Crimea, l’imprevista secessione che fa paura alle élite dell’Occidentehttp://www.lindipendenza.com/raimondo-c ... -occidenteProponiamo in ANTEPRIMA per L’Indipendenza la traduzione integrale in italiano l’articolo Let Crimea Go! tratto dal sito Antiwar.com, scritto da Justin Raimondo, direttore editoriale di Antiwar.com, è senior fellow presso il Randolph Bourne Institute, opinionista per varie testate giornalistiche americane, è autore dei libri Reclaiming the American Right: The Lost Legacy of the Conservative Movement e An Enemy of the State: The Life of Murray N. Rothbard. (Traduzione di Luca Fusari)
Mentre gli Stati Uniti e i loro alleati europei si radunano intorno ai golpisti ucraini denunciando il referendum di Crimea, abbiamo l’ennesima occasione per vedere l’illimitata arroganza di Washington. Nell’incontro con il nuovo “primo ministro” ucraino, il quale ha raggiunto il suo alto ufficio scatenando le folle contro il governo regolarmente eletto, il presidente Barack Obama ha affermato che Washington sarà «costretta a far pagare un costo» a meno che il voto di Crimea non si fosse tenuto.
Così gli Stati Uniti, il presunto campione della “democrazia”, salutano un colpo di Stato decisamente antidemocratico, onorando uno dei golpisti con un ricevimento alla Casa Bianca, e inveiscono contro la decisione del parlamento democraticamente eletto di Crimea di lasciare che le persone votino per il proprio futuro.
Come se vagamente fosse consapevole della massiccia ipocrisia infondenti le sue parole, Obama ha ammesso che la Crimea potrebbe forse avere qualche voce in tutto questo, ma non ora: vuole colloqui con il Cremlino, che «potrebbero portare a diversi regimi nel tempo» per la Crimea. «Ma questo non è qualcosa che può essere fatto con la canna di una pistola puntata contro di voi», cioè a meno che non stiamo parlando di Afghanistan o dell’Iraq.
In Iraq, le prime elezioni post-invasione sono state unilateralmente annullate da Paul Bremmer, il viceré americano, perché la nazione che era stata “liberata” «non era pronta». Come concepito dai geni neocon che ci hanno mentito in quella guerra, lo scenario originale per le elezioni è stata una serie di “consigli” selezionati con cura a livello locale per controllare i candidati, ripartire i seggi parlamentari, e per soddisfare le comodità dei politici di Washington.
Questo fu furiosamente respinto dall’ayatollah Sistani, leader religioso supremo degli sciiti, maggioranza del Paese, il quale chiamò decine di migliaia di suoi seguaci nelle strade invocando il santo omicidio. Questo scenario ha indotto Bremmer e i suoi compagni neocon ad indietreggiare sui talloni, e credo che l’esercito sia intervenuto a Washington per far ignorare i commissari di Bremmer e lasciare che gli iracheni indicessero elezioni dirette: una persona, un voto.
Poi si è tenuto un referendum per ratificare la Costituzione irachena, e poco dopo il tanto vantato voto col “dito blu” oltre 100 mila soldati statunitensi hanno combattuto la rivolta sunnita. Le elezioni non hanno ridotto il supporto ai ribelli e così Bush ordinò il “surge”, che ha portato il totale delle truppe ad oltre 150 mila soldati americani sul terreno dell’Iraq.
Sono quattro le elezioni svoltesi in Afghanistan con una grande pistola americana puntata verso il popolo afgano. Nel 2004, 2005, 2009 e durante le elezioni per il presidente e il parlamento nel 2010, c’erano ben 101 mila truppe americane nel Paese, cioè 101 mila fucili puntati sull’elettorato. Due di queste elezioni si sono svolte con Obama alla Casa Bianca, ma non possiamo biasimarlo per la sua ipocrisia.
Dopo tutto l’abitudine all’”eccezionalità” è così radicata nella nostra classe politica, così facente parte dell’aria che respirano, che non ne sono più nemmeno consapevoli. Per gli esseri umani ordinari, il mozzafiato doppio standard è fin troppo evidente, ma per un abitante della Beltway di Washington tali pensieri eretici sono decisamente sovversivi, indicativi della temuta “equivalenza morale” la quale separa personaggi apparentemente marginali come Noam Chomsky dai ranghi dei rispettabili.
Quando lo facciamo noi statunitensi vale la prima tacita regola della politica estera americana “mainstream”: è un atto di “liberazione”; ma quando gli altri fanno altrettanto è una violazione sfacciata del diritto internazionale e un atto terribile di aggressione. I nostri burattini europei non osano contestare questo, anche se i loro sudditi potrebbero avere un’opinione molto diversa.
Prima che Yatsenyuk si presentasse a Washington con la mano fuori, gli Usa e i loro alleati della Nato più il Giappone hanno emesso un “severo monito”, come la McClatchy lo descrive, chiedendo ai russi di annullare il referendum, e naturalmente non degnandosi di rispondere direttamente al popolo della Crimea: «qualsiasi referendum non avrebbe alcun effetto giuridico. Data la mancanza di una preparazione adeguata e la presenza intimidatoria delle truppe russe, sarebbe un processo profondamente sbagliato che non avrebbe nessuna forza morale. Per tutti questi motivi non riconosceremo il risultato».
Eppure tutti questi satrapi americani riconoscono il “governo” di Hamid Karzai, mantenuto al potere con la forza americana delle armi, così come hanno riconosciuto il governo iracheno che finalmente è emerso dalle macerie della guerra. La presenza delle truppe americane è in qualche modo meno “intimidatoria” di quella dei russi? Twittatemi quando Putin farà in Crimea l’equivalente di Abu Ghraib, o quando quelli con l’uniforme delle truppe russe misteriosamente andranno su tutte le furie uccidendo come questi ragazzi hanno fatto.
A Washington, con Yatsenyuk al suo fianco, Obama ha dichiarato che lui e i suoi vassalli internazionali «rifiuteranno completamente» quello che ha definito delle elezioni «frettolose». Yatsenyuk ha sussultato un po’ dopo aver sentito queste parole? Dopo tutto, il 25 Maggio si terranno le elezioni nazionali in Ucraina, sono meno frettolose rispetto al referendum della Crimea? Non che le elezioni significhino molto a Kiev in questi giorni.
Obama ha salutato il “coraggio” dei golpisti, e Yatsenyuk posando per le telecamere ha pure dichiarato con voce ucraina churchilliana «non ci arrenderemo mai!». Tutto si riduceva al denaro. Sbrigatevi e passate quel miliardo di dollari quale “pacchetto di aiuti” per l’Ucraina. Obama ha esortato il Congresso, lui non ha bisogno di preoccuparsi: Martedì la legislazione è stata approvata alla Camera, e l’approvazione di una legge simile è avvenuta il giorno successivo da parte del Comitato per le Relazioni Estere del Senato.
Uno dei pochi esseri umani razionali a Capitol Hill, il senatore Rand Paul, ha scritto un editoriale dicendo che dovremmo tenere la “linea dura” con la Russia… negando all’Ucraina miliardi di dollari da sprecare, il che mi è sembrato in parte un po’ troppo intelligente quale forma di argomentazione proposta. Ma questo dovrebbe dirvi l’atmosfera nella Beltwayland, dove il denaro è la loro possibilità di postura come leader mondiali fa sì che siamo sempre sull’orlo di qualche stupenda “crisi”.
Nel frattempo, nel mondo reale, la stragrande maggioranza degli americani si oppone all’intervento americano in Ucraina, e sono contro l’invio di aiuti militari di qualsiasi forma: anche il supporto per le sanzioni è debole, con gli elettori più giovani decisamente contrari. Mentre l’establishment di Washington è con la bava alla bocca sull’Ucraina, un politico prudente come il senatore Paul ha saggiamente esortato i politici a non “stuzzicare” i russi, un punto di vista più in linea con quanto pensano i cittadini americani.
Pavoneggiandosi in posa sulla scena internazionale, soffiando, sbuffando e minacciando di far saltare giù la casa di Putin, gli americani stanno esagerando a fronte di quello che dovrebbe essere un problema regionale di importanza marginale. Eppure c’è una logica interna in questa reazione eccessiva, quella dettata da fattori economici e politici, il primo dei quali è il progetto in corso di espansione della Nato.
Quando un Paese entra a far parte della Nato deve misurarsi con gli standard militari dell’Alleanza, il che significa un aggiornamento completo delle sue forze armate. Questa è una bonanza per le aziende occidentali degli armamenti, per lo più americane, che forniscono le attrezzature necessarie e raccolgono profitti multimiliardari ogni volta che un nuovo membro è introdotto nel club.
Il vecchio comitato per l’espansione della Nato è stato generosamente finanziato dai produttori di grosse armi, che sbavavano per la prospettiva di assumere ex nazioni dell’ex blocco sovietico nel novero. Ci sono un sacco di soldi da fare in Ucraina per quel tipo di amiconi capitalisti che prosperano nell’Era di Obama, e ci si può scommettere come la spinta nel conferire a Kiev l’adesione alla Nato sia destinata a raccogliere consensi. Anche i georgiani sono in linea per fondersi nella Nato-Borg, la quale dopo la fine della Guerra Fredda e fino ad oggi si è mossa ad est ed è quasi alle porte di Mosca.
Quando il Muro di Berlino è caduto, e il vecchio ordine della Guerra Fredda si è sciolto, i leader dell’Europa occidentale erano desiderosi di garantire una pace ed una relativa stabilità. Questo è il motivo per cui la Germania di Helmut Kohl fece un accordo con Mikhail Gorbaciov che il prezzo della riunificazione tedesca non sarebbe stata l’espansione verso est della Nato. Possiamo vedere qual è oggi lo status di quell’”accordo tra gentleman”.
I leader occidentali chiacchierano solo di morale e di “diritto internazionale” quando fa comodo ai loro scopi. In caso contrario, quando tale legge dovrebbe applicarsi a loro, scrollano le spalle e improvvisamente l’uso della forza diventa giusto. Una tale visione bifronte della giustizia da parte del governo degli Stati Uniti è fin troppo familiare ai popoli di tutto il mondo: quello che c’è di nuovo è che, a questo punto, anche il popolo americano sta cominciando a prendere atto di quella stessa cinica giustificazione usata dal loro governo negli affari mondiali.
Ancora una volta, come nel caso della Siria, il popolo americano si oppone alla politica preferita dalle sue élite. Per fortuna però la gente della Beltway è troppo stupida ed egocentrica per ascoltare questo avvertimento, il secondo in pochi mesi. Sono grato di ciò, perché la loro cecità è di buon auspicio per la loro rovina.
Comento================================================================================================================================
Nibbio
21 Marzo 2014 at 11:07 am #
Abbandonare un paese grande un po’ meno dell’Italia per gettarsi nell’abbraccio soffocante della grande madre Russia, ridimensionata ma sempre troppo potente, è per qualcuno un esempio di autodeterminazione ?
Leggo spesso qui di taluni che vogliono farsi svizzeri (li vedo dalla finestra e non ne ho proprio alcuna voglia) o austro-ungarici, o ottentotti, o albionici, o tatari ecc. e mi domando: se queste sono le idee di libertà e di autonomia….cambiamo nome alla Repubblica Italiana, senza troppa fatica, nè morti nè feriti, e festeggiamo l’agognata libertà ballando la tarantella…
Questa o quella per me pari sono
a quant’altre d’intorno, d’intorno mi vedo….
LucaF.
21 Marzo 2014 at 11:36 am #
@Nibbio
Gli abitanti della Crimea hanno volontariamente espresso col referendum/plebiscito la loro intenzione di far parte della Federazione russa in quanto russofoni, popolazione storicamente a maggioranza di etnia russa o in relazione al fatto che la loro appartenenza all’Ucraina (a partire dal 1954) è considerata arbitraria e contraria alla loro volontà.
Come ho già scritto qua sotto il principio di autodeterminazione riconosce sia la possibilità che un popolo possa separarsi che unirsi volontariamente ad un altro Stato.
Non sta a me o a te dover giudicare se per gli abitanti della Crimea l’ingresso nella Federazione russa sia più o meno vantaggiosa che il restare nell’Ucraina o con uno status di Paese indipendente, ma evidentemente se hanno deciso così avranno le loro valide ragioni.
Il principio d’autodeterminazione non lo si applica cambiando il nome alla Repubblica italiana mantenendo intatti i suoi confini vigenti, spetta ai singoli territori e comunità definire la loro permanenza o meno all’interno di essa in libertà ed autonomia decisionale.
Annibale
21 Marzo 2014 at 9:35 am #
Quella della Crimea non è una secessione, è un’annessione in stile hitleriano davanti a un Occidente paralizzato come ai tempi di Monaco. Paragonare questo evento alle battaglie indipendentiste europee va a vantaggio sicuramente dell’ipocrita Russia (che reprime nel sangue le rivendicazioni indipendentiste o autonomiste interne) ma non certo di padani, catalani, scozzesi, che si vedono associati a un regime sempre più simile alla Korea del Nord. Questa volta i paleoconservatori americani non hanno capito la portata degli eventi.
LucaF.
21 Marzo 2014 at 10:50 am #
@Annibale
Quello che un neocon come te non ha capito è che quanto avvenuto in Crimea non solo è una secessione ma è una lampante dimostrazione del principio di autodeterminazione dei popoli in linea col diritto internazionale e con quanto scrisse Gianfranco Miglio, Ludwig von Mises e Murray Rothbard. Anche loro non hanno capito nulla?.
«Con il consenso della gente si può fare di tutto: cambiare il governo, sostituire la bandiera, unirsi a un altro paese, formarne uno nuovo». (Gianfranco Miglio)
«Una nazione, dunque, non ha alcun diritto di dire ad una provincia: ‘Tu appartieni a me, voglio prenderti. Una provincia è costituita dai suoi abitanti. Se qualcuno ha il diritto ad essere ascoltato in questo caso sono questi abitanti. Le dispute di confine dovrebbero essere risolte dal plebiscito». (Ludwig von Mises, Omnipotent Government, p. 90)
«Nessun popolo e nessuna parte di un popolo dev’essere tenuto contro la sua volontà in una associazione politica che non vuole». (Ludwig von Mises, Nation, State, and Economy, p. 34)
«Il diritto di autodeterminazione per quanto riguarda la questione della partecipazione in uno Stato significa: ogni volta che gli abitanti di un determinato territorio, che si tratti di un unico villaggio, un intero quartiere, o una serie di distretti adiacenti, fanno conoscere attraverso un plebiscito condotto liberamente che non vogliono più rimanere uniti al momento allo Stato di appartenenza, ma desiderano formare uno Stato indipendente o attaccarsi a qualche altro Stato, i loro desideri sono da rispettare e devono essere rispettati. Questo è l’unico fattibile ed efficace modo per prevenire rivoluzioni e guerre civili ed internazionali». (Liberalism, p. 109)
«Non fa differenza dove vengano disegnati i confini di un Paese. Nessuno ha un interesse materiale speciale allargando il territorio dello Stato in cui vive, nessuno subisce delle perdite se una parte di questa zona è separata dallo Stato. E’ inoltre irrilevante se tutte le parti del territorio sono in collegamento geografico diretto, o se sono separate da un pezzo di terra che appartiene ad un altro Stato. Non ha alcuna importanza economica che il Paese si affacci sull’oceano o meno. In un mondo del genere la gente di ogni villaggio o distretto potrebbero decidere con plebiscito a quale Stato appartenere». (Ludwig von Mises (Omnipotent Government, p. 92)
«La “nazione” non può essere definita con precisione, ma è una costellazione complessa e variabile di diverse forme di comunità, lingue, etnie e religioni. Alcune nazioni, come gli sloveni, sono gruppo etnico e linguistico ben definibile; altri, come i gruppi che si affrontarono durante la guerra in Bosnia, appartengono allo stesso gruppo etnico e linguistico, ma si differenziano per l’alfabeto adottato e si scontrano ferocemente sulla questione religiosa (serbi ortodossi, croati cattolici e musulmani bosniaci, i quali, a complicare ulteriormente il quadro, erano in origine seguaci dell’eresia bogomila). La questione della nazionalità è resa ancor più complessa dall’interazione tra le realtà oggettivamente esistenti e le percezioni soggettive. In alcuni casi, come le nazionalità dell’Europa orientale dell’Impero degli Asburgo, o gli irlandesi sotto il dominio inglese, conservavano un proprio nazionalismo, e persino lingue, nascoste o moribonde, che dovevano essere consapevolmente conservati, generati ed ampliati. Nel XIX secolo ciò fu fatto da élite intellettuali determinate a lottare per far rivivere periferie sottomesse, e parzialmente assorbite, al centro imperiale. Dunque, possiamo desumere che i confini non siano solo quelli tra Stati. Un obiettivo per i libertari dovrebbe essere quello di trasformare gli Stati-nazionali esistenti in entità nazionali i cui confini siano legittimi esattamente come lo sono i confini delle proprietà private, scomponendo così gli Stati-nazionali esistenti in Nazioni autentiche, oppure in “Nazioni per consenso” (…) In breve, ad ogni gruppo, ad ogni Nazione, dovrebbe essere consentito di separarsi da uno Stato-nazionale cui sono soggetti e di unirsi a qualsiasi altro Stato-nazionale che accettasse l’unione. Questa semplice riforma porterebbe sul lungo cammino verso la creazione di “Nazioni per consenso”. Gli scozzesi, se loro stessi lo vogliono, devono lasciati liberi dagli Inglesi di secedere dal Regno Unito e diventare indipendenti, oppure di partecipare ad una Confederazione delle Nazioni Gaeliche, se i costituenti lo desiderassero». (Murray Rothbard, Nations by Consent: Decomposing the Nation-State)
Asserire che un’annessione volontaria di un territorio debba necessariamente richiamare l’Anchluss hitleriano dell’Austria è un riduzionismo fallace alla luce della figura di Hitler (reductio ad Hitlerum).
L’Austria non era parte del 2° Reich guglielmino, dunque tale annessione al 3° Reich hitleriano non era giustificata neppure da un precedente storico ravvicinato nel tempo (era dovuta solo all’origine austriaca di Hitler); invece la Crimea fino al 1954 era parte integrante del territorio russo e i suoi abitanti si considerano russi nonostante fossero divenuti formalmente ucraini sul piano amministrativo con Crusciov.
Nel caso della Crimea la popolazione ha chiaramente espresso la propria volontaria adesione alla Federazione russa attraverso il voto del referendum, il quale è stato monitorato da una cinquantina di osservatori internazionali ed è stato riconosciuto valido e in seguito ratificato dalle istituzioni russe.
Il referendum dell’Anchluss fu soggetto a vari brogli architettati dal cancelliere austriaco Alois von Schuschnigg al fine di impedire l’esito favorevole ai nazisti, tant’è che gli stessi nazisti pur avendolo invocato e voluto non lo considerarono poi valido, procedendo in ogni caso all’annessione manu militari dell’Austria.
In Crimea, dubito che i russi dovranno imporre la cittadinanza russa a quegli abitanti operando manu militari dato che i crimeani l’aspirano di riottenere da decenni….
Le battaglie indipendentiste europee di padani, veneti, catalani e scozzesi, al pari che del caso della Crimea, sono anch’esse basate sull’esercizio del principio d’autodeterminazione dei popoli.
Sebbene le istanze catalane e scozzesi si basino su forme sovraniste non confluenti in altre nazioni, faccio notare che i tirolesi vogliano riunirsi all’Austria e dalle petizione online come i lombardi auspicherebbero l’ingresso della Lombardia nella Confederazione elvetica, dunque la secessione non è solo divisione ma può anche essere unione laddove i popoli lo decidano mediante il diritto di voto.
La Russia come la Corea del Nord? Ahahahahahah, ti consiglio di consultare qualche statistica macroeconomica aggiornata per comprendere le differenze basilari tra le due nazioni avvenute negli ultimi due decenni.