Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Messaggioda Berto » mar mag 03, 2022 9:35 am

3)
Rivolta di Kiev



La rivolta di Kiev è scoppiata in risposta alle leggi anti-protesta ucraine (annunciate il 16 gennaio 2014[14] e messe in atto cinque giorni dopo), ed è sfociata in una serie di scontri nel centro di Kiev a via Hrushevshoko, fuori dallo Stadio Dinamo Lobanovski ed adiacente alle proteste dell'Euromaidan in corso.
https://it.wikipedia.org/wiki/Rivolta_di_Kiev
Durante una manifestazione dell'Euromaidan che radunò più di 200.000 persone, i manifestanti marciarono verso la Verkhovna Rada dove incontrarono i cordoni della polizia. Dopo una fase tesa di stallo, la polizia cominciò ad affrontare i manifestanti con episodi di violenza. Da quel momento i manifestanti eressero barricate per impedire l'avanzamento delle truppe del governo. Quattro manifestanti sono stati confermati deceduti durante gli scontri con le forze dell'ordine, tre dei quali uccisi.
Il 28 gennaio 9 delle 12 leggi anti-protesta vennero abrogate e il Primo ministro Mykola Azarov rassegnò le dimissioni, annunciando la nascita di una legge di amnistia per i manifestanti arrestati e accusati.[15][16] Il 14 febbraio seguente i gruppi incaricati di organizzare la situazione di stallo concordarono nello sbloccare parzialmente la strada per ripristinare il traffico ma mantenendo le barricate e le proteste. Dopo l'amnistia dei manifestanti del 16 febbraio, la polizia e i manifestanti si ritirarono entrambi, consentendo l'apertura di un corridoio per il traffico. Il 18 febbraio, ancora una volta, migliaia di manifestanti marciarono verso il Parlamento, ristabilendo gli stalli con la polizia in via Hrushevskoho e nelle strade collegate. Entro il giorno seguente, tutte le barricate vennero eliminate dalle strade e i manifestanti vennero respinti.
...
Nelle ore del crepuscolo del 21 gennaio, dopo che le leggi anti-protesta avevano avuto effetto giuridico, il presidente Janukovyč ordinò una "sanguinosa repressione",[36] di conseguenza la polizia avvisò i manifestanti tramite gli altoparlanti del fatto che le forze dell'ordine potevano usare le armi.[37] Il ministro dell'Interno, Vitalij Zacharčenko, firmò un ordine esecutivo che autorizzò l'uso della forza da parte della polizia.[38][39]
Via Hrushevskoho, Piazza Europea sullo sfondo

I manifestanti ricevettero sms da parte dei loro service provider che recitavano: "Caro abbonato, sei stato registrato come partecipante ai disordini di massa".[40] La responsabilità dei messaggi venne negata dai service provider, di cui due erano di proprietà di società russe. Gli esperti suggerirono che dietro ai messaggi c'era il governo Janukovyč.[41][42]

Centinaia di titušky armati vennero segnalati da testimoni oculari mentre attaccavano i manifestanti e i passanti, inoltre piccoli veicoli vennero rubati e trasportati tramite dei camion dai mercenari fino al centro di Kiev.[43] Poco dopo, i mercenari occuparono buona parte delle strade di Kiev.[44] In un incidente, Klyčko capitò in via Franko: un titušky lo notò e fuggì.[45] In seguito, Klyčko disarmò due tra i mercenari e li fece confessare: erano stati portati a Kiev da Cherson e gli era stato ordinato di spaccare le auto e fare casino in città.[38][46] Gli attivisti di AutoMaidan arrestarono altri titušky nel centro della città: i mercenari ammetterono che era stato offerto loro un pagamento di 220 grivnie (€ 15) se avessero vandalizzato Kiev.[47] Diversi mercenari vennero fermati dai manifestanti e raggiunti dai leader dell'opposizione, venendo portati al quartier generale dei partiti dell'opposizione dove, interrogati in diretta televisiva, dichiararono di lavorare per il governo al fine d'incitare la violenza e l'anarchia.[48]

Le truppe Berkut continuano a lanciare molotov contro gli attivisti.[38][49] La situazione di stallo tra manifestanti e polizia durò fino a mezzogiorno, quando iniziò un cessate il fuoco tra i circa 500 agenti di polizia e i circa 1000 rivoltosi.[38]

Alle 6:00 del giorno dell'Unità dell'Ucraina, la polizia sparò ed uccise due manifestanti con proiettili veri.[50] Ricevuta la notizia, i manifestanti si ritirarono e si dispersero presso lo Stadio Dinamo Lobanovski: ciò permise alle forze dell'ordine di riconquistare l'area per un breve periodo, prima di essere nuovamente respinti da una nuova offensiva dei manifestanti.
La polizia antisommossa Berkut spara con fucili da caccia e lancia bottiglie molotov contro i manifestanti il 22 gennaio

In risposta all'escalation di violenza, il governo autorizzò la polizia ad aumentare le misure di sicurezza per fermare i disordini e le proteste. La polizia fu ora in grado di bloccare le strade al fine di limitare l'accesso al centro della città ed ebbe inoltre il permesso per usare i cannoni ad acqua contro gli attivisti, indipendentemente dalla temperatura (a -10°).[51] La polizia sparò proiettili di gomma contro giornalisti e cameraman presenti, continuando a lanciare molotov contro i manifestanti.[52] Alcuni testimoni oculari segnalarono invece che la polizia sparava sia con proiettili a gomma sia con proiettili normali indifferentemente tra la folla, colpendo un numero imprecisato di persone.[53] A fine giornata i feriti furono centinaia, e diversi veicoli andarono in fiamme, come nei giorni precedenti. Polizia e medici confermarono che erano stati utilizzati dei proiettili normali nell'uccisione dei due manifestanti,[50][52][54] a differenza di quanto ribadito dal Primo Ministro Mykola Azarov che sosteneva la tesi che le forze dell'ordine non avessero munizioni.[54] Il coordinatore del corpo medico degli attivisti ribadì che a fine giornata c'erano stati cinque morti, quattro a causa di colpi d'arma da fuoco e uno a causa di una caduta.[54] Circa 100 metri dietro la linea del fronte, i manifestanti eressero una barricata secondaria fatta con cemento e acciaio presi dagli enormi cartelloni al fine di rallentare gli agenti di polizia nel caso in cui avessero cercato di inseguire i rivoltosi durante una nuova protesta in piazza.[55] In serata si contarono circa 300 feriti e 4 morti uccisi dalle armi della polizia.[56]

Secondo i medici presenti sul luogo, il 21 gennaio sono state ferite 300 persone, più di 400 nel giorno successivo e 70 il 23 gennaio.[89] Secondo i medici della città, tra il 19 e il 23 gennaio 157 manifestanti hanno chiesto un aiuto medico e 72 sono stati ricoverati in ospedale.[90] La maggior parte delle denunce sono state fatte presso il centro di assistenza fornito dal Maidan tra le barricate di via Hrushevskoho. Tra i feriti curati negli istituti ospedalieri, molti sono stati arrestati.[91][92]

Una dei leader dell'EuroMaidan, Lesja Orobec', è stata presa di mira dalla polizia in un attacco a sfondo politico e arrestata assieme a tre guardie che erano con lei.[17] In un episodio di inusuale e crudele punizione da parte delle forze dell'ordine, due manifestanti sono stati arrestati, fatti spogliare nudi, cosparsi d'acqua e fatti correre verso il Maidan con temperature al di sotto dello zero, mentre i reparti Berkut gli sparavano contro proiettili di gomma.[17][93] I due manifestanti hanno perso la vista.[94]
Volontari ucraini della Croce Rossa prestano il primo soccorso a un manifestante dell'Euromaidan ferito

Diversi giornalisti hanno sostenuto d'esser stati presi di mira dalla polizia, che gli ha sparato contro deliberatamente.[17][95] 26 sono rimasti feriti, due gravemente a causa delle granate stordenti lanciate dalla polizia,[96] mentre altri due sono stati arrestati dalle forze dell'ordine.[97] Oltre 30 attivisti sono stati arrestati.[98] Almeno 42 giornalisti sono rimasti coinvolti negli scontri di via Hrushevskoho nella giornata del 22 gennaio.[99]
Morti

Secondo i rapporti, la prima vittima risale al 21 gennaio, quando un ventiduenne precipitò da un colonnato di 13 metri di fronte allo Stadio Dinamo Lobanovski a seguito di uno scontro con i reparti Berkut e subì fratture alla spina dorsale delle sue vertebre cervicali. Non si sa se abbia saltato per sfuggire agli agenti, se sia caduto accidentalmente o se sia stato spinto delle forze Berkut.[100][101]

Soldato del Berkut armato di un fucile.

Nella mattinata del 22 gennaio la polizia uccide Serhij Nigojan, un attivista armeno dell'EuroMaidan arrivato a Kiev da Dnipropetrovs'k.[102][103] Un cecchino della polizia uccide Michail "Loki" Žyzneǔskyj, cittadino bielorusso membro dell'UNA-UNSO.[104][105][106][107][108] La scientifica scopre che Nigojan è stato ucciso con un fucile a pompa, mentre Žyzneǔskyj è stato colpito da un cecchino,[109] scoperte confermata dei medici che hanno trovato ferite procurate dal fucile di precisione Dragunov e probabilmente anche dalla pistola Makarov.[50] Il 23 gennaio i coordinatori del servizio medico dell'EuroMaidan riferiscono di altre due presunti morti,[56] basandosi sui filmati televisivi nei quali la polizia trascinava due cadaveri. Il 25 gennaio seguente, Roman Sedyk, ferito tre giorni prima durante gli scontri di via Hrushevskoho, muore in un ospedale di Kiev.[110] In un rapporto pubblicato il 25 gennaio, secondo una società specializzata in consulenze su armi e munizioni di Perth, i proiettili usati dalla polizia negli scontri sarebbero dei proiettili perforanti usati per fermare i veicoli, sparare attraverso porte e penetrare armature.[111]

Il 28 gennaio, Bohdan Kalyniak muore in ospedale a causa di una polmonite, dopo aver subito le cannonate d'acqua sparate dalla polizia mentre la temperatura era sotto lo zero durante gli scontri di via Hrushevskoho.[112] Il giorno dopo, due uomini sono stati colpiti da alcuni proiettili sparati in via Hrushevskoho: all'arrivo in ospedale il più vecchio dei due è deceduto a causa delle ferite riportate.[113]


Polizia

Secondo quanto riferito dal Ministero dell'Interno, un centinaio di poliziotti antisommossa sono rimasti feriti durante gli scontri del 19 gennaio: di questi, 61 hanno subito un ricovero ospedaliero.[114] Secondo il sito ufficiale del Ministero dell'Interno, i manifestanti avrebbero catturato un agente delle forze Berkut e lo avrebbero picchiato fino a mandarlo in ospedale.[17] Dei video mostrano diversi manifestanti lanciare molotov contro gli agenti di polizia, ferendone alcuni.[115]

Il 23 gennaio, 235 agenti sono rimasti feriti e 104 sono stati ricoverati in ospedale[116] mentre, al 25 gennaio, 1.340 erano ammalati soprattutto di polmonite e ipotermia.[117]
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Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Messaggioda Berto » mar mag 03, 2022 9:35 am

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Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Messaggioda Berto » mar mag 03, 2022 9:36 am

4)
Rivoluzione ucraina del 2014 o euromaidan

(diversa articolazione e trattamento di cui anche al capitolo 1)

La rivoluzione ucraina del 2014, nota anche come rivoluzione di Maidan, ha avuto luogo nel febbraio 2014 a conclusione delle proteste dell'Euromaidan, quando scontri violenti tra i manifestanti e le forze di sicurezza nella capitale Kiev culminarono con la fuga del presidente eletto Viktor Janukovyč e la caduta del governo di Mykola Azarov.[16][17][18][19]
https://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzio ... a_del_2014
La rivoluzione fu accompagnata da una rapida serie di cambiamenti nel sistema politico dell'Ucraina, tra cui il ripristino della costituzione del 2004[20][21], l'installazione di un nuovo governo provvisorio presieduto da Arsenij Jacenjuk, l'abolizione di una legge che riconosceva il russo come lingua regionale ufficiale[22][23] e lo svolgimento di elezioni presidenziali anticipate con l'elezione di Porošenko il 25 maggio 2014.[24][25]
Secondo i dati dei sondaggi di GfK raccolti tra il 4 e il 18 marzo in tutte le regioni d'Ucraina (compresa la Crimea), il 48% degli ucraini sosteneva il cambiamento di potere mentre il 34% vi si opponeva. Nelle regioni meridionali ed orientali la rivoluzione era sostenuta solo dal 20% della popolazione, mentre oltre il 57% della popolazione nel resto del paese sosteneva il cambiamento di governo. Inoltre, solo il 2% degli intervistati ha dichiarato totalmente o parzialmente attendibile l'ex presidente Viktor Janukovyč.[46]
La rivoluzione fu seguita da scontri nelle regioni sud-orientali del paese, dall'intervento militare della Russia e dalla annessione della Crimea, e dall'aumento delle truppe russe in prossimità delle frontiere dell'Ucraina.
Il fatto che Janukovyč venisse percepito come un tentativo di stabilire legami più stretti con la Russia giocò un ruolo importante nelle proteste. Janukovyč aveva accettato soldi "salvataggio", 2 miliardi di dollari su un pacchetto di 15 miliardi, dalla Russia e questo venne interpretato come un segnale che avrebbe cercato legami stretti con Putin.[75] Le autorità russe vennero pressate dall'amministrazione ucraina a prendere un'azione decisiva per schiacciare le proteste; ed è stato notato che l'assalto ai manifestanti Euromaidan della polizia è stato ordinato poche ore dopo che i 2 miliardi di dollari dalla Russia vennero trasferiti.[76][77] Vari ministri provenienti da tutta Europa accusarono la Russia di esacerbare le violenze.[78] Nel corso di un'intervista del 20 febbraio, il colonnello in pensione[79] del Direttorato Principale dell'Informazione della Russia (GRU) Aleksandr Musienko dichiarò che il conflitto poteva essere risolto solo con la forza, e che l'Ucraina aveva dimostrato di non poter esistere come stato indipendente e sovrano.[79][80]

Secondo i documenti governativi rilasciati dall'ex vice ministro degli interni Hennadij Moskal', funzionari russi servirono come consulenti per eseguire le operazioni contro i manifestanti. Nome in codice "Wave" e "Boomerang", le operazioni volgevano a disperdere la folla con l'uso di cecchini e a catturare il quartier generale dei manifestanti nella Casa dei Sindacati; prima delle defezioni della polizia, i piani includevano il dispiegamento di 22.000 truppe di sicurezza combinate in città.[81] Secondo i documenti, l'ex vice primo del GRU russo soggiornò presso l'hotel Kiev, giocò un ruolo importante nella preparazione e venne pagato dal Servizio di sicurezza dell'Ucraina (SBU).[82] Secondo Reuters, l'autenticità dei documenti potrebbe non essere confermata.[83] Il ministro dell'Interno Arsenij Avakov dichiarò che il conflitto era stato provocato da terzi 'non-ucraini', e che un'indagine era in corso.[84]

A seguito di concessioni il 21 febbraio, dopo una repressione fallita che lasciò fino a 100 morti, il primo ministro russo Dmitrij Medvedev suggerì che il signor Janukovyč aveva bisogno di smettere di comportarsi come uno "zerbino", e che ulteriori tranche del prestito sarebbero state negate. Il Consigliere politico russo Sergej Markov ha poi assicurato che "la Russia farà tutto quanto consentito dalla legge per fermare [l'opposizione] dal venire al potere".[85] Il 24 febbraio, in seguito agli eventi della rivoluzione, il ministero degli Esteri russo rilasciò una dichiarazione esortando gli ucraini a "reprimere gli estremisti che cercano di affermarsi al potere"[86] e il primo ministro Dmitrij Medvedev rifiutò di riconoscere il governo provvisorio come legittimo.[87]
Nel corso di una conferenza stampa il 3 aprile 2014, il nuovo ministro degli Interni dell'Ucraina, il procuratore capo e il capo della sicurezza coinvolsero più di 30 agenti del Servizio federale per la sicurezza della Federazione russa (FSB) nella repressione sui manifestanti, che oltre a partecipare alla pianificazione, avevano anche volato in spedizioni di grandi quantità di esplosivo in un aeroporto nei pressi di Kiev. Valentyn Nalyvajčenko, il capo ad interim dell'Agenzia di Sicurezza dello Stato dell'Ucraina (SBU), disse che gli agenti erano stati di stanza a Kiev durante l'intera protesta dell'Euromaidan, erano forniti di "telecomunicazioni statali", mentre risiedevano in un composto SBU ed erano in contatto regolare con i funzionari di sicurezza ucraini. "Abbiamo motivate ragioni per ritenere che questi stessi gruppi che si trovavano in un campo di allenamento SBU parteciparono alla progettazione e all'esecuzione di attività di questa cosiddetta operazione antiterrorismo", ha detto Nalyvajčenko. Gli investigatori, disse, avevano stabilito che il capo del SBU di Janukovyč Oleksandr Jakymenko, che in seguito lasciò il paese, aveva ricevuto segnalazioni da parte di agenti dell'FSB mentre erano di stanza in Ucraina, e che Jakymenko ricoprì diversi briefing con gli agenti. L'Ufficio di Sicurezza Federale russo ha respinto i commenti come "accuse infondate" e si è comunque rifiutato di commentare.[88]
...
Vittime
Memoriale a Kiev

I rappresentanti dell'opposizione hanno dichiarato che gli ospedali di Kiev traboccavano di persone ferite.[116] Dopo il primo giorno di scontri, vennero annunciati 26 morti, di cui 16 manifestanti e 10 poliziotti. Quelli ricoverati includevano tre minorenni, cinque giornalisti e 79 poliziotti.[14] Secondo Ol'ha Bohomolec' (stimata dottoressa in Ucraina), "i cecchini miravano al cuore, ai polmoni e al collo".[243]

Morti

Dal 18 al 19 febbraio, il numero ufficiale secondo il Ministero della Sanità è stato di 28 morti, 10 dei quali erano della polizia e delle truppe Berkut.[244]

Entro le ore 13:00 del 20 febbraio almeno 34 manifestanti erano stati uccisi dalla polizia, con i giornalisti a verificare i corpi (15 presso l'hotel Kozac'kyj, 12 presso l'Ucraina Hotel, 7 presso la Posta Centrale).[164] Nel primo pomeriggio i giornalisti del Kyiv post riferirono di altri otto corpi per le strade di Chreščatyk, oltre al numero delle vittime precedente.[164] Secondo il coordinatore di servizi medici a Majdan, Oleh Musiy, dalle 17:30 del 20 febbraio 70 manifestanti erano stati uccisi, ma la cifra potrebbe essere più alta arrivando a 100.[245] Nel frattempo,l'Amministrazione Statale della Città di Kiev ha riferito di 67 morti, in base al numero dei corpi consegnati alla medicina legale.[246] Il Ministero della Sanità ha riferito di 75 morti in totale dall'inizio del conflitto.[8]


Speculazione sui cecchini

L'IBTimes ha riferito di una telefonata intercettata tra il ministro degli Esteri estone, Urmas Paet e l'Alto Rappresentante dell'Unione per gli Affari Esteri e per la Sicurezza Catherine Ashton: Paet trasmise la testimonianza di un medico di nome Olga che diceva che gli omicidi dei cecchini durante le proteste erano stati commessi dalle stesse persone.[247]

Paet poi affermò che non stava implicando il coinvolgimento dell'opposizione in questione, ma semplicemente una trasmissione senza veridicità di contenuto nella telefonata di Olga.[248] Ol'ha Bohomolec', il medico, avrebbe sostenuto che i dimostranti e le truppe Berkut arrivarono sotto il fuoco dalla stessa parte, disse che non aveva detto al signor Paet che i poliziotti e i manifestanti sono stati uccisi nello stesso modo, che lei non implica che l'opposizione fosse implicato negli omicidi e che il governo le ha comunicato che l'indagine era stata avviata.[249]

Hennadij Moskal', ex vice capo della principale agenzia di sicurezza dell'Ucraina, la SBU, e del Ministero degli Interni, suggerì in un'intervista pubblicata sul quotidiano ucraino Zerkalo Nedeli che cecchini dalla MIA e della SBU erano responsabili per gli spari, non agenti stranieri, agendo su piani di emergenza risalenti al periodo sovietico, affermando:[250]

"Oltre a questo, i cecchini hanno ricevuto l'ordine di sparare non solo sui manifestanti, ma anche sulle forze di polizia. Tutto questo è stato fatto al fine di intensificare il conflitto, al fine di giustificare l'operazione di polizia per cancellare Majdan."

Egli ha inoltre suggerito che l'attuale ministro degli Affari Interni, Avakov, e il presidente della SBU, Nalivajčenko, anche se non erano responsabili per le uccisioni, coprivano e proteggevano il personale che in realtà aveva pianificato ed eseguito l'operazione, al fine di impedire una reazione contro il ministero e per evitare la perdita di prestigio. Il ministro dell'Interno Avakov dichiarò che il conflitto è stato provocato da un terzi 'non-ucraini', e che un'indagine era in corso.[84]

Il 31 marzo 2014, il Daily Beast ha pubblicato foto e video che mostrano che i cecchini erano membri dell'unità "anti-terrorismo" Gruppo Alpha dell'Agenzia di Sicurezza dell'Ucraina (SBU), che era stata addestrata in Russia. I media hanno suggerito che non era la polizia antisommossa ucraina che aveva sparato sui manifestanti, come precedentemente creduto, anche se i membri del Gruppo Alpha sono cittadini ucraini.[251][252]




Proteste dal contenuto antisemita e antisraeliano contro il nuovo governo ucraino europeista

https://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzio ... a_del_2014

Secondo Cathy Young, nelle proteste Anti-Majdan contro la rivoluzione, nella cartellonistica stradale, postata su Internet, e anche nei discorsi ai raduni il nuovo governo di Kiev venne attaccato come 'cricca ebraica' che cerca di utilizzare gli ucraini per difendere gli interessi dei ricchi ebrei, e la rivoluzione raffigurata come un "colpo di stato sionista."[309]

L'organizzazione filo-russa Fronte Ucraino annunciò una riunione che si tenne il 22 febbraio tra i rappresentanti dell'Ucraina meridionale e orientale.[310] Andriy Kluyev era un organizzatore dell'evento e il gruppo intendeva discutere la federalizzazione del paese in regioni semi-autonome.[311] A seguito dell'accordo con l'opposizione e le misure fatte in parlamento, il presidente Janukovyč poi volò da Kiev a Kharkiv per partecipare al congresso del Fronte Ucraino; fonti hanno indicato che anche le forze Berkut erano state ammassate a Kharkiv in previsione della manifestazione.[312][313][314] Come ha riferito Jurij Lucenko, dopo la mezzanotte il 22 febbraio, la SBU ha aperto un procedimento penale contro il governatore di Kharkiv Mikhail Dobkin e il sindaco Hennadiy Kernes per sostegno del separatismo.[315]

Al Congresso delle regioni meridionali e orientali a Kharkiv il 22 febbraio, i deputati approvarono una risoluzione, dichiarando che erano pronti ad assumersi la responsabilità per la protezione dell'ordine costituzionale nel loro territorio. Dichiararono che i recenti avvenimenti a Kiev hanno portato alla paralisi del potere centrale e ad una destabilizzazione del paese.[316] Essi inoltre firmarono una dichiarazione respingendo l'autorità del Parlamento.[317] Il ministero dell'Interno ha riferito che il governatore Dobkin e il sindaco Kernes hanno poi lasciato il paese per la Russia.[318]
Il 23 febbraio, il parlamento ucraino approvò un disegno di legge per abrogare la legge sulle lingue minoritarie, che, se firmato dal presidente ucraino avrebbe stabilito l'ucraino come unica lingua ufficiale di Stato di tutta l'Ucraina, compresa la Crimea che è popolata da russofoni.[319] The Christian Science Monitor ha riferito: "[l'adozione di questo disegno di legge] servirà solo a far infuriare le regioni di lingua russa, [che] vedono la mossa come un'ulteriore prova che le proteste antigovernative a Kiev che rovesciarono il governo di Janukovyč erano intente a premere per un programma nazionalista".[320] Una proposta di abrogare la legge fu vietata il 28 febbraio 2014 dal presidente Oleksandr Turčynov.[321]
Il 23 febbraio, le tensioni rimasero a Charkiv come scontri scoppiati tra migliaia di pro e anti-governo in migliaia di raduni di uguali dimensioni, e il sindaco Kernes venne bloccato dall'entrare nell'edificio del consiglio comunale.[322] I manifestanti pro-russi stavano a guardia della statua di Vladimir Lenin nel centro della città,[323] ma venne annunciato dal vice capo dell'Amministrazione dello Stato regionale che la città avrebbe smantellato la statua indipendentemente il 25 febbraio.[324]
Il 24 febbraio, in qualità di ministro degli Interni, Arsen Avakov ha annunciato che un procedimento penale è stato avviato contro Jevhen Žylin, leader dell'organizzazione anti-Euromaidan basata a Charkiv 'Oplot'.[325]
Il 1 ° marzo migliaia di persone a Charkiv, Donec'k, Sinferopoli, Odessa, Luhans'k, Melitopol', Eupatoria, Kerč' e Mariupol' protestarono contro il nuovo governo.[326][327][328]
Indagini pubbliche dell'aprile 2014 rivelarono che nelle regioni orientali tutti i livelli di governo vengono percepiti essere illegittimi. La metà degli intervistati ritiene che il presidente Oleksandr Turčynov ha "occupato illegalmente il suo posto". Circa la metà tiene anche la stessa opinione sul governo centrale guidato da Arsenij Jacenjuk.[329] Tuttavia, quasi il 70% di tutte le regioni hanno convenuto che neanche il deposto presidente Viktor Janukovyč era il presidente legale del paese.[330]
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Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Messaggioda Berto » mar mag 03, 2022 9:37 am

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Messaggioda Berto » mar mag 03, 2022 9:37 am

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Messaggioda Berto » mar mag 03, 2022 9:38 am

5)
Crimea: la sua cessione all'Ucraina nel 1954, la successiva invasione occupazione russa e l'annessione forzata alla Russia nel 2014 mediante un referendo illegale e manipolato




La cessione della Crimea (in russo: Передача Крыма Украине?, traslitterato: Peredača Kryma Ukraine, in ucraino: Передача Криму Україні?, traslitterato: Peredača Krymu Ukraïni) fu il passaggio dell'oblast' di Crimea dalla RSFS Russa alla RSS Ucraina, deciso dal Soviet Supremo
dell'Unione Sovietica il 19 febbraio 1954.

https://it.wikipedia.org/wiki/Cessione_della_Crimea

L'ambizione russa a uno sbocco sul mar Nero indusse la zarina Caterina II a occupare la Crimea, che era stata annessa all'Impero l'8 gennaio 1784 con l'occupazione del Khanato di Crimea, vassallo dell'Impero Ottomano. Quest'ultimo riconobbe l'annessione con il trattato di Iași dell'8 gennaio 1792 a conclusione della guerra russo-turca.
La cessione fu attuata per festeggiare i 300 anni dal trattato di Perejaslav, firmato dai Cosacchi dell'Etmanato cosacco con il Regno russo, il quale trasformò l'Etmanato in un vassallaggio russo e legò la storia di Russia e Ucraina.
Nikita Chruščёv, all'epoca primo segretario del PCUS (e quindi leader dell'Unione Sovietica), era nato in Russia nei pressi del confine con l'Ucraina, ma apparteneva etnicamente a questa nazione e vi visse per tutta la giovinezza. Secondo il censimento del 1959, a soli cinque anni dalla cessione, il 71,4% della popolazione della Crimea era russo e il 22,3% ucraino.
La cessione avvenne in tre fasi: il Soviet Supremo della RSS Russa la propose e sottopose ad approvazione; quindi il Soviet Supremo della RSS Ucraina la accettò (17 giugno 1954).


Il decreto stampato sulla Pravda del 27 febbraio 1954[1] disponeva:[2]
(RU)

«Протокол № 41 заседания Президиума Верховного Совета РСФСР

5 февраля 1954 г.

Учитывая общность экономики, территориальную близость и тесные хозяйственные и культурные связи между Крымской областью и Украинской ССР, Президиум Верховного Совета РСФСР постановляет:

Передать Крымскую область из состава РСФСР в состав Украинской ССР.

Настоящее постановление внести на утверждение Президиума Верховного Совета СССР.»
(IT)

«Protocollo № 41 della riunione del Presidium del Soviet Supremo della Unione Sovietica

5 febbraio 1954

Data la comunanza dell'economia, la prossimità e gli stretti legami economici e culturali tra l'Oblast' di Crimea e la RSS Ucraina il Presidium del Soviet Supremo della RSFSR:

[Decide di far] Passare l'Oblast' di Crimea della RSS Russa nella RSS Ucraina.

Il presente decreto è sottoposto all'approvazione da parte del Presidium del Soviet Supremo dell'URSS.»


La nipote di Chruščёv durante la crisi della Crimea del 2014 ha affermato sulla cessione:

«Avvenne nel 1954, un anno dopo la morte di Stalin. Mio nonno cercava di decentralizzare l'Urss, cedere la Crimea all'Ucraina andava in questa direzione. A quel tempo, eravamo un solo popolo: la Crimea rimaneva in ambito sovietico. Pensava anche che le caratteristiche economiche della Crimea, regione agricola e agiata, la legassero all'Ucraina, all'epoca granaio dell'Urss. Aveva un forte legame con questo paese, dove aveva lavorato [come operaio e minatore, ndr]. Voleva ricompensare questa regione, il cui frumento aveva nutrito l'Unione Sovietica dopo la seconda guerra mondiale, e scusarsi per l'Holodomor, la grande carestia degli anni Trenta.»
Vladimir Putin, presidente russo che durante la crisi della Crimea ha annesso unilateralmente la penisola alla Federazione, ha dichiarato che fu la decisione di Chruščёv a violare la Costituzione sovietica e che la Crimea rimane una parte "inalienabile" della Russia; anche l'ex segretario del PCUS e presidente dell'Unione Sovietica Michail Gorbačëv ha affermato che la decisione di Putin di annettere la Crimea corregge un "errore storico" commesso in violazione della Costituzione sovietica, sottolineando inoltre che "il referendum si è concluso con successo e corrisponde alle aspirazioni degli abitanti della Crimea".


La Crimea non è territorio storico dei russi moscoviti. La Crimea è stata conquistata dalla Russia zarista con la guerra del 1784 e annessa nel 1792, anche con il contributo degli ucraini.
Prima era il Khanato di Crimea (dal 1441 al 1783)
https://it.wikipedia.org/wiki/Khanato_di_Crimea
Il Khanato di Crimea o Canato di Crimea (in lingua tatara di Crimea: Qırım Hanlığı, قريم خانلغى; in russo: Крымское ханство - Krymskoye khanstvo; in ucraino: Кримське ханство - Kryms'ke khanstvo; in turco: Kırım Hanlığı) fu uno Stato tataro esistito dal 1441 al 1783. Fu il khanato che ebbe vita più lunga tra quelli che succedettero l'impero del Khanato dell'Orda d'Oro.

Il Khanato di Crimea di fede islamica, ha costituito un pericolo secolare per tutti i popoli slavi e cristiani perché avvezzo alle scorrerie predatorie, con stupri, stermini e riduzione in schiavitù degli slavi cristiani.

Alberto Pento
Cessione sovietica della Crimea all'Ucraina come compenso dell'URSS agli ucraini per aver nutrito l'Unione Sovietica dopo la seconda guerra mondiale, e per scusarsi per l'Holodomor, la grande carestia degli anni Trenta che fece milioni di vittime in Ucraina


La nipote di Chruščёv durante la crisi della Crimea del 2014 ha affermato sulla cessione:

«Avvenne nel 1954, un anno dopo la morte di Stalin. Mio nonno cercava di decentralizzare l'Urss, cedere la Crimea all'Ucraina andava in questa direzione. A quel tempo, eravamo un solo popolo: la Crimea rimaneva in ambito sovietico. Pensava anche che le caratteristiche economiche della Crimea, regione agricola e agiata, la legassero all'Ucraina, all'epoca granaio dell'Urss. Aveva un forte legame con questo paese, dove aveva lavorato [come operaio e minatore, ndr]. Voleva ricompensare questa regione, il cui frumento aveva nutrito l'Unione Sovietica dopo la seconda guerra mondiale, e scusarsi per l'Holodomor, la grande carestia degli anni Trenta.»
Vladimir Putin, presidente russo che durante la crisi della Crimea ha annesso unilateralmente la penisola alla Federazione, ha dichiarato che fu la decisione di Chruščёv a violare la Costituzione sovietica e che la Crimea rimane una parte "inalienabile" della Russia; anche l'ex segretario del PCUS e presidente dell'Unione Sovietica Michail Gorbačëv ha affermato che la decisione di Putin di annettere la Crimea corregge un "errore storico" commesso in violazione della Costituzione sovietica, sottolineando inoltre che "il referendum si è concluso con successo e corrisponde alle aspirazioni degli abitanti della Crimea".


Holodomor (in lingua ucraina e russa Голодомор) è il nome attribuito alla carestia che si abbatté sul territorio dell'Ucraina dal 1932 al 1933 causando diversi milioni di morti. Ancora oggi le cause e il coinvolgimento dell'URSS e di Stalin in questa carestia sono fonte di discussione.
https://it.wikipedia.org/wiki/Holodomor
Il termine deriva dall'espressione ucraina moryty holodom (Морити голодом), combinando le parole ucraine holod (fame, carestia) e moryty, (uccidere affamare, esaurire), e la combinazione delle due parole vuol mettere in rilievo l'intenzionalità di procurar la morte per fame.
Nel marzo 2008 il parlamento dell'Ucraina e diciannove nazioni indipendenti hanno riconosciuto le azioni del governo sovietico nell'Ucraina dei primi anni trenta come atti di genocidio. Una dichiarazione congiunta dell'ONU del 2003 ha definito la carestia come il risultato di politiche e azioni “crudeli” che provocarono la morte di milioni di persone.
Il 23 ottobre 2008 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione nella quale ha riconosciuto l'Holodomor come un crimine contro l'umanità; i governi di Germania, Francia, Italia e la gran parte dei paesi occidentali, ad esclusione degli Stati Uniti d'America, non hanno singolarmente formalizzato tale riconoscimento e perciò rimane ancora oggetto di dibattito sul piano delle relazioni internazionali.
In Ucraina, dopo il riconoscimento dell'Holodomor, fu deciso di commemorarlo ufficialmente ogni anno al quarto sabato del mese di novembre e dal 2008 è stato aperto il Museo nazionale del Genocidio dell'Holodomor.


Alberto Pento
L'argomentazione di Gorbaciov e di Putin che la Crimea fu ceduta violando la Costituzione dell'URSS è priva di fondamento e di valore giuridico. La cessione fu votata dal Soviet supremo dell'URSS

«Protocollo № 41 della riunione del Presidium del Soviet Supremo della Unione Sovietica

5 febbraio 1954

Data la comunanza dell'economia, la prossimità e gli stretti legami economici e culturali tra l'Oblast' di Crimea e la RSS Ucraina il Presidium del Soviet Supremo della RSFSR:

[Decide di far] Passare l'Oblast' di Crimea della RSS Russa nella RSS Ucraina.

Il presente decreto è sottoposto all'approvazione da parte del Presidium del Soviet Supremo dell'URSS.»




L'invasione russa e l'annessione della Crimea alla Russia fu il primo evento della crisi russo-ucraina nel 2014.
https://it.wikipedia.org/wiki/Annession ... lla_Russia

Nello specifico, in seguito alla rivoluzione ucraina del 2014, la Russia inviò proprie truppe senza insegne a prendere il controllo del governo locale. Il nuovo governo filorusso dichiarò la propria indipendenza dall'Ucraina. Fu quindi tenuto un referendum sull'autodeterminazione della penisola il 16 marzo (criticato e non riconosciuto da gran parte della comunità internazionale), segnato dalla vittoria del "Sì" con il 95,32% dei voti, le autorità della Crimea firmarono il 18 marzo l'adesione formale alla Russia.
Durante la prima fase del conflitto sono rimasti feriti vari manifestanti filo-ucraini e alcuni manifestanti filo-russi, mentre tra i militari sono stati uccisi quattro soldati delle Forze armate dell'Ucraina, uno del Servizio di sicurezza dell'Ucraina e uno delle Forze armate della Federazione Russa.
Il 22-23 febbraio 2014, il presidente russo Vladimir Putin ha convocato una riunione notturna con i capi dei servizi di sicurezza per discutere la liberazione del presidente ucraino deposto, Viktor Janukovič. Al termine dell'incontro, Putin ha sottolineato che "dobbiamo iniziare a lavorare per il ritorno della Crimea in Russia". Il 23 febbraio si sono svolte varie manifestazioni filo-russe nella città crimeana di Sebastopoli. Il 27 febbraio, le truppe russe mascherate senza insegne, i cosiddetti omini verdi, con varie sparatorie con le locali Forze armate dell'Ucraina, hanno assunto il Consiglio supremo (parlamento) della Crimea e hanno catturato siti strategici in tutta la penisola, il che ha portato all'insediamento del governo filo-russo Aksyonov in Crimea e alla conduzione del referendum sull'autodeterminazione della Crimea. La Russia ha formalmente incorporato la Crimea come due soggetti federali della Federazione Russa il 18 marzo 2014 (Sebastopoli e Repubblica di Crimea).
L'occupazione della penisola di Crimea da parte dell'esercito russo è iniziata il 20 febbraio 2014. Erano gli ultimi giorni della presidenza di Viktor Janukovič[4].
Presto all'ingresso di Sebastopoli apparvero posti di blocco e mezzi corazzati russi.
A quel tempo, le città della Crimea, secondo il governo ucraino, erano già piene di agenti russi, omini verdi e membri di varie formazioni paramilitari come i cosacchi, che costituirono la base della cosiddetta "autodifesa della Crimea" e rappresentavano i presunti "stati d'animo" della popolazione locale.[5]

Mentre sulle coste crimeane arrivó la flotta del Mar Nero della Federazione Russa.
Ilya Vladimirovich Ponomarev, un politico russo e membro della Duma di Stato della Russia (fazione della Russia Giusta), sostiene che la guida dell'annessione della Crimea è stata affidata al ministro della Difesa Sergej Šojgu e all'aiutante di Vladimir Putin Vladislav Surkov.[6]
Ad opporsi all'annessione in Russia furono Boris Nemcov e il partito di Alexej Navalny — Partito del Progresso.
L'Ucraina e molti altri paesi hanno condannato l'occupazione e l'annessione e la considerarono una violazione del diritto internazionale e degli accordi firmati dalla Russia che salvaguardano l'integrità territoriale dell'Ucraina, compresi gli accordi di Belavezha del 1991 che hanno istituito la Comunità di Stati Indipendenti, gli accordi di Helsinki del 1975, gli accordi del 1994 Memorandum di Budapest sulle garanzie di sicurezza e Trattato del 1997 sull'amicizia, la cooperazione e il partenariato tra la Federazione russa e l'Ucraina. Il governo ucraino ha portato gli altri membri dell'allora G8 a sospendere la Russia dal gruppo, quindi a introdurre un primo round di sanzioni contro il paese.



Cosa è successo in Crimea dopo l’occupazione russa?

10 giugno 2022

https://ormedidonne.com/2022/06/10/crim ... cupazione/

Si dà per scontato che essendo la popolazione largamente russofona, la Crimea sia oggi una ridente e felice regione della Federazione Russa. Per capirne di più sono andata a visionare i documenti dell’ONU, di Amnesty International e di altre organizzazioni umanitarie.

Nella notte dal 26 al 27 febbraio 2014 le unità delle forze speciali russe sequestrano la Verkhovna Rada della Repubblica autonoma di Crimea, il parlamento. I cosiddetti “omini verdi” (militari senza insegne), bloccano le unità militari ucraine e la marina; assumono il controllo delle linee di confine, degli edifici amministrativi e delle infrastrutture.

Pochi giorni dopo, un documento di Amnesty International, datato 7 marzo 2014 chiede l’immediato intervento dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) nell’istituire una missione di monitoraggio in Crimea a causa della grave situazione delle violazioni dei diritti umani.

“Il tentativo di monitorare la situazione dei diritti umani in Crimea è diventato un compito quasi impossibile.” Dichiara John Dalhuisen, direttore dell’Europa e dell’Asia centrale di Amnesty International. “I gruppi di autodifesa della Crimea stanno attaccando manifestanti, giornalisti e difensori dei diritti umani pro-ucraini con totale impunità”.
Forze occupanti presidiano le amministrazioni – foto di Amnesty International

Monitoraggio impossibile

Due rappresentanti dell’OSCE vengono costretti a interrompere la loro visita per problemi di sicurezza. Ad altri membri dell’organizzazione viene impedito di entrare nella penisola. Il 5 marzo, anche l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Crimea deve interrompere la visita dopo essere stato forzato da uomini armati a tornare all’aeroporto.

“L’OSCE deve rapidamente stabilire una missione di monitoraggio e godere di un accesso illimitato a tutte le parti dell’Ucraina, compresa la Crimea, che rimane al margine, e dove le tensioni sono ancora elevate. La Russia dovrebbe accogliere, non bloccare questa iniziativa,” ribadisce John Dalhuisen.

I manifestanti che tentano di esprimere il loro sostegno all’unità dell’Ucraina e l’opposizione alla presenza militare russa nella penisola vengono intimidati da parte di attivisti filorussi. La polizia è spesso assente, presente in numero limitato o non interviene.

Amnesty riporta dell’attacco e delle minacce di morte a un giornalista di “News of the Week – Crimea” mentre cercava di filmare un evento. Gli agenti di polizia che si trovavano a circa 30 metri non intervengono. Il 6 marzo, uomini con uniformi militari russe e uomini della Crimea Self-Defence League minacciano di morte una giornalista di Kerch.fm.

Blocco dei media indipendenti russi

Il 14 marzo, Amnesty denuncia che le autorità russe hanno lanciato un assalto in vasta scala ai pochi media indipendenti rimasti in Russia, bloccando una serie di siti Internet nella Federazione Russa.

“Il blocco di questi siti è una chiara violazione del diritto alla libertà di espressione. È un attacco senza vergogna a coloro che osano ancora mettere in discussione la narrativa dettata dal Cremlino fornendo informazioni indipendenti e imparziali e offrendo una piattaforma per un dibattito gratuito”, dichiara John Dalhuisenl. “Negli ultimi mesi e settimane le autorità russe hanno intrapreso una campagna per soffocare i media indipendenti. È iniziato con la censura non ufficiale e l’autocensura e si è rapidamente evoluto in un bavaglio ai media indipendenti. Questo ricorda il blocco delle stazioni radio dell’era sovietica.”

Tra i vari siti bloccati figura anche quello dell’attivista dell’opposizione Aleksei Navalny. “La Russia sta stringendo la vite sulla libertà di espressione prima del referendum che le autorità della Crimea hanno programmato questa domenica. È un palese tentativo di mettere a tacere qualsiasi voce critica di questa iniziativa”, sostiene ancora John Dalhuisen.

Il referendum

Il referendum avviene il 16 marzo, con la presenza dell’esercito russo sul territorio, con solo pochi giorni di preparazione e il controllo totale dei media da parte di Mosca. Infine, nessuno dei quesiti riguarda il mantenimento dello status quo. I crimeani possono solo scegliere tra il far parte della Federazione Russa oppure l’indipendenza. Non hanno la possibilità di scegliere di restare a far parte dell’Ucraina.

Per quanto è indubbio che larga parte della popoloazione fosse filorussa, le modalità del referendum contravvengono le leggi internazionali. Così, il 27 marzo 2014, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva una risoluzione che dichiara non valido il referendum della Crimea per recedere dall’Ucraina, con un voto di 100 Stati membri a favore e 11 contrari, con 58 astensioni.

Persecuzioni e violazioni dei diritti umani

Il 9 luglio 2014 compaiono su Amnesty le prime denunce di persecuzione dei tartari e a dicembre 2014, un rapporto dell’ONU riporta di violazioni sistematiche dei diritti umani che colpiscono, per la maggior parte, le persone che si sono opposte al “referendum” di marzo, compresa la minoranza tartara. Si segnalano casi di sequestro di persona. I cittadini vengono obbligati a prendere la cittadinanza a rischio di ripercussioni; molti dei loro beni vengono confiscati.

Tartari in Crimea
Comunità tartara in Crimea – foto di Amnesty International

Nella primavera del 2015, Amnesty denuncia che a un anno dall’annessione illegale della Crimea da parte della Russia, la violazione dei diritti alla libertà di espressione, riunione e associazione è sistematica. Le autorità russe impediscono d’indagare su casi di rapimenti e torture di oppositori e perpetrano un’ implacabile campagna intimidatoria contro i media filo-ucraini, contro i tartari e chiunque sia critico verso il regime.

John Dalhuisen dichiara: “Da quando la Russia ha annesso la Crimea, le autorità stanno usando una vasta gamma di tattiche intimidatorie per reprimere il dissenso; una serie di rapimenti tra marzo e settembre ha spinto molti critici vocali a lasciare la regione. I rimanenti affrontano persecuzioni da parte delle autorità, determinate a mettere a tacere i loro avversari”.

Rapimenti, sparizioni e torture

Nello stesso documento, Amnesty riporta che dall’annessione sono avvenuti numerosi casi di arresti ingiustificati, torture e uccisioni. “Le autorità della Crimea ci dicono che stanno indagando su tutti i casi di rapimento e tortura, ma non abbiamo ancora visto alcuna prova concreta di ciò”, afferma John Dalhuisen.

Blocco dei media

Prima dell’occupazione e dell’annessione della penisola da parte della Russia, i media in Crimea operavano in gran parte liberamente: l’accesso a media critici nei confronti delle autorità era all’ordine del giorno.

A partire dal 2014, almeno tre stazioni televisive, due agenzie di stampa e altri media indipendenti devono chiudere. La legislazione russa consente alle autorità di bloccare l’accesso a siti Web specifici senza un ordine del tribunale per presunte violazioni della legislazione anti-estremismo della Russia. È così che le autorità creano un clima di paura: attraverso intimidazioni e leggi restrittive per mettere a tacere media e ONG.

Il 26 gennaio 2015, circa 30 uomini armati di un’unità di polizia speciale, accompagnati da 10 funzionari di sicurezza, fanno irruzione negli uffici del canale televisivo tartaro, ATR, interrompono la trasmissione e portano via documenti risalenti a febbraio dell’anno precedente. Molti redattori ricevono minacce. Diversi giornalisti e blogger sono costretti a fuggire temendo persecuzioni.

A seguito dell’annessione, le autorità richiedono la nuova registrazione di tutti i media ma alle pubblicazioni in lingua tartara, ai siti Web e ai canali TV rifiutano arbitrariamente le licenze.

“Questo palese attacco alla libertà di espressione, vestito come una procedura amministrativa, è un rozzo tentativo di reprimere i media indipendenti, imbavagliare le voci dissenzienti e intimidire la comunità tartara di Crimea”, afferma Denis Krivosheev, Vicedirettore di Amnesty International per l’Europa e l’Asia centrale.

Non viene rispariamto neanche l‘intrattenimento per bambini. Le autorità negano le licenze alla rivista per bambini Armantchikh e al popolare canale televisivo, Lale.

Nessun diritto di protestare o di celebrare la cultura tartara

Le autorità bandiscono le manifestazioni pubbliche. L’autorizzazione per incontri e manifestazioni culturali o celebrativi tradizionali da parte dei tartari è spesso negata oppure accordata solo in luoghi remoti.

“A un anno dall’annessione della Crimea, l’atteggiamento delle sue autorità sul territorio e dei loro padroni russi può essere riassunto semplicemente – fattelo piacere oppure zitto o vattene”, riporta John Dalhuisen. “C’è poco interesse da parte della comunità internazionale per ripristinare l’integrità territoriale dell’Ucraina, ma dovrebbe almeno esercitare maggiore pressione sulla Russia per garantire i diritti di tutti i residenti della Crimea”.

Continuano segnalazioni di scomparse, morti sospette, perquisizioni e arresti che seminano paura e disperazione tra i tartari.

Repressione del Mejlis

Nell’aprile 2016, la Corte suprema di Crimea sospende il Mejlis, un organo rappresentativo dell’etnia tartara, peggiorando la situazione dei diritti umani dei tartari. La decisione – annunciata dal procuratore della Crimea, Natalia Poklonskaya – segnala una nuova ondata di repressione contro il popolo tartaro. Avviene dopo un aumento degli attacchi ai diritti alla libertà di riunione, associazione ed espressione perpetrati dalla Russia dall’annessione della Crimea. Alla base della decisione, ci sono le dichiarazioni rilasciate dal leader esiliato di Mejlis Refat Chubarov, che rifiuta di riconoscere la legalità dell’annessione russa della Crimea e chiede un blocco economico ed energetico della penisola dall’Ucraina continentale.


Nel rapporto di Amnesty “Ukraine: Crimea in the dark: The silencing of dissent” leggiamo:

Dall’occupazione russa e dall’annessione della Crimea nel febbraio-marzo 2014, le autorità locali russe e di fatto hanno chiesto la totale sottomissione. Con la maggior parte degli oppositori in esilio o silenzio, i leader e gli attivisti dei tartari sono stati i più organizzati dell’opposizione e hanno dovuto maggiormente sopportare il peso della repressione. La loro struttura rappresentativa, i Mejlis, è stata bandita come organizzazione “estremista” e qualsiasi associazione con essa è stata messa fuori legge; i suoi leader sono stati esiliati o perseguiti con accuse inventate; molti sono scomparsi. I più famosi media in lingua tartara sono stati costretti a chiudere. La protesta pubblica si è estinta. Al di là delle questioni politiche fondamentali relative all’annessione della Crimea, la Russia rimane vincolata dall’intera gamma del diritto internazionale dei diritti umani. Eppure, ha dimostrato che è pronta a infrangerli mentre cerca di consolidare la sua presa sulla penisola.

Amnesty si lamenta anche del fatto che le autorità rifiutino sistematicamente incontri con i loro rappresentanti o la presenza di organizzazioni umanitarie.

I diritti umani dopo il 2017

Tre anni dopo l’annessione illegale della penisola, la situazione dei diritti umani in Crimea continua a peggiorare, aggravata anche dall’assenza di un meccanismo di monitoraggio internazionale.

Un rapporto dell’ONU del 25 settembre 2017 menziona “violazioni multiple e gravi” commesse da agenti russi. “Sono state documentate gravi violazioni dei diritti umani, come arresti e detenzioni arbitrari, sparizioni forzate, maltrattamenti e torture e almeno un’esecuzione extragiudiziale”. Tra gli altri abusi, rileva l’uso dell’internamento forzato in un ospedale psichiatrico di oppositori politici.

“L’istruzione in lingua ucraina è quasi scomparsa dalla Crimea”, riporta lo stesso rapporto dell’ONU, “evidenziando l’impatto sui diritti civili, politici, economici, sociali e culturali.”

Centinaia di prigionieri e detenuti vengono trasferiti in strutture della Federazione Russa – una pratica severamente vietata dal diritto internazionale umanitario. I Testimoni di Geova sono messi fuorilegge in virtù di una decisione della Corte Suprema della Federazione Russa che ritiene questa organizzazione religiosa in violazione della legislazione anti-estremismo del Paese. Anche i festival religiosi di musulmani, ebrei e quelli di altre minoranze vengono severamente limitati.

La Chiesa ortodossa ucraina

La Chiesa ortodossa ucraina è sottoposta a crescenti pressioni, inclusa la potenziale perdita dei suoi due più grandi luoghi di culto in Crimea. Complessivamente, il numero delle parrocchie è diminuito da 49 prima dell’occupazione a solo 5 nel 2020, con una diminuzione parallela del numero di sacerdoti da 22 a 4.

Intanto, l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani, continua a non avere accesso alla Crimea, ed è costretto ad analizzare la situazione dagli uffici situati in Ucraina.

Nel 2020, si calcola che circa 140.000 tra ucraini e tartari abbiano lasciato la penisola dal 2014. Nello stesso periodo, circa 250.000 persone si sono trasferite dalla Russia alla Crimea. L’afflusso ha incluso truppe e marinai, dopo che il Cremlino ha rafforzato la sua presenza militare sulla penisola.

La situazione dei diritti umani in Crimea oggi

Le scuole devono usare il curriculum statale russo. I bambini sono esposti alla propaganda militare russa. Alcuni hanno ricevuto una formazione militare di base negli ultimi anni. L’istruzione in lingua ucraina viene quasi completamente eliminata. In una sentenza del 2017, la Corte internazionale di giustizia ha ordinato alla Russia di garantire la disponibilità d’istruzione in ucraino, ma le autorità non hanno rispettato questo ordine.

L’FSB incoraggia i residenti a informare di persone che esprimono opposizione all’annessione. Secondo quanto riferito, i commenti sui social media sono monitorati dalle autorità. L’FSB apre spesso procedimenti penali contro coloro che criticano l’occupazione e l’oppressione dei tartari.

La Crimea è soggetta al sistema giudiziario russo, che manca d’indipendenza ed è effettivamente dominato dal ramo esecutivo. Molti giudici si trasferiscono dalla Russia per lavorare in Crimea. Questi giudici emettono sistematicamente sentenze politicamente motivate contro chi si oppone all’annessione.

Un rapporto dell’OHCHR del 2020 ha rilevato resoconti di “esecuzioni, percosse, scosse elettriche e violenza sessuale”. Le vittime di tortura hanno scarse possibilità di ricorso legale, consentendo alle forze di sicurezza di agire impunemente.

Dopo il 2014, la Crimea è diventata soggetta alla legge russa del 2013 che vieta la diffusione d’informazioni che promuovono “relazioni sessuali non tradizionali”, che limita strettamente le attività delle persone e delle organizzazioni LGBT.

La violenza domestica è un altro problema della Crimea e le leggi russe non offrono protezioni. Nel 2017, Putin ha firmato una legislazione che ha parzialmente depenalizzato gli abusi domestici in Russia.

Un sondaggio dell’ONG Freedomhouse pone la Crimea tra uno dei luoghi meno liberi al mondo, con meno libertà della stessa Russia e notevolmente meno dell’Ucraina.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Messaggioda Berto » mar mag 03, 2022 9:38 am

SHISHKIN: "DOPO PUTIN CI SARA' UN ALTRO ZAR. LA TERZA GUERRA MODIALE E', MA IN OCCIDENTE NESSUNO VUOLE SENTIRNE PARLARE".
di Mikhail Shishkin, Il Corriere della Sera
4 settembre 2022

https://www.facebook.com/niram.ferretti ... 28qapqjyil


«In prima pagina, la guerra. Sull’ultima pagina, il cruciverba». Mi torna in mente un passo del mio romanzo «The light and the dark» mentre viaggiavo in treno pochi giorni dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
Di fronte a me, un passeggero leggeva il giornale: in prima pagina c’era la guerra, sull’ultima pagina, le parole crociate. Sono passati diversi mesi da allora, e gli orrori quotidiani hanno cominciato a sparire dai titoli dei giornali, malgrado l’intensificarsi degli scontri armati in tutta la loro efferatezza.
In Occidente nessuno vuole più sentir parlare di guerra, la gente è stanca di massacri e solidarietà. La gente reclama la pace, prezzi stabili, una vita tranquilla e la possibilità di godersi le vacanze.
Non è la prima volta che i miei articoli hanno fatto suonare l’allarme sulle atrocità a venire. Prima dell’annessione della Crimea, ho attinto a una fiaba popolare russa, Teremok, per descrivere il futuro incerto dell’Europa. C’era una volta una casetta tranquilla nella foresta – un teremok – dove diversi animali selvatici vivevano tutti assieme. Un giorno, una rana bussò alla porta. «Toc, toc! Chi abita in questo teremok? Lasciatemi entrare, vorrei vivere anch’io con voi». Gli animali fecero entrare la rana, e tutti si congratularono della vita tranquilla e felice nella loro casetta. Qualche tempo dopo, aprirono la porta a Kyward, la lepre, e a Reynard, la volpe, tanto nel teremok c’era spazio per tutti. Ma poi arrivò Bruin, l’orso, che per quanto si sforzasse, non riusciva ad accomodarsi nel teremok. A un certo punto, montato su tutte le furie, con il suo peso l’orso schiacciò la casetta. E quella fu la fine del teremok, e della fiaba.
Gli avvertimenti lanciati nel recente passato non hanno suscitato nessun allarme. Nel 2014, subito dopo l’annessione della Crimea, scrivevo con ansia crescente che «nel ventunesimo secolo non esistono più le guerre locali, lontane da noi. Ogni guerra oggi è una guerra europea. E questa guerra europea è già cominciata».
Avevo previsto che l’annessione della Crimea, per mano di Vladimir Putin, avrebbe scatenato «un’ondata di patriottismo. Prima o poi quest’ondata è destinata a infrangersi e a quel punto Putin si vedrà costretto a ricorrere a qualche altro stratagemma». Scrivevo già allora come l’instabilità cronica dei Balcani, trascinatasi nel corso degli anni, avrebbe avviato enormi flussi migratori verso i Paesi europei, seguiti da «un’ondata ancora maggiore di rifugiati provenienti dall’Ucraina».
Allora, si era ancora in tempo per fermare l’aggressore. Ma i politici europei hanno preferito chiudere gli occhi davanti alla realtà per guadagnarsi il favore degli elettori. Anche gli elettori volevano la pace, in quei giorni: posti di lavoro, nessun aumento del costo della vita, e vacanze assicurate. Gli analisti russi più esperti e corrotti insistevano che l’Occidente doveva capire la posizione di Putin e fare concessioni.
E oggi siamo arrivati a questo: ci ritroviamo nel bel mezzo di una guerra europea, a fare i conti con un’ondata di profughi senza precedenti in fuga dall’Ucraina, a chiederci come mai i nostri politici sono stati così ciechi. Nessuno ascolta più la voce degli scrittori. L’unica vera lezione che possiamo trarre dalla storia è purtroppo proprio questa, che la storia non insegna mai nulla.
In Germania, migliaia di intellettuali hanno sottoscritto una petizione per chiedere al governo di fermare l’invio di armi all’Ucraina, perché si rischiava di far scoppiare la terza guerra mondiale. «Vogliamo una politica di pace, non la guerra», dichiaravano. Ma la terza Guerra mondiale era già cominciata, nel 2014. Come si fa a porre rimedio alla cecità, se ci si ostina a non vedere?
Oggi ci si chiede: come e quando finirà questa guerra? La guerra contro la Germania nazista non si concluse con la morte di Hitler, bensì con una schiacciante sconfitta militare. Prima o poi la morte di Putin sarà inevitabile, non così la sconfitta della Russia.
La risposta poggia sull’autenticità. Alcuni zar sono veri, altri falsi. Se la Santa Russia allarga i suoi territori e i popoli si inchinano davanti all’autocrate di Mosca, i sudditi asserviti, che sudano e faticano e versano eroicamente il loro sangue per la sacra madre patria, si convincono che il loro destino è una benedizione del Cielo. A nulla vale sciorinare i distinguo su come lo zar sia arrivato al potere o come abbia governato i suoi soggetti. Può mandarli tranquillamente al macello, a milioni, e abbattere migliaia di chiese e fucilare i loro preti: ciò che conta è che lo zar è uno zar autentico, perché solo così il nemico si piegherà terrorizzato e la Sacra Terra di Russia si ingrandirà. Così è stato con Stalin.
Sul versante opposto, le disfatte militari e la perdita del benché minimo fazzoletto di Sacra Terra verranno viste dai sudditi dello zar come chiaro segnale del mancato favore divino: lo zar è illegittimo, è falso. Non è riuscito a sconfiggere i giapponesi? O a sottomettere la Cecenia? Allora l’uomo sul trono è un ciarlatano che vorrebbe spacciarsi per zar. Così è stato con Nicola II e Boris Yeltsin.
Putin ha legittimato la sua presidenza con la riconquista della Crimea, ma questa legittimità si sta rapidamente affievolendo per l’incapacità dimostrata nel piegare l’Ucraina. Il prossimo zar, a sua volta, dovrà giustificare il suo mandato mettendo a segno la vittoria finale nella guerra sferrata contro il mondo intero. E se per questo Putin la minaccia di ricorrere ad armi nucleari tattiche rientra nella logica della guerra ibrida, per il prossimo Putin il loro utilizzo potrebbe rivelarsi lo strumento indispensabile per restare saldamente al potere.
Anche il prossimo Putin sarà semplicemente un attore incapace di trovare un altro ruolo. Perché il suo ruolo è prescritto dall’intera architettura interna del potere, che non si cura di quante saranno le vittime del conflitto in Ucraina, in Russia o altrove; non si cura delle risorse da spendere, del numero di armi da dispiegare né del tasso di mortalità tra i suoi militari. E se la qualità della vita dovesse crollare in Russia? Pazienza, il regime non si è mai dato pensiero del benessere dei suoi stessi cittadini.
E chiunque faccia parte di questo ingranaggio di potere non teme affatto di attaccare l’Occidente. Dopo tutto, che cosa dovrebbe temere? Se un missile esplode nel territorio di uno stato membro dell’Alleanza atlantica, quali conseguenze? Nuovi colloqui, nuove dichiarazioni, nuovi appelli per la pace. Il mondo libero dovrebbe finalmente rendersi conto che non sta combattendo contro un dittatore pazzo, bensì contro un sistema di potere autonomo, aggressivo e autorigenerante.
L’antica struttura sociale dell’autocrazia russa è stata preservata nel magazzino della storia e tramandata nei secoli. Ed eccola pronta a mutar pelle per ricomparire sotto nuove spoglie: come Khanato dell’Orda d’Oro e lo zarismo di Mosca, come l’impero dei Romanov e l’Unione Sovietica comunista di Stalin, e più di recente la «democrazia controllata» di Putin. Oggi la Federazione russa cambia pelle ancora una volta. Che cosa emergerà dalle fondamenta indisturbate di una dittatura militare invincibile? Forse una libera democrazia costituzionale, che di propria iniziativa metterà al bando le armi nucleari? Ma vi sembra verosimile?
Anche prima della Seconda guerra mondiale la gente voleva la pace, prezzi stabili e vacanze serene. Anche allora gli elettori speravano che i governi democratici di Francia e Inghilterra avrebbero intavolato trattative di pace con Hitler, rinunciando alla guerra. Sappiamo benissimo come sono andate le cose, ricordando il celebre messaggio di Winston Churchill al suo popolo, in tutta la sua brutale e tragica onestà: «Non ho altro da offrirvi che sudore, fatica, lacrime e sangue».
Prima o poi sentiremo riecheggiare promesse simili e al posto delle belle vacanze gli elettori europei dovranno prepararsi ad affrontare grandi sacrifici, rinunce e ristrettezze, perché questo è il prezzo che dobbiamo pagare se vogliamo la pace.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Messaggioda Berto » mar mag 03, 2022 9:39 am

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Messaggioda Berto » mar mag 03, 2022 9:39 am

6)
La guerra civile del Donbass, inizio del terrorismo separatista filo russo e i Protocolli di Minsk 2014/2015

La guerra del Donbass, è un conflitto in corso che ha avuto inizio il 6 aprile 2014, quando alcuni manifestanti armati, si sono impadroniti di alcuni palazzi governativi dell'Ucraina orientale, ossia nelle regioni di Donec'k, Luhans'k e Charkiv.[10][11][12][13] Solo un mese prima le autorità della Crimea avevano annunciato anch'esse l'indipendenza dall'Ucraina e avevano formalizzato l'adesione alla Federazione Russa.

https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Donbass

I secessionisti, volendo emulare quanto accadde in Crimea dopo l'intervento militare russo nella penisola, chiesero anch'essi un referendum per l'indipendenza che fu negato dall'Ucraina. Il referendum, non riconosciuto e non verificato da alcuna organizzazione internazionale terza, si tenne comunque l'11 maggio 2014,[14][15] sicché dal 6 aprile la Repubblica Popolare di Doneck e la Repubblica Popolare di Lugansk proclamarono la loro indipendenza, riuscendo a prendere il controllo di parte dei rispettivi oblast'.

Tra il 22 e il 25 agosto furono segnalati da ufficiali della NATO l'ingresso, nei territori contesi ucraini del Donbass, di reparti d'artiglieria russi e carri armati, la consegna di armamenti a formazioni irregolari separatiste, il tutto comportanti un ammassamento di forze militari russe in territorio ucraino, contemporaneo ad un ingresso, non autorizzato da Kiev, di una colonna di camion con materiale umanitario non coordinato con la Croce Rossa Internazionale, e colpi d'artiglieria contro le forze ucraine; l'Ucraina denunciò il fatto come un'invasione diretta.[16][17]


Il Donbass e la Crimea sono parte dell'Ucraina e non della Russia
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 1613077124

Il Donbass è degli ucraini e dell'Ucraina e non dei russi e della Russia
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 143&t=3000
https://www.facebook.com/profile.php?id=100078666805876



1991
Il primo dicembre 1991 fu tenuto in Ucraina il referendum sull’indipendenza dalla URSS/Russia

e fu una votazione libera, democratica, senza violenze ne brogli.
https://it.wikipedia.org/wiki/Referendu ... a_del_1991
Il referendum riguardo all'indipendenza dell'Ucraina si è svolto il 1º dicembre 1991. L'unica domanda scritta sulle schede era: "Approvi l'Atto di Dichiarazione di Indipendenza dell'Ucraina?" con il testo dell'Atto stampato prima della domanda. Il referendum fu richiesto dal Parlamento dell'Ucraina per confermare l'Atto di Indipendenza, adottato dal Parlamento il 24 agosto 1991.
I cittadini ucraini espressero un sostegno schiacciante per l'indipendenza. Al referendum votarono 31.891.742 (l'84.18% dei residenti) e tra di essi 28.804.071 (il 90.32%) votarono "Sì".
Nello stesso giorno, si tennero anche le elezioni presidenziali, nella quale gli ucraini elessero Leonid Kravčuk (all'epoca Capo del Parlamento) Presidente dell'Ucraina.
https://it.wikipedia.org/wiki/Referendu ... a_del_1991
L'unica domanda scritta sulle schede era: "Approvi l'Atto di Dichiarazione di Indipendenza dell'Ucraina?" con il testo dell'Atto stampato prima della domanda. Il referendum fu richiesto dal Parlamento dell'Ucraina per confermare l'Atto di Indipendenza, adottato dal Parlamento il 24 agosto 1991.
Vinsero i SI con una percentuale del 90,32%.
I SI vinsero in TUTTE le regioni del paese.
E quindi anche nella russofona Crimea e nel russofono Donbass vinsero gli indipendentisti a grande maggioranza:
In Crimea i SI ottennero il 54,19% dei suffragi.
Nel Donbass:
Donec'k- Oblast' di Donec'k 76,85%
Luhans'k - Oblast' di Luhans'k 83,86%
Charkiv- Oblast' di Charkiv 75,83%
Nel Donbass ci vivevano ucraini filo Ucraina e ucraini russi che avevano simpatie per la Russia e nel loro insieme al referendo per l'Indipendenza dell'Ucraina dall'URSS oltre il 70% di loro voto per il Sì. Quindi la sovranità statuale era dell'Ucraina e non della Russia e inoltre vi erano anche i diritti degli ucraini da salvaguardare che i separatisti filo russi hanno violentemente calpestato.


L'aggressione del regime di Putin all'Ucraina ha tolto il velo anche sull'ipocrisia regnata nel Donbass dal 2014 ad oggi. Quello che, secondo le autorità di Mosca, sarebbe il teatro di un genocidio condotto ai danni della popolazione russofona, altro non è che un buco nero mafioso
(Pubblicato in collaborazione con East Journal )

Il Donbass, tolto il velo dell’ipocrisia
Osservatorio Balcani e Caucaso
Cartello stradale con scritto Donetsk © rospoint/Shutterstock
© rospoint/Shutterstock

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Ucr ... sia-216155

Lo scorso 21 febbraio la Russia ha riconosciuto l’indipendenza delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk. Il giorno seguente l’esercito russo entrava nelle due repubbliche per una missione di peacekeeping che, da un lato, affermava la sovranità russa sui due territori e, dall’altro, preparava l’invasione del resto dell’Ucraina.

Dopo anni di ipocrisie e falsità, è finalmente caduto il velo dal Donbass. Ripercorrere la storia recente di questa regione significa addentrarsi nei meandri di un conflitto definito “a bassa intensità” ma che, dal 2014, non ha smesso di seminare morte associando alla destabilizzazione politica e al controllo militare, pratiche criminali comuni, traffici, regolamenti di conti e violenza. Quello che, secondo le autorità di Mosca, sarebbe il teatro di un genocidio condotto ai danni della popolazione russofona, altro non è che un buco nero mafioso.


Il furto dello stato

All’indomani della dissoluzione sovietica molti vecchi esponenti della nomenklatura hanno saputo riciclarsi e trasformarsi in magnati e imprenditori grazie alla spoliazione dei beni pubblici in un processo di privatizzazione selvaggia che il politologo Steven L. Solnick ha chiamato "il furto dello stato". Un fenomeno che ha avuto luogo in molte regioni dell’ex Urss ma che in Donbass ha visto l’emergere di clan oligarchici capaci di prendere il controllo politico e sociale della regione, limitando gravemente la formazione di una società civile. Una regione industriale così ricca di risorse si è rivelata comprensibilmente attraente per le nuove generazioni di dirigenti mafiosi che cercavano di consolidare le proprie posizioni sociali ed economiche assumendo un controllo formale sul mondo della politica e del diritto.

Anni prima che Viktor Yanukovich diventasse presidente dell'Ucraina, lui e la sua famiglia stavano già esercitando il controllo sulla regione di Donetsk. Molti degli attori politici ed economici più influenti dell’Ucraina indipendente provengono da questa regione: gli ex presidenti Kuchma e Yanukovich ma anche Rinat Akhmetov, Oleksandr Yefremov, Borys Kolesnikov, nomi più o meno noti che hanno segnato le sorti della regione e del paese. Grazie a loro il Donbass è divenuto il tempio della corruzione, un luogo in cui soprusi e vessazioni erano il pane quotidiano, e la lotta tra gruppi armati al soldo di opposti magnati insanguinava le strade. La speranza di vita era, poco prima della guerra, due anni inferiore al resto del paese mentre la regione registrava i più alti tassi europei nel consumo di oppiacei e nella diffusione dell’HIV . E tutto questo malgrado la regione valesse un quarto di tutto l’export ucraino. Una ricchezza che però non andava nelle tasche della popolazione.


Regioni filorusse?

È in questo contesto che si svilupparono gli eventi che hanno portato alla nascita delle repubbliche separatiste. Nel momento in cui il presidente Yanukovich fuggì dal paese, cominciarono ad emergere conflitti all’interno del mondo oligarchico che lo sosteneva. Tra la popolazione si diffusero sentimenti contrastanti tra coloro che lo ritenevano un traditore e quelli che sentivano invece di aver perso un punto di riferimento a Kiev . Lo possiamo capire da un sondaggio dell’IRI condotto proprio in quei mesi che testimonia il malessere dei residenti negli oblast di Donetsk e Lugansk: in quelle regioni solo il 40% degli intervistati riteneva l’occupazione della Crimea “una minaccia per la sicurezza nazionale” contro al 90% dei residenti nelle regioni centro-occidentali.

Allo stesso modo, ben il 30% esprimeva la necessità di una “protezione per i cittadini russofoni”. Tuttavia il favore verso l’integrazione con la Russia non era elevato: 33% a Donetsk, 24% a Lugansk e Odessa, 15% a Kharkiv, mostrando come anche nelle regioni orientali del paese sussistessero grandi differenze e non fosse affatto vero, come si è poi affermato e si continua a ripetere da più parti, che nell’est dell’Ucraina la popolazione fosse largamente favorevole all’integrazione con la Russia. Anzi, uno studio del 2018 ha rilevato come la guerra non abbia modificato nella popolazione del Donbass la propria identità ucraina che, quindi, è qualcosa di più di una semplice appartenenza linguistica.


Una guerra civile?

Mentre a Kiev si andava consolidando il fronte rivoluzionario, nell’est del paese cominciarono i disordini. A marzo 2014 si registrarono scontri a Kharkov, Donetsk e Lugansk, con l’occupazione dei municipi e delle istituzioni locali. Secondo gli osservatori OSCE le forze di polizia non intervennero o si mostrarono solidali con i manifestanti filorussi. In aprile vennero occupate le amministrazioni di Kramatorsk, Sloviansk e Mariupol, questa volta con il supporto di uomini armati. Si trattava perlopiù di paramilitari che arrivavano dalla Russia . La provenienza russa dei miliziani e di larga parte dei dimostranti che occuparono le varie municipalità è la prova che non si è mai trattato, fin dall’inizio, di una guerra civile ma di uno “scenario crimeano” fatto di agitatori e truppe irregolari inviate da Mosca per destabilizzare e infine occupare le regioni orientali dell’Ucraina.

Si arrivò così alla proclamazione di indipendenza delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, rispettivamente il 7 e il 27 aprile 2014. Nel mese di maggio un referendum confermativo venne tenuto nelle due repubbliche registrando il 90% dei consensi. Un dato che contrasta fortemente con quello raccolto appena un mese prima dal sondaggio dell’IRI e che appare del tutto inverosimile. Intanto i combattimenti si intensificarono con l’arrivo di mezzi blindati, artiglieria pesante, lanciarazzi e sistemi antimissile di provenienza russa. Nel mese di luglio il volo MH17 della Malaysian Airlines venne abbattuto uccidendo 298 persone. Un’indagine internazionale concluse che l’aereo era stato colpito da un missile terra-aria partito dalla base della 53esima brigata antiaerea di Kursk, in Russia. A quel punto il velo sulla crisi ucraina era già stato squarciato, ma per molto tempo non si è voluto vedere in faccia il responsabile.

Gli sforzi della diplomazia condussero, in settembre, al Protocollo di Minsk, conosciuto come “Minsk I”: venne stabilita la linea di contatto tra l’Ucraina e le due repubbliche separatiste; si stabilì l’immunità per “tutti i partecipanti agli eventi nelle regioni di Donetsk e Lugansk” senza distinzione tra crimini comuni e crimini di guerra; vennero stabilite elezioni locali in presenza di osservatori OSCE (che si tennero infine il 2 novembre senza rispettare nessuna delle condizioni di trasparenza previste). Iniziava così una nuova fase di negoziati che, nel febbraio 2015, approdò agli Accordi di Minsk (noti come “Minsk II”).


L’economia dei separatisti

Dopo la stipula degli accordi di Minsk (febbraio 2015) si è avviata una fase di relativa stabilità anche se tra il 2017 e il 2020 si sono registrate più di 900 vittime civili. La situazione economica nelle due repubbliche separatiste era tuttavia resa difficile proprio dagli Accordi di Minsk che impedivano relazioni economiche con Mosca. L’assenza di collegamenti bancari con la Russia impediva alle fabbriche e alle aziende delle “repubbliche popolari” di avere la liquidità necessaria per mantenere la produzione. In questa situazione, l’Ossezia del Sud è diventata l'estrema risorsa: dopo aver stabilito rapporti ufficiali con Mosca, Donetsk e Lugansk, la piccola repubblica separatista georgiana è diventata l’intermediario attraverso cui la Russia versava fondi e pagamenti al Donbass. Tra il 2014 e il 2018, gli investimenti diretti esteri sono stati inferiori all'uno per cento del PIL del Donbass. Le aziende esitano a investire risorse in un'area in cui si verificano quotidianamente scambi di artiglieria. Per questo motivo, l'economia fatica a svilupparsi ed è stata particolarmente colpita dalla pandemia di Covid-19 diffondendo ulteriore malcontento tra la popolazione.

L'economia è stata monopolizzata da imprese di proprietà dei separatisti. I leader locali che si sono succeduti nel tempo hanno avviato una vera e propria economia di rapina, nazionalizzando e controllando le industrie locali. Gli stipendi sono crollati ai minimi storici. Chi ha potuto lasciare le due regioni, l’ha già fatto. Sono quasi due milioni coloro che sono emigrati nel territorio sotto controllo ucraino. Di fronte al crollo dell’economia locale, alla distruzione delle infrastrutture civili e industriali, i leader separatisti hanno agito come veri e propri boss mafiosi , imponendo la propria legge con la violenza. Tra i più noti vale la pena citare Aleksandr Borodai, primo capo della repubblica di Donetsk, che oggi siede alla Duma russa, e Aleksandr Zacharčenko, capace di costruirsi un piccolo impero estorcendo denaro a ristoranti e supermarket, prima di essere ucciso nel 2018 da un’autobomba piazzata da qualche rivale interno.

Le due repubbliche separatiste sono arrivate a costare miliardi di dollari alla Russia, costretta a versare soldi nelle casse dei separatisti, i quali non hanno esitato a farne un uso personale. Il regime semi-coloniale russo nel Donbass sarebbe stato insostenibile sul lungo periodo. Forse anche per questo Mosca ha deciso per il riconoscimento delle due repubbliche, uscendo dagli accordi di Minsk e prendendo il controllo diretto della regione. Ai piccoli boss locali si sostituisce così l’unico vero signore della guerra, Vladimir Putin.




Protocolli di Minsk 2014/2015



Protocollo di Minsk

https://it.wikipedia.org/wiki/Protocollo_di_Minsk

Dopo la firma del memorandum, è scoppiata la seconda battaglia per l'Aeroporto di Donec'k, ed entrambe le parti si accusano a vicenda di continue violazioni del cessate il fuoco. L'Aeroporto di Donec'k è chiuso a tutto il traffico dal 26 maggio 2014, a causa dei combattimenti tra le forze del nuovo governo ucraino e i separatisti filo-russi.[4] Alla fine di ottobre, il primo ministro della DNR, negoziatore e firmatario del Protocollo di Minsk, Aleksandr Zacharčenko, ha detto che le forze sotto il suo controllo avrebbero riguadagnato i territori che avevano perso in favore delle forze governative ucraine durante l'offensiva di luglio, e che le forze della DNR erano disposte a lottare in battaglie "pesanti" per raggiungere i loro obiettivi.[4][15] In seguito, Zakharchenko ha sostenuto di essere stato frainteso, e che, in realtà, intendeva dire che queste aree sarebbero state recuperate attraverso "mezzi pacifici".[16] Durante la sua campagna durante il periodo precedente alle elezioni generali in Donbass condotte dalla DNR e dalla LNR, in presunta violazione del Protocollo di Minsk, Zakharchenko ha dichiarato: "Questi sono tempi storici." "Stiamo creando un nuovo paese! È un obiettivo pazzesco."[17]

Il presidente dell'OSCE Didier Burkhalter ha confermato che le elezioni sono state "in contrasto con la lettera e lo spirito del protocollo di Minsk" e ha detto che loro "complicherebbero ulteriormente la sua applicazione".[18] Parlando il 5 dicembre, il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha detto che le elezioni generali in DNR e le elezioni generali in LNR, condotte in 2 novembre 2014, erano "esattamente nel range che era stato negoziato a Minsk", e che il parlamento ucraino, presumibilmente, avrebbe dovuto adottare un progetto di legge di amnistia dei leader delle DNR e LNR, dopo le elezioni parlamentari in Ucraina in ottobre 2014.[19] Secondo Lavrov, un più stretto monitoraggio del confine russo-ucraino, come specificato nel Protocollo di Minsk, poteva avvenire solo dopo che fosse stata approvata una legge di questo tipo di amnistia.[19] Lavrov ha detto che si pensava che un decreto presidenziale emanato il 16 settembre, che presumibilmente vieta la persecuzione di combattenti separatisti in Donbass, sarebbe rispettato dal governo ucraino, ma che un progetto di legge proponente la revoca di tale decreto era stato presentato.[19]
Una successiva fase dei colloqui di pace tenutasi a Minsk è stata sospesa il 26 dicembre 2014. Tuttavia, ambo le parti hanno confermato, dopo ore di trattative, di aver accettato lo scambio di prigionieri, che coinvolge almeno 375 prigionieri su entrambi i lati.[20]
Il 12 febbraio 2015 a Minsk in esito ai colloqui dei leader di Francia e Germania, Russia e Ucraina, i rappresentanti del Gruppo di contatto trilaterale hanno sottoscritto il pacchetto di misure per l'attuazione del protocollo di Minsk, noto come protocollo di Minsk II.


Gli accordi di Minsk - DirittoConsenso
Cosa sono gli accordi di Minsk? Qual era l’obiettivo che si voleva raggiungere? Come mai non hanno funzionato?
Introduzione storica agli accordi di Minsk

https://www.dirittoconsenso.it/2022/03/ ... -di-minsk/

Per capire meglio che cosa sono gli accordi di Minsk è necessario fare un inquadramento storico. Gli Accordi di Minsk sono costituiti dal Protocollo di Minsk I e dal Protocollo di Minsk II rispettivamente del 2014 e del 2015. Gli accordi di Minsk furono pensati per porre fine al conflitto nel Donbass, regione nell’Est Ucraina, tra il governo di Kiev e le autorità separatiste filorusse. In seguito alla ‘’Rivolta di Majdan’’, che depose l’allora presidente ucraino Viktor Kanukovich, le autorità separatiste filorusse autoproclamarono le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk nel Donbass. Con il primo accordo di Minsk l’obiettivo era quello di porre fine al conflitto secessionista nell’est dell’Ucraina.

Dopo l’elezione del presidente ucraino Petro Poroshenko nel maggio del 2014, Ucraina, Russia e Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) stipularono gli Accordi di Minsk I per concordare un pacchetto di misure di contenimento della escalation della guerra nel Donbass[1]. Il processo negoziale non fu facile. L’OSCE in questo processo aveva il compito di osservare e verificare il cessate-il-fuoco e il ritiro degli armamenti pesanti.

Dopo la sottoscrizione di Minsk I nel 2014 i combattimenti proseguirono, a dimostrazione del fatto che l’Accordo di pace non era sufficientemente incisivo. Un ruolo decisivo in questo senso fu giocato da Francia e Germania che con Mosca e Kiev diedero avvio al cosiddetto ‘’Formato Normandia’’ per le negoziazioni quadrilaterali e la stipula dell’accordo di Minsk II nel 2015.

Si parlò di una iniziativa del ‘’Formato Normandia’’ in quanto i leaders di Francia, Germania, Russia e Ucraina si incontrarono durante il settantesimo anniversario dello sbarco alleato del D-Day in Normandia e qui si decisero di impegnarsi per dare una svolta alla guerra in Donbass. L’obiettivo era quello di concordare ‘’un Pacchetto di misure per l’implementazione degli accordi di Minsk I’’ e di organizzare una de-escalation delle tensioni attraverso un canale di dialogo volto a non dipendere dal circolo delle sanzioni imposte dall’Occidente a Mosca dopo l’annessione della Crimea.

Minsk II è stato siglato in occasione del terzo round di incontri nel febbraio del 2015 prima delle tensioni che si verificarono tra Occidente e Russia in Siria e Medio Oriente.

Già un anno dopo, nel 2016, ci si rese conto dell’incertezza circa l’effettiva attuazione delle clausole
dell’accordo.
Cosa prevedono gli accordi di Minsk

Il processo di applicazione di Minsk II è monitorato, oltre che dall’OSCE, anche dal ‘’Quartetto di Normandia’’. L’accordo di Minsk si articola in 13 punti e prevede le seguenti misure:

immediato e completo cessate-il-fuoco a partire dalla mezzanotte del 15 febbraio 2015;
Ritiro dal fronte di tutte le armi pesanti da ambo le parti entro 14 giorni e creazione di una “zona di sicurezza”;
Monitoraggio del cessate-il-fuoco e del ritiro delle armi pesanti da parte dei rappresentanti dell’OSCE;
Una volta avvenuto il ritiro delle armi pesanti, avvio di un dialogo sulle modalità da seguire per lo svolgimento di elezioni locali nel Donbass, in accordo con la legislazione ucraina;
Concessione della grazia e dell’amnistia per gli individui coinvolti nel conflitto;
Rilascio di tutti gli ostaggi e di tutte le persone detenute illegalmente;
Garanzia di accesso sicuro alle zone di combattimento per la consegna e la fornitura di aiuto umanitario sulla base di un meccanismo internazionale;
Ripristino di tutti i servizi economici e sociali nelle zone coinvolte nel conflitto, inclusi trasferimenti sociali (es. il pagamento delle pensioni, ripristino del settore bancario);
Ripristino del completo controllo del confine da parte dell’Ucraina in tutta la zona di conflitto, a partire dal giorno successivo alle elezioni nelle regioni di Donetsk e Lugansk;
Ritiro di tutti i gruppi armati, equipaggiamento militare e dei mercenari dal territorio ucraino sotto monitoraggio dell’OSCE;
Riforma costituzionale in Ucraina basata sul principio di decentralizzazione entro la fine del 2015, con un riferimento specifico alle regioni di Donetsk e Lugansk e adozione di una legislazione permanente sullo “statuto speciale” delle suddette regioni;
Elezioni locali nelle regioni di Donetsk e Lugansk in rispetto degli standard OSCE. Le modalità di svolgimento delle elezioni devono essere discusse e concordate con i rappresentanti delle regioni di Donetsk e Lugansk all’interno del Gruppo di Contatto Trilaterale;
Intensificazione del lavoro del Gruppo di Contatto Trilaterale attraverso la creazione di gruppi di lavoro.

Punti di discordia dopo la sottoscrizione di Minsk II e nuovo impulso per la pace

I punti di discordia per l’attuazione degli accordi Minsk sono stati diversi. Sicuramente un primo punto di difficile realizzazione sin da subito fu la piena e completa realizzazione del cessate il fuoco di cui al punto uno. Particolare preoccupazione, inoltre, ci fu per l’aumento dell’aliquota di armamenti pesanti rimossi dai siti di stoccaggio e reintrodotti nella zona di sicurezza (punto 2). Gli Osservatori Ocse continuarono a subire restrizioni nella loro libertà di movimento e di monitoraggio nel Donbass (punto 3). Questo avvenne principalmente nelle zone non controllate dal governo di Kiev e soprattutto in quei luoghi dove vi era il sospetto della presenza di armi proibite. Il punto 6 relativo al rilascio incondizionato di prigionieri incontrò molte difficoltà nella realizzazione.

Anche dal punto di vista politico la situazione non fu semplice. Il processo di riforma costituzionale che avrebbe dovuto garantire una progressiva decentralizzazione dei poteri nel paese (punto 11) e la relativa creazione di un qualche tipo di statuto speciale alle regioni di Donetsk e Lugansk si arenò. Vi era, infatti, una divergenza di vedute con i separatisti e indirettamente con la Russia relativamente a ciò che si doveva fare per arrivare a questo tipo di risultato. I leaders delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk e Mosca chiedevano che il governo di Kiev approvasse tale riforma costituzionale, riconoscesse lo statuto speciale al Donbass ed elaborasse una legge elettorale per i rappresentanti delle repubbliche stesse (punto 12).

Il presidente dell’Ucraina da parte sua sosteneva che la riforma costituzionale per la concessione dello statuto speciale al Donbass sarebbe avvenuta soltanto dopo aver organizzato elezioni in base ai criteri OSCE. Per arrivare a questo, avrebbero però dovuto verificarsi condizioni come il cessate il fuoco, il ritiro di tutte le armi pesanti e delle truppe mercenarie (punto 10) e soprattutto il ripristino della sovranità territoriale al confine con la Russia (punto 9). Le parti anche dopo Minsk II sono risultate ancorate alle loro posizioni per cui sin da subito si capì la difficoltà a raggiungere un accordo sulla legge elettorale.

Nel 2019, tuttavia, furono compiuti alcuni progressi.

Vi furono innanzitutto due scambi di prigionieri. Il primo vertice del Quartetto Normandia dal 2016 si tenne a Parigi nel dicembre del 2019. Le parti, poi, convennero di applicare appieno il cessate-il-fuoco e ritirare le forze militari in altre tre regioni, non specificate però, entro la fine del marzo del 2020. Le parti ammisero che la missione speciale di monitoraggio dell’OSCE necessitava di un accesso sicuro in tutta l’Ucraina per attuare pienamente il proprio mandato. Rimasero, comunque, irrisolte le questioni relative alle elezioni nelle regioni controllate dai separatisti e allo status speciale per la regione del Donbass, voluto dalla Russia. Nel febbraio del 2020 cinque membri europei del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – Belgio, Estonia, Francia, Germania e Polonia – deplorarono le vittime e ricordarono alla Russia gli impegni assunti con gli accordi di Minsk.


Conclusione

Ad oggi si può dire che il cessate-il-fuoco previsto dagli accordi è stato più volte violato. L’OSCE ha registrato 200 violazioni tra il 2016 e il 2020 e oltre mille dal 2021. Dal 2014 ad oggi si contano, inoltre, oltre 13 mila vittime.

Diversi punti previsti dai Trattati non sono stati attuati anche a cause delle diverse interpretazioni che vengono date da Mosca e Kiev. Gli Accordi di Minsk non prevedono nessun obbligo per Mosca, che ritiene di non essere parte del conflitto, bensì di aver siglato gli stessi solo come mediatrice tra OSCE, Francia e Germania. L’ucraina dal canto suo sostiene che il ritiro di ‘’tutte le forze armate straniere’’ si riferisca alla Russia, la quale nega qualsiasi sua presenza militare nei territori separatisti. Kiev, inoltre, si è sempre rifiutata di parlare direttamente con i ribelli.

È stata la Francia di Macron nelle ultime settimane a rilanciare il ‘’Formato Normandia’’ per ridare vita al dialogo tra Russia, Ucraina, Francia e Germania alla luce dell’escalation di tensione tra Russia e Ucraina. Ad onore del vero, però, bisogna dire che la stessa Italia per voce del Presidente del Consiglio Mario Draghi ha affermato che le ‘’relazioni tra Ucraina e Russia sono disciplinate dagli Accordi di Minsk che non sono stati osservati da nessuna delle due parti’’.

Prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia si riteneva che gli Accordi di Minsk avrebbero potuto offrire una piattaforma di dialogo diretto tra Ucraina e Russia.

L’autonomia alle regioni separatiste avrebbe potuto essere un mezzo per Mosca per ottenere un veto sulle decisioni di politica estera ed ottenere in questo modo delle garanzie di sicurezza, soprattutto per quanto riguarda la non adesione dell’Ucraina alla Nato. L’Ucraina avrebbe potuto, invece, ripristinare il controllo sul suo confine con la Russia. Per il Cremlino dovevano essere attuate prima le disposizioni politiche e poi quelle militari, mentre per Kiev il contrario. L’Ucraina voleva che la Russia e quelle che vengono ritenute le ‘’forze per procura’’ si ritirassero dall’est in modo da riprendere il controllo del confine e, solo ottenuto ciò, sarebbe stata disposta a svolgere elezioni locali secondo standard internazionali e nel rispetto della legge ucraina. Inoltre, Kiev, invece di riconoscere alle repubbliche separatiste uno status speciale come chiede Mosca, avrebbe voluto riconoscere loro dei poteri extra nell’ambito di un più ampio programma di decentramento.

L’obiettivo era probabilmente quello di negare al Cremlino la possibilità di continuare a controllare i territori dell’Est e avere in questo modo voce in capitolo negli affari ucraini con rappresentanti delle regioni filorusse seduti al parlamento nazionale e autorità regionali pronte a contrastare le politiche non gradite a Mosca, come per esempio l’adesione alla NATO. La Russia, invece, in base alla sua interpretazione prevedeva prima le elezioni locali e il riconoscimento di status speciale nel Donbass. Duncan Allan, membro associato del programma Russia ed Eurasia presso il think tank Chatham House di Londra, ha sintetizzato così il dilemma di Minsk, e cioè chiedendosi se l’Ucraina è sovrana, come insistono gli Ucraini, o se la sua sovranità debba essere limitata, come richiede la Russia.



Il Nazifascismo Separatista Putiniano Nel Donbass
Spaziolibero Cris
Andrea Ferrario
6 giugno 2022

https://unaepidemiadivita.wordpress.com ... l-donbass/

I nazifascisti ed estremisti di destra che hanno fondato e diretto le due “repubbliche popolari” del Donbass a partire dal 2014.
Messi temporaneamente da parte dal Cremlino una volta terminati i loro compiti, sono tornati in questi giorni sulla scena della guerra.

Documentiamo come le leggende sull’esistenza di un autentico antifascismo nel Donbass siano una colossale “patacca”, occupandoci in particolare della figura del defunto comandante Mozgovoy e dei suoi nessi con l’estrema destra.

1) I nazifascisti delle “repubbliche” del Donbass

Mentre in Italia ci si è sempre concentrati esclusivamente sui neofascisti ucraini, il problema macroscopico del nazifascismo nelle “repubbliche popolari” e in Russia è stato sistematicamente ignorato. La sinistra italiana, e la massima parte di quella internazionale, si è fatta passare sotto il naso senza pronunciare nemmeno un timido “ohibò” quella che probabilmente è stata la più ampia operazione politica e militare nazifascista in Europa dopo il 1945, la creazione nel 2014 delle “repubbliche popolari” separatiste di Donetsk e Lugansk e le loro azioni militari, condotte sotto l’egida di Mosca per ottenere il controllo del Donbass.

Le modalità di creazione delle “repubbliche” e il profilo dei nazifascisti che le hanno fondate sono descritti nell’approfondita indagine pubblicata da “Crisi Globale”, con decine di link a fonti principalmente separatiste e russe, a fine aprile 2014, cioè quasi in presa diretta:

L’anima nera della “Repubblica di Donetsk”

Nell’articolo viene descritto nei dettagli come i gruppi all’origine delle due “repubbliche” separatiste create subito dopo Maidan e l’annessione della Crimea fossero formati interamente da nazifascisti, razzisti, antisemiti ed estremisti di destra filozaristi. I più importanti di loro venivano dalla Federazione Russa e non avevano in precedenza avuto nulla a che fare con il Donbass.
I due leader principali, Igor Girkin “Strelkov” e Aleksandar Boroday, corrispondono esattamente a questo profilo, e almeno il primo, con esperienze militari in Bosnia e in Cecenia, era sicuramente legato ai servizi segreti russi.
Lo stesso vale quasi sicuramente per l’intera dirigenza separatista, che ha agito in perfetta sintonia con la pianificazione degli eventi da parte di Mosca, sebbene per ovvi motivi solo per alcuni dei suoi esponenti vi siano precise evidenze.

Anche le forze armate delle due “repubbliche” erano sotto controllo fascista, basti pensare che quelle della “repubblica di Lugansk” sono state a lungo sotto il comando di un noto neonazista di San Pietroburgo, Aleksey Milchakov, e quelle della repubblica di Donetsk sotto quello di un altrettanto noto neonazista, Aleksandr Matyushin, già a capo della sezione di Donetsk del gruppo neonazista Russkiy Obraz e dell’organizzazione giovanile della relativa “repubblica”, nonché fondatore del battaglione nazifascista Varyag.

Sotto gli ordini dei loro camerati inviati da Mosca hanno agito anche alcuni microgruppi neofascisti locali del Donbass, attivatisi in funzione anti-Maidan già prima degli eventi del marzo 2014. Questi ultimi erano privi di ogni legame con la popolazione locale e hanno ottenuto i loro risultati unicamente grazie al sostegno di Mosca, nonché all’appoggio condizionato ricevuto dai potentati mafio-oligarchici locali.

Inoltre, i nazifascisti e gli altri estremisti di destra a capo delle “repubbliche” separatiste, facevano parte di una rete internazionale creata dal Cremlino attraverso “Unioni eurasiatiche”, “conferenze internazionali”, convegni, convocazioni di “osservatori internazionali” a elezioni farsa, mirati a fare convergere l’estremismo di destra europeo (e negli anni successivi, anche statunitense) verso gli interessi di Mosca.
Pertanto la dimensione dell’operazione nazifascista separatista, al contrario per esempio di quella del neofascismo ucraino, è anche di natura paneuropea.

Infine, avevamo pubblicato sempre nel 2014, a titolo documentativo, il testo “teorico” di un ideologo della “Repubblica di Donetsk”, Igor Droz, che è emblematico della natura di estrema destra, integralista cristiana e omofoba delle repubbliche separatiste: L’”antifascismo” neofascista della Novorossiya.
Igor Droz era vicino a Igor Strelkov e partecipava alle riunioni del think-tank separatista Izborsky Club, di cui faceva parte anche il noto neofascista russo Aleksander Dugin.

Ma cosa è successo dopo il 2014-2015?
Mosca ha progressivamente rimosso la maggior parte degli uomini della prima ora, cioè i fascisti di cui sopra. Questi ultimi si dimostravano poco controllabili, molti comandanti avevano creato dei veri e propri feudi in reciproco conflitto, o in conflitto con le dirigenze di Donetsk e Lugansk.
Putin grazie ai nazifascisti separatisti aveva portato a termine con successo la prima fase della sua guerra contro l’Ucraina, non era per il momento interessato ad allargare un conflitto per il quale non si riteneva ancora preparato e puntava per il momento a tenere in scacco il governo di Kyiv dopo avere messo un’ipoteca sul funzionamento del paese con la creazione delle “repubbliche” separatiste, continuando però a intessere una rete di estrema destra a livello europeo che gli poteva tornare utile su temi come le sanzioni, il gas e altro ancora.

I separatisti della prima ora sono stati fatti quasi tutti uscire di scena in un modo nell’altro. Strelkov e Boroday sono stati richiamati a Mosca (il secondo oggi è deputato di Russia Unita), svariati comandanti sono stati uccisi.

Il primo nuovo uomo, che nell’estate del 2014 ha sostituito il “presidente” separatista Boroday, è stato Alexander Zakharchenko, anch’egli proveniente da ambienti di estrema destra, ma più grigio e obbediente – il che non lo ha salvato però dal morire in un attentato nel 2018.

Anche svariati altri comandanti noti, come Motorola, Givi o Alexey Mozgovoy, sono stati uccisi. Oggi al potere rimangono personaggi privi di ogni personalità, veri e propri burattini di Mosca, come Denis Pushilin, l’unico sopravvissuto della prima ora, anch’egli connesso con l’estrema destra, ma lungi dall’esserne stato un militante attivo: nel periodo prima del “separatismo” si limitava a rubare soldi ai pensionati come dirigente di una piramide finanziaria.

Battaglioni neonazisti (il Rusich) o con una nutrita presenza neofascista al loro interno (il Somali) hanno però continuato e continuano a operare sul terreno in Donbass e in queste settimane Pushilin si è fatto cogliere mentre decorava un comandante che recava sulla divisa un simbolo neonazista.

Di tendenze naziste è anche il gruppo mercenario stragista Wagner (si vedano ad esempio gli articoli di Res Publica e del Guardian) che, come già nel 2014, sta oggi operando nel Donbass a fianco dei separatisti e dell’esercito russo, dopo avere combattuto e compiuto eccidi in Medio Oriente e Africa al servizio di Mosca.

L’eliminazione della maggior parte dei fascisti dei primi due anni delle repubbliche separatiste non vuol dire che queste ultime si siano democratizzate. Sono sempre rimaste dittature dove si praticano sistematicamente la tortura, gli omicidi mirati contro le briciole sopravvissute della società civile, le politiche omofobe e integraliste cristiane. Inoltre la dirigenza separatista ha distrutto l’economia locale con una pura politica di saccheggio, non pagando gli stipendi agli operai, o consegnando i beni del paese a grandi capitalisti della Federazione Russa.

Su questi aspetti una delle migliori fonti è il dettagliato articolo di Natalia Savelyeva pubblicato dalla Fondazione Rosa Luxemburg.
Molto utili anche i precisi materiali pubblicati dallo storico e attivista di sinistra Simon Pirani nel suo sito “People and Nature”, come ad esempio The “republics” Putin is fighting for e Social protest and repression in Donbass.

Sulla natura di estrema destra delle “repubbliche” separatiste fondamentale è il saggio “Russian White Guards in the Donbass” di Zbigniew Marcin Kowalewski, pubblicato da International Viewpoint, così come il suo “The oligarchic rebellion in the Donbass”.
Un altro articolo che traccia con precisione i nessi tra neonazisti russi, Cremlino e nazifascisti del Donbass è “Neo-Nazi Russian nationalist exposes how Russia’s leaders sent them to Ukraine to kill Ukrainians”.

Utili anche “The Involvement of Russian Ultra-Nationalists in the Donbas Conflict”, di Richard Arnold, e il recente “Neo-Nazi Russian Attack Unit Hints It’s Going Back Into Ukraine Undercover”, sul battaglione neonazista Rusich.

Per quanto riguarda i documenti fotografici, consigliamo queste due “gallerie” di immagini sui nazifascisti del Donbass:
http://www.evasiljeva.ru/2017/08/blog-post_20.html

https://glavnoe.ua/news/n186957

2) Antifascisti nel Donbass? Ma non scherziamo…

In Internet circolano numerosi materiali fotografici e “reportage” sulla presenza di comunisti e antifascisti tra i separatisti del Donbass. Molti di questi materiali tendono ad affermare che l’intero Donbass separatista è una roccaforte antifascista. In Italia questo discorso è amplificato da una serie di piccoli gruppi di una galassia stalinista che, per sua natura, è sempre pronta a schierarsi dalla parte degli stragisti, dal sito Contropiano (vicino al sindacato USB filo-Assad e filo-Putin), fino alla band militante Banda Bassotti o a piccoli gruppi.

Queste tesi sono tornate alla ribalta con la morte nel Donbass di Edy “Bozambo” Ongaro che, condannato per aggressione, aveva trovato rifugio prima in Spagna e poi nel Donbass separatista, dove si era arruolato nel battaglione Prizrak, l’unico della regione che in effetti esibisce spesso bandiere rosse (dell’Unione Sovietica) e accoglie militanti “internazionalisti” di gruppi neostalinisti europei.

La storia del battaglione Prizrak e del suo comandante, Aleksey Mozgovoy è esemplare di come l’idea dell’esistenza di una tendenza di sinistra ed effettivamente antifascista sia una pura “patacca”.
Mozgovoy, che a differenza della maggior parte dei suoi camerati separatisti non aveva avuto una storia di militanza di estrema destra prima del 2014 (era stato soldato a contratto per cinque anni, poi aveva vissuto di occupazioni occasionali), si era tuttavia legato fin dall’inizio degli eventi di quell’anno a Igor Strelkov, l’estremista di destra di cui abbiamo già parlato e che ha guidato le fasi fondamentali dell’annessione della Crimea e della “primavera russa” separatista nel Donbass su ordini di Mosca.

Mozgovoy, che controllava un suo “feudo” ad Alchevsk, nella regione di Lugansk, faceva parte di un settore di comandanti meno direttamente controllabili da Mosca ed era presto entrato in conflitto con l’ala più burocratica che governava la cosiddetta “Repubblica di Lugansk”. Inoltre, dopo i primi mesi della “primavera russa” gli effettivi del suo battaglione stavano calando di numero. Alla fine, nel 2015, Mozgovoy è stato ucciso in un agguato quasi di sicuro organizzato dalla dirigenza di Lugansk e/o da Mosca.

Mozgovoy è sempre stato su posizioni che, per quanto confuse, erano di estrema destra e anticomuniste, come testimoniato da molto di più dei suoi soli legami con Strelkov. Per esempio, a fine agosto 2014 Mozgovoy ha preso parte a Yalta a un congresso che, sotto l’occhio paterno di Sergey Glazyev, uomo forte del Cremlino e allora consigliere di Putin, ha riunito neofascisti e neonazisti di tutta Europa, come per esempio Roberto Fiore di Forza Nuova, il neonazista belga Luc Michel o l’antisemita Israel Shamir, tra i tanti altri.

Nel novembre dello stesso anno organizzava un processo “popolare” in perfetto stile fascio-stalinista contro due uomini accusati di rapporti con una minorenne, durante il quale è riuscito a colpevolizzare con parole tipiche di un fascista le donne che non se ne stanno a casa, dopo avere annunciato che quelle trovate a frequentare un locale sarebbero state arrestate:
“Il compito [delle donne] è badare ai figli. Nella nostra città è pieno di donne nei bar, anche nei night-club. […] Una donna dovrebbe essere la guardiana del focolare, la madre. E che tipo di madri diventano dopo aver frequentato i pub? …
Una donna dovrebbe stare in casa a cuocere pirozhki e bere un bicchierino solo il giorno della Festa delle donne. È ora di ricordare che siete russe!
È ora di recuperare la vostra spiritualità!
Perché una donna era innanzitutto una madre. Ma che madre potrebbe mai essere se rovina il suo organismo con l’alcool, e ai tempi d’oggi addirittura con le droghe?”.

Alcuni giorni dopo in un’intervista alla Novaya Gazeta Mozgovoy esprime il suo disprezzo per la Rivoluzione russa definendola “una sceneggiata” frutto di una cospirazione, interpretandola come l’inizio delle sventure della Russia, tutti concetti che sono un cavallo di battaglia dei reazionari di Mosca.
Della sua posizione politica sono testimonianza anche i video pubblicati dal canale Youtube del battaglione Prizrak quando era ancora vivo: Mozgovoy parla sullo sfondo di icone, bandiere nere con il teschio, ritratti di generali zaristi che hanno colonizzato il Caucaso facendo strage e simili.

La bandiera dello stesso battaglione Prizrak ha sullo sfondo una croce nera con un motivo chiaramente littorio, cosa che non deve meravigliare, visto che del battaglione hanno fatto parte come sottosezioni nel 2014-15 formazioni armate di gruppi neonazisti come Rusich, Feniks e Varyag.
Inoltre, il comandante aderiva all’ideologia omofoba imperante nelle “repubbliche” separatiste. Successivamente, verso la fine della sua carriera, il comandante ha allargato il suo battaglione anche alla partecipazione di volontari “comunisti”, ma senza alcuna contromarcia politica su tutto il resto.

Trovandosi in difficoltà e a corto di uomini nel contesto che contraddistingueva allora della regione di Lugansk, Mozgovoy ha poi cercato evidentemente di trovare una sponda in più in una serie di minigruppetti, o addirittura singoli, di tendenza stalinista. Tra di essi vi erano anche militanti di Borot’ba, un gruppo ultrastalinista che ha collaborato attivamente con i neofascisti e ha avuto pesanti responsabilità nei tragici eventi che hanno portato alla strage di Odessa del 2 maggio 2014.
Negli anni successivi è poi emerso che questo gruppo “di sinistra” era direttamente al soldo del Cremlino (si vedano Bellingcat e Nihilist).

Sappiamo benissimo tutti da sempre, e come minimo dal patto Hitler-Stalin del 1939, che non vi è alcuna stranezza nel nesso fascismo-stalinismo.
L’antifascismo dei “comunisti” del battaglione Prizrak è privo di ogni contenuto concreto, non critica il fascismo come tale, con i suoi sistemi di oppressione e repressione, che in realtà fa in buona parte propri.
Si limita a slogan di natura esclusivamente retorica e all’esaltazione della vittoria militare dell’Urss nel 1945 (interpretata però abusivamente come espressione della potenza della Russia, dimenticandosi i resistenti ucraini, bielorussi e di altri popoli che costituivano il nucleo portante della lotta sovietica contro il nazismo dopo il 1941 e che sono morti a milioni nella lotta contro i nazisti).

Infine, sulle divise dei combattenti del Prizrak, così come su ogni sfondo delle interviste a Mozgovoy, campeggia in bella vista la bandiera rossa con la X azzurra in bordi bianchi della Novorossiya.
Non solo il concetto di Novorossiya (Nuova Russia) è stato creato dal colonialismo dell’ultrareazionario Impero Russo, ma la sua bandiera odierna non si richiama ad alcuna tradizione locale: è stata scelta nel 2014 dai neofascisti che hanno fondato le repubbliche del Donbass copiandola intenzionalmente da quella dei loro camerati dell’estrema destra sudista americana.
E’ insomma una bandiera razzista, che esprime l’analoga ideologia di chi la utilizza come emblema, predicando lo schiavismo per gli ucraini e l’annullamento della nazione ucraina, che secondo loro deve essere diluita in quella russa con gli strumenti dello stragismo e della “rieducazione” forzata.

Lo studio più approfondito su Aleksy Mozgovoy è il lungo testo in tre parti di Kyrylo Tkachenko sui nessi tra neonazisti del Donbass e sinistra stalinista – scritto in tedesco, ma facilmente leggibile con un traduttore automatico:
Wie Teile der deutschen Linken Faschisten in der Ukraine unterstützen (Come parti della sinistra tedesca sostengono i fascisti in Ucraina).
Le parti specificamente dedicate a Mozgovoy e ai suoi collegamenti con l’estrema destra sono la seconda e la terza. Si tratta di un’inchiesta corredata di link a centinaia di fonti (quasi tutte separatiste o contigue) e molte foto che documentano i nessi tra il comandante e i neonazisti.

Sulla figura del comandante Mozgovoy si possono consultare anche un articolo con video di Vice, una testimonianza dell’anarchico Volodarskij ripubblicata con un commento dal sito di sinistra Ukraine Solidarity Campaign, nonché il profilo VKontakte di Mozgovoy stesso.

La realtà della guerra di oggi conferma in pieno che gli eventi del Donbass nel 2014 non sono stati altro che il primo capitolo della messa in atto di un programma genocida di chiara ispirazione fascista e neozarista.

A questo va aggiunto che chi nella sinistra italiana sostiene ossessivamente le tesi inventate di sana pianta di un’Ucraina da anni in mano a un governo fascista e in preda al terrore nazifascista, mentre in Ucraina vi è sì un preoccupante problema di estrema destra fascista da non sottovalutare, ma che rientra in limiti del tutto analoghi a quelli dell’Europa Occidentale, ignorando invece volutamente l’entità enorme del nazifascismo e dell’estrema destra nel Donbass e in Russia nell’ultimo paio di decenni, si schiera di fatto con la galassia nazifascista più potente, violenta e guerrafondaia del secondo dopoguerra.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014, fomentata da Putin

Messaggioda Berto » mar mag 03, 2022 9:40 am

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