6)
La guerra civile del Donbass, inizio del terrorismo separatista filo russo e i Protocolli di Minsk 2014/2015La guerra del Donbass, è un conflitto in corso che ha avuto inizio il 6 aprile 2014, quando alcuni manifestanti armati, si sono impadroniti di alcuni palazzi governativi dell'Ucraina orientale, ossia nelle regioni di Donec'k, Luhans'k e Charkiv.[10][11][12][13] Solo un mese prima le autorità della Crimea avevano annunciato anch'esse l'indipendenza dall'Ucraina e avevano formalizzato l'adesione alla Federazione Russa.https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Donbass I secessionisti, volendo emulare quanto accadde in Crimea dopo l'intervento militare russo nella penisola, chiesero anch'essi un referendum per l'indipendenza che fu negato dall'Ucraina. Il referendum, non riconosciuto e non verificato da alcuna organizzazione internazionale terza, si tenne comunque l'11 maggio 2014,[14][15] sicché dal 6 aprile la Repubblica Popolare di Doneck e la Repubblica Popolare di Lugansk proclamarono la loro indipendenza, riuscendo a prendere il controllo di parte dei rispettivi oblast'.
Tra il 22 e il 25 agosto furono segnalati da ufficiali della NATO l'ingresso, nei territori contesi ucraini del Donbass, di reparti d'artiglieria russi e carri armati, la consegna di armamenti a formazioni irregolari separatiste, il tutto comportanti un ammassamento di forze militari russe in territorio ucraino, contemporaneo ad un ingresso, non autorizzato da Kiev, di una colonna di camion con materiale umanitario non coordinato con la Croce Rossa Internazionale, e colpi d'artiglieria contro le forze ucraine; l'Ucraina denunciò il fatto come un'invasione diretta.[16][17]
Il Donbass e la Crimea sono parte dell'Ucraina e non della Russia https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 1613077124 Il Donbass è degli ucraini e dell'Ucraina e non dei russi e della Russiahttp://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 143&t=3000 https://www.facebook.com/profile.php?id=1000786668058761991
Il primo dicembre 1991 fu tenuto in Ucraina il referendum sull’indipendenza dalla URSS/Russiae fu una votazione libera, democratica, senza violenze ne brogli.
https://it.wikipedia.org/wiki/Referendu ... a_del_1991 Il referendum riguardo all'indipendenza dell'Ucraina si è svolto il 1º dicembre 1991. L'unica domanda scritta sulle schede era: "Approvi l'Atto di Dichiarazione di Indipendenza dell'Ucraina?" con il testo dell'Atto stampato prima della domanda. Il referendum fu richiesto dal Parlamento dell'Ucraina per confermare l'Atto di Indipendenza, adottato dal Parlamento il 24 agosto 1991.
I cittadini ucraini espressero un sostegno schiacciante per l'indipendenza. Al referendum votarono 31.891.742 (l'84.18% dei residenti) e tra di essi 28.804.071 (il 90.32%) votarono "Sì".
Nello stesso giorno, si tennero anche le elezioni presidenziali, nella quale gli ucraini elessero Leonid Kravčuk (all'epoca Capo del Parlamento) Presidente dell'Ucraina.
https://it.wikipedia.org/wiki/Referendu ... a_del_1991 L'unica domanda scritta sulle schede era: "Approvi l'Atto di Dichiarazione di Indipendenza dell'Ucraina?" con il testo dell'Atto stampato prima della domanda. Il referendum fu richiesto dal Parlamento dell'Ucraina per confermare l'Atto di Indipendenza, adottato dal Parlamento il 24 agosto 1991.
Vinsero i SI con una percentuale del 90,32%.
I SI vinsero in TUTTE le regioni del paese.
E quindi anche nella russofona Crimea e nel russofono Donbass vinsero gli indipendentisti a grande maggioranza:
In Crimea i SI ottennero il 54,19% dei suffragi.
Nel Donbass:
Donec'k- Oblast' di Donec'k 76,85%
Luhans'k - Oblast' di Luhans'k 83,86%
Charkiv- Oblast' di Charkiv 75,83%
Nel Donbass ci vivevano ucraini filo Ucraina e ucraini russi che avevano simpatie per la Russia e nel loro insieme al referendo per l'Indipendenza dell'Ucraina dall'URSS oltre il 70% di loro voto per il Sì. Quindi la sovranità statuale era dell'Ucraina e non della Russia e inoltre vi erano anche i diritti degli ucraini da salvaguardare che i separatisti filo russi hanno violentemente calpestato.
L'aggressione del regime di Putin all'Ucraina ha tolto il velo anche sull'ipocrisia regnata nel Donbass dal 2014 ad oggi. Quello che, secondo le autorità di Mosca, sarebbe il teatro di un genocidio condotto ai danni della popolazione russofona, altro non è che un buco nero mafioso
(Pubblicato in collaborazione con East Journal )Il Donbass, tolto il velo dell’ipocrisia
Osservatorio Balcani e Caucaso
Cartello stradale con scritto Donetsk © rospoint/Shutterstock
© rospoint/Shutterstock
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Ucr ... sia-216155 Lo scorso 21 febbraio la Russia ha riconosciuto l’indipendenza delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk. Il giorno seguente l’esercito russo entrava nelle due repubbliche per una missione di peacekeeping che, da un lato, affermava la sovranità russa sui due territori e, dall’altro, preparava l’invasione del resto dell’Ucraina.
Dopo anni di ipocrisie e falsità, è finalmente caduto il velo dal Donbass. Ripercorrere la storia recente di questa regione significa addentrarsi nei meandri di un conflitto definito “a bassa intensità” ma che, dal 2014, non ha smesso di seminare morte associando alla destabilizzazione politica e al controllo militare, pratiche criminali comuni, traffici, regolamenti di conti e violenza. Quello che, secondo le autorità di Mosca, sarebbe il teatro di un genocidio condotto ai danni della popolazione russofona, altro non è che un buco nero mafioso.
Il furto dello stato
All’indomani della dissoluzione sovietica molti vecchi esponenti della nomenklatura hanno saputo riciclarsi e trasformarsi in magnati e imprenditori grazie alla spoliazione dei beni pubblici in un processo di privatizzazione selvaggia che il politologo Steven L. Solnick ha chiamato "il furto dello stato". Un fenomeno che ha avuto luogo in molte regioni dell’ex Urss ma che in Donbass ha visto l’emergere di clan oligarchici capaci di prendere il controllo politico e sociale della regione, limitando gravemente la formazione di una società civile. Una regione industriale così ricca di risorse si è rivelata comprensibilmente attraente per le nuove generazioni di dirigenti mafiosi che cercavano di consolidare le proprie posizioni sociali ed economiche assumendo un controllo formale sul mondo della politica e del diritto.
Anni prima che Viktor Yanukovich diventasse presidente dell'Ucraina, lui e la sua famiglia stavano già esercitando il controllo sulla regione di Donetsk. Molti degli attori politici ed economici più influenti dell’Ucraina indipendente provengono da questa regione: gli ex presidenti Kuchma e Yanukovich ma anche Rinat Akhmetov, Oleksandr Yefremov, Borys Kolesnikov, nomi più o meno noti che hanno segnato le sorti della regione e del paese. Grazie a loro il Donbass è divenuto il tempio della corruzione, un luogo in cui soprusi e vessazioni erano il pane quotidiano, e la lotta tra gruppi armati al soldo di opposti magnati insanguinava le strade. La speranza di vita era, poco prima della guerra, due anni inferiore al resto del paese mentre la regione registrava i più alti tassi europei nel consumo di oppiacei e nella diffusione dell’HIV . E tutto questo malgrado la regione valesse un quarto di tutto l’export ucraino. Una ricchezza che però non andava nelle tasche della popolazione.
Regioni filorusse?
È in questo contesto che si svilupparono gli eventi che hanno portato alla nascita delle repubbliche separatiste. Nel momento in cui il presidente Yanukovich fuggì dal paese, cominciarono ad emergere conflitti all’interno del mondo oligarchico che lo sosteneva. Tra la popolazione si diffusero sentimenti contrastanti tra coloro che lo ritenevano un traditore e quelli che sentivano invece di aver perso un punto di riferimento a Kiev . Lo possiamo capire da un sondaggio dell’IRI condotto proprio in quei mesi che testimonia il malessere dei residenti negli oblast di Donetsk e Lugansk: in quelle regioni solo il 40% degli intervistati riteneva l’occupazione della Crimea “una minaccia per la sicurezza nazionale” contro al 90% dei residenti nelle regioni centro-occidentali.
Allo stesso modo, ben il 30% esprimeva la necessità di una “protezione per i cittadini russofoni”. Tuttavia il favore verso l’integrazione con la Russia non era elevato: 33% a Donetsk, 24% a Lugansk e Odessa, 15% a Kharkiv, mostrando come anche nelle regioni orientali del paese sussistessero grandi differenze e non fosse affatto vero, come si è poi affermato e si continua a ripetere da più parti, che nell’est dell’Ucraina la popolazione fosse largamente favorevole all’integrazione con la Russia. Anzi, uno studio del 2018 ha rilevato come la guerra non abbia modificato nella popolazione del Donbass la propria identità ucraina che, quindi, è qualcosa di più di una semplice appartenenza linguistica.
Una guerra civile?
Mentre a Kiev si andava consolidando il fronte rivoluzionario, nell’est del paese cominciarono i disordini. A marzo 2014 si registrarono scontri a Kharkov, Donetsk e Lugansk, con l’occupazione dei municipi e delle istituzioni locali. Secondo gli osservatori OSCE le forze di polizia non intervennero o si mostrarono solidali con i manifestanti filorussi. In aprile vennero occupate le amministrazioni di Kramatorsk, Sloviansk e Mariupol, questa volta con il supporto di uomini armati. Si trattava perlopiù di paramilitari che arrivavano dalla Russia . La provenienza russa dei miliziani e di larga parte dei dimostranti che occuparono le varie municipalità è la prova che non si è mai trattato, fin dall’inizio, di una guerra civile ma di uno “scenario crimeano” fatto di agitatori e truppe irregolari inviate da Mosca per destabilizzare e infine occupare le regioni orientali dell’Ucraina.
Si arrivò così alla proclamazione di indipendenza delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, rispettivamente il 7 e il 27 aprile 2014. Nel mese di maggio un referendum confermativo venne tenuto nelle due repubbliche registrando il 90% dei consensi. Un dato che contrasta fortemente con quello raccolto appena un mese prima dal sondaggio dell’IRI e che appare del tutto inverosimile. Intanto i combattimenti si intensificarono con l’arrivo di mezzi blindati, artiglieria pesante, lanciarazzi e sistemi antimissile di provenienza russa. Nel mese di luglio il volo MH17 della Malaysian Airlines venne abbattuto uccidendo 298 persone. Un’indagine internazionale concluse che l’aereo era stato colpito da un missile terra-aria partito dalla base della 53esima brigata antiaerea di Kursk, in Russia. A quel punto il velo sulla crisi ucraina era già stato squarciato, ma per molto tempo non si è voluto vedere in faccia il responsabile.
Gli sforzi della diplomazia condussero, in settembre, al Protocollo di Minsk, conosciuto come “Minsk I”: venne stabilita la linea di contatto tra l’Ucraina e le due repubbliche separatiste; si stabilì l’immunità per “tutti i partecipanti agli eventi nelle regioni di Donetsk e Lugansk” senza distinzione tra crimini comuni e crimini di guerra; vennero stabilite elezioni locali in presenza di osservatori OSCE (che si tennero infine il 2 novembre senza rispettare nessuna delle condizioni di trasparenza previste). Iniziava così una nuova fase di negoziati che, nel febbraio 2015, approdò agli Accordi di Minsk (noti come “Minsk II”).
L’economia dei separatisti
Dopo la stipula degli accordi di Minsk (febbraio 2015) si è avviata una fase di relativa stabilità anche se tra il 2017 e il 2020 si sono registrate più di 900 vittime civili. La situazione economica nelle due repubbliche separatiste era tuttavia resa difficile proprio dagli Accordi di Minsk che impedivano relazioni economiche con Mosca. L’assenza di collegamenti bancari con la Russia impediva alle fabbriche e alle aziende delle “repubbliche popolari” di avere la liquidità necessaria per mantenere la produzione. In questa situazione, l’Ossezia del Sud è diventata l'estrema risorsa: dopo aver stabilito rapporti ufficiali con Mosca, Donetsk e Lugansk, la piccola repubblica separatista georgiana è diventata l’intermediario attraverso cui la Russia versava fondi e pagamenti al Donbass. Tra il 2014 e il 2018, gli investimenti diretti esteri sono stati inferiori all'uno per cento del PIL del Donbass. Le aziende esitano a investire risorse in un'area in cui si verificano quotidianamente scambi di artiglieria. Per questo motivo, l'economia fatica a svilupparsi ed è stata particolarmente colpita dalla pandemia di Covid-19 diffondendo ulteriore malcontento tra la popolazione.
L'economia è stata monopolizzata da imprese di proprietà dei separatisti. I leader locali che si sono succeduti nel tempo hanno avviato una vera e propria economia di rapina, nazionalizzando e controllando le industrie locali. Gli stipendi sono crollati ai minimi storici. Chi ha potuto lasciare le due regioni, l’ha già fatto. Sono quasi due milioni coloro che sono emigrati nel territorio sotto controllo ucraino. Di fronte al crollo dell’economia locale, alla distruzione delle infrastrutture civili e industriali, i leader separatisti hanno agito come veri e propri boss mafiosi , imponendo la propria legge con la violenza. Tra i più noti vale la pena citare Aleksandr Borodai, primo capo della repubblica di Donetsk, che oggi siede alla Duma russa, e Aleksandr Zacharčenko, capace di costruirsi un piccolo impero estorcendo denaro a ristoranti e supermarket, prima di essere ucciso nel 2018 da un’autobomba piazzata da qualche rivale interno.
Le due repubbliche separatiste sono arrivate a costare miliardi di dollari alla Russia, costretta a versare soldi nelle casse dei separatisti, i quali non hanno esitato a farne un uso personale. Il regime semi-coloniale russo nel Donbass sarebbe stato insostenibile sul lungo periodo. Forse anche per questo Mosca ha deciso per il riconoscimento delle due repubbliche, uscendo dagli accordi di Minsk e prendendo il controllo diretto della regione. Ai piccoli boss locali si sostituisce così l’unico vero signore della guerra, Vladimir Putin.
Protocolli di Minsk 2014/2015Protocollo di Minskhttps://it.wikipedia.org/wiki/Protocollo_di_MinskDopo la firma del memorandum, è scoppiata la seconda battaglia per l'Aeroporto di Donec'k, ed entrambe le parti si accusano a vicenda di continue violazioni del cessate il fuoco. L'Aeroporto di Donec'k è chiuso a tutto il traffico dal 26 maggio 2014, a causa dei combattimenti tra le forze del nuovo governo ucraino e i separatisti filo-russi.[4] Alla fine di ottobre, il primo ministro della DNR, negoziatore e firmatario del Protocollo di Minsk, Aleksandr Zacharčenko, ha detto che le forze sotto il suo controllo avrebbero riguadagnato i territori che avevano perso in favore delle forze governative ucraine durante l'offensiva di luglio, e che le forze della DNR erano disposte a lottare in battaglie "pesanti" per raggiungere i loro obiettivi.[4][15] In seguito, Zakharchenko ha sostenuto di essere stato frainteso, e che, in realtà, intendeva dire che queste aree sarebbero state recuperate attraverso "mezzi pacifici".[16] Durante la sua campagna durante il periodo precedente alle elezioni generali in Donbass condotte dalla DNR e dalla LNR, in presunta violazione del Protocollo di Minsk, Zakharchenko ha dichiarato: "Questi sono tempi storici." "Stiamo creando un nuovo paese! È un obiettivo pazzesco."[17]
Il presidente dell'OSCE Didier Burkhalter ha confermato che le elezioni sono state "in contrasto con la lettera e lo spirito del protocollo di Minsk" e ha detto che loro "complicherebbero ulteriormente la sua applicazione".[18] Parlando il 5 dicembre, il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha detto che le elezioni generali in DNR e le elezioni generali in LNR, condotte in 2 novembre 2014, erano "esattamente nel range che era stato negoziato a Minsk", e che il parlamento ucraino, presumibilmente, avrebbe dovuto adottare un progetto di legge di amnistia dei leader delle DNR e LNR, dopo le elezioni parlamentari in Ucraina in ottobre 2014.[19] Secondo Lavrov, un più stretto monitoraggio del confine russo-ucraino, come specificato nel Protocollo di Minsk, poteva avvenire solo dopo che fosse stata approvata una legge di questo tipo di amnistia.[19] Lavrov ha detto che si pensava che un decreto presidenziale emanato il 16 settembre, che presumibilmente vieta la persecuzione di combattenti separatisti in Donbass, sarebbe rispettato dal governo ucraino, ma che un progetto di legge proponente la revoca di tale decreto era stato presentato.[19]
Una successiva fase dei colloqui di pace tenutasi a Minsk è stata sospesa il 26 dicembre 2014. Tuttavia, ambo le parti hanno confermato, dopo ore di trattative, di aver accettato lo scambio di prigionieri, che coinvolge almeno 375 prigionieri su entrambi i lati.[20]
Il 12 febbraio 2015 a Minsk in esito ai colloqui dei leader di Francia e Germania, Russia e Ucraina, i rappresentanti del Gruppo di contatto trilaterale hanno sottoscritto il pacchetto di misure per l'attuazione del protocollo di Minsk, noto come protocollo di Minsk II.
Gli accordi di Minsk - DirittoConsensoCosa sono gli accordi di Minsk? Qual era l’obiettivo che si voleva raggiungere? Come mai non hanno funzionato?
Introduzione storica agli accordi di Minsk
https://www.dirittoconsenso.it/2022/03/ ... -di-minsk/Per capire meglio che cosa sono gli accordi di Minsk è necessario fare un inquadramento storico. Gli Accordi di Minsk sono costituiti dal Protocollo di Minsk I e dal Protocollo di Minsk II rispettivamente del 2014 e del 2015. Gli accordi di Minsk furono pensati per porre fine al conflitto nel Donbass, regione nell’Est Ucraina, tra il governo di Kiev e le autorità separatiste filorusse. In seguito alla ‘’Rivolta di Majdan’’, che depose l’allora presidente ucraino Viktor Kanukovich, le autorità separatiste filorusse autoproclamarono le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk nel Donbass. Con il primo accordo di Minsk l’obiettivo era quello di porre fine al conflitto secessionista nell’est dell’Ucraina.
Dopo l’elezione del presidente ucraino Petro Poroshenko nel maggio del 2014, Ucraina, Russia e Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) stipularono gli Accordi di Minsk I per concordare un pacchetto di misure di contenimento della escalation della guerra nel Donbass[1]. Il processo negoziale non fu facile. L’OSCE in questo processo aveva il compito di osservare e verificare il cessate-il-fuoco e il ritiro degli armamenti pesanti.
Dopo la sottoscrizione di Minsk I nel 2014 i combattimenti proseguirono, a dimostrazione del fatto che l’Accordo di pace non era sufficientemente incisivo. Un ruolo decisivo in questo senso fu giocato da Francia e Germania che con Mosca e Kiev diedero avvio al cosiddetto ‘’Formato Normandia’’ per le negoziazioni quadrilaterali e la stipula dell’accordo di Minsk II nel 2015.
Si parlò di una iniziativa del ‘’Formato Normandia’’ in quanto i leaders di Francia, Germania, Russia e Ucraina si incontrarono durante il settantesimo anniversario dello sbarco alleato del D-Day in Normandia e qui si decisero di impegnarsi per dare una svolta alla guerra in Donbass. L’obiettivo era quello di concordare ‘’un Pacchetto di misure per l’implementazione degli accordi di Minsk I’’ e di organizzare una de-escalation delle tensioni attraverso un canale di dialogo volto a non dipendere dal circolo delle sanzioni imposte dall’Occidente a Mosca dopo l’annessione della Crimea.
Minsk II è stato siglato in occasione del terzo round di incontri nel febbraio del 2015 prima delle tensioni che si verificarono tra Occidente e Russia in Siria e Medio Oriente.
Già un anno dopo, nel 2016, ci si rese conto dell’incertezza circa l’effettiva attuazione delle clausole
dell’accordo.
Cosa prevedono gli accordi di Minsk
Il processo di applicazione di Minsk II è monitorato, oltre che dall’OSCE, anche dal ‘’Quartetto di Normandia’’. L’accordo di Minsk si articola in 13 punti e prevede le seguenti misure:
immediato e completo cessate-il-fuoco a partire dalla mezzanotte del 15 febbraio 2015;
Ritiro dal fronte di tutte le armi pesanti da ambo le parti entro 14 giorni e creazione di una “zona di sicurezza”;
Monitoraggio del cessate-il-fuoco e del ritiro delle armi pesanti da parte dei rappresentanti dell’OSCE;
Una volta avvenuto il ritiro delle armi pesanti, avvio di un dialogo sulle modalità da seguire per lo svolgimento di elezioni locali nel Donbass, in accordo con la legislazione ucraina;
Concessione della grazia e dell’amnistia per gli individui coinvolti nel conflitto;
Rilascio di tutti gli ostaggi e di tutte le persone detenute illegalmente;
Garanzia di accesso sicuro alle zone di combattimento per la consegna e la fornitura di aiuto umanitario sulla base di un meccanismo internazionale;
Ripristino di tutti i servizi economici e sociali nelle zone coinvolte nel conflitto, inclusi trasferimenti sociali (es. il pagamento delle pensioni, ripristino del settore bancario);
Ripristino del completo controllo del confine da parte dell’Ucraina in tutta la zona di conflitto, a partire dal giorno successivo alle elezioni nelle regioni di Donetsk e Lugansk;
Ritiro di tutti i gruppi armati, equipaggiamento militare e dei mercenari dal territorio ucraino sotto monitoraggio dell’OSCE;
Riforma costituzionale in Ucraina basata sul principio di decentralizzazione entro la fine del 2015, con un riferimento specifico alle regioni di Donetsk e Lugansk e adozione di una legislazione permanente sullo “statuto speciale” delle suddette regioni;
Elezioni locali nelle regioni di Donetsk e Lugansk in rispetto degli standard OSCE. Le modalità di svolgimento delle elezioni devono essere discusse e concordate con i rappresentanti delle regioni di Donetsk e Lugansk all’interno del Gruppo di Contatto Trilaterale;
Intensificazione del lavoro del Gruppo di Contatto Trilaterale attraverso la creazione di gruppi di lavoro.
Punti di discordia dopo la sottoscrizione di Minsk II e nuovo impulso per la pace
I punti di discordia per l’attuazione degli accordi Minsk sono stati diversi. Sicuramente un primo punto di difficile realizzazione sin da subito fu la piena e completa realizzazione del cessate il fuoco di cui al punto uno. Particolare preoccupazione, inoltre, ci fu per l’aumento dell’aliquota di armamenti pesanti rimossi dai siti di stoccaggio e reintrodotti nella zona di sicurezza (punto 2). Gli Osservatori Ocse continuarono a subire restrizioni nella loro libertà di movimento e di monitoraggio nel Donbass (punto 3). Questo avvenne principalmente nelle zone non controllate dal governo di Kiev e soprattutto in quei luoghi dove vi era il sospetto della presenza di armi proibite. Il punto 6 relativo al rilascio incondizionato di prigionieri incontrò molte difficoltà nella realizzazione.
Anche dal punto di vista politico la situazione non fu semplice. Il processo di riforma costituzionale che avrebbe dovuto garantire una progressiva decentralizzazione dei poteri nel paese (punto 11) e la relativa creazione di un qualche tipo di statuto speciale alle regioni di Donetsk e Lugansk si arenò. Vi era, infatti, una divergenza di vedute con i separatisti e indirettamente con la Russia relativamente a ciò che si doveva fare per arrivare a questo tipo di risultato. I leaders delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk e Mosca chiedevano che il governo di Kiev approvasse tale riforma costituzionale, riconoscesse lo statuto speciale al Donbass ed elaborasse una legge elettorale per i rappresentanti delle repubbliche stesse (punto 12).
Il presidente dell’Ucraina da parte sua sosteneva che la riforma costituzionale per la concessione dello statuto speciale al Donbass sarebbe avvenuta soltanto dopo aver organizzato elezioni in base ai criteri OSCE. Per arrivare a questo, avrebbero però dovuto verificarsi condizioni come il cessate il fuoco, il ritiro di tutte le armi pesanti e delle truppe mercenarie (punto 10) e soprattutto il ripristino della sovranità territoriale al confine con la Russia (punto 9). Le parti anche dopo Minsk II sono risultate ancorate alle loro posizioni per cui sin da subito si capì la difficoltà a raggiungere un accordo sulla legge elettorale.
Nel 2019, tuttavia, furono compiuti alcuni progressi.
Vi furono innanzitutto due scambi di prigionieri. Il primo vertice del Quartetto Normandia dal 2016 si tenne a Parigi nel dicembre del 2019. Le parti, poi, convennero di applicare appieno il cessate-il-fuoco e ritirare le forze militari in altre tre regioni, non specificate però, entro la fine del marzo del 2020. Le parti ammisero che la missione speciale di monitoraggio dell’OSCE necessitava di un accesso sicuro in tutta l’Ucraina per attuare pienamente il proprio mandato. Rimasero, comunque, irrisolte le questioni relative alle elezioni nelle regioni controllate dai separatisti e allo status speciale per la regione del Donbass, voluto dalla Russia. Nel febbraio del 2020 cinque membri europei del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – Belgio, Estonia, Francia, Germania e Polonia – deplorarono le vittime e ricordarono alla Russia gli impegni assunti con gli accordi di Minsk.
Conclusione
Ad oggi si può dire che il cessate-il-fuoco previsto dagli accordi è stato più volte violato. L’OSCE ha registrato 200 violazioni tra il 2016 e il 2020 e oltre mille dal 2021. Dal 2014 ad oggi si contano, inoltre, oltre 13 mila vittime.
Diversi punti previsti dai Trattati non sono stati attuati anche a cause delle diverse interpretazioni che vengono date da Mosca e Kiev. Gli Accordi di Minsk non prevedono nessun obbligo per Mosca, che ritiene di non essere parte del conflitto, bensì di aver siglato gli stessi solo come mediatrice tra OSCE, Francia e Germania. L’ucraina dal canto suo sostiene che il ritiro di ‘’tutte le forze armate straniere’’ si riferisca alla Russia, la quale nega qualsiasi sua presenza militare nei territori separatisti. Kiev, inoltre, si è sempre rifiutata di parlare direttamente con i ribelli.
È stata la Francia di Macron nelle ultime settimane a rilanciare il ‘’Formato Normandia’’ per ridare vita al dialogo tra Russia, Ucraina, Francia e Germania alla luce dell’escalation di tensione tra Russia e Ucraina. Ad onore del vero, però, bisogna dire che la stessa Italia per voce del Presidente del Consiglio Mario Draghi ha affermato che le ‘’relazioni tra Ucraina e Russia sono disciplinate dagli Accordi di Minsk che non sono stati osservati da nessuna delle due parti’’.
Prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia si riteneva che gli Accordi di Minsk avrebbero potuto offrire una piattaforma di dialogo diretto tra Ucraina e Russia.
L’autonomia alle regioni separatiste avrebbe potuto essere un mezzo per Mosca per ottenere un veto sulle decisioni di politica estera ed ottenere in questo modo delle garanzie di sicurezza, soprattutto per quanto riguarda la non adesione dell’Ucraina alla Nato. L’Ucraina avrebbe potuto, invece, ripristinare il controllo sul suo confine con la Russia. Per il Cremlino dovevano essere attuate prima le disposizioni politiche e poi quelle militari, mentre per Kiev il contrario. L’Ucraina voleva che la Russia e quelle che vengono ritenute le ‘’forze per procura’’ si ritirassero dall’est in modo da riprendere il controllo del confine e, solo ottenuto ciò, sarebbe stata disposta a svolgere elezioni locali secondo standard internazionali e nel rispetto della legge ucraina. Inoltre, Kiev, invece di riconoscere alle repubbliche separatiste uno status speciale come chiede Mosca, avrebbe voluto riconoscere loro dei poteri extra nell’ambito di un più ampio programma di decentramento.
L’obiettivo era probabilmente quello di negare al Cremlino la possibilità di continuare a controllare i territori dell’Est e avere in questo modo voce in capitolo negli affari ucraini con rappresentanti delle regioni filorusse seduti al parlamento nazionale e autorità regionali pronte a contrastare le politiche non gradite a Mosca, come per esempio l’adesione alla NATO. La Russia, invece, in base alla sua interpretazione prevedeva prima le elezioni locali e il riconoscimento di status speciale nel Donbass. Duncan Allan, membro associato del programma Russia ed Eurasia presso il think tank Chatham House di Londra, ha sintetizzato così il dilemma di Minsk, e cioè chiedendosi se l’Ucraina è sovrana, come insistono gli Ucraini, o se la sua sovranità debba essere limitata, come richiede la Russia.
Il Nazifascismo Separatista Putiniano Nel DonbassSpaziolibero Cris
Andrea Ferrario
6 giugno 2022
https://unaepidemiadivita.wordpress.com ... l-donbass/I nazifascisti ed estremisti di destra che hanno fondato e diretto le due “repubbliche popolari” del Donbass a partire dal 2014.
Messi temporaneamente da parte dal Cremlino una volta terminati i loro compiti, sono tornati in questi giorni sulla scena della guerra.
Documentiamo come le leggende sull’esistenza di un autentico antifascismo nel Donbass siano una colossale “patacca”, occupandoci in particolare della figura del defunto comandante Mozgovoy e dei suoi nessi con l’estrema destra.
1) I nazifascisti delle “repubbliche” del Donbass
Mentre in Italia ci si è sempre concentrati esclusivamente sui neofascisti ucraini, il problema macroscopico del nazifascismo nelle “repubbliche popolari” e in Russia è stato sistematicamente ignorato. La sinistra italiana, e la massima parte di quella internazionale, si è fatta passare sotto il naso senza pronunciare nemmeno un timido “ohibò” quella che probabilmente è stata la più ampia operazione politica e militare nazifascista in Europa dopo il 1945, la creazione nel 2014 delle “repubbliche popolari” separatiste di Donetsk e Lugansk e le loro azioni militari, condotte sotto l’egida di Mosca per ottenere il controllo del Donbass.
Le modalità di creazione delle “repubbliche” e il profilo dei nazifascisti che le hanno fondate sono descritti nell’approfondita indagine pubblicata da “Crisi Globale”, con decine di link a fonti principalmente separatiste e russe, a fine aprile 2014, cioè quasi in presa diretta:
L’anima nera della “Repubblica di Donetsk”
Nell’articolo viene descritto nei dettagli come i gruppi all’origine delle due “repubbliche” separatiste create subito dopo Maidan e l’annessione della Crimea fossero formati interamente da nazifascisti, razzisti, antisemiti ed estremisti di destra filozaristi. I più importanti di loro venivano dalla Federazione Russa e non avevano in precedenza avuto nulla a che fare con il Donbass.
I due leader principali, Igor Girkin “Strelkov” e Aleksandar Boroday, corrispondono esattamente a questo profilo, e almeno il primo, con esperienze militari in Bosnia e in Cecenia, era sicuramente legato ai servizi segreti russi.
Lo stesso vale quasi sicuramente per l’intera dirigenza separatista, che ha agito in perfetta sintonia con la pianificazione degli eventi da parte di Mosca, sebbene per ovvi motivi solo per alcuni dei suoi esponenti vi siano precise evidenze.
Anche le forze armate delle due “repubbliche” erano sotto controllo fascista, basti pensare che quelle della “repubblica di Lugansk” sono state a lungo sotto il comando di un noto neonazista di San Pietroburgo, Aleksey Milchakov, e quelle della repubblica di Donetsk sotto quello di un altrettanto noto neonazista, Aleksandr Matyushin, già a capo della sezione di Donetsk del gruppo neonazista Russkiy Obraz e dell’organizzazione giovanile della relativa “repubblica”, nonché fondatore del battaglione nazifascista Varyag.
Sotto gli ordini dei loro camerati inviati da Mosca hanno agito anche alcuni microgruppi neofascisti locali del Donbass, attivatisi in funzione anti-Maidan già prima degli eventi del marzo 2014. Questi ultimi erano privi di ogni legame con la popolazione locale e hanno ottenuto i loro risultati unicamente grazie al sostegno di Mosca, nonché all’appoggio condizionato ricevuto dai potentati mafio-oligarchici locali.
Inoltre, i nazifascisti e gli altri estremisti di destra a capo delle “repubbliche” separatiste, facevano parte di una rete internazionale creata dal Cremlino attraverso “Unioni eurasiatiche”, “conferenze internazionali”, convegni, convocazioni di “osservatori internazionali” a elezioni farsa, mirati a fare convergere l’estremismo di destra europeo (e negli anni successivi, anche statunitense) verso gli interessi di Mosca.
Pertanto la dimensione dell’operazione nazifascista separatista, al contrario per esempio di quella del neofascismo ucraino, è anche di natura paneuropea.
Infine, avevamo pubblicato sempre nel 2014, a titolo documentativo, il testo “teorico” di un ideologo della “Repubblica di Donetsk”, Igor Droz, che è emblematico della natura di estrema destra, integralista cristiana e omofoba delle repubbliche separatiste: L’”antifascismo” neofascista della Novorossiya.
Igor Droz era vicino a Igor Strelkov e partecipava alle riunioni del think-tank separatista Izborsky Club, di cui faceva parte anche il noto neofascista russo Aleksander Dugin.
Ma cosa è successo dopo il 2014-2015?
Mosca ha progressivamente rimosso la maggior parte degli uomini della prima ora, cioè i fascisti di cui sopra. Questi ultimi si dimostravano poco controllabili, molti comandanti avevano creato dei veri e propri feudi in reciproco conflitto, o in conflitto con le dirigenze di Donetsk e Lugansk.
Putin grazie ai nazifascisti separatisti aveva portato a termine con successo la prima fase della sua guerra contro l’Ucraina, non era per il momento interessato ad allargare un conflitto per il quale non si riteneva ancora preparato e puntava per il momento a tenere in scacco il governo di Kyiv dopo avere messo un’ipoteca sul funzionamento del paese con la creazione delle “repubbliche” separatiste, continuando però a intessere una rete di estrema destra a livello europeo che gli poteva tornare utile su temi come le sanzioni, il gas e altro ancora.
I separatisti della prima ora sono stati fatti quasi tutti uscire di scena in un modo nell’altro. Strelkov e Boroday sono stati richiamati a Mosca (il secondo oggi è deputato di Russia Unita), svariati comandanti sono stati uccisi.
Il primo nuovo uomo, che nell’estate del 2014 ha sostituito il “presidente” separatista Boroday, è stato Alexander Zakharchenko, anch’egli proveniente da ambienti di estrema destra, ma più grigio e obbediente – il che non lo ha salvato però dal morire in un attentato nel 2018.
Anche svariati altri comandanti noti, come Motorola, Givi o Alexey Mozgovoy, sono stati uccisi. Oggi al potere rimangono personaggi privi di ogni personalità, veri e propri burattini di Mosca, come Denis Pushilin, l’unico sopravvissuto della prima ora, anch’egli connesso con l’estrema destra, ma lungi dall’esserne stato un militante attivo: nel periodo prima del “separatismo” si limitava a rubare soldi ai pensionati come dirigente di una piramide finanziaria.
Battaglioni neonazisti (il Rusich) o con una nutrita presenza neofascista al loro interno (il Somali) hanno però continuato e continuano a operare sul terreno in Donbass e in queste settimane Pushilin si è fatto cogliere mentre decorava un comandante che recava sulla divisa un simbolo neonazista.
Di tendenze naziste è anche il gruppo mercenario stragista Wagner (si vedano ad esempio gli articoli di Res Publica e del Guardian) che, come già nel 2014, sta oggi operando nel Donbass a fianco dei separatisti e dell’esercito russo, dopo avere combattuto e compiuto eccidi in Medio Oriente e Africa al servizio di Mosca.
L’eliminazione della maggior parte dei fascisti dei primi due anni delle repubbliche separatiste non vuol dire che queste ultime si siano democratizzate. Sono sempre rimaste dittature dove si praticano sistematicamente la tortura, gli omicidi mirati contro le briciole sopravvissute della società civile, le politiche omofobe e integraliste cristiane. Inoltre la dirigenza separatista ha distrutto l’economia locale con una pura politica di saccheggio, non pagando gli stipendi agli operai, o consegnando i beni del paese a grandi capitalisti della Federazione Russa.
Su questi aspetti una delle migliori fonti è il dettagliato articolo di Natalia Savelyeva pubblicato dalla Fondazione Rosa Luxemburg.
Molto utili anche i precisi materiali pubblicati dallo storico e attivista di sinistra Simon Pirani nel suo sito “People and Nature”, come ad esempio The “republics” Putin is fighting for e Social protest and repression in Donbass.
Sulla natura di estrema destra delle “repubbliche” separatiste fondamentale è il saggio “Russian White Guards in the Donbass” di Zbigniew Marcin Kowalewski, pubblicato da International Viewpoint, così come il suo “The oligarchic rebellion in the Donbass”.
Un altro articolo che traccia con precisione i nessi tra neonazisti russi, Cremlino e nazifascisti del Donbass è “Neo-Nazi Russian nationalist exposes how Russia’s leaders sent them to Ukraine to kill Ukrainians”.
Utili anche “The Involvement of Russian Ultra-Nationalists in the Donbas Conflict”, di Richard Arnold, e il recente “Neo-Nazi Russian Attack Unit Hints It’s Going Back Into Ukraine Undercover”, sul battaglione neonazista Rusich.
Per quanto riguarda i documenti fotografici, consigliamo queste due “gallerie” di immagini sui nazifascisti del Donbass:
http://www.evasiljeva.ru/2017/08/blog-post_20.htmlhttps://glavnoe.ua/news/n1869572) Antifascisti nel Donbass? Ma non scherziamo…
In Internet circolano numerosi materiali fotografici e “reportage” sulla presenza di comunisti e antifascisti tra i separatisti del Donbass. Molti di questi materiali tendono ad affermare che l’intero Donbass separatista è una roccaforte antifascista. In Italia questo discorso è amplificato da una serie di piccoli gruppi di una galassia stalinista che, per sua natura, è sempre pronta a schierarsi dalla parte degli stragisti, dal sito Contropiano (vicino al sindacato USB filo-Assad e filo-Putin), fino alla band militante Banda Bassotti o a piccoli gruppi.
Queste tesi sono tornate alla ribalta con la morte nel Donbass di Edy “Bozambo” Ongaro che, condannato per aggressione, aveva trovato rifugio prima in Spagna e poi nel Donbass separatista, dove si era arruolato nel battaglione Prizrak, l’unico della regione che in effetti esibisce spesso bandiere rosse (dell’Unione Sovietica) e accoglie militanti “internazionalisti” di gruppi neostalinisti europei.
La storia del battaglione Prizrak e del suo comandante, Aleksey Mozgovoy è esemplare di come l’idea dell’esistenza di una tendenza di sinistra ed effettivamente antifascista sia una pura “patacca”.
Mozgovoy, che a differenza della maggior parte dei suoi camerati separatisti non aveva avuto una storia di militanza di estrema destra prima del 2014 (era stato soldato a contratto per cinque anni, poi aveva vissuto di occupazioni occasionali), si era tuttavia legato fin dall’inizio degli eventi di quell’anno a Igor Strelkov, l’estremista di destra di cui abbiamo già parlato e che ha guidato le fasi fondamentali dell’annessione della Crimea e della “primavera russa” separatista nel Donbass su ordini di Mosca.
Mozgovoy, che controllava un suo “feudo” ad Alchevsk, nella regione di Lugansk, faceva parte di un settore di comandanti meno direttamente controllabili da Mosca ed era presto entrato in conflitto con l’ala più burocratica che governava la cosiddetta “Repubblica di Lugansk”. Inoltre, dopo i primi mesi della “primavera russa” gli effettivi del suo battaglione stavano calando di numero. Alla fine, nel 2015, Mozgovoy è stato ucciso in un agguato quasi di sicuro organizzato dalla dirigenza di Lugansk e/o da Mosca.
Mozgovoy è sempre stato su posizioni che, per quanto confuse, erano di estrema destra e anticomuniste, come testimoniato da molto di più dei suoi soli legami con Strelkov. Per esempio, a fine agosto 2014 Mozgovoy ha preso parte a Yalta a un congresso che, sotto l’occhio paterno di Sergey Glazyev, uomo forte del Cremlino e allora consigliere di Putin, ha riunito neofascisti e neonazisti di tutta Europa, come per esempio Roberto Fiore di Forza Nuova, il neonazista belga Luc Michel o l’antisemita Israel Shamir, tra i tanti altri.
Nel novembre dello stesso anno organizzava un processo “popolare” in perfetto stile fascio-stalinista contro due uomini accusati di rapporti con una minorenne, durante il quale è riuscito a colpevolizzare con parole tipiche di un fascista le donne che non se ne stanno a casa, dopo avere annunciato che quelle trovate a frequentare un locale sarebbero state arrestate:
“Il compito [delle donne] è badare ai figli. Nella nostra città è pieno di donne nei bar, anche nei night-club. […] Una donna dovrebbe essere la guardiana del focolare, la madre. E che tipo di madri diventano dopo aver frequentato i pub? …
Una donna dovrebbe stare in casa a cuocere pirozhki e bere un bicchierino solo il giorno della Festa delle donne. È ora di ricordare che siete russe!
È ora di recuperare la vostra spiritualità!
Perché una donna era innanzitutto una madre. Ma che madre potrebbe mai essere se rovina il suo organismo con l’alcool, e ai tempi d’oggi addirittura con le droghe?”.
Alcuni giorni dopo in un’intervista alla Novaya Gazeta Mozgovoy esprime il suo disprezzo per la Rivoluzione russa definendola “una sceneggiata” frutto di una cospirazione, interpretandola come l’inizio delle sventure della Russia, tutti concetti che sono un cavallo di battaglia dei reazionari di Mosca.
Della sua posizione politica sono testimonianza anche i video pubblicati dal canale Youtube del battaglione Prizrak quando era ancora vivo: Mozgovoy parla sullo sfondo di icone, bandiere nere con il teschio, ritratti di generali zaristi che hanno colonizzato il Caucaso facendo strage e simili.
La bandiera dello stesso battaglione Prizrak ha sullo sfondo una croce nera con un motivo chiaramente littorio, cosa che non deve meravigliare, visto che del battaglione hanno fatto parte come sottosezioni nel 2014-15 formazioni armate di gruppi neonazisti come Rusich, Feniks e Varyag.
Inoltre, il comandante aderiva all’ideologia omofoba imperante nelle “repubbliche” separatiste. Successivamente, verso la fine della sua carriera, il comandante ha allargato il suo battaglione anche alla partecipazione di volontari “comunisti”, ma senza alcuna contromarcia politica su tutto il resto.
Trovandosi in difficoltà e a corto di uomini nel contesto che contraddistingueva allora della regione di Lugansk, Mozgovoy ha poi cercato evidentemente di trovare una sponda in più in una serie di minigruppetti, o addirittura singoli, di tendenza stalinista. Tra di essi vi erano anche militanti di Borot’ba, un gruppo ultrastalinista che ha collaborato attivamente con i neofascisti e ha avuto pesanti responsabilità nei tragici eventi che hanno portato alla strage di Odessa del 2 maggio 2014.
Negli anni successivi è poi emerso che questo gruppo “di sinistra” era direttamente al soldo del Cremlino (si vedano Bellingcat e Nihilist).
Sappiamo benissimo tutti da sempre, e come minimo dal patto Hitler-Stalin del 1939, che non vi è alcuna stranezza nel nesso fascismo-stalinismo.
L’antifascismo dei “comunisti” del battaglione Prizrak è privo di ogni contenuto concreto, non critica il fascismo come tale, con i suoi sistemi di oppressione e repressione, che in realtà fa in buona parte propri.
Si limita a slogan di natura esclusivamente retorica e all’esaltazione della vittoria militare dell’Urss nel 1945 (interpretata però abusivamente come espressione della potenza della Russia, dimenticandosi i resistenti ucraini, bielorussi e di altri popoli che costituivano il nucleo portante della lotta sovietica contro il nazismo dopo il 1941 e che sono morti a milioni nella lotta contro i nazisti).
Infine, sulle divise dei combattenti del Prizrak, così come su ogni sfondo delle interviste a Mozgovoy, campeggia in bella vista la bandiera rossa con la X azzurra in bordi bianchi della Novorossiya.
Non solo il concetto di Novorossiya (Nuova Russia) è stato creato dal colonialismo dell’ultrareazionario Impero Russo, ma la sua bandiera odierna non si richiama ad alcuna tradizione locale: è stata scelta nel 2014 dai neofascisti che hanno fondato le repubbliche del Donbass copiandola intenzionalmente da quella dei loro camerati dell’estrema destra sudista americana.
E’ insomma una bandiera razzista, che esprime l’analoga ideologia di chi la utilizza come emblema, predicando lo schiavismo per gli ucraini e l’annullamento della nazione ucraina, che secondo loro deve essere diluita in quella russa con gli strumenti dello stragismo e della “rieducazione” forzata.
Lo studio più approfondito su Aleksy Mozgovoy è il lungo testo in tre parti di Kyrylo Tkachenko sui nessi tra neonazisti del Donbass e sinistra stalinista – scritto in tedesco, ma facilmente leggibile con un traduttore automatico:
Wie Teile der deutschen Linken Faschisten in der Ukraine unterstützen (Come parti della sinistra tedesca sostengono i fascisti in Ucraina).
Le parti specificamente dedicate a Mozgovoy e ai suoi collegamenti con l’estrema destra sono la seconda e la terza. Si tratta di un’inchiesta corredata di link a centinaia di fonti (quasi tutte separatiste o contigue) e molte foto che documentano i nessi tra il comandante e i neonazisti.
Sulla figura del comandante Mozgovoy si possono consultare anche un articolo con video di Vice, una testimonianza dell’anarchico Volodarskij ripubblicata con un commento dal sito di sinistra Ukraine Solidarity Campaign, nonché il profilo VKontakte di Mozgovoy stesso.
La realtà della guerra di oggi conferma in pieno che gli eventi del Donbass nel 2014 non sono stati altro che il primo capitolo della messa in atto di un programma genocida di chiara ispirazione fascista e neozarista.
A questo va aggiunto che chi nella sinistra italiana sostiene ossessivamente le tesi inventate di sana pianta di un’Ucraina da anni in mano a un governo fascista e in preda al terrore nazifascista, mentre in Ucraina vi è sì un preoccupante problema di estrema destra fascista da non sottovalutare, ma che rientra in limiti del tutto analoghi a quelli dell’Europa Occidentale, ignorando invece volutamente l’entità enorme del nazifascismo e dell’estrema destra nel Donbass e in Russia nell’ultimo paio di decenni, si schiera di fatto con la galassia nazifascista più potente, violenta e guerrafondaia del secondo dopoguerra.