Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Messaggioda Berto » mar mag 03, 2022 9:40 am

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38319
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Messaggioda Berto » mar mag 03, 2022 9:41 am

7)
L'incendio della Casa dei sindacati di Odessa detta anche Strage di Odessa



Voce impostata in modo equilibrato.

L'incendio della Casa dei sindacati di Odessa si verificò il 2 maggio 2014 a Odessa, in Ucraina, a seguito di violenti scontri armati fra fazioni di militanti filo-russi e di sostenitori del nuovo corso politico ucraino determinatosi nel paese dopo le proteste di Euromaidan. L'incendio ha causato la morte di 42 persone[1][2][3], tra i manifestanti filo-russi e persone che si trovavano fortuitamente nell'edificio.[4]

https://it.wikipedia.org/wiki/Incendio_ ... _di_Odessa
Nel clima di tensione generatosi in Ucraina all'indomani della rivoluzione ucraina del 2014, che aveva portato alla fuga del presidente filo-russo Viktor Janukovyč, a Odessa come nelle altre principali città del paese si tennero numerose manifestazioni, sia da parte di gruppi "federalisti" di orientamento filo-russo e perciò contrari al nuovo governo filo-europeista, sia da parte di gruppi pro-unità (o "pro-Maidan") di opposta impostazione. Le prime manifestazioni non furono segnate da particolari episodi di violenza.[5]
Il 2 maggio 2014, in vista di un incontro di calcio fra la locale squadra Futbol'nyj Klub Čornomorec' e la Metalist Charkiv, gruppi di tifosi di entrambe le squadre, insieme ad attivisti locali pro-Maidan, programmarono un corteo politico pro-unità per le ore 15. Tra i partecipanti, sarebbero stati presenti anche estremisti del Pravyj Sektor[6] e membri delle cosiddette unità di autodifesa.[1] Intanto, nelle settimane precedenti gli attivisti anti-Maidan avevano allestito un accampamento di protesta nella centrale piazza Kulykove, nei pressi della Casa dei Sindacati, un edificio di cinque piani sede regionale della federazione sindacale.[7] Per impedire la manifestazione pro-unità, a poca distanza si erano radunati circa 300 attivisti anti-Maidan.[1] Entrambe le fazioni includevano persone armate di asce, bastoni e armi da fuoco e protette da scudi, maschere ed elmetti.[1]
Nonostante la polizia avesse annunciato un rafforzamento del pattugliamento delle strade[1], non fu sufficiente ad impedire gli scontri, che si verificarono a partire dalle 15:20, quando i manifestanti filo-russi attaccarono il corteo di circa 2000 persone dirette verso lo stadio.[5] Seguirono lanci di sassi da entrambe le parti, che degenerarono provocando sei morti per colpi di arma da fuoco.[2][3][5]



Sempre su wikipedia la stessa vicenda sotto un'altra voce e con un tenore completamente diverso, versione arbitraria impostata in modo da colpevolizzare e demonizzare gli ucraini filoeuropei, filo occidentali.

La strage di Odessa
https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Odessa
La strage di Odessa è un massacro avvenuto il 2 maggio 2014 ad Odessa presso la Casa dei Sindacati, in Ucraina, ad opera di estremisti di destra, neonazisti e nazionalisti ucraini ai danni dei manifestanti che si opponevano al nuovo governo instauratosi nel Paese in seguito alle rivolte di piazza di Euromaidan. In concomitanza del rogo, preceduto e seguito da linciaggi e violenze nei confronti degli aggrediti, trovarono la morte almeno 48 persone tra impiegati della Casa dei Sindacati, manifestanti contrari al nuovo governo, o favorevoli al separatismo, simpatizzanti filo-russi e membri di partiti di estrema sinistra.
Con le rivolte di Euromaidan a Kiev il presidente ucraino filo-russo Viktor Janukovyč venne destituito. Questo cambio di governo provocò la reazione dei sostenitori di Janukovyč e di una parte della popolazione ucraina contraria alla svolta filo-occidentale (tra cui i membri del Partito Comunista dell'Ucraina). Il 2 maggio 2014 si ebbero quindi anche ad Odessa scontri di piazza tra le fazioni contrapposte.

In seguito agli scontri, in cui erano intervenute anche frange paramilitari nazionaliste (in particolare quelle di "Pravyj Sektor"), i manifestanti antigovernativi si rifugiarono nella Casa dei Sindacati. Questi manifestanti vennero seguiti ed aggrediti ferocemente all'interno dell'edificio dai sostenitori di Euromaidan e dai militanti di estrema destra, che successivamente circondarono l'edificio e appiccarono il fuoco.
Nell'incendio che ne scaturì trovarono la morte 42 persone (34 uomini, 7 donne e un ragazzo di diciassette anni), alcune delle quali del tutto estranee ai fatti in quanto si trovavano all'interno dell'edificio per ragioni di lavoro. Gli estremisti di destra impedirono ai vigili del fuoco di accedere all'area per poter intervenire. I pochi che riuscirono in maniera fortunosa a fuggire dall'incendio furono linciati dai militanti neonazisti che circondavano il palazzo. Alla fine del rogo i testimoni trovarono i corpi carbonizzati dei manifestanti aggrediti e cadaveri di donne seviziate e violentate, tra cui una donna incinta strangolata con dei cavi telefonici. Si scoprì che tra le vittime del massacro vi erano anche persone colpite da armi da fuoco e mutilate con armi da taglio.
Il nuovo governo ucraino a capo di Oleksandr Turčynov e Arsenij Jacenjuk si limitò a parlare di una fatalità che era costata la vita a circa 30 persone.42 Il Ministro degli Interni ucraino e la Polizia sostennero da subito che i manifestanti anti-governativi fossero rimasti uccisi dalle fiamme scaturite dai loro stessi lanci di bombe molotov.[6] Anche la stampa vicina al nuovo governo attribuì l'incendio ai manifestanti filo-russi. Ben presto questa versione venne smentita dalle testimonianze dei sopravvissuti e di vari osservatori.

Il Parlamento europeo si espresse in tal senso:
«Numerosi indizi suggeriscono che non è stato il presunto incendio dell’edificio a uccidere coloro che si trovavano all’interno, lì rifugiatisi per non essere massacrati in strada, bensì sono stati colpi di arma da fuoco o armi di altro genere. Esistono filmati che mostrerebbero poliziotti sparare sui disperati che cercavano di fuggire dalle finestre e tutte le prove disponibili indicano che gli assedianti intendevano uccidere».
Nessun processo è stato intentato per la strage.



Ecco la versione di un filo russo putiniano antiucraino che si rivela palesemente di parte e del tutto inaffidabile perché omette di inquadrare la vicenda nel suo preciso contesto storico, dove trova il suo vero e pieno senso come accadimento effetto motivato da cause ben precise che nulla hanno a che fare con i nazisti e il nazismo ma con la guerra civile in corso in Ucraina.


La strage di Odessa diventa un rogo senza colpevoli: su Wikipedia si riscrive la storia
di Michele Manfrin
2 aprile 2022

https://www.lindipendente.online/2022/0 ... la-storia/


Nella versione italiana dell’enciclopedia online Wikipedia è stata totalmente modificata la pagina relativa al massacro avvenuto ad Odessa, Ucraina, il 2 maggio del 2014, quando 48 persone persero la vita nella Casa dei Sindacati della città dove avevano trovato rifugio in seguito agli scontri tra manifestanti in favore del nuovo governo filo-occidentale e sostenitori del precedente governo filo-russo deposto. Le persone rimaste uccise nell’edificio appartenevano a questo secondo gruppo. L’edificio andò a fuoco, la causa del rogo non è mai stata accertata per il semplice fatto che la magistratura e la polizia ucraina non hanno svolto indagini sulle responsabilità, come accertato da un rapporto dell’Onu. Quello che è certo che al di fuori dell’edificio centinaia di sostenitori del nuovo governo, guidati da gruppi neonazisti, lanciarono bottiglie incendiare contro l’edificio.

La pagina Wikipedia è stata stravolta già a partire dal titolo della pagina che da “Strage di Odessa” è stato cambiato in “Rogo di Odessa”. Il contenuto stesso della pagina è stato quasi completamente cambiato e stravolto. Se nella versione precedente la “strage di Odessa” veniva definita: “un massacro avvenuto il 2 maggio 2014 ad Odessa presso la Casa dei Sindacati, in Ucraina, ad opera di estremisti di destra, neonazisti e nazionalisti filo occidentali ucraini ai danni dei manifestanti sostenitori del precedente governo filo russo”. Nella nuova versione si legge che “il rogo di Odessa è un incendio verificatosi a seguito di violenti scontri armati fra fazioni di militanti filo-russi e di sostenitori del nuovo corso politico ucraino”.

Il numero delle fonti utilizzate scende da 23 a 13 e cambiano quasi tutte ad eccezione di un paio, evidentemente utili alla nuova narrazione fatta dell’evento. Le fonti utilizzate nella versione precedente alla modifica comprendevano rapporti delle Nazioni Unite e articoli di importanti testate mainstream di carattere nazionale e internazionale, come il New York Times, Bloomberg, Panorama e Radio Free Europe: insomma, tutt’altro che fonti smaccatamente di parte filo-russa. A dimostrazione di come la pagina originaria non fosse certamente di parte, al suo interno troverete anche articoli del Kyiv Post, compreso l’articolo in cui si fornisce la versione della polizia ucraina, la quale sosteneva la possibilità dell’incendio scaturito dall’interno anziché per l’effetto del lancio di molotov da parte di gruppi ultras e formazioni neonaziste – come Pravyj Sektor – che stavano all’esterno della struttura. Dunque, la ricostruzione antecedente dei fatti riportata nella pagina della “strage” non era certamente di parte e in alcun modo sbilanciata ma offrivano una panoramica abbastanza chiara degli eventi del 2 maggio 2014.

Nella pagina del “rogo” le fonti vengono utilizzate in maniera selettiva e parziale facendo emergere le sole colpe dei manifestanti filo-russi negli scontri andati in scena nella giornata del 2 maggio 2014 omettendo altre informazioni che le stesse fonti hanno portato sul caso di Odessa. Solo sul finire, nelle ultime due righe, molto sbrigativamente, viene evidenziata la totale mancanza di risposta dei soccorsi e della polizia. Quel giorno, i vigili del fuoco arrivarono quasi un’ora dopo, seppur subito allertati, mentre la polizia, seppur presente sul luogo, ha sostanzialmente lasciato che la tragedia si consumasse. Sempre nelle stesse due righe si accenna soltanto agli enormi vuoti giudiziari mai colmati di un tragico evento che non ha portato all’arresto e alla condanna di alcun responsabile. Vogliamo qui ricordare che il Ministro degli Interni, che tra le altre cose sovraintende la polizia, era già allora il signor Arsen Avakov, colui che poi ha cooptato e irreggimentato in vari corpi statali i gruppi paramilitari neonazisti come, ad esempio, il Battaglione Azov, e che ha nominato Vadym Troyan, ex numero due di Azov, a capo della polizia – come da noi già spiegato in un articolo riguardante la presenza e il potere dei gruppi neonazisti in Ucraina.

La pagina “Strage di Odessa” prima delle modifiche [versione del 26 marzo 2022]
La pagina sul “Rogo di Odessa” dopo la modifica [fonte consultata il primo aprile 2022]

Sostanzialmente, ciò che si evince dalla nuova pagina è l’assoluta coincidenza di fatti e una sostanziale mancanza di dolo in quella che viene interpretata come una tragedia scaturita dal fato piuttosto che da intenzionali comportamenti. Una rilettura dei fatti smaccata che, se già fosse accaduta in altra situazione sarebbe stata alquanto discutibile, ma il fatto che avvenga proprio durante il conflitto russo-ucraino lascia più che delle perplessità e fa subito balzare alla mente la strumentalizzazione e la volontà di rappresentare la realtà storica come qualcosa di diverso, magari per aiutare la narrazione occidentale che minimizza o nega del tutto la massiccia presenza di gruppi e movimenti estremisti, molti dei quali neonazisti.

Dopo le modifiche la pagina del rogo di Odessa è stata bloccata. Questo significa che le modifiche possono essere fatte solo dalla stretta cerchia di amministratori, ossia di utenti convalidati e autoverificati, questo a differenza delle normali pagine di Wikipedia che possono essere riviste e modificate da tutti gli utenti.




L'ignoranza di Salvini nella sua interrogazione all'Europarlamento in cui confonde gli ucraini russofoni filorussi con l'etnia russa e in cui dimostra di non conoscere assolutamente il contesto storico in cui si inserisce questa vicenda. Già allora Salvini era filo russo, putiniano al 100%.


Interrogazioni parlamentari
7 novembre 2014
E-008919-14
Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-008919-14
alla Commissione
Articolo 130 del regolamento
Matteo Salvini (NI)

Oggetto: Posizione dell'UE sulla strage di Odessa
Risposta scritta

Il 2 maggio scorso, ad Odessa, è avvenuta una strage, davanti e all'interno della Casa dei sindacati, che ufficialmente ha provocato 48 vittime. Tuttavia, secondo stime non ufficiali, i caduti potrebbero essere anche 150, cui vanno aggiunte diverse centinaia di feriti scampati per poco all'eccidio. I morti sono tutti di nazionalità ucraina e di etnia russa.
La versione ufficiale delle autorità ucraine è stata da più parti messa in discussione. Tuttavia, le autorità di Kiev e di Odessa non hanno, a quanto è dato sapere, effettuato alcuna indagine approfondita, né individuato alcun colpevole.
Numerosi indizi suggeriscono che non è stato il presunto incendio dell'edificio a uccidere coloro che si trovavano all'interno, lì rifugiatisi per non essere massacrati in strada, bensì sono stati colpi di arma da fuoco o armi di altro genere. Esistono filmati che mostrerebbero poliziotti sparare sui disperati che cercavano di fuggire dalle finestre e tutte le prove disponibili indicano che gli assedianti intendevano uccidere.
A fronte di tale inaccettabile massacro, può la Commissione far sapere se ritiene opportuno esprimere una ferma condanna dell'accaduto e adottare posizioni in materia di politica estera che aiutino a prevenire il ripetersi di simili drammatici eventi?



Alberto Pento
La tradizione leghista filo mondo slavo, filo Russia, risale ai tempi di Bossi che era filo serbo e contro i bombardamenti di Belgrado


KOSOVO: BOSSI, NO A GUERRA CONTRO POPOLO AMICO DI BELGRADO
PRONTI A PARTIRE PER SERBIA PER BLOCCARE GUERRA

23 marzo 1999
http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnA ... 192900.php

Roma, 23 mar. (Adnkronos) - ''La Padania e' contro la guerra fatta all'amico popolo di Belgrado'' e ''parlamentari della Lega potrebbero partire gia' domani mattina'' per la capitale jugoslava ''per cercare di bloccare la macchina della guerra''. Non solo. ''La Lega si muovera' nei confronti delle basi da cui dovessero partire i bombardamenti contro Belgrado''. E' Umberto Bossi a scendere in campo per annunciare il no del Carroccio all'intervento della Nato in Kosovo.
''Gli americani -afferma il leader leghista- hanno fatto saltare l'Albania e hanno armato gli albanesi emigrati in Kosovo che sono ben altra cosa rispetto ai kosovari; gli americani, in combutta con il governo italiano, hanno fatto approdare gli albanesi in Puglia da dove vengono dirottati verso la Padania; dall'Albania arriva la droga che ha ucciso migliaia di nostri giovani; siamo contrari a qualsiasi guerra che parta dalle basi militari della Padania''.
''L'America -conclude Bossi- avrebbe dovuto riconoscere l'autodeterminazione della Padania dove i nostri popoli vivono da migliaia di anni, invece e' disposta a darla agli emigrati albanesi, approdati in Kosovo solo da qualche decina di anni''.


Lega e Russia, una storia di rapporti lunga 15 anni. Intervista a Gianluca Savoini, l'uomo di Salvini che tiene i fili
Francesco Bisozzi
17 Dicembre 2014

https://www.huffingtonpost.it/2014/12/1 ... 07776.html

Per capire fin dove affonda le radici la speciale intesa tra la Lega Nord e Putin è necessario riavvolgere il nastro. Il primo contatto con Mosca risale a più di 15 anni fa: sul finire degli anni Novanta Umberto Bossi volò in Russia per incontrare Vladimir Zirinovskij, vicepresidente della Duma di Stato, uno dei pochi politici internazionali che all'epoca riconobbe ufficialmente l'indipendenza della Padania proclamata dal Senatur.

Ieri come oggi a fare da trait d'union tra il partito di via Bellerio e la Russia c'era Gianluca Savoini, presidente della neonata associazione Lombardia-Russia. Savoini segue la Russia per conto della Lega Nord fin da prima che esistesse la sede di via Bellerio. All'inizio degli anni Novanta lavorava nella consulta per la politica estera del movimento che settimanalmente si riuniva in via Arbe a Milano. "Dopo l'incontro con Zirinovskij - spiega Savoini - Bossi tuttavia si concentrò su altre questioni e per qualche anno non si parlò più della Russia in seno al partito. Io però ho mantenuto i miei contatti con Mosca e quando Matteo è stato eletto sapevo grazie alle mie fonti che stava per scoppiare la questione Ucraina e che questa avrebbe portato al tentativo di dividere Mosca dall'Europa, così ho chiesto al neo-segretario se era interessato a riallacciare i rapporti con il Paese dell'Est".

Risposta affermativa. E scacco: al Congresso federale di Torino dello scorso dicembre il portavoce si presenta all'incoronazione di Salvini con due esponenti di spicco del partito Russia Unita, Viktor Zubarev e Alexey Komov (ambasciatore Onu, oggi presidente onorario dell'associazione Lombardia Russia fondata da Savoini all'inizio di quest'anno). Tra loro e Salvini è subito scoppiata la scintilla. Al punto che pochi mesi più tardi, a ottobre, il segretario lumbard è arrivato a incontrare Putin.

Ed eccoci ai giorni nostri: Savoini fa la spola fra Italia e Russia, spesso assieme a Claudio D'Amico, russologo, ufologo, ex capo di gabinetto di Calderoli. Savoini ha organizzato al Caffè Pedrocchi di Padova un incontro dell'Associazione Lombardia Russia con il vice ministro russo per la Crimea, Elena Abramova, per illustrare agli imprenditori del nord le opportunità di business che la Crimea offre.

Quali opportunità?

"La Crimea è il luogo ideale dove investire in questo momento, in particolare nel settore turistico e nelle infrastrutture in generale. Ma anche nella sanità".

Lei di questi tempi si reca in Russia una volta al mese o quasi. Questa volta chi ha incontrato?

"Abbiamo incontrato diversi esponenti politici tra cui per esempio il ministro per la Crimea Oleg Saveliev. La nostra vicinanza alla Crimea non significa però che siamo contro l'Ucraina, questo ci tengo a precisarlo".

Con Mosca state anche mettendo a punto un accordo politico...

Si tratta di un accordo programmatico tra la Lega Nord e il partito Russia Unita che prevede la possibilità di sostenere le iniziative russe nei consessi internazionali come il Consiglio d'Europa.

Chi sono i vostri referenti a Mosca?

Esponenti politici di Russia Unita di cui preferisco non fare i nomi per motivi di riservatezza.

Quanto manca alla firma dell'accordo?

"Ci siamo quasi. Salvini lo firmerà all'inizio del prossimo anno".

In cambio avete ricevuto dei finanziamenti da parte dei russi?

"Assolutamente no".

Putin ha promesso di ricompensarvi in futuro?

"Guardi, questa storia dei soldi è del tutto campata in aria. Lasci stare".

Sarà pure campata in aria ma intanto il Front National, un altro alleato di Putin, ha ricevuto di recente 9 milioni di euro da una banca russa...

"Innanzitutto ci tengo a precisare che non si tratta di una donazione, come ha scritto qualcuno, ma di un prestito. E poi il Front National è una cosa, la Lega un'altra".

Un prestito così però farebbe comodo anche a voi visto che siete a corto di soldi in questo momento. Lo stesso Salvini ha detto che non direbbe di no a un'iniezione di denaro proveniente da Mosca.

"Salvini ha detto che il partito è disposto ad accettare prestiti a prescindere da dove arrivano, anche dagli Stati Uniti o dall'Angola o da parte dell'associazione dei Vigili del fuoco. Ho reso il concetto?"

Se non è per i soldi allora come si spiega questo matrimonio tra la Lega e Mosca?

"L'unione nasce dalla volontà di difendere gli interessi dei nostri imprenditori in Russia fortemente penalizzati dalle sanzioni comminate al Paese di Putin. Sanzioni che hanno portato alla sospensione del gasdotto South Stream e che finiranno col costare caro all'Italia. Molto caro".




La Strage di Odessa è entrata a far parte del materiale propagandistico filo russo contro l'Ucraina

Ecco come il Messaggero tratta la cosa

La strage a Odessa del 2 maggio 2014, cosa è successo? Le accuse di Russia e Ucraina, l'incendio e le parole di Putin
Otto anni fa la strage che ha incrinato definitivamente i rapporti tra i due Paesi
Lunedì 2 Maggio 2022

https://www.ilmessaggero.it/mondo/odess ... 63484.html

«Sappiamo chi sono i responsabili e andiamo a prenderli». A febbraio, quando Putin annunciava l'inizio dell'operazione speciale in Ucraina, puntava anche quelli che secondo il Cremlino erano i responsabili della strage di Odessa, il 2 maggio 2014. Quel giorno, esattamente otto anni fa, quasi 50 persone perdevano la vita negli scontri tra filo-russi e ucraini. Per la Russia, una carneficina da imputare a Kiev. Eppure i responsabili non sono mai stati accertati. Da quel giorno i rapporti tra i due Paesi si sono incrinati definitivamente.

Moldavia, la Russia ha già un piano per l'invasione? Kiev: «Pronto lo scenario Donbass»

Campi di “filtrazione” russi e agenti della Sobr, le voci dei sopravvissuti: «Torturati con le scosse elettriche»

Cosa è successo il 2 maggio 2014

La data simbolo, passa per uno dei momenti chiave che ha portato alla guerra a cui stiamo assistendo oggi. Il presidente filo-russo Yanukovich era da poco stato destituito e la Russia aveva proclamato l'annessione della Crimea, come risposta all'Ucraina che aveva istituito un nuovo governo di respiro europeista. A Odessa quel giorno si trovarono a manifestare le due fazioni, pro Mosca e pro Kiev, sfociate poi in scontri tra frange violente armate di bastoni e asce.

Il clou di quel giorno di massacri si svolse attorno alla Casa dei Sindacati, dove gli attivisti filo-russi si erano riparati per scappare agli attacchi. Fuori ci fu un vero e proprio assedio, guidato dai gruppi neo-nazisti Azov, i veri colpevoli della strage secondo Mosca. Nella ricostruzione dei fatti, è stato accertato che da fuori furono lanciate bottiglie incendiarie, che provocarono un incendio. Ma la causa del rogo, che ha poi provocato la morte di 48 persone circa (quasi tutti filo-russi), non è mai stata accertata. Le due parti si puntano il dito a vicenda. Per gli ucraini, l'incendio partì accidentalmente dall'interno della sede sindacale mentre la colpa della strage era da addossare ai manifestanti pro-Mosca.


Odessa oggi

Proprio per la ricorrenza speciale, l'attenzione su Odessa oggi è stata altissima. In città sono stati arrestati «12 sabotatori russi» che «stavano preparando attacchi in città». Lo riferiscono le autorità locali spiegando che «durante la perquisizione sono stati trovati armi ed esplosivi» in grande quantità. Il loro obiettivo, riferiscono le autorità regionali, era anche quello di incitare la popolazione di Odessa alla rivolta. A sera, un bombardamento missilistico russo ha provocato morti e feriti. Secondo Interfax Ucraina sarebbe stato colpito un edificio religioso.


Alberto Pento
Il giornalista del Messaggero non approfondisce e non contestualizza storicamente la vicenda, si mantiene ingiustamente e irresponsabilmente "equidistante" manipolando così l'informazione e ingannando i lettori.
Il giornalista si è dimenticato di raccontare che da alcuni mesi in Ucraina vi era in atto una guerra civile tra il governo oligarchico filo russo, gli infiltrati russi, gli ucraini filo russi e gli ucraini anti Russia, con brogli elettorali da parte dei governativi, scontri di piazza che avevano causato centinaia di morti e migliaia di feriti, specialmente tra gli ucraini filo occidentali, che da poche settimane vi era stata la occupazione militare della Crimea da parte della Russia e che in Donbass erano iniziati gli atti terroristici dei separatisti filo russi.



Povero Salvini, alle prossime elezioni avrò serie difficoltà a votarti.
Nessun accordo è possibile. L'Ucraina è un paese libero e sovrano e deve ritornare territorialmente integra e la Russia gli deve risarcire tutti i danni e dovrà rispondere penalmente alla Corte Internazionale dei suoi crimini; e l'Ucraina deve avere tutto il diritto di associarsi liberamente alla UE e alla NATO.
Non ti vergogni di fare la spazzola da scarpe di un dittatore della peggior specie?

Salvini, l'ipotesi (e le smentite) del viaggio a Mosca: il gelo di Giorgetti e la frenata della Lega
Francesco Malfetano
3 maggio 2022

https://www.ilmessaggero.it/politica/sa ... 65110.html

L’accoglienza riservatagli in Polonia, con il sindaco di Przemysl che gli ha regalato una maglietta con la faccia di Putin, potrebbe non essere bastata a Matteo Salvini. Il leader leghista deve infatti aver capito che il suo tentativo di riposizionarsi tra le fila dei sostenitori ucraini “duri e puri” era davvero una missione disperata. E allora, in nome della vecchia amicizia, perché non fare un salto a Mosca?

Salvini: «Orgoglioso di portare messaggio di pace. Il sindaco polacco? Un po' maleducato»
Salvini e l'ipotesi del viaggio a Mosca

Sì, perché secondo fonti diplomatiche Salvini avrebbe chiesto all’ambasciata russa il visto per sè e altri cinque o sei esponenti del Carroccio. Una ipotetica missione - il condizionale è d’obbligo - che inevitabilmente, anche solo ventilata, genera imbarazzi e contrasti. Da un lato infatti quella leghista sarebbe la prima delegazione politica occidentale a volare a Mosca da quando è iniziata la sanguinosa invasione dell’Ucraina (Se si escludono il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres in visita per i primi colloqui di pace). Dall’altra perché il governo, di cui la Lega è parte integrante, nel caso non potrebbe non prendere una posizione netta contro il segretario di un partito di maggioranza.

LE REAZIONI

Tant’è che ieri il suo vicesegretario e ministro Giancarlo Giorgetti ha provato a frenare: «Credo che Salvini sia animato da sincere intenzioni e aneliti pacifisti, non mi risulta che sia in programma un viaggio di questo tipo a Mosca - ha detto ieri - Credo che le relazioni diplomatiche internazionali in una situazione come questa richiedano grande prudenza, soprattutto debbano essere coordinate con il governo che la Lega sostiene. Io penso che si chiarirà questa dichiarazione di Salvini, mi sembra da valutare con grande prudenza».


LE SMENTITE

Non solo. Anche lo stesso leader leghista ha smentito le indiscrezioni riluciate dalla stampa: «Nessun visto richiesto o missione organizzata - ha detto stamane - L'obiettivo di arrivare alla pace a qualunque costo, e incontrando tutti come ribadito oggi dal Santo Padre, rimane per me (e per il 74% degli italiani, dati Ipsos) una priorità. Un rinnovato accordo fra Russia, Ucraina, Europa e Stati Uniti deve essere il traguardo di tutti». Una risposta immediata che ben evidenzia l'importanza politica della questione. Del resto una mossa di questo tipo avrebbe per Salvini, che pure ha abituato a qualche colpo di testa inatteso, un impatto potenzialmente devastante in termini di credibilità e consenso.


Alberto Pento
Anche gran parte dei leghisti padanisti e degli indipendentisti veneti si sono demenzialmente schierati con Putin contro l'Ucraina, i primi come portato storico del leghismo padanista bossiano, i secondi come indipendentisti che sognano il ritorno della Serenissima in contrasto con il padanismo;
identificandosi con i separatisti indipendentisti russofoni e filorussi del Donbass, da loro scambiati per vittime innocenti e oppresse dei malvagi ucraini, demonizzati come nazisti dalla propaganda russa di Putin che hanno scambiato per il loro difensore, liberatore e salvatore e che quasi quasi, sotto sotto sperano che venga a liberare anche loro dall'oppressione dello stato italiano.


La vergogna dei veneti e dei leghisti che stanno con la Russia di Putin e contro l'Ucraina
viewtopic.php?f=143&t=3001
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 9003863100
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... 5947747508




LA GUERRA IBRIDA DI PUTIN IN ITALIA
Umberto Mosso
30 aprile 2022

https://www.facebook.com/umberto.mosso. ... 9774290737

L’opinione pubblica italiana è sottoposta da anni ad una incessante campagna filorussa, cioè filoPutin, da parte di alcune reti televisive, giornali, siti web, singoli giornalisti e così detti esperti, che hanno indotto in una parte del pubblico alcune convinzioni sbagliate sulla realtà dei fatti accaduti in Ucraina dal 2014 fino ad oggi.
Non sappiamo se questa opera di disinformazione sistematica sia direttamente collegata alle azioni messe in campo dal Cremlino nell’ambito della sua, così detta, guerra ibrida. Sappiamo, tuttavia, che questo tipo di guerra è in atto, in particolare in Italia, secondo una dottrina illustrata dal generale Gerasimov all’Accademia delle Scienze militari di Mosca nel 2013.
La guerra ibrida mira a formare una opinione pubblica occidentale favorevole alla politica di Putin, attraverso la diffusione di false informazioni politiche, storiche e scientifiche.
I canali principali della guerra ibrida non sono solo i siti ufficiali o vicini al Cremlino, o profili social dichiaratamente filorussi. Ciò che conquista di più la buonafede del pubblico sono le prese di posizione che, partendo da una analisi apparentemente obbiettiva, portano a conclusioni favorevoli alle tesi russe, creandone consenso. Oppure opinioni critiche sull’operato dei governi occidentali per creare disorientamento e divisioni nelle loro società.
Per questo si “comprano”, in molti modi, interi partiti o correnti di essi, anchorman/woman, giornalisti, opinionisti ed esperti. Oppure si conta sull’autonomo volontariato ideologico di alcuni di questi, convinti di espletare così la loro militanza politica.
Le menzogne, soprattutto se ben confezionate professionalmente, sono sempre state più convincenti delle verità. Perché queste ultime sono più complesse da cercare e comprendere.
La verità non esce in barca col mare buono, più spesso si trova sfidando il mare in tempesta che non tutti hanno la voglia o il coraggio di affrontare.
La menzogna è più facile da confezionare, non solo perché, per darle credibilità, basta partire da un paio di cose vere e poi stravolgerne il significato, ma soprattutto perché è rivolta a persone che sono predisposte ad accoglierla. Il bugiardo è come una colla speciale che salda solo certe superfici, non altre.
Faccio un esempio pratico su un paio di cavalli di battaglia della guerra ibrida di Putin.
Quante volte abbiamo sentito dire che la rivolta di Euromaydan del 2014 a Kyiv fu un colpo di stato ordito dagli Usa che ha portato a governi illegittimi, compreso quello attuale di Zelensky? Niente di più falso.
Quante volte è stato ripetuto, da presunti esperti e noti corrispondenti, che il governo e l’esercito ucraino hanno sottoposto le popolazioni russofone del Donbass ad ogni sorta di repressione brutale, culturale, politica e fisica, tale da giustificare l’intervento a loro difesa della Russia, l’annessione della Crimea e ora la guerra?
Per accertare la verità dei fatti ha svolto accuratissime e documentate indagini, concluse proprio in questi giorni, l’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa alla quale aderiscono 57 paesi, compresa la Russia.
Migliaia di osservatori di tutti i paesi hanno girato in lungo e in largo in Ucraina e soprattutto nelle regioni del Donbass raccogliendo e documentando prove e testimonianze dirette sulle violazioni dei diritti umani denunciate da entrambe le parti. Senza fare sconti a nessuna, dunque non tacendo neanche su quelle di parte ucraina.
A differenza del governo ucraino, che non ha posto agli osservatori Osce alcuna limitazione, nelle repubbliche autoproclamate filorusse limitazioni ci sono state, come l’impedimento a visitare le carceri e parlare coi prigionieri. Alcuni giorni fa i separatisti hanno arrestato senza alcun motivo alcuni funzionari Osce.
I report di lavoro e le risultanze dell’indagine Osce sono pubblicate sul sito https://www.osce.org/it/
Si tratta di informazioni documentate scrupolosamente che smontano le falsità sulla repressione delle popolazioni ucraine russofone, che infatti oggi resistono assieme ai non russofoni, e denunciano la natura autoritaria e violenta dei regimi separatisti fantocci di Putin.
Tuttavia in Italia si dà spazio alle menzogne dei vari Orsini, Santoro, Capuozzo, Vauro, Belpietro, Berlinguer, Travaglio, Borgonovo, Castellina, Montanari, come se si trattasse di opinionisti indipendenti, mentre non si da notizia dei risultati dell’indagine Osce, evidentemente considerata dagli amici di Putin condizionata dagli Usa.
Il fatto è che questi signori non sono in grado di contestare nel merito i risultati dell’Osce. Quando ci provano riescono solo a fare orride figure come accaduto sui fatti di Bucha.
Chi spaccia menzogne ha mercato tra i tossicodipendenti dalle menzogne, che cercano solo le informazioni che confermino i loro pregiudizi. Consumatori finali di falsità, vittime della guerra ibrida di Putin, appunto.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38319
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Messaggioda Berto » mar mag 03, 2022 9:41 am

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38319
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Messaggioda Berto » mar mag 03, 2022 9:41 am

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38319
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Messaggioda Berto » dom mag 08, 2022 10:13 am

8 )
La politica nazifascista di Putin eletto nei primi anni del 2000, incentrata sul suprematismo imperialista russo, il ripristino dell'impero russo che fu dapprima zarista e poi sovietico URSS.
I suoi tentativi di riconquista dei territori resisi indipendenti alla fine dell'URSS nel 1991.
In questo progranna politico rientra la riconquista per destabilizaazione dell'Ucraina attraverso il separatismo del Donbass, l'occupazione della Crimea e le false accuse di nazismo rivolte all'Ucraina, agli ucraini e al suo esercito per demonizzarla agli occhi dei russi e del mondo canaglia nazi fascista, nazi comunista e di talune frange fasciste dell'integralismo cattolico, demenzialmente schieratosi con il macellaio criminale del Cremlino Putin che questo sì è un vero dittatore nazi fascista e internazi comunista come Hilter, Stalin e Moametto.


Il demenziale bullo nazifascista del Cremlino.

Il demenziale bullo nazifascista del Cremlino,
il gemello eterozigote di Kin Jong-un.

Il macellaio del Cremlino è un criminale assassino,
un brigante, un grassatore, un mafioso, un oligarca ladro e farabutto,
un suprematista e imperialista russo come gli Zar e Stalin.

Il bullo del Cremlino è un demenziale fallito,
fallito come uomo, come cristiano, come statista.

Questo bullo criminale con il suo Impero del male minaccia il Mondo di sterminio nucleare.

Il macellaio del Cremlino come ha detto Trump è un genio ma del male
e per questo verrà ricordato come un criminale assassino,
uno stupratore di popoli e di cristiani,
come Moametto, Hitler e Stalin,
come i peggiori dittatori e assassini della storia,
una vergogna dei cristiani e dell'umanità.

E come per lui vi sarà grande vergogna anche per tutti coloro che demenzialmente lo hanno eletto a eroe, a santo, a paladino, a messia, a redentore dei cristiani e dell'umanità.

Costui dovrà essere bannato dall'ONU (già bandito dal Consiglio per i Diritti Umani) e da tutti i paesi del Mondo Libero e condannato dalla Corte Internazionale dell'Aia per gravi crimini contro l'umanità (sono già iniziate le pratiche sia all'ONU che all'Aia), dovrà essere braccato e arrestato da tutte le polizie dei paesi civili, sulla sua testa si dovrà mettere una taglia adeguata vivo o morto e i paesi che gli daranno rifugio dovranno essere boicottati in tutto come si fece con l'Afganistan che diede rifugio al criminale Osama Bin Laden.


La Russia nazi fascista di Putin
La Russia di Putin e l'Ucraina e la putinlatria
viewtopic.php?f=92&t=2990




Putin, no grazie! La Russia di Putin con il male della terra, come la Russia dell'URSS
Difendiamo il Mondo Libero, difendiamo l'Ucraina!
viewtopic.php?f=144&t=2998


La Russia di Putin è alleata, sostenitrice e paladina di tutte le dittature della terra:
della staliniana Corea del Nord con il suo culto della personalità,
del Venezuela social comunista di Maduro,
dell'Iran nazi maomettano che vorrebbe l'atomica per distruggere Israele e l'Occidente cristiano,
della Cina che è cresciuta economicamente grazie al lavoro portato dall'Occidente industriale e capitalista e che pratica la concorrenza sleale che inquina il Mondo più del resto degli altri paesi industrializzati, che è diventata una minaccia militare per tutto il Mondo Libero.
Putin è un dittatore prepotente e violento, imperialista antidemocratico e antioccidentale che fa parte di una oligarchia economica nazionalista, prepotente e mafiosa che affama la sua gente il suo stesso popolo preferendo impiegare le sue risorse per costruire armi offensive, che non ha alcun rispetto per i paesi confinanti europei che non ne vogliono sapere della Russia di Putin erede della Russia imperialista e autoritaria degli Zar e dell'URSS.
Putin è un falso cristiano pieno di violenza e di spirito di sopraffazione, altro che gli ucraini nazisti, il russo Putin pare la fusione di Hitler e di Stalin, il peggio del peggio e un bugiardo matricolato.


La triplice alleanza del Male:

la Russia nazi fascista e imperiale di Putin, prosegue quella degli Zar e quella internazi comunista dell'URSS;
Putin è un falso cristiano che usa il cristianismo per legittimarsi con il suopopolo e con l'Occidente cristiano, dove una parte dei cristiani abbandonati dall'Europa e dal Papa sinistrati e politicamente corretti, lo hanno eletto a loro paladino ed eroema che e con il suo imperialismo nazionalista opprime e ammazza i cristiani d'Europa;
la Russia dal primo novecento è sempre alleata dei paesi canaglia, di tutta la terra, come oggi con:
Cina/Corea del Nord/Venezuela di Maduro/Cuba nazi comunisti,
Iran nazi maomettano ed altri paesi islamici, che vogliono distruggere Israele,
da ricordare sempre:
i pogrom russi contro gli ebrei,
la persecuzione degli ebrei nella Russia sovietica,
I Protocolli dei Savi di Sion per demonizzare calunniosamente gli ebrei elaborati dalla Russia antisemita,
l'invenzione del Popolo palestinese e l'organizzazione del suo terrorismo ad opera dell'URSS,
gli scud sovietici che nel 1991 Saddam Hussein fece piovere su Israele,
mai dimenticare che la Russia di Putin all'ONU ha sempre votato contro Israele.
Il regime russo sovietico dell'URSS ha oppresso come mai nessun'altro i popoli d'Europa su cui era riuscito a imporre il suo dominio e questi popoli al crollo dell'URSS hanno scelto l'Europa e la NATO come anche l'Ucraina liberatasi dal gioco russo moscovita con il Referendo del 1991 scegliendo il Sì con oltre il 90%.


Dov'è il nazismo e chi è il nazista in Ucraina e in Russia?
viewtopic.php?f=143&t=3003
Dove sta il nazismo e chi è il nazista nella questione Ucraina Russia?
Non è difficile e non ci vuole molto per capirlo.
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... 1493516620


Patriottismo, indipendentismo, nazionalismo e nazismo in Ucraina e in Russia
e la Russia nazi fascista e comunista, suprematista e imperialista del falso cristiano Putin il violento e criminale dittatore russo
viewtopic.php?f=143&t=3004
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 9263248411


Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia
viewtopic.php?f=143&t=3002






La filosofia imperialista della Grande Russia anche con l'utilizzo e la manipolazione della religione cristiana



Alexander Dugin
Aleksandr Gel'evič Dugin (in russo: Александр Гельевич Дугин?; Mosca, 7 gennaio 1962) è un politologo e filosofo russo.
https://it.wikipedia.org/wiki/Aleksandr ... 4%8D_Dugin
Dugin sviluppa il pensiero di Martin Heidegger, specialmente il concetto geofilosofico del Dasein, come centro al contempo universale e particolare, uno e molteplice, coniugandolo con il pensiero della scuola tradizionalista, ossia René Guénon e Julius Evola. Dugin ha svolto un ruolo importante nella filosofia Russa dopo la caduta del Muro di Berlino, traducendo e contestualizzando i succitati autori. Il suo testo più importante, e sintesi del suo pensiero, è "La quarta teoria politica" pubblicato nel 2009 (in inglese come The Fourth Political Theory).

Secondo Dugin le forze della civiltà occidentale liberale e capitalista rappresenterebbero quella che gli antichi Greci chiamavano ὕβρις (hybris), "la forma essenziale del titanismo", dell'anti-misura, che osteggia il Cielo che "è la misura—in termini di spazio, tempo, essere". In altre parole l'Occidente sintetizzerebbe "la rivolta della Terra contro il Cielo". In una prospettiva escatologica, "una volta che il Cielo reagisce, gli dei restaurano la misura". A quello che lui definisce universalismo "atomizzante" dell'Occidente, Dugin contrappone un universalismo apofatico, un "Uno" come quello di Platone che si fletterebbe nella molteplicità degli esseri e dei loro modi di esistere, e che si esprime nella politica dell'idea di "impero".

Dugin ha stretti legami con il Cremlino e le forze armate russe, avendo servito come consigliere del presidente della Duma di Stato, Gennadiy Seleznyov, e del membro di spicco di Russia Unita, Sergei Naryshkin.[6] Per questi motivi la stampa lo ha soprannominato "il Rasputin del Cremlino" e "l'ideologo di Putin" descrivendolo come un suo consigliere o ispiratore filosofico, sebbene abbia criticato le sue collaborazioni con l'Occidente.

È inoltre noto anche al di fuori della Russia per aver teorizzato la fondazione di un "impero euro-asiatico" in grado di combattere l'Occidente guidato dagli Stati Uniti d'America. A tal proposito è stato l'organizzatore e il primo leader del Partito Nazional Bolscevico dal 1993 al 1998 (assieme ad Eduard Limonov) e, in seguito, del Fronte Nazionale Bolscevico e del Partito Eurasia, trasformatosi poi in associazione non governativa. L'ideologia Eurasitica di Dugin mira pertanto all'unificazione di tutti i popoli di lingua russa in un unico paese attraverso lo smembramento territoriale coatto delle ex–repubbliche sovietiche. Anche per questo le sue posizioni politiche sono state definite come "fasciste".

Nel 2019 Dugin e Bernard-Henri Lévy (considerati esponenti ideologici di spicco degli opposti sovranismo e mondialismo) si sono confrontati sul tema di quella che è stata definita "la crisi del capitalismo" e l'insurrezione dei populismi nazionalisti.






ALEXANDR DUGIN, massimo filosofo russo, sulla guerra in Ucraina:
Alexandr Dugin
7 marzo 2022

“…Questa non è una guerra con l’Ucraina. È un confronto con il globalismo come fenomeno planetario integrale. È un confronto a tutti i livelli – geopolitico e ideologico. La Russia rifiuta tutto nel globalismo – unipolarismo, atlantismo, da un lato, e liberalismo, anti-tradizione, tecnocrazia, Grande Reset in una parola, dall’altro. È chiaro che tutti i leader europei fanno parte dell’élite liberale atlantista.
E noi siamo in guerra esattamente con questo. Da qui la loro legittima reazione. La Russia viene ormai esclusa dalle reti globaliste. Non ha più una scelta: o costruire il suo mondo o scomparire. La Russia ha stabilito un percorso per costruire il suo mondo, la sua civiltà. E ora il primo passo è stato fatto. Ma sovrano di fronte al globalismo può essere solo un grande spazio, un continente-stato, una civiltà-stato. Nessun paese può resistere a lungo a una completa disconnessione.
La Russia sta creando un campo di resistenza globale. La sua vittoria sarebbe una vittoria per tutte le forze alternative, sia di destra che di sinistra, e per tutti i popoli. Stiamo, come sempre, iniziando i processi più difficili e pericolosi.
Ma quando vinciamo, tutti ne approfittano. È così che deve essere. Stiamo creando i presupposti per una vera multipolarità. E quelli che sono pronti ad ucciderci ora saranno i primi ad approfittare della nostra impresa domani. Scrivo quasi sempre cose che poi si avverano. Anche questo si avvererà”………….
E ancora: “ Cosa significa per la Russia rompere con l’Occidente? È la salvezza. L’Occidente moderno, dove trionfano i Rothschild, Soros, Schwab, Bill Gates e Zuckerberg, è la cosa più disgustosa della storia del mondo. Non è più l’Occidente della cultura mediterranea greco-romana, né il Medioevo cristiano, e nemmeno il ventesimo secolo violento e contraddittorio. È un cimitero di rifiuti tossici della civiltà, è anti-civilizzazione. E quanto prima e più completamente la Russia se ne stacca, tanto prima ritorna alle sue radici. A cosa? Cristiano, greco-romano, mediterraneo… – Europeo… Cioè, alle radici comuni al vero Occidente. Queste radici – le loro! – l’Occidente moderno le ha tagliati fuori. E sono rimaste in Russia.
Solo ora l’Eurasia sta alzando la testa. Solo ora il liberalismo in Russia sta perdendo il terreno sotto i piedi.
La Russia non è l’Europa occidentale. La Russia ha seguito i greci, Bisanzio e il cristianesimo orientale. E sta ancora seguendo questa strada. Sì, con zigzag e deviazioni. A volte in vicoli ciechi. Ma si sta muovendo.
La Russia è sorta per difendere i valori della Tradizione contro il mondo moderno. È proprio quella “rivolta contro il mondo moderno”. Non hai imparato?
E l’Europa deve rompere con l’Occidente, e anche gli Stati Uniti devono seguire coloro che rifiutano il globalismo. E allora tutti capiranno il significato della moderna guerra in Ucraina.
Molte persone in Ucraina lo capivano. Ma la terribile propaganda rabbiosa liberal-nazista non ha lasciato nulla di intentato nella mente degli ucraini. Torneranno in sé e combatteranno insieme a noi per il regno della luce, per la tradizione e una vera identità cristiana europea. Gli ucraini sono nostri fratelli. Lo erano, lo sono e lo saranno.
La rottura con l’Occidente non è una rottura con l’Europa. È una rottura con la morte, la degenerazione e il suicidio. È la chiave del recupero. E l’Europa stessa – i popoli europei – dovrebbero seguire il nostro esempio: rovesciare la giunta globalista antinazionale. E costruire una vera casa europea, un palazzo europeo, una cattedrale europea”.
- Alexandr Dugin -



Il fascismo cristiano di Ivan Ilyin

Fascismo russo e collasso delle democrazie occidentali nell’ultimo saggio di Timothy Snyder
di Massimiliano Di Pasquale
4 dicembre 2018

https://www.stopfake.org/it/fascismo-ru ... hy-snyder/

La Paura e la Ragione. Il collasso della democrazia in Russia, Europa e America, l’ultimo lavoro di Timothy Snyder, storico statunitense dell’Università di Yale, è un saggio che documenta con encomiabile rigore filologico il dilagare dell’autoritarismo in Russia, negli Stati Uniti e in Europa. L’accademico americano, tra i più autorevoli esperti mondiali di storia dell’Europa centro-orientale, dopo aver introdotto nel prologo i concetti di inevitabilità e di eternità passa in rassegna i principali eventi che hanno interessato la storia contemporanea dal 2011 al 2016, dal momento che “negli anni Duemiladieci è accaduto più di quanto immaginiamo”.

Con il crollo dell’URSS e dei regimi comunisti del Patto di Varsavia, la stragrande maggioranza degli europei e degli americani era convinta che la vittoria della democrazia fosse definitiva e che il nuovo millennio avrebbe portato una stagione di pace e prosperità mondiali e di collaborazione tra Est e Ovest. Ma così non è stato.

“Gli americani e gli europei sono entrati nel nuovo secolo guidati da un racconto «sulla fine della storia», da quella che chiamerò politica dell’inevitabilità, ossia la convinzione che il futuro sia soltanto una continuazione del presente, che le leggi del progresso siano note, che non ci siano alternative e, dunque, nemmeno rimedi”.

Corollario di questa politica, smentita dai fatti sin dai primi Anni Novanta, ma i cui fallimenti si sono palesati solo a partire dal 2008 (quell’anno segna l’inizio della crisi economica a livello globale ma anche l’avvio della politica neo-imperiale di Mosca con l’invasione della Georgia), era, nella versione americana, l’assunto che “la natura ha prodotto il mercato, che ha prodotto la democrazia, che ha prodotto la felicità” e, in quella europea, l’assunto che “la storia ha prodotto la nazione, che ha imparato dalla guerra l’utilità della pace, e pertanto ha scelto l’integrazione e la prosperità”.

Anche l’Unione Sovietica prima della sua implosione nel 1991 aveva elaborato una sua politica dell’inevitabilità in base alla quale “la natura permette la tecnologia, la tecnologia produce il cambiamento sociale, il cambiamento sociale provoca la rivoluzione, la rivoluzione mette in atto l’utopia”.

Il crollo dei regimi comunisti dimostrò l’erroneità di questa visione facendo gongolare i politici dell’inevitabilità occidentali europei e statunitensi, che per venticinque anni hanno ripetuto i loro racconti di inevitabilità allevando una generazione di Millennial senza storia.

Il crollo della politica dell’inevitabilità, testimoniato sia dalla crisi finanziaria del 2008 sia dall’insufficienza del paradigma economicistico nel forgiare sistemi liberali e democratici nei Paesi dell’ex blocco sovietico – Snyder sottolinea acutamente come “i destini della Russia, dell’Ucraina e della Bielorussia dopo il 1991 dimostravano più che a sufficienza come la caduta di un sistema non creasse una tabula rasa su cui la natura generava i mercati e i mercati generavano i diritti” –, ha introdotto un’altra visione del tempo: la politica dell’eternità.

“Mentre l’inevitabilità promette un futuro migliore per tutti, l’eternità colloca una nazione al centro di un racconto ciclico di vittimizzazione. Il tempo non è più una linea verso il futuro, bensì un ciclo che riproduce senza fine le minacce del passato”.

Nella politica dell’eternità, inaugurata dalla Russia di Putin negli anni Duemiladieci, i politici diffondono la convinzione “che il governo non possa favorire la società nel suo complesso, ma soltanto metterla in guardia dalle minacce”.

Snyder sottolinea come una volta al potere i politici dell’eternità fabbrichino crisi e manipolino le emozioni e per distrarre i cittadini dai problemi reali di un Paese “li incoraggiano a provare euforia e indignazione a brevi intervalli, annegando il futuro nel presente”. In politica estera screditano i successi di Paesi percepiti come modelli agli occhi di un vasto pubblico e servendosi della tecnologia negano la verità e trasmettono una fiction politica sia in patria sia all’estero.

A detta dello storico di Yale “gli anni Duemiladieci si sono contraddistinti soprattutto per la creazione intenzionale di una fiction politica, di storie ingombranti capaci di monopolizzare l’attenzione e di colonizzare lo spazio necessario per la riflessione”.

La paura e la ragione nasce come “tentativo di restituire il presente al tempo storico, e dunque di restituire il tempo storico alla politica”. Dopotutto la storia come disciplina, fa notare Snyder, è nata con Tucidide in antitesi alla propaganda bellica.

Il libro, che “scava nella storia russa, ucraina, europea e americana nella misura in cui ciò serva per definire i problemi politici del presente e per sfatare alcuni dei miti che li ammantano”, è diviso in sei capitoli i cui titoli sono strutturati come alternative: Individualismo o totalitarismo (2011), Successione o fallimento (2012), Integrazione o impero (2013), Novità o eternità (2014), Verità o menzogne (2015), Uguaglianza o oligarchia (2016).

Ivan Ilyin: politica dell’eternità e fascismo cristiano

Snyder approfondisce il tema della politica dell’eternità promossa dal Cremlino e individua nel 2011 il preciso momento in cui in Russia si compie la svolta autoritaria in fieri da anni e nel fascismo cristiano di Ivan Ilyin le fondamenta teoriche del regime putiniano.

Ilyin, nato a Mosca nel 1883 in una famiglia nobile che sosteneva di discendere dal principe della Rus di Kyiv, Rurik, sognò inizialmente che la Russia si trasformasse in uno Stato governato dalle leggi, ma dopo l’esperienza della Prima Guerra Mondiale e della Rivoluzione d’Ottobre divenne un controrivoluzionario e, con il tempo, l’artefice di un fascismo cristiano volto a sconfiggere il bolscevismo. Gran parte della sua produzione filosofica fu elaborata all’estero, in Germania e in Svizzera, dove visse da esule a partire dal 1922.

Agli inizi degli Anni Duemila, Ilyin morto in Svizzera nel 1954 in oblio, viene rispolverato dal Cremlino che cerca un ideologo per il nuovo corso. Il suo breve libro I nostri compiti inizia a circolare in nuove edizioni, la sua opera omnia viene ristampata e le sue idee conquistano nuovi potenti sostenitori. Nel 2005 Putin organizza persino la sua risepoltura a Mosca.

“Nel 2005, Putin aveva fatto riseppellire il corpo di Il’in presso un monastero dove la polizia segreta sovietica aveva incenerito i cadaveri di migliaia di cittadini russi giustiziati durante il Grande terrore. Al momento della risepoltura di Il’in, il capo della Chiesa ortodossa russa era un uomo che al tempo dell’URSS era stato agente del KGB”.

A partire da quella data il presidente russo inizia a citare Ilyin nei discorsi presidenziali annuali di fronte alla Duma. “Negli anni Duemiladieci, – ricorda Snyder – Putin ha fatto affidamento sull’autorevolezza di Il’in per spiegare perché la Russia dovesse indebolire l’Unione Europea e invadere l’Ucraina. […] La classe politica russa ha seguito il suo esempio. Il suo responsabile della propaganda, Vladislav Surkov, ha adattato le idee di Il’in al mondo dei media moderni. Ha orchestrato l’ascesa di Putin al potere e ha supervisionato il consolidamento dei media che ha garantito il suo dominio apparentemente eterno”.

Cerchiamo ora di riassumere brevemente il pensiero di Ilyin. Nonostante le sue idee siano state proposte ai russi un secolo fa, vengono implementate solo oggi. Ilyin, analogamente a Marx, si rifà al corpus filosofico hegeliano, offrendone però una lettura di destra. Ilyin, come Marx, sostiene che la storia sia iniziata con un peccato originale così grave da condannare l’umanità alla sofferenza. Ma il peccato originale, secondo Ilyin, non fu perpetrato dall’uomo sull’uomo attraverso la proprietà privata ma da Dio sull’uomo attraverso la creazione del mondo.

“La vita è infelice e caotica, come credono i marxisti, ma non per colpa della tecnologia e del conflitto di classe. Le persone soffrono perché il creato di Dio è conflittuale in maniera irrisolvibile. I fatti e le passioni non si possono allineare con la rivoluzione, ma solo con la redenzione. L’unica totalità è quella di Dio, e una nazione eletta la ricostruirà grazie al miracolo compiuto dal redentore”.

Secondo Ilyin la patria di Dio era la Russia. La Russia era da tutelare a tutti i costi perché era l’unico territorio da cui sarebbe potuta iniziare la ricostruzione della totalità divina.

Snyder fa notare come nonostante Ilyin fosse antibolscevico e ammirasse Hitler il suo pensiero non si discostasse troppo nelle sue implicazioni pratiche da quello di Stalin. Non è un caso che la Russia attuale, che lo elegge a suo ideologo, è lo stesso Paese che riscrive i libri di storia riabilitando il culto di Stalin.

“Dopo la guerra, Stalin diede la priorità alla nazione russa (rispetto all’Ucraina, alla Bielorussia, all’Asia Centrale, al Caucaso, alle decine di popoli dell’Unione Sovietica). La Russia, riteneva Stalin, aveva salvato il mondo dal fascismo. Secondo Il’in, l’avrebbe salvato non dal ma con il fascismo. In entrambi i casi, l’unico ricettacolo del bene assoluto era la Russia, e l’eterno nemico l’Occidente in declino”.

Per Ilyin la parentesi comunista vissuta dalla Russia era il frutto della corruzione proveniente dall’Occidente. Nella sua visione il comunismo era stato imposto alla Russia dall’Occidente. La Russia è innocente ma la sua innocenza non è osservabile nel mondo. Ilyin vede “la propria nazione come virtuosa, e la purezza di questa visione è più importante di qualunque cosa i russi abbiano effettivamente fatto”.

Per Ilyin che si rifà al teorico nazista del diritto Carl Schmitt la politica è l’arte di identificare e neutralizzare il nemico. E dal momento che la Russia è l’unica fonte di totalità divina e di purezza, l’uomo spuntato dal nulla, che i russi riconosceranno come il redentore, potrà muovere guerra a chi minaccia i successi spirituali della nazione.

“Fare la guerra contro i nemici di Dio significa esprimere innocenza. La guerra (non l’amore) è la valvola di sfogo adeguata per la passione, perché non mette in pericolo la verginità del corpo nazionale ma la protegge”.

La fantasia di una Russia innocente in eterno che comprende la fantasia di un redentore innocente in eterno torna utile al regime cleptocratico di Putin che la sfrutta opportunisticamente per coprire una realtà fatta di ingiustizie sociali, soprusi e incapacità di evoluzione in senso democratico.

“Putin, i suoi amici e i suoi alleati hanno accumulato illegalmente un’enorme ricchezza e poi hanno rifatto lo Stato in modo da salvaguardare i propri profitti. Dopo aver raggiunto questo obiettivo, i leader russi hanno dovuto far coincidere la politica con l’essere anziché con il fare. Un’ideologia come quella di Il’in pretende di spiegare perché certi uomini abbiano denaro e potere escludendo le motivazioni dell’avidità e dell’ambizione. Quale ladro non preferirebbe essere chiamato redentore?”

Vladimir Putin il redentore

Il secondo capitolo, Successione e Fallimento, riprende il concetto ilyiniano di ‘nazione innocente’ e di ‘redentore’ e analizza il percorso politico intrapreso dalla Federazione Russa dal crollo dell’URSS fino ad oggi. L’anno di svolta, come già affermato in precedenza, coincide con il biennio 2011-2012 quando Putin, gettando discredito sulle elezioni democratiche, indossa il mantello dell’eroico redentore e getta il suo Paese nel pieno dilemma di Ilyin, riassumibile in questa proposizione: ‘nessuno può cambiare in meglio la Russia finché Putin rimane in vita, e nessuno in Russia è in grado di dire cosa accadrà dopo la sua morte’.

Snyder sottolinea come, a partire dalle elezioni del 2012, la Federazione Russa, nata nel 1991 come una repubblica costituzionale, legittimata dalla democrazia, dove il presidente e il parlamento sarebbero stati scelti attraverso elezioni libere, abdichi al principio di successione.

Nonostante “la democrazia non si è mai davvero affermata in Russia, nel senso che il potere non è mai passato di mano in seguito a elezioni libere”, Putin avrebbe spinto alle estreme conseguenze il concetto di “democrazia gestita”, al punto di non negare neppure di aver alterato le regole del gioco democratico. Le elezioni, non sono più un mezzo per esprimere la volontà dei cittadini ma diventano, proprio come teorizzato da Ilyin, solo un rituale. Per il filosofo fascista la Russia avrebbe dovuto essere uno Stato apartitico, redento da un solo uomo e i partiti semplicemente dei simulacri utili unicamente per ritualizzare le elezioni.

“Il 5 marzo 2012, circa venticinquemila cittadini russi protestarono a Mosca contro i brogli alle elezioni presidenziali. Per Putin, i mesi tra il dicembre del 2011 e il marzo del 2012 furono un momento di scelta. Avrebbe potuto ascoltare le critiche alle elezioni parlamentari. Avrebbe potuto accettare l’esistenza delle votazioni e vincere al ballottaggio anziché già al primo turno; in fondo, la vittoria al primo turno non era nient’altro che una questione di orgoglio. Avrebbe potuto comprendere che molti contestatori erano preoccupati riguardo al principio di legalità e al principio di successione nel loro Paese. Invece, sembrò prendere le proteste come un’offesa personale”.

Putin decide in uno primo tempo di associare l’opposizione democratica alla sodomia globale (il tema verrà ripreso ai tempi del Maidan di Kyiv dipingendo l’Accordo di Associazione Economica dell’Ucraina con la UE come un tentativo, da parte della Gayropa, ossia dell’Europa dei gay, di minare i valori cristiani in Ucraina), in una seconda fase afferma che i contestatori sono al servizio di una potenza straniera, ossia degli Stati Uniti, il cui diplomatico più importante è una donna: Hillary Clinton.

Ovviamente il Cremlino non produce alcuna prova, del resto il punto non è quello piuttosto scrive Snyder “inventare una storia sull’influenza straniera e usarla per cambiare la politica interna”. Putin decide di scegliersi il nemico che meglio si adatta alle sue necessità di leader, non quello che minaccia realmente il suo paese.

“L’Occidente venne scelto come nemico proprio perché non rappresentava nessuna reale minaccia per la Russia. A differenza della Cina, l’Unione Europea non aveva né un esercito, né un lungo confine in comune con la Russia. Gli Stati Uniti, d’altro canto, pur avendo un esercito, avevano ritirato la stragrande maggioranza delle loro truppe dal continente europeo: da circa 300.000 uomini nel 1991 a circa 60.000 nel 2012. La NATO esisteva ancora, e aveva annesso alcuni ex Paesi comunisti dell’Europa dell’Est, ma il presidente Barack Obama aveva cancellato nel 2009 il piano americano per la costruzione di un sistema di difesa missilistico nell’Europa orientale, e nel 2010 la Russia stava permettendo agli aerei americani di attraversare il proprio spazio aereo per andare a rifornire le forze statunitensi in Afghanistan”.

L’Unione Europea e gli Stati Uniti vengono dipinti dalla propaganda del Cremlino come minacce semplicemente perché le elezioni russe sono state manipolare. La presentazione degli Stati Uniti e della UE come nemici sarebbe diventata la premessa della politica russa, dopo che “Putin aveva ridotto lo Stato russo al proprio clan oligarchico e al suo momento presente”.

Con il ritorno di Putin alla presidenza nel 2012, lo Stato russo viene trasformato in modi che corrispondevano alle idee di Ilyin. A partire da questo periodo la Russia si trasforma in uno stato fascista. La diffamazione diventa un illecito penale, la religione ortodossa si allea con il Cremlino divenendo a tutti gli effetti un suo braccio armato, comincia la persecuzione delle organizzazioni non governative, si glorificano carnefici del passato come Felix Dzerzinskij, fondatore della Cheka, cui viene intitolata una nuova unità dell’FSB, si distruggono gli archivi di Memorial, centro che aveva documentato le sofferenze dei cittadini sovietici ai tempi di Stalin.

In un articolo del 23 gennaio 2012, uscito qualche settimana dopo le elezioni parlamentari, Putin abolisce i confini legali della Federazione Russa e descrive la Russia non come uno Stato ma come una condizione spirituale gettando di fatto le basi per la ‘giustificazione teorica’ della guerra in Ucraina di due anni più tardi.

Vladimir Putin si erge dunque a redentore ilyiniano che emerge da oltre i confini della storia e incarna misticamente il passato millenario russo. Peccato, fa notare Snyder, che ai tempi di Volodymyr e del battesimo della Rus, la città di Mosca non esistesse neppure e che lo stato medioevale della Rus non coincida affatto con l’attuale Russia.

Imperi, stati nazionali e democrazie

Il terzo capitolo, Integrazione e Impero, si apre con una riflessione di grande momento sul principio di successione attraverso il quale uno Stato esiste nel tempo, sul principio di integrazione attraverso il quale uno Stato, organizzando i propri rapporti con l’estero, esiste nello spazio e sul fenomeno, già sperimentato agli inizi del Novecento, della globalizzazione.

Come spesso accade, la riflessione su ciò che in apparenza sembra scontato si rivela molto utile, nel nostro caso fondamentale per comprendere la crisi delle nostre democrazie e per tentare di fornire qualche risposta di carattere politico. Nell’epilogo del saggio Snyder torna su questi concetti sottolineando la necessità da parte di uno stato di dotarsi di un principio di successione e di una qualche forma di integrazione ma anche la necessità da parte dei cittadini di coltivare una politica della responsabilità perché “studiando le virtù che la storia ci rivela, diventiamo i costruttori di un rinnovamento che nessuno può prevedere”.

È proprio attraverso lo studio della storia che Snyder smaschera le menzogne del Cremlino sulla Rus di Kyiv e, con grande onestà intellettuale, pure gli eccessivi entusiasmi occidentali su cui si è costruita prima la politica dell’inevitabilità e oggi, anche grazie al dilagare della propaganda russa, la rinascita in Europa dei nazionalismi.

Considerare l’integrazione europea come qualcosa di dato, dimenticando l’esistenza di altri modelli, è stato sicuramente un grave errore che combinato alla dezinformatsiya russa ha contribuito a incrinare la fiducia nelle istituzioni democratiche europee. Lo studio della storia ci dice come i nazionalismi siano stati l’anticamera di nazismo e stalinismo, ossia del totalitarismo.

Chi, facendo propria la retorica sovranista/nazionalista, auspica il ritorno agli stati nazionali come a un’idealizzata età dell’oro dimostra o di non conoscere la storia o di sponsorizzare l’agenda del Cremlino per un mero interesse privatistico.

La storia ci insegna che gli Stati nazionali, sorti dalla disgregazione dei quattro grandi imperi (zarista, asburgico, tedesco e ottomano), hanno avuto una vita piuttosto breve finendo presto risucchiati entro entità totalitarie come la Germania Nazista e l’Unione Sovietica che, con il Patto Molotov-Ribbentrop, strinsero addirittura un’alleanza per spartirsi l’Europa.

“Nel 1950, il comunismo aveva conquistato quasi tutta quella zona dove, al termine della Prima guerra mondiale, si erano affermati degli Stati nazionali. In seguito alla Seconda Guerra Mondiale, così come in seguito alla Prima, l’opzione dello Stato nazionale dimostrò di essere un’alternativa impercorribile per l’Europa”.

Mentre l’Europa orientale stava sperimentando il comunismo sovietico, quella Occidentale, sfruttando l’appoggio finanziario statunitense, aveva intrapreso un nuovo esperimento con il principio di legalità e le elezioni democratiche.

“Anche se le politiche si differenziavano profondamente da Stato a Stato, in generale in quei decenni l’Europa costruì un sistema di assistenza sanitaria e di previdenza sociale che le successive generazioni avrebbero dato per scontato. Nell’Europa centrale e occidentale, lo Stato non dipendeva più dall’impero ma poteva essere salvato attraverso l’integrazione”.

L’efficacia di questo modello fa sì che, con il crollo dell’URSS, ben undici Paesi post-comunisti (Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Lettonia, Lituania, Estonia e Croazia) aderiscano alla UE.

Nel 2013 anche l’Ucraina decide di avvicinarsi, inizialmente con la sottoscrizione di un Trattato di Associazione Economica, alla UE. Ma la firma avverrà solo nel 2017 dopo che la Russia per impedire l’avvicinamento di Kyiv all’Europa, ha invaso prima la Crimea, annettendosela e ha poi aperto un fronte di guerra nella regione orientale del Donbas.

Negli anni Duemiladieci, nazionalisti, sovranisti e fascisti contrari alla UE iniziano a promettere agli europei un ritorno a una storia nazionale immaginaria. La Russia, incapace di creare uno Stato stabile caratterizzato da legalità e da un principio di successione, decide di presentarsi come un modello per l’Europa enfatizzando non la prosperità e la libertà, valori non conseguibili in Russia, ma sessualità e cultura dipingendo Europa e Stati Uniti come minacce ai presunti valori della Santa Madre Russia.

“In quest’ottica, Putin non era uno statista fallito ma un redentore nazionale. Quelli che la UE potrebbe descrivere come fallimenti di governo andavano visti come il fiorire dell’innovazione russa”.

Il modello da contrapporre all’Occidente corrotto e all’Unione Europea governata da gay, pervertiti e lobby ebraiche è l’Eurasia ossia un impero che si estende da Vladivostok fino a Lisbona con capitale Mosca, città sin dai tempi dell’Orda d’Oro mongola “al riparo dalle corruzioni europee come la tradizione classica greca e romana, il Rinascimento, la Riforma e l’Illuminismo”.

Prima di occuparsi di Dugin, il più famoso teorico dell’Eurasia attuale, Snyder dedica diverse pagine all’eurasiatismo degli anni Venti di pensatori contemporanei di Ilyin, alla tradizione slavofila che si opponeva al pensiero degli occidentalisti nell’Ottocento e al pensiero di Lev Gumilev con cui negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta del Novecento si ebbe il rilancio della tradizione euroasiatica in Unione Sovietica.

L’Eurasia degli anni Duemiladieci, ossia quella teorizzata da Dugin e dall’Izborsk Club, un club fondato dallo scrittore fascista Prokhanov, si fonda su due concetti: la corruzione dell’Occidente e la malvagità degli ebrei.

Snyder fa giustamente notare come Dugin, che nei primi Anni Novanta scriveva usando lo pseudonimo Sievers, scelto per richiamarsi a Wolfram Sievers, un nazista tedesco famoso per la sua collezione di ossa di ebrei assassinati, abbia sempre usato il termine Eurasia “per dare un suono più russo alle sue idee naziste”.

Dopo aver perorato la causa di “un fascismo rosso e senza confini” fondando nel 1993 assieme a Eduard Limonov il Partito nazionalbolscevico, agli inizi del XXI secolo Dugin, dovendosi confrontare con il successo dell’Unione Europea, inizia a parlare di “un’Eurasia che avrebbe dovuto includere l’Ucraina come elemento della civiltà russa”.

L’ucrainofobia, l’antisemitismo e l’odio per l’Occidente lo portano a fondare nel 2005 un movimento giovanile, sostenuto dallo Stato, i cui membri chiedono la disgregazione e la russificazione dell’Ucraina.

Nove anni più tardi Dugin, nel frattempo divenuto uno degli ideologi e degli spin doctors del Cremlino, sarà tra i massimi sostenitori dell’intervento russo in Donbas. Sarà proprio lui a fabbricare la fake news secondo cui l’esercito ucraino durante la ‘primavera russa’ avrebbe crocifisso un bambino nella città di Slovyansk.

Con l’occupazione della Crimea e la guerra in Donbas caldeggiate da Dugin e dal circolo fascista di Prokhanov la Russia di Putin inaugura una nuova era nella sua storia quella dello schizofascismo. Scrive acutamente Snyder come la ‘primavera russa’ abbia portato alla ribalta “una nuova varietà di fascismo, che si potrebbe chiamare schizofascismo : i veri fascisti che chiamano «fascisti» gli avversari, accusando gli ebrei dell’Olocausto e usando la Seconda guerra mondiale per giustificare ulteriori violenze”.

Putin arrivò a definire fascisti gli ucraini che si opponevano all’invasione del Donbas. La politica estera russa del 2014 era molto simile a quella praticata da Hitler e da Stalin negli Anni Trenta.

“Il Piano di politica estera del ministro Lavrov, invocato per giustificare l’invasione dell’Ucraina, ribadì il principio secondo cui uno Stato poteva intervenire per proteggere chiunque considerasse un rappresentante della propria cultura. Era la stessa argomentazione che Hitler aveva usato per annettere l’Austria, per dividere la Cecoslovacchia e per invadere la Polonia nel 1938 e nel 1939, e la stessa che Stalin aveva usato quando aveva invaso la Polonia nel 1939 e annesso l’Estonia, la Lettonia e la Lituania nel 1940”.

Fake news, dezinformatsiya, misure attive

Uno dei capitoli più interessanti del saggio è quello intitolato Verità o menzogne. Snyder, dopo aver spiegato che attraverso la dezinformatsiya diffusa da social media, spesso attraverso account fake (bot), e troll la Russia ha consolidato la sua politica dell’eternità, passa a esaminare casi concreti di fake news utilizzate per riorientare le opinioni della gente su temi sensibili, come l’immigrazione, capaci di creare delle fratture all’interno delle democrazie occidentale in Europa e negli Stati Uniti.

Interessante anche l’analisi del termine guerra ibrida usato per definire la guerra della Russia contro l’Ucraina.

“Il problema di usare espressioni in cui il sostantivo «guerra» è qualificato da un aggettivo come «ibrida» è che suonano come «guerra meno qualcosa», mentre il loro reale significato è «guerra più qualcosa». L’invasione dell’Ucraina era una guerra regolare, come pure una campagna partigiana per indurre i cittadini ucraini a combattere contro il proprio esercito. Oltre a questo, fu anche la più vasta ciberoffensiva della storia”.

Approfondendo con dovizia di particolari e veri e propri case studies (abbattimento del MH17, Brexit e presunto stupro, in realtà mai avvenuto, di una cittadina tedesca di origini russe da parte di un immigrato) temi cruciali quali guerra ibrida, uso manipolativo dei social, questo capitolo risulta propedeutico a quello finale Uguaglianza e Oligarchia in cui Snyder svela i contorni dell’operazione che ha portato nel 2016 all’elezione negli Stati Uniti di Donald Trump. Sicuramente il più grande successo assieme alla Brexit della guerra di Putin contro l’Occidente.

“Dopo aver usato i propri bot su Twitter per incoraggiare il «Leave» nel referendum sulla Brexit, la Russia li rimise all’opera negli Stati Uniti. In diverse centinaia di casi (come minimo), gli stessi bot che avevano lavorato contro l’Unione Europea attaccarono Hillary Clinton; la maggior parte dei messaggi dei bot stranieri erano pubblicità negativa nei suoi confronti. […] Troll e bot russi si mossero anche per sostenere direttamente Trump nei momenti cruciali: lodarono lui e la Convention nazionale repubblicana su Twitter, e quando Trump dovette affrontare il difficile momento del dibattito con la Clinton, troll e bot russi riempirono l’etere con dichiarazioni che sostenevano che aveva vinto o che il dibattito era stato in qualche modo manovrato contro di lui. Negli Stati in bilico vinti da Trump, l’attività dei bot si intensificò nei giorni prima delle elezioni. Il giorno stesso delle votazioni, i bot stavano lanciando l’hashtag #WarAgainstDemocrats («Guerra ai Democratici»)” .

Timothy Snyder – La paura e la ragione. Il collasso della democrazia in Russia, Europa e America (Rizzoli, 2018)












.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38319
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Messaggioda Berto » dom mag 08, 2022 10:14 am

Le guerre di Putin per la riconquista dell'impero russo.


Tutte le guerre di Putin dal 1999 all'Ucraina di oggi
Barbara Massaro
30 marzo 2022

https://www.panorama.it/news/dal-mondo/ ... na-di-oggi

Da quando lo scorso 24 febbraio la Russia ha invaso l’Ucraina dichiarando, di fatto, guerra all’Occidente (attraverso la Nato) i riflettori del mondo sono tornati a puntare – ancora una volta- sulla cosiddetta polveriera balcanica.

Dal crollo dell’ex Unione Sovietica, infatti, l’intero territorio è stato soggetto a una serie di conflitti, tensioni, guerre e battaglie che – purtroppo - nulla hanno da invidiare al mezzo secolo di Guerra Fredda che ha contrapposto l’Occidente all’ex blocco comunista, contrapposizione, di fatto, mai risolta.

Più o meno sono una ventina i conflitti armati cui la Russia post URSS ha partecipato negli ultimi 30 anni e la maggior parte di questi ha il sigillo della Z di Putin in calce.

A riavvolgere a ritroso il nastro della storia dalla fine dell’URSS la Russia ha firmato una guerra ogni 18 mesi; conflitti giustificati dalla necessità di ristabilire la pace, di sostenere fazioni filo russe o di aiutare alleati in difficoltà, ma in realtà guerre che mal celano il desiderio russo di tornare a dominare l’intero territorio che si snoda al di là degli Urali e di sedare le spinte centrifughe della costellazione di repubbliche nate dal crollo dell’URSS.

La fine dell’era Eltsin

All’alba dell’era Eltsin i cannoni puntati sulla Georgia hanno portato allo scoppio della prima guerra cecena (1994-1996) un genocidio finito con un armistizio che non piaceva a Mosca. Dopo la fine ufficiale degli scontri a fuoco la Cecenia si è trasformata in un far west dove mafia, corruzione e criminalità impedivano il ritorno di qualsivoglia forma di controllo pubblico sul paese. Putin, al momento della sua ascesa al Cremlino – 9 agosto 1999 - senza esitazione, ha preso in mano lo scettro del potere e la guerra è stata la lingua attraverso la quale lo Zar ha regolato le sue relazioni internazionali sia con l’Occidente sia con la costellazione delle repubbliche ex sovietiche.

Il terreno Putin se lo stava coltivando bene già da un pezzo. Gioco facile per l’ex tenente colonello del Kgb arrivato a Mosca nel 1996 per ricoprire la carica di capo delegato per la gestione della Proprietà presidenziale. Eltsin allora, alcolizzato e malato, stava affondando la neonata federazione russa con una politica economica scellerata che aveva ridotto i russi in uno stato di povertà assoluta permettendo il dilagare di corruzione e criminalità.

La seconda guerra cecena: 1999-2009

E così Putin ha visto bene di chiudere la questione cecena sedando ogni spiraglio indipendentista della piccola repubblica caucasica. L’occasione è stata fin troppo ghiotta. L’8 agosto 1999 – giorno prima dell’insediamento ufficiale di Putin – erano state inviate truppe russe nella regione caucasica del Daghestan, una della 85 entità amministrative che componevano la Federazione russa per sedare la guerriglia islamista cecena che aveva occupato quattro villaggi. Due giorni dopo i 4 villaggi avrebbero dichiarato l’indipendenza dando il là al via della marcia russa sulla Cecenia. Dopo 4 settimane il Daghestan era riconquistato. Meno di un mese dopo una serie di attentati sospetti a Mosca e in altre città russe furono imputati alle milizie filo islamiste cecene e furono il bottone rosso schiacciato per avviare la macchina da guerra di Putin. Certo, come dimenticare che la giornalista Anna Politkovskaja e l’ex spia Alexander Litvinenko rivelarono come ci fosse l’Fsb, l’ex Kgb, dietro quegli attentati, ma Anna e Alexander vennero ammazzati e con loro anche la verità sull’inizio del massacro ceceno.

L’offensiva russa fu brutale. L’episodio più noto fu la pioggia di bombe sul mercato di Grozny, capitale cecena, il 21 ottobre 1999. Morirono 140 civili, per lo più donne e bambini. Durante un decennio la Russia mosse la sua crociata contro il terrorismo ceceno massacrando la popolazione in nome del ritorno all’ordine. L'esatta stima delle perdite di questa guerra è tuttora sconosciuta, anche se fonti non ufficiali contano un numero di circa 25.000 - 50.000 vittime tra morti, feriti e dispersi, molti dei quali tra i civili.

Il fronte kosovaro

Mentre il fronte ceceno rimaneva aperto Putin (che nel frattempo, nel 2000, era stato confermato al Cremlino con il 53% dei voti) aveva già deciso che la seconda questione da chiudere era quella kosovara. Mosca da un anno faceva parte, insieme ai paesi Nato della Kosovo Force, un’operazione di peacekeeping volta a trovare una soluzione alle tensioni belliche in corso da un decennio tra gli indipendentisti filo albanesi e i fedeli Ortodossi filo serbi vicini alla Russia. Se però i paesi Nato puntavano a favorire l’indipendentismo albanese, il peso sulla Kosovo Force e soprattutto il timore di incendiare un’altra volta la polveriera balcanica hanno determinato la scelta di appoggiare gli ortodossi a scapito degli albanesi. In questo periodo la Russia si è avvicinata tanto all’Occidente da entrare a far parte del G8.

La prima guerra del nuovo millennio: la Georgia

La prima guerra del XXI secolo è rapidissima e violenta. La Georgia cercava da tempo di liberarsi dall’influenza di Mosca, ma per farlo avrebbe dovuto affrancarsi dalle regioni russofile dell’Abkhazia dell’Ossezia del Sud. E così la notte del 7 agosto 2008 la Georgia bombardò la capitale sud-osseta Tskhinvali provocando centinaia di morti e enormi distruzioni.

Mosca non aspettava altro: la mattina dopo la Russia intervenne a fianco dei secessionisti e la Georgia dichiarò lo stato di guerra, nei giorni successivi il conflitto si allargò in Abkhazia. Con la mediazione dell’allora presidente francese Nicolas Sarkozy il 12 agosto fu raggiunto l’accordo per il cessate il fuoco.

Due settimane dopo Mosca riconobbe l’indipendenza delle due repubbliche separatiste.

In quel periodo in realtà al Cremlino la poltrona presidenziale era occupata da Medvedev, stretto collaboratore di Putin. L’ex presidente non aveva potuto ricandidarsi per la terza volta perché non previsto dalla costituzione. Putin era rimasto, però, al Cremlino in qualità di primo ministro ma, di fatto, non aveva mai perso le redini del potere. Alle presidenziali del 4 marzo 2012 Putin si ricandidò vincendo a mani basse con il 64% dei voti. Da allora è sempre stato presidente e ha visto bene di mettere mani alla costituzione garantendosi la poltrona almeno fino al 2035.

Mosca e le guerre degli altri

Oltre ai conflitti diretti intrapresi da Mosca c’è anche da tenere conto delle volte in cui il Cremlino ha fornito appoggi più o meno indiretti a conflitti in corso determinandone la sorte come nel caso della Siria. Putin scese in campo a gamba tesa a favore del Presidente Assad in un momento che, il numero uno siriano, ormai fiaccato avrebbe perso a breve le redini del Paese. Dopo undici anni di guerra, 400mila morti, undici milioni di profughi grazie a Putin il dittatore di Damasco riuscì a ribaltare il fronte e a ricacciare fazioni ribelle e jihadisti.

Ripercorrendo tutti gli interventi armati di questi decenni Putin con le sue armate era sempre presente dalla contesa del Batken fra kirghizi e tagiki (1999), agli scontri etnici nel sud del Kirgizistan (2010) il Cremlino ha utilizzato la guerra come canale di comunicazione del suo potere sul mondo

La guerra in Crimea 2014

Per capire come si è arrivati alla guerra in Ucraina di queste settimane bisogna però ricordare quanto accaduto a Sochi, in Russia, nel 2014 durante lo svolgimento dei primi giochi olimpici in territorio russo della storia. In quell’occasione gli scontri presso la tendopoli pro-Ue di Maidan a Kiev provocarono il ribaltamento del governo filo-russo di Yanukovic.

La reazione di Putin – come sempre immediata - fu quella di mandare soldati russi senza mostrine né bandiere – i cosiddetti mercenari del Gruppo Wagner - a occupare militarmente la penisola di Crimea, annettendola ufficialmente il 18 marzo.

Le conseguenze di questi fatti, con gli anni di guerriglia separatista nel Donbass e i mercenari a orologeria intervenuti sullo scacchiere sono la premessa delle bombe di oggi su Kiev.

Il penultimo intervento militare russo risale solo a due mesi fa, quando Putin è intervenuto a favore dell’enorme area ex sovietica del Kazakhstan. A gennaio (e i piani per l’Ucraina erano già in fase di avanzata composizione) il Cremlino ha inviato le forze armate ad aiutare il presidente Kassym-Jomart Tokayev a far rientrare i violenti moti di protesta innescati dall’aumento dei prezzi dell’energia. Una mossa astuta che ha permesso a Mosca di sedare il clima teso nella zona e mantenere gli equilibri della regione come richiesto dalla vicina Cina che, guarda caso, oggi si dimostra morbida e dialogante sul tema Ucraina..



Le guerre di Putin: dalla Cecenia alla Georgia, tutti i conflitti della Russia dopo la fine dell'Unione Sovietica
Enrico Franceschini
10 marzo 2022

https://www.repubblica.it/esteri/2022/0 ... 340897694/

Quando crollò l’Unione Sovietica, nel 1991, sembrò che l’evento fosse avvenuto senza atroci spasmi, senza violenza, senza sangue. Certo, negli anni precedenti la repressione dell’Armata Rossa nel Baltico e nel Caucaso aveva causato vittime; e anche nel fallito golpe contro Mikhail Gorbaciov nell’estate di quello stesso anno avevano perso la vita tre giovani saliti sulle barricate per ostacolarlo.

Ma la scomparsa dell’Urss, formalizzata a dicembre, facendo sorgere al suo posto quindici nazioni indipendenti compresa la Russia, era stata una faccenda per lo più indolore. Si diceva che la Rivoluzione del 2017, al di là della retorica un golpe della minoranza bolscevica pressoché incruento e circoscritto a Pietrogrado, come si chiamava allora l’ex-San Pietroburgo e la futura Leningrado, era stata comunicata al resto dell’impero degli zar “con un telegramma”: e la fine di quel colossale e per molti versi mostruoso esperimento chiamato Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche era stata simile.

“Abbiamo detto troppo presto che l’Urss era implosa senza spari e senza sangue”, commenta in questi giorni, di fronte alla brutale invasione russa in Ucraina, un diplomatico italiano che era a Mosca in quei giorni di trenta e passi anni fa. Del resto, dopo la rivoluzione del ’17 venne una spaventosa guerra civile fino al 2022, che ebbe per epicentro, corsi e ricorsi della storia, la guerra tra rossi e bianchi proprio in Ucraina. In modo analogo, nei tre decenni trascorsi dalla scomparsa dell’impero sovietico, di sanguinosi conflitti ce ne sono state tanti. Ecco quali sono state le guerre di Vladimir Putin.

Ha cominciato Putin a lanciare iniziative militari, dopo il crollo dell’Urss?

No. Già sotto Boris Eltsin, presidente della Russia, di fatto il successore di Gorbaciov e il predecessore di Putin, Mosca ha mandato le sue truppe a combattere in altre ex-repubbliche sovietiche, per reprimere rivolte o partecipare a conflitti locali: in Georgia nel ’91-’93, in Moldavia nel ’92 (dove si consolidò la Repubblica di Transnistria, un eclave russofono tuttora fedele alla Russia e separato dal resto della piccola nazione), in Inguscezia (una regione russa ai confini del Caucaso) sempre nel ’92, in Tagikistan nel ’92-’97, e soprattutto nella prima guerra cecena nel ’94.’96, quando Eltsin tentò di piegare la ribellione separatista della Cecenia, regione autonoma che produce l’1 per cento del petrolio russo e dunque di cruciale importanza.

L’ultimo conflitto ordinato da Eltsin fu in un’altra regione autonoma separatista russa, il Daghestan, nell’agosto ’99, ma è il caso di notare che dal mese prima al Cremlino, come primo ministro, c’era già anche Putin, che sarebbe diventato presidente a interim, su designazione di Eltsin, il 31 dicembre, poi confermato da un voto popolare tre mesi più tardi.

Dunque quale è stata la prima guerra di Putin?

La seconda guerra cecena, anche quella in realtà iniziata nell’estate del ’99 quando Putin era primo ministro, ma andata avanti con una ferocia senza precedenti fino al 2000 e poi ancora con operazioni limitate contro la guerriglia cecena fino al 2009. La capitale cecena Grozny (che in russo significa “la terribile”, nome imposto dagli zar dopo una guerra dei secoli precedenti) fu quasi completamente rasa al suolo dai bombardamenti russi: un modello per quello che Putin ha fatto in seguito ad Aleppo, in Siria, e per quanto sta facendo in Ucraina. Usando la forza senza limiti, e corrompendo alcuni capi ceceni per portarli dalla propria parte, Putin riuscì a vincere un conflitto che sembrava irrisolvibile.

C’è da notare che a scatenare la seconda guerra cecena o meglio l’attacco russo, violando accordi firmati dopo la prima guerra, furono una serie di attentati che fecero centinaia di morti a Mosca: vari osservatori, tra cui il difensore dei diritti umani Sergej Kovalev e l’ex-agente del Kgb Aleksandr Litvinenko (più tardi assassinato a Londra con il polonio radioattivo nel tè da agenti collegati al Cremlino), sostengono che fu l’Fsb, il servizio segreto russo erede del Kgb sovietico, del quale Putin aveva fatto parte per sedici anni e di cui era stato il capo prima di diventare premier e presidente, a mettere le bombe in edifici di civili, per accusare poi “terroristi ceceni”, suscitare indignazione nella popolazione russa e avere una scusa per ricominciare la guerra con metodi più duri di prima. Si calcola che ci furono tra 50 mila e 80 mila morti.

Ma la prova generale per l’invasione dell’Ucraina è stata un’altra?

Sì, è stata la guerra in Georgia nel 2008. Le somiglianze sono impressionanti. Un governo filo-occidentale, che era stato eletto democraticamente a Tbilisi al posto di uno filo-russo, aveva chiesto di entrare nella Nato per proteggersi dall’onnipresente minaccia di Mosca. Putin reagì invadendo due regioni autonome georgiane, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, dove un conflitto a intermittenza era in corso fin dai tempi dell’Urss, ufficialmente giustificando l’intervento con la necessità di proteggere la popolazione delle due regioni, a maggioranza russa, da discriminazioni del governo georgiano.

Da allora Abkhazia e Ossezia del Sud sono praticamente sotto il controllo del Cremlino e a Tbilisi, come risultato della guerra, si è insediato un governo di nuovo filo-russo. Tuttavia di fronte all’invasione dell’Ucraina ci sono state in Georgia manifestazioni di protesta talmente massicce contro Mosca da indurre l’attuale governo a chiedere, proprio nei giorni scorsi, l’adesione all’Unione Europea, sebbene i commentatori ritengano che si tratti più di una mossa politica per calmare la piazza che di una intenzione reale, poiché il procedimento di adesione richiederebbe comunque molti anni e non è chiaro come si concluderebbe, specie con due aree della Georgia ancora in stato di guerra contro Tbilisi. Un caso da manuale di quello che Putin ha fatto successivamente in Ucraina a partire dal 2014 a oggi.

Come si è svolta la “prima guerra” contro l’Ucraina, se così si può definire?

Con le stesse ragioni usate per l’intervento in Georgia, la protezione della minoranza russa, e le medesime motivazioni reali, impedire la richiesta di adesione alla Nato presentata dal governo filo-occidentale eletto a Kiev dopo un governo filo-russo, Putin ha invaso con le proprie truppe la penisola della Crimea, annettendola quasi immediatamente, e ha usato forze non regolari ma controllate dal Cremlino per invadere parte del Donbass, le regioni autonome di Donetsk e Lugansk, la zona mineraria dell’Ucraina che confina con la Russia ed è storicamente da sempre abitata in prevalenza da una popolazione di etnia e lingua russa. Quella “prima guerra ucraina” ha fatto 7 mila morti e decine di migliaia di feriti, suscitando in Occidente proteste un po’ più forti di quelle che avevano accompagnato l’invasione russa della Georgia nel 2008, ma non abbastanza forti da impensierire Mosca o da causare danni alla sua economia.

Perché la “seconda guerra” contro l’Ucraina è scoppiata proprio ora?

Ci sono varie ipotesi. In Ucraina la situazione era praticamente invariata rispetto al 2014. Ma altrove sono successe cose che possono avere spinto Putin a decidere che fosse il momento giusto per prendersi tutta l’Ucraina o perlomeno per prendersene un pezzo e installare un governo fantoccio a lui fedele nella parte che rimane formalmente indipendente: l’imbarazzante ritiro americano dall’Afghanistan; la Brexit che ha indebolito e diviso l’Europa, separando il Regno Unito dall’Unione Europea; un cancelliere appena insediato in Germania dopo il lungo governo di Angela Merkel; le imminenti elezioni presidenziali in Francia, potenziale distrazione per Parigi. La convinzione, insomma, di poterla fare franca, con una facile vittoria militare sul campo e senza pagare un prezzo troppo alto in sanzioni occidentali.

Ci sono state altre avventure militari sul fronte interno nell’era Putin?

Insurrezioni in varie regioni del Caucaso settentrionale, tra il 2009 e il 2017, hanno provocato l’intervento delle forze russe: non solo in Cecenia, come già detto, ma anche in Daghestan, Inguscezia, Kabardino-Balkaria e Ossezia del Nord. Inoltre Putin ha inviato truppe in Bielorussia e Kazakistan, l’anno scorso e quest’anno, per aiutare il regime autoritario locale a reprimere vaste rivolte popolari, così rimettendo sotto il controllo di Mosca anche quelle due ex-repubbliche sovietiche.

Nel frattempo Putin è entrato in guerra anche all’estero?

Sì, in Siria, in Libia, nella Repubblica Centroafricana, nel Mali, in modo diretto e manifesto oppure occulto, attraverso il dispiegamento del Gruppo Warner, unità di soldati mercenari che in realtà secondo molto osservatori dipendono dal ministero della Difesa e dal ministero degli Interni russo. Ma pure l’Unione Sovietica ha partecipato direttamente o indirettamente a numerosi conflitti durante la guerra fredda, dalla guerra di Corea a quella del Vietnam.

Le guerre di Putin nell’ex-Urss, in conclusione, sono una cosa diversa?

Le guerre di Putin nei territori dell’ex-Urss hanno un altro significato: sono la coda sanguinosa e violenta del crollo dell’Unione Sovietica, il tentativo di Mosca di riprendersi quello che considera suo. L’ossessione del capo del Cremlino: riparare “la più grande tragedia geopolitica del ventunesimo secolo”, come lui definisce la fine dell’impero dei Soviet, che altri leader e altri popoli consideravano invece la liberazione da una dittatura durata settant’anni, il tramonto dell’ultimo impero multi-etnico della terra.



La guerra in Ucraina, ultimo episodio del disegno imperialista di Putin - VoxEurop
Andrea Pipino - Internazionale (Roma)
30 marzo 2022

https://voxeurop.eu/it/la-guerra-in-ucr ... -di-putin/

Il cerchio si è chiuso. Dal crollo dell’Unione Sovietica è bastata una generazione per far precipitare la nuova Russia all’inferno. Trent’anni di promesse mancate, speranze bruciate, segnali mal interpretati, da Eltsin che si arrampica sui carri armati nell’estate del 1991 e ferma il golpe dei sostenitori del regime sovietico fino alla messa in scena del 18 marzo 2022 allo stadio Lužniki: un carnevale ultranazionalista in cui il kitsch patinato dei video della musica pop russa degli anni duemila si è fuso con il gigantismo posticcio delle parate nordcoreane di Kim Jong-il. La fine di un’epoca.

Il compimento di una transizione che a un certo punto è impazzita e si è messa a girare all’incontrario, trasformando un paese post-sovietico, imperfetto ma curioso e vivace, in un mostro imperialista e neosovietico. Non doveva per forza andare così. E per quanto si voglia insistere sulle responsabilità e gli errori dell’occidente, è difficile pensare che quello che è successo a Mosca negli ultimi dieci anni sia esclusivamente il risultato di un’aggressiva strategia fondata sul mercato e delle interferenze occidentali nel delicato periodo della trasformazione degli anni Novanta.

Se così fosse, oggi ci troveremmo di fronte tante piccole Russie putiniane sparse in tutta l’Europa centro-orientale. Cosa che fortunatamente – pur con tutti i difetti delle democrazie dei paesi ex comunisti – non è la realtà.

Passaggio sanguinario

Tante volte, nelle analisi e nei tentativi di capire le motivazioni dell’attacco russo all’Ucraina, si è parlato di “umiliazione della Russia”. E spesso si è puntato il dito sull’ingresso nella Nato dei paesi dell’Europa centro-orientale, spiegato come allargamento o espansione dell’alleanza, con quella tipica mentalità occidente-centrica che tende sempre a privare ogni soggetto di una capacità decisionale autonoma. Tale espansione c’è stata perché a volerla sono stati gli europei dell’est, per i quali la fine della Seconda Guerra mondiale non è stata una liberazione ma il passaggio dal più sanguinario dei totalitarismi a un nuovo assetto politico, che dopo la prima fase rivoluzionaria si è dimostrato brutalmente autoritario.

L’ingresso nella Nato l’hanno chiesto, come garanzia alla propria sovranità e integrità territoriale, i paesi baltici, che dopo l’appartenenza all’impero zarista e i vent’anni d’indipendenza tra le due guerre furono nuovamente risucchiati nell’universo sovietico in seguito alla firma del patto Molotov-Ribbentrop (la loro appartenenza all’Urss non è mai stata formalmente riconosciuta dagli Stati Uniti). O i cechi, che nel 1968 avevano visto i carri armati del Patto di Varsavia distruggere l’esperimento delle primavere di Praga. O gli ungheresi, che dodici anni prima avevano vissuto un’esperienza simile, perfino più violenta. O i polacchi, memori delle repressioni dei moti operai del 1956 e del 1970 e della legge marziale del 1981I rapporti tra i russi e la Nato sono più complessi e più delicati di quanto spesso vengano dipinti

Il compimento di una transizione che a un certo punto è impazzita, si è messa a girare al contrario, trasformando un paese post-sovietico, imperfetto ma curioso e vivace, in un mostro imperialista e neosovietico

Spesso si cita il vertice Nato di Bucarest del 2008 come prova dell’avventuristico espansionismo dell’alleanza. Ma in effetti la dichiarazione con cui quel summit si chiuse sembra più una generica dichiarazione d’intenti, forzata dall’amministrazione statunitense, che una vera road map politica: “La Nato accoglie le aspirazioni euroatlantiche di Georgia e Ucraina. […] Oggi abbiamo concordato che questi paesi diventeranno membri della Nato”. Già allora era chiaro che i paesi europei dell’alleanza non avrebbero accolto volentieri l’ingresso di altre nazioni dell’est, soprattutto ex repubbliche sovietiche.

In soldoni, anche se la Russia non avesse invaso la Georgia nell’agosto del 2008, ufficializzando il suo controllo delle due repubbliche non riconosciute dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, che controllava già da sedici anni, difficilmente Tbilisi sarebbe entrata nella Nato in un arco di tempo relativamente breve.Lo stesso si può dire dell’Ucraina. Prima dell’intervento russo in Crimea e nel Donbass del 2014 i cittadini favorevoli all’ingresso nella Nato erano una netta minoranza, intorno al 20 per cento del totale.

E se il vero obiettivo di Mosca fosse stato tenere Kiev lontano dall’alleanza atlantica, per raggiungerlo sarebbe bastato limitarsi all’applicazione dei protocolli di Minsk. Qualcuno potrebbe ribattere che negli ultimi anni sul territorio ucraino si sono svolte diverse esercitazioni militari con la presenza di paesi Nato, per la comprensibile preoccupazione di Mosca. Va aggiunto, però, che mentre l’Ucraina e altri 23 stati, non solo della Nato, partecipavano nel luglio 2021 alle esercitazioni militari Sea breeze (cinquemila soldati coinvolti, organizzate dal 1997), Mosca aveva già ammassato decine di migliaia di soldati ai confini orientali dell’Ucraina.

Inoltre, quattro mesi prima le navi russe avevano partecipato insieme a quelle di diversi paesi Nato a una serie di manovre militari nel mare del Pakistan. I rapporti tra i russi e la Nato, insomma, sono più complessi e più delicati di quanto spesso vengano dipinti. Senza scomodare Pratica di mare o i vari protocolli e accordi siglati tra gli anni Novanta e gli anni Duemila, per avere un quadro più veritiero della situazione basta ricordare come gran parte del secondo conflitto ceceno (1999-2009) è stato combattuto dalla Russia sotto il cappello della cosiddetta guerra al terrore lanciata dagli Stati Uniti contro il jihadismo internazionale.

Un percorso verso la democrazia

Quanto all’Ucraina, di motivi per pretendere garanzie di protezione dal suo ingombrante fratello maggiore ne avrebbe diversi. Oltre all’attacco alla sua integrità territoriale del 2014, risultato della violazione del Memorandum di Budapest del 1994, e alle continue interferenze politiche del Cremlino, che hanno innescato prima la Rivoluzione arancione del 2004 poi la rivolta di Euromaidan del 2014, ci sono le ferite di un secolo terribile: l’occupazione sovietica dei territori della Galizia orientale e della Volinia nel 1939, la collettivizzazione forzata e i più di tre milioni di morti dell’Holodomor nel biennio 1932-33.

Comprensibile quindi che in questi trent’anni l’Ucraina indipendente abbia cercato, pur tra mille difficoltà e battute d’arresto, un suo percorso verso la democrazia e la formazione di un’identità nazionale plurale (multireligiosa e multilinguistica) al riparo dalle mire di Mosca.
2014: un “colpo di stato”?

A tale proposito, due parole vanno spese sui fatti del 2014. Se, come è scritto nell’Enciclopedia italiana Treccani, il “colpo di stato” è una trasformazione dell’ordinamento dei pubblici poteri “operata da uno degli stessi organi costituzionali”, allora quanto è successo a Kiev tra il novembre 2013 e il febbraio 2014 è tutto fuorché un golpe. Perché la natura della mobilitazione è popolare, quindi semmai rivoluzionaria.

Proviamo a ricostruire rapidamente gli eventi: le proteste cominciano spontaneamente quando il presidente Viktor Janukovič (le stesso deposto nel 2004 dalla Rivoluzione arancione per i gravissimi brogli alle elezioni presidenziali, poi riletto nel 2010) fa un’improvvisa marcia indietro e rifiuta di firmare l’accordo di associazione con l’Unione europea (che, è bene sottolinearlo, non significava affatto l’ingresso di Kiev nell’Ue).

Il motivo sta nelle fortissime pressioni del Cremlino, che promette a Kiev anche sconti sul gas e sostanziosi investimenti. I manifestanti chiedono le dimissioni del presidente e respingono il progetto politico e sociale incarnato dal suo regime, fatto di corruzione, autoritarismo sempre più scoperto e asservimento alla Russia.

“È impensabile che in Russia ci sia una rivoluzione democratica, come è inimmaginabile che l’Ucraina possa accettare un governo autoritario”.

Jaroslav Hrytsak, storico ucraino

La risposta del governo è brutale – rapimenti, pestaggi, omicidi – ma invece di fiaccare le proteste, ne rafforza la determinazione. Dopo tre mesi di mobilitazione, violenze, repressione, Janukovič scappa in Russia e a Kiev si insedia un governo d’emergenza guidato dal premier ad interim Arsenyj Jatsenjuk, che convoca subito elezioni presidenziali per il mese di maggio.

Negli stessi giorni il parlamento approva la proposta di abolire la legge del 2012 che attribuiva al russo lo status ufficiale di “lingua regionale”, proposta però bocciata dal presidente facente funzioni, Oleksandr Turčinov. A nessuno viene impedito di parlare il russo, come invece sostiene la propaganda di Mosca. Come tutto questo possa essere definito un golpe non è chiaro.

La risposta della Russia non si fa attendere. Il momento è propizio per mettere in pratica un progetto che il Cremlino cova da tempo – riprendersi la Crimea – e per appoggiare, con invio di miliziani e armi, la nascita di due repubbliche separatiste nell’est russofono del paese, la regione del Donbass. Il pretesto per l’intervento è la protezione dei russi dal governo di Kiev e l’obiettivo è lo stesso degli altri conflitti congelati seminati da Mosca nelle ex repubbliche sovietiche (oltre ad Abkhazia e Ossezia del Sud, c’è anche la Transnistria, in Moldova): indebolire la sovranità del paese colpito, creando elementi di instabilità nel suo territorio e mettendo quasi un’ipoteca sulle sue future scelte geopolitiche.

A chi sostiene che l’annessione della Crimea sia il risultato di un pronunciamento popolare, occorre ricordare che il referendum sulla sovranità della regione (già repubblica autonoma all’interno dell’Ucraina) è stato organizzato in due settimane sotto l’occupazione militare dei famigerati omini verdi, militari russi senza mostrine e simboli di appartenenza, mentre gli attivisti tatari e ucraini venivano fatti sparire e senza la possibilità di un seppur minimo dibattito pubblico. Che questo possa essere considerato un sistema accettabile per ridisegnare i confini di un paese sovrano è quantomeno singolare.

L’Ucraina fa storia a sé

Detto dei fatti di Euromaidan, vanno messe nella giusta prospettiva anche le accuse all’Ucraina di essersi radicalmente spostata a destra, perfino su posizioni neonaziste. Sono accuse chiaramente amplificate e diffuse dalla propaganda russa, ma non basate su elementi reali. È vero che nel paese esistono alcune sigle minoritarie di estrema destra. E l’ormai celebre battaglione Azov ha avuto un ruolo importante nei combattimenti nell’est del paese nel 2014, ed è poi stato integrato nella guardia nazionale ucraina. Ma si tratta di circa 1.000 soldati, che hanno una capacità di mobilitazione che non supera le 10mila persone. L’Ucraina ha 44 milioni di abitanti, e il suo esercito conta 125mila effettivi.

A livello politico, invece, il picco del successo dell’estrema destra (che ovviamente non vuol dire neonazisti) è stato raggiunto nel 2014, con l’1,8 per cento di Pravyj Sektor e il 4,7 per cento dei nazionalisti di Svoboda alle elezioni legislative. Nel 2019 il fronte nazionalista (Svoboda, Pravyj Sektor e altre due sigle minoritarie) ha raccolto il 2,1 per cento dei voti. L’unico deputato portato in parlamento è stato eletto in un collegio uninominale. Senza dover ricordare le origine ebraiche di Volodymyr Zelenskyj, e il fatto che diversi suoi parenti siano morti nella la Shoah, è evidente che chi definisce nazista un paese in base a criteri simili lo fa in malafede o perché completamente vittima della bugie del Cremlino (che peraltro i neonazisti e i suprematisti bianchi li ha ampiamente utilizzati nella guerra del Donbass, dove hanno combattuto diverse sigle dell’estremismo di destra russo – Gioventù eurasiatica, Unità nazionale russa, Altra Russia – e dove i primi leader delle repubbliche non riconosciute di Donetsk e Luhansk erano estremisti di destra e nazionalisti radicali russi).

Poi, a voler essere onesti, è abbastanza prevedibile che ogni violazione dell’integrità territoriale di un paese e della sua sovranità possano spostarne l’asse politico verso il nazionalismo. Ma anche qui il caso ucraino fa storia a sé: nonostante il Donbass separatista e la Crimea perduta, nel 2019 l’ex comico Zelenskyj ha sconfitto il presidente uscente Petro Porošenko proprio grazie alla scelta di non cavalcare l’etnonazionalismo e gli istinti bellicisti inevitabilmente presenti in parte della società. L’Ucraina precedente all’invasione russa era meno nazionalista di quella del 2015. E se c’è una cosa che questa mistificazione su nazisti ed estremisti di destra dimostra è la capacità della propaganda russa di avvelenare il dibattito e far circolare informazioni false o scorrette.

Il problema insomma, non è cosa ha fatto, cosa ha desiderato, cosa ha deciso l’Ucraina. Il problema è a Mosca. In quella miscela di autoritarismo sempre più sfacciato, ortodossia religiosa, revanscismo, nazionalismo e tradizionalismo che negli ultimi dieci anni sembra essersi impossessata delle élite del Cremlino. Il problema è l’ideologia che vuole negare agli ucraini il diritto di avere un paese indipendente e sovrano, che li cancella dalla storia e ne fa un’appendice della nazione russa.

La Russia è precipitata in una spirale autoritaria senza via d’uscita. Gli oppositori sono diventati dissidenti, e i dissidenti sono finiti in prigione

Più volte in questi giorni si è scritto e si è detto che dietro alla decisione di nvadere l’Ucraina ci siano le informazioni errate che Putin avrebbe ricevuto sul paese, la sua forza militare e la sua determinazione a difendere la propria sovranità. Gli errori dell’intelligence contano senz’altro. Ma al Cremlino c’è soprattutto una profonda incomprensione dei tratti salienti di una società che i leader russi immaginavano pronta a piegarsi e ad accogliere il “liberatore” moscovita e che invece sta dimostrando una straordinaria capacità di resistenza.

I rapporti tra i russi e la Nato sono più complessi e più delicati di quanto spesso vengano dipinti

Non per il culto della bandiera o per un astratto ideale di patria, ma per difendere la propria esistenza, per non rinunciare alla libertà di vivere in un paese che sia in grado di determinare in autonomia le proprie scelte e la propria posizione nel mondo. Come ha spiegato sul New York Times lo storico ucraino Jaroslav Hrytsak, i due paesi hanno cultura e lingua quasi comuni, ma tradizioni politiche diverse. Il risultato è che oggi “è impensabile che in Russia ci sia una rivoluzione democratica, come è inimmaginabile che l’Ucraina possa accettare un governo autoritario”.

Tutto questo le élite russe non l’hanno capito semplicemente perché non potevano capirlo. È come se Putin e la sua cerchia più ristretta, ex uomini dei servizi che al leader devono la ricchezza e il potere, fossero rimasti vittime della loro stessa propaganda, del genietto malefico del nazionalismo che ai tempi di Euromaidan hanno deciso di far uscire dalla lampada e che ha finito per fagocitare ogni loro pensiero e azione. Alla radice di questa radicalizzazione può esserci stato un freddo calcolo politico che poi ha portato a conseguenze inattese – Putin può aver cercato una contronarrazione dal basso da contrapporre alle parole d’ordine della democrazia e da usare come strumento di mobilitazione dopo l’ondata di proteste in Russia del 2011-12 – oppure la sincera adesione alle teorie eurasiste e imperialiste di Lev Gumilëv e più recentemente di Aleksandr Dugin. Ma il risultato non cambia: la Russia è diventata – o è tornata a essere – una potenza aggressiva, tradizionalista, nazional-imperiale.


Traiettorie perdute

Vent’anni fa non era detto che le cose dovessero prendere questa piega. All’inizio degli anni Duemila, la prima fase della presidenza dell’allora sconosciuto Vladimir Putin, il paese aveva di fronte a sé diverse possibili traiettorie. E aveva un grande bisogno di stabilità, modernizzazione economica e aperture compiutamente democratiche. In un tempo relativamente breve il primo obiettivo – che era senz’altro il più urgente – è stato raggiunto e per un certo periodo è perfino sembrato possibile che il paese prendesse la strada delle riforme politiche ed economiche, anche se con grande prudenza e in base alle proprie inclinazioni nazionali.

Con il passare degli anni è successo invece il contrario: gli spazi di libertà hanno cominciato a restringersi, le voci discordanti nel governo e al Cremlino hanno cominciato a essere marginalizzate, la repressione del dissenso si è fatta sempre più brutale, la diffidenza verso il mondo esterno ha raggiunto livelli mai conosciuti da decenni, la retorica ufficiale ha rispolverati i miti della missione storica, della grandezza e dell’unicità della Russia.

Il paese è così precipitato in una spirale autoritaria senza via d’uscita. Gli oppositori sono diventati dissidenti, e i dissidenti sono finiti in prigione. E si è capito definitivamente che, più delle armi della Nato, il vero spauracchio del Cremlino era la democrazia. In particolare quella che cercava faticosamente di affermarsi nelle vecchie terre dell’impero zarista e poi sovietico.
La Russia è diventata – o è tornata a essere – una potenza aggressiva, tradizionalista, nazional-imperiale

Oggi nelle università di Mosca s’incoraggiano gli studenti alla delazione di chiunque osi criticare la guerra di Putin, e in tutto il paese le "Z" simbolo dell’invasione compaiono sulle giacche dei bravi cittadini timorosi del potere e nei video della propaganda di stato. Il tutto mentre in tv il capo denuncia traditori e quinte colonne. Chi non ci sta, chi non accetta il progetto di “purificazione nazionale” avviato da Putin abbassa la testa e tace, protesta e viene arrestato, o decide di lasciare il paese.

Nonostante tutti gli errori che l’Europa, e soprattutto gli Stati Uniti, possano aver commesso nel rapporto con Mosca nel periodo successivo alla fine della guerra fredda, a umiliare la Russia non è stato l’ingresso dell’Estonia o della Lettonia nella Nato. E nemmeno l’intervento di Washington in Serbia nel 1999. In questi ultimi vent’anni, in fondo, Mosca ha fatto quel che le è parso e piaciuto in politica estera e all’interno del paese, dalla Cecenia alla Siria, dalla Georgia alla Crimea. E non ne ha mai pagato il prezzo.

A umiliare la Russia e i russi sono stati gli omicidi di Anna Politkovskaja, Natalia Estemirova, Boris Nemtsov; gli ostaggi morti nel teatro sulla Dubrovka; i rapimenti, gli stupri e le esecuzioni nella Cecenia di Ramzan Kadyrov; la morte in carcere di Sergej Magnitskij; l’avvelenamento e la persecuzione giudiziaria di Aleksej Navalnyj; la chiusura di Memorial e di tante altre ong. E oggi le bombe. Su Mariupol, su Kiev, su Charkiv.



Guerra, Aleksandr Dugin l'ideologo di Putin svela i piani dello zar: «Annettere l'Ucraina, pronti anche al conflitto nucleare»
Mercoledì 4 Maggio 2022

https://www.ilmessaggero.it/mondo/putin ... 67779.html

Pronti a tutto, anche alla "collisione nucleare". Non usa mezzi termini il filosofo Aleksandr Dugin, considerato l’ideologo di Vladimir Putin, in un'intervista al Quotidiano Nazionale. Il filosofo conservatore, maggiore esponente del tradizionalismo russo nelle sue dichiarazioni svela alcuni obiettivi strategici della Russia e tra gli scenari possibili, non esclude neanche lo scoppio di una Terza Guerra Mondiale o di una guerra nucleare in caso di intervento della Nato nel conflitto. Secondo Dugin, l'ingresso di militari di paesi europei in Ucraina potrebbe avere conseguenze gravi: «tutto dipende non dalla Russia, ma dall'Occidente» dice «I russi faranno letteralmente di tutto per raggiungere i loro obiettivi. Anche fino a una collisione nucleare».



Gli obiettivi di Putin in Ucraina

Ma quali sono i reali obiettivi di Putin in Ucraina? L'ideologo del Cremlino non ha dubbi e svela i piani russi che si celano dietro la frase di "sconfiggere il nazismo in Ucraina": l'obiettivo è il controllo completo sul territorio ucraino, una nazione che, a suo parere, è "inventata" e non ha ragione di esistere al di fuori della Russia. Se la conquista completa dell'Ucraina non fosse possibile l'obiettivo minimo sarebbe comunque la liberazione di Novorossia, che indica i territori di Kharkiv, il Donbass, Kherson, Zaporozhye, Nikolaev, e l'area di Dnepropetrovsk e Odessa: tutta la regione attualmente maggiormente sotto pressione da parte delle forze russe. La Russia mira anche all'annientamento dell'esercito ucraino e la smilitarizzazione di Kiev, «che ha ripetutamente dichiarato che si sta preparando a usarle contro la Russia e contro le repubbliche del Donbas, oltre a sradicare la russofobia» dice il filosofo.


«L'Occidente è corrotto»

Le parole di Dugin sintetizzano un pensiero radicale di opposizione tra russia e mondo occidentale, ampiamente utilizzata anche dalla propaganda filo-russa e vicino alle idee del Cremlino. La cultura europea e se il Papa viene definito una figura "insignificante", la società occidentale è vista come "decadente e tossica", un mondo che ha rinnegato le proprie radici in nome del postmodernismo, della cancel culture e delle LGBT+: "Meno contatti ha la Russia con questa dannata società tossica, meglio è per la Russia" dice Dugin. Il filosofo, diventato famoso come teorico dell'euroasiatismo contemporaneo, sostiene che la Russia non appartenga affatto alla cultura europea e ci tiene a rimarcare la diversità della propria nazione: «La Russia non ha mai fatto parte dell’Europa né prima degli Urali né oltre, poiché è una civiltà separata speciale: ortodossa ed eurasiatica».


Il commento su Lavrov a Rete 4

Sulla recente intervista del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov a Mediaset, Dugin si dice perplesso: «Le sue dichiarazioni sono un po’ strane, non credo che Adolf Hitler fosse ebreo. Si tratta di alcune idee che alcuni cospirazionisti hanno sviluppato ma non ci sono argomenti seri». Su Zelensky invece taglia corto: «è eticamente ebreo ma non pratica il giudaismo e per ragioni puramente pragmatiche tollera questo neonazismo marginale in Ucraina per utilizzare le forze che secondo lui aiutano a consolidare la nazione artificialmente creata».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38319
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Messaggioda Berto » dom mag 08, 2022 10:15 am

Lo schema di Putin: Intervista a Massimiliano Di Pasquale
Davide Cavaliere
25 Febbraio 2022

http://www.linformale.eu/lo-schema-di-p ... -pasquale/

Massimiliano Di Pasquale (Pesaro, 1969) è ricercatore associato dell’Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici. Ucrainista, esperto di Paesi post-sovietici, negli ultimi anni si è occupato di disinformazione, guerra ibrida e misure attive anche sulle pagine di Strade Magazine (stradeonline.it).

Membro della Sezione di Studi Baltici dell’Università di Milano, nel 2012 ha pubblicato Ucraina terra di confine. Viaggi nell’Europa sconosciuta, che ha fatto conoscere l’Ucraina al grande pubblico italiano. Nel 2018 è uscito per Gaspari Editore Abbecedario ucraino. Rivoluzione, cultura e indipendenza di un popolo, cui ha fatto seguito nel marzo 2021 Abbecedario ucraino II. Dal Medioevo alla tragedia di Chernobyl.

Ha accettato di rispondere alle domande de L’informale.

In queste settimane abbiamo assistito a un crescere di tensioni politiche e militari tra Kiev e Mosca, fino ad arrivare all’aggressione militare russa. Quali sono le mire di Putin sull’Ucraina? I cittadini ucraini preferirebbero un maggiore avvicinamento all’Occidente o no? 

Putin ha più volte definito il crollo dell’Unione Sovietica la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo. Lo ha fatto una prima volta nel 2005, creando un certo scalpore in quei politici occidentali che avevano ingenuamente creduto che il presidente russo fosse un riformatore nonostante il suo passato di ex kgbista, e l’ha riaffermato anche lo scorso dicembre in occasione del trentennale della dissoluzione dell’URSS. In quella circostanza l’inquilino del Cremlino parlò di disintegrazione della ‘Russia storica’ sotto il nome di Unione Sovietica, sostenendo che Russia, Ucraina e Bielorussia fossero un’unica nazione e russi, ucraini e bielorussi un unico popolo. Affermazione quest’ultima assolutamente falsa che da 8 anni, ossia dallo scoppio del conflitto in Donbass nel 2014, è uno dei miti cardine della propaganda russa e della guerra informativa. Questa narrazione è stata riproposta sia nell’articolo Sull’Unità storica di russi e ucraini scritto da Putin il 12 luglio 2021 sia nel discorso tenuto dal presidente russo qualche giorno fa, la sera del 21 febbraio, contestualmente all’annuncio del riconoscimento da parte della Duma russa delle autoproclamate repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk. Putin afferma che ucraini e russi sono un unico popolo e che l’Ucraina moderna è interamente il prodotto dell’era sovietica. Tale asserzione ignora episodi chiave della storia e offre una versione pericolosamente distorta del passato.

In estrema sintesi possiamo ricordare che il lungo processo di autodeterminazione della nazione ucraina, in fieri già a metà Seicento all’epoca del Cosaccato, giunse a piena maturazione agli inizi del Novecento. Dopo il collasso dell’Impero Russo e di quello Austroungarico l’Ucraina godette di un breve periodo di indipendenza. Il 22 gennaio 1918 la Rada Centrale di Kyiv, con il Quarto Universale, dichiarò l’indipendenza della Repubblica Popolare Ucraina e, qualche mese più tardi, elesse quale suo Presidente lo storico Mykhailo Hrushevsky. All’inizio del 1919 la Repubblica Popolare Ucraina e la Repubblica Popolare dell’Ucraina Occidentale si unirono, seppur brevemente, in un unico stato sotto la leadership di Symon Petliura.  Lo scoppio della guerra con i bolscevichi riportò i territori orientali sotto il giogo moscovita mentre le terre occidentali dell’ex Impero Asburgico finirono sotto il dominio polacco. A partire dagli anni Trenta il potere sovietico iniziò una politica di repressione nei confronti della cultura nazionale ucraina. La tragedia del Holodomor, la carestia artificiale provocata dalla collettivizzazione forzata di Stalin che uccise dai 3 ai 5 milioni di ucraini nel 1932-33, diede nuova consapevolezza al nazionalismo ucraino. In particolare durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale nelle regioni occidentali del Paese che erano state annesse dalla Polonia nel 1939-40, furono organizzate delle rivolte armate contro il regime sovietico.

Solo con il crollo dell’URSS l’Ucraina ottenne una statualità indipendente duratura. Ma, come abbiamo visto, le entità politiche de facto ucraine che lottavano per l’autonomia e l’indipendenza del Paese esistevano molto prima del 1991. Fatta questa premessa storica, è evidente, alla luce del discorso tenuto da Putin alla tv russa lo scorso 21 febbraio, che l’obiettivo del Cremlino è ricostituire una sorta di impero russo dai tratti sovietico-zaristi i cui confini, a questo punto, dipendono dalle misure di deterrenza che l’Occidente saprà e vorrà mettere in atto.

Dunque, Putin non mira solo all’Ucraina?

L’invasione del Donbass è solo il preludio ad altre invasioni che potrebbero non limitarsi alla sola Ucraina e interessare anche l’area Baltica. Ma ciò che è più grave, unitamente alla debolezza e all’ignavia finora dimostrata dall’Occidente, è il fatto che Putin falsifichi la storia secondo un paradigma orwelliano per giustificare operazioni analoghe a quelle compiute da Hitler con i Sudeti riscrivendo i confini delle nazioni e violando la sovranità statuale dell’Ucraina.  Putin non riconosce il diritto internazionale. Le frontiere della Federazione Russa, a quanto si evince dal suo discorso delirante e paranoico, sono quelle dell’URSS. Il mondo per Putin è rimasto fermo al 1991. 

Trovo particolarmente illuminante quanto scrisse nel 2017 lo storico Ettore Cinnella nella prefazione al suo saggio La Russia verso l’Abisso. Dopo il 1945 la Russia non è stata aggredita da nessuno e, nonostante possieda immense risorse naturali, langue ancora nel sottosviluppo e nella povertà e “il governo e la Chiesa spiegano alla credula popolazione che è il perfido occidente, con le sue losche mene, a minacciare l’esistenza stessa della santa Russia e che quest’ultima, per farsi valere, deve riarmarsi”. La commistione tra potere politico – la cricca di oligarchi e di siloviki che fa capo a Putin – e il potere religioso, rappresentato dalla Chiesa Ortodossa Russa guidata dall’ex agente del KGB Kirill (Vladimir Mikhailovich Gundyaev), è talmente forte che, come scrive Dmitry Adamsky nel suo libro Russian Nuclear Orthodoxy. Religion, Politics and Strategy, il clero è parte attiva delle decisioni militari e nucleari della Russia. Uno scenario quasi teocratico come quello iraniano ma in chiave ortodossa. 

L’Ucraina ha ormai scelto la sua strada che è quella dell’Europa e della democrazia. Una strada irreversibile che non a caso Putin prova a minare con la guerra. Dal 2014 Putin non gode di alcun tipo di consenso neanche tra la popolazione russofona dell’Est del Paese. A Kharkiv, seconda città dell’Ucraina, a pochi chilometri dal confine russo, i sentimenti patriottici sono gli stessi che a Leopoli. Cambia solo la lingua di preferenza usata. 

La narrazione russa in merito al conflitto ucraino, così come a quello siriano, ha fatto breccia nella popolazione, al punto tale da diventare «senso comune». Chi sono e quanti sono i filorussi in Italia? 

Dal momento che i filorussi sono la stragrande maggioranza nel nostro Paese sarebbe interessante ribaltare i termini della questione chiedendosi chi siano gli intellettuali, i giornalisti e i politici non allineati su posizioni filorusse e intellettualmente onesti nel raccontare chi è realmente Putin e quale sia la vera natura del suo regime. Purtroppo sono pochissimi. È utile interrogarsi sul perché di questa anomalia che è indubbiamente anche il frutto di un’eredità storica risalente ai primi del Novecento.

Lo scorso anno assieme a Luigi Sergio Germani, direttore dell’Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici, ho scritto un paper, contenuto nel saggio Russian Active Measures. Yesterday, Today, Tomorrow, curato da Olga Bertelsen, uscito per la Columbia University Press nel marzo 2021, sull’influenza russa sulla cultura, sul mondo accademico e sui think tank italiani. 

Ciò che emerge da questo studio, effettuato su fonti aperte e quindi facilmente verificabile da tutti, è che in Italia esistono due diversi tipi di intellettuali ed esperti di politica estera filorussi: i neo-eurasisti e i Russlandversteher (simpatizzanti della Russia). I neo-eurasisti italiani hanno opinioni radicali pro-Mosca e anti-occidentali. Sono spesso ammiratori di Aleksandr Dugin, un analista politico russo con stretti legami con il Cremlino, noto per le sue opinioni scioviniste e fasciste. Percepiscono la Russia di Putin come un modello sociale e politico, nonché come un potenziale alleato contro le élite della UE e “globaliste” che avrebbero impoverito l’Italia privandola della sua sovranità. I neo-eurasisti esprimono punti di vista radicali anti-NATO e anti-UE e chiedono un’alleanza strategica tra Europa e Russia. I Russlandversteher italiani, invece, hanno una posizione filorussa pragmatica, spesso basata su considerazioni di realpolitik. Sostengono che la Russia sia un’opportunità piuttosto che una minaccia, ritengono che l’Occidente sia in gran parte responsabile delle rivoluzioni ucraine e dell’attuale crisi nelle relazioni tra la Russia e l’Occidente e affermano che nonostante l’Italia sia membro della NATO e dell’UE, dovrebbe avere un “rapporto speciale” con la Russia per garantire la sicurezza nazionale energetica ed economica della penisola.

In estrema sintesi potremmo dire che le opinioni pro-Cremlino esercitano una notevole influenza sulla cultura italiana, sul mondo accademico e sulla comunità di esperti. Di conseguenza, l’opinione pubblica italiana e una parte significativa della sua élite politica hanno spesso difficoltà nel vedere la politica interna ed estera russa in modo più critico e nel comprendere le sfide ideologiche e di sicurezza che il putinismo pone all’Europa e all’Occidente.

L’assenza di un dibattito su quanto sta succedendo tra Ucraina e Russia e la presenza su tutte le tv nazionali dei soliti noti, spacciati come esperti del settore, che sovente ripetono ad libitum le narrazioni della propaganda russa (Russia accerchiata dalla NATO, l’Ucraina non è uno stato ma una provincia russa creata dai bolscevichi, gli ucraini sono nazisti etc) testimoniano quanto il panorama culturale, accademico ed economico italiano sia inquinato dalla perniciosa influenza russa. 

In questi ultimi giorni, dopo il discorso di Putin e l’ingresso delle truppe russe in Donbas, ho riflettuto molto sulle affermazioni fatte dagli “esperti” di una nota rivista geopolitica che in diverse trasmissioni televisive hanno ribadito più volte come l’Occidente debba in qualche modo rassegnarsi al bagno di sangue che Putin sta preparando in Ucraina perché Putin “lotta per la sopravvivenza della Russia”. Da studioso di guerra ibrida e di disinformazione tali dichiarazioni, ripetute in televisione come un mantra, mi sembrano perfettamente in linea con l’obiettivo del Cremlino di demoralizzare e logorare psicologicamente l’Occidente. Inoltre, è una mistificazione affermare che Putin “lotta per la sopravvivenza della Russia”, semmai lotta per la sopravvivenza del suo regime cleptocratico, che è fallimentare sotto il profilo economico.  L’obiettivo del Cremlino, ripeto, non è solo l’Ucraina, ma ricostituire una sfera di influenza e di controllo di Mosca anche nell’Europa centro orientale.  

Tra i cavalli di battaglia della propaganda del Cremlino vi è il presunto «accerchiamento» della Russia da parte della NATO. L’Alleanza Atlantica ha davvero circondato la Russia? 

È un altro mito della propaganda russa per giustificare l’assembramento di truppe ai confini dell’Ucraina, cominciato nell’aprile del 2021 e intensificatosi nelle ultime settimane fino a raggiungere più di 140.000 unità. Il Cremlino, sin dai tempi della Prima Guerra Fredda (per chi non se ne fosse ancora accorto ora stiamo vivendo la Seconda Guerra Fredda iniziata proprio con l’attacco ibrido russo all’Ucraina nel 2014), è sempre stato abilissimo nella guerra informativa. 

La verità è molto diversa. Con una popolazione di oltre 140 milioni di abitanti la Russia è geograficamente il paese più grande del pianeta e possiede una delle più grandi forze armate del mondo con il maggior numero di armi nucleari. È assurdo ritrarre la Russia come un paese gravemente minacciato. In termini geografici, meno di un sedicesimo del confine terrestre della Russia è con i membri della NATO. Dei 14 paesi confinanti con la Russia, solo cinque sono membri della NATO. Basta solo prendere una cartina o un mappamondo per accorgersi dell’assurdità di tale affermazione. 

In molti, soprattutto in rete, considerano la Russia e Israele come facenti parte di una «union sacrée» contro il terrorismo islamico. Come sono i rapporti tra Gerusalemme e Mosca? 

Non sono un esperto di politica mediorientale ma l’idea che mi sono fatto del rapporto tra Russia e Israele, studiando la politica estera dei due Paesi e le loro relazioni bilaterali, è che Gerusalemme cerchi di mantenere buoni rapporti con Mosca per due ragioni. La prima è che l’esistenza stessa di Israele è minacciata da stati confinanti come Iran e Siria, storicamente alleati della Russia, la seconda è che in territorio israeliano risiede una nutrita comunità russa ed ex sovietica (l’idioma russo è il terzo più parlato in Israele, dopo la lingua ebraica e la lingua araba). 

Anche nel corso della guerra in Siria, Israele si è limitato solamente ad attacchi mirati contro Hezbollah, gruppo sciita libanese concepito in funzione anti-israeliana, attivo in Siria a sostegno del regime di Bashar al Assad. Rispetto al fatto che la Russia sia in prima linea contro il terrorismo islamico sono piuttosto scettico. L’intervento russo in Siria risponde a un razionale geopolitico che poco ha a che vedere con la lotta al terrorismo islamico. Credo che questa idea di Mosca quale baluardo dell’ortodossia contro l’islam radicale faccia parte di una campagna propagandistica iniziata negli anni Novanta per giustificare la guerra cecena, un conflitto che come hanno scritto Aleksandr Litvinenko e Yuri Felshtinsky nell’interessante libro Russia. Il complotto del KGB, rispondeva a una logica ben diversa: l’ascesa in Russia di un gruppo di potere legato ai servizi segreti il cui scopo era sabotare le riforme liberali di Eltsin e costringerlo, con la tecnica del kompromat, a cedergli il potere come in effetti avvenne nel 1999 con la nomina a primo ministro, poi a presidente di Vladimir Putin. Quindi, per rispondere alla sua domanda, l’«union sacrée» Mosca-Gerusalemme contro il terrorismo islamico non esiste.     

Si parla spesso dei «neonazisti» ucraini. Quali sono i tassi di antisemitismo in Ucraina e Russia?    

Il mito degli ucraini nazisti è un evergreen della propaganda russa sin dai tempi sovietici. È stato puntualmente rivisitato anche la mattina del 24 febbraio da Putin quale sorta di giustificazione teorica della sua invasione su larga scala in Ucraina. Il leader del Cremlino ha annunciato alla televisione russa che era in atto “la demilitarizzazione e denazificazione in Ucraina”. L’11 ottobre del 2021 anche l’ex presidente e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza, Dmitry Medvedev, in un articolo uscito sulla rivista russa Kommersant in cui attaccava il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyi, descrivendo il suo paese come uno stato vassallo degli Stati Uniti con il quale è impossibile negoziare, aveva definito Zelenskyi un “essere disgustoso, corrotto e infedele, che aveva ripudiato la sua identità (ebraica) per servire i nazionalisti rabbiosi”. Questo, proseguiva Medvedev, significava che il capo di stato ucraino somigliava a un Sonderkommando ebreo, facendo riferimento a quegli ebrei, che minacciati di pena di morte, venivano costretti a sbarazzarsi delle vittime delle camere a gas durante l’Olocausto. 

Questo articolo costituisce un ulteriore riprova di come Mosca strumentalizzi il presunto antisemitismo degli ucraini per attaccare il corso democratico scelto dall’Ucraina del post-Maidan. All’epoca del Maidan, come già detto altre volte le forze cosiddette ‘xenofobe e ultranazionaliste’ – ammesso che sia corretto definire così movimenti nazionalisti radicali come Svoboda e Pravyi Sektor – ammontavano solamente all’1.9% dell’elettorato ucraino. 

Se proprio volessimo parlare di fascismo beh allora potremmo dire che il  regime cleptocratico di Putin è un chiaro esempio di fascismo russo. Lo storico Timothy Snyder individua nel 2011 il preciso momento in cui in Russia si compie la svolta autoritaria in fieri da anni e in cui il fascismo cristiano di Ivan Ilyin fornisce la copertura ideologica del regime putiniano. Nonostante Ilyin fosse antibolscevico e ammirasse Hitler il suo pensiero non si discostava troppo nelle sue implicazioni pratiche da quello di Stalin. La parentesi comunista vissuta dalla Russia era il frutto della corruzione proveniente dall’Occidente. Nella sua visione il comunismo era stato imposto alla Russia dall’Occidente. A detta di Ilyin che si rifà al teorico nazista del diritto Carl Schmitt la politica è l’arte di identificare e neutralizzare il nemico. E dal momento che la Russia è l’unica fonte di totalità divina e di purezza, l’uomo spuntato dal nulla, che i russi riconosceranno come il redentore, potrà muovere guerra a chi minaccia i successi spirituali della nazione.

L’Ucraina, in quanto espressione dell’Occidente corrotto che minaccia l’unità spirituale della Santa Madre Russia, è la vittima scelta da Putin per portare avanti la sua folle politica imperiale in cui il diritto inteso come rispetto delle regole è una sovrastruttura occidentale e in cui conta solo la geopolitica dei rapporti di forza. Possiamo dunque dire che il regime di Putin, anziché abiurare Nazismo e Stalinismo, le due ideologie totalitarie che hanno devastato il Novecento causando milioni di morti, le ha di fatto rimodellate e le ha poste a fondamento del suo regime. 

Passerei ora ai rapporti tra Cina e Russia. Washington è responsabile dell’avvicinamento di Putin a Pechino?

Non credo che Washington sia responsabile dell’avvicinamento tra Mosca e Pechino e non credo neppure che l’asse sino-russo sia così forte. La Cina crede nel multilateralismo seppure secondo regole che vorrebbe essa stessa dettare. Economicamente Pechino ha molti più rapporti con Stati Uniti ed Europa che con la Russia, per cui il suo avvicinamento a Mosca è, a mio avviso, di carattere tattico. Inoltre non dobbiamo dimenticare che la stessa Cina ha notevoli interessi economici in Ucraina il che spiega l’equilibrismo di Xi-Jinping. È altresì vero che per una sorta di effetto domino a livello geopolitico Taiwan in queste ore sta tifando per Kiev!



Anna Politkovskaja, la giornalista assassinata perché smascherò Putin: ecco cosa scrisse
Claudia Sarritzu
5 maggio 2022

https://cultura.tiscali.it/libri/artico ... tin-libri/

“L’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede”. Una frase semplice e dura come una pietra, una lezione che non ti può insegnare davvero nessuna scuola di giornalismo, la devi sentire dentro nelle viscere e crederci a costo della vita o semplicemente delle condizioni di vita: “Bisogna essere disposti a sopportare molto, anche in termini di difficoltà economica, per amore della libertà”.

Sedici anni fa è stata assassinata nell’ascensore del suo palazzo a Mosca, Anna Stepanova Politkovskaja. Era il 7 ottobre del 2006, lo stesso giorno del compleanno di Putin.

“Ho visto centinaia di persone che hanno subito torture. Alcune sono state seviziate in modo così perverso che mi riesce difficile credere che i torturatori siano persone che hanno frequentato il mio stesso tipo di scuola e letto i miei stessi libri” Anna fu la voce delle strazianti barbarie perpetrate in Cecenia, nel corso del blitz al Teatro Dubrovka di Mosca, nella scuola di Beslan, in Ossezia. Gli abitanti di quelle zone erano sottoposti da Putin a massacri, con il consenso dei leader locali corrotti, e questa non è dietrologia, ma storia provata.

La sua carriera giornalistica iniziò negli anni di Gorbačëv, della Perestrojka. Un’epoca di speranza, si credeva che l’Unione Sovietica potesse, senza spargimenti di sangue, rinascere. Ed è forse in quel momento che si è innamorata del suo lavoro, quando credette di poter raccontare una Russia migliore. L’amore nasce sempre dalla speranza e dalla bellezza, e resiste a tutto, anche al tempo e alle brutture. In Anna questo amore per un giornalismo utile al suo Paese non è mai scomparso, anche quando ha capito che era una condannata a morte.

Con l’ascesa di un leader zar: sì, proprio lui, Vladimir Putin, ex agente del KGB, le speranze per una Russia migliore sparirono: “Con il presidente Putin non riusciremo a dare forma alla nostra democrazia, torneremo solo al passato. Non sono ottimista in questo senso e quindi il mio libro e’ pessimista. Non ho più speranza nella mia anima. Solo un cambio di leadership potrebbe consentirmi di sperare”.

Iniziarono così le minacce sia dai politici russi che da quelli ceceni, mentre la popolazione l’amava perché lei gridava il loro dolore. In poco tempo divenne la giornalista più scomoda del giornale più scomodo di tutto il Paese. “Sono assolutamente convinta che il rischio sia parte del mio lavoro; il lavoro di una giornalista russa, e non posso fermarmi perché è il mio dovere”.

Ai giovani di oggi è difficile spiegare che tipo di giornalista era Anna: camminava e vedeva e raccontava, si recava di persona sui luoghi di cui doveva scrivere. Ora non è più così. Un giorno raccontò: “Sono una reietta. È questo il risultato principale del mio lavoro di giornalista in Cecenia e della pubblicazione all’estero dei miei libri sulla vita in Russia e sul conflitto ceceno. A Mosca non mi invitano alle conferenze stampa né alle iniziative in cui è prevista la partecipazione di funzionari del Cremlino: gli organizzatori non vogliono essere sospettati di avere delle simpatie per me. Eppure tutti i più alti funzionari accettano d’incontrarmi quando sto scrivendo un articolo o sto conducendo un’indagine. Ma lo fanno di nascosto, in posti dove non possono essere visti, all’aria aperta, in piazza o in luoghi segreti che raggiungiamo seguendo strade diverse, quasi fossimo delle spie. Sono felici di parlare con me. Mi danno informazioni, chiedono il mio parere e mi raccontano cosa succede ai vertici. Ma sempre in segreto. È una situazione a cui non ti abitui, ma impari a conviverci”.
Per conoscere bene Anna e il suo coraggio bisogna conoscere la situazione cecena. Ma è proprio grazie a lei e a pochi altri come lei, se sappiamo delle fini orrende degli oppositori politici, dei “desaparecidos” putiniani e delle vittime della polizia etnica. E’ stata la personificazione del concetto di “Resistenza”. Si potrebbero scrivere mille e più pagine sul coraggio di Anna Politkovskaja, ma forse basta citare una solo sua frase per capire l’enorme perdita che la Russia e il mondo libero, dieci anni fa, hanno subito, che tutti noi abbiamo subito: Voglio fare qualcosa per altre persone usando il giornalismo.

Oggi tutti in Occidente vogliono leggere i suoi libri, quelli che in pochi compravamo perché era meglio non vedere, non sapere. La Russia di Putin è stata amica dell'Europa, dell'Italia di Berlusconi. Sapevamo che era un tiranno ma era meglio fingere di non aver capito bene.

Oggi, 14 marzo 2022, mentre l'Ucraina invasa dallo zar prova a resistere massacrata nelle sue città, case e ospedali, torna in libreria in edizione tascabile 'La Russia di Putin' pubblicato da Adelphi nella traduzione di Claudia Zonghetti.

Questo libro è destinato, spiega Adelphi nella presentazione, a restare memorabile per la maestria e l'audacia con cui l'autrice racconta le storie (pubbliche e private) della Russia di oggi, soffocata da un regime che, dietro la facciata di una democrazia in fieri, si rivela ancora avvelenato di sovietismo.
Ma non si pensi a una fredda analisi politica: "Il mio è un libro di appunti appassionati a margine della vita come la si vive oggi in Russia" scriveva la Politkovskaja che nell'ottobre del 2002 ha coraggiosamente accettato di negoziare per la liberazione degli ostaggi prigionieri del teatro Dubrovka di Mosca. E tanto meno si pensi a una biografia del presidente: Putin resta infatti sullo sfondo, anzi dietro le quinte, per essere chiamato sul proscenio soltanto nel tagliente capitolo finale, dove viene ritratto come un modesto ex ufficiale del KGB divorato da ambizioni imperiali.
In primo piano ci incalzano invece squarci di vita quotidiana, grottesca quando non tragica: la guerra in Cecenia con i suoi cadaveri "dimenticati"; le degenerazioni in atto nell'ex Armata Rossa; il crack economico che nel '98 ha travolto la neonata media borghesia, supporto per un'autentica evoluzione democratica del Paese; la nuova mafia di Stato, radicata in un sistema di corruzione senza precedenti; l'eccidio a opera delle forze speciali nel teatro Dubrovka di Mosca; la strage dei bambini a Beslan, in Ossezia.

Forse se l'avessimo letto prima...


Giornalisti uccisi nella Russia di Putin
https://it.wikipedia.org/wiki/Giornalis ... _in_Russia
Il mestiere di giornalista, in Russia, divenne progressivamente più pericoloso a partire dall'inizio degli anni novanta, ma l'opinione pubblica internazionale iniziò a interessarsi al fenomeno solo in seguito all'omicidio della giornalista Anna Politkovskaja, uccisa a Mosca il 7 ottobre 2006, e alla lunga scia di omicidi di giornalisti rimasti ufficialmente senza un colpevole. Mentre alcune associazioni internazionali riferiscono di diverse dozzine di omicidi, altre parlano di oltre duecento uccisioni.

Due rapporti pubblicati da organizzazioni internazionali, disponibili in lingua russa e in lingua inglese, hanno esaminato e documentato la situazione. Un'ampia inchiesta commissionata dall'International Federation of Journalists su questo tema è stata pubblicata nel giugno 2009. Allo stesso tempo l'IFJ ha pubblicato un database direttamente consultabile su internet] che documenta la morte o scomparsa di più di 300 giornalisti a partire dal 1993. Entrambi i report, quello di Partial Justice[4] (versione russa: Частичное правосудие) e quello del database IFJ, si basano su informazioni raccolte da associazioni e fondazioni russe che si occupano di monitorare lo stato dei media in Russia, come la Glasnost Defense Foundation e il Center for Journalism in Extreme Situations.



Un famoso regista russo, nel corso di una trasmissione tv, ha minacciato tutti coloro si permettono di offendere il significato della lettera Z: ecco quali sono state le sue parole
"Campi di concentramento e sterilizzazione": il delirio nella tv russa
Alessandro Ferro
5 Maggio 2022

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/ca ... 1651759827

Il filo diretto con il delirio, nella tv russa, corre sempre sul primo canale. Un altro talk show aberrante è andato in onda nelle scorse ore dando fiato ad alcune affermazioni choc che hanno avuto come protagonista Karen Shakhnazarov, regista, produttore e sceneggiatore. Come si vede nel video, questo folle personaggio rimasto sempre con gli occhiali da sole, ha cominciato dicendo che chi si oppone o prende in giro la famosa lettera Z russa, non potrà contare "sulla misericordia" dei russi e che "non ci sarà pietà per loro". Subito dopo queste affermazioni le telecamere indugiano su un signore, forse un altro ospite o il conduttore, che annuisce alle parole di Shakhnazarov. Il momento più significativo, però deve ancora arrivare.


"Rieducazione..."

L'atmosfera si fa pesante, Shakhnazarov incalza. "È diventato tutto molto serio", afferma a proposito del simbolo russo che gli esperti indicano con il significato "Per la vittoria", in lingua russa "Za pobeda". La parte finale del suo commento è da film dell'orrore. "Campi di concentramento, rieducazione, sterilizzazione. Questo è gravissimo", afferma. Ecco cosa dovrebbe accadese secondo Shakhnazarov a chi si oppone alla Z: dovrebbe essere rieducato, sterilizzato e finire nei campi di concentramento. Fonti del Daily Mail fanno sapere che, a fine trasmissione, il regista sarebbe in parte tornato sui suoi passi dichiarando che quelle parole erano "state prese fuori contesto".


"Noi andremo in paradiso"

La tv russa non è nuova a talk show che prendono di mira il mondo occidentale e a cui assistono milioni di persone. Come ci siamo recentemente occupati sul Giornale.it, pochi giorni fa, nel corso di un altro popolare dibattito televisivo, il politologo Mikhail Markelov ospite in trasmissione ha affermato che "i rappresentanti di quei 40 diversi Paesi sono l'Hitler collettivo di oggi", prendendosela con la Nato e chi va contro Putin. Si è poi unito al coro anche Vladimir Solovyov, oligarca, giornalista e presentatore tv molto noto e amico intimo di Putin, che ha apostrofato gli occidentali con l'espressione "bastardi senza morale", aggiungendo che in caso di attacco nucleare "noi andremo in paradiso, mentre loro semplicemente gracchiano". Sappiamo bene che la televisione di Putin è piegata al regime abituandoci già altre volte a spettacoli indecorosi. I livelli raggiunti nelle ultime settimane, però, non si erano mai toccati.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38319
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Messaggioda Berto » dom mag 08, 2022 10:15 am

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38319
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Messaggioda Berto » dom mag 08, 2022 10:16 am

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38319
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Messaggioda Berto » dom mag 08, 2022 10:16 am

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38319
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

PrecedenteProssimo

Torna a Guerre

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 9 ospiti