14)
Il povero Gesù Cristo dell'idolatria cristiana ortodossa al servizio del nazifascismo della Russia di Putin, che vergogna per i cristiani veri.
NELLA MENTE DI PUTIN: COSA L'HA SPINTO A UNA SCOMMESSA TANTO PERICOLOSA?
di Paolo Valentino, Il Corriere della Sera
Niram Ferretti
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063
Nel 2017, tre anni dopo l’annessione della Crimea, una statua in bronzo alta quattro metri dello zar Alessandro III venne inaugurata alla presenza di Vladimir Putin a Jalta, sulle rive del Mar Nero. Sul piedistallo sopra il quale è seduto con la spada sguainata, è scritta la sua frase più celebre: «La Russia ha due soli alleati: il suo esercito e la sua flotta».
Alessandro III è lo zar preferito di Putin, il quale non perde occasione per ripeterne il motto, che evoca orgoglio, solitudine armata, disponibilità al sacrificio per la propria giusta causa, tratti distintivi della Russia di fronte all’Occidente decadente e viziato.
L’avventura ucraina suona plastica conferma di una certa idea del potere e della Russia, che Putin ha progressivamente maturato nei suoi ventidue anni al Cremlino. Ma se finora, dalla Crimea alla Siria, il presidente russo aveva sempre saputo minimizzare gli azzardi geopolitici e vendere abilmente i successi sul palcoscenico interno, il lancio dell’offensiva militare contro Kiev segna un cambio di passo, dove i rischi e i costi appaiono molto più alti di una vaga definizione di successo. Cos’è cambiato nell’approccio mentale di Putin, da spingerlo a una scommessa tanto ambiziosa, pericolosa e non del tutto condivisa perfino da molti dei suoi più stretti collaboratori?
DUE DIPINTI
Per capirlo può essere utile partire da due quadri di Ilya Glazunov, considerato il più grande artista russo del XX secolo e molto amato da Putin, che nel 2010 lo insignì dell’Ordine per il merito alla Patria. Sono due dipinti a olio enormi, esposti l’uno di fronte all’altro a Mosca in un piccolo museo a lui dedicato, proprio di fronte al Pushkin. Il primo ha per titolo «Il mercato della nostra democrazia» e nello stile realista che è la cifra di Glazunov, morto nel 2017, descrive il quadro caotico, inquietante e drammatico della Russia degli Anni Novanta, un Paese completamente allo sbando. Ci sono gli oligarchi e le prostitute, la povertà e l’invasione culturale americana, Eltsin e Clinton, la Nato e i bombardamenti in Bosnia, i bimbi abbandonati e i criminali, la droga e l’alcolismo, la privatizzazione bugiarda e i comunisti nostalgici.
Ancora più importante è l’altro dipinto, che riesce a cogliere il senso profondo dell’operazione politico-identitaria di Putin. Il titolo è «La Russia Eterna». È una composizione ordinata e popolata di santi e scrittori, zar e leader sovietici, principi guerrieri ed eroi del lavoro socialista, patriarchi, scienziati, i morti della Grande Guerra Patriottica come i russi chiamano il secondo conflitto mondiale che costò loro venti milioni di vite umane. Il tutto è dominato da un grande crocefisso, con il Cremlino a far da sfondo e le icone di fianco ai razzi Sputnik. È una tela fiammeggiante, che trasmette orgoglio nazionale in ogni sua parte. È il Russkij Mir, di cui Vladimir Putin si vuole ricostruttore e garante, una visione dove tutto si tiene.
PIÙ NARRAZIONI
In oltre due decenni al vertice, Putin ha cavalcato diverse narrazioni per la costruzione e il mantenimento del consenso. Prima la crescita economica, perseguita grazie agli alti corsi dei prezzi dell’energia. Poi la polemica con l’Occidente, accusato di voler far rivivere la Guerra Fredda con l’ampliamento della Nato ai baltici e agli ex Paesi del Patto di Varsavia. Quindi il patriottismo nazionalista con l’annessione della Crimea e il sostegno ai separatisti russofoni del Donbass nella guerra finora ibrida e a bassa intensità con l’Ucraina. E ancora la nuova alleanza (geopoliticamente contro-natura) con la Cina, superpotenza emergente. Ma quando ognuno di questi racconti ha cominciato ad esaurire la propria spinta propulsiva, l’ex agente del Kgb fattosi zar è tornato alla sua grammatica originaria: l’autoritarismo, il restringimento quasi totale di ogni spazio di libertà, la mano dura verso gli oppositori di cui il caso di Alexeij Navalny è l’emblema.
DUE ANNI NELLA BOLLA
Ma l’isolamento forzato dalla pandemia, due anni vissuti praticamente in una bolla impenetrabile ai più, sembrano aver ulteriormente trasformato il leader russo, accentuandone aspetti messianici e quasi mistici. E se già dopo l’annessione della Crimea aveva fatto riferimento al mondo russo, alla necessità di riunificare i fratelli separati dalla «più grande tragedia geopolitica del XX secolo», cioè la fine dell’Unione Sovietica, solo negli ultimi anni Putin si è sempre più immedesimato nel ruolo dell’unto del Signore: «Ha cominciato a parlare della sua missione in termini storici, è diventato meno pragmatico e più emotivo», dice la politologa Tatiana Stanovaya. La sua distanza fisica e mentale da consiglieri e collaboratori è diventata siderale, facendone un autocrate a tutti gli effetti: «Putin è isolato, più isolato di Stalin», spiega Gleb Pavlovski, che lavorò con lui e con Dmitrij Medvedev prima di diventare un critico del sistema.
L'ATTUALE ACCELERAZIONE
Ora Vladimir Putin ha fretta. Sente l’età avanzare, la salute vacillare. Il tempo non è più dalla sua parte. Vuole di più e lo vuole subito. Ed è disposto a pagare e far pagare al suo Paese un prezzo molto alto. «La sua è una guerra non solo per l’Ucraina, ma per il sistema europeo — dice l’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer — vuole ristabilire la Russia come la potenza prevalente nello spazio ex sovietico, cancellando le umiliazioni degli Anni Novanta.
Lo schema di Putin: Intervista a Massimiliano Di Pasquale
Davide Cavaliere
25 Febbraio 2022
http://www.linformale.eu/lo-schema-di-p ... -pasquale/
....
Trovo particolarmente illuminante quanto scrisse nel 2017 lo storico Ettore Cinnella nella prefazione al suo saggio La Russia verso l’Abisso. Dopo il 1945 la Russia non è stata aggredita da nessuno e, nonostante possieda immense risorse naturali, langue ancora nel sottosviluppo e nella povertà e “il governo e la Chiesa spiegano alla credula popolazione che è il perfido occidente, con le sue losche mene, a minacciare l’esistenza stessa della santa Russia e che quest’ultima, per farsi valere, deve riarmarsi”. La commistione tra potere politico – la cricca di oligarchi e di siloviki che fa capo a Putin – e il potere religioso, rappresentato dalla Chiesa Ortodossa Russa guidata dall’ex agente del KGB Kirill (Vladimir Mikhailovich Gundyaev ??? da verificare), è talmente forte che, come scrive Dmitry Adamsky nel suo libro Russian Nuclear Orthodoxy. Religion, Politics and Strategy, il clero è parte attiva delle decisioni militari e nucleari della Russia. Uno scenario quasi teocratico come quello iraniano ma in chiave ortodossa.
...
Vladimir Mikhailovich Gundyaev
https://en.wikipedia.org/wiki/Patriarch ... _of_Moscow
https://02stroy.ru/it/naruzhnye-lestnic ... dyaev.html
Da connettervi anche questo demenziale filosofo promotore del nazismo russo
Alexander Dugin
Aleksandr Gel'evič Dugin (in russo: Александр Гельевич Дугин?; Mosca, 7 gennaio 1962) è un politologo e filosofo russo.
https://it.wikipedia.org/wiki/Aleksandr ... 4%8D_Dugin
Dugin sviluppa il pensiero di Martin Heidegger, specialmente il concetto geofilosofico del Dasein, come centro al contempo universale e particolare, uno e molteplice, coniugandolo con il pensiero della scuola tradizionalista, ossia René Guénon e Julius Evola. Dugin ha svolto un ruolo importante nella filosofia Russa dopo la caduta del Muro di Berlino, traducendo e contestualizzando i succitati autori. Il suo testo più importante, e sintesi del suo pensiero, è "La quarta teoria politica" pubblicato nel 2009 (in inglese come The Fourth Political Theory).
Secondo Dugin le forze della civiltà occidentale liberale e capitalista rappresenterebbero quella che gli antichi Greci chiamavano ὕβρις (hybris), "la forma essenziale del titanismo", dell'anti-misura, che osteggia il Cielo che "è la misura—in termini di spazio, tempo, essere". In altre parole l'Occidente sintetizzerebbe "la rivolta della Terra contro il Cielo". In una prospettiva escatologica, "una volta che il Cielo reagisce, gli dei restaurano la misura". A quello che lui definisce universalismo "atomizzante" dell'Occidente, Dugin contrappone un universalismo apofatico, un "Uno" come quello di Platone che si fletterebbe nella molteplicità degli esseri e dei loro modi di esistere, e che si esprime nella politica dell'idea di "impero".
Dugin ha stretti legami con il Cremlino e le forze armate russe, avendo servito come consigliere del presidente della Duma di Stato, Gennadiy Seleznyov, e del membro di spicco di Russia Unita, Sergei Naryshkin.[6] Per questi motivi la stampa lo ha soprannominato "il Rasputin del Cremlino" e "l'ideologo di Putin" descrivendolo come un suo consigliere o ispiratore filosofico, sebbene abbia criticato le sue collaborazioni con l'Occidente.
È inoltre noto anche al di fuori della Russia per aver teorizzato la fondazione di un "impero euro-asiatico" in grado di combattere l'Occidente guidato dagli Stati Uniti d'America. A tal proposito è stato l'organizzatore e il primo leader del Partito Nazional Bolscevico dal 1993 al 1998 (assieme ad Eduard Limonov) e, in seguito, del Fronte Nazionale Bolscevico e del Partito Eurasia, trasformatosi poi in associazione non governativa. L'ideologia Eurasitica di Dugin mira pertanto all'unificazione di tutti i popoli di lingua russa in un unico paese attraverso lo smembramento territoriale coatto delle ex–repubbliche sovietiche. Anche per questo le sue posizioni politiche sono state definite come "fasciste".
Nel 2019 Dugin e Bernard-Henri Lévy (considerati esponenti ideologici di spicco degli opposti sovranismo e mondialismo) si sono confrontati sul tema di quella che è stata definita "la crisi del capitalismo" e l'insurrezione dei populismi nazionalisti.
Lo schema di Putin: Intervista a Massimiliano Di Pasquale
Davide Cavaliere
25 Febbraio 2022
http://www.linformale.eu/lo-schema-di-p ... -pasquale/
Massimiliano Di Pasquale (Pesaro, 1969) è ricercatore associato dell’Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici. Ucrainista, esperto di Paesi post-sovietici, negli ultimi anni si è occupato di disinformazione, guerra ibrida e misure attive anche sulle pagine di Strade Magazine (stradeonline.it).
Membro della Sezione di Studi Baltici dell’Università di Milano, nel 2012 ha pubblicato Ucraina terra di confine. Viaggi nell’Europa sconosciuta, che ha fatto conoscere l’Ucraina al grande pubblico italiano. Nel 2018 è uscito per Gaspari Editore Abbecedario ucraino. Rivoluzione, cultura e indipendenza di un popolo, cui ha fatto seguito nel marzo 2021 Abbecedario ucraino II. Dal Medioevo alla tragedia di Chernobyl.
Ha accettato di rispondere alle domande de L’informale.
In queste settimane abbiamo assistito a un crescere di tensioni politiche e militari tra Kiev e Mosca, fino ad arrivare all’aggressione militare russa. Quali sono le mire di Putin sull’Ucraina? I cittadini ucraini preferirebbero un maggiore avvicinamento all’Occidente o no?
Putin ha più volte definito il crollo dell’Unione Sovietica la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo. Lo ha fatto una prima volta nel 2005, creando un certo scalpore in quei politici occidentali che avevano ingenuamente creduto che il presidente russo fosse un riformatore nonostante il suo passato di ex kgbista, e l’ha riaffermato anche lo scorso dicembre in occasione del trentennale della dissoluzione dell’URSS. In quella circostanza l’inquilino del Cremlino parlò di disintegrazione della ‘Russia storica’ sotto il nome di Unione Sovietica, sostenendo che Russia, Ucraina e Bielorussia fossero un’unica nazione e russi, ucraini e bielorussi un unico popolo. Affermazione quest’ultima assolutamente falsa che da 8 anni, ossia dallo scoppio del conflitto in Donbass nel 2014, è uno dei miti cardine della propaganda russa e della guerra informativa. Questa narrazione è stata riproposta sia nell’articolo Sull’Unità storica di russi e ucraini scritto da Putin il 12 luglio 2021 sia nel discorso tenuto dal presidente russo qualche giorno fa, la sera del 21 febbraio, contestualmente all’annuncio del riconoscimento da parte della Duma russa delle autoproclamate repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk. Putin afferma che ucraini e russi sono un unico popolo e che l’Ucraina moderna è interamente il prodotto dell’era sovietica. Tale asserzione ignora episodi chiave della storia e offre una versione pericolosamente distorta del passato.
In estrema sintesi possiamo ricordare che il lungo processo di autodeterminazione della nazione ucraina, in fieri già a metà Seicento all’epoca del Cosaccato, giunse a piena maturazione agli inizi del Novecento. Dopo il collasso dell’Impero Russo e di quello Austroungarico l’Ucraina godette di un breve periodo di indipendenza. Il 22 gennaio 1918 la Rada Centrale di Kyiv, con il Quarto Universale, dichiarò l’indipendenza della Repubblica Popolare Ucraina e, qualche mese più tardi, elesse quale suo Presidente lo storico Mykhailo Hrushevsky. All’inizio del 1919 la Repubblica Popolare Ucraina e la Repubblica Popolare dell’Ucraina Occidentale si unirono, seppur brevemente, in un unico stato sotto la leadership di Symon Petliura. Lo scoppio della guerra con i bolscevichi riportò i territori orientali sotto il giogo moscovita mentre le terre occidentali dell’ex Impero Asburgico finirono sotto il dominio polacco. A partire dagli anni Trenta il potere sovietico iniziò una politica di repressione nei confronti della cultura nazionale ucraina. La tragedia del Holodomor, la carestia artificiale provocata dalla collettivizzazione forzata di Stalin che uccise dai 3 ai 5 milioni di ucraini nel 1932-33, diede nuova consapevolezza al nazionalismo ucraino. In particolare durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale nelle regioni occidentali del Paese che erano state annesse dalla Polonia nel 1939-40, furono organizzate delle rivolte armate contro il regime sovietico.
Solo con il crollo dell’URSS l’Ucraina ottenne una statualità indipendente duratura. Ma, come abbiamo visto, le entità politiche de facto ucraine che lottavano per l’autonomia e l’indipendenza del Paese esistevano molto prima del 1991. Fatta questa premessa storica, è evidente, alla luce del discorso tenuto da Putin alla tv russa lo scorso 21 febbraio, che l’obiettivo del Cremlino è ricostituire una sorta di impero russo dai tratti sovietico-zaristi i cui confini, a questo punto, dipendono dalle misure di deterrenza che l’Occidente saprà e vorrà mettere in atto.
Dunque, Putin non mira solo all’Ucraina?
L’invasione del Donbass è solo il preludio ad altre invasioni che potrebbero non limitarsi alla sola Ucraina e interessare anche l’area Baltica. Ma ciò che è più grave, unitamente alla debolezza e all’ignavia finora dimostrata dall’Occidente, è il fatto che Putin falsifichi la storia secondo un paradigma orwelliano per giustificare operazioni analoghe a quelle compiute da Hitler con i Sudeti riscrivendo i confini delle nazioni e violando la sovranità statuale dell’Ucraina. Putin non riconosce il diritto internazionale. Le frontiere della Federazione Russa, a quanto si evince dal suo discorso delirante e paranoico, sono quelle dell’URSS. Il mondo per Putin è rimasto fermo al 1991.
Trovo particolarmente illuminante quanto scrisse nel 2017 lo storico Ettore Cinnella nella prefazione al suo saggio La Russia verso l’Abisso. Dopo il 1945 la Russia non è stata aggredita da nessuno e, nonostante possieda immense risorse naturali, langue ancora nel sottosviluppo e nella povertà e “il governo e la Chiesa spiegano alla credula popolazione che è il perfido occidente, con le sue losche mene, a minacciare l’esistenza stessa della santa Russia e che quest’ultima, per farsi valere, deve riarmarsi”. La commistione tra potere politico – la cricca di oligarchi e di siloviki che fa capo a Putin – e il potere religioso, rappresentato dalla Chiesa Ortodossa Russa guidata dall’ex agente del KGB Kirill (Vladimir Mikhailovich Gundyaev), è talmente forte che, come scrive Dmitry Adamsky nel suo libro Russian Nuclear Orthodoxy. Religion, Politics and Strategy, il clero è parte attiva delle decisioni militari e nucleari della Russia. Uno scenario quasi teocratico come quello iraniano ma in chiave ortodossa.
L’Ucraina ha ormai scelto la sua strada che è quella dell’Europa e della democrazia. Una strada irreversibile che non a caso Putin prova a minare con la guerra. Dal 2014 Putin non gode di alcun tipo di consenso neanche tra la popolazione russofona dell’Est del Paese. A Kharkiv, seconda città dell’Ucraina, a pochi chilometri dal confine russo, i sentimenti patriottici sono gli stessi che a Leopoli. Cambia solo la lingua di preferenza usata.
La narrazione russa in merito al conflitto ucraino, così come a quello siriano, ha fatto breccia nella popolazione, al punto tale da diventare «senso comune». Chi sono e quanti sono i filorussi in Italia?
Dal momento che i filorussi sono la stragrande maggioranza nel nostro Paese sarebbe interessante ribaltare i termini della questione chiedendosi chi siano gli intellettuali, i giornalisti e i politici non allineati su posizioni filorusse e intellettualmente onesti nel raccontare chi è realmente Putin e quale sia la vera natura del suo regime. Purtroppo sono pochissimi. È utile interrogarsi sul perché di questa anomalia che è indubbiamente anche il frutto di un’eredità storica risalente ai primi del Novecento.
Lo scorso anno assieme a Luigi Sergio Germani, direttore dell’Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici, ho scritto un paper, contenuto nel saggio Russian Active Measures. Yesterday, Today, Tomorrow, curato da Olga Bertelsen, uscito per la Columbia University Press nel marzo 2021, sull’influenza russa sulla cultura, sul mondo accademico e sui think tank italiani.
Ciò che emerge da questo studio, effettuato su fonti aperte e quindi facilmente verificabile da tutti, è che in Italia esistono due diversi tipi di intellettuali ed esperti di politica estera filorussi: i neo-eurasisti e i Russlandversteher (simpatizzanti della Russia). I neo-eurasisti italiani hanno opinioni radicali pro-Mosca e anti-occidentali. Sono spesso ammiratori di Aleksandr Dugin, un analista politico russo con stretti legami con il Cremlino, noto per le sue opinioni scioviniste e fasciste. Percepiscono la Russia di Putin come un modello sociale e politico, nonché come un potenziale alleato contro le élite della UE e “globaliste” che avrebbero impoverito l’Italia privandola della sua sovranità. I neo-eurasisti esprimono punti di vista radicali anti-NATO e anti-UE e chiedono un’alleanza strategica tra Europa e Russia. I Russlandversteher italiani, invece, hanno una posizione filorussa pragmatica, spesso basata su considerazioni di realpolitik. Sostengono che la Russia sia un’opportunità piuttosto che una minaccia, ritengono che l’Occidente sia in gran parte responsabile delle rivoluzioni ucraine e dell’attuale crisi nelle relazioni tra la Russia e l’Occidente e affermano che nonostante l’Italia sia membro della NATO e dell’UE, dovrebbe avere un “rapporto speciale” con la Russia per garantire la sicurezza nazionale energetica ed economica della penisola.
In estrema sintesi potremmo dire che le opinioni pro-Cremlino esercitano una notevole influenza sulla cultura italiana, sul mondo accademico e sulla comunità di esperti. Di conseguenza, l’opinione pubblica italiana e una parte significativa della sua élite politica hanno spesso difficoltà nel vedere la politica interna ed estera russa in modo più critico e nel comprendere le sfide ideologiche e di sicurezza che il putinismo pone all’Europa e all’Occidente.
L’assenza di un dibattito su quanto sta succedendo tra Ucraina e Russia e la presenza su tutte le tv nazionali dei soliti noti, spacciati come esperti del settore, che sovente ripetono ad libitum le narrazioni della propaganda russa (Russia accerchiata dalla NATO, l’Ucraina non è uno stato ma una provincia russa creata dai bolscevichi, gli ucraini sono nazisti etc) testimoniano quanto il panorama culturale, accademico ed economico italiano sia inquinato dalla perniciosa influenza russa.
In questi ultimi giorni, dopo il discorso di Putin e l’ingresso delle truppe russe in Donbas, ho riflettuto molto sulle affermazioni fatte dagli “esperti” di una nota rivista geopolitica che in diverse trasmissioni televisive hanno ribadito più volte come l’Occidente debba in qualche modo rassegnarsi al bagno di sangue che Putin sta preparando in Ucraina perché Putin “lotta per la sopravvivenza della Russia”. Da studioso di guerra ibrida e di disinformazione tali dichiarazioni, ripetute in televisione come un mantra, mi sembrano perfettamente in linea con l’obiettivo del Cremlino di demoralizzare e logorare psicologicamente l’Occidente. Inoltre, è una mistificazione affermare che Putin “lotta per la sopravvivenza della Russia”, semmai lotta per la sopravvivenza del suo regime cleptocratico, che è fallimentare sotto il profilo economico. L’obiettivo del Cremlino, ripeto, non è solo l’Ucraina, ma ricostituire una sfera di influenza e di controllo di Mosca anche nell’Europa centro orientale.
Tra i cavalli di battaglia della propaganda del Cremlino vi è il presunto «accerchiamento» della Russia da parte della NATO. L’Alleanza Atlantica ha davvero circondato la Russia?
È un altro mito della propaganda russa per giustificare l’assembramento di truppe ai confini dell’Ucraina, cominciato nell’aprile del 2021 e intensificatosi nelle ultime settimane fino a raggiungere più di 140.000 unità. Il Cremlino, sin dai tempi della Prima Guerra Fredda (per chi non se ne fosse ancora accorto ora stiamo vivendo la Seconda Guerra Fredda iniziata proprio con l’attacco ibrido russo all’Ucraina nel 2014), è sempre stato abilissimo nella guerra informativa.
La verità è molto diversa. Con una popolazione di oltre 140 milioni di abitanti la Russia è geograficamente il paese più grande del pianeta e possiede una delle più grandi forze armate del mondo con il maggior numero di armi nucleari. È assurdo ritrarre la Russia come un paese gravemente minacciato. In termini geografici, meno di un sedicesimo del confine terrestre della Russia è con i membri della NATO. Dei 14 paesi confinanti con la Russia, solo cinque sono membri della NATO. Basta solo prendere una cartina o un mappamondo per accorgersi dell’assurdità di tale affermazione.
In molti, soprattutto in rete, considerano la Russia e Israele come facenti parte di una «union sacrée» contro il terrorismo islamico. Come sono i rapporti tra Gerusalemme e Mosca?
Non sono un esperto di politica mediorientale ma l’idea che mi sono fatto del rapporto tra Russia e Israele, studiando la politica estera dei due Paesi e le loro relazioni bilaterali, è che Gerusalemme cerchi di mantenere buoni rapporti con Mosca per due ragioni. La prima è che l’esistenza stessa di Israele è minacciata da stati confinanti come Iran e Siria, storicamente alleati della Russia, la seconda è che in territorio israeliano risiede una nutrita comunità russa ed ex sovietica (l’idioma russo è il terzo più parlato in Israele, dopo la lingua ebraica e la lingua araba).
Anche nel corso della guerra in Siria, Israele si è limitato solamente ad attacchi mirati contro Hezbollah, gruppo sciita libanese concepito in funzione anti-israeliana, attivo in Siria a sostegno del regime di Bashar al Assad. Rispetto al fatto che la Russia sia in prima linea contro il terrorismo islamico sono piuttosto scettico. L’intervento russo in Siria risponde a un razionale geopolitico che poco ha a che vedere con la lotta al terrorismo islamico. Credo che questa idea di Mosca quale baluardo dell’ortodossia contro l’islam radicale faccia parte di una campagna propagandistica iniziata negli anni Novanta per giustificare la guerra cecena, un conflitto che come hanno scritto Aleksandr Litvinenko e Yuri Felshtinsky nell’interessante libro Russia. Il complotto del KGB, rispondeva a una logica ben diversa: l’ascesa in Russia di un gruppo di potere legato ai servizi segreti il cui scopo era sabotare le riforme liberali di Eltsin e costringerlo, con la tecnica del kompromat, a cedergli il potere come in effetti avvenne nel 1999 con la nomina a primo ministro, poi a presidente di Vladimir Putin. Quindi, per rispondere alla sua domanda, l’«union sacrée» Mosca-Gerusalemme contro il terrorismo islamico non esiste.
Si parla spesso dei «neonazisti» ucraini. Quali sono i tassi di antisemitismo in Ucraina e Russia?
Il mito degli ucraini nazisti è un evergreen della propaganda russa sin dai tempi sovietici. È stato puntualmente rivisitato anche la mattina del 24 febbraio da Putin quale sorta di giustificazione teorica della sua invasione su larga scala in Ucraina. Il leader del Cremlino ha annunciato alla televisione russa che era in atto “la demilitarizzazione e denazificazione in Ucraina”. L’11 ottobre del 2021 anche l’ex presidente e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza, Dmitry Medvedev, in un articolo uscito sulla rivista russa Kommersant in cui attaccava il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyi, descrivendo il suo paese come uno stato vassallo degli Stati Uniti con il quale è impossibile negoziare, aveva definito Zelenskyi un “essere disgustoso, corrotto e infedele, che aveva ripudiato la sua identità (ebraica) per servire i nazionalisti rabbiosi”. Questo, proseguiva Medvedev, significava che il capo di stato ucraino somigliava a un Sonderkommando ebreo, facendo riferimento a quegli ebrei, che minacciati di pena di morte, venivano costretti a sbarazzarsi delle vittime delle camere a gas durante l’Olocausto.
Questo articolo costituisce un ulteriore riprova di come Mosca strumentalizzi il presunto antisemitismo degli ucraini per attaccare il corso democratico scelto dall’Ucraina del post-Maidan. All’epoca del Maidan, come già detto altre volte le forze cosiddette ‘xenofobe e ultranazionaliste’ – ammesso che sia corretto definire così movimenti nazionalisti radicali come Svoboda e Pravyi Sektor – ammontavano solamente all’1.9% dell’elettorato ucraino.
Se proprio volessimo parlare di fascismo beh allora potremmo dire che il regime cleptocratico di Putin è un chiaro esempio di fascismo russo. Lo storico Timothy Snyder individua nel 2011 il preciso momento in cui in Russia si compie la svolta autoritaria in fieri da anni e in cui il fascismo cristiano di Ivan Ilyin fornisce la copertura ideologica del regime putiniano. Nonostante Ilyin fosse antibolscevico e ammirasse Hitler il suo pensiero non si discostava troppo nelle sue implicazioni pratiche da quello di Stalin. La parentesi comunista vissuta dalla Russia era il frutto della corruzione proveniente dall’Occidente. Nella sua visione il comunismo era stato imposto alla Russia dall’Occidente. A detta di Ilyin che si rifà al teorico nazista del diritto Carl Schmitt la politica è l’arte di identificare e neutralizzare il nemico. E dal momento che la Russia è l’unica fonte di totalità divina e di purezza, l’uomo spuntato dal nulla, che i russi riconosceranno come il redentore, potrà muovere guerra a chi minaccia i successi spirituali della nazione.
L’Ucraina, in quanto espressione dell’Occidente corrotto che minaccia l’unità spirituale della Santa Madre Russia, è la vittima scelta da Putin per portare avanti la sua folle politica imperiale in cui il diritto inteso come rispetto delle regole è una sovrastruttura occidentale e in cui conta solo la geopolitica dei rapporti di forza. Possiamo dunque dire che il regime di Putin, anziché abiurare Nazismo e Stalinismo, le due ideologie totalitarie che hanno devastato il Novecento causando milioni di morti, le ha di fatto rimodellate e le ha poste a fondamento del suo regime.
Passerei ora ai rapporti tra Cina e Russia. Washington è responsabile dell’avvicinamento di Putin a Pechino?
Non credo che Washington sia responsabile dell’avvicinamento tra Mosca e Pechino e non credo neppure che l’asse sino-russo sia così forte. La Cina crede nel multilateralismo seppure secondo regole che vorrebbe essa stessa dettare. Economicamente Pechino ha molti più rapporti con Stati Uniti ed Europa che con la Russia, per cui il suo avvicinamento a Mosca è, a mio avviso, di carattere tattico. Inoltre non dobbiamo dimenticare che la stessa Cina ha notevoli interessi economici in Ucraina il che spiega l’equilibrismo di Xi-Jinping. È altresì vero che per una sorta di effetto domino a livello geopolitico Taiwan in queste ore sta tifando per Kiev!
Il dissidente (in carcere) incita l'opposizione Presa di distanza dal Patriarcato di Mosca
Navalny: russi in piazza, oligarchi sotto accusa. Preti ortodossi in rivolta
Massimo Malpica
3 Marzo 2022
https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1646297809
C'è un fronte interno anche per Putin e per la sua guerra all'Ucraina. Se non bastavano i quasi settemila russi che si sono fatti arrestare in questa prima settimana per aver scelto di manifestare contro l'invasione dell'Ucraina, ora a mettersi di traverso sono il leader dissidente Alexei Navalny, che incita alla rivolta via Twitter, e i preti ortodossi, che scelgono di condannare la guerra «fratricida». Il tutto mentre, all'estero, le conseguenze dell'aggressione russa ricadono sugli oligarchi che vedono a rischio le loro acquisizioni fuori dai patrii confini.
Navalny, in prigione da oltre un anno, non ha dimenticato il suo ruolo di oppositore al presidente russo, e così ha affidato alla sua portavoce una serie di tweet per invitare i suoi concittadini a manifestare il proprio dissenso alla guerra. «Sono nato in Unione Sovietica. E la frase più importante della mia infanzia era lotta per la pace», ha spiegato il dissidente, dicendosi fiducioso che la Russia non diventi «una nazione spaventata e silenziosa» di «vigliacchi» che fingono di non vedere la guerra voluta da Putin, che «non è la Russia». Quindi, applaudendo i 6.824 russi che si sono fatti arrestare, Navalny ha chiesto «a tutti di scendere in strada e lottare per la pace», «superando la paura» e scendendo nelle piazze principali di ogni città «tutti i giorni feriali alle 19 e alle 14 nei fine settimana e nei festivi». Il rischio di venire arrestati, conclude il dissidente, è il «prezzo da pagare» per non «essere solo contro la guerra», ma «lottare contro la guerra».
E, come detto, ieri anche 230 preti ortodossi di tutta la Russia hanno scritto in una lettera aperta di piangere «il calvario a cui nostri fratelli e sorelle in Ucraina sono stati immeritatamente sottoposti», condannando la guerra «fratricida» e reclamando l'immediato cessate il fuoco. Una presa di posizione distante dal Patriarcato di Mosca, legato al presidente russo, con Cirillo I che finora si è limitato a invitare le parti in conflitto a «evitare vittime civili»: infatti spicca la mancanza, tra le centinaia di firme di chierici, dei gradi più alti della Chiesa ortodossa. E spuntano anche i primi abbandoni: secondo quanto riporta l'Adnkronos, il vescovo di Leopoli e quello di Sumy si sarebbero staccati nelle ultime ore dal Patriarcato di Mosca.
Intanto, all'estero, Usa, Gran Bretagna e Ue valutano di congelare i tanti beni che gli oligarchi russi vicini a Putin vantano in giro per il mondo. Yacht, azioni, palazzi e ville alle quali dar caccia a colpi di espropri e sanzioni economiche. La cartina di tornasole del difficile momento per i magnati russi è Roman Abramovich, ormai ex patron del Chelsea, messo in vendita per 3,3 miliardi di euro. Nei guai anche Alexey Mordashov, sotto il tiro delle sanzioni Ue, che si è dimesso dalla sua carica nel tour operator Tui e ha visto il suo 34% di quote, pari a 1,2 miliardi di euro, congelate. E lo stesso staff di Navalny, ieri, ha partecipato alla caccia con una «soffiata», rivelando al quotidiano online Meduza che la presidente del consiglio della Federazione russa, Valentina Matvienko, sarebbe proprietaria in Italia di una villa di 774 metri quadri con 26 ettari di terreno, affacciata sull'Adriatico.