Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » lun apr 15, 2019 7:13 am

La Siria restituisce a Israele le spoglie dell’eroe Eli Cohen
francesco semprini
2019/04/14

https://www.lastampa.it/2019/04/14/este ... ePaEGceNS0

Un convoglio russo con le spoglie del più famoso agente segreto israeliano, Eli Cohen, è in viaggio da Damasco verso Israele. La notizia bomba è stata rivelata da fonti siriane e ripresa da media israeliani, a partire dalla tv Channel 2. Le autorità israeliano non l’hanno smentita e poco prima della mezzanotte locale la censura ha autorizzato alla sua pubblicazione, segno che sta per essere ufficializzata. Nello Stato ebraico Cohen è considerato un eroe della patria e il recupero del suo corpo era una delle priorità nazionali. Lo scorso luglio era stato annunciato il ritrovamento del suo orologio, un Omega svizzero, ceduto a un ex agente dei servizi siriani al Mossad.

Il colpo era stato visto come il preludio a qualcosa di molto più importante, che si è verificato con la collaborazione della Russia. Due settimana fa, alla vigilia dell’ultima visita del premier Benjamin Netanyahu a Mosca, il Vladimir Putin aveva ottenuto da Damasco la restituzione di un soldato caduto in Libano durante la guerra del 1982 e poi sepolto vicino alla capitale siriana, come lo stesso Cohen. Tre anni fa il presidente russo aveva fatto riportare in Israele il carro armato, conservato in un museo vicino a Mosca, catturato dall’esercito siriano nella stessa battaglia. Ma la restituzione del corpo di Cohen è molto più importante. Il luogo della sua sepoltura era uno dei massimi segreti di Stato in Siria, e lo stesso presidente Bashar al-Assad avrebbe contribuito al ritrovamento e all’esumazione perché fosse restituito agli israeliani.

Dopo il riconoscimento americano dell’annessione israeliana del Golan, quindi, la Russia è entrata nella partita fra Siria e Israele, come mediatrice fra le due parti formalmente ancora in guerra. Ed Eli Cohen ha avuto un ruolo decisivo proprio in questo conflitto. Ebreo egiziano, arriva nello Stato ebraico negli Anni Cinquanta e viene presto arruolato nei servizi esterni, anche perché di madrelingua araba. All’inizio degli Anni Sessanta viene scelto per un’operazione ad alto rischio. Si finge un siriano di ritorno dall’Argentina, dove c’è una grossa comunità damascena, oltreché ebraica. Arriva a Damasco via Bruxelles e si inserisce negli apparati governativi fino a diventare confidente di alti ufficiali, compreso il capo di Stato maggiore.

Cohen mette le mani su segreti militari strategici, compresa la disposizione dell’esercito e delle fortificazioni sul Golan. Informazioni che poi saranno decisive per la conquista in pochi giorni delle Alture nel 1967, dopo la sua morte. Trasmette i dati con un mini apparecchio telegrafico da casa sua, ma a un certo punto interferenze con la radio militare insospettiscono il Moukhabarat, i servizi siriani. Viene individuato, arrestato, torturato e impiccato dopo un processo di pochi giorni il 19 maggio 1965, nella piazza Marja al centro di Damasco. Il corpo è lasciato penzolare per ore, come monito, e poi sepolto nel cimitero ebraico della città. Ma pochi mesi dopo viene spostato, più volte, e infine sepolto nell’area che di lì a poco diventerà il quartiere Mezzeh della capitale siriana. Ora il segreto è stato rivelato e il corpo potrà tornare in patria dove riceverà un solenne funerale di Stato.
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Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » lun apr 22, 2019 7:49 am

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/04/2019, a pag.1/17, l'editoriale del direttore Maurizio Molinari dal titolo "Assad contro il ritorno dei profughi"
Informazione Corretta

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=74392

È la prima volta che un quotidiano italiano a diffusione nazionale descrive la reale situazione della Siria nei confronti dei propri profughi. I numeri che il direttore della Stampa elenca con estrema precisione, oltre a inorridire, pongono una domanda che ogni lettore serio dovrebbe porsi: come mai nessun altro organo d'informazione ha mai descritto con questa chiarezza l'orrore messo in atto da un dittatore spietato come Assad? È finita così in basso la credibiità della maggioranza dei nostri media?

Per l'Europa in affanno davanti al fenomeno dei migranti un nuovo campanello d'allarme arriva dalla Siria dove il presidente Assad, dopo aver prevalso sul fronte militare, sta ostacolando il ritorno in patria di 5,5 milioni di profughi causati dalla guerra civile.
Su 18 milioni di abitanti, la Siria conta ben 11,6 milioni di profughi 5,5 espatriati e 6,1 senza dimora dentro i confini ovvero un terzo del totale dei rifugiati dell'intero Pianeta.
La maggior parte degli espatriati, causati dalla guerra civile iniziata nel 2011, si trova nei Paesi confinanti: 3,3 milioni in Turchia, 1 milione in Libano e 650 mila in Giordania a cui bisogna aggiungere un altro mezzo milione in Europa e 68 mila in Nordamerica.
Si tratta di milioni di famiglie che sono state accolte nella convinzione che una volta terminata la guerra civile sarebbero tornate in patria ma ora tale prospettiva si allontana. Il primo a sollevare l'allarme su quanto sta awenendo è stato Jumblatt, leader socialista druso libanese, e poi è toccato a Kuyumijan, ministro degli Affari Sociali a Beirut, rivelare che "meno del 20% dei profughi che hanno tentato di rientrare in Siria sono riusciti a farcela". Da Amman trapelano cifre ancora più ridotte: con solo pochi profughi siriani ammessi, in maniera sporadica, al rientro.
L'Alto commissariato per i rifugiati dell'Onu (Unhcr) ha documentato come alcuni profughi tornati dalla Germania in Siria abbiano ricevuto ogni sorta di maltrattamenti e alla fine hanno rinunciato. L' Istituto olandese per le relazioni internazionali è andato oltre, riuscendo a individuare "sette misure normative" che il regime di Assad ha adottato per limitare al massimo il ritorno di profughi che considera avversari: dalle norme sull'emissione di nuove carte di identità alla possibilità di privare della nazionalità chi ha commesso "reati contro lo Stato" trovandosi all'estero.
Ma è in particolare la legge numero 10, emanata nell'aprile 2018, a ostacolare i rimpatri perché consente al regime di Assad di requisire terreni e proprietà private per destinarle alla ricostruzione se i proprietari, tornati dall'estero, non hanno specifici "attestati di possesso".
Poiché gran parte dei siriani fuggiti dal 2011 vengono da aree rurali e piccoli villaggi dove questi "attestati di possesso" non esistevano, la decisione ora di renderli indispensabili significa ostacolarne il ritorno. Sradicandoli per sempre dalle loro terre. E poiché gran parte dei profughi sono sunniti, il timore fra gli esuli come nei Paesi arabi della regione è che Assad stia adoperando la legge 10 per generare tm ricambio di popolazione: sostituire l'etnia a lui più avversa con sciiti, cristiani ed altre minoranze che hanno invece sostenuto il regime durante una guerra civile che ha causato almeno mezzo milione di vittime.
Assad infatti appartiene alla minoranza alawita, ha avuto negli sciiti il maggior alleato militare e vede nella popolazione sunnita una sorta di cavallo di Troia delle nazioni mediorientali a lui più ostili: Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar.
Ovvero, dopo aver vinto la guerra con il sostegno militare di Iran e Russia, Assad punta oggi a trasformare la ricostruzione in un volano per eliminare dalla popolazione quanti più rappresentanti possibili delle etnie non gradite.
Per scongiurare nuove rivolte popolari in futuro contro il suo regime. E una forma sofisticata, spietata, di pulizia etnica, che alcuni recenti studi dell'Alto commissario per i rifugiati dell'Onu avvalorano attestando che "molti profughi siriani vogliono tornare ma temono di farlo in questa situazione".
A dimostrarlo sono i numeri: dall'inizio del 2018 appena 8.070 profughi sono rientrati dalla Giordania e 14.496 dal Libano. Da qui l'ipotesi che l'Europa e i Paesi arabi possano decidere di condizionare gli aiuti economici alla ricostruzione della Siria ad un cambiamento radicale della posizione del regime sul rientro dei profughi.
Facendo leva, come suggeriscono fonti diplomatiche a Bruxelles, sulla posizione della Russia maggiore protettore di Assad che sta chiedendo proprio all'Ue di essere protagonista della ricostruzione di un Paese devastato da distruzioni e stragi.
In attesa di vedere se Assad accetterà di far tornare i profughi sunniti nelle loro case, possono esserci pochi dubbi sul fatto che la pulizia etnica in corso in Siria ribadisce come dietro le grandi migrazioni che investono l'Europa c'è la ferocia di regimi e dittatori che disprezzano la propria gente.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » lun mag 27, 2019 2:53 pm

Riprendiamo dall' OSSERVATORE ROMANO di oggi, 25/05/2019, a pag.2, il redazionale dal titolo "Ancora raid e scontri in Siria"
Informazione Corretta

http://www.informazionecorretta.com/mai ... ErKU6W3Log

Finalmente il quotidiano della Santa Sede si è deciso di informare i propri lettori su chi attacca alcune città siriane, causando morti e feriti. IC l'ha puntualmente segnalato, tutti i pezzi erano titolati come quello di oggi, ma i responsabili degli attacchi rimanevano anonimi. Chi sarà mail l'attaccante?
Oggi cade la censura e veniamo informati che la resposabilità degli attacchi è da attribuirsi allo stesso Assad con l'aiuto delle forze militari di Mosca. Sono loro ad avere ordinato le stragi contro i civili siriani, evidentemente non in linea con il dittatore.
Mai dare notizie che possono dare una immagine negativa del mondo arabo-islamico, una regola pressochè comune nei paesi occidentali. Un passo importante sulla via della sottomissione.

DAMASCO, 24. Non tacciono le armi nella regione siriana di Idlib e nelle province limitrofe di Latakia, Hama e Aleppo. Ieri almeno sei civili sarebbero morti in conseguenza dei raid aerei delle forze governative coadiuvate dalle forze di Mosca. Altri tre uomini sono morti nel villaggio di Khan Shaykun e ancora non è noto il numero delle vittime negli scontri presso la valle del fiume Oronte. L'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) aggiorna, così, il bilancio dei civili coinvolti negli scontri dell'area nord-occidentale del paese all'indomani dell'attacco nel mercato ortofrutticolo di Maarrat Numan, dove hanno perso la vita 23 persone. Secondo l'Ondus, nelle ultime ore ammontano a oltre un centinaio gli attacchi aerei compiuti dalle forze di Damasco e di Mosca. A Kafr Aweid, nella provincia di Idlib, le incursioni aeree di giovedì hanno danneggiato gran parte degli edifici e aumenta il numero degli sfollati. Intanto, si incrementano gli scontri a fuoco nella provincia di Hama, dove le forze di Assad stanno accerchiando i jihadisti di Hayat Tahrir al Sham, gruppo vicino ad Al Qaeda. Assad promette di liberare le città della regione dalla presenza dei miliziani: ieri, nel terzo giorno di scontri, undici miliziani sono stati uccisi nella regione di Kafr Nabuda. Il ministero della Difesa della Russia ha riferito che un gruppo di jihadisti ha lanciato 17 razzi contro la base aerea russa di Khmeimim. Si tratta del secondo tentativo di attacco alla base russa in pochi giorni. Lo scorso settembre, l'area a nord-ovest della Siria è stata oggetto di un accordo tra Russia e Turchia su una zona demilitarizzata, creata per separare i territori occupati dalle forze ribelli al regime da quelli sotto il controllo del governo di Damasco. Secondo le organizzazioni umanitarie, tuttavia, questa zona cuscinetto non è stata rispettata: negli ultimi mesi, gli scontri si sono intensificati nel sud di Idlib e nel nord di Hama
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » mer giu 05, 2019 7:50 pm

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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » mer giu 05, 2019 7:51 pm

Siria: quella mossa anti-iraniana che non ti aspetti da Putin
Darya Nasifi·Middle East·Giugno 5, 2019·

https://www.rightsreporter.org/siria-qu ... 2FgYlypBXk

Le forze militari russe e quelle siriane, in silenzio e senza tanti clamori, nelle ultime settimane hanno progressivamente espulso le milizie iraniane dal porto di Tartus dove si erano attestate in un bacino civile a seguito di un accordo tra il regime siriano e quello iraniano.

L’accordo firmato tra Damasco e Teheran circa un anno fa prevedeva che un bacino civile del porto di Tartus, che è strategico per la Russia, venisse usato dagli iraniani per rifornire via mare le proprie milizie in Siria.

Cosa è cambiato negli ultimi tempi per spingere Mosca a fare pressioni su Damasco affinché non rispettasse quell’accordo firmato in pompa magna solo un anno fa?

Prima di tutto la Russia si è trovata di fronte a una scelta importante: da un lato poteva permettere agli iraniani di attestarsi in Siria ben sapendo però che questo avrebbe portato ad una forte reazione israeliana, dall’altro poteva pensare al bene della Siria e alla salvaguardia del regime di Assad, due punti strategici per Mosca, impedendo lo schieramento iraniano in territorio siriano e accettando così le richieste di Gerusalemme e di Washington.

Ebbene sembra che Putin abbia scelto questa seconda ipotesi convincendo Assad della necessità non solo di allontanare gli iraniani dal porto di Tartus ma anche a non tener fede nemmeno all’accordo firmato solo poco tempo fa con Teheran per l’uso del porto di Latakia.

La mossa anti-iraniana voluta da Putin coincide con la notizia che per questo mese è prevista a Gerusalemme una riunione di altissimo livello tra Russia, Stati Uniti e Israele per discutere del futuro della Siria, una mossa chiaramente volta ad escludere Teheran da qualsiasi influenza in territorio siriano.

Secondo indiscrezioni molto attendibili da quel vertice dovrebbe uscire un accordo per mantenere Assad al potere in cambio però dell’espulsione delle milizie iraniane dal territorio siriano, oltre al fatto che gli Stati Uniti rimuovano alcune sanzioni alla Russia e alla Siria.

Il riconoscimento da parte di Israele e degli Stati Uniti della “legittimità” del regime di Assad porterebbe con se tutta una serie di conseguenze positive per Damasco e anche per la Russia oltre al fatto che con molta probabilità anche i Paesi arabi e la Lega Araba seguirebbero a ruota le decisioni di Washington e di Damasco con effetti incredibilmente positivi per la normalizzazione della Siria.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » mar giu 11, 2019 7:41 pm

Quegli incendi misteriosi che stanno colpendo Siria e Iraq
Matteo Carnieletto
11 giugno 2019

https://it.insideover.com/guerra/incend ... qeFh3YLcv4

“Sai, noi stiamo vivendo i sette anni di carestia annunciati dalla Bibbia, ma presto arriveranno quelli della prosperità”. Era il 2018, la guerra in Siria entrava nel suo ottavo anno e suor Yola Girges nutriva grandi speranze per il suo Paese. Dopo anni di attentati e battaglie, la Ghouta era appena stata liberata e Damasco – la capitale – era finalmente tornata sicura: niente più colpi di mortaio che piombavano sul quartiere cristiano di Bab Touma o razzi artigianali scagliati dai jihadisti dell’Esercito dell’islam sulla popolazione inerme. La riconquista della Ghouta ha visto l’esercito e l’aviazione siriana combattere aspramente, fino al controverso attacco chimico di Douma che piegò i ribelli e li costrinse a trasferirsi a Idlib, nel nord del Paese. Si poteva dunque sperare. Anche perché nel frattempo – a est – i curdi erano impegnati nella lotta contro lo Stato islamico, culminata con la sconfitta definitiva delle bandiere nere a Baghouz lo scorso maggio. Eppure, nonostante i tanti miglioramenti, il tempo della prosperità e della pace è ancora lontano. Così vicino e, allo stesso tempo, così lontano.

Basta guardare a nord, nelle terre controllate dai curdi. Qui – dopo dieci anni di crisi – i campi di grano erano finalmente tornati dorati e le spighe erano pronte per essere mietute. Eppure, in poco tempo, dei fuochi misteriosi hanno portato via tutto, comprese le speranze per un futuro un po’ più stabile. Intervistato dal Washington Post, Abbas al-Jaghjagh, che vive nella città di Tal Hamis, ha raccontato: “Siamo 24 in famiglia e ci aspettavano il miglior raccolto da dieci anni. Ora abbiamo perso tutto”. Un racconto molto simile a quello di un altro contadino – questa volta residente in Iraq – fornito ad Associated Press: “La vita che viviamo qui è già amara. Se la situazione continua così, direi che nessuno resterà qui”. Già perché questi misteriosi incendi stanno colpendo un’area immensa che si estende dai confini iracheni con l’Iran fino alle acque del Mediterraneo.

Le piste, dietro questi roghi, sono diverse, ma la rivendicazione è una sola – quella dello Stato islamico – che tramite Al Naba ha annunciato:

La stagione del raccolto è ancora lunga e diciamo ai soldati del Califfato: avete davanti della terra piantata con grano e orzo che ora è di proprietà di apostati

Lo stesso gruppo jihadista ha poi invitato i suoi miliziani ad appiccare ulteriori fuochi. Secondo Peter Schwartzstein, del Center for Climate and Security, il messaggio che il Califfato vuol dare è: “Se questa terra non sarà nostra, allora nessun altro potrà averla”. Ma c’è anche chi, come i curdi, ha puntato il dito – in verità senza grandi prove – contro Bashar al Assad: “Non possiamo dire che il regime e l’Isis stiano lavorando insieme – ha detto Salman Barudo, a capo del comitato per l’agricoltura curdo – ma condividono lo stesso interesse nel vedere fallire quest’area”. Infine, l’ultima ipotesi riguarda una possibile vendetta degli stessi curdi contro gli arabi che, negli scorsi anni, hanno deciso di aderire all’Isis. Come del resto spiega lo stesso Abbas al-Jaghjagh citato dal Washington Post: “Non sappiamo chi stia facendo tutto questo. Sono gli arabi? Non possiamo dirlo. Sono i curdi? Non possiamo dirlo. È il governo? Non possiamo dirlo. È la Turchia? Non possiamo dirlo. È qualcuno da fuori? Non possiamo dirlo. Ci sono molti nemici e nessuna prova”.

Quel che è certo è che la tranquillità, in questa parte di mondo, sembra esser perduta. Quasi per sempre.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » dom ott 13, 2019 8:53 pm

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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » dom ott 13, 2019 8:53 pm

Erdogan pronto al massacro dei curdi: i suoi jihadisti alle porte di Afrin
2018/03/11

http://www.globalist.it/intelligence/ar ... 20814.html

La situazione è drammatica. Ad Afrin si continua a morire mentre il potentissimo esercito turco, entrato in territorio siriano, continua a uccidere i curdi con il pretesto della lotta al terrorismo. Siamo vicini all’offensiva finale che potrebbe provocare una carneficina.
 La città assediata è quasi senza acqua perché i turchi hanno preso il possesso della diga che rifornisce la città e danneggiato le stazioni di pompaggio. Scarseggiano i viveri e i medicinali mentre nella città si sono riversati molti abitanti dei villaggi già finiti sotto controllo dell'esercito turco e delle milizie jihadiste

Per questo la Co-presidente del Movimento per una società democratica (Tev-Dem) ha chiesto a tutti i curdi una iniziativa urgente per Afrin. Parlando alla stampa Asya Abdullah ha chiesto a a tutti i curdi di protestare.
“I civili ad Afrin sono sottoposti ad una minaccia di massacro. C’è la possibilità di un massacro. Dunque tutti dovrebbero sollevarsi ovunque si trovino per una iniziativa” ha affermato Asya.n Le organizzazioni curde hanno suonato i campanelli di allarme dopo che l’esercito turco e le sue bande alleate si sono avvicinate a 2 chilometri dal centro di Afrin.


Da Afrin c’è anche la testimonianza di Jacopo che si trova nel cantone curdo per contro di InfoAut: Nelle ultime ore la situazione ad Afrin si è fatta più critica: l’esercito turco invasore e le bande jihadiste sue alleate si sono avvicinate alla città da diversi lati, in particolare dalla direzione di Shera. Sono a 2,5 km di distanza e minacciano direttamente la città. La situazione dentro Afrin è quella che c’era già in questi giorni, quindi alta densità di popolazione, tanti rifugiati dai villaggi che qui hanno trovato rifugio dalla guerra e dai bombardamenti, mancanza di acqua perché quando i jihadisti e l’esercito turco hanno preso la diga di Meidanki hanno tagliato la fornitura e bombardato le stazioni di pompaggio in altri villaggi. Mancano anche alcuni generi di prima necessità. Adesso il rischio concreto è che nelle prossime ore ci sia una situazione sempre più critica e che attacchino la città; già in questo momento ci sono bombardamenti di artiglieria e di aerei nelle zone periferiche della città.
Il Tev Dem ha chiamato a una mobilitazione generale, a una sollevazione in tutti i posti e le piazze del mondo per difendere Afrin, per fermare il progetto di pulizia etnica che Erdogan e i jihadisti vogliono attuare sulla popolazione di Afrin, per chiedere una no fly zone che fermi i bombardamenti aerei, che sono anche quelli che causano un numero elevatissimo di vittime civili e che se in questa città dovessero aumentare ancora e arrivare fino in centro produrrebbero sicuramente un massacro. Queste azioni sono già in essere in molte città europee, anche in Bashur.
Adesso quello che bisogna fare è rompere il silenzio della comunità internazionale che di fatto è complice con questo piano; questo è quello che a tutti i popoli del mondo viene chiesto di fare per sostenere Afrin e la sua popolazione, per supportare la rivoluzione della Siria del nord e quindi la speranza e l’esempio della rivoluzione del nostro secolo per una società libera e democratica in cui tanti popoli diversi possono vivere assieme e che sia anche una proposta di pace per la Siria. Una sollevazione per difendere Afrin ma anche per difendere una speranza per tutta l’umanità.
Al momento la comunità internazionale non sta facendo nulla. Un massacro nel silenzio





La denuncia dei cristiani assiri: "I curdi rapiscono i nostri ragazzi"
Costantino Leoni
Feb 7, 2018

http://www.occhidellaguerra.it/la-denun ... ri-ragazzi

Lo scontro tra curdi e forze armate turche nel cantone settentrionale di Afrin si fa sempre più duro. I morti si contano da una parte e dall’altra nel più totale silenzio della stampa occidentale, fino a pochi mesi fa pronta a denunciare qualsiasi avvenimento in terra di Siria. I carri armati di Ankara hanno varcato i confini siriani da circa due settimane con l’obiettivo di spezzare la resistenza curda e prevenire la creazione di uno stato curdo nel nord della Siria, la cui nascita potrebbe risvegliare l’irredentismo dei curdi in Turchia.

Pare che nei sanguinosi scontri di questi giorni sia rimasta colpita anche la minoranza cristiana assira (chiamati anche Siriaci o Aramei). Dalle notizie emerse nelle ultime ore sembrerebbe che le forze di polizia curde (Asaysh) del Rojava abbiano minacciato, rapito e costretto diversi giovani assiri a imbracciare le armi contro l’invasore turco. La denuncia arriva direttamente World Council of Arameans (Wca), l’organo d’informazione e di difesa delle comunità assire perseguitate che ha sede in Olanda. Si tratta di sette giovani, tre assiri e quattro armeni, scomparsi dal 19 gennaio scorso. Dopo le proteste dei familiari i cristiani minorenni sono stati rilasciati mentre rimane incerta la sorte degli altri ragazzi più grandi. Saliba, Isho Hanna e Elias Hanna sono i nomi dei tre assiri di cui non si ha più notizia da giorni.

“Saliba è stato rapito in pieno giorno mentre si trovava nel suo negozio a Qamshili in una località chiamata Kebek” recita il comunicato. Proprio qui pare che le forze armate curde (Ypg) abbiano un centro d’addestramento in cui vengono preparate le reclute prima di essere inviate al fronte, nella zona di Afrin. Gli altri due invece sarebbero fermati dalle forze di sicurezza curde mentre tornavano alle loro case dall’università di Hassakeh dove avevano appena finito di sostenere degli esami. “Continuano a dirci che saranno rilasciati” ha detto un amico di Saliba che ha preferito rimanere anonimo. “Ma dopo dieci giorni abbiamo smesso di credere alle loro vuote promesse”. Non è la prima volta che in Kurdistan avvengono questo genere di arruolamenti forzati: il portavoce della Wca ha detto che spesso adolescenti senza formazione militare vengono brutalmente presi con la forza dalle strade, dalle scuole e dai negozi senza che di essi si abbia più alcuna notizia.

Il caso svela anche alcuni dettagli interessanti riguardo all’organizzazione interna dei cantoni curdo-siriani. Le forze militari curde si dividono infatti in due gruppi ben distinti: il famoso Ypg e gli Asaysh. Il primo si è reso responsabile di gesta eroiche come la strenua difesa di Kobane e in esso confluiscono tutti i migliori combattenti che il popolo curdo è in grado di fornire. Si tratta di vere e proprie forze armate che insieme agli alleati americani hanno contribuito a liberare Raqqa dagli uomini del califfato. Ben diverso è invece il discorso che riguarda gli Asaysh: si tratta di forze di polizia, molto spesso corrotte e che amministrano sommariamente la giustizia nei cantoni, in particolare in tempo di guerra in cui gli sforzi di tutti sono tesi a preservare i confini di un Kurdistan libero. Quindicimila uomini in cui tra l’altro militano anche diversi cristiani addestrati soprattutto per mantenere la sicurezza all’interno dei villaggi.

La comunità assira accusa proprio gli Asaysh di aver rapito i giovani cristiani. “Giocano con noi”. Ha detto uno dei portavoce della piccola comunità cristiana: “Vogliono che abbandoniamo la nostra patria in modo che possano impossessarsi delle nostre proprietà e delle nostre terre. Queste persone si considerano ormai i nuovi sovrani della regione.”

Johny Messo, presidente del Wca, ha vivacemente protestato contro le continue prevaricazioni da parte degli Asayesh: “La nostra gente sul campo continua a informarci su tutti i tipi di violazioni dei diritti umani, tra cui confisca di terra, intimidazioni, minacce e un’aumentata ondata di rapimenti. Questo deve immediatamente finire. Chiediamo alle forze Ypg curde di rispettare gli Aramei nativi della Siria. Invitiamo inoltre gli Stati Uniti a rendere chiaro questo messaggio critico alle Ypg”.

Inutile dire che rimane difficile, se non impossibile, verificare l’autenticità di questi fatti. La stampa turca filo-governativa non ha esitato a riprendere la notizia per screditare l’immagine dei nemici curdi. Se i rapimenti si rivelassero veri minerebbero senza dubbio l’alleanza tra Ypg e le forze di sicurezza siriache. Il 20 gennaio scorso il Consiglio Militare Siriaco ha ufficialmente appoggiato la causa curda inviando diversi dei suoi duemila uomini a contrastare l’invasione turca. Anche le milizie cristiane hanno però subito alcune spaccature interne; ed è proprio da queste spaccature che bisognerebbe partire per comprendere lo scambio di accuse tra cristiani assiri e curdi siriani.

Dall’inizio del conflitto siriano numerosi membri delle comunità cristiane si organizzarono in vere e proprie milizie regionali e si riunirono, almeno a parole, sotto la bandiera del Syriac Union Party (Sup). Alla fine del 2013 però le milizie poste a difesa della città di Qamshili (la stessa in cui abitavano i giovani rapiti), decise di staccarsi dalla “casa-madre”, giudicata troppo filo-americana, e unirsi ad un “comitato per la pace” composto da alcune delle organizzazioni cristiane della città. Da allora la milizia che difende la città di Qamshili si fa chiamare Sootoro (Ufficio di Protezione Siriaca). Diversi osservatori hanno ipotizzato la presenza, all’interno del nuovo gruppo, di infiltrati alle dirette dipendenze del regime di Bashar al-Asad. Il Sootoro adottò dunque un logo completamente diverso da quello dei loro fratelli siriaci e iniziò apertamente ad affermare la creazione di un’entità separata. Da allora, sebbene continui a rivendicare ufficialmente la propria neutralità, il Qamishli Sootoro è diventato a tutti gli effetti una milizia filogovernativa, rifiutandosi di partecipare alle azioni congiunte di curdi, Sup e Usa. I membri del gruppo vengono spesso mostrati accanto alle bandiere del governo e ai ritratti di Bashar al-Assad nei media televisivi, e le bandiere ben riconoscibili, sono state viste durante i raduni pro Assad nel settore controllato dalla città. Nel 2016 sono avvenuti anche alcuni scontri tra il Sootoro e l’Ypg: alcuni check-point della zona di Qamshili sono stati attaccati di sorpresa dalle forze armate curde causando diversi morti da entrambe le parti. Non è un caso dunque che alcuni dei rapimenti siano avvenuti proprio a Qamshili, ultimo avamposto governativo all’interno del Rojava.







Finita la resistenza dei curdi di Afrin, venduti da un occidente miope e vigliacco
Franco Londei on 18 marzo 2018

http://www.rightsreporter.org/finita-la ... -vigliacco


L’annuncio della conquista del centro di Afrin arriva da Sayf Abubakr, comandante della divisione al-Hamza, una delle maggiori milizie islamiche al soldo di Erdogan.

Solo fino a poco più di tre mesi fa la stampa mondiale era piena di articoli in cui si lodavano i valorosi combattenti curdi siriani e li si elevavano (giustamente) al ruolo di eroi, di salvatori del popolo siriano (non solo curdo) dai macellai dello Stato Islamico. Le cronache ci raccontavano di come, città dopo città, i curdi avanzano nel territorio di Daesh e lo liberavano dal crudele e sanguinario giogo islamico fino ad arrivare a Raqqa. Poi a sostituire Daesh venne Erdogan e calò il silenzio.

Erdogan, lo stesso che per anni ha fatto affari con lo Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi comprandogli il petrolio siriano e iracheno in cambio di armi, denaro e di un passaggio sicuro per i suoi terroristi, lo stesso Erdogan che pochi mesi prima si era inventato di sana pianta un golpe solo per trasformare la Turchia da un Paese laico in un califfato del quale lui sarebbe stato l’indiscusso califfo. Un Daesh con riconoscimento internazionale.

Poteva Erdogan sopportare che i curdi venissero considerati degli eroi? Poteva permettere che dopo il Kurdistan iracheno nascesse anche un Kurdistan siriano? Certo che no. E allora il nuovo califfo, il sostituto naturale di Abu Bakr al-Baghdadi, si inventa che i curdi siriani sono terroristi che minacciano la Turchia e addirittura il popolo siriano, quello stesso popolo che proprio i curdi hanno difeso a carissimo prezzo. E cosa si fa con i terroristi se non attaccarli?

È così che nel silenzio internazionale nasce l’operazione chiamata tragicomicamente “Olive Branch”, ramoscello d’ulivo, un simbolo di pace usato cinicamente per un massacro studiato a tavolino, quello dei curdi siriani di Afrin.

Ecco, questo è in poche parole il sunto della pianificazione di quello che è un massacro annunciato che proprio in queste ore sta vedendo il suo tragico epilogo con le forze turche appoggiate dalle milizie islamiche fedeli ad Ankara che sono a pochi passi dal centro di Afrin nonostante l’eroica resistenza curda. Pochi minuti fa Sayf Abubakr, comandante della divisione al-Hamza, una delle maggiori milizie islamiche al soldo di Erdogan, ha annunciato di aver conquistato il centro di Afrin. Fine della storia, massacro compiuto, il ramoscello d’ulivo di Erdogan è stato consegnato ai destinatari.

Viene da chiedersi come faranno i diplomatici europei e americani a guardarsi allo specchio questa mattina, come faranno a non sentirsi dei vigliacchi per aver abbandonato i curdi siriani nelle mani del califfo Erdogan dopo che li avevano usati per sconfiggere il califfo al-Baghdadi. Come faranno nel guardare le lunghe fila di persone in fuga dai turchi, quelle stesse che fuggivano da Daesh, a non sentirsi dei vermi? Come faranno a non sentire il sangue delle migliaia di curdi massacrati dalle milizie islamiche di Erdogan sulle loro mani, sulla loro pelle?
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » dom ott 13, 2019 8:54 pm

Siria. I curdi chiudono le scuole cristiane
RodolfoCasadei
agosto 30, 2018 Rodolfo Casadei

https://www.tempi.it/siria-i-curdi-chiu ... 4toerh9ijI

Gli istituti si erano rifiutati di adottare un nuovo curriculum ispirato al nazionalismo pancurdo nei territori dominati dalle Fds. Protesta dei cristiani: «Non privateci del nostro diritto all’educazione»

Martedì 28 agosto l’amministrazione della Federazione democratica della Siria settentrionale, cioè il territorio siriano sotto controllo delle Forze democratiche siriane (Fds) a dominante curda, è passata dalle parole ai fatti: le scuole cristiane che si sono rifiutate di adottare i provvedimenti di politica dell’educazione emanati dal governo di fatto della Siria settentrionale sono state chiuse. A fare le spese della mano pesante della coalizione di governo egemonizzata dai curdi del Pyd (Partito dell’unione democratica) sono state quattro scuole nelle città di Qamishli, Darbasiyah e Malikiyah appartenenti alla Chiesa siriaca ortodossa.

«VOGLIAMO LE NOSTRE SCUOLE». Nella città di Qamishli il sequestro della scuola Sabro nel quartiere di Wusta da parte di forze di polizia curda e di una milizia cristiana filo-curda (Sotoro) che hanno espulso insegnanti e personale amministrativo che si trovavano all’interno, ha innescato una protesta popolare che nel pomeriggio ha visto centinaia di persone e di studenti anche giovanissimi riuniti di fronte alla scuola. I manifestanti hanno strappato i cartelli con la scritta “scuola chiusa” apposti dalle forze dell’ordine, hanno manomesso lucchetti e nuove serrature che la polizia e i miliziani avevano installato e hanno fatto irruzione nella scuola. Gli studenti recavano cartelli con le scritte “non privateci del nostro diritto all’educazione” e “vogliamo le nostre scuole, la nostra libertà e la nostra infanzia”. I manifestanti adulti cantavano “resteremo siriaci e moriremo in questa terra”. La reazione dei miliziani di Sotoro presenti sul posto si è limitata a spari in aria per intimidire i manifestanti, che non hanno desistito.

NAZIONALISMO PANCURDO. Dal 2015 l’amministrazione del Pyd cerca di imporre a tutte le scuole della regione controllata dalle Fds (la cui componente principale sono le unità di autodifesa Ypg, ala militare del Pyd) un nuovo curriculum ispirato al nazionalismo pancurdo e un sistema di iscrizione scolastica che mira ad etnicizzare le scuole. Attualmente le scuola cristiane siriaco ortodosse adottano il curriculum nazionale siriano, che prevede la lingua araba per tutte le materie, tranne due ore in lingua siriaca (o aramea) per l’insegnamento della religione e della cultura siriaca (o aramea). Il governo del Pyd ha stabilito che le scuole siano organizzate su base etnica e che la lingua utilizzata per tutte le materie sia quella del gruppo etnico in questione, mentre il programma e i testi dovranno essere ispirati al nazionalismo curdo.

NUOVI LIBRI DI TESTO. Nelle pagine dei nuovi sussidiari compaiono mappe del Grande Kurdistan (che comprende territori di Turchia, Siria, Iraq e Iran) e foto di Abdullah Ocalan, l’imprigionato leader del Pkk curdo di Turchia (considerato organizzazione terroristica anche dagli Usa e dalla Ue). Inoltre le scuole siriache (o aramee) non vogliono rinunciare ad accettare l’iscrizione di studenti arabi e curdi, che secondo le nuove disposizioni dovrebbero frequentare scuole dove si utilizza esclusivamente la loro lingua materna. Si danno casi di studenti di questi due gruppi etnici che nel modulo di richiesta non hanno indicato l’etnia di origine per poter frequentare le scuole cristiane sfuggendo ai controlli dell’amministrazione curda.

GUERRA ALL’ISIS. La data per l’inizio delle lezioni in tutto il territorio siriano è fissata fra la prima e la seconda settimana di settembre. Ieri le scuole hanno riaperto per il rientro al lavoro di insegnanti e personale amministrativo. Il territorio della Federazione democratica della Siria settentrionale comprende i tre cantoni di Afrin, Jazira ed Eufrate, per un’estensione di 40 mila kmq. È detto anche Rojava e le forze militari curde lo hanno conteso duramente all’Isis e ad altri gruppi armati islamisti a partire dal 2013.


Siria, Erdogan avanza contro i curdi. Nuova offensiva nel silenzio generale
Lorenzo Vita

http://www.occhidellaguerra.it/siria-er ... siva-curdi

“Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” è la frase con cui si narra la disperazione degli ambasciatori di Sagunto di fronte al tempo perso dal Senato romano nel discutere del possibile intervento militare in difesa della città iberica. La frase è poi diventata proverbiale, a indicare tutte le volte in cui servirebbe un’azione rapida e decisiva e invece si perde tempo in discussioni lunghe e senza via d’uscita. E nel frattempo la guerra miete vittime.

La situazione dei curdi, in Siria, non è troppo distante da quella che subirono i tristemente noti abitanti di Sagunto. Alleati (almeno formalmente) della coalizione occidentale, i curdi sono stati con il tempo scaricati da Stati Uniti e Paesi europei per diventare il bottino di guerra di Recep Tayyip Erdogan e delle sue milizie islamiste.

E mentre a Istanbul, il presidente turco ha riunito i leader di Francia, Germania e Russia per discutere degli sviluppi della guerra in Siria. Con l’offensiva su Idlib messa in stand-by e con l’Occidente che appare totalmente distratto rispetto alla tragedia siriana, le forze turche hanno avviato l’ennesima operazioni militare nei confronti delle forze curde dello Ypg/Pyd.

Il sultano lo aveva promesso proprio dopo il summit: “In Siria è necessario intervenire per consolidare la nostra sicurezza. Dopo il golpe qualcuno pensava che saremmo rimasti passivi, ma le operazioni ‘Scudo dell’Eufrate’ e ‘Ramoscello d’Ulivo’ sono stati dei colpi durissimi inferti all’Isis e al Pyd. Abbiamo mostrato alla comunità internazionale e ai Paesi arabi con quale intento siamo andati in Siria. A Idlib abbiamo evitato una crisi umanitaria enorme, abbiamo dimostrato di agire per i siriani”.

“Quello che abbiamo realizzato in Siria lo abbiamo fatto grazie soprattutto alla Russia, ma come ho detto alla fine del vertice, rimane insufficiente l’azione della comunità internazionale, la cui posizione ci auspichiamo sia più netta. Per quanto ci riguarda non lasceremo che l’Isis faccia il suo gioco in Siria” ha detto Erdogan.

Parole decisamente curiose per un leader che ha agevolato la nascita e lo sviluppo del Califfato per infliggere colpi durissimi sia ai curdi sia alla Siria di Bashar al-Assad. L’autostrada del jihad per muovere miliziani verso l’Iraq e la Siria, così come le carovane di petrolio di contrabbando che arrivavano nei porti turchi sono storia. Eppure Erdogan continua a dire di aver combattuto Daesh.

Ma adesso, con l’Isis ridotto al territorio sudorientale della Siria, è del tutto evidente l’obiettivo della Turchia: estendere la sua influenza a sud, colpendo i curdi e facendo in modo che il confine turco-siriano si trasformi in una sorta di protettorato di Ankara. E la sostituzione etnica messa in atto dalle milizie jihadiste ne è la dimostrazione più crude ed eclatante.

E dalle promesse, Erdogan è passato ai fatti. L’esercito turco, proprio in questi giorni, è tornato a colpire oltre il confine siriano le postazioni dello Ypg. Mentre Erdogan ospitava il summit, le forze armate turche hanno colpito avamposti curdi a Zor Maghar, a nord di Aleppo. Mentre subito dopo, altri missili dell’artiglieria pesante turca, di stanza nella provincia di Urfa hanno colpito l’area di Kobane. Le prime informazioni parlano di quattro curdi uccisi e di altri sei feriti.

Secondo quanto riferito dal ministro della Difesa di Ankara, Hulusi Akar, “l’esercito turco ha risposto al fuoco di disturbo contro un proprio check-point colpendo oltre il confine siriano le postazioni dei curdi del Pyd-Ypg e 10 terroristi sono stati uccisi”. Secondo il ministero turco, sarebbero stati i curdi i primi ad aprire il fuoco, “danneggiando un nostro veicolo, ma senza causare feriti”. Un gesto che, a detta di Ankara, “giustifica il ricorso alla legittima difesa così come prevista dagli accordi Onu”.

Gli Stati Uniti hanno espresso grande preoccupazione per quanto sta avvenendo nel nord della Siria. Il portavoce del Dipartimento di Stato, Robert Palladino, ha dichiarato che “attacchi militari unilaterali nel nord-ovest della Siria da parte di chiunque, soprattutto con personale americano che potrebbe essere presente o nelle vicinanze, suscitano grande preoccupazione”. Washington ha suggerito ad Ankara di migliorare il coordinamento e di incrementare le consultazioni fra i due comandi per evitare incidenti.

Ma l’idea che è da parte di Erdogan ci sia poco interesse, così come da parte della stessa Casa Bianca. I curdi hanno ormai chiaro di essere fra le prime vittime di questa guerra. Hanno scelto male il loro alleato. E adesso ne pagano le conseguenze. Così, mentre aspettano una presa di posizione definitiva di Francia e Stati Uniti, presenti nei territori curdi per controllare il nord-est siriano, la Turchia continua a fare il suo gioco. Ed è per questo che negli ultimi mesi hanno scelto di riallacciare i rapporti con Damasco e con Mosca: sanno che se vogliono ottenere qualcosa, non possono più fidarsi di chi li ha abbandonati.




Straziante appello del Kurdistan National Congress al mondo: fermate la Turchia
2° dicenbre 2018

https://www.rightsreporter.org/strazian ... la-turchia

Riceviamo e con vicinanza e amicizia al popolo curdo pubblichiamo lo straziante appello del Kurdistan National Congress (KNK) a tutto il mondo affinché il popolo curdo non rimanga in balia dell’estremismo islamico della Turchia.

A gennaio di quest’anno, lo stato turco ha avviato una campagna di aggressione militare contro la regione un tempo pacifica di Afrin in Rojava, e questa campagna, condotta in coordinamento con vari gruppi jihadisti, è culminata con l’occupazione di Afrin.

La guerra dello stato turco nella regione di Afrin ha provocato una tragedia umana di vaste proporzioni: centinaia di civili indifesi sono stati massacrati e altre migliaia feriti, e la regione è stata bruciata, saccheggiata e distrutta dallo stato turco e dai loro alleati jihadisti.

Centinaia di migliaia di persone sono stati sfollati con la forza dalle loro case, e la guerra e la successiva occupazione e le continue campagne di terrore da parte dello stato turco e dei suoi alleati jihadisti nella regione hanno significativamente modificato la demografia di Afrin.

Lo stato turco ora cerca di ottenere lo stesso risultato visto ad Afrin in altre regioni del Rojava e si sta attualmente preparando ad attaccare una regione di 500 km in Siria tra i fiumi Tigri ed Eufrate.

I primi obiettivi nella regione sono le aree di confine di Kobane, Manbij, Tal Abyad, Serêkaniyê (Ras al-Ain), Darbasiyah, Amude, Qamishlo, Tirbespî (al-Qahtaniyah), Dêrik (al-Malikiyah) e migliaia di città e villaggi. Accanto a città come Qamishlo, Hasakah e Raqqa con grandi popolazioni urbane, ci sono circa un centinaio di villaggi e migliaia di villaggi nell’area, che attualmente ospita circa 3 milioni di persone. Ogni assalto dello stato turco porterebbe a un’insopportabile tragedia umanitaria di grandi dimensioni.

È noto che, con tutti i loro sacrifici, l’amministrazione regionale della Siria settentrionale e orientale / Rojava e le forze YPG / YPJ / SDF sono coloro che hanno pagato il prezzo più alto nella guerra contro l’ISIS. Il mondo intero ha assistito alla resistenza di Kobane, avvenuta non molto tempo fa. Queste sono le stesse forze prese di mira dallo stato turco, e Kobane, il bastione della resistenza contro ISIS, è tra i principali bersagli turchi. La guerra contro l’ISIS è ancora in corso e le forze della Siria settentrionale e orientale sono in prima linea in questa guerra.

Le forze della coalizione anti-ISIS guidata dagli Stati Uniti, che comprendono anche il Regno Unito, la Francia e altri paesi, sono stanziate in quest’area e mantengono una presenza attiva, conducendo oltre 200 attacchi in Siria nell’ultima settimana.

Le forze della coalizione avevano promesso protezione all’amministrazione regionale e ai popoli di queste aree. Tuttavia, secondo recenti notizie, a causa delle minacce dello stato turco, gli Stati Uniti si stanno preparando a ritirare rapidamente le proprie forze dalla regione. Se gli Stati Uniti e le altre forze della coalizione si ritireranno, abbandoneranno le comunità di questa zona a massacri su vasta scala. Tale sviluppo porterebbe a una grave tragedia umanitaria e allo stesso modo infliggerebbe una profonda ferita alla coscienza dell’umanità.

Sottolineando che il popolo del Kurdistan resisterà contro questi attacchi, KNK ha invitato tutti a solidarizzare con il popolo curdo e ha fatto il seguente appello alle potenze internazionali e all’umanità:

1. Le forze della coalizione non devono lasciare la Siria settentrionale e orientale / Rojava.

2. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU deve riunirsi con urgenza, decidere di proteggere quest’area dall’aggressione e dichiararla come Zona No-Fly.

3. Gli Stati Uniti devono riconsiderare e annullare la decisione dichiarata di ritirarsi da quest’area.

4. Le nazioni europee, in particolare la Francia, la Germania e il Regno Unito, devono immediatamente mettere questo tema nella loro agenda e non rimanere in silenzio di fronte ai potenziali massacri contro curdi, arabi, siriaci, assiri e armeni nella regione.

5. La Russia non deve rimanere spettatrice degli attacchi dello stato turco come ha fatto con Afrin, ma deve piuttosto opporsi alle politiche distruttive dello stato turco e alle interferenze in questa regione.

6. I difensori dei diritti umani, i movimenti pacifisti e le organizzazioni attive nel campo della politica e della società, non dovrebbero rimanere in silenzio di fronte a massacri imminenti, ma piuttosto devono ascoltare le voci dei curdi, degli arabi, dei siriaci, degli assiri e degli armeni, i milioni di innocenti Alevi, musulmani, yazidi e civili cristiani minacciati dall’aggressione dello stato turco e solidali con i popoli della Siria settentrionale e orientale e contribuire a trasmettere le loro richieste di protezione e pace al mondo.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » dom ott 13, 2019 8:55 pm

Esercito siriano si posiziona a difesa del Kurdistan siriano
26 Dicembre 2018

https://breaking.rightsreporter.org/ese ... y9ztHDO24Q

Secondo una fonte militare curda le forze democratiche siriane guidate dai curdi (SDF) hanno ceduto il controllo di una città situata a sud-ovest di Manbij all’Esercito arabo siriano (SAA).

La mossa rientrerebbe nella strategia dell’esercito siriano volta a occupare la regione del Kurdistan siriano con la collaborazione delle forze curde prima di qualsiasi invasione turca.

Secondo la fonte l’esercito arabo siriano è attualmente in contatto con alcuni membri delle forze democratiche siriane a Manbij per organizzare la consegna della città all’esercito siriano, il che dovrebbe garantire che l’esercito turco non avrà strada libera nell’invasione del Kurdistan siriano, anche se da Ankara hanno fatto sapere che la mossa a sorpresa dell’esercito siriano non fermerà “l’operazione di pulizia” contro le forze curde.



Il Kurdistan chiede aiuto a Israele: «basta parole, difendeteci»
Sadira Efseryan
Dicembre 26, 2018

https://www.rightsreporter.org/il-kurdi ... ifendeteci

Polemico con Netanyahu il direttore del Kurdistan Project at the Endowment for Middle East Truth (EMET): «se Netanyahu crede veramente a ciò che dice allora dovrebbe agire»

Domenica scorsa il ministro della Giustizia israeliano, Ayelet Shaked (nella foto), ha dichiarato che il ritiro delle truppe americane dalla Siria è una decisione sbagliata e che spera che la comunità internazionale non permetta alla Turchia di “massacrare i curdi”.

Lo ha detto in una intervista alla radio dell’esercito. «I curdi sono grandi eroi» ha detto la Shaked «grazie a loro e solo grazie a loro l’occidente è riuscito a sconfiggere il cosiddetto Stato Islamico» ha poi proseguito il Ministro della Giustizia israeliano.

«Sono nostri alleati e spero che vinceranno nella loro battaglia contro i turchi. Spero che la comunità internazionale impedisca a Erdogan di massacrare i curdi in Siria» ha detto ancora la Shaked.

«Questa decisione non aiuta Israele. Piuttosto rafforza Erdogan, un criminale di guerra antisemita che compie massacri del popolo curdo, e lo fa strizzando l’occhio alla comunità internazionale» ha infine concluso Ayelet Shaked.
In Israele tutti (o quasi) concordi che occorre aiutare il Kurdistan

Il Ministro della Giustizia israeliano non è l’unica a pensarla così. In Israele sono tutti (o quasi) concordi sul fatto che Israele dovrebbe in qualche modo aiutare i curdi siriani così come fece a suo tempo con il Kurdistan iracheno.

«Molti in Israele simpatizzano con i curdi perché sono perseguitati dagli stessi paesi o gruppi che odiano anche Israele» ha detto il giornalista israeliano, Seth Frantzman, in una intervista a Kurdistan 24.

Tuttavia in pochi in Israele hanno le idee chiare su come aiutare concretamente il Kurdistan e salvarlo dalle grinfie di Erdogan.

Israele ci aiuti. Basta parole
“Se Netanyahu crede davvero a ciò che dice, allora dovrebbe agire”

Sembra avere invece le idee molto chiare Dileman Abdulkader, direttore del Kurdistan Project at the Endowment for Middle East Truth (EMET).

«Se Netanyahu crede davvero a ciò che dice, allora dovrebbe agire. Basta parole, i curdi sono stanchi di parole vuote» ha detto Dileman Abdulkader a Kurdistan 24.

«Se Netanyahu crede che Erdogan sia un leader così malvagio il cui esercito massacra donne e bambini nei villaggi curdi, dentro e fuori dalla Turchia, può sempre armare i curdi e proteggerli con i tuoi F-35 nuovi di zecca» ha poi concluso polemicamente Abdulkader.

Escludendo a priori (ma forse anche no) che Israele impieghi la sua aviazione per proteggere i curdi, in molti chiedono alla politica israeliana di armare i curdi siriani per combattere i propositi stragisti di Erdogan così come fece con i curdi iracheni che combattevano Saddam Hussein, ma sono operazioni complesse.

Chi potrebbe veramente fare qualcosa per proteggere il popolo curdo dalle mire stragiste di Erdogan è la comunità internazionale, a partire dalle Nazioni Unite fino all’Unione Europea.

A parte le pressioni politiche, le Nazioni Unite potrebbero dispiegare abbastanza velocemente un contingente di caschi blu così come ha fatto in Libano, mentre l’Unione Europea potrebbe dare un contributo economico per il mantenimento di questa forza di interposizione.

Ma per farlo serve il parere favorevole del Consiglio di Sicurezza dell’Onu dove tra i membri permanenti c’è la Russia che ha diritto di veto. Difficilmente Mosca permetterà a forze dell’Onu di entrare in Siria. Troppi occhi indiscreti.

L’Europa non ha un proprio esercito e non riuscirebbe mai a mettere insieme una forza di contrapposizione.

Alla fine cosa rimane ai curdi per non essere massacrati da Erdogan se non le armi che potrebbero essere fornite da una mano amica quale è Israele?



Mai dimenticare:
quando i Kurdi turchi e maomettani sterminavano i cristiani armeni in Turchia


Deportazione:altri Olocausti, lo sterminio degli Armeni
Lo sterminio degli Armeni 1915-1918
di Alberto Rosselli

http://www.storiaxxisecolo.it/deportazi ... altri1.htm







I curdi chiedono aiuto ad Assad. E l'esercito siriano arriva a Manbij
Lorenzo Vita


http://www.occhidellaguerra.it/curdi-assad-manbij

L’annuncio del ritiro degli Stati Uniti dalla Siria cambia il corso della guerra. E così non deve stupire che cambiano anche le alleanze.

In Siria il vento sta cambiando

Il nord della Siria, dove i soldati delle forze speciali americane combattevano insieme ai curdi nell’ambito della coalizione internazionale anti-Isis è diventato ora il palcoscenico di un grande rimescolamento delle carte. Con l’abbandono del terreno da parte di Washington, il rischio, specialmente per i curdi, è che si ritrovino a dover affrontare l’avanzata dell’esercito turco, che dopo le operazioni Scudo dell’Eufrate e Ramoscello d’Ulivo aveva fatto capire di avere un solo obiettivo: trasformare il nord della Siria in un protettorato di Ankara eliminando l’etnia curda.

L’idea che circola ormai sempre più insistentemente nel Kurdistan siriano, diventata ormai una certezza, è di aver sbagliato tutto. L’alleanza con gli Stati Uniti si è rivelata un errore strategico che ora le milizie curde rischiano di pagare a caro prezzo. Donald Trump è stato chiaro: ora in Siria devono pensarci gli alleati. E quel richiamo specifico alla Turchia ha fatto suonare più di un campanello d’allarme. Per le milizie curde, quello che stava avvenendo era da considerare un vero e proprio tradimento.

Così, la prima mossa delle milizie è stata quella di rivolgersi alla Francia, altro Paese presente nel nord-est della Siria con centinaia di uomini. Soldati delle forze speciali che operano insieme a curdi e americani nel settore di Manbij e non solo, e a cui le unità popolari (Ypg) chiedono adesso protezione dalle mire di Recep Tayyip Erdogan.

Ma da parte di Parigi, garanzie non sono arrivate. Emmanuel Macron è un leader troppo debole e in balia degli eventi per dare certezze. Ed Erdogan ha già detto al suo omologo francese che pagherà le conseguenze di un suo intervento a fianco dei curdi. Dichiarazioni che non possono mai essere sottovalutate quando arrivano da Ankara. La Turchia ha le armi per dare filo da torcere a tutti. E in Medio Oriente, soprattutto a sud della Turchia, l’esercito del Sultano è un elemento fondamentale nello scacchiere Nato e per la stabilità della regione.

I curdi chiedono aiuto ad Assad

Così, i curdi, consapevoli di avere perso l’appoggio dell’Occidente, ora tornano da Bashar al-Assad, che grazie ai russi, agli iraniani e all’incrocio di interessi geopolitici, è ancora lì, a Damasco. Le Unità di Protezione Popolare (Ypg) hanno chiesto al presidente siriano di aiutarli a proteggere il nord della Siria: “Invitiamo le forze del governo siriano, che sono obbligate a proteggere il Paese, la nazione e le sue frontiere, a prendere il controllo delle aree dalle quali si sono ritirate le nostre forze, in particolare Manbech, e a proteggerle contro un’invasione turca”. Questo il testo della nota diffusa dai leader curdo-siriani.

Le forze di Damasco arrivano a Manbij

E intanto, qualcosa comincia a muoversi. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, il famigerato gruppo legato all’opposizione con base nel Regno Unito, fa sapere che Damasco ha inviato truppe e mezzi militari alle porte di Manbij: lì dove la Turchia starebbe preparando l’ingresso delle truppe. Secondo Rami Abdel-Rahman, capo dell’Osservatorio, “queste forze sono state inviate in aree vicine a Manbij con l’obiettivo di impedire qualsiasi attacco violento della Turchia”. Notizia confermata anche da una fonte vicina al governo siriano, che ha informato l’agenzia Dpa dell’arrivo nella provincia di una brigata della guardia presidenziale siriana e di un battaglione dell’artiglieria. Un portavoce dell’esercito siriano, in una dichiarazione televisiva, ha detto che la bandiera è stata sollevata a Manbijdopo sei anni di guerra.

La strategia russa prende forma

Per i curdi una mossa disperata: ma forse l’unica in grado di dare una garanzia reale di stabilizzazione dell’area. E per la strategia di Assad (e quindi di Vladimir Putin), questo potrebbe essere un momento importantissimo. Per evitare la possibile avanzata turca, il governo siriano riprenderebbe definitivamente il controllo di un’area dove fino a poche settimane fa si pensava che non avrebbe più avuto autorità. Un modo per evitare lo smembramento del Paese ma anche per strappare alle forze della coalizione occidentale uno dei principali alleati sul campo. E non è un caso che, da mesi, Mosca operi per portare i curdi dalla parte di Damasco coinvolgendoli nei negoziati per il futuro del Paese.

“Di certo, questo aiuterà a stabilizzare la situazione – ha affermato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov – l’ampliamento della zona sotto il controllo delle forze governative è senza dubbio un trend positivo”.





???


Siria, 8 anni dopo: Assad resiste. E il Califfo non è stato sconfitto
Gian Micalessin - Dom, 30/12/2018

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 22640.html

Intesa Russia-Turchia: Erdogan non attaccherà i curdi
Gli Usa lasciano il Paese: è Putin l'unico attore rimasto

Da ieri la guerra in Siria è praticamente finita. Le ultime incognite, dopo la riconquista di gran parte del Paese per mano di Bashar Assad, riguardavano la provincia di Idlib, tuttora occupata da decina di migliaia di jihadisti, e i territori curdi del nord-est minacciati - dopo l'annunciato ritiro americano - da un'invasione turca.

A rimuovere la minaccia di un'offensiva contro quei miliziani dell'Ypg considerati terroristi da Ankara in quanto fedeli al Pkk di Abdullah Ocalan, ci ha pensato il Cremlino. Nonostante le bellicose promesse delle ultime settimane, il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha accettato il diktat di Vladimir Putin, rinunciando ad affrontare l'esercito siriano entrato venerdì a Manbij e pronto ad affiancare le milizie dell'Ypg anche in tutti gli altri centri curdi con il procedere del ritiro americano. Un diktat messo nero su bianco ieri a Mosca durante gli incontri tra il ministro della Difesa di Ankara, Hulusi Akar, quello degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, e il capo dei servizi segreti, Hakan Fidan, con i rispettivi ministri russi. Un summit definito «assai utile» dal titolare degli Esteri di Mosca, Sergei Lavrov, che ha spiegato come Ankara abbia accettato di lavorare nel «rispetto incondizionato della sovranità e dell'integrità territoriale della Siria».

Erdogan, pronto nei prossimi giorni a incontrare Putin per sottoscrivere l'intesa, avrebbe rinunciato, insomma, a utilizzare i carri armati e qualche migliaio di ribelli siriani, trasformati in obbedienti milizie filo-turche, per occupare i territori curdi. In verità i colloqui di Mosca non sono stati altro che il riconoscimento dello scacco matto subìto da Ankara venerdì pomeriggio quando le milizie dell'Ypg hanno aperto le porte di Manbij alle truppe di Damasco accettando la sovranità e la protezione offerta da Damasco in cambio di una piena autonomia territoriale.
Ovviamente le truppe di Assad, logorate da otto anni di conflitto, e le milizie curde non sarebbero bastate, da sole, a vanificare un eventuale assalto della macchina da guerra turca. Ma a rendere assai solida l'asse curdo-siriano ha contribuito l'appoggio politico e militare di un Vladimir Putin con cui è sempre meglio non tirare la corda, come Erdogan ha imparato a proprie spese dopo aver abbattuto un aereo russo nel dicembre 2015. Consapevole delle incognite innescate dal ritiro annunciato da Donald Trump, il Cremlino nei giorni scorsi non si era limitato a sollecitare un'intesa tra Damasco e i curdi, ma aveva fatto capire di essere pronto a utilizzare la propria aviazione per difendere l'integrità territoriale del Paese e bloccare eventuali interventi turchi.

L'accordo, imposto con la forza da Mosca, apre nuove prospettive anche per la soluzione del nodo di Idlib, l'ultima grande provincia siriana ancora in mano ribelli. Un nodo inestricabile fino a quando Ankara non rispetterà l'impegno assunto con Mosca di disarmare e accogliere sul proprio territorio le decine di migliaia di jihadisti ancora presenti in quei territori. Ma la tempestiva soluzione dell'incognita turco-curda dimostra soprattutto come il ritiro deciso da Trump trasformi Putin nell'unico e vero ago della bilancia di un'imminente e auspicabile pace siriana. Un epilogo alquanto sconfortante per un'America che durante la presidenza Obama aveva strenuamente difeso la necessità di far cadere Bashar Assad. Oggi, dopo otto anni di carneficine e oltre 300mila morti, Assad è ancora al suo posto, l'Isis e le milizie jihadiste, figlie di quella stessa guerra, sono ancora lontane dall'essere sconfitte, mentre Erdogan si è trasformato da alleato in imbarazzante spina nel fianco della Nato. Un epilogo reso ancor più sconfortante dal via libera di Trump a un ritiro che, oltre a sancire il ridimensionamento degli Stati Uniti, diventa anche il riconoscimento dell'egemonia russa nella regione.
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