche e militari tra Kiev e Mosca, fino ad arrivare all’aggressione militare russa. Quali sono le mire di Putin sull’Ucraina? I cittadini ucraini preferirebbero un maggiore avvicinamento all’Occidente o no? 

Putin ha più volte definito il crollo dell’Unione Sovietica la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo. Lo ha fatto una prima volta nel 2005, creando un certo scalpore in quei politici occidentali che avevano ingenuamente creduto che il presidente russo fosse un riformatore nonostante il suo passato di ex kgbista, e l’ha riaffermato anche lo scorso dicembre in occasione del trentennale della dissoluzione dell’URSS. In quella circostanza l’inquilino del Cremlino parlò di disintegrazione della ‘Russia storica’ sotto il nome di Unione Sovietica, sostenendo che Russia, Ucraina e Bielorussia fossero un’unica nazione e russi, ucraini e bielorussi un unico popolo. Affermazione quest’ultima assolutamente falsa che da 8 anni, ossia dallo scoppio del conflitto in Donbass nel 2014, è uno dei miti cardine della propaganda russa e della guerra informativa. Questa narrazione è stata riproposta sia nell’articolo Sull’Unità storica di russi e ucraini scritto da Putin il 12 luglio 2021 sia nel discorso tenuto dal presidente russo qualche giorno fa, la sera del 21 febbraio, contestualmente all’annuncio del riconoscimento da parte della Duma russa delle autoproclamate repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk. Putin afferma che ucraini e russi sono un unico popolo e che l’Ucraina moderna è interamente il prodotto dell’era sovietica. Tale asserzione ignora episodi chiave della storia e offre una versione pericolosamente distorta del passato.

In estrema sintesi possiamo ricordare che il lungo processo di autodeterminazione della nazione ucraina, in fieri già a metà Seicento all’epoca del Cosaccato, giunse a piena maturazione agli inizi del Novecento. Dopo il collasso dell’Impero Russo e di quello Austroungarico l’Ucraina godette di un breve periodo di indipendenza. Il 22 gennaio 1918 la Rada Centrale di Kyiv, con il Quarto Universale, dichiarò l’indipendenza della Repubblica Popolare Ucraina e, qualche mese più tardi, elesse quale suo Presidente lo storico Mykhailo Hrushevsky. All’inizio del 1919 la Repubblica Popolare Ucraina e la Repubblica Popolare dell’Ucraina Occidentale si unirono, seppur brevemente, in un unico stato sotto la leadership di Symon Petliura.  Lo scoppio della guerra con i bolscevichi riportò i territori orientali sotto il giogo moscovita mentre le terre occidentali dell’ex Impero Asburgico finirono sotto il dominio polacco. A partire dagli anni Trenta il potere sovietico iniziò una politica di repressione nei confronti della cultura nazionale ucraina. La tragedia del Holodomor, la carestia artificiale provocata dalla collettivizzazione forzata di Stalin che uccise dai 3 ai 5 milioni di ucraini nel 1932-33, diede nuova consapevolezza al nazionalismo ucraino. In particolare durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale nelle regioni occidentali del Paese che erano state annesse dalla Polonia nel 1939-40, furono organizzate delle rivolte armate contro il regime sovietico.

Solo con il crollo dell’URSS l’Ucraina ottenne una statualità indipendente duratura. Ma, come abbiamo visto, le entità politiche de facto ucraine che lottavano per l’autonomia e l’indipendenza del Paese esistevano molto prima del 1991. Fatta questa premessa storica, è evidente, alla luce del discorso tenuto da Putin alla tv russa lo scorso 21 febbraio, che l’obiettivo del Cremlino è ricostituire una sorta di impero russo dai tratti sovietico-zaristi i cui confini, a questo punto, dipendono dalle misure di deterrenza che l’Occidente saprà e vorrà mettere in atto.

Dunque, Putin non mira solo all’Ucraina?

L’invasione del Donbass è solo il preludio ad altre invasioni che potrebbero non limitarsi alla sola Ucraina e interessare anche l’area Baltica. Ma ciò che è più grave, unitamente alla debolezza e all’ignavia finora dimostrata dall’Occidente, è il fatto che Putin falsifichi la storia secondo un paradigma orwelliano per giustificare operazioni analoghe a quelle compiute da Hitler con i Sudeti riscrivendo i confini delle nazioni e violando la sovranità statuale dell’Ucraina.  Putin non riconosce il diritto internazionale. Le frontiere della Federazione Russa, a quanto si evince dal suo discorso delirante e paranoico, sono quelle dell’URSS. Il mondo per Putin è rimasto fermo al 1991. 

Trovo particolarmente illuminante quanto scrisse nel 2017 lo storico Ettore Cinnella nella prefazione al suo saggio La Russia verso l’Abisso. Dopo il 1945 la Russia non è stata aggredita da nessuno e, nonostante possieda immense risorse naturali, langue ancora nel sottosviluppo e nella povertà e “il governo e la Chiesa spiegano alla credula popolazione che è il perfido occidente, con le sue losche mene, a minacciare l’esistenza stessa della santa Russia e che quest’ultima, per farsi valere, deve riarmarsi”. La commistione tra potere politico – la cricca di oligarchi e di siloviki che fa capo a Putin – e il potere religioso, rappresentato dalla Chiesa Ortodossa Russa guidata dall’ex agente del KGB Kirill (Vladimir Mikhailovich Gundyaev), è talmente forte che, come scrive Dmitry Adamsky nel suo libro Russian Nuclear Orthodoxy. Religion, Politics and Strategy, il clero è parte attiva delle decisioni militari e nucleari della Russia. Uno scenario quasi teocratico come quello iraniano ma in chiave ortodossa. 

L’Ucraina ha ormai scelto la sua strada che è quella dell’Europa e della democrazia. Una strada irreversibile che non a caso Putin prova a minare con la guerra. Dal 2014 Putin non gode di alcun tipo di consenso neanche tra la popolazione russofona dell’Est del Paese. A Kharkiv, seconda città dell’Ucraina, a pochi chilometri dal confine russo, i sentimenti patriottici sono gli stessi che a Leopoli. Cambia solo la lingua di preferenza usata. 

La narrazione russa in merito al conflitto ucraino, così come a quello siriano, ha fatto breccia nella popolazione, al punto tale da diventare «senso comune». Chi sono e quanti sono i filorussi in Italia? 

Dal momento che i filorussi sono la stragrande maggioranza nel nostro Paese sarebbe interessante ribaltare i termini della questione chiedendosi chi siano gli intellettuali, i giornalisti e i politici non allineati su posizioni filorusse e intellettualmente onesti nel raccontare chi è realmente Putin e quale sia la vera natura del suo regime. Purtroppo sono pochissimi. È utile interrogarsi sul perché di questa anomalia che è indubbiamente anche il frutto di un’eredità storica risalente ai primi del Novecento.

Lo scorso anno assieme a Luigi Sergio Germani, direttore dell’Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici, ho scritto un paper, contenuto nel saggio Russian Active Measures. Yesterday, Today, Tomorrow, curato da Olga Bertelsen, uscito per la Columbia University Press nel marzo 2021, sull’influenza russa sulla cultura, sul mondo accademico e sui think tank italiani. 

Ciò che emerge da questo studio, effettuato su fonti aperte e quindi facilmente verificabile da tutti, è che in Italia esistono due diversi tipi di intellettuali ed esperti di politica estera filorussi: i neo-eurasisti e i Russlandversteher (simpatizzanti della Russia). I neo-eurasisti italiani hanno opinioni radicali pro-Mosca e anti-occidentali. Sono spesso ammiratori di Aleksandr Dugin, un analista politico russo con stretti legami con il Cremlino, noto per le sue opinioni scioviniste e fasciste. Percepiscono la Russia di Putin come un modello sociale e politico, nonché come un potenziale alleato contro le élite della UE e “globaliste” che avrebbero impoverito l’Italia privandola della sua sovranità. I neo-eurasisti esprimono punti di vista radicali anti-NATO e anti-UE e chiedono un’alleanza strategica tra Europa e Russia. I Russlandversteher italiani, invece, hanno una posizione filorussa pragmatica, spesso basata su considerazioni di realpolitik. Sostengono che la Russia sia un’opportunità piuttosto che una minaccia, ritengono che l’Occidente sia in gran parte responsabile delle rivoluzioni ucraine e dell’attuale crisi nelle relazioni tra la Russia e l’Occidente e affermano che nonostante l’Italia sia membro della NATO e dell’UE, dovrebbe avere un “rapporto speciale” con la Russia per garantire la sicurezza nazionale energetica ed economica della penisola.

In estrema sintesi potremmo dire che le opinioni pro-Cremlino esercitano una notevole influenza sulla cultura italiana, sul mondo accademico e sulla comunità di esperti. Di conseguenza, l’opinione pubblica italiana e una parte significativa della sua élite politica hanno spesso difficoltà nel vedere la politica interna ed estera russa in modo più critico e nel comprendere le sfide ideologiche e di sicurezza che il putinismo pone all’Europa e all’Occidente.

L’assenza di un dibattito su quanto sta succedendo tra Ucraina e Russia e la presenza su tutte le tv nazionali dei soliti noti, spacciati come esperti del settore, che sovente ripetono ad libitum le narrazioni della propaganda russa (Russia accerchiata dalla NATO, l’Ucraina non è uno stato ma una provincia russa creata dai bolscevichi, gli ucraini sono nazisti etc) testimoniano quanto il panorama culturale, accademico ed economico italiano sia inquinato dalla perniciosa influenza russa. 

In questi ultimi giorni, dopo il discorso di Putin e l’ingresso delle truppe russe in Donbas, ho riflettuto molto sulle affermazioni fatte dagli “esperti” di una nota rivista geopolitica che in diverse trasmissioni televisive hanno ribadito più volte come l’Occidente debba in qualche modo rassegnarsi al bagno di sangue che Putin sta preparando in Ucraina perché Putin “lotta per la sopravvivenza della Russia”. Da studioso di guerra ibrida e di disinformazione tali dichiarazioni, ripetute in televisione come un mantra, mi sembrano perfettamente in linea con l’obiettivo del Cremlino di demoralizzare e logorare psicologicamente l’Occidente. Inoltre, è una mistificazione affermare che Putin “lotta per la sopravvivenza della Russia”, semmai lotta per la sopravvivenza del suo regime cleptocratico, che è fallimentare sotto il profilo economico.  L’obiettivo del Cremlino, ripeto, non è solo l’Ucraina, ma ricostituire una sfera di influenza e di controllo di Mosca anche nell’Europa centro orientale.  

Tra i cavalli di battaglia della propaganda del Cremlino vi è il presunto «accerchiamento» della Russia da parte della NATO. L’Alleanza Atlantica ha davvero circondato la Russia? 

È un altro mito della propaganda russa per giustificare l’assembramento di truppe ai confini dell’Ucraina, cominciato nell’aprile del 2021 e intensificatosi nelle ultime settimane fino a raggiungere più di 140.000 unità. Il Cremlino, sin dai tempi della Prima Guerra Fredda (per chi non se ne fosse ancora accorto ora stiamo vivendo la Seconda Guerra Fredda iniziata proprio con l’attacco ibrido russo all’Ucraina nel 2014), è sempre stato abilissimo nella guerra informativa. 

La verità è molto diversa. Con una popolazione di oltre 140 milioni di abitanti la Russia è geograficamente il paese più grande del pianeta e possiede una delle più grandi forze armate del mondo con il maggior numero di armi nucleari. È assurdo ritrarre la Russia come un paese gravemente minacciato. In termini geografici, meno di un sedicesimo del confine terrestre della Russia è con i membri della NATO. Dei 14 paesi confinanti con la Russia, solo cinque sono membri della NATO. Basta solo prendere una cartina o un mappamondo per accorgersi dell’assurdità di tale affermazione. 

In molti, soprattutto in rete, considerano la Russia e Israele come facenti parte di una «union sacrée» contro il terrorismo islamico. Come sono i rapporti tra Gerusalemme e Mosca? 

Non sono un esperto di politica mediorientale ma l’idea che mi sono fatto del rapporto tra Russia e Israele, studiando la politica estera dei due Paesi e le loro relazioni bilaterali, è che Gerusalemme cerchi di mantenere buoni rapporti con Mosca per due ragioni. La prima è che l’esistenza stessa di Israele è minacciata da stati confinanti come Iran e Siria, storicamente alleati della Russia, la seconda è che in territorio israeliano risiede una nutrita comunità russa ed ex sovietica (l’idioma russo è il terzo più parlato in Israele, dopo la lingua ebraica e la lingua araba). 

Anche nel corso della guerra in Siria, Israele si è limitato solamente ad attacchi mirati contro Hezbollah, gruppo sciita libanese concepito in funzione anti-israeliana, attivo in Siria a sostegno del regime di Bashar al Assad. Rispetto al fatto che la Russia sia in prima linea contro il terrorismo islamico sono piuttosto scettico. L’intervento russo in Siria risponde a un razionale geopolitico che poco ha a che vedere con la lotta al terrorismo islamico. Credo che questa idea di Mosca quale baluardo dell’ortodossia contro l’islam radicale faccia parte di una campagna propagandistica iniziata negli anni Novanta per giustificare la guerra cecena, un conflitto che come hanno scritto Aleksandr Litvinenko e Yuri Felshtinsky nell’interessante libro Russia. Il complotto del KGB, rispondeva a una logica ben diversa: l’ascesa in Russia di un gruppo di potere legato ai servizi segreti il cui scopo era sabotare le riforme liberali di Eltsin e costringerlo, con la tecnica del kompromat, a cedergli il potere come in effetti avvenne nel 1999 con la nomina a primo ministro, poi a presidente di Vladimir Putin. Quindi, per rispondere alla sua domanda, l’«union sacrée» Mosca-Gerusalemme contro il terrorismo islamico non esiste.     

Si parla spesso dei «neonazisti» ucraini. Quali sono i tassi di antisemitismo in Ucraina e Russia?    

Il mito degli ucraini nazisti è un evergreen della propaganda russa sin dai tempi sovietici. È stato puntualmente rivisitato anche la mattina del 24 febbraio da Putin quale sorta di giustificazione teorica della sua invasione su larga scala in Ucraina. Il leader del Cremlino ha annunciato alla televisione russa che era in atto “la demilitarizzazione e denazificazione in Ucraina”. L’11 ottobre del 2021 anche l’ex presidente e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza, Dmitry Medvedev, in un articolo uscito sulla rivista russa Kommersant in cui attaccava il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyi, descrivendo il suo paese come uno stato vassallo degli Stati Uniti con il quale è impossibile negoziare, aveva definito Zelenskyi un “essere disgustoso, corrotto e infedele, che aveva ripudiato la sua identità (ebraica) per servire i nazionalisti rabbiosi”. Questo, proseguiva Medvedev, significava che il capo di stato ucraino somigliava a un Sonderkommando ebreo, facendo riferimento a quegli ebrei, che minacciati di pena di morte, venivano costretti a sbarazzarsi delle vittime delle camere a gas durante l’Olocausto. 

Questo articolo costituisce un ulteriore riprova di come Mosca strumentalizzi il presunto antisemitismo degli ucraini per attaccare il corso democratico scelto dall’Ucraina del post-Maidan. All’epoca del Maidan, come già detto altre volte le forze cosiddette ‘xenofobe e ultranazionaliste’ – ammesso che sia corretto definire così movimenti nazionalisti radicali come Svoboda e Pravyi Sektor – ammontavano solamente all’1.9% dell’elettorato ucraino. 

Se proprio volessimo parlare di fascismo beh allora potremmo dire che il  regime cleptocratico di Putin è un chiaro esempio di fascismo russo. Lo storico Timothy Snyder individua nel 2011 il preciso momento in cui in Russia si compie la svolta autoritaria in fieri da anni e in cui il fascismo cristiano di Ivan Ilyin fornisce la copertura ideologica del regime putiniano. Nonostante Ilyin fosse antibolscevico e ammirasse Hitler il suo pensiero non si discostava troppo nelle sue implicazioni pratiche da quello di Stalin. La parentesi comunista vissuta dalla Russia era il frutto della corruzione proveniente dall’Occidente. Nella sua visione il comunismo era stato imposto alla Russia dall’Occidente. A detta di Ilyin che si rifà al teorico nazista del diritto Carl Schmitt la politica è l’arte di identificare e neutralizzare il nemico. E dal momento che la Russia è l’unica fonte di totalità divina e di purezza, l’uomo spuntato dal nulla, che i russi riconosceranno come il redentore, potrà muovere guerra a chi minaccia i successi spirituali della nazione.

L’Ucraina, in quanto espressione dell’Occidente corrotto che minaccia l’unità spirituale della Santa Madre Russia, è la vittima scelta da Putin per portare avanti la sua folle politica imperiale in cui il diritto inteso come rispetto delle regole è una sovrastruttura occidentale e in cui conta solo la geopolitica dei rapporti di forza. Possiamo dunque dire che il regime di Putin, anziché abiurare Nazismo e Stalinismo, le due ideologie totalitarie che hanno devastato il Novecento causando milioni di morti, le ha di fatto rimodellate e le ha poste a fondamento del suo regime. 

Passerei ora ai rapporti tra Cina e Russia. Washington è responsabile dell’avvicinamento di Putin a Pechino?

Non credo che Washington sia responsabile dell’avvicinamento tra Mosca e Pechino e non credo neppure che l’asse sino-russo sia così forte. La Cina crede nel multilateralismo seppure secondo regole che vorrebbe essa stessa dettare. Economicamente Pechino ha molti più rapporti con Stati Uniti ed Europa che con la Russia, per cui il suo avvicinamento a Mosca è, a mio avviso, di carattere tattico. Inoltre non dobbiamo dimenticare che la stessa Cina ha notevoli interessi economici in Ucraina il che spiega l’equilibrismo di Xi-Jinping. È altresì vero che per una sorta di effetto domino a livello geopolitico Taiwan in queste ore sta tifando per Kiev!



Anna Politkovskaja, la giornalista assassinata perché smascherò Putin: ecco cosa scrisse
Claudia Sarritzu
5 maggio 2022

https://cultura.tiscali.it/libri/artico ... tin-libri/

“L’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede”. Una frase semplice e dura come una pietra, una lezione che non ti può insegnare davvero nessuna scuola di giornalismo, la devi sentire dentro nelle viscere e crederci a costo della vita o semplicemente delle condizioni di vita: “Bisogna essere disposti a sopportare molto, anche in termini di difficoltà economica, per amore della libertà”.

Sedici anni fa è stata assassinata nell’ascensore del suo palazzo a Mosca, Anna Stepanova Politkovskaja. Era il 7 ottobre del 2006, lo stesso giorno del compleanno di Putin.

“Ho visto centinaia di persone che hanno subito torture. Alcune sono state seviziate in modo così perverso che mi riesce difficile credere che i torturatori siano persone che hanno frequentato il mio stesso tipo di scuola e letto i miei stessi libri” Anna fu la voce delle strazianti barbarie perpetrate in Cecenia, nel corso del blitz al Teatro Dubrovka di Mosca, nella scuola di Beslan, in Ossezia. Gli abitanti di quelle zone erano sottoposti da Putin a massacri, con il consenso dei leader locali corrotti, e questa non è dietrologia, ma storia provata.

La sua carriera giornalistica iniziò negli anni di Gorbačëv, della Perestrojka. Un’epoca di speranza, si credeva che l’Unione Sovietica potesse, senza spargimenti di sangue, rinascere. Ed è forse in quel momento che si è innamorata del suo lavoro, quando credette di poter raccontare una Russia migliore. L’amore nasce sempre dalla speranza e dalla bellezza, e resiste a tutto, anche al tempo e alle brutture. In Anna questo amore per un giornalismo utile al suo Paese non è mai scomparso, anche quando ha capito che era una condannata a morte.

Con l’ascesa di un leader zar: sì, proprio lui, Vladimir Putin, ex agente del KGB, le speranze per una Russia migliore sparirono: “Con il presidente Putin non riusciremo a dare forma alla nostra democrazia, torneremo solo al passato. Non sono ottimista in questo senso e quindi il mio libro e’ pessimista. Non ho più speranza nella mia anima. Solo un cambio di leadership potrebbe consentirmi di sperare”.

Iniziarono così le minacce sia dai politici russi che da quelli ceceni, mentre la popolazione l’amava perché lei gridava il loro dolore. In poco tempo divenne la giornalista più scomoda del giornale più scomodo di tutto il Paese. “Sono assolutamente convinta che il rischio sia parte del mio lavoro; il lavoro di una giornalista russa, e non posso fermarmi perché è il mio dovere”.

Ai giovani di oggi è difficile spiegare che tipo di giornalista era Anna: camminava e vedeva e raccontava, si recava di persona sui luoghi di cui doveva scrivere. Ora non è più così. Un giorno raccontò: “Sono una reietta. È questo il risultato principale del mio lavoro di giornalista in Cecenia e della pubblicazione all’estero dei miei libri sulla vita in Russia e sul conflitto ceceno. A Mosca non mi invitano alle conferenze stampa né alle iniziative in cui è prevista la partecipazione di funzionari del Cremlino: gli organizzatori non vogliono essere sospettati di avere delle simpatie per me. Eppure tutti i più alti funzionari accettano d’incontrarmi quando sto scrivendo un articolo o sto conducendo un’indagine. Ma lo fanno di nascosto, in posti dove non possono essere visti, all’aria aperta, in piazza o in luoghi segreti che raggiungiamo seguendo strade diverse, quasi fossimo delle spie. Sono felici di parlare con me. Mi danno informazioni, chiedono il mio parere e mi raccontano cosa succede ai vertici. Ma sempre in segreto. È una situazione a cui non ti abitui, ma impari a conviverci”.
Per conoscere bene Anna e il suo coraggio bisogna conoscere la situazione cecena. Ma è proprio grazie a lei e a pochi altri come lei, se sappiamo delle fini orrende degli oppositori politici, dei “desaparecidos” putiniani e delle vittime della polizia etnica. E’ stata la personificazione del concetto di “Resistenza”. Si potrebbero scrivere mille e più pagine sul coraggio di Anna Politkovskaja, ma forse basta citare una solo sua frase per capire l’enorme perdita che la Russia e il mondo libero, dieci anni fa, hanno subito, che tutti noi abbiamo subito: Voglio fare qualcosa per altre persone usando il giornalismo.

Oggi tutti in Occidente vogliono leggere i suoi libri, quelli che in pochi compravamo perché era meglio non vedere, non sapere. La Russia di Putin è stata amica dell'Europa, dell'Italia di Berlusconi. Sapevamo che era un tiranno ma era meglio fingere di non aver capito bene.

Oggi, 14 marzo 2022, mentre l'Ucraina invasa dallo zar prova a resistere massacrata nelle sue città, case e ospedali, torna in libreria in edizione tascabile 'La Russia di Putin' pubblicato da Adelphi nella traduzione di Claudia Zonghetti.

Questo libro è destinato, spiega Adelphi nella presentazione, a restare memorabile per la maestria e l'audacia con cui l'autrice racconta le storie (pubbliche e private) della Russia di oggi, soffocata da un regime che, dietro la facciata di una democrazia in fieri, si rivela ancora avvelenato di sovietismo.
Ma non si pensi a una fredda analisi politica: "Il mio è un libro di appunti appassionati a margine della vita come la si vive oggi in Russia" scriveva la Politkovskaja che nell'ottobre del 2002 ha coraggiosamente accettato di negoziare per la liberazione degli ostaggi prigionieri del teatro Dubrovka di Mosca. E tanto meno si pensi a una biografia del presidente: Putin resta infatti sullo sfondo, anzi dietro le quinte, per essere chiamato sul proscenio soltanto nel tagliente capitolo finale, dove viene ritratto come un modesto ex ufficiale del KGB divorato da ambizioni imperiali.
In primo piano ci incalzano invece squarci di vita quotidiana, grottesca quando non tragica: la guerra in Cecenia con i suoi cadaveri "dimenticati"; le degenerazioni in atto nell'ex Armata Rossa; il crack economico che nel '98 ha travolto la neonata media borghesia, supporto per un'autentica evoluzione democratica del Paese; la nuova mafia di Stato, radicata in un sistema di corruzione senza precedenti; l'eccidio a opera delle forze speciali nel teatro Dubrovka di Mosca; la strage dei bambini a Beslan, in Ossezia.

Forse se l'avessimo letto prima...
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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La criminale "operazione speciale" del Cremlino nazifascista

Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 8:06 am

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Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 8:07 am

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La criminale "operazione speciale" del Cremlino nazifascista

Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 8:08 am

e)
Il nazifascismo si trova nella Russia suprematista e imperialista del criminale dittatore del Cremlino Putin e non
nella democratica Ucraina di Zelensky



Dov'è il nazismo e chi è il nazista in Ucraina e in Russia?
viewtopic.php?f=143&t=3003
Dove sta il nazismo e chi è il nazista nella questione Ucraina Russia?
Non è difficile e non ci vuole molto per capirlo.
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... 1493516620


La Russia nazi fascista di Putin
La Russia di Putin e l'Ucraina e la putinlatria
viewtopic.php?f=92&t=2990



Il demenziale bullo nazifascista del Cremlino.

Il demenziale bullo nazifascista e nazi comunista del Cremlino,
il gemello eterozigote di Kin Jong-un.

Il macellaio del Cremlino è un criminale assassino,
un brigante, un grassatore, un mafioso, un oligarca ladro e farabutto,
un suprematista e imperialista russo come gli Zar e Stalin.

Il bullo del Cremlino è un demenziale fallito,
fallito come uomo, come cristiano, come statista.

Questo bullo criminale con il suo Impero del male minaccia il Mondo di sterminio nucleare.

Il macellaio del Cremlino come ha detto Trump è un genio ma del male
e per questo verrà ricordato come un criminale assassino,
uno stupratore di popoli e di cristiani,
come Moametto, Hitler e Stalin,
come i peggiori dittatori e assassini della storia,
una vergogna dei cristiani e dell'umanità.

E come per lui vi sarà grande vergogna anche per tutti coloro che demenzialmente lo hanno eletto a eroe, a santo, a paladino, a messia, a redentore dei cristiani e dell'umanità.

Costui dovrà essere bannato dall'ONU (già bandito dal Consiglio per i Diritti Umani) e da tutti i paesi del Mondo Libero e condannato dalla Corte Internazionale dell'Aia per gravi crimini contro l'umanità (sono già iniziate le pratiche sia all'ONU che all'Aia), dovrà essere braccato e arrestato da tutte le polizie dei paesi civili, sulla sua testa si dovrà mettere una taglia adeguata vivo o morto e i paesi che gli daranno rifugio dovranno essere boicottati in tutto come si fece con l'Afganistan che diede rifugio al criminale Osama Bin Laden.



Putin, no grazie! La Russia di Putin con il male della terra, come la Russia dell'URSS
Difendiamo il Mondo Libero, difendiamo l'Ucraina!
viewtopic.php?f=144&t=2998


La Russia di Putin è alleata, sostenitrice e paladina di tutte le dittature della terra:
della staliniana Corea del Nord con il suo culto della personalità,
del Venezuela social comunista di Maduro,
dell'Iran nazi maomettano che vorrebbe l'atomica per distruggere Israele e l'Occidente cristiano,
della Cina che è cresciuta economicamente grazie al lavoro portato dall'Occidente industriale e capitalista e che pratica la concorrenza sleale che inquina il Mondo più del resto degli altri paesi industrializzati, che è diventata una minaccia militare per tutto il Mondo Libero.
Putin è un dittatore prepotente e violento, imperialista antidemocratico e antioccidentale che fa parte di una oligarchia economica nazionalista, prepotente e mafiosa che affama la sua gente il suo stesso popolo preferendo impiegare le sue risorse per costruire armi offensive, che non ha alcun rispetto per i paesi confinanti europei che non ne vogliono sapere della Russia di Putin erede della Russia imperialista e autoritaria degli Zar e dell'URSS.
Putin è un falso cristiano pieno di violenza e di spirito di sopraffazione, altro che gli ucraini nazisti, il russo Putin pare la fusione di Hitler e di Stalin, il peggio del peggio e un bugiardo matricolato.


La triplice alleanza del Male:

la Russia nazi fascista e imperiale di Putin, prosegue quella degli Zar e quella internazi comunista dell'URSS;
Putin è un falso cristiano che usa il cristianismo per legittimarsi con il suopopolo e con l'Occidente cristiano, dove una parte dei cristiani abbandonati dall'Europa e dal Papa sinistrati e politicamente corretti, lo hanno eletto a loro paladino ed eroema che e con il suo imperialismo nazionalista opprime e ammazza i cristiani d'Europa;
la Russia dal primo novecento è sempre alleata dei paesi canaglia, di tutta la terra, come oggi con:
Cina/Corea del Nord/Venezuela di Maduro/Cuba nazi comunisti,
Iran nazi maomettano ed altri paesi islamici, che vogliono distruggere Israele,
da ricordare sempre:
i pogrom russi contro gli ebrei,
la persecuzione degli ebrei nella Russia sovietica,
I Protocolli dei Savi di Sion per demonizzare calunniosamente gli ebrei elaborati dalla Russia antisemita,
l'invenzione del Popolo palestinese e l'organizzazione del suo terrorismo ad opera dell'URSS,
gli scud sovietici che nel 1991 Saddam Hussein fece piovere su Israele,
mai dimenticare che la Russia di Putin all'ONU ha sempre votato contro Israele.
Il regime russo sovietico dell'URSS ha oppresso come mai nessun'altro i popoli d'Europa su cui era riuscito a imporre il suo dominio e questi popoli al crollo dell'URSS hanno scelto l'Europa e la NATO come anche l'Ucraina liberatasi dal gioco russo moscovita con il Referendo del 1991 scegliendo il Sì con oltre il 90%.


Patriottismo, indipendentismo, nazionalismo e nazismo in Ucraina e in Russia
e la Russia nazi fascista e comunista, suprematista e imperialista del falso cristiano Putin il violento e criminale dittatore russo
viewtopic.php?f=143&t=3004
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 9263248411


Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia
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Argentieri (J.Cabot): "battaglione Azov nazisti? E' falsificazione russa"

Adnkronos
18 maggio 2022

https://www.adnkronos.com/argentieri-jc ... szTogGWesf

Docente di scienze politiche e studioso dell'Europa dell'est, Argentieri racconta un suo incontro con Cerven, un comandante del battaglione di Azov. Con l'evacuazione dell'acciaieria Azvostal, afferma, Zelensky ha scelto il male minore

La reputazione nazista del battaglione di Azov "fu fabbricata dai russi". Intervistato dall'Adnkronos, lo studioso dell'Europa orientale Federigo Argentieri ricorda un suo incontro con "Cerven", un comandante di Azov che raccontò come nacque il battaglione e come ne furono espulsi gli estremisti. Oggi, afferma il docente di scienze politiche, Zelensky ha scelto "il male minore" facendo uscire i combattenti da Azovstal prima che morissero di stenti.

"Nel novembre 2018 andai in viaggio con i mei studenti e un collega a Leopoli, nell'ambito di un gemellaggio con l'universtà cattolica di Leopoli", racconta il docente della John Cabot University. In quell'occasione fu organizzato un incontro con un comandante del battaglione di Azov, che si presentò con il nome di Cerven e "rispose a tutte le domande con grande pacatezza".

"Noi siamo nati come reazione all'occupazione illegittima del Donbass e della Crimea nel 2014 - disse Cerven agli studenti - il nostro obiettivo è ricacciare i russi a casa loro. Siamo un battaglione volontario, da tempo inserito nell'esercito regolare ucraino". Il comandante ammise che agli inizi c'erano "un po' troppi estremisti", un fatto che descrisse come "inaccettabile". "Abbiamo denunciato questi estremisti, che poi sono stati processati per atti di violenza precedenti, e li abbiamo espulsi dal battaglione prima che questo fosse integrato nell'esercito regolare", ha assicurato Cerven.

Il comandante raccontò che il battaglione, pur integrato nell'esercito, continuava ad accettare volontari, una parte dei quali stranieri, provenienti soprattutto da Polonia, Bielorussia e Georgia. "Noi non ci caratterizziamo politicamente, non andiamo a vedere il curriculum politico di chi vuole entrare nel battaglione, guardiamo al comportamento e alla preparazione militare", disse ancora Cerven, spiegando che il nome Azov fu scelto perché il battaglione ha la sua base a Mariupol, che si affaccia su questo mare.

"La Russia fa propaganda contro di noi perché ci teme, perché qualche successo l'abbiamo ottenuto. Noi siamo molto determinati. Abbiamo dato fiducia all'esercito ucraino con la nostra volontà di difendere il territorio", disse ancora Cerven, aggiungendo che "questa reputazione di nazisti è stata fatta fabbricata ad arte in Russia è ha avuto molta presa in Italia". "Questa storia del nazismo è tipica dei russi - affermò - per i quali il nazismo è tutto ciò che non è russo e non obbedisce alla logica imperiale".

Con l'evacuazione dei combattenti dall'acciaieria Azovstal, "non c'è stata la resa del battaglione nazista, come vuole la narrativa russa", dice Argentieri, sfidando a trovare presunti crimini di guerra commessi dal battaglione di Azov. "La Russia ha costruito una narrativa del battaglione di Azov protagonista di un genocidio nel Donbass, senza nessun riscontro nella realtà, appropriandosi anche dei morti", continua il docente. "L'esercito ucraino ha perso 16mila uomini in otto anni di guerra" nel Donbass, ma la stessa cifra viene usata dal ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov quando parlano del presunto genocidio.

I combattenti del battaglione erano disposti a morire nell'acciaieria Azovstal, ma il rischio, ragiona Argentieri, è che morissero "di dissenteria e colera, in assenza di medicinali, acqua, e cibo". E quindi, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha detto loro di cominciare a uscire. Così facendo, "Zelenski si è assunto una responsabilità enorme, ma ha fatto la cosa giusta, scegliendo il male minore", afferma il docente. Che ha poi ricordato come un deputato della Duma russa abbia chiesto alla Corte suprema di Mosca di valutare la denuncia contro il battaglione di Azov per crimini di guerra, con la possibilità che i combattenti siano processati, invece che scambiati con altri prigionieri come vorrebbe Kiev.
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Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 8:08 am

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Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 8:09 am

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Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 8:09 am

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