Dov'è il nazismo e chi è il nazista in Ucraina e in Russia?

Dov'è il nazismo e chi è il nazista in Ucraina e in Russia?

Messaggioda Berto » sab mar 19, 2022 7:07 pm

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Ecco chi è e cos'è la Russia di Putin!



La Russia di Putin è alleata, sostenitrice e paladina di tutte le dittature della terra:
della staliniana Corea del Nord con il suo culto della personalità,
del Venezuela social comunista di Maduro,
dell'Iran nazi maomettano che vorrebbe l'atomica per distruggere Israele e l'Occidente cristiano,
della Cina che è cresciuta economicamente grazie al lavoro portato dall'Occidente industriale e capitalista e che pratica la concorrenza sleale che inquina il Mondo più del resto degli altri paesi industrializzati, che è diventata una minaccia militare per tutto il Mondo Libero.
Putin è un dittatore prepotente e violento, imperialista antidemocratico e antioccidentale che fa parte di una oligarchia economica nazionalista, prepotente e mafiosa che affama la sua gente il suo stesso popolo preferendo impiegare le sue risorse per costruire armi offensive, che non ha alcun rispetto per i paesi confinanti europei che non ne vogliono sapere della Russia di Putin erede della Russia imperialista e autoritaria degli Zar e dell'URSS.
Putin è un falso cristiano pieno di violenza e di spirito di sopraffazione, altro che gli ucraini nazisti, il russo Putin pare la fusione di Hitler e di Stalin, il peggio del peggio e un bugiardo matricolato.


La triplice alleanza del Male:

la Russia nazi fascista e imperiale di Putin, prosegue quella degli Zar e quella internazi comunista dell'URSS;
Putin è un falso cristiano che usa il cristianismo per legittimarsi con il suopopolo e con l'Occidente cristiano, dove una parte dei cristiani abbandonati dall'Europa e dal Papa sinistrati e politicamente corretti, lo hanno eletto a loro paladino ed eroema che e con il suo imperialismo nazionalista opprime e ammazza i cristiani d'Europa;
la Russia dal primo novecento è sempre alleata dei paesi canaglia, di tutta la terra, come oggi con:
Cina/Corea del Nord/Venezuela di Maduro/Cuba nazi comunisti,
Iran nazi maomettano ed altri paesi islamici, che vogliono distruggere Israele,
da ricordare sempre:
i pogrom russi contro gli ebrei,
la persecuzione degli ebrei nella Russia sovietica,
I Protocolli dei Savi di Sion per demonizzare calunniosamente gli ebrei elaborati dalla Russia antisemita,
l'invenzione del Popolo palestinese e l'organizzazione del suo terrorismo ad opera dell'URSS,
gli scud sovietici che nel 1991 Saddam Hussein fece piovere su Israele,
mai dimenticare che la Russia di Putin all'ONU ha sempre votato contro Israele.
Il regime russo sovietico dell'URSS ha oppresso come mai nessun'altro i popoli d'Europa su cui era riuscito a imporre il suo dominio e questi popoli al crollo dell'URSS hanno scelto l'Europa e la NATO come anche l'Ucraina liberatasi dal gioco russo moscovita con il Referendo del 1991 scegliendo il Sì con oltre il 90%.





Putin, no grazie! La Russia di Putin con il male della terra, come la Russia dell'URSS

Difendiamo il Mondo Libero, difendiamo l'Ucraina!
viewtopic.php?f=144&t=2998

Caro Trump è il momento di schierarsi a fianco dell'Ucraina, degli USA, dell'Europa, della NATO e con l'antipatico e orrido Biden a difesa dell'Occidente democratico contro il nazista russo Putin.
Putin non è vittima dell'Occidente ma è carnefice di se stesso, dei russi e nostro, va fermato senza aspettare troppo come con Hitler.
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 8961991036

Putin, no grazie! Sta con il male della terra.
Putin il dittatore zarista ex comunista che piace ai rosso bruni destro sinistrati dell'Occidente in perenne attesa di un Messia cazzuto e armato.
E tra questi anche i poveri venetisti che sognano il ritorno della Serenissima con la sua aristocrazia cristiana illuminata e che sperano che Putin possa regalargliela come fosse un super Babbo Natale con il magico potere di riportare indietro le lancette della storia e di favorirne un'altra a loro gradita e che a suo tempo Venezia e la sua Serenissima non hanno saputo e voluto costruire.
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 8961991036


La vergogna dei veneti che stanno con la Russia di Putin e contro l'Ucraina
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... 5947747508

Vi sono dei veneti che fanno dei distinguo e non si schierano completamente senza se e senza ma contro la Russia e che non prendono incondizionatamente le difese dell'Ucraina aggredita, invasa, stuprata e sono una vergogna e si trovano anche tra le file dei leghisti, partito che io ho votato alle ultime tre tornate elettorali: europee, italiane, venete, un voto motivato dalla necessità di sostenere il male minore per evitare un male più grande.
Ma la vergogna più grande per i veneti viene dalla minoranza venetista che sogna il ritorno della Serenissima la cui propaganda è piena di menzogne.




Il Suprematismo russo di Putin
Dice: bisogna capire le ragioni dell’altra parte. E capiamole, allora, ma sul serio. Dice: questa guerra non è iniziata adesso. Sì, ma manco nel 2014. Né nel 2008. E nemmeno nel 1991. Se volete fare sul serio, io ci sto.
Mille anni che sta lì
Gianmarco Volpe
15 marzo 2022

https://www.facebook.com/gvolpe/posts/10228392509023668

E quindi partiamo da Pietro il Grande.
A cavallo tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, è il primo zar a fare del concetto di profondità strategica il principio di base della politica di difesa della Russia. L’impero, al tempo, è già sterminato e praticamente indifendibile, perché non ha barriere naturali a protezione dei suoi centri nevralgici. L’invasione da Occidente non è un pericolo ipotetico: meno di un secolo prima, dopo la morte di Ivan il Terribile e il periodo dei torbidi, i polacchi erano entrati a Mosca e vi avevano regnato un paio d’anni.
L’intuizione dello zar è di mettere quanto più terra possibile tra il Cremlino e i suoi nemici. L’impero inizia ad allargarsi verso il Baltico, verso il Mar Nero, verso il Caucaso, verso l’Asia centrale. È Pietro il Grande a portare la frontiera fino al Mare d’Azov e fino al fiume Dnipro in Ucraina. La profondità strategica, con l’aiuto del generale inverno, consente alla Russia di salvarsi dall’offensiva di Napoleone nel 1812 e da quella di Adolf Hitler nel 1941. Resta infatti concetto centrale della politica di sicurezza anche per l’Unione sovietica, che non a caso due anni prima dell’operazione Barbarossa scendeva a patti con la Germania nazista per spartirsi il territorio della Polonia; e che non a caso, durante gli anni della Guerra fredda, non esita a inviare i carri armati a Budapest e a Praga per assicurare la tenuta del Patto di Varsavia.
Il problema per Mosca è che, quando incorpori nuovi territori, incorpori anche nuove nazionalità. I sovietici, fin dai primi anni, tentano di sedare le spinte centrifughe nazionaliste con rudi esperimenti di ingegneria demografica e disegnando confini per così dire fantasiosi, che ancora oggi non mancano di alimentare conflitti in tutta l’area post-sovietica. Ma per tenere insieme il baraccone serve una salda ortodossia ideologica, una forza militare schiacciante e la promessa di un miglioramento delle condizioni di vita di tutte le popolazioni dell’Unione. L’Urss collassa nel 1991 per effetto del venir meno di tutti e tre questi elementi, dando vita a una costellazione di Stati indipendenti che, nella gran parte dei casi, immaginano di costruire il proprio futuro sul modello politico ed economico proposto dall’Occidente, quello uscito vincitore dalla Guerra fredda.
Quando Vladimir Putin definisce il crollo dell’Unione sovietica “la più grande catastrofe geopolitica del ventesimo secolo” non lo fa perché è un nostalgico del socialismo reale, ma perché è consapevole che nel 1991 Mosca ha perso la sua profondità strategica. Già la Russia di Boris Eltsin tenta di chiudere i cancelli dando vita alla Comunità degli Stati indipendenti (Csi), che però non riesce mai a dotare di una politica estera e di difesa comune. I buoi sono già scappati e Eltsin non ha la forza politica ed economica per andare a recuperarli. Nel 1997 Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Moldova danno persino vita a un’organizzazione regionale parallela che si chiama Guam, dalla quale la Russia è esclusa. È questo il periodo del grande allargamento dello spazio Nato, che – temo vada sempre ricordato – non è una potenza, ma un’alleanza militare alla quale si aderisce volontariamente. Sul rapporto Nato-Russia non mi dilungo, perché l’ho già fatto il 26 febbraio qui su Facebook.
Quando arriva al potere, nel Duemila, Putin incarna il senso di umiliazione e d’insofferenza che la sua generazione – una generazione cresciuta nell’epoca della dottrina brezneviana, nel mito dell’espansionismo sovietico e i cui padri avevano resistito a Stalingrado e liberato Berlino – che la sua generazione, dicevo, vive nelle macerie fumanti dell’impero. È un uomo del Novecento, sì, ma è soprattutto un leader russo e come un leader russo disegna la sua politica estera. Mette subito in chiaro che il disegno strategico che persegue punta dritto a mettere in discussione l’ordine mondiale emerso dalla Guerra fredda, a ridisegnare i confini dell’Europa. Lo fa piallando al suolo la capitale dell’ultima delle repubbliche separatiste, la Cecenia, e utilizzando ogni strumento a disposizione per richiamare all’ordine gli Stati indipendenti della galassia post-sovietica.
L’Ucraina, per ragioni strategiche, è il Paese verso cui, più d’ogni altro, si concentrano le attenzioni e le preoccupazioni di Putin. La sua esistenza è accettabile solo come Paese satellite della Russia: dista 600 chilometri da Mosca, dai Carpazi alla capitale russa è aperta pianura, e a Sebastopoli, nella Crimea ucraina, c’è la principale base navale russa sul Mar Nero. Nel 2004, quando si avvicinano le elezioni, il candidato filo-occidentale alla presidenza, Viktor Yushchenko, viene avvelenato con la diossina, sopravvive ma ne porterà i segni sul volto per tutto il resto della sua vita. Tra il 2006 e il 2009, con lo stesso Yuschenko al potere, Gazprom interrompe ogni anno le forniture di gas in pieno inverno. Non sorprende che nel 2010 vada al potere un leader ben disposto verso Mosca, Viktor Yanukovic, il quale però tenta un gioco pericoloso di equilibrismo: tratta l’Accordo di associazione con l’Unione europea, poi si tira indietro quando arrivano cospicui assegni dalla Russia. Il resto è storia recente: la protesta dell’Euromaidan, gli spari sulla folla, le infiltrazioni di estrema destra, Yanukovic che viene esautorato dal parlamento e scappa dal Paese, l’annessione della Crimea, il conflitto a bassa intensità nel Donbas.
Non bisogna perdere di vista il quadro più ampio. L’invasione dell’Ucraina è un piano pronto da tempo: non è una reazione, non è una risposta, non è una rappresaglia. Putin ritiene fondamentale colpire per primo e colpire duro, come teorizza scavando nell’aneddotica della sua infanzia a Leningrado e ricordando di quando andava a caccia di topi e uno di questi, stretto all’angolo, approfittò di un’esitazione del piccolo Vladimir per saltargli addosso e trovare una via di fuga. Il 12 luglio 2021 il leader russo pubblica un lungo articolo che s’intitola “Sull’unità storica tra russi e ucraini” (lo linko nei commenti): ha già deciso d’invadere l’Ucraina.
Perché proprio ora? Per quattro ragioni fondamentali. La prima è che nel 2021 i prezzi di gas e petrolio sono raddoppiati in maniera inattesa, e garantiscono alla Russia un flusso di cassa extra per finanziare l’avventura militare. La seconda è che la guerra in Siria è ormai finita e Mosca può permettersi di aprire un nuovo fronte. La terza è che, nell’analisi del Cremlino, il blocco occidentale è diviso: gli Stati Uniti, debilitati dalla disastrosa transizione Trump-Biden, guardano quasi solo al Pacifico, e l’Europa è l’Europa, per di più in convalescenza da uno dei più gravi shock finanziari della sua storia. La quarta è che Putin è convinto di trovare sponda in Cina e di potersi quindi permettere di rompere con l’Occidente: Xi Jinping ha bisogno oggi più che mai del gas e del petrolio russo per accelerare la crescita economica, e avrà bisogno in futuro di un alleato che gli copra le spalle quando toccherà a lui invadere Taiwan.
Alcuni punti importanti:
• Putin non vuole la neutralità dell’Ucraina: in tal caso il conflitto si sarebbe già concluso, o più probabilmente non sarebbe mai iniziato. Putin vuole terra: l’Ucraina intera o, se dovrà accontentarsi, la sua metà fino al fiume Dnipro.
• Non si fermerà fino a quando non sarà in grado di portare a casa un risultato in grado di consolidare il suo potere e il suo consenso interno, inevitabilmente intaccato dal crollo delle condizioni di vita dei russi provocato dalle sanzioni. È ingenuo pensare che possa sedersi ora al tavolo dei negoziati.
• La Russia non vincerà mai questa guerra. L’ha già persa sul piano mediatico, rischia di perderla persino sul piano militare (il blitzkrieg è già fallito, la guerra casa per casa avvantaggia gli ucraini e il tempo gioca contro gli occupanti) e la perderà certamente sul piano politico (se anche dovesse prender Kiev, a che costo potrà controllarla?).
• La nostra capacità d’incidere sugli eventi è limitata, benché distorta dalla nostra tendenza a sentirci il centro del mondo. Dobbiamo invece abituarci a un pianeta che sempre più gira indipendentemente dalla nostra volontà e dalle nostre responsabilità. Vedete: un secolo fa l’Europa rappresentava il 30 per cento della popolazione della Terra, oggi tra il 7 e l’8 per cento. Nel 1975, quando nacque, il G7 raccoglieva l’80 per cento della ricchezza mondiale, oggi non arriva al 50. Ci sono nuovi protagonisti, nuovi scenari, nuovi centri gravitazionali. È un pensiero arrogante quello che ci porta a credere che tutto dipenda da noi, dalle nostre scelte o dalle nostre inazioni.
• Ci sono anche nuovi e vecchi imperialismi, e bisognerebbe imparare a riconoscerli prima che ci piovano le bombe in sala da pranzo. Anche se mi rendo conto che esiste una parte di questo Paese - in quel territorio oscuro nel quale s’intrecciano destra e sinistra e nel quale la necessità di posizionarsi contro il Pensiero Unico sovrasta quella di cercare la verità e di abbracciare la complessità delle cose, ma anche di provare una naturale compassione per le vittime e per gli oppressi – che sarebbe disposto ad appoggiare qualunque despota, anche il più sanguinario, purché fieramente anti-occidentale.
Putin non è pazzo, piuttosto è il prodotto paranoico di una cultura paranoica. Ma è sempre stato questo. Sta invecchiando, e questo lo porta ad affrettare delle scelte che in altri tempi avrebbe ponderato più a lungo. È solo, e quindi non ha nessuno intorno che lo avverta che sta facendo una cazzata. Ma la traiettoria che lo porta a invadere l’Ucraina è la stessa lungo la quale si è mossa la sua intera carriera politica. È sempre stato tutto lì, davanti ai nostri occhi. Solo che non l’abbiamo voluto vedere. Putin oggi vuol terminare un lavoro iniziato quasi vent’anni fa. O, se vogliamo, mezzo millennio fa.




Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia
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Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia, una stessa grande nazione, uno stesso popolo anche se sono imparentate e questa criminale aggressione lo dimostra senza l'ombra di alcun dubbio e sopratutto dimostra che non vi è alcun amore, alcuna fraternità, alcun rispetto da parte della Russia e che l'Ucraina fa più che bene a difendersi, a rifiutare radicalmente, a combattere e a cacciare il russo stupratore e assassino e a non voler più condividire alcun destino storico comune con questa miserabile e demenziale umanità che sostiene la Russia del nazifascista, imperialista e falso cristiano Putin.
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 9003863100
Il caso della fratellanza tra Caino e Abele che non era certo una buona fratellanza, non va sicuramente invocato per l'Ucraina perché equivarrebbe alla sua morte.
Quello della Russia e dell'Ucraina era più un rapporto/relazione di fratellanza o di matrimonio forzati che naturali e d'amore, infatti non appena ha potuto l'Ucraina, alla dissoluzione dell'URSS, impero sovietico a egemonia russa, si è dichiarata a stragrande maggioranza per l'Indipendenza nel referendo del 1991.



"Non esiste una generazione di ucraini che non sia stata sfregiata dalla politica coloniale russa e dalle sue scelte rovinose, a partire dal Settecento". Splendido pezzo di Yaryna oggi su Repubblica. L'inquadramento della guerra dal punto di vista culturale e storico.
L’Ucraina non sarà una colonia russa

di Yaryna Grusha Possamai*
17 marzo 2022

https://www.facebook.com/groups/salviam ... 7461906163

La mattina del 24.02.2022 le sirene nella capitale Kiev e nelle città di Kharkiv, Kherson, Chernihiv, Sumy hanno anticipato i bombardamenti aerei. Paura, panico, fuga degli ucraini. Cinque minuti prima dell’attacco su larga scala del mio paese il presidente russo, con un discorso che proponeva gli stessi argomenti contenuti in un articolo pubblicato nel luglio del 2021 pieno di falsità sulla storica fratellanza tra i popoli russo e ucraino, annunciava quello che è il cuore della sua politica coloniale.
Oggi le analisi sulla guerra della Russia all’Ucraina ruotano intorno a politica, economia, geopolitica e interessi finanziari senza però tenere in considerazione l’aspetto storico-culturale che invece è quello al quale dobbiamo guardare perché è lì che il presidente russo ha pescato le giustificazioni per l’aggressione di un Paese che, al contrario del suo, ha intrapreso una strada democratica. La manipolazione dell’opinione pubblica in Russia è avvenuta attraverso la strumentalizzazione della storia. Quella fredda mattina di febbraio gli ucraini hanno capito che la storia si stava ripetendo. Non esiste una generazione di ucraini che non sia stata sfregiata dalla politica coloniale russa e dalle sue scelte rovinose, a partire dal Settecento con la distruzione dell’Hetmanato (1649-1764), primo nucleo statale gestito dai cosacchi nei territori dell’odierna Ucraina, fino alla circolare di Valuev (1863) e al decreto di Ems (1876) che proibivano qualsiasi opera letteraria in ucraino, compresa la traduzione dal russo. I territori ucraini appartenenti all’impero russo sono stati chiamati Piccola Russia, per sottolineare il rapporto di forza tra il centro colonizzatore e la periferia colonizzata.
La politica coloniale con il proprio centro a Mosca è proseguita con la sottomissione di Kiev anche durante l’Unione Sovietica: purghe staliniste con centinaia di intellettuali ucraini arrestati e fucilati a Solovki e Sandarmokh all’inizio degli anni Trenta, lo sterminio per fame — noto come Holodomor tra il 1932 e il 1933 — dei contadini ucraini, l’occupazione di Leopoli nel 1939, la deportazioni dei tartari di Crimea nel 1944, la repressione tra gli anni ’60 e ’70. Nel 1985 nella colonia sovietica di Ku?ino, odierna regione di Perm’ in Russia, muore in seguito a uno sciopero della fame il poeta e traduttore ucraino Vasyl’Stus. Nel 1986 esplode la centrale nucleare di Chornobyl’ incidente causato da una cattiva gestione e le cui conseguenze hanno prodotto migliaia di profughi rimasti a lungo senza una casa e un posto di lavoro.
Io sono un’ucraina con un bisnonno fucilato dal NKVD (Commissariato del popolo per gli affari interni, ndr ), mentre l’altro bisnonno è stato mandato al fronte senza un fucile, in prima linea con l’Armata Rossa ed è tornato senza un braccio.
Mia nonna è cresciuta con il marchio di “figlia del nemico del popolo” la quale cosa ha significato niente studi e niente lavoro. I miei genitori — insegnanti di lettere che non potevano nominare durante le lezioni i nomi di scrittori e poeti ucraini sterminati dal regime sovietico — sono scappati da Chernobyl’ solo due settimane dopo l’incidente (avvenuto il 6 aprile 1986, ndr ), perché il potere centrale teneva tutti all’oscuro, e sono rientrati a casa nell’agosto successivo perché la loro zona, qualificata come Zona 3, non è stata considerata da evacuare. Oggi quei territori — con scuole e case bombardate e centinaia di civili morti — sono afflitti dalla guerra.
La vera storia dell’Ucraina il cui cuore pulsante è Kiev è stata cancellata per creare un mito, un mito intorno al quale la Russia ha inventato una versione della storia a proprio uso e consumo.
Tra la fine del 2013 e il 2014 la “periferia” ucraina ha cercato nuovamente di sottrarsi all’influenza del “popolo fraterno” proclamando — attraverso la Rivoluzione della dignità (nota in Italia come Euromaidan) — di aver scelto una strada europea.
La risposta del “centro” è arrivata con l’utilizzo dei soliti vecchi mezzi del terrore: l’espropriazione della penisola della Crimea, l’invasione e i bombardamenti del Donbass. Ma l’ideologo della Russia ha ottenuto l’effetto contrario: l’Ucraina non si è sottomessa ed è cresciuto il divario, incolmabile per le nuove generazioni, tra il popolo ucraino e il popolo russo.
La guerra del 2022 con i suoi bombardamenti colpisce al cuore con ferocia la storia e la cultura ucraine: le scuole, i centri come Budynok Slovo, casa-museo degli scrittori ucraini attivi a Kharkiv negli anni Venti del Novecento, gli edifici storici del centro di Kharkiv e Chernihiv, il luogo del massacro degli ebrei a Kiev nel 1941, Babyn Yar.
La resistenza dimostrata dagli ucraini in questa guerra è quindi la ribellione di un popolo traumatizzato che da secoli subisce la politica coloniale di chi lo ha aggredito. E in questa lotta ci sono gli ucraini ucrainofoni e russofoni, ci sono città con storie diverse come Kiev, Kharkiv, Mariupol’e Odessa. La risposta degli ucraini è la lotta decoloniale per l’indipendenza e per l’esistenza stessa, è la resistenza per preservare la propria incolumità e identità e per evitare che le nuove generazioni debbano subire ancora.
* L’autrice è traduttrice e organizzatrice culturale. Nata in Ucraina nel 1986, vive a Milano. È titolare del corso di Lingua e Letteratura Ucraina all’Università Statale di Milano




Ucraina. La poetessa Sedakova: la mia Russia impaurita, ostaggio del nuovo stalinismo
Marta Ottaviani
mercoledì 23 marzo 2022

https://www.avvenire.it/mondo/pagine/ol ... intervista

È considerata la più grande poetessa russa vivente, l’erede della grande Anna Achmatova, con la quale condivide anche il grande amore per la lingua e la cultura italiana. Ma Olga Sedakova è qualcosa di più: è l’intima voce della nazione russa, la cantrice della sua anima più profonda. C’è una tensione verso la spiritualità che traspare nei suoi versi. Arrestata durante il periodo sovietico per le sue convinzioni religiose, molte sue opere furono divulgate sotto forma di Samizdat, le pubblicazioni clandestine che permettevano ai dissidenti politici di fare conoscere il proprio lavoro. Ad Avvenire, dalla sua casa di Mosca, ha raccontato come il popolo russo stia vivendo questo conflitto e perché la Russia di Putin somigli all’Unione Sovietica di Stalin.

Olga Sedakova, da fuori è molto difficile capire come la Russia stia vivendo questa guerra. Che idea si è fatta lei?
La guerra è stato uno choc assoluto per tutti. Sembrava che semplicemente non potesse più accadere. Per i primi tempi c’è stata ancora l’illusione che ci si potesse svegliare come da un brutto sogno. Ma dobbiamo partire da che cosa è successo prima che questa guerra iniziasse.

Ossia?
Quando è cominciata la guerra non dichiarata, perché in Russia si chiama «operazione militare speciale», nel Paese era stata completamente distrutta qualsiasi opposizione, quasi tutti i media liberi sono stati banditi, era stata coniata l’etichetta di «agente straniero» per chiunque dissentisse. Con la liquidazione di Memorial, il nostro centro di storia vivente dedicato al ricordo delle vittime della repressione sovietica, e l’incarcerazione della figura più popolare dell’opposizione, Alexeij Navalny, la scena pubblica è stata completamente "ripulita" da qualsiasi attività che non coincida con quella ufficiale.
La propaganda militarista ha preso piede dall’annessione della Crimea nel 2014. Le celebrazioni annuali della vittoria di guerra del 1941-1945 (chiamata in Russia Grande Guerra Patriottica) si tenevano con slogan come «Possiamo farlo di nuovo!». In televisione non c’era altro che propaganda. Propaganda viziosa e totalmente falsa. Era talmente idiota e brutta che sembrava impossibile che una persona "normale" potesse semplicemente ascoltarla e prenderla sul serio. Ma ha fatto il suo lavoro. Ha formato "l’uomo della tv", che non può essere convinto di nient’altro. Questo "uomo della tv" costituisce ormai la maggioranza della popolazione. Così ora il divario tra questo tipo di persone e altre (che definirei sensibili) corre tra le generazioni, all’interno delle famiglie, all’interno delle comunità professionali. Una divisione di una forza incredibile. Nella "gente della tv" di oggi non c’è il pathos che l’annessione della Crimea causò nel 1914. Chiamerei la loro condizione difensiva: non vogliono conoscere il vero stato delle cose. La guerra per loro è giustificata da storie di propaganda sulle «atrocità» commesse dagli ucraini contro il popolo russo o russofono, sul «genocidio» in Ucraina. L’altra parte della popolazione ha espresso immediatamente il suo atteggiamento verso la guerra. Sono state raccolte centinaia di migliaia di firme: fra queste, probabilmente, ci sono i nomi di tutte le persone autorevoli e serie del Paese.

Quale clima si respira in Russia in questi giorni?
Il clima è depresso e teso. Un gran numero di persone cerca di vivere la propria vita come se non fosse successo nulla. Le persone con una chiara posizione contro la guerra si sentono come ostaggi: la forza militare dello Stato è diretta contro di loro. La repressività del regime è andata accumulandosi nel nostro Paese per molto tempo, ma ora sta diventando una vera e propria minaccia. Anche se qualcuno osa dichiarare apertamente la propria posizione, la gente non lo ascolta. Molte persone della mia cerchia stanno lasciando il Paese. Con varie motivazioni: la paura delle rappresaglie, la riluttanza a partecipare, il desiderio di salvare i bambini. Allo stesso tempo, uscire o fuggire diventa sempre più difficile. Spesso è una fuga verso una destinazione sconosciuta, senza averi, senza soldi, lungo percorsi difficili.

È ancora possibile informarsi in modo indipendente ora che anche Dozhd ed Echo Moskvi sono state chiuse?
La chiusura di tutti i media indipendenti è un grande colpo per la capacità di ottenere informazioni. Coloro che sanno usare i media elettronici trovano le proprie fonti. Ma sono in minoranza, credo. La ripubblicazione e la diffusione di tali informazioni è anche punibile penalmente. La maggioranza della popolazione riceve solo disinformazione ufficiale e, sorprendentemente, ci crede.

Come ha ricordato, in Russia ci sono anche migliaia di persone che sono scese in piazza, nonostante rischiassero di venire arrestate. Lei crede che questa guerra possa avere in qualche modo danneggiato il consenso attorno a Putin?
Se è così, non sarà presto. Forse quando l’impoverimento sarà evidente e non lo è ancora, oppure quando si conosceranno i numeri dei soldati russi uccisi in guerra (per ora su questo c’è il silenzio totale).

Cosa succederà adesso in Russia? Putin diventerà ancora più autoritario? Qualcuno ha detto che questa sembra l’Urss senza il comunismo. Si trova d’accordo?
Molto oggi assomiglia all’Urss dei suoi giorni stalinisti più repressivi. Come allora c’è la richiesta di un sostegno pieno e incondizionato a qualsiasi decisione delle autorità. Ma c’è anche qualcosa di nuovo. Gli slogan e lo stile sono spesso presi direttamente dal Terzo Reich. Il regime sovietico camuffava la sua brutalità. Oggi la brutalità della soppressione forzata di elementi esterni e locali è praticata apertamente e non nascosta. L’ideologia comunista non esiste più. Invece del marxismo-leninismo e «dell’ateismo militante» c’è ora una torbida miscela di cattivo misticismo storiosofico, l’idea di una "Grande battaglia" in cui i russi dovrebbero essere pronti a morire e a distruggere il mondo intero insieme a loro stessi, per porre fine al "Male del mondo". Un misto di vendetta, aggressione imperiale, odio verso "loro", ossia, nel linguaggio ufficiale l’Occidente collettivo. E non c’è niente davanti. Nessun "futuro luminoso", come sotto il comunismo, e nessun futuro in generale.

Lei è considerata la più grande poetessa russa vivente. La letteratura russa è una letteratura fatta di coraggio, di denuncia, spesso anche di dissidenza. Che ruolo stanno ricoprendo gli intellettuali in questo momento così drammatico per il loro Paese?
Penso che gli artisti e gli intellettuali russi, come è sempre successo nei momenti difficili, troveranno la forza e l’ispirazione (questo è molto importante, l’ispirazione: la parola non ispirata è impotente) per esprimere ciò che l’anima umana viva vede in quello che sta succedendo. E un’anima non può rimanere viva senza verità, senza libertà, senza compassione.

La Russia può avere un futuro aperto e democratico, magari vicino all’Europa?
Lo spero. Non vedo come possa avvenire una transizione verso "un’altra Russia". Una cosa è chiara: non può essere facile. Saranno tempi difficili e forse terribili. Ma se non credi in un tale risultato, non vuoi vivere. Ci sono troppe persone in Russia che meritano un’altra vita e sono pronte per essa.

Chi è. Avversata e poi premiata

Olga Sedakova è nata a Mosca nel 1949. Già dalla prima infanzia ha manifestato un interesse precoce per la poesia e le lingue straniere. Ad appena 20 anni il regime sovietico l’ha fatta rinchiudere in un ospedale psichiatrico. La sua colpa era lo scarso interesse e attivismo politico, ma soprattutto le sue prime poesie, che avevano preso a circolare e che furono considerate troppo intrise di senso religioso e spiritualità. I cinque mesi di permanenza nell’istituto e i tentativi di choc glicemico per fiaccarne la memoria non hanno avuto le conseguenze sperate né sulla sua testa né sulla sua fede. Una volta uscita dall’ospedale psichiatrico, Sedakova ha ripreso gli studi in Filologia, laureandosi a pieni voti all’Università Lomonosova di Mosca nel 1976. Le sue prime raccolte di poesie nel frattempo hanno iniziato a circolare con sempre maggiore frequenza, pubblicate clandestinamente in patria e tradotte in più lingue fuori dai confini nazionali, dall’inglese all’ebraico, dal serbo al cinese, passando per l’italiano. Dovrà aspettare fino al 1989 perché il suo Paese decida di diffondere la sua opera poetica e i suoi scritti di narrativa. Nel 1991 le viene anche assegnata una cattedra alla Facoltà di Filologia, Dipartimento di Storia e Teoria della cultura mondiale. Sedakova è anche un apprezzata traduttrice: è stato proprio l’amore per le letterature straniere a portarla ad approfondire gli altri idiomi. In 40 anni è stata insignita dei maggiori premi e riconoscimenti internazionali.



DALLA RUS' DI KIEV ALLA RUSSIA DI PUTIN: PERCHÈ GLI UCRAINI TENGONO ALL'INDIPENDENZA
di Antonio Polito, Il Corriere della Sera
28 marzo 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

La Rus’ è nata a Kiev, tra il IX e il X secolo dopo Cristo; fu la più antica forma di stato degli slavi orientali. Il suo sovrano Vladimir è passato alla storia per essersi convertito nel 988 al Cristianesimo insieme al suo popolo. Per questo è venerato come santo. Quindi Putin porta oggi il nome di un principe di Kiev, come del resto il suo avversario Zelensky.
Mosca nacque solo molto dopo - è citata per la prima volta alla data del 1147 - come avamposto militare di uno dei principati in cui si era divisa la Rus’. Ma dopo la lunga dominazione mongola - il “giogo tartaro” - emerse come il centro del principato della Moscovia, e con la caduta di Costantinopoli (1453) cominciò a fregiarsi del titolo di «Terza Roma», erede cioè sia dell’impero romano di Occidente e di Oriente.
Kiev passò sotto il controllo di Mosca soltanto nel 1667, e non con una conquista ma con la diplomazia e l’inganno. I cosacchi ortodossi, ribellatisi ai polacchi per difendere la loro indipendenza, chiesero aiuto alla ortodossa Moscovia. Aleksej, il primo principe russo a lasciare il paese per combattere all’estero, sconfisse i polacchi e nel trattato di pace ottenne per due anni il controllo di Kiev. Non lo lasciò mai più. Toccò poi un secolo dopo a Caterina II la Grande il compito di completare l’opera, smembrando la Polonia e annettendosi l’Ucraina meridionale, la Crimea e la Polonia orientale. La zarina affidò a un suo favorito la fondazione del porto di Odessa sul Mar Nero, una sorta di contraltare della magnifica San Pietroburgo che lo zar Pietro il Grande aveva fatto costruire sul Mar Baltico. L’accesso ai «mari caldi», navigabili cioè anche d’inverno, è stato infatti il primo obiettivo strategico degli zar, e ancora oggi si combatte sulle sponde del Mar d’Azov, dove Pietro il Grande schierò la prima flotta della storia russa.
L’anelito all’indipendenza degli ucraini fu duramente represso nell’Ottocento, con il divieto delle pubblicazioni nella lingua nazionale. La regione andò poi persa con la disfatta del regime zarista nella Grande Guerra. Quando i bolscevichi presero il potere con la Rivoluzione di Ottobre nel 1917, decisero di mettere fine al conflitto con gli Imperi centrali. Così, nella pace di Brest-Litvosk nel 1918, rinunciarono a tutti i territori occidentali, tra cui l‘Ucraina, che fu occupata dai tedeschi e tornò nelle mani dei nazionalisti. Solo dopo la fine della guerra civile Kiev entrò a far parte nel 1922 dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Ma è proprio durante l’epoca sovietica che gli ucraini hanno conosciuto quella che forse è la loro peggiore tragedia nazionale. La grande carestia, passata alla storia come Holodomor, fu provocata da Stalin per imporre la sua politica di «collettivizzazione» delle terre e liberarsi della classe dei «kulaki», i contadini indipendenti. L’Ucraina oppose una strenua resistenza, e nel 1932-1933 le autorità di Mosca deliberatamente l’affamarono, esportando o nascondendo il cibo ai contadini. Si registrarono anche casi di cannibalismo. Le vittime complessive della carestia superarono i 4 milioni.
Anche per questo, quando le armate hitleriane invasero l’Ucraina marciando contro l’Urss, furono spesso accolte come liberatori dagli ucraini: in realtà portarono solo altra morte e devastazione.
Dopo il collasso dell’Urss, nel 1991, e di nuovo a Brest (dove anche in questa guerra si sono svolti colloqui di pace) l’Ucraina dichiarò la sua indipendenza, insieme con la Federazione russa e la Bielorussia, confermata da un referendum popolare che vinse anche nell’est del paese. Con gli accordi del 1994 accettarono di consegnare alla Russia le testate nucleari presenti sul loro territorio in cambio della garanzia di integrità territoriale.
Il paese è rimasto a lungo diviso tra la parte occidentale, che voleva una maggiore integrazione con l’Europa, e la parte orientale più legata alla Russia. Nel 2008 la Nato accettò la richiesta di adesione di Kiev ma non vi ha mai dato seguito proprio per evitare la reazione di Mosca, che invece c’è stata comunque. Prima nel 2004 con la «rivoluzione arancione» e poi nel 2013 con il movimento chiamato Euromajdan , le forze pro-Europa hanno avuto il sopravvento, nonostante il tentativo di repressione del governo filo-russo nel 2013. Putin reagì a quello che definì un «colpo di Stato» con l’occupazione militare della Crimea e la sua annessione, e con il sostegno alle milizie dell’area orientale del Donbass, il bacino minerario, che dichiararono la nascita di due repubbliche separatiste.
Il resto è storia dei nostri giorni.
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Dov'è il nazismo e chi è il nazista in Ucraina e in Russia?

Messaggioda Berto » sab mar 19, 2022 7:08 pm

CHI RICORDA LA LETTERA DEGLI SCIENZIATI RUSSI?
Mosca, 28 febbraio 2022

https://www.facebook.com/luciano.donder ... 1266077323

«Noi, studiosi, scienziati ed esponenti del giornalismo scientifico russi, esprimiamo una decisa protesta contro le azioni di guerra intraprese dalle forze armate del nostro Paese contro i territori dell’Ucraina. Questo passo fatale comporta la perdita di innumerevoli vite umane e mina le basi del sistema della sicurezza internazionale.
Per questa guerra non ci sono giustificazioni. I tentativi di sfruttare la situazione del Donbass come pretesto non sono credibili. È del tutto evidente che l’Ucraina non rappresenta una minaccia per la sicurezza del nostro Paese. La guerra contro di essa è ingiusta e manifestamente priva di senso. L’Ucraina è stata e continua ad essere un Paese a noi vicino. Molti di noi hanno parenti, amici e colleghi che condividono le nostre ricerche scientifiche. I nostri padri, nonni e bisnonni hanno combattuto insieme contro il nazismo. L’atto di scatenare una guerra per le ambizioni geopolitiche del governo della Federazione Russa - mosso da dubbie fantasie di filosofia della storia - rappresenta un cinico tradimento della memoria. Rispettiamo l’autonomia dell’Ucraina che si regge su istituzioni democratiche. Capiamo la scelta pro-europea dei nostri vicini. Siamo convinti che tutti i problemi che riguardano i nostri due Paesi possono essere risolti pacificamente. Scatenando questa guerra la Russia si è autocondannata a un isolamento internazionale, allo status di Paese-maledetto.
Questo significa che noi, studiosi e scienziati, non potremo più svolgere il nostro lavoro come abbiamo fatto finora in quanto la ricerca scientifica è impensabile senza la collaborazione con colleghi stranieri. L’isolamento della Russia dal mondo comporta un ulteriore degrado, culturale e tecnologico, del nostro Paese e una totale mancanza di prospettive positive. Fa male riconoscere che il nostro Paese, che ha portato un contributo fondamentale alla vittoria sul nazismo, è ora diventato la miccia di una nuova guerra nel continente europeo. Chiediamo l’immediata sospensione di tutte le azioni militari contro l’Ucraina. Chiediamo il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dello Stato ucraino. Chiediamo la pace per i nostri due Paesi!».



ECCO COSA È UNA DITTATURA
di Ernesto Galli della Loggia, Il Corriere della Sera
Niram Ferretti
30 marzo 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

C’è voluta l’aggressione della Russia all’Ucraina per ricordarci c he cosa vuol dire una dittatura . Per ricordarlo all’opinione pubblica europea e in particolare a quella italiana. Infatti dopo il crollo dei regimi comunisti e dell’Unione Sovietica trent’anni fa abbiamo pensato che più o meno dappertutto — sia nel nostro Continente che nei principali Paesi del mondo — si fossero ormai stabiliti dei regimi grosso modo somiglianti a quelli esistenti dalle nostre parti.
Magari con qualche dose di libertà in meno, con un po’ meno libertà di stampa o di riunione, magari con elezioni non proprio irreprensibili come quelle a cui siamo abituati noi, ma insomma pur sempre dei regimi dove vivere sicuri era possibile, dove lo Stato non era il padrone di fatto della vita dei suoi cittadini come accadeva ai tempi di Stalin o di Mao. A rafforzare una tale idea ha contribuito non poco l’apertura del mondo che era stato comunista di stretta obbedienza marxista-leninista alle imprese capitalistiche, alle loro logiche e ai loro affari: al mercato come si dice. Un’apertura simboleggiata dall’ingresso all’inizio degli anni 2000 della Cina nel Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio. La falsa equazione liberismo economico=liberalismo politico ha fatto chiudere gli occhi a molti. E così ci siamo convinti che in pratica fossero ormai rimasti solo il radicalismo islamista, i talebani o per altro verso gli ayatollah, aggiunti a qualche oscura tirannide africana, a rappresentare nel mondo la dittatura, la negazione della libertà. Con il tempo pure la feroce persecuzione dei cristiani praticata in Pakistan o le infornate di decine di esecuzioni capitali alla volta da parte dell’Arabia Saudita non ci sono apparse degne più di tanto della nostra attenzione. E infatti abbiamo considerato del tutto normale che molti nostri illustri e meno illustri statisti si recassero regolarmente a Riad o a Pechino, o dove altro fosse, a illuminare quei governi con il loro alto pensiero: naturalmente dietro un congruo compenso di migliaia di dollari.
Nel corso degli anni molti rapporti politici ed economici con tutta una serie di Paesi sono stati sempre più improntati a un’estrema disinvoltura. A un voluto oblio di che cosa fossero i regimi di quei Paesi. Quanti deputati italiani, ad esempio, in tutto questo tempo si sono recati in Russia felici di essere accolti con tutta l’attenzione del caso ma dimentichi che talora le camere d’albergo hanno occhi e orecchie? indifferenti al fatto che ci sono molti modi per non far disperdere al vento le parole di una conversazione e che non c’è bisogno di una ricevuta debitamente firmata per provare l’esistenza di un contributo alla causa? Allo stesso modo in tanti hanno continuato tranquillamente a fare affari con la Cina fingendo di non sapere che in ogni consiglio d’amministrazione di qualunque azienda cinese siede un funzionario del Partito comunista e che il principale obiettivo del sistema industriale di quel Paese, quando allaccia rapporti con aziende straniere, è impadronirsi del loro know how tecnico; fingendo di non capire quale feroce messaggio fosse contenuto nella richiesta di perdono a cui furono a suo tempo obbligati Dolce&Gabbana per espiare la terribile colpa di aver scelto una pubblicità sgradita a Pechino; fingendo di non vedere la sorte riservata a Hong Kong: mirabile esempio di come il Celeste Impero divenuto rosso intenda il rispetto degli obblighi internazionali da lui stesso sottoscritti.
Ma una delle più sgradevoli caratteristiche della realtà è che prima o poi emerge a dispetto di tutto e tutti. L’aggressione russa all’Ucraina ha avuto per l’appunto questa funzione. Ha tolto la maschera a molte ipocrisie, sta obbligando molte teste girate dall’altra parte a guardare dritto davanti a sé. A guardare in faccia chi è Putin, che cosa è il suo sistema di governo e di valori.
Certo, quando si tratta di una cosa terribilmente seria come la guerra è bene stare ai fatti ed è quindi meglio evitare di moraleggiare con il ditino alzato nei confronti di chi per tutto questo tempo si è mostrato corrivo con il potere delle dittature e le opportunità che esso ha offerto. È anche vero però che questo atteggiamento corrivo, questa disponibilità all’oblio, diciamo pure questa indifferenza da parte di molta opinione pubblica occidentale (e italiana in primis, direi) rispetto alla natura del potere di Paesi come la Russia o la Cina ha grandemente favorito nei capi di questi stessi Paesi l’insorgere di un sentimento di arroganza e d’impunità che con lo scatenamento dell’invasione russa di un mese fa c’entra eccome.
Sappiamo abbastanza per certo, ad esempio, che proprio dal constatare l’assenza in Occidente di una vera protesta contro le sue molteplici imprese aggressive in Cecenia, Georgia, Siria, Crimea, proprio dal constatare come la sua straordinaria carriera di avvelenatore di avversari politici abbia lasciato indifferente la schiera dei simpatizzanti-postulanti alla sua porta e di chi voleva fare affari con la Russia, proprio da tutto ciò sappiamo che è venuto maturando in Putin il più profondo disprezzo per il nostro mondo. Per la nostra mancanza ai suoi occhi, di spina dorsale, per la nostra mancanza di fede nei nostri valori e della volontà di difenderli. Da qui, in grande misura, anche da qui, la decisione presa a cuor leggero di farla finita con Zelensky e gli ucraini. E possiamo essere sicuri che Xi Jinping non la pensa molto diversamente.
Sarebbe bene che in futuro molti ci pensassero due volte prima di prenotare un volo per Mosca o per Pechino.



Qual è la strategia nucleare russa?
Crescenzo Persico
2 aprile 2022

https://www.facebook.com/crescenzo.pers ... 1736456724

Il dibattito internazionale sulla strategia nucleare russa ha raggiunto un nuovo livello di intensità, in particolare dopo che l'amministrazione Trump ha pubblicato la sua Nuclear Posture Review nel febbraio 2018. La Nuclear Posture Review ha affermato che "la strategia e la dottrina russa enfatizzano i potenziali usi coercitivi e militari delle armi nucleari . Valuta erroneamente che la minaccia di un'escalation nucleare o l'effettivo primo utilizzo di armi nucleari servirebbe a "attenuare" un conflitto a condizioni favorevoli alla Russia" (Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti 2018. In particolare, il documento affermava: "Mosca minaccia ed esercita un primo utilizzo nucleare limitato, suggerendo un'aspettativa errata che minacce nucleari coercitive o un primo utilizzo limitato potrebbero paralizzare gli Stati Uniti e la NATO e quindi porre fine a un conflitto a condizioni favorevoli alla Russia". Questa dottrina della cosiddetta "escalation to de-escalation" "deriva dall'errata assunzione di Mosca della capitolazione occidentale a condizioni favorevoli a Mosca" (Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti 2018 , 30).
L'ex capo del comando strategico degli Stati Uniti, il generale John Hyten, ha reagito alla “dottrina destabilizzante della Russia su ciò che alcuni chiamano escalation per deescalation” dicendo: “Odio davvero quella discussione. Ho esaminato la dottrina russa. Ho esaminato gli scritti russi. Non è un'escalation per diminuire, è un'escalation per vincere. Tutti devono capirlo” (Hyten 2017 ). Alcuni hanno suggerito che i leader russi stiano segnalando la volontà di utilizzare armi nucleari anche prima che un avversario si vendichi contro un attacco convenzionale russo "utilizzando la minaccia di un uso selettivo e limitato delle armi nucleari per prevenire l'opposizione a una potenziale aggressione " (enfasi aggiunta) (Miller 2015). L'implicazione è che la Russia potrebbe utilizzare prima le armi nucleari per spaventare un avversario e costringendolo a non difendersi nemmeno
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Dov'è il nazismo e chi è il nazista in Ucraina e in Russia?

Messaggioda Berto » sab mar 19, 2022 7:08 pm

La frase spesso citata, al limite dell’usura, di Ugo La Malfa, “La libertà dell’Occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme”, formulata in relazione alla necessità di riconoscere in Israele il baluardo in Medio Oriente al tracimare dell’estremismo islamico, si può traslare oggi con riferimento all’Ucraina e alla guerra di aggressione scatenata dalla Russia.
Niram Ferretti
9 Aprile 2022

http://www.linformale.eu/ucraina-e-isra ... -in-gioco/

Non vi è alcun dubbio sul fatto che al di là dei pretesti addotti e variabili, dell’invasione voluta da Putin (espansione della NATO, minaccia alla sicurezza russa, “denazificazione” del paese), ciò che muove ideologicamente questa guerra è ben radicato nella volontà russa di ridisegnare l’ordine geopolitico emerso con la fine della Seconda guerra mondiale e successivamente quello scaturito dal crollo dell’Unione Sovietica, per formarne uno alternativo, in cui, all’interno di una costellazione euroasiatica, la Russia sia potenza di prima grandezza appoggiata dalla Cina. Il collante dell’alleanza è l’avversione esplicita per l’architettura liberale, di cui gli Stati Uniti hanno tutelato e governato negli ultimi 76 anni, come potenza egemone del globo, l’esistenza.

Se, al di là della prosa turgida, dell’enfasi messianica, si traduce in sintesi ciò che dichiara Alexander Dugin, si troverà una notevole consonanza con le affermazioni meno esagitate di Sergey Karaganov, ex Consigliere di Putin, e a capo oggi del Centre for Foreign and Defense Policy di Mosca, il quale non si fa alcuno scrupolo nel dichiarare, come ha fatto in due recenti interviste apparse questo mese, la prima su The Newstatesman e la seconda su Il Corriere della Sera, che la guerra contro l’Ucraina è in realtà un tassello di una guerra più ampia contro l’Occidente.

Quando Karaganov afferma, “Ci sentiamo tutti parte di un grande evento nella storia, e non si tratta solo della guerra in Ucraina; si tratta del crollo finale del sistema internazionale che si è creato dopo la Seconda guerra mondiale e poi, in modo diverso, è stato ricostruito dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Quindi, stiamo assistendo al crollo di un sistema economico – del sistema economico mondiale – la globalizzazione in questa forma è finita” come si fa a non sentire, in forma diversa, l’eco delle stesse parole di Dugin, “L’operazione speciale in Ucraina è diretta soprattutto contro il liberalismo e il globalismo”?

L’unico paese in Medioriente che ha fatto della difesa del liberalismo e della democrazia la propria ragione d’essere è, ovviamente, Israele. Non a caso, lo stesso Dugin, qualche anno fa attaccò Israele per questa sua specificità, affermando, “Lo stato di Israele è stato sin dall’inizio una base strategica per l’Atlantismo militante (prima l’Inghilterra, ora gli Stati Uniti) nel Medio Oriente. Questo stato è sia ideologicamente che politicamente orientato al capitalismo ed occidentalizzato per quanto riguarda il sistema di valori. Questi valori sono in completa contraddizione con la visione nazionale russa del mondo, così come l’intera idea di Geopolitica Eurasiatica”. http://www.linformale.eu/aleksander-dug ... necessita/

La “visione nazionale russa del mondo” non prevede infatti una Ucraina libera, autonoma, in grado di potere determinare il proprio futuro spostandosi maggiormente verso Occidente per sottrarsi all’influenza russa. E questo perché all’Ucraina non è riconosciuta una sua specificità nazionale, come ha scritto Putin stesso nel saggio, Sull’unità storica di russi e ucraini pubblicato il 12 luglio del 2021. Ma non è forse la stessa specificità ed esistenza autonoma di Israele negata fin dal principio dal mondo islamico che con tre guerre ha cercato di distruggerla, per poi passare con la Seconda intifada al terrorismo su larga scala? E non è forse l’Iran che da anni si riferisce ad Israele come un “cancro”, una anomalia patologica da estirpare dal corpo islamico del Medio Oriente?

Come non vedere nell’aggressione a freddo dell’Ucraina da parte della Russia, aggressione che è sfida aperta all’Occidente, la medesima volontà di chi, sul fronte islamico, condivide lo stesso odio per la democrazia e l’assetto liberale che essa garantisce e di cui, in Medio Oriente, Israele è simbolo?

Il nazionalismo esasperato che motiva, da parte russa, la guerra in corso, portatore di una volontà imperialista che si declina nel modo più brutale, è esattamente speculare al suprematismo musulmano per il quale Israele sarebbe un corpo estraneo collocato su un territorio che viene ritenuto interamente waqf islamico.

Le differenze sono, inevitabilmente, di natura culturale, ma la sostanza soggiacente è la stessa, così come vi sono strette analogie con la propaganda messa in campo atta alla demonizzazione dell’avversario. Nei confronti dell’Ucraina, la Russia ha utilizzato un rodato strumento del proprio armamentario, non a caso fornito proprio dal’Unione Sovietica agli arabi a partire dagli anni ’60 per demonizzare Israele, quello della nazificazione.

Nel suo discorso del 24 febbraio, Putin ha esplicitamente utilizzato l’espressione “denazificare”, riferita alla decisione di invadere l’Ucraina, come una delle ragioni dell’invasione, in linea di continuità con la rappresentazione propagandistica degli ucraini come nazisti utilizzata in rapporto al conflitto nel Donbass.

La nazificazione degli israeliani da parte della propaganda araba e islamica in generale, è in corso almeno da trent’anni, c’è solo l’imbarazzo della scelta nella florida pubblicistica antisionista che originata dal Cremlino, ha progressivamente innondato il mondo musulmano trovando numerose adesioni anche in Occidente. E se Israele non ha l’equivalente del Battaglione Azov, la milizia nazionalista, perfetta per la reductio ad hitlerum dell’intera Ucraina, ciò non ha impedito e non impedisce la raffigurazione di primi ministri israeliani e semplici soldati con la svastica sul braccio o in uniforme delle SS.

L’Ucraina si trova oggi, sotto assedio russo, nella posizione in cui Israele si trova dal 1948. Entrambi i paesi, in aree geografiche assai distanti, sono luoghi in cui la rappresentazione politica e culturale dell’Occidente, non solo è a rischio di essere travolta da regimi che le sono ontologicamente avversi, come è il caso di Israele, ma, nel caso dell’Ucraina, è aggressivamente ed esplicitamente messa in mora.

Non è dunque possibile per chi ha cuore l’ordine democratico occidentale e l’insieme di valori che esso custodisce e mette in circolazione, soprattutto per chi è da sempre dalla parte di Israele e delle sue ragioni, non trovarsi naturalitater dalla parte dell’Ucraina, ovvero dalla parte occidentale, lasciando a chi le è avverso, e spera nella sua disarticolazione, di sposare le ragioni di Putin e il suo regime.




NOI E LA RUSSIA, UN GRANDE EQUIVOCO
di Ernesto Galli della Loggia, Il Corriere della Sera
Niram Ferretti
11 giugno 2022

https://www.facebook.com/niram.ferretti ... 5930340516

Siamo a favore di un’Ucraina libera e indipendente perché saremmo affetti da russofobia: questa è l’accusa che le autorità russe rivolgono da mesi all’«Occidente»: un termine che per esse comprende ormai tutti i Paesi che condannano la loro guerra d’aggressione contro Kiev. Ed è appunto per ritorsione alla nostra presunta russofobia che l’ex presidente russo Medvedev ha appena dichiarato che lui a noi occidentali ci «odia» e, bontà sua, ci considera una massa di «bastardi e degenerati». Ho fatto allora un esame di coscienza il cui risultato vorrei sottoporre a sua eccellenza Medvedev — tramite i buoni uffici dell’ambasciatore Razov che sono sicuro trametterà tutto a Mosca — per capire se davvero quanto io e insieme a me credo moltissimi altri proviamo nei confronti della Russia sia russofobia o invece magari, vedi caso, qualcos’altro.
Il popolo russo, forse a causa dell’elemento popolare e contadino in esso ancora così forte che ricorda da vicino l’antica condizione contadina del Mezzogiorno, o forse a causa del suo passato di antica miseria e di oppressione, suscita in me un sentimento immediato di simpatia e di amicizia. Come molti italiani non dimentico poi i tanti episodi di umanità di cui quel popolo diede prova verso i nostri soldati durante la loro terribile ritirata dell’inverno 1942-1943, nonostante fossero i soldati di un esercito nemico mandati dal fascismo a combattere in quella che forse è stata la più sciagurata delle sue sciaguratissime imprese militari.
Conta d’altro canto — e come conta! — l’immane tradizione letteraria e culturale russa. Ogni europeo degno di questo nome si è nutrito delle pagine di Herzen e di Turgeniev, di Cechov e di Tolstoj, dei versi di Blok, di Anna Achmatova, di Brodskij. Contraendo un debito che non può essere dimenticato.
Traendone però anche una lezione non meno importante. E cioè che da due secoli, forse con la sola eccezione sia pure rilevantissima di Dostoevskij, quella cultura —la massima espressione della coscienza e dell’anima russa — è stata sempre all’opposizione del governo del proprio Paese. E sempre ne ha ricevuto in cambio censura, persecuzioni di ogni genere, galera e non poche volte addirittura la morte. Se dunque per russofobia s’intende criticare duramente il governo russo, allora, mi pare, Medvedev e i suoi amici dovrebbero innanzi tutto dare uno sguardo al passato (e forse anche al presente) del proprio Paese: la più formidabile tradizione di russofobia non devono andare a cercarla in Occidente. Ce l’hanno in casa.
Né si tratta certo solo del passato. Per essere un governo che si propone di denazificare il mondo a cominciare dall’Ucraina, il governo di Mosca dovrebbe cominciare a spiegare come mai, ad esempio, proprio negli ultimi anni la lista dei suoi oppositori è diventata una lunga lista di morti ammazzati. In perfetta continuità, si direbbe, proprio con i metodi hitleriani. Dovrebbe spiegare come mai da anni le rivoltellate e il polonio costituiscono gli strumenti preferiti che esso adopera nei confronti dei suoi oppositori. Ovvero, per dirne un’altra proprio di queste ore, come mai il rabbino capo della comunità ebraica abbia appena deciso di fuggire dalla Russia. Non sarà che la cosiddetta russofobia degli occidentali «bastardi e degenerati» ha forse qualcosa a che fare con quanto si è appena detto? C’è da pensarci, caro Medvedev.
In realtà il secolare carattere illiberale di chi comanda in Russia, la secolare, abituale brutalità dei suoi metodi, la mancanza da sempre di una magistratura indipendente, di una stampa e di un’autorità religiosa libere, e quindi di un’opinione pubblica in grado di giudicare liberamente, nonché l’assenza di un effettivo multipartitismo, sono dati di fatto irrefutabili. Si dà il caso però che la Russia non sia uno staterello. È il più grande Paese del nostro continente, ricchissimo di materie prime e per l’appunto con una congenita tradizione dispotica. E poiché nel caso di una grande potenza è assai improbabile che possa esserci un’effettiva separazione fra il suo regime interno e la sua politica estera, è fin troppo ovvio che per un’Europa intenzionata a mantenere la propria indipendenza questa Russia rappresenti un formidabile problema geopolitico.
La cui essenza può essere posta in questi termini: o Mosca rinuncia in maniera chiara alla sua vocazione espansionistica, o inevitabilmente il resto dell’Europa è costretta a prendere le misure precauzionali del caso. Misure che se vogliono essere efficaci — dati gli attuali rapporti di forza militari, dato che un eventuale esercito europeo tuttora appartiene al campo dei futuribili, dato che è tuttora (e chissà per quanto tempo) ignoto da chi esso prenderà mai ordini, e dato infine che tale futuribile esercito europeo ben difficilmente disporrà di armi atomiche — non possono che significare una cosa sola: l’alleanza dell’ Europa con gli Stati Uniti.
La cosiddetta russofobia di noi europei che ci riconosciamo nell’Occidente, se ne convinca sua eccellenza Medvedev, non è altro che la consapevolezza dell’insieme e della gravità di tali problemi. Anzi in definitiva di uno solo: della tenace impermeabilità storica del regime russo alla libertà. Ci si può stupire se l’invasione dell’Ucraina ha reso tutto ciò ancora più forte ed evidente?


L'ASSE
Niram Ferretti
20 luglio 2022

https://www.facebook.com/niram.ferretti ... 0064127769

Sorrisi e sorrisi. Un futuro radioso e pieno di promesse. Così, a Teheran Putin incontra la Suprema Guida Khamenei, con Erdogan al centro, Erdogan servitore di due padroni come Arlecchino, Nato e Russia purchè se magna. Ma quello che conta è l'asse persiano-slavo, plastica evidenza dell'alleanza euroasiatica che tanto esalta Alexander Dugin.
Asse anti-occidentale, anti-atlantica, e, da parte iraniana ferocemente anti-israeliana, Israele dovrebbe tenere presente ciò che Virgilio dice dei greci, "Timeo danaos et dona ferentes". I greci in questo caso sono i russi. I "doni" russi in Siria, il non ostacolare Israele nelle sue incursoni aeree anti-iraniane, chissà quanto dureranno.
Intanto si vuole improntare un sistema di aggiramento finanziaro delle sanzoni occidentali che necessiterà dell'aiuto della Cina, e poi c'è il rafforzamento economico-industriale con lo sfruttamento del North Pars, uno dei più ricchi giacimenti di gas al mondo.
Summum gaudium per i rossobruni mentre in Ucraina il nuovo Signore della Guerra, Himars sta creando ai russi tanti problemi.


NEONAZISMO E IMPERIALISMO - L'ANIMA NERA DELLA FEDERAZIONE RUSSA
PATRIOTTISMO = NAZIONALISMO: IL PATRIOTTISMO È L’UNICA IDEOLOGIA POSSIBILE PER LA RUSSIA
3 agosto 2022

https://www.facebook.com/forzaucraina.i ... ZRDkzoLa8l

Vladimir Putin ha affermato in molte occasioni che “il patriottismo è l’unica ideologia possibile” per la Russia. Nella terminologia politica della propaganda russa, “patriottico” è quasi sinonimo di “nazionalista” attribuendo ad entrambi i termini una sfumatura di supremazia e/o vittimizzazione della nazione rispetto ai Paesi concorrenti, piuttosto che un generico amore per la madrepatria (cit. Anna Zafesova).
Un esempio dell’utilizzo propagandistico del termine ‘patriottismo’ per stimolare allo stesso tempo sentimenti di supremazia e di vittimismo nel popolo russo sono ben esplicitati da queste parole di Putin a marzo 2022: “L’Occidente collettivo sta cercando di dividere la nostra società, speculando sulle perdite militari e sulle conseguenze socio-economiche delle sanzioni, per provocare una guerra civile in Russia e cerca di raggiungere l’obiettivo usando la sua “quinta colonna”. E c’è solo un obiettivo, la distruzione della Russia. Ma qualsiasi nazione, e soprattutto il popolo russo, sarà sempre in grado di distinguere i veri patrioti dalle canaglie e dai traditori, e li sputerà semplicemente fuori, come un moscerino che gli è volato accidentalmente in bocca. […] Sono convinto che questa naturale e necessaria auto-pulizia della società non potrà che rafforzare il nostro paese, la nostra solidarietà, la coesione e la prontezza di fronte a qualsiasi sfida.”
NAZIONALISMO NELLA CONCEZIONE DI PUTIN
Il Centro SOVA indica, che si è posto il compito di analizzare i casi di radicalismo nella Federazione Russa, afferma che “il termine ‘NAZIONALISTA' può agire sia come autoidentificazione politica che come qualificazione politica esterna. Non usiamo questo termine come valutativo, ma intendiamo quelle organizzazioni e quegli attivisti per i quali gli ‘interessi della nazione' sono più importanti di altri valori sociali (a volte insieme ad altri, ma più spesso sono esclusivamente ). NELLA RUSSIA ODIERNA, QUESTO TERMINE STA GRADUALMENTE CESSANDO DI SUONARE OFFENSIVO e un numero crescente di nazionalisti, almeno abbastanza radicali e coerenti, si identifica in questo modo.”
“Nazionalista” è una definizione politica generalmente applicata (con una connotazione negativa) solo ad altre nazioni, mentre le forze nazionaliste all’interno della Russia si sono definite “patriottiche” fin dall’inizio della scena politica russa, quando alla fine degli anni Ottanta presero vita l’associazione “Pamyat” (Memoria), il protopartito che ha inventato o almeno portato alla dimensione pubblica la più aggressiva retorica nazionalista russa. (cit. Anna Zafesova).
PAMYAT
Pamyat, ossia il Fronte Patriottico Nazionale della Memoria, fondata a Mosca nel 1980, fu un'organizzazione neonazista ultranazionalista che si identificava come "movimento nazional-patriottico popolare". Sosteneva l’esistenza di un cosiddetto “complotto giudaico-massonico” contro la Russia e che questo fosse “la principale fonte delle disgrazie del popolo russo, disintegrazione dell’economia, denazionalizzazione della cultura russa, alcolismo, crisi ecologica”. Agli ebrei si attribuiva lo scoppio della Rivoluzione russa del 1905 e della Rivoluzione russa del 1917, della morte di milioni di persone nel corso della guerra civile russa e del culto della personalità di Iosif Stalin. L’organizzazione riteneva che l’apparato governativo sovietico fosse infiltrato da “sionisti e massoni” che lavoravano come “agenti del sionismo” e servivano allo scopo di subordinare il governo sovietico alla “capitale ebraica” creando un “governo d’occupazione sionista”.
UNITÀ NAZIONALE RUSSA (RNU/RNE)
Questa organizzazione nacque da una costola di Pamyat. Il suo fondatore infatti, l'ultranazionalista Aleksándr Petróvič Barkashov, era secondo in comando del Fronte Nazional-Patriottico Russo Pamyat. Il suo conflitto con Dmitri Vasilyev (leader di Pamyat) ha portato Barkashov a guidare, secondo quanto da lui affermato, "i membri più disciplinati e attivi, insoddisfatti dei discorsi vuoti e delle acrobazie teatrali, fuori da Pamyat". Nel 1990, RNU è cresciuta di fronte alle difficoltà economiche e sociali incontrate dai russi nel corso dello scioglimento dell'Unione Sovietica. Il simbolo della RNU era una svastica rossa e bianca ed ha espresso apertamente ammirazione per il nazionalsocialismo tedesco. Barkashov infatti dichiarò: "Considero [Hitler] un grande eroe della nazione tedesca e di tutte le razze bianche. Riuscì a ispirare l'intera nazione a combattere contro il degrado e il dilavamento dei valori nazionali". Il motto dell'RNU era "Russia per russi e compatrioti" e miravano all'espulsione delle minoranze che "hanno la loro patria fuori dalla Russia": ebrei e migranti del Caucaso meridionale come azeri, georgiani e armeni, nonché asiatici come kazaki, uzbeki, tagiki. Si macchiarono di numerosi crimini tra cui la profanazione e atti vandalici nei confronti di tombe di ebrei e musulmani, incitamento all'odio e persino rapine, aggressioni oltre che 4 omicidi. Nel 1993, la RNU era diventata il movimento nazionalista russo più importante. Il gruppo era attivo non solo in Russia, ma anche in Estonia, Lettonia, Lituania e Ucraina. Si registrò come "club per l'educazione militare e patriottica" e in seguito è stata riconosciuta dai funzionari locali come "un'unità di autoprotezione del popolo volontario" costituendo anche un gruppo di paramilitari armati, addestrati all'uso di armi leggere ed esplosivi. Tale addestramento servì per combattere a fianco della Federazione Russa nel Caucaso settentrionale e in Cecenia.
RNU IN UCRAINA: GUBAREV
Filiali della RNU furono aperte in Ucraina dagli anni ’90 e dal 2000 ebbero proseliti a Kyiv, Kharkiv, Donetsk, Luhansk, Chernihiv, Sumy, Zaporizhzhia, Dnipropetrovsk e Poltava. Nelle elezioni del 2006, PAVEL GUBAREV, capo del ramo di Donetsk di “RNE”, è stato eletto deputato del Consiglio distrettuale di Kuibyshiv di Donetsk e ha guidato la fazione del blocco di Nataliya Vitrenko (poi annesso al Partito delle Regioni di Yanukovich). RNU partecipò poi attivamente ad “Antimaidan” . Viktor Sklyarov, capo della filiale regionale ucraina della RNE di Kharkiv, dichiarò: “Dai primi giorni di questa piaga di Banderisti, gli associati di “RNE” hanno preso parte attiva a Kyiv, si sono opposti a questo governo di Bandera. Hanno preso parte due volte al sequestro degli edifici amministrativi e della SBU a Donetsk, Luhansk e Kharkiv. Devo dire che la milizia che sta combattendo è guidata dagli associati dell’RNU. Non lo pubblicizzavamo prima per ovvi motivi, ora possiamo dirlo apertamente.”
RNU RECLUTA MERCENARI PER IL DONBAS
L’RNU russo reclutava e inviava costantemente mercenari da tutta Europa per partecipare alla guerra in Donbas sotto lo slogan "Guerra Santa per Novorossia" dicendo “Arriveremo a Kiev e a Lvov!”. Nel 2000, il leader dell’RNE Oleksandr Barkashov ha invitato l’organizzazione a sostenere il neoeletto presidente russo, Vladimir Putin. Putin prese Barkashov sotto la sua ala protettrice e gli diede un potere considerevole. Fedele al Cremlino, Barkashov ha guidato le rivolte nelle regioni di Donetsk e Luhansk ed è stato l’orchestratore di quella grande sceneggiata che è stata definita “referendum” per attribuirgli una parvenza di democrazia.
IL PATRIOTTISMO COME OPPIO PER IL POPOLO RUSSO
“C’è un ampio strato di persone che crede sinceramente nell’IDEA RUSSA, nella PACE RUSSA, nel MITO RUSSO. Credono davvero che QUI DIFENDANO LA LORO MISURA RUSSA, che il MONDO INTERO SIA LORO OSTILE e che qui svolgano una funzione perfetta, questa non è una questione di identità, è una questione di come percepiscono questo mondo. Il mito russo o la pace russa o l’IDENTITÀ RUSSA sono costruiti su valori collettivi, sul fatto che una persona fa parte di qualcosa di più grande: l’ORTODOSSIA, il GRANDE POPOLO RUSSO, e sono poco consapevoli della propria scelta”. spiega lo psicoterapeuta Pavlo Dzikovskij.
Le organizzazioni nazionaliste sono una fucina di pedine arrabbiate e poco esigenti pronte a dare la vita per l’idea della “misura russa”. Pertanto, il Cremlino sostiene attivamente le formazioni già esistenti e stimola la creazione di nuovi centri della “grande idea nazionale”.
Putin – la cui propaganda ha imposto in Russia un mix di nostalgia sovietica mutuata dall’era comunista e revival monarchico radicato nell’impero dei Romanov, sapeva esattamente cosa voleva dire quando chiamava “patriottismo” l’unica ideologia possibile per il suo regime. (Cit. Anna Zafesova)
Termini come “pace russa” , “patriottismo”, “grande popolo”, “nazione divisa” sono miti creati da Putin e i suoi maestri della propaganda per arruolare carne da cannone da mandare fino al 2022 in Donbas risparmiando al Cremlino di fare il “lavoro sporco” ed una strategia per non assumersi la responsabilità della morte dei suoi cittadini in terra ucraina.
“Tutte le persone che, seguendo il richiamo del loro cuore, adempiono al loro dovere o partecipano volontariamente ad alcune operazioni di combattimento, anche nel sud-est dell’Ucraina, non sono mercenari perché non ricevono denaro per questo” diceva Putin.
GLI ESTREMISTI SONO PIÙ MANIPOLABILI
Per decenni, il Cremlino ha reso i russi una massa che può essere facilmente manipolata.
Lo psicoterapeuta Pavlo Dzikovskiy caratterizza in questo modo un potenziale volontario russo: “Una persona fanatica ma inefficace. Non è bravo a valutare ciò che accade intorno a lui, percepisce il mondo attraverso il prisma della sua fede. È improbabile che un uomo d’affari di successo o una persona con una famiglia vada qui a combattere. È un uomo che non ha niente da perdere”.
La stragrande maggioranza dei “battaglioni di volontari” della cosiddetta milizia sono ex prigionieri, tossicodipendenti, disoccupati o coloro che sono pieni di debiti e prestiti. Considerazione confermata da tanti comandanti separatisti, come lo stesso Oleksandr Khodakovskyi, comandante del battaglione “Vostok”, una delle maggiori formazioni dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk:
“Come si dice spesso di noi, una percentuale molto alta di chi costituisce le milizie sono persone ai margini, asociali. Per colpa di molti, oggi le milizie registrano una certa percentuale di perdite tra morti e feriti. Perché non seguendo le regole, senza alcuna necessità, ma solo per stupida spavalderia, corrono per le strade e causano gravissimi danni ai civili, e lo stesso ai militari.”
GLI ULTRAS NEONAZISTI GODONO DELLA PROTEZIONE DI PUTIN
Molti volontari russi per la guerra in Donbas vennero inoltre reclutati tra gli ultras di squadre di calcio. Le relazioni amichevoli tra il Governo russo e le frange più estremiste delle tifoserie furono rese subito evidenti nel 2010, quando migliaia di ultrà, infuriati per la morte di un sostenitore dello Spartak Mosca durante una rissa con migranti del Caucaso settentrionale russo, occuparono piazza Manezh vicino al Cremlino. Tale protesta si esacerbò in una rivolta razziale, con emigranti picchiati e accoltellati. Nonostante questo atto razzista si dimostrò uno dei più gravi in Russia negli ultimi anni, la polizia rispose evitando arresti di massa. In segno di conciliazione, l’allora primo ministro Vladimir Putin depose perfino dei fiori sulla tomba del defunto sostenitore dello Spartak Mosca. “Fu un tipico gesto populista e i fan lo presero come un segnale di sostegno da parte di chi è al potere”, ha detto Natalia Yudina, il cui Sova Center di Mosca monitora il razzismo nella società russa. Alexander Baunov, analista del Carnegie Moscow Center, afferma che, mentre molti fan nazionalisti fino al 2010 erano critici nei confronti del governo, da allora supportano il Cremlino dopo che “lo stato russo ha superato le loro aspettative” e soprattutto dopo l’annessione della Crimea nel 2014.
MOVIMENTO INTERNAZIONALE EURASIATISTA E DUGIN
Movimento politico russo fondato nel 2001 dal politologo OLEKSANDR DUGIN. Nel 2003 è diventato anche un’organizzazione pubblica non governativa (ONG) con sedi in 29 Paesi tra cui anche l’Italia. Dugin fece parte dei più importanti movimenti di estrema destra russi: nel 1980, entrò a fare parte dell'Ordine Nero delle SS cone allievo di Golovin. Poi entrò nel Fronte Patriottico Nazionale “PAMYAT” di Dmytro Vasiliev nel 1988. Insieme a EDUARD LIMONOV e YEHOR LETOV, dal 1993 al 1998 è stato un ideologo e uno dei leader del PARTITO NAZIONALE BOLSCEVICO. Dal marzo 2008 è ideologo non ufficiale del partito RUSSIA UNITA di Putin, Medvedev e Shoigu. Inoltre, collaborò con i leader della Fratellanza, Dmytro Korchynskyi, e il Partito Socialista Progressista dell’Ucraina, guidato da Natalia Vitrenko, che ebbe tra i suoi stretti collaboratori PAVEL GUBAREV, che nel marzo 2014 divenne il Governatore della autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk.
Il politologo Anton Shekhovtsov definisce la versione di Dugin del neo-eurasiatismo come “una forma di ideologia fascista incentrata sull'idea di rivoluzionare la società russa e costruire un impero eurasiatico totalitario, dominato dalla Russia, che avrebbe sfidato e infine sconfitto il suo eterno avversario rappresentato dagli Stati Uniti e i suoi alleati atlantisti, determinando così una nuova 'età dell'oro' dell'illiberalismo politico e culturale globale”. Questa ideologia è stata usata per giustificare la guerra del Cremlino in Ucraina.
Dal libro di Dugin “Fondamenti di geopolitica – Il futuro geopolitico della Russia”: […] La sovranità dell'Ucraina è un fenomeno così negativo per la geopolitica russa che, in linea di principio, può facilmente provocare un conflitto armato. […] L’Ucraina […] rappresenta un enorme pericolo per tutta l'Eurasia, e senza una soluzione al problema ucraino è inutile parlare di geopolitica continentale in generale. […] strategicamente, l'Ucraina dovrebbe essere rigorosamente una proiezione di Mosca nel sud e nell'ovest”.
Il 6 maggio 2014, in un'intervista all'agenzia di stampa abkhaza filorussi, ANNA News, Oleksandr Dugin, commentando gli eventi di Odesa del 2 maggio, chiese che venissero uccisi tutti gli ucraini pro Maidan: “Quello che vediamo il 2 maggio va oltre ogni limite. Penso uccidi, uccidi e uccidi!!!”
UNIONE EURASIATICA DELLA GIOVENTÙ (MES)
Creata nel 2005 come struttura giovanile nell'ambito del Movimento Eurasiatico Internazionale, il MES si è dimostrato fin da subito uno strumento contro i governi democratici ucraini.
Così infatti parlò Dugin festeggiando l’inizio del governo fascista di Yanukovich: “Nell’era della lotta contro il nazismo ‘arancione’ contro le leggi antisemite neonaziste, russofobe e razziste e le azioni del governo Yushchenko, gli eurasiatici a volte si sono spinti troppo oltre sul territorio dell’Ucraina. E l’ascesa al potere di Yanukovich è un ottimo momento per scusarci. Se in qualche modo la lotta eurasiatica dei nostri sostenitori in Ucraina, la controversia eurasiatica ha superato il limite, ciò è semplicemente dovuto alla durezza del confronto con le autorità neonaziste ‘arancioni’. E non puoi parlare con i neonazisti nel solito linguaggio civile, dove vedi un rettile fascista, devi schiacciarlo, infliggergli il colpo più doloroso.”
Nel 2007 questo gruppo profanò i simboli di Sestato dell'Ucraina sul monte Hoverla, organizzò un pogrom ad una mostra dedicata all’Holodomor, lanciò uova contro l'Ambasciata ucraina a Mosca e negli anni successivi manifestò a favore della guerra in Donbas.
Guerra nel Donbas che organizzò a tavolino fin dal 2006. “Per i Giovani Eurasiatici c'è la Grande Russia, che comprende organicamente i popoli legati ai Russi da un comune destino storico. Questi non sono solo i popoli della Federazione Russa, ma anche i popoli dell'intero spazio post-sovietico. […] Cercando di ammettere l’Ucraina, la Georgia e l’Azerbaigian nella NATO, gli Stati Uniti minacciano la Russia con la guerra. […] L’Ucraina, sotto il governo di mascalzoni che hanno riabilitato il fascismo, potrebbe presto diventare teatro di una guerra civile tra il ribelle sud-est e il regime misantropico di Yushchenko-Tymoshenko. È anche possibile un’occupazione diretta dell’Ucraina da parte delle truppe della NATO. In queste condizioni, l’ESM dichiara illegale il regime al potere in Ucraina e si pone come obiettivo l’attuazione di una rivoluzione popolare in Ucraina.”
ESERCITO RUSSO-ORTODOSSO (ROA) ( Русская православная армия ) è gruppo paramilitare pro-zarista, di estrema destra, separatista russo in Ucraina che ha combattuto le forze ucraine nella guerra del Donbas, poi assorbita da Oplot. Pavel Gubarev (governatore della autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk) affermò che la RNU, di cui lui era capo per la sezione di Donetsk, controllava il ROA.
Si è specializzato nel rapimento di persone tra cui giornalisti e sacerdoti. I militanti mostrano intolleranza verso la popolazione non ortodossa, tanto da rapire (i preti Volodymyr Velichka, Viktor Bradarskyi, Sergeii Kulbaka e Pawel Witek), torturare e uccidere protestanti, cattolici e membri della Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Kyiv, oltre a partecipare ad atti antisemiti.
MOVIMENTO IMPERIALE RUSSO (RIM - Русское Имперское Движениe) un’organizzazione paramilitare di San Pietroburgo con ideologie monarchiche e ultranazionaliste. Professa la supremazia bianca, pubblicando materiali antisemiti e anti-immigrazione. Il movimento classifica russi, ucraini e bielorussi come "popolo russo". Da luglio 2014 il movimento ha iniziato ad addestrare e inviare volontari a sostegno delle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk. Il fondatore dell'organizzazione è Stanislav Vorobyov, che in precedenza era un sostenitore del Partito tutto russo del Centro monarchico.
IGOR GIRKIN
Anch’esso russo e con ideologie inperialiste ed ultranazionaliste, abbiamo parlato di lui anche in altri articoli. Divenne famoso facendosi notare nell’invasione della Crimea e per aver reclutato, addestrato mercenari di estrema destra con il compito di scatenare la guerra in Donbas, tanto da assurgere al ruolo di comandante militare de facto di tutte le forze separatiste nelle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, cosa che fu confermata dal “primo ministro” Alexander Borodai della DPR che lo nominò ministro della Difesa ufficiale. Era stato colonnello dell’FSB e del GRU (organizzazioni di intelligence militare interna ed esterna della Federazione Russa) mettendosi in pensione proprio un momento prima di partire per la conquista dell’Ucraina.
“Dopotutto, ho premuto il grilletto di lancio della guerra. Se la nostra squadra non avesse varcato il confine, alla fine tutto sarebbe finito come a Kharkiv oa Odessa . In pratica, il volano della guerra che dura fino ad ora è stato lanciato dalla nostra squadra. E ho una responsabilità personale per ciò che sta accadendo lì.” Confessò Girkin scrivendo su “Zavtra” il 20 novembre 2014.
GRUPPO RUSICH Leader e fondatore è Alexey Milchakov, un neonazista nato a San Pietroburgo e, prima di andare a combattere in Donbas, addestratosi nella Legione Imperiale, l'unità di combattimento del Movimento Imperiale Russo. L’organizzazione è costituita da nazionalisti russi ed europei. Tra gli altri, vi partecipano anche membri dell'unità speciale GROM, che fa parte del Servizio federale di controllo della droga della Federazione Russa. Sia il leader dei "russi" Alexei Milchakov che il comandante nominale del gruppo Wagner Dmitry Utkin prestarono servizio nella 76a divisione d'assalto aviotrasportato delle guardie delle forze aviotrasportate. Al suo ritorno dal Donbass, Milchakov si impegnò nell’addestramento al combattimento di adolescenti in campi speciali in Russia, ricevendo lo status di organizzazione pubblica e il pieno sostegno dello Stato, organizzando regolarmente giochi-raduni militari-patriottici.
Milchakov divenne una figura influente tra i giovani neofascisti in Russia.
GRUPPO WAGNER
É una rete di almeno 8.000 mercenari e un esercito privato ritenuto di proprietà dell'oligarca e stretto collaboratore di Putin, Yevgeny Prigozhin. Non esiste un solo gruppo Wagner di per sé, ma il termine descrive piuttosto una serie di compagnie private e gruppi di mercenari e veterani. Il gruppo Wagner è stato schierato, tra l'altro, in Sudan, Repubblica Centrafricana, Siria, Mali, Mozambico e Libia, dove, secondo il Regno Unito , è stato "coinvolto in molteplici e ripetute violazioni dell'embargo sulle armi.” Il Dipartimento di Stato americano ha dichiarato che il gruppo Wagner ha un "impegno destabilizzante in numerosi conflitti regionali" e che Prigozhin "cerchi di costruire la propria ricchezza e influenza, spesso mirando al controllo delle risorse minerarie nei Paesi in cui opera". Sebbene il gruppo Wagner possa essere privato, i suoi obiettivi e obiettivi non divergono mai da quelli dello stato russo. Bellingcat ha riferito di come Wagner sia diventato UNA SORTA DI NOME IN CODICE PER LE OPERAZIONI MILITARI RUSSE ALL’ESTERO.
Inoltre, Gazeta e Reuters hanno dimostrato che il Gruppo Wagner si addestra in una struttura militare dell’esercito russo a Molkino (Krasnodar), nota per il suo poligono di tiro recentemente rinnovato, dove i militari si addestrano per operazioni antiterrorismo, battaglie di carri armati e sparatorie, afferma il sito web del ministero della Difesa russo.
I canali dei social media collegati al gruppo Wagner hanno commercializzato magliette con un soldato che fa oscillare una mazza sulla testa di uno scheletro con le corna, il logo del Forward Observations Group.
Il logo stesso della maglietta è un macabro cenno alle brutali uccisioni di siriani per mano di mercenari Wagner con strumenti rozzi nel 2017. I video registrati dai mercenari li mostrano mentre massacrano individui disarmati con martelli, asce e picconi.
GRUPPO WAGNER E IL NEONAZISMO
La campagna di propaganda ha esaltato il gruppo Wagner come cacciatore di neonazisti ed estremisti. Eppure i legami del gruppo con l’estrema destra russa sono ben documentati. Il gruppo Wagner prende il nome dal compositore tedesco del 19° secolo Richard Wagner , la cui musica adorava Adolf Hitler. Secondo quanto riferito, il leader del gruppo, Dmitry Utkin, ha tatuaggi nazisti su tutto il corpo, tra cui una svastica, un’aquila nazista e fulmini delle SS.
Si dice che i mercenari Wagner abbiano lasciato propaganda neonazista nelle zone di guerra in cui hanno combattuto, inclusi graffiti con simboli di odio.
A novembre 2019, Vesti Nedeli ha indagato sul coinvolgimento russo nella Repubblica Centrafricana attraverso il gruppo Wagner e ha dimostrato la presenza di veterani russi mercenari che addestravano i soldati locali, sebbene due articoli della legge russa vietino le attività mercenarie e la creazione di gruppi militari illegali. Durante l’intervista ad uno di questi mercenari russi (Gennady Ivanov), si scoprì l’esistenza di un elenco di linee guida per il personale militare russo della Wagner. Era intitolato "I dieci comandamenti del combattente" e il primo "comandamento" diceva: "Difendi gli interessi della Russia sempre e ovunque". Molti giornalisti che indagarono sul caso morirono poco dopo.
Il gruppo Wagner è apparso per la prima volta in Ucraina nel 2014, dove ha partecipato all’annessione della Crimea e poi a Luhansk.
DMITRY UTKIN
Dmitriy Valeryevich Utkin è un veterano della prima e della seconda guerra cecena e viene ritenuto il fondatore del gruppo. Ha servito precedentemente come comandante di brigata di un’unità delle forze speciali della direzione principale dell’intelligence russa (GRU). Ha poi lasciato l’esercito ed ha iniziato a lavorare nel 2013 per il Moran Security Group, una società privata di mercenari fondata da veterani dell’esercito russo.
Nel dicembre 2016, Utkin è stato fotografato con il presidente russo Vladimir Putin a un ricevimento del Cremlino in onore di coloro che erano stati insigniti dell'Ordine del Coraggio e del titolo di Eroe della Federazione Russa, insieme ad altri componenti della Wagner: Alexander Kuznetsov (comandante del Gruppo Ratibor), Andrey Bogatov e Andrey Troshev Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha confermato la presenza di Utkin al ricevimento.
CONCLUSIONI
Putin ha condonato e abilitato una rete transnazionale di nazionalisti, estremisti di destra e sinistra, suprematisti bianchi che si estende in tutto il mondo. È un altro strumento nella cassetta degli attrezzi che Mosca usa per dividere le democrazie.
Putin non sta combattendo il neonazismo. Lo nutre! Rendendo ancora più ripugnante il suo sfogo sull’Ucraina.
Omar Mirzan Iacci
www.forzaucraina.it



Medvedev, messaggio-choc eliminato in 10 minuti: "Un hacker". Ma pare che...
Giorgio Carbone
2 agosto 2022

https://www.liberoquotidiano.it/news/es ... sioni.html

Un fatto clamoroso, inquietante e su cui il mondo si interroga. Il protagonista il super-falco russo, Dmitri Medvedev, fedelissimo di Vladimir Putin che dall'inizio della guerra ci ha abituato alle più agghiaccianti minacce e sparate: più volte ha parlato di eliminazione dell'Occidente oltre che, va da sé, dell'Ucraina.

Ma come detto, nelle ultime ore, è accaduto un fatto che lascia perplessi. A dir poco. Su VKontakte, il Facebook russo, è apparso un post di Medvedev agghiacciante, in cui rivendicava che le ex Repubbliche sovietiche, nel dettaglio Georgia e Kazakhstan, fossero "Stati artificiali". Ma non solo: l'ex presidente russo affermava che dopo aver preso l'Ucraina, Mosca ripristinerà i confini dell'ex Unione Sovietica, per poi rivendicare la sovranità su Tblisi e Nur-Sultan.

Una follia, totale. Tanto che dopo una decina di minuti, quel post è stato rimosso. E il portavoce di Medvedev, Oleg Osipov, ha spiegato che l'account era stato hackerato: versione a cui pochi, pochissimi credono. E così c'è chi ipotizza che la mossa fosse calcolata. Ma non solo: c'è anche chi sostiene che Medvedev potesse essere "in stato d'ebrezza", ubriaco. Per inciso, nei mesi scorsi si erano rincorse voci circa alcune patologie psichiatriche di cui soffrirebbe.

Il post, prima di essere rimosso, è stato visualizzato 2mila volte. E ancora intimava: "Nessuno dubiti che gli errori fatali commessi agli inizi degli anni Novanta saranno corretti": il riferimento era al crollo dell'Urss, già definito da Putin "la peggior catasrofe del secolo". E il mondo, come detto, si interroga: quelli espressi e poi cancellati da Medvedev sono i veri piani della Russia? Oppure l'opera di un hacker? Oppure ancora, il delirio di un pazzo?


DOVREMMO DIRLO. LA RUSSIA È FASCISTA.

di Timothy Snyder - professore di storia alla Yale University
Il fascismo non è mai stato sconfitto come idea.

https://www.facebook.com/oksana.mazuret ... iSn6DadBXl

In quanto culto dell'irrazionalità e della violenza, non poteva essere sconfitto: finché la Germania nazista sembrava forte, gli europei e altri erano tentati dall'idea. Fu sconfitto solo sui campi di battaglia della seconda guerra mondiale. Ora è tornato — e questa volta, il paese che conduce una guerra fascista di distruzione è la Russia. Se dovesse vincere la Russia, i fascisti di tutto il mondo saranno confortati.
Sbagliamo limitando le nostre paure del fascismo a solo una certa immagine di Hitler e dell'Olocausto. Il fascismo era di origine italiana, popolare in Romania - dove i fascisti erano cristiani ortodossi che sognavano la violenza purificatrice - e aveva adepti in tutta l'Europa (e America). In tutte le sue varietà, si trattava del trionfo del volere sulla ragione.
Per questo motivo, è impossibile definirlo in modo esaustivo. Le persone non sono d'accordo, spesso con veemenza, su ciò che costituisce il fascismo. Ma la Russia di oggi soddisfa la maggior parte dei criteri che gli studiosi tendono ad applicare. Ha un culto attorno a un unico leader - Vladimir Putin. Ha un culto dei morti, attorno al culto della 2a guerra mondiale. Ha il mito di un'età d'oro del passato di grandezza imperiale, da restaurare con una guerra della violenza curativa - la guerra contro l'Ucraina.
Non è la prima volta che l'Ucraina è l'oggetto di una guerra fascista. La conquista del paese era il principale obiettivo bellico di Hitler nel 1941. Hitler pensava che l'Unione Sovietica, che allora governava l'Ucraina, fosse uno stato ebraico: e progettò di sostituire il dominio sovietico sull'Ucraina con il suo e rivendicare il suo fertile suolo agricolo. L'Unione Sovietica così sarebbe affamata e la Germania sarebbe diventata un impero. Immaginava che sarebbe stato facile perché l'Unione Sovietica, secondo lui, era una creazione artificiale e gli ucraini un popolo coloniale.
Le somiglianze di quella guerra con questa di Putin sono sorprendenti. Il Cremlino definisce l'Ucraina uno stato artificiale, il cui presidente ebreo dimostra che lo stato non può essere reale. Dopo l'eliminazione di una piccola élite, si pensa, le masse accetterebbero felicemente il dominio russo. Oggi è la Russia che nega al mondo il cibo ucraino, minacciando la carestia nel sud del mondo.
Molti esitano a vedere la Russia di oggi come fascista perché l'Unione Sovietica di Stalin si definiva antifascista. Ma quella definizione non ha aiutato a capire cosa sia il fascismo e confonde troppo oggi. Con l'aiuto degli americani, britannici e altri alleati, l'Unione Sovietica sconfisse la Germania nazista ei suoi alleati nel 1945. Ma la sua opposizione al fascismo, tuttavia, fu inconsistente.
Prima dell'ascesa al potere di Hitler nel 1933, i sovietici trattavano i fascisti solo come una forma del capitalista-nemico. I partiti comunisti in Europa dovevano trattare TUTTI gli altri partiti come i nemici. Questa politica in realtà contribuì all'ascesa di Hitler: i comunisti e i socialisti tedeschi, sebbene fossero più numerosi dei nazisti, non potevano collaborare. Dopo quel fiasco, Stalin adeguò la sua politica, chiedendo che i partiti comunisti europei formassero coalizioni per bloccare i fascisti.
Non è durato a lungo. Nel 1939, l'Unione Sovietica si unì alla Germania nazista come alleato de facto e le 2 potenze invasero insieme la Polonia. I discorsi nazisti furono ristampati sulla stampa sovietica e gli ufficiali nazisti ammiravano l'efficienza sovietica nelle deportazioni di massa. Ma i russi oggi non menzionano questo fatto, poiché le leggi "sulla memoria storica" lo rendono un crimine. La 2a guerra mondiale è un elemento del mito storico di Putin dell'innocenza russa e della grandezza perduta - la Russia deve godere del monopolio sul vittimismo e sulla vittoria. Il fatto fondamentale che Stalin abbia attivato la 2a guerra mondiale alleandosi con Hitler deve essere indicibile e impensabile.
La flessibilità di Stalin riguardo al fascismo è la chiave per comprendere la Russia oggi. Sotto Stalin, il fascismo prima era indifferente, poi cattivo, poi andava bene, ma - quando Hitler tradì Stalin e la Germania invase l'Unione Sovietica - divento di nuovo cattivo. Ma nessuno ha mai definito cosa significasse. Era una scatola, in cui si poteva mettere qualsiasi cosa. I comunisti furono epurati ugualmente come fascisti nei processi farsa. Durante la Guerra Fredda, già gli americani e gli inglesi divennero i fascisti. E l'"antifascismo" non ha impedito a Stalin di prendere di mira gli ebrei nella sua ultima epurazione, né ai suoi successori di fondere Israele con la Germania nazista.
L'antifascismo sovietico, in altre parole, era una politica di noi e di loro. Questa non è una risposta al fascismo. In fondo, la politica fascista parte, come diceva il pensatore nazista Carl Schmitt, dalla definizione del nemico. Poiché l'antifascismo sovietico significava esclusivamente definire un nemico, offriva al fascismo una backdoor attraverso la quale poteva tornare in Russia.
Nella Russia del 21° secolo, "l'antifascismo" è semplicemente diventato il diritto di un leader russo di definire i nemici nazionali. Ai veri fascisti russi, come Aleksandr Dugin e Aleksandr Prokhanov, sono stati dati gli spazi nei mass media. E lo stesso Putin ha attinto al lavoro del fascista russo tra le due guerre Ivan Ilyin. Per il presidente, un "fascista" o un "nazista" è semplicemente ognuno che si oppone a lui o al suo piano di distruggere l'Ucraina. Gli ucraini sono “nazisti”, perché non accettano di essere russi e resistono.
Un viaggiatore nel tempo proveniente dagli anni '30 non avrebbe difficoltà ad identificare il regime di Putin come fascista. Il simbolo Z, le manifestazioni, la propaganda, la guerra come un atto di pulizia violenta, le fosse comuni con dei morti intorno alle città ucraine rendono tutto molto chiaro. La guerra contro l'Ucraina non è solo un ritorno al tradizionale campo di battaglia fascista, ma anche un ritorno al linguaggio e alle pratiche tradizionali fasciste. Altre persone ci sono per essere colonizzate. La Russia è innocente a causa del suo antico passato. L'esistenza dell'Ucraina è una cospirazione internazionale. La guerra è la risposta.
Poiché il Sig. Putin parla dei fascisti come del nemico, può essere difficile capire che potrebbe anche lui in effetti essere un fascista. Ma nella guerra della Russia contro l'Ucraina, un"nazista" significa semplicemente un "nemico subumano" - qualcuno che i russi sono autorizzati ad uccidere. L'incitamento all'odio rivolto agli ucraini rende più facile ucciderli, e lo vediamo a Bucha, Mariupol e in ogni parte dell'Ucraina, che è stata sotto l'occupazione russa. Le fosse comuni non sono un incidente di guerra, ma una conseguenza logica e prevista di una guerra distruttiva fascista.
I fascisti che chiamano gli altri "fascisti" è il fascismo, portato al suo estremo illogico in veste di un culto dell'irragionevolezza. È un suo punto finale, in cui l'incitamento all'odio inverte la realtà e la propaganda è una pura perseveranza. È l'apogeo della volontà sul pensiero. Chiamare gli altri fascisti pur essendo fascisti è la pratica Putinista essenziale. Jason Stanley, un filosofo americano, lo chiama "propaganda compromettente". Io lo chiamo "schizofascismo". Gli ucraini hanno la formulazione più elegante. Lo chiamano "ruscism" [rashizm o russizm - si pronuncia così].
Capiamo di più sul fascismo di quanto non capissimo negli anni '30. Ora sappiamo dove ci ha portato. Dovremmo riconoscere il fascismo, perché allora sappiamo con cosa abbiamo a che fare. Ma riconoscerlo non significa annullarlo. Il fascismo non è una posizione di dibattito, ma un culto della volontà che sprigiona la finzione. Riguarda la mistica di un uomo, che guarisce il mondo con la violenza, e questo culto sarà sostenuto dalla propaganda fino alla fine. Può essere annullato solo dalle dimostrazioni della debolezza di quel leader. Il leader fascista deve essere sconfitto, il che significa che coloro che si oppongono al fascismo devono fare tutto il necessario per sconfiggerlo. Solo allora i miti crolleranno.
Come negli anni '30, la democrazia è in ritirata in tutto il mondo ei fascisti si sono attivati per fare la guerra ai loro vicini. Se la Russia vincerà in Ucraina, non sarà solo la distruzione di una democrazia con la forza, anche se già questo è abbastanza grave. Sarà una demoralizzazione per le democrazie ovunque. Già prima della guerra, gli amici della Russia - Marine Le Pen, Viktor Orban, Tucker Carlson - erano i nemici della democrazia. Le vittorie del fascismo sul campo di battaglia confermerebbero che la potenza fa ragione, che la ragione è per i vinti, che le democrazie devono fallire.
Se l'Ucraina non avesse resistito, questa sarebbe stata una primavera oscura per i democratici di tutto il mondo. Se l'Ucraina non vince, possiamo aspettarci i decenni di oscurità.



NOTA PERSONALE
Orio Giorgio Stirpe
Non sono laureato in scienze politiche e non pretendo di conoscere la definizione di "Fascismo", quindi non entro nel merito: a me interessa l'esame fatto sulla natura dello Stato russo sotto il regime attuale e su quella della sua guerra. Non sono sicuro che l'equiparazione fra "Fascismo" e violenza mirata contro un altro popolo sia corretta: probabilmente si attaglia meglio al nazismo, ma in realtà non credo che la cosa sia di interesse generale (se non per gli appassionati o i filosofi). Quel che trovo interessante è la contraddizione di chi conduce una guerra d'aggressione applicando i metodi tipici dell'iedeologia che si rinfaccia all'aggredito. Putin si comporta in maniera nazista aggredendo un altro paese accusato di nazismo...
Se in Ucraina c’è il battaglione Azov, in Russia ci sono il Grom, il Rusich (che usa come simbolo il kolovrat, la svastica slava), l’Unità nazionale russa, i Falchi, la Dpni, e tutti questi agiscono nel Donbass con migliaia di paramilitari dal 2014.
Ci sono foto di questi gruppi che operano in Ucraina con la bandiera valknur, simbolo dei suprematisti bianchi.
Per non parlare del Gruppo Wagner e degli altri eserciti privati legati ai grandi oligarchi russi, che difendono dittature in vari Paesi.




Questo è un vero nazi fascista, un suprematista razzista ed è russo non ucraino.
6 agosto 2022

https://www.facebook.com/gaetano.riccio ... M3jn3bLFJl

Il noto neonazista russo Anton Raevskiy ha annunciato (https://dumskaya.net/news/rossiyskiy-na ... pr-165808/ ) di trovarsi attualmente nella regione di Zaporozhzhya per combattere contro l'Ucraina. Tatuato con slogan e simboli nazisti ("A ciascuno ciò che si merita", "Sangue e terra", svastica, ritratto di Hitler) Raevskiy è oggi membro della sezione di Orlov del partito di estrema destra LDPR. In aprile, il canale del partito aveva già riferito (https://t.me/orelldpr/193 ) che Raevskiy stava per recarsi al fronte "al fine di proteggere i civili dal regime nazista delle autorità ucraine".
In passato Raevskiy era stato leader della formazione neonazista Slavyanskoe edinstvo (Unità slava), nonché del relativo gruppo di combattimento Odesskaya druzhina, che aveva avuto un ruolo centrale negli eventi omicidi di Odessa del 2 maggio 2014 (ulteriori dettagli nel mio articolo https://crisiglobale.wordpress.com/2022 ... ggio-2014/ )




Tv di Stato critica i giovani russi: «Non sono disposti a morire in Ucraina per Putin»
6 agosto 2022

https://www.ilmessaggero.it/mondo/tv_st ... 57329.html

Mentre avanza l'invasione russa dell'Ucraina, comincia a calare il sostegno dell'opinione pubblica alla guerra, e questa nuova tendenza si manifesta anche dalla televisione di Stato strettamente controllata. Era stata promessa una rapida vittoria grazie alla superiorità dell'esercito di Putin. Invece, l'offensiva del Cremlino è stata afflitta da pesanti perdite e carenze di equipaggiamento, al punto che gli esperti della tv russa contemplano pubblicamente la possibilità di cercare aiuto e assistenza da altri Stati amici, come Iran e Corea del Nord. Secondo quanto riferito in un articolo di "Daily Beast", durante la trasmissione di giovedì del programma televisivo "60 Minutes", l'esperto militare Igor Korotchenko ha suggerito che i nordcoreani potrebbero aiutare a ricostruire le regioni ucraine distrutte e unirsi ai ranghi militari russi. Questo perché i cittadini comuni sono tutt'altro che entusiasti della prospettiva di andare in guerra e morire per Putin.

Putin recluta soldati in Moldavia per rafforzare truppe in Transnistria: annunci per strada e messaggi inviati su Telegram

NEL SALOTTO DEL CONDUTTORE FILO-PUTIN

Ovviamente ciò infastidisce i fedeli del presidente russo, a cominciare da Vladimir Solovyov, conduttore della tv di Stato encomiato pubblicamente per ben due volte da Putin per i suoi servizi a beneficio della Patria. Durante la trasmissione di giovedì del suo spettacolo, "La sera con Vladimir Solovyov", il giornalista si è lamentato: «Mi irrita che la nostra società non capisca che si sta verificando un momento di svolta. O ci alziamo, costruiamo e finiamo su un altro livello, o semplicemente cessiamo di esistere». Il suo ospite, il politologo Alexander Kamkin, era d'accordo e ha suggerito di condurre una «operazione speciale culturale» in Russia.

Lo stretto controllo del Cremlino sulle informazioni divulgate al pubblico non è riuscito però a limitare l'accesso a voci discordanti, con tensioni che sono aumentate a tal punto che lunedì, durante lo spettacolo di Solovyov, l'agente russo condannato Maria Butina ha suggerito di incarcerare i genitori i cui figli utilizzano una VPN per accedere ai media esteri, lamentandosi dello scarso coinvolgimento della generazione più giovane nella guerra di Putin: «Le persone che stanno pianificando di arruolarsi hanno principalmente la mia stessa età, alcune sono un po' più giovani. Questa è la generazione che è stata cresciuta sui film sovietici, sulla letteratura e sui valori sovietici. Ma i giovanissimi con cui parlo svengono se si tagliano un dito e vedono come i loro valori democratici. L'operazione militare speciale è il nostro Rubicone. Ho la sensazione che molti qui non riescano ancora a capirlo».

Lo scrittore Zakhar Prilepin, ricercato dal servizio di sicurezza ucraino SBU per il suo coinvolgimento nei crimini di guerra della Russia, ha aggiunto: «Abbiamo davvero bisogno di volontari, non lo nascondiamo. Dobbiamo reintegrare il personale espulso. Nel frattempo, il tema della morte è messo a tacere. In una società motivata dal confort, non si può parlare di morte. Ci si aspetta che tutti vadano in guerra, vincano e tornino vivi. Meglio ancora, non andarci».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Dov'è il nazismo e chi è il nazista in Ucraina e in Russia?

Messaggioda Berto » sab mar 19, 2022 7:12 pm

I primati negativi della incivile e malvagia Russia di Putin
La incivile e malvagia Russia nazifascista di Putin, i suoi primati negativi e le sue azioni criminali
viewtopic.php?f=143&t=3010
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 4000746683


La Russia di Putin non è un faro di civiltà per il mondo, non è certo un paradiso per i cristiani e non è nemmeno una patria felice e ideale per i russi e per le altre etnie di questa federazione imperiale a egemonia suprematista russa.
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Dov'è il nazismo e chi è il nazista in Ucraina e in Russia?

Messaggioda Berto » sab mar 19, 2022 7:12 pm

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Dov'è il nazismo e chi è il nazista in Ucraina e in Russia?

Messaggioda Berto » sab mar 19, 2022 7:13 pm

3)
Ecco chi sono i nazifascisto comunisti d'Italia e d'Europa ed altri che sostengono Putin e la sua Russia!




I filo russi, i nazi fascisti e comunisti dell'Occidente a sostegno del criminale e questo sì un vero e proprio nazi fascista il falso cristiano Putin contro l'Ucraina calunniosamente accusata di nazismo,
i dementi e i vigliacchi che negano all'Ucraina il diritto e il dovere a difendersi e che non vorrebbero aiutarla militarmente per timore della ritorsione putiniana e della sua minaccia nucleare.



"Il male non è soltanto di chi lo fa: è anche di chi, potendo impedire che lo si faccia, non lo impedisce."
Tucidide
La guerra del Peloponneso


CABARET ROSSOBRUNO
Ringrazio Ugo Volli per avere riportato alla mia attenzione, pubblicandolo sulla sua bacheca, un mio post del 2018 che oggi si rivela ancora più attuale.
Niram Ferretti
18 marzo 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063
La setta dei rossobruni è composta da personaggi che vivono la storia e la politica, e di conseguenza la geopolitica, nella dimensione fumettistica di un Manga giapponese. Sono una genia che va dall'estrema sinistra all'estrema destra, dal radicalismo terzomondista post-comunista che idolatra Maduro ma non si è mai dimenticato di Che Guevara, a Casa Pound e Forza Nuova. I loro eroi sono Vladimir Putin e Bashar Assad, ritenuti difensori della cristianità (che, va detto, preme molto di più ai bruni che ai rossi).
I rossobruni sentono brividi alla schiena quando vedono Putin cavalcare a torso nudo. Soprattutto i bruni. Come dimenticare il Duce quando trebbiava vigorosamente il grano?
Per loro, l'ISIS è una creatura dell'Arabia Saudita e degli Stati Uniti con collaborazione del Mossad. Sì. Ovviamente gli ebrei, nella fattispecie israeliana, c'entrano sempre. Come potrebbero non avere un ruolo? Il vecchio antisemitismo dei Protocolli dei Savi Anziani Di Sion si coniuga con la versione del sionismo come fascismo elaborata a Mosca negli anni '60 e da allora in grande voga in seno alla sinistra radicale che vede Israele (insieme all'estrema destra) come un'entità imperialista e colonialista.
Tra i loro mentori dell'ultima ora c'è il bricoleur russo Alexander Dugin, il teorico della cosiddetta Terza Via, che non è una via parallela alla seconda ma una riconfigurazione della Terza Roma, un papocchio in cui si frulla tanta roba, da Heidegger a Evola, da Marx a Lenin, da Marinetti al Mago Otelma. Dugin ha la barba folta e lunga come tutti i grandi pensatori (insomma, quasi tutti, ma non sottilizziamo).
C'è poi anche il cabarettista Diego Fusaro, uno che quando parla e si spaccia per filosofo ti viene da piangere a pensare che questa disciplina era quella di Platone e Aristotele, di Kant e Wittgenstein. Ma così è, l'Italia, in tempi passati, ha avuto Rosmini e Augusto Del Noce, Luigi Pareyson e Vittorio Mathieu, oggi ha Fusaro.
Per i rossobruni, Israele è come Mordor, forse un pochino peggio. Adorano l'Iran, i fasci non possono dimenticare la genealogia "ariana" che dalla Persia porterebbe direttamente al Terzo Reich e...sì anche all'"arianità" romana...
Putin, Assad e Khamenei, per loro sono i cavalieri che purificheranno il mondo dalla decadenza in cui si trova a causa, sappiamo noi di chi.
Qui su Facebook ne trovate un tanto al chilo.




TRE TIPI DI GLOBALISMO

Giovanni Bernardini
14 marzo 2022

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 7231344476

Ci sono sostenitori di Putin intellettualmente più seri di coloro che invitano, rabbiosamente o con parole suadenti, gli ucraini alla resa senza condizioni. Sono tutti coloro che vedono in Putin il campione dell’anti globalismo, l’uomo che oppone alla innegabile decadenza culturale dell’occidente i valori della tradizione e della spiritualità.
Tralascio, per non allargare a dismisura il discorso, ogni richiamo alla decadenza culturale dell’occidente ed alla spiritualità contrapposta al materialismo. Ci sarà tempo per tornare su questi importanti argomenti. Mi limito ora a fare alcune considerazioni sul presunto anti globalismo putiniano.
Semplificando telegraficamente il discorso, si possono individuare tre tipi di globalismo.
Il globalismo democratico e liberale, che è meglio chiamare col suo vero nome: universalismo.
Tutti gli esseri umani, per il solo fatto di esser tali, hanno pari dignità e devono godere degli stessi diritti fondamentali. Questi diritti non si limitano ai soggetti individuali ma si estendono a quelli sovra individuali, riguardano i popoli e le nazioni.
Ogni nazione ha diritto all’autodecisione. Le relazioni fra stati e nazioni non devono basarsi sulla violenza. I vari stati intrattengono relazioni di ogni tipo fra loro: commerciali, politiche, culturali, turistiche. Esistono, regolati dalla legge, normali processi di immigrazione ed emigrazione. Ogni popolo è sovrano in casa propria, ma nessuno è una monade senza finestre sul mondo; tutti dialogano con tutti a partire dalla affermazione della propria identità.
L’universalismo democratico e liberale è in fondo una idea regolativa. Non esiste né è mai esistito in forma compiuta ed è probabilmente irraggiungibile nella sua forma pura. Ma è possibile avvicinarsi ad esso.
Il globalismo mondialista.
Popoli, stati e nazioni sono anticaglie del passato. Le differenza fra culture e civiltà, quando esistono, non sono essenziali. Gli esseri umani o interi popoli possono tranquillamente spostarsi dove credono perché il mondo è un’unica area unificata in cui confini e frontiere possono al massimo avere una funzione di controllo amministrativo degli spostamenti. Governi e parlamenti dei vari stati devono cedere quote sempre maggiori di sovranità ad organismi internazionali non eletti da nessuno.
Il fine ultimo del globalismo mondialista dovrebbe essere un governo unificato del pianeta. Anche questa è, a ben vedere le cose, una idea regolativa, ben lontana dall’essere realizzata. Molti occidentali però cercano da tempo di metterla in atto. Quanto al suo realismo… basta guardare cosa sta succedendo in Ucraina per poterlo adeguatamente valutare.
Il globalismo nazional imperialista.
Questo tipo di globalismo riconosce l’esistenza di stati e nazioni, ma pretende che un certo stato eserciti una preminenza egemonica, o addirittura un assoluto dominio, su molti altri, in prospettiva sull’intero pianeta.
Si tratta ancora una volta di una idea regolativa che però molti hanno cercato di realizzare. Provocando tragedie di immani dimensioni.
Hitler era a modo suo un globalista, anzi, un mondialista. Riconosceva, l’esistenza, ad esempio, degli slavi, ma solo per teorizzarne la naturale sottomissione ai tedeschi “ariani”; il fatto che gli ebrei esistessero era la sua autentica ossessione paranoica, per questo voleva cancellarli dalla faccia della terra.
Anche Stalin era, sempre a modo suo, un globalista – mondialista. Certo, non parlava di dominio dei “russi” ma di unificazione del proletariato mondiale, ma sarebbe stato il suo paese ad unificarlo, e nel suo paese erano i russi l’avanguardia del bolscevismo comunismo. Superato l’internazionalismo dottrinario di Lenin e Trotzkij Stalin opera una fusione perfetta di comunismo e sciovinismo grande russo. Le nazionalità oppresse dell’ex impero zarista ed i popoli dell’est Europa dovranno così subire un doppio tipo di oppressione: quella socio politica del comunismo e quella nazionale.
Ed è, almeno oggi, un nazional imperialista Putin.
Putin non può esser definito comunista, anche se mantiene in Russia, a livello politico, molto del comunismo staliniano. Putin tuttavia considera una tragedia il disgregarsi dell’impero sovietico e cerca da tempo di ricostruirlo. La tragedia ucraina è parte essenziale di questa sua strategia.
Personalmente mi sento vicino, anzi, vicinissimo al primo tipo di globalismo, detesto il secondo e detesto con ancora maggior forza il terzo.
Un democratico liberale è per il dialogo, la relazione fra le identità, ed ovviamente rivendica il diritto di criticare, anche aspramente, ciò che nella varie identità contrasta con la affermazione della pari dignità di tutti gli esseri umani.
Non può che contrastare il mondialismo astratto di chi pensa che le persone siano entità prive di radici culturali, nazionali, linguistiche, religiose.
Deve avversare con tutte le forze le pretese di chi intende unificare il mondo, o sue vaste aree, sotto l’egemonia, comunque mascherata di questa o quella nazione.
Per questo un democratico liberale, nemico del globalismo che pretende di annullare ogni differenza, non può che essere oggi radicalmente avverso alla Russia di Putin (non alla Russia in quanto tale, non alla grande cultura russa). E non può oggi che schierarsi con l’Ucraina che lotta per l’indipendenza. Senza se e senza ma.


IO DISTO ANNI LUCE
Giovanni Bernardini
14 marzo 2022

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 7451245454

Francamente mi fanno sorridere coloro che si dichiarano fieri e felici per il ruolo che l’Europa sta giocando nella crisi attuale.
“Avete visto?” dicono sorridenti, “l’Europa è unita, compatta, ha dato la giusta risposta a Putin”.
In effetti in questa occasione l’Europa ha trovato un minimo di unità, è andata un po’ oltre le chiacchiere ed i belati.
Ma si tratta del “minimo sindacale", anzi, di meno di tale minimo.
Scusate, c’è un paese europeo che chiede di entrare nella UE e nella Nato. Questo paese viene invaso, le sue città assediate e bombardate, rischia di diventare lo stato fantoccio di un altro paese enormemente più grande e forte e voi saltellate gioiosi perché l’Europa ha trovato un minimo di coesione su questo tema? E’ un po’ come se vedessi un bruto che aggredisce mia figlia, mi mettessi ad urlare “aiuto!” e tutti mi elogiassero per il mio coraggio… Non vi sembra di esagerare?
In ogni caso, al di là di ogni valutazione sull’Europa e la sua reazione, resta un problema enorme.
A mio modestissimo avviso l’Europa, meglio, l’occidente tutto non è in grado di resistere alla sfida che oggi la Russia, e la Cina, gli stanno lanciando. Se qualcuno pensa che l’occidente politicamente corretto, l’occidente che detesta la sua storia, si considera affetto da “pandemie di razzismo”, spalanca la porte all’Islam, se qualcuno pensa che QUESTO occidente possa rispondere efficacemente alle sfide di Russia e Cina scambia il mondo con i suoi desideri.
Anche perché una delle caratteristiche più negative di QUESTO occidente, uno degli aspetti centrali dell’ideologia politicamente corretta che lo corrode, è proprio il finto pacifismo, che non a caso si traduce in ideologia della resa: l’idea folle che il modo migliore per reagire alle provocazioni sia darla sempre vita ai provocatori.
Le cose si stanno sempre più chiarendo. Intellettuali da sempre campioni dell’anti occidentalismo come Noam Chomsky si uniscono alla schiera degli amici di Putin. In Italia il partito della resa va da Diego Fusaro a Luciana Castellina, da Massimo D’Alema, Marco Rizzo e Pier Luigi Bersani a Tony Capuozzo e Vittorio Feltri. Un fronte variegato, trasversale, super differenziato al suo interno che trova però un momento di unità nella richiesta di resa all'Ucraina e nella opposizione ad ogni forma di aiuto militare alla stessa. Una sorta di neo armata Brancaleone. estremamente rumorosa in rete, che unisce i nostalgici del comunismo a strani personaggi vicini al centro destra che scambiano la critica ai mali dell’occidente con la critica all’occidente.
Ognuno faccia la sua scelta. Io disto anni luce da tutti loro.



Enrico Martignoni
Non credo che sia un problema di pacifismo. È una semplice constatazione. Che canches ha l’Ucraina di vincere? Quanto può resistere? Questi morti ancora? Può resistere più di Putin fiaccato dalle sanzioni che però fiaccano anche noi? È di poco fa la notizia che la Cina sta valutando di fornire armi alla Russia.
Io la vedo dura. Ne vale la pena? Naturalmente escludo la terza guerra mondiale che sarebbe l’altra opzione.

Giovanni Bernardini
Enrico Martignoni che sia dura è ovvio, ma non dobbiamo vedere solo le nostre debolezze e le forze dell'avversario. Neppure Putin vuole la terza guerra mondiale, ne agita lo spettro per farsi forte, ed è in realtà molto meno forte di quanto possa apparire. Solo resistendo gli Ucraini possono conseguire non dico la vittoria, ma un negoziato vero che permetta al loro paese, magari mutilato, di mantenere l'autonomia politica. Del resto i teorici della resa hanno cominciato a chiederla un minuto dopo l'inizio della guerra. Se gli ucraini si fossero subito aresi nessuno oggi parlerebbe di mediazioni e trattative. Inoltre... lo voglio dire, i teorici della resa in realtà danno ragione a Putin. Sin dall'inizio hanno cominciato a parlare di accerchiamento Nato e cose simili. Il loro interessamento per gli ucraini è assai strumentale...

Enrico Martignoni
Giovanni Bernardini , capisco quello che dici ma non sono per nulla d’accordo. Prima che lo faccia tu cito Churchill che nel famosissimo discorso disse "We shall never surrender” ma c’erano delle piccolissime differenze.
La prima è che Hitler voleva conquistare la Gran Bretagna, Putin ha chiesto ( formalmente) che l’Ucraina non entri nella NATO e sopratutto Churchill prima di parlare aveva già in tasca l’alleanza con gli USA e l’URSS.
Qui Zelensky è solo. Si possiamo mettere le sanzioni alla Russia (le sanzioni storicamente non hanno mai funzionato anzi hanno sempre rafforzato i dittatori) per non considerare che con la benzina a 2,30 euro e prezzo delgas quadruplicato è chiaro che tali sanzioni toccheranno anche noi.
Perché la Russia non è Cuba con la quale al massimo non potevamo importare i Cohiba Cigars!
Inoltre la Russia, in risposta alle nuove sanzioni , si appresta a bloccare, oltre al Gas, tutte le esportazioni di determinate materie prime: l'elenco specifico sarà reso pubblico in un paio di giorni.
Tanto per citarne una la Russia è il leader mondiale nell’esportazione di fertilizzanti che sono una vera e propria arma silenziosa per mettere in crisi ogni società.
A causa della crisi energetica il gigantesco sito produttivo di Ludwigshafen della BASF potrebbe chiudere.
La fabbrica, rifornita di gas direttamente da Gazprom, fornisce le vitamine utilizzate per l'alimentazione animale e la sua chiusura paralizzerebbe i produttori di mangimi, non so se mi spiego.
Possiamo rifornire le armi agli ucraini ma chi li addestra e soprattutto chi le usa? Non è che possono sparare con tre fucili come Terence Hill sparava con tre Colt. Cioè puoi mandare armi fin che vuoi ma i soldati rimangono quelli.
Quindi per farla breve è matematico che l’Ucraina le prenderà e quando saranno allo stremo e si DOVRANNO arrendere e secondo te allora chi detterà le condizioni? Zalensky? Non credo.

Giovanni Bernardini
Enrico Martignoni Prima di tutti noto che tu inizi esaminando le possibilità di Zelen'sky, poi, surrettiziamente, tiri fuori l'argomento che Putin voleva solo che l'Ucraina non entrasse nella Nato, in fondo in fondo la ragione la ha lui... Si parte dicendo di essere per l'Ucraina poi ci si scopre amici di Putin...
Passiamo oltre. Churchill nel maggio del 40 aveva scarsissimo appoggio americano, infatti gli USA entrarono in guerra solo nel dicembre del 41... e solo in conseguenza di Pearl Harbur.
È vero che le sanzioni colpiscono anche noi, ma colpiscono anche la Russia. Qui tutti sembrano pensare che la Russia sia invincibile anche economicamente, dopo aver sostenuto la palla che lo sia militarmente. La Russia ha un PIL pari a quello della Spagna, non è invulnetrabile. Ed esiste anche una pubblica opinione in Russia, per fortuna.
Io non nego le difficoltà, dico solo che una resa senza condizioni (perché di questo si tratta) dell'Ucraina sarebbe una sconfitta epocale per l'occidente, oltre che un dramma per gli ucraini (cosa di cui nessuno dice nulla). Nulla e nessuno garantiscono che forte di una vittoria a mani basse Puitin non avanzi domani nuove richieste, la Polonia ad esempio, o che non sia la Cina ad allungare le mani su Taiwan. Allora cosa diranno i "saggi"? Lasciamo la Polonia a Putin e Taiwan a Xi? In questo modo si rende davvero possibile la terza guerra mondiale.
In ogni caso, e termino, sono gli Ucraini e SOLO LORO a dover scegliere se arrendersi o no. Non è una scelta che competa ai vari D'Alema o Feltri. Oggi gli ucraini non ci stanno a tornare indietro di decenni, hanno il diritto di difendersi e noi il dovere politico e morale di aiutarli.
Punto e basta. Abbiamo esposto le nostre tesi, la discussione per ciò che mi riguarda finisce qui. Francamente sono stufo di dover ripeter sempre le stesse cose.

Enrico Martignoni
Giovanni Bernardini , mi dispiace che ti irriti nel discutere. Mi sembra di avere esposto civilmente le mie ragioni argomentandole pure discretamente. Se vuoi ti faccio un commento che piace a te: bravo Giovanni, slurp, slurp, ma come sei intelligente Giovanni, clap, clap, e Putin kattivo, grrrrr……, grrrrrrr…..
Buona Serata!



Nostalgici dell'Urss e partito della «resa umanitaria»: in Italia la nuova alleanza dei putiniani
di Antonio Polito
Andrea Marchionni
12 mar 2022

https://www.facebook.com/periekon/posts ... 9775079367

Sta emergendo un movimento a favore del tiranno. L’obiettivo è portare l’Italia nel campo di Mosca, sostenendo che «arrendersi è un dovere morale»
Il «partito della resa» ha gettato la maschera. È ancora minoritario, ma punta ormai al bersaglio grosso: portare l’Italia nel campo di Mosca, confermando così l’antico pregiudizio per cui non finiamo mai una guerra dalla parte in cui l’abbiamo cominciata. Abbandonata l’equidistanza iniziale del «né con Putin, né con la Nato», superata la «neutralità attiva», sta venendo infatti allo scoperto un movimento, per ora più mediatico che altro, di sostegno esplicito al tiranno. Tenterà di sfruttare l’angoscia e la paura degli italiani per aiutarlo a vincere la guerra in Ucraina.
Il successo che finora non ha ottenuto sul campo, a causa della sorprendente resistenza ucraina, Putin può infatti raggiungerlo in un altro modo: se cede il fronte interno dell’Occidente, e si raffredda il sostegno alla causa di Kiev.
Così in marcia con Putin è tornata pure la «vecchia guardia», un’attempata ma intellettualmente dotata pattuglia di nostalgici dell’Urss, per i quali la sua caduta è stata «la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo». L’Economist ha dedicato la copertina alla «stalinizzazione» di Putin: sempre più aggressivo fuori dai confini, sempre più dittatore in patria, dove si rischiano quindici anni di carcere a chiamare «guerra» la guerra. Magari il paragone è un po’ esagerato, anche se lo stesso Putin l’ha evocato dicendo di voler «denazificare l’Ucraina». Ma di sicuro ha galvanizzato i nostri ex bolscevichi in sonno: per loro la colpa è degli ucraini. E allora basta commuoversi — l’ha detto Luciano Canfora — «con la storia di Irina che perde il bambino, un caso particolare»: ciò che conta è la Storia con la S maiuscola, e quella cammina sui cingoli dei carri armati, e chi più ne ha vincerà.
La «new entry» tra i putinieri di complemento sono invece quelli della «resa umanitaria». Sostengono che arrendersi è un dovere morale (era il titolo di apertura del Riformista di ieri), per risparmiare vite e sofferenze. È un’altra forma di «spaesamento etico» che nasce a sinistra, solo in apparenza più pacifista della versione neo-stalinista, perché è proprio per averla avuta vinta in Georgia, in Crimea, nel Donbass, in Siria, che Putin si è deciso a fare di nuovo la guerra, e su più larga scala. La resa è la droga dei tiranni: più ne avranno e più ne vorranno. L’unico difetto di questa proposta è che i diretti interessati, gli ucraini, non sembrano condividerla. Bisognerebbe insomma costringerli alla resa. Esattamente ciò che sta provando a fare Putin. E così il cerchio si chiude.
Altri cerchi si chiudono invece tra destra e sinistra nel variegato mondo social dell’hashtag #IoStoConPutin. Secondo una ricerca di «Reputation Science», pochi account iniziali hanno alzato un’onda tra tutti coloro che credono a Lavrov quando dice che «questa non è un’invasione», ma non hanno creduto al Covid e alle bare di Bergamo, e prima ancora all’abbattimento delle Twin Towers o allo sbarco sulla Luna. Accomunati dall’odio per l’establishment, l’Europa e la democrazia, eroici combattenti per la libertà degli italiani dal green pass si battono ora per la schiavitù degli ucraini. Se vince Putin, perdono Draghi, Macron e von der Leyen, e tanto per loro basta. Perfino tra i deputati, ovviamente Cinquestelle, ce n’è qualcuno, come tal Lorenzoni, che non vuole Zelensky in collegamento con Montecitorio «perché l’Ucraina è un Paese schierato in guerra».
Al Bano, al confronto, è un gigante. Citiamo la reazione indignata del cantante italiano più amato in Russia («Come non cambiare idea su Putin con quello che sta facendo?») perché la grande maggioranza degli italiani la pensa come lui e non come i nostri putinieri. Ma c’è un ma: la guerra alla lunga porterà anche da noi, se non sangue, sudore e lacrime. Già si parla di razionamenti, di austerity, di un grado o due in meno di riscaldamento, di guai grossi per l’industria agroalimentare e per la spesa. E infatti da qualche giorno la parte più «populista» dei media si concentra sulla benzina piuttosto che sull’Ucraina. Il grande pericolo è che le due spinte, quella politica a favore del tiranno e quella sociale per difendere il nostro tenore di vita già squassato dalla pandemia, si congiungano intorno all’illusione che se la diamo vinta a Putin tutto tornerà come prima. Sbagliato da ogni punto di vista: resteremmo solo dalla parte sbagliata di un’emergenza che non finirebbe certo con la resa dell’Italia. Ma tocca al nostro governo — insieme a quelli dell’Europa — evitare questo corto circuito, mettendo in campo le idee e le risorse necessarie per aiutare tutti a resistere invece che arrendersi: perché nessuno sia tentato di scambiare la libertà altrui con il proprio benessere.



Arrivano i talebani del pacifismo

Claudio Romiti
9 marzo 2022

https://opinione.it/editoriali/2022/03/ ... a-gergiev/

Lo avevamo già capito durante la stagione infinita della pandemia, ma con la guerra in Ucraina lo Stato di diritto liberale è andato letteralmente a farsi friggere in uno dei suoi principali fondamenti: la responsabilità individuale. Quindi, in questo drammatico frangente, non dobbiamo correre il rischio di diventare russofobici, trattando i concittadini di Vladimir Putin (vero responsabile della guerra in atto) che vivono all’estero come nemici al pari di coloro i quali non si sono voluti vaccinare. In questo senso, il clamoroso licenziamento del celebre direttore d’orchestra russo Valery Gergiev, il quale avrebbe dovuto dirigere “La Dama di Picche” il 5 marzo alla Scala, sembra aver scandalizzato poche persone nel nostro Paese.

Artefice della vicenda il sinistro sindaco di Milano, quel Giuseppe Sala che, durante la pandemia, è rapidamente passato da una posizione aperturista, arrivando ad abbracciare i cinesi lungo i Navigli a un atteggiamento di rigore sanitario di stampo talebano. Sala, sul caso Gergiev, è stato magnifico, se così vogliamo dire. Rispondendo alle domande dei giornalisti, queste sono state le sue parole: “Non credo che ci sarà, penso che a questo punto lo possiamo escludere. Dopo che il teatro gli ha chiesto una presa di distanza dalla guerra, dopo l’aggressione all’Ucraina, il maestro non ha risposto. Io certamente non ho chiesto nessuna abiura però ho sollecitato una presa di distanza dalla guerra, che è una cosa un po’ diversa”.

Dunque, dopo il reato di opinione che è già stato introdotto per alcuni argomenti che il pensiero unico politicamente corretto considera sensibili, come un certo revisionismo storico e il tema spinoso dell’omosessualità, oggi viene sdoganato quello di mancata dissociazione. In tal modo, non solo viene negato a chiunque di esprimere una posizione filorussa, che personalmente non condivido in radice ma che in un mondo libero dovrebbe essere accettata senza conseguenze personali. Qui si nega addirittura il diritto da parte di Gergiev di restarsene in silenzio. E se sul piano giudiziario un imputato ha la prerogativa di tacere in modo che le sue parole non possano essere usate contro di lui, siamo arrivati al paradosso che il riserbo di un artista, già criminalizzato per essere amico di Vladimir Putin, si trasforma automaticamente in una condanna senza appello.

E così come accaduto per la pandemia, in cui abbiamo assistito al linciaggio morale di chi non condivideva in tutto o in parte la linea del Governo, anche in questo caso nel mondo dell’informazione quasi nessuno ha avuto nulla da eccepire. Nemmeno coloro i quali, per anni, ci hanno raccontato che “nessuno doveva toccare Caino” oggi si scandalizzano per la vergognosa criminalizzazione che si sta facendo dei suoi silenti, e presunti, amici.




La demenziale versione di Capuozzo

di Toni Capuozzo.

Non mi sorprende la voglia di resistenza degli ucraini, anche se penso che la loro esperienza di guerra, prima, fosse solo la guerra sporca del] Donbass. Non mi sorprende che resistano con un orgoglio quasi commovente a un’aggressione. Mi sorprende il loro leader, che riscuote tanta ammirazione per un comportamento che ci sembra senza pari, tra i politici nostri, e per la forza delle parole, delle espressioni, della barba trascurata e delle magliette da combattente. Un grande leader, per me, non è chi è pronto a morire. Questo dovrebbe essere il minimo sindacale. Un grande leader è quello che accompagna il suo popolo nella traversata del deserto, lo salva. Ecco, a me pare che Zelensky lo stia accompagnando allo sbaraglio, sia pure in nome della dignità e della libertà e dell’autodifesa, tutte cause degnissime. E dunque mi sorprende ancora di più l’Occidente che lo spinge, lo arma, e in definitiva lo illude, perché non acconsente a dichiarare quella no fly zone che vorrebbe dire essere trascinati in guerra, come a Zelensky non dispiacerebbe. E da questa comoda posizione però incita, fosse mai che la trappola diventi la tomba per Putin: si chiamano proxy war, guerre per interposta persona, che altri combattono in nome tuo. Se va bene, bene, abbiamo vinto. Se va male, che siano curdi o afghani, hanno perso loro. In due parole: credo che sarebbe stato più sensato e utile mediare, provare non a sconfiggere Putin con il sedere degli altri, ma a fermarlo, a scombussolarne i piani. Cosa intendo ? Una resa dignitosa, una trattativa per cedere qualcosa ma non tutto, per raffreddare il conflitto, mettendo in campo caschi blu e osservatori, idee e prese di tempo. E invece vedo che piace l’eroismo, vedo che i nazionalismi non fanno più paura, che patria o morte torna di moda, dopo che anche i presidenti della Repubblica erano passati al termine “Paese”: piacciono le patrie altrui. No, si chiama de escalation: evitare che milioni debbano scappare. Evitare che migliaia debbano morire, salvare il salvabile, le idee e le persone che si fa in tempo a salvare. Però ormai lo scelgono loro. Per quel che riguarda noi, risparmiamoci almeno la retorica.



La lettera di Vauro a Putin: ecco cosa gli ha scritto
Francesco Boezi
13 Marzo 2022

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1647179000


Scende in campo pure il vignettista: ecco le richieste allo "Zar"
La lettera di Vauro a Putin: ecco cosa gli ha scritto

Il noto vignettista Vauro Senesi ha scritto a Vladimir Putin. Una missiva - quella di Vauro - che è comparsa sui social ed in cui si chiede di porre un freno alla guerra ma non solo. Tra le richieste, per così dire, c'è anche un improbabile incontro con lo "Zar".

Lo scrittore italiano, che è conosciuto pure per via delle sue numerose presenze televisive, introduce il discorso: "Signor Presidente Vladimir Putin, chi le scrive queste poche righe è nessuno. Ho un nome ed un cognome, mi chiamo Vauro Senesi. Sono solo un anziano, un anziano comunista, ma questo non ha rilevanza".

Poi, come ripercorso dall'Adnkronos, Vauro elenca le esperienze di guerra che ha pouto osservare con i suoi occhi: "Dall'Iraq all'Afghanistan ed anche, nel 2015, nel Donbass tentando di testimoniare le atrocità commesse dalle milizie neonaziste ucraine contro la popolazione di quella terra, altre atrocità non cancellano quelle atrocità ma vi si aggiungono. Aggiungono dolore e paura negli occhi dei bambini A Kabul come a Baghdad, nel Donbass come in Ucraina". Anche nelle recenti ospitate televisive Vauro ha parlato di Donbass.

Subito dopo l'elencazione, Vauro sciorina una serie di considerazioni dirette proprio a Vladimir Putin: "Io non credo che lei sia un pazzo e tantomeno un nuovo Hitler. Sicuramente il pazzo sono io che le sto scrivendo ma quale pazzia più grande della guerra esiste? Anche lei, se questa mia le arriverà, penserà che se non sono pazzo sono un ingenuo. Lo sono, credo nella ingenuità dei bambini e che mai dovremmo strappargliela". Il vignettista non concorda, quindi, con chi associa l'opera dello "Zar" a quella del fondatore e vertice del nazismo. E, rimarcando la centralità della "ingenuità" in merito alla decisione di scrivere una lettera, domanda lo stop delle ostilità.

"Io che ripeto, non la considero un pazzo, la invito a fare una autentica pazzia: fermi questa guerra. La fermi lei, da solo, subito", ha scritto lo scrittore comunista. Dopo la richiesta d'incontro, che è condita da un certo realismo, Vauro si auspica in qualche modo che Putin possa davvero recepire la lettera ed i suoi contenuti: "Ma ai pazzi, quelli veri ed agli ingenui, quelli veri, può capitare di tutto, chissà che a me non capiti di ricevere anche solo qualche parola di risposta a questa mia lettera. Grazie signor Presidente. La saluto con cordialità e pace".

Per Vauro, Putin dovrebbe abbandonare la "via delle armi" e lasciare che quest'ultima venga perseguita dagli "altri potenti".
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Dov'è il nazismo e chi è il nazista in Ucraina e in Russia?

Messaggioda Berto » sab mar 19, 2022 7:13 pm

L'Ucraina ha dimostrato al Mondo intero di essere una nazione, un popolo e uno stato degno di rispetto e meritevole di essere aiutato per continuare ad esistere,
se lo è guadagnato sul campo della vita e della storia con onore, con la partecipazione di tutta la sua gente, di tutti i suoi cittadini, che si sono esposti a sua difesa offrendo volontariamente il loro sangue.
Come hanno fatto e ancora fanno gli ebrei di Israele e come a suo tempo invece non ha fatto la Serenissima che vigliaccamente e ignominiosamente si consegnò a Napoleone senza combattere e che per questo perse per sempre la sua dignità, la sua libertà e la sua sovranità che oggi una minoranza minimale di veneti rivendica come il loro vero stato dando contro agli ucraini perché resistono e combattono a costo di morire e non si rendono conto che se anche i veneti al tempo della Serenissima avressero fatto altrettanto resistendo e combattendo Napoleone con ogni probabilità lo Stato veneto ci sarebbe ancora.



Guerra Ucraina-Russia, rissa a Non è L'Arena tra Povia e gli ospiti in studio: "Zelensky ha più responsabilità di Putin"

14 marzo 2022

https://www.affaritaliani.it/mediatech/ ... 85488.html

Povia protagonista indiscusso dell’ultima puntata di Non è L’Arena. Durante l’ultimo appuntamento del programma condotto da Massimo Giletti su La7, tra gli ospiti in studio c’era anche il cantante Giuseppe Povia (celebre soprattutto per la canzone I bambini fanno "ooh..."). Come scrive il Fatto Quotidiano, convinto contrario ai vaccini per il Covid, è stato chiamato negli studi di La7 per intervenire sul tema “da no vax a pro-Putin?”. “Io non parlerei di tifoserie ma di pace, che è la cosa che vorremmo tutti in questo momento”, esordisce Povia.

“Da una parte abbiamo uno che non si ferma perché ha fatto un’azione di invasione. Sappiamo anche che dal 2014 c’è un conflitto in Ucraina ed è stato fatto un referendum nelle regioni del Donbass”, dichiara. “Detto questo”, continua, “possiamo riempirci la bocca tutti i giorni, ma sappiamo che ogni minuto c’è morte e devastazione”. Quindi, conclude, “il più irresponsabile in questo momento dopo 18 giorni di guerra, quanto Putin se non di più, è Zelensky che dovrebbe abdicare al trono”.



Un demenziale novax amico di Povia

LA MIA LETTERA ALL'AMBASCIATA RUSSA
(condividila e inviala anche tu aggiungendo la tua firma sotto alle nostre! L'indirizzo email dell'Ambasciata Russa è: ambrus@ambrussia.it)
Mr. Dmitry Shodin
Ambasciatore Russo in Italia
presso
Ambasciata Russa a Roma
Russian Embassy in Rome, Italy Via Gaeta, 5 00185 Roma Italy
ambrus@ambrussia.it
Solidarietà alla Russia e condanna dell'atto di guerra compiuto dal Governo italiano
Michele Giovagnoli
Giorgio Cattaneo

https://www.facebook.com/michelegiovagn ... 8742671098

In questi giorni così drammatici, desidero esprimere la mia più profonda vicinanza alla Russia, come nazione, come comunità umana e come sistema sociale e culturale. Al tempo stesso, intendo manifestare la mia più netta disapprovazione nei confronti delle iniziative assunte dal governo italiano, cioè le sanzioni economiche ai danni della Federazione Russa e, cosa ancora più grave e inaccettabile, la fornitura di armamenti ed equipaggiamenti militari ad un paese belligerante, qual è oggi l’Ucraina. Come essere umano, non posso fare a meno di deplorare il ricorso alle armi, da qualunque parte esso provenga; sarebbe però estremamente ipocrita non voler comprendere le ragioni che hanno ora spinto il governo di Mosca a intervenire militarmente in Ucraina, dopo 8 anni di spietati bombardamenti nel Donbass, al prezzo di efferate stragi di civili, senza contare la sconcertante richiesta di adesione alla Nato da parte dell’Ucraina.

Come italiano, continuo a guardare alla Russia come al grande paese di Tolstoj e Dostoevskij: e oggi provo una vergogna insopprimibile di fronte all’ostracismo e alle persecuzioni indiscriminate che colpiscono i cittadini russi che vivono e lavorano in Italia, emarginati e sanzionati, in modo razzista, per il solo fatto di essere russi. Sempre come italiano, non dimentico la sollecita, solidale assistenza fornita dalla Russia all’Italia durante la primavera 2020, in termini di immediato supporto sanitario. E, come cittadino del mondo, non dimentico l’impegno profuso dalla Russia – unica grande potenza, presente sul campo in questo ruolo – nel contrastare energicamente, e senza equivoci, il dilagare dell’Isis in Medio Oriente.Russia

Esprimo anche la più viva considerazione per l’operato del presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, anche in ragione di alcune sue recenti prese di posizione, di valore sostanziale e di rilievo simbolico: per esempio, la sdrammatizzazione coscienziosa del problema pandemico, così come la fornitura (gratuita) del primo vaccino C-19 e il rifiuto di varare misure ingiustamente restrittive contro la popolazione, che in Russia non è stata vessata come invece è purtroppo accaduto in Occidente. Apprezzo anche la recente decisione della Russia di porre il veto – al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – alla risoluzione (occidentale) che pretendeva di elevare il problema ambientale e climatico al rango di minaccia per la sicurezza degli Stati: una mistificazione pericolosa, figlia di un pensiero di stampo totalitario al quale – ancora una volta – è stata la Russia a porre un freno, all’insegna dei valori più profondi che dovrebbero sempre caratterizzare ogni vero umanesimo, ogni pensiero fondato su una sincera visione della realtà.

A questo proposito, non posso che condannare il vergognoso atteggiamento dei mass media italiani, i quali – come i loro omologhi statunitensi ed europei – hanno intrapreso una pericolosa, selvaggia campagna di linciaggio contro la Russia, ovvero contro la verità, fuorviando anche in modo criminoso l’opinione pubblica italiana. Mi auguro sinceramente che le ostilità in Ucraina possano cessare al più presto, perché so che è sempre l’inerme popolazione civile a patirne le sofferenze più gravi. Ma so anche che noi italiani, purtroppo, non siamo neutrali; non lo siamo più, da quando il nostro primo ministro, Mario Draghi, ha inteso varare misure ostili, anche sul piano militare, contro la Federazione Russa. Considero questo gesto un vero e proprio atto di guerra, compiuto a tradimento. Un atto di guerra compiuto non solo contro la Russia, ma anche contro di me e contro i cittadini italiani – non pochi, immagino – che la pensano come me, e che verso la Russia provano un senso di grande rispetto e anche di riconoscenza.

Sappiamo che la cultura occidentale deve molto, all’umanesimo slavo e in particolare russo. Senza la Russia, l’Europa è destinata a restare un’entità eternamente incompiuta. Senza una pace stabile e una vera armonia, tra Europa occidentale e Russia, temo che noi resteremo lontani dallo spirito della giustizia, quello che alimenta la forza necessaria a costruire un futuro dignitoso. Ricordo bene gli intenti espressi dal presidente Putin, alcuni anni fa, in vista delle Olimpiadi Invernali di Sochi: tese la mano all’Occidente e invocò il fiorire di una collaborazione inedita, storica, epocale, capace di ridisegnare l’orizzonte della nostra rispettiva coesistenza. Ricordo anche, purtroppo, lo sprezzante silenzio con il quale l’Occidente lasciò cadere quell’offerta. E’ facile, oggi, accusare la Russia di aver fomentato l’ostilità, quando chiunque di noi sa benissimo quanto la Nato abbia costantemente provocato la Russia, avvicinandosi minacciosamente alle sue frontiere.

Sono grato alla Russia per il suo impegno nell’edificazione di una governance multipolare del mondo: dopo il crollo dell’Urss, la Terra – caduta sotto il dominio unipolare dell’Occidente – ha conosciuto una spaventosa e ininterrotta sequela di guerre, atrocità e terrorismi. Non sono certo un nostalgico dell’Unione Sovietica o della Guerra Fredda; ma ho imparato che proprio l’assenza di contrappesi può generare spirali di violenza incontrollata. Mi coglie lo sconforto, poi, se penso alle vessazioni che l’Occidente ha imposto, in modo progressivo, ai suoi cittadini, specie negli ultimi anni. E il governo italiano, quello che oggi dichiara implicitamente guerra alla Russia, è lo stesso governo che in questi mesi, in fondo, ha “dichiarato guerra” anche ai suoi cittadini, revocando libertà e diritti, compresi quelli fondamentali che in teoria sarebbero garantiti dalla Costituzione democratica di questo paese. Ora, all’indignazione si aggiunge anche la vergogna.

Vorrei che il governo della Federazione Russa, quantomeno, prendesse atto di questo: che il governo italiano non può considerarmi suo complice, nell’azione che sta conducendo contro la Russia e il suo popolo. Come molti italiani, anch’io ho imparato a conoscere meglio e rispettare profondamente la Russia – la sua complessità, la sua inesauribile umanità – sin da quando, in giovane età, ebbi occasione di affrontare il libro “La Tregua”, di Primo Levi, che narra della liberazione dei prigionieri di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa. Chiunque abbia letto qualche libro di storia sa perfettamente che non avrebbe mai avuto luogo nessuno Sbarco in Normandia, se prima non ci fosse stato il devastante sacrificio dell’Armata Rossa nella Battaglia di Stalingrado, la più importante e decisiva di tutta la Seconda Guerra Mondiale.

Negli ultimi anni ho apprezzato molto il lavoro giornalistico condotto in Italia da Giulietto Chiesa: mi ha insegnato a sforzarmi, sempre, di mettermi nei panni della controparte. Una lezione che, oggi, pare che l’Occidente abbia completamente dimenticato. Non può esserci giustizia, se non c’è libertà. E oggi, in Italia, la libertà è stata limitata in modo inaudito, senza precedenti nella storia recente. E prima ancora, non ci può essere libertà senza che, a monte, ci sia verità. E oggi, come possiamo constatare, i media non perdono occasione per diffondere spudorate menzogne. Questa situazione non può che preoccupare chiunque abbia a cuore la pace: russi, ucraini, italiani. Chi lavora per dividere l’umanità, per prima cosa, racconta il falso: e di fatto, in questo modo, condanna l’umanità.

Io mi schiero dalla parte dell’umanità: e quindi, oggi più che mai, mi sento vicino alla Russia. E spero che proprio la Russia, così proditoriamente aggredita, possa contribuire all’edificazione di un mondo più grande e più giusto, composto da tante voci; un mondo più libero, capace di riaprire gli occhi e ripudiare la menzogna, la diffamazione, il capovolgimento sistematico della verità. Credo che il nostro mondo, oggi più che mai, abbia davvero bisogno di tutti, quindi anche della Russia. Ci servono concordia, amicizia, solidarietà e collaborazione. Se qualcuno investe sull’odio e sulla divisione, deve sapere che fallirà: almeno fino a quando saremo qui noi, ostinati cittadini del mondo, incrollabili ottimisti e irriducibili avversari di chi è nemico dell’umanità. Con i migliori auspici per una pace autentica e durevole, in Ucraina e in tutto il pianeta, confidando che anche l’Italia possa riconquistare presto la libertà che oggi ha perduto.



A proposito del Donbass

Questa notizia per chi non sa bene la reale situazione in Ucraina,nel Donbass ,precisamente,dice molto di piu' di tante altre informazioni. Questa è l'ultima foto di Volodymyr Rybak (1971 - 2014)
https://www.facebook.com/alessandra.cas ... 4666649600

Sono passati sette anni ormai dalla morte di questo grande Eroe e non lo dobbiamo dimenticare mai.
Volodymyr Rybak, deputato degli organi locali amministrativi di Horlivka (Donbas), voleva semplicemente vivere e lavorare, come faceva sempre onestamente, nel proprio paese.
Perciò, quando l'esercito russo aveva invaso le zone dell'est ucraino (con l'aiuto dei delinquenti locali), Volodymyr si oppose all'occupazione e cercò di difendere la bandiera ucraina sul municipio della sua città. Un piccolo-grande gesto che non tutti di noi sarebbero capaci di fare, da soli, in mezzo ai nemici, sapendo molto bene le conseguenze...
Volodymyr fu preso dai membri del gruppo Ghirkin- Bezler (agenti del FSB russi, organizzatori della cosiddetta "primavera russa" in Donbas), selvaggiamente torturato e ucciso. Il suo corpo fu trovato, sviscerato, pochi giorni dopo, nel fiume...
E questo è solo un piccolo frammento di quello che succedeva e succede in Donbas ancora oggi. Quindi, ogni volta che sentite qualche "utile idiota" raccontarvi della "grandezza" di Putin, "nobiltà" dei soldati russi o del loro "desiderio di salvare il mondo dai cattivi americani",... ricordatevi semplicemente quest'ultima foto del patriota ucraino, Volodymyr Rybak!
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Dov'è il nazismo e chi è il nazista in Ucraina e in Russia?

Messaggioda Berto » sab mar 19, 2022 7:14 pm

La crisi russo-ucraina e il ruolo di Israele: Intervista a Renato Cristin
24 marzo 2022

http://www.linformale.eu/la-crisi-russo ... o-cristin/

Torna ospite su L’Informale il prof. Renato Cristin, docente di Ermeneutica filosofica all’Università di Trieste, già Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Berlino e Consigliere culturale dell’Ambasciata d’Italia nella capitale tedesca.

Curatore delle edizioni italiane delle opere di Husserl, Heidegger e Gadamer, è autore di numerosi saggi, ricordiamo: La rinascita dell’Europa. Husserl, la civiltà europea e il destino dell’Occidente (Donzelli, 2001), I padroni del caos (Liberilibri, 2017) e Quadrante Occidentale (Rubbettino, 2022).

Con la chiarezza cristallina che lo caratterizza, virtù rara in questo tempo dominato da «neolingue» contrapposte nella sostanza, ma egualmente totalitarie nella forma, ha risposto alle nostre domande sull’aggressione russa all’Ucraina e sul ruolo d’Israele.

Prof. Cristin, in seguito all’aggressione russa dell’Ucraina, sono molti quelli che, tanto a destra come a sinistra, si sono schierati contro Kiev accusando Zelensky di essere un «burattino» dell’Occidente e la NATO di essersi «espansa» troppo a Est. Quali sono le radici intellettuali dei «putiniani» italiani?

Quelli che lei definisce i «putiniani» italiani non si differenziano, sostanzialmente, dai loro omologhi di altri paesi, perché la globalizzazione delle idee ormai contagia, potenzialmente, tutte le correnti e i movimenti rendendoli omogenei, soprattutto nel campo occidentale. La differenza che invece andrebbe individuata è interna all’ambito del putinianesimo, e segna diversità talvolta consistenti. Fra i sostenitori occidentali del governo russo attuale osserviamo nostalgici del comunismo, di cui essi scorgono le tracce nel Cremlino putiniano; pragmatici o cinici esponenti del mondo economico-finanziario e di quello politico; cattolici che vedono nella combinazione fra nazionalismo russo e religione ortodossa l’occasione per un riscatto dell’Occidente dal laicismo (che in effetti è reale) in cui l’Occidente è precipitato; anti-capitalisti che puntano sulla sconfitta dell’Occidente come terreno per esperimenti economico-sociali alternativi; terzomondisti anti-occidentali che nella Russia vedono la liberazione di intere aree geopolitiche dal presunto imperialismo statunitense; complottisti (soprattutto anti-israeliani) che denunciano una fantomatica cospirazione demo-pluto-giudaica che verrebbe sconfitta da un impero euroasiatico (con tre opzioni: russo-euro, russo-cinese-euro oppure russo-cinese tout court); e altre varianti di minore entità, tra cui, in Italia, numerosi esponenti politici e intellettuali filocinesi che per osmosi sono anche filorussi.

Più difficile è secondo me parlare di «radici» culturali, perché da un lato la mescolanza di elementi eterogenei impedisce di superare la barriera del caos e di arrivare a qualche teoria coerente; e dall’altro l’evanescenza delle loro tesi mostra una deprimente assenza di coscienza storica e di consapevolezza politica. Per converso, anche il campo degli anti-putiniani è eterogeneo, perché raccoglie oggi movimenti, teorie e persone che mai potrebbero trovarsi d’accordo su altri temi. Tutto ciò ci dice che, da un lato, la scelta di campo per l’Occidente o per la Russia è un’opzione che precede le diversità politico-ideologiche pur senza eliminare lo scontro che fra esse sussiste, e dall’altro lato che talvolta quella scelta è frutto di una presa di posizione non dissimile dalla tifoseria sportiva.

Gli antioccidentali e i filorussi condannano l’Occidente per le guerre che, a loro dire, avevano come scopo l’esportazione della democrazia. Ora però, anche se l’Ucraina avesse un sistema di gestione del potere non perfettamente democratico, con questa guerra la Russia non vuole nemmeno esportare la democrazia, bensì solo espandere la propria autocrazia. Dietro a tutto ciò, vedo l’ombra lunga del comunismo ovvero del sovietismo.

Nello scenario di guerra aperto dall’invasione dell’Ucraina, molti attori operano con carte coperte, truccate, facendo doppi e tripli giochi. Tutto accettabile nella logica della guerra, come pure nella strategia che l’ha preceduta. Lo scenario russo-ucraino è multiplo e plissettato, e se la condanna totale dell’invasione è logica, vanno esaminate anche le pur deboli ragioni addotte dalla Russia. E tuttavia in un’analisi che tenti di cogliere anche le minime sfumature della realtà un dato resta certo: il popolo ucraino ha subìto un attacco militare ingiustificato e intollerabile, che è anche un’arrogante sfida all’Europa e all’Occidente, e quindi la scelta di campo non può che essere netta, convinta e coerente.

Prosegua professore…

Le modalità dell’invasione sono infatti psicologicamente odiose, moralmente inaccettabili, politicamente destabilizzanti e militarmente minacciose per tutto il mondo occidentale e in primo luogo per i paesi europei. Perfino se ci mettiamo nei panni di un sincero estimatore occidentale della Russia putiniana – la quale ovviamente non è il male assoluto e dunque contiene aspetti positivi, che vanno apprezzati e che derivano dalla coscienza civile di larghi strati del popolo russo e non dalle strutture politico-amministrative –, l’invasione e la strage di civili sono motivo sufficiente per una condanna risoluta e definitiva.

Che la NATO non doveva allargarsi eccessivamente a Est è una tesi pretestuosa che contraddice l’esito storico, tutto fallimentare, del comunismo e che contrasta con la libertà delle nazioni di scegliere a quale campo appartenere, tanto più se si tratta di nazioni a cui proprio il comunismo russo aveva negato per mezzo secolo la libertà. L’abbattimento del Muro di Berlino ha innescato un processo di re-identificazione nazionale in tutti i paesi segregati dalla «cortina di ferro». Come ricordava Vladimir Bukovskij, la gran parte dei paesi che fino al 1990 si trovavano sotto il giogo sovietico, prima di cadere sotto questa dominazione «avevano combattuto per la loro identità nazionale con tutti i mezzi disponibili», salvo poi cedere dinanzi alla forza. Ma dopo il crollo dell’URSS, quella volontà nazionale riemerse, e per affermarsi definitivamente dovette distruggere i simboli e le incrostazioni del comunismo, e non fu cosa facile né rapida. La Russia assistette a tutto ciò con oggettiva rassegnazione ma pure con un sentimento di fastidio, in parte anche inconscio, per aver perduto la propria sfera d’influenza sull’Europa centro-orientale, su un’area composita ed eterogenea che però da Varsavia a Sofia, da Riga a Tirana, da Budapest a Kiev, era profondamente occidentale e voleva esprimere la libertà di esserlo, fino in fondo pur nella peculiarità propria di ciascuna nazione.

L’Ucraina ha avuto la sfortuna di confinare con la Russia e quindi ha dovuto faticare di più per affermare la propria libertà e identità nazionale, anche per la presenza al suo interno di una minoranza russa o russofona, che veniva tutelata dalla grande casa madre con appoggio non solo diplomatico-politico ma anche militare. L’occupazione russa della Crimea e la penetrazione nei territori secessionisti testimoniano da quasi dieci anni la volontà del Cremlino di risolvere la questione ucraina ad ogni costo, la quale è per la Russia, come lo era per l’URSS, ben più che un problema di conquista territoriale o di difesa; è un nodo irrisolto della loro storia ed è un’ombra rimossa nella psiche dei capi del Cremlino, a tal punto che Boris Nemtsov, oppositore liberale del regime russo, viene assassinato, il 27 febbraio 2015, pochi giorni prima di dare alle stampe il suo esplosivo report sulla guerra in Ucraina. Un caso o un sintomo della crucialità della questione ucraina per la politica putiniana?

Ma l’Ucraina è lì, e il suo popolo la abita e la fa vivere come nazione indipendente, e rappresenta una sfida alla volontà di controllo sulla propria supposta sfera d’influenza che il governo russo ha ereditato direttamente dal regime sovietico. Risolvere un problema oggettivo di territori e popolazioni scatenando una guerra d’invasione è frutto di una visione primordiale ed espansionistica, di una grettezza psicologica unita alla brutalità di comportamento, così come è barbaro da parte di una nazione reprimere e opprimere le minoranze etniche o linguistiche, e certamente il governo ucraino avrebbe dovuto essere più liberale verso la minoranza russa.

La guerra in Ucraina va vista anche e soprattutto dal punto di vista degli ucraini, che con il genocidio che va sotto il nome di Holodomor hanno conosciuto sulla loro pelle l’odio sovietico verso qualsiasi nemico, reale o immaginario, oggettivo o costruito ad arte. Quella è una macchia indelebile che gli ucraini non possono dimenticare e che, pur in condizioni del tutto diverse dagli anni Trenta, riaffiora sempre quando in Ucraina si parla di Russia. E poiché la Russia non ha mai riconosciuto ufficialmente quel genocidio, possiamo immaginare con quale stato d’animo, al netto delle distruzioni e delle uccisioni ancora in corso, gli ucraini vedano l’odierna invasione.

La Russia riuscirà a consolidare il proprio dominio in Ucraina?

Non sarà semplice per la Russia imporre un governo fantoccio e quindi instaurare un regime sul modello bielorusso, perché è molto difficile togliere la libertà – politica, civile, di pensiero e di espressione – a un popolo che per molti anni (nonostante i brogli elettorali e la corruzione politico-economica) ne ha respirato e apprezzato l’aria. Gli ucraini non accetteranno mai un regime semi-dittatoriale e per di più imposto dall’estero. Al di là delle varie implicazioni politiche e strategiche, questo dato di fatto ci dice che la libertà è il valore primario per i popoli in generale e per tutti gli aspetti della loro vita.

È innegabile che la sfera d’influenza e la sicurezza contino, soprattutto per le superpotenze, ma nel Cremlino vige oggi un comunismo mentale più ancora che politico o economico, e soprattutto vi dominano la nomenklatura politica e la casta burocratica emanate dall’Unione Sovietica. L’autocrazia russa temeva (e teme) infatti la libertà assai più dei missili: la volontà di libertà degli ucraini è la loro principale colpa.

Oggi la Russia assomiglia molto più all’Unione Sovietica che alla Terza Roma, specchietto per allodole con cui l’oligarchia neo-sovietica, spalleggiata dalla chiesa ortodossa, tenta di ingannare gli occidentali sensibili alla tradizione. Si scrive Russia ma si legge URSSIA. E come nella Russia sovietica, anche oggi a pagare il prezzo maggiore è il popolo, limitato nella libertà di espressione e di opposizione politica. Nonostante le notevoli trasformazioni sociali – tutte però legate alla dimensione di benessere materiale –, oggi la continuità con alcuni aspetti nevralgici del sistema sovietico è diventata palese, e si svela nella spinta repressiva all’interno del paese e nella pulsione espansionistica all’esterno, entrambe guidate dalla volontà di controllo che in epoca sovietica aveva raggiunto forme totalitarie parossistiche e che oggi agisce, inevitabilmente, con maggiore elasticità ma con altrettanta caparbietà, con la medesima ostinatezza del politburo, appunto, forme nuove della vecchia buropolitica.

Come aveva spiegato Edward Lucas in un profetico libro del 2008 La nuova Guerra Fredda, è da almeno quindici anni che il sistema di potere putiniano – che Lucas considera una minaccia sia per l’Occidente sia per la Russia stessa –, aveva concepito l’opzione militare per occupare paesi limitrofi che si fossero troppo avvicinati all’Occidente. Ora l’opzione si è concretizzata, e l’Ucraina sta pagando il prezzo della sua volontà di appartenere a pieno titolo al mondo libero. Qui infatti salta il banco, come segnalava Lucas: «la prospettiva di prosperità e libertà, dello stato di diritto e dell’integrazione europea in Ucraina è una potenziale sfida per il modello autoritario in Russia». E se ci stiamo avviando verso una nuova guerra fredda, allora una nuova cortina di ferro sarebbe anche plausibile, ma non a spese di una nazione e di un popolo. E non dimentichiamo che fino al 1991 i missili sovietici SS20 puntati sulle capitali europee erano piazzati a un centinaio di chilometri dai confini tedeschi, austriaci e italiani. I verdetti della storia non sono cancellabili: l’URSS ha perduto la Guerra Fredda, e la sua erede deve farsene una ragione; e l’Occidente deve avere l’intelligenza e la forza, pacata ma ferma, di far rispettare quel verdetto. E sempre che l’invasione dell’Ucraina non rappresenti, nella visione neo-sovietica putiniana, solo il primo passo per un’avanzata verso Ovest, perché allora la nuova guerra non sarà più fredda bensì rovente.

Che uno degli obiettivi dichiarati della Russia sia la de-nazificazione dell’Ucraina, è l’espressione di uno schema mentale tipicamente sovietico. Affermare che il nazismo sia al potere nell’Ucraina odierna è un’assurdità tanto quanto sostenere che i contadini ucraini fossero nemici del popolo che dovevano essere sterminati, come appunto i sovietici fecero nei primi anni Trenta. Il modello psico-politico sovietico, gretto nella sua concettualità ma efficace nella sua azione, regge l’odierna elaborazione teorica e propagandistica russa: i nemici sono alle porte, anzi, sono fra noi, e vanno scoperti ed eliminati, almeno messi in condizione di non nuocere.

È vero che il battaglione ucraino Azov ha adottato simboli che ricordano quelli nazisti e rievoca schemi ideologici tipici del nazionalsocialismo, ma un battaglione non è l’esercito ucraino né tanto meno il popolo ucraino, né corrisponde al sentire del governo, basti pensare infatti ai rapporti strettissimi che il presidente Zelensky aveva instaurato con Israele, e a come in Israele anche personalità non di destra come Natan Sharansky sostenessero questi rapporti. Ora, che per eliminare o rendere inerte un battaglione sia necessario scatenare una guerra di invasione così pesante e devastante, è una tesi irricevibile da qualsiasi punto di vista, tranne ovviamente quello della propaganda russa e quello dei suoi adepti europei.

Vladimir Putin sta combattendo una guerra difensiva contro la protervia statunitense, oppure si tratta di una guerra di invasione?

Lo stato ucraino ha represso con metodi talvolta brutali l’ondata scissionista dei filorussi del Donbass, e ciò ha acuito quella frattura tra lealisti ucraini e separatisti che Mosca aveva scaltramente prodotto e alimentato. Ma al Cremlino quella popolazione russofona è servita per altri scopi, perché per proteggerla sarebbe stata sufficiente la forza diplomatica ed economica. Evidentemente a Mosca serviva un casus belli, il pretesto per un’invasione su larga scala che risolvesse il problema ucraino nel suo insieme: lupus et agnus. Ecco ancora le tracce del sovietismo: il regime russo ha ripreso la dottrina brezneviana della «sovranità limitata», applicandola non a stati satelliti come all’epoca sovietica, ma a nazioni oggi pienamente sovrane e che della sovranità hanno fatto un cardine della loro esistenza storica. E ora il contrasto fra una dottrina antiquata, oltre che, ovviamente, spregevole e la realtà attuale di libertà nazionale diventa esplosivo.

Ci sono poi dati accertati di una pratica di deportazione che pure era tipica del sovietismo: ai profughi ucraini viene offerto, come via di fuga, di riparare in Russia ovvero di essere deportati. Ci auguriamo che questi episodi non si ripetano, perché non vorremmo rivedere – nemmeno parzialmente – azioni di pulizia etnica come quelle viste nei Balcani o, poco più indietro nel tempo, a cui sono stati sottoposti gli italiani di Istria e Dalmazia. No, non vorremmo dover associare Putin a Tito, rivedere riaffacciarsi una prassi che credevamo scomparsa dal suolo europeo.

Ma questa invasione potrebbe essere solo il primo passo di un allargamento a Ovest, come ha affermato qualche giorno fa Boris Johnson alla convention dei conservatori inglesi a Blackpool, sostenendo che proprio perciò la Russia deve fallire, non deve cioè uscire vincitrice da questa guerra, perché altrimenti a uscirne sconfitto sarà tutto l’Occidente e in particolare l’Europa. Ecco, temo che l’espansionismo neo-sovietico pensi a qualcosa come un effetto domino sui paesi limitrofi. Un domino geopolitico che sancirebbe un nuovo dominio della Russia sulla sua ex-area di influenza e una sua predominanza rispetto all’Unione Europea e alla NATO.

Invece di affrontare la brutalità di Putin contro l’Ucraina, lo abbiamo giustificato, scusato, difeso. Ci siamo colpevolizzati, proprio come davanti al terrorismo islamico o a quello palestinese. Noi occidentali non siamo più in grado di difenderci?

Questa guerra è potuta scoppiare non perché l’Occidente era particolarmente minaccioso agli occhi del Cremlino, ma al contrario perché appariva debole. E la sua debolezza risiede non solo nell’aver smarrito la propria identità profonda, nell’essersi sottomesso a forze interne – ideologiche, culturali, politiche ed economiche – sostanzialmente ostili all’idea e alla tradizione dell’Occidente, ed essersi così esposto a potenze esterne – come l’islam radicale e i suoi vari terrorismi, o la Cina, o appunto la Russia, che lavorano da sempre per frantumarlo e ridurlo in stato di minorità. La debolezza consiste anche, in questo caso, nel non aver capito fino in fondo l’essenza del comunismo e delle sue variazioni, incluse quelle che si sono insediate spesso trionfalmente nel mondo occidentale.

Come ha evidenziato Łukasz Kamiński, «i segnali di avvertimento sui preparativi per la guerra in Ucraina sono stati ignorati perché il comunismo non è stato adeguatamente valutato e condannato». Se questa guerra è l’esito di un fallimento della politica, l’Occidente ha fallito non perché abbia spinto sull’allargamento della NATO, senza capire che quello era per la Russia il punto di non ritorno, ma perché non ha compreso fino a che punto il sovietismo sia presente nella struttura burocratico-ideologica del governo russo. La nostra guida per capire questo pericolo dovrebbe essere la Polonia – intesa come governo, nazione e popolo –, che è forse il più raffinato e sensibile conoscitore, in quanto vittima, dell’ideologia comunista, dell’essenza del bolscevismo e della sua trasformazione nella nomenklatura odierna.

Uno di questi segnali, non militare ma politico, risale allo scorso mese di dicembre, quando una sentenza della Corte suprema russa ha imposto la chiusura della Fondazione Memorial, il centro di ricerca per i diritti civili e sui crimini del regime sovietico fondato nel 1989 da Andrej Sakharov. La motivazione fu che Memorial avrebbe «interpretato scorrettamente la storia sovietica», prodotto «una falsa immagine dell’Unione Sovietica raffigurandola come Stato terrorista» e «criticato gli organi del potere» russo attuale. Perciò Memorial venne definito come un «agente eversivo straniero», un pericolo per la nazione, che doveva essere posto fuori legge.

Dietro a questa sentenza c’era la volontà di riscrivere la storia russa recente in modo da salvare la memoria della dittatura sovietica e armonizzarla con l’idea di spiritualità e religiosità russa che il regime afferma oggi di voler salvaguardare e diffondere, allo scopo di fornire un’immagine della Russia oligarchico-putiniana che sia all’altezza della politica di potenza globale che essa vuole svolgere su tutti gli scenari, dal Medio Oriente all’America Latina, dal Nord Africa all’Europa.

La chiusura di Memorial è stato un tassello simbolico di una volontà di aggressione che la Russia aveva imboccato da parecchi anni e che si è via via consolidata. E la guerra in Ucraina è la prima – e speriamo anche l’ultima – aggressione militare di ampio formato della Russia post-sovietica e neo-comunista sullo scacchiere europeo. L’annessione della Crimea nel 2014 era stata un’azione bellica ma territorialmente limitata. Ora invece il raggio è pericolosamente esteso. E coinvolge più di 40 milioni di abitanti, molti dei quali sottoposti a pesanti bombardamenti e a durissime privazioni, oltre a molti civili ucraini uccisi. Le sofferenze del popolo ucraino sono il segno più sanguinoso di quella indifferenza, se non addirittura disprezzo, verso la vita delle persone e di quell’odio verso gli avversari che caratterizzava il regime sovietico e che sembra essersi trasmesso nel regime russo attuale. Come ha scritto Roberto de Mattei, «Putin è un nazional-bolscevico che non ha rinnegato gli errori del comunismo, e la Cina è una nazione ufficialmente comunista che il 7 marzo 2022 ha dichiarato che la sua amicizia con la Russia è “solida come una roccia”».

Dunque?

Per questo nazionalismo la necessità dello spazio vitale o la minaccia esistenziale sono pretesti storici, culturali e politici per obiettivi di espansione e di potenziamento dell’area di influenza. Anche il suo linguaggio è sempre più caratterizzato da espressioni e simbologie sovietiche: la patria russa è in pericolo, l’imperialismo «nazi-occidentale» è crescente, l’Occidente è moralmente debole e degenerato ma militarmente minaccioso e aggressivo. Formule dello stalinismo che sono rimaste vive fino al crollo dell’URSS, e che ora sono riaffiorate con preoccupante frequenza. È vero che l’Occidente è oggi dominato dal progressismo politicamente corretto e pervaso da una perdita di valori, ma sta perdendo proprio quei valori tradizionali che gli avevano consentito di vincere la sfida con il comunismo sovietico. Il problema per l’Occidente non sono, come gli anti-americani e filo-russi nostrani sostengono, i neocon, cioè i neoconservatori, ma i neocom, i neo-comunisti sparsi fra Oriente e Occidente. Chiaro, anche gli eccessi dei neocon devono essere analizzati e, caso per caso, eventualmente criticati, ma tutto ciò all’interno dello schema occidentale, nell’ambito cioè della tradizione di pensiero e di azione della civiltà occidentale, che è da decenni in profonda crisi ma che potrà essere salvata solo dalle energie interne ad essa.

Tutti i popoli dell’Europa orientale soggiogati dall’URSS hanno voluto tracciare una linea di separazione radicale con il regime sovietico e con l’ideologia illiberale e totalitaria che lo ispirava, e a tal fine hanno voluto distruggere ogni legame con tutto ciò che quel regime rappresentava, e al tempo stesso conservare la memoria storica e politica del male che quella ideologia ha portato nelle loro patrie. L’Ucraina è vittima della nuova mitografia neosovietica, e tanto più infatti questa drammaturgia epica cresce di pathos e di volontà di potenza, tanto più saranno in pericolo le nazioni vicine. E quanto più la Russia recupera e valorizza anche solo alcuni aspetti del sovietismo, tanto più questi popoli vogliono distanziarsi dalla Russia. E tanto più forte è l’identità delle nazioni minacciate o aggredite dalla Russia neo-comunista, tanto più per esse quella minaccia o aggressione risulta insopportabile.

Il presidente Putin, per il suo conservatorismo, la sua fede cristiana e i suoi metodi risoluti, è diventato un leader ammirato, talvolta in modo parossistico. Lo Zar, come talora viene chiamato, è un autentico conservatore oppure uno scaltro autocrate che usa il nazionalismo e la religione come instrumentum regni?

Vladimir Putin è un conservatore, non però nel significato politico-filosofico che in Occidente attribuiamo a questo termine, bensì in quanto vuole conservare la struttura burocratico-politica costruita dall’Unione Sovietica o almeno conservarne il carattere operativo, dato che quello ideologico in senso stretto è difficilmente praticabile nella Russia odierna, e Putin non vuole restaurarlo. Vuole conservare il nazional-sovietismo, mettendo in soffitta l’edificio leninista e stalinista, e trasformandolo in uno statal-comunismo sul modello cinese. I suoi proclami per la difesa della spiritualità russa sono infatti un pretesto politico, e tutt’al più arriveranno a difendere la Chiesa ortodossa nella misura in cui quest’ultima sosterrà le scelte del Cremlino, come spesso è accaduto e come vediamo in questi giorni a proposito della guerra in Ucraina. Le dichiarazioni del patriarca Kirill sono infatti tanto asservite al potere putiniano da poter essere definite blasfeme, e in ogni caso sono più un coacervo propagandistico che un sermone religioso. Penso che il nazionalismo putiniano non sia strumentale, anzi è forse l’unico elemento autentico, negativo ma genuino, fra i temi motivazionali della politica di potenza del Cremlino. Il richiamo alla religione suona invece come moneta falsa, come astuzia culturale per scopi politici.

Perfino la riflessione filosofica di un influente sebbene non ufficiale consigliere di Putin come Aleksandr Dugin, in cui l’appello religioso è certamente forte e ben fondato, sarebbe viziata da un pretesto originario. Secondo l’ex-ufficiale del KGB Konstantin Preobrazhensky, infatti, la teoria dello spiritualismo euroasiatico centrato sullo spirito russo, sostenuta da Dugin, sarebbe stata elaborata dall’intelligence sovietica fin dagli anni Venti e riutilizzata poi dai servizi russi in funzione anti-occidentale. Che questa ripresa spirituale sia in contraddizione con il sistema economico-sociale, lo si evince dall’analisi della struttura economico-finanziaria su cui si regge non solo il gruppo degli oligarchi ma l’intero sistema politico, la quale è l’antitesi della spiritualità che contraddistingue la tradizione russa.

Anche la lotta putiniana al terrorismo islamico, dettata – questa sì – da comprensibili e legittime esigenze di difesa nazionale, non corrisponde fino in fondo a un’istanza religiosa di salvaguardia del cristianesimo ortodosso dalla minaccia musulmana. Un esempio di ciò è l’ingaggio dei mercenari siriani, che è davvero un fatto inquietante e anomalo, sia perché il terzo più forte esercito del mondo non avrebbe bisogno di attingere a forze straniere, sia perché il Cremlino dispone già di un gruppo di contractors ufficiali ed estremamente efficienti (la società privata Wagner), utilizzati in vari scacchieri internazionali, sia infine perché si tratta di combattenti islamici, fatto di alto valore o meglio disvalore simbolico. Un salto di intensità che acuisce la drammaticità di ciò che sta accadendo sul campo e di ciò che gli ucraini stanno subendo sulla loro pelle. Spaventoso. E il patriarca Kirill, che benedice questa guerra, accetta come un fatto normale che i cristiani ucraini vengano uccisi da tagliagole islamici? Oltretutto l’impiego dei mercenari siriani rappresenta una novità per l’Europa, una presenza armata islamica inquadrata in un esercito regolare, non enorme ma simbolicamente rilevante, che potrebbe anche spingere gli integralisti islamici sparsi in vari paesi europei a unirsi alle truppe russe. In ogni caso sembra che una delle tattiche perseguite dal Cremlino sia di incanaglire il conflitto, applicando all’Ucraina il modulo siriano, grazie al quale ha potuto avere per la prima volta una base navale autonoma nel Mediterraneo.

Il premier israeliano, Naftali Bennett, è stato chiamato a mediare tra Kiev e Mosca. Quale ruolo può giocare Israele in questo conflitto?

A mio avviso Israele ha avuto, involontariamente e indirettamente, già un ruolo nella guerra che la Russia ha sferrato all’Ucraina. Nello scorso mese di dicembre, il governo ucraino aveva deciso il trasferimento della propria ambasciata a Gerusalemme, riconosciuta come capitale dello stato di Israele, e il presidente Zelensky vi aveva programmato in primavera una visita ufficiale. Il nesso con la guerra? Derivato ma palese. Non dimentichiamo infatti che la Russia è solida alleata dell’Iran, che sta oggi accelerando il suo programma nucleare anche grazie all’accordo che l’amministrazione Biden si appresta a firmare. Ora, se tutto ciò che può servire a isolare o indebolire Israele è utile al regime degli ayatollah, si può ritenere che questi ultimi abbiano guardato con favore l’azione militare russa, che aveva certo altre motivazioni e altri obiettivi. La mancata cooperazione organica fra Ucraina e Israele ha danneggiato entrambi, ovviamente in misura enormemente diversa, e la guerra ha contribuito, anche solo indirettamente, a questo risultato.

Ma gli ottimi rapporti di Israele con la Russia, che oltre tutto limita la presenza militare iraniana in Siria e quindi rassicura Israele e la sua vicinanza all’Ucraina lo rendono un mediatore ideale. In questa chiave si inserisce anche il discorso che Zelensky ha tenuto qualche giorno fa alla Knesset, con cui ha inteso rafforzare il sentimento favorevole all’Ucraina che è diffuso fra il popolo israeliano, anche se è incappato in uno scivolone equiparando la Shoah con le uccisioni di civili in Ucraina. La «soluzione finale» nazionalsocialista non è infatti paragonabile all’intenzione russa di conquistare e asservire l’Ucraina, a meno che quell’intenzione non racchiuda anche la volontà di sterminare l’intero popolo ucraino, ma ciò non sembra plausibile e in ogni caso non se ne è a conoscenza.

Credo che il migliore esempio di ciò che la maggioranza del popolo israeliano sente e con cui il governo Bennett sembra sintonizzato siano le parole di Natan Sharansky, nato in Ucraina, secondo cui «l’ironia è che Putin ha detto che gli ucraini non sono una nazione, ma ora probabilmente ha fatto più di chiunque altro nella storia per dare loro il senso di essere una nazione». Ma Sharansky va oltre, affermando che «l’arma di cui Putin dispone, e che funziona, è la minaccia delle armi nucleari», e «la sua prossima pretesa sarà che le sanzioni siano considerate una guerra non convenzionale contro la Russia e, se non verranno rimosse, utilizzerà armi nucleari». Ecco, conclude Sharansky, «a che punto siamo ora, perché la minaccia nucleare è davvero l’unica arma che ha, ed ecco perché credo che quanto prima la NATO resisterà fisicamente agli sforzi di Putin per creare un ordine mondiale diverso, tanto meglio sarà». E, direi, per tutti, incluso il popolo russo che, in sua larga parte, vuole la pace e depreca questa invasione.

Per Rubbettino è appena uscito il suo nuovo libro, Quadrante Occidentale. In quarta di copertina possiamo leggere «individua nello Stato di Israele un modello di nazione per l’intero Occidente». Perché Israele è un modello da imitare?

Israele è una nazione circondata da paesi ostili, addirittura da un’intera area geografica ostile, con cui però ha saputo usare i modi più adeguati in ogni circostanza: risposte militari in caso di aggressione, azione pacificatrice diplomatica ed economica in tutti gli altri casi; inflessibilità nell’affermazione della propria identità e libertà; intransigenza con i nemici più o meno dichiarati e duttilità con paesi non propriamente amici ma potenzialmente non avversi; difesa della democrazia liberale a tutti i costi, anche in situazioni di grave emergenza bellica in cui altri governi democratici avrebbero facilmente smesso di essere liberali, come è accaduto in Italia con le illiberali leggi che la gestione politico-sanitaria della pandemia ha promulgato per un’emergenza di gran lunga inferiore a quelle terroristiche e militari che più volte Israele ha dovuto fronteggiare.

Oltre a ciò, nel campo occidentale Israele è la nazione che meglio di qualunque altra ha interpretato la modernità e la globalizzazione, mantenendo intatto il radicamento nella tradizione e nella patria, e riuscendo così ad armonizzare globale e locale. Il suo patriottismo è emotivo e razionale al tempo stesso, e coincide con lo spirito della nazione e con l’identità nazionale, i cui vari elementi formano un’unità che, nonostante le divisioni politiche, che denotano il pluralismo e l’alto grado di salute della democrazia israeliana, riesce sempre, dinanzi alle minacce, a compattarsi in misura sufficiente per respingerle, e protegge i propri figli residenti all’estero come parte integrante del proprio popolo, valorizzandone l’unione e la forza in tutto il mondo in quanto diaspora. Al fondo c’è una base spirituale che precede i legami sociali e che permette l’affermazione della propria identità, che gran parte del mondo oggi sta invece perdendo; un’identità come unità spirituale pre-razionale, che fornisce un armamentario morale, concettuale, storico e psicologico; un’anima forgiatasi nei millenni e affermata sempre con orgoglio, a dispetto delle sventure. Come ha affermato Fiamma Nirenstein, ogni israeliano è «un ancestrale erede di quello spirito che salva Israele dal terrore, dal fuggire e dal vivere sotto la bandiera della paura»; erede di uno spirito che pone la libertà come bene supremo e che risiede in primo luogo «in quelle profonde ragioni che ineriscono all’identità ebraica e alla forza nazionale trovata nel sionismo».
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Dov'è il nazismo e chi è il nazista in Ucraina e in Russia?

Messaggioda Berto » sab mar 19, 2022 7:14 pm

Anche la De Mari da fanatica cattolica e no vax, destrorsa sovranista e antiamericana si schiera con il demenziale Monsignor Viganò con la Russia di Putin

Dove c’è ira, arriva l’odio
Silvana De Mari
15 marzo 2022
https://www.silvanademaricommunity.it/2 ... iva-lodio/

L’odio è l’emozione che permette un potente senso dell’affiliazione al gruppo. All’affiliazione al gruppo si può arrivare anche attraverso l’estasi, quella religiosa, trovarsi insieme ad altri in un luogo sacro, forse con una candela in mano, oppure nella lirica, o anche nei concerti rock, dove le persone impazziscono per il picco verticale di emozioni.

L’odio però è il sistema più potente per creare affiliazione al gruppo. È magnificamente spiegato nel libro 1984 di George Orwell, i due minuti di odio, rappresentati benissimo nel film. Questo è lo schema del sacrificio umano. Tutte le colpe vengono messe su un unico individuo oppure su un unico gruppo etnico o categoria umana, che sarà massacrato con universale sollievo. Ripensiamo le parole del premier Draghi sui non vaccinati, uccidono se stessi, uccidono gli altri, se le cose vanno male è solamente colpa loro. Queste parole esprimono meravigliosamente il concetto di semplificazione e nemico unico su cui poi si può scatenare l’ira e quindi l’odio di un gruppo, creando inoltre coesione del gruppo e soprattutto sottomissione alle direttive dei capi, coloro che sono invece i veri responsabili di quello che va male e che hanno scatenato l’odio controil falso nemico che diventa amore per loro.

La necessità di un nemico diventa evidente dove il potere deve essere esercitato con particolare indifferenza al benessere del popolo. Le democrazie hanno aumentato il livello di inganno. In una solida monarchia assoluta, il re non doveva giustificare niente. Non aveva bisogno di mentire. Si andava in guerra perché lui voleva un pezzo di più nel suo regno, più oro e più concubine. Gengis Khan non si è mai sognato di dichiarare che i popoli che conquistava con una ferocia inaudita gli avevano in passato i pestato i piedi e non ha mai avuto bisogno di farsi vedere mentre baciava bimbi o coccolava cuccioli . Dove regna ufficialmente la legge del più forte, ci risparmiamo l’ipocrisia e ci risparmiamo la criminalizzazione del nemico. Con l’avvento del voto, l’ ipocrisia si moltiplica, la menzogna si raffina, arriva a creare interi mondi fantastici, le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, la primavera colorata, l’imperdibile motivo per cui abbiamo destabilizzato la Libia che in questo momento non mi ricordo. Si tratta di una forma di manipolazione mentale che diventa sempre più penetrante. Sotto Gengis Khan la gente restava unica proprietaria del proprio cervello. Gengis Khan voleva ubbidienza alla sua ferocia. Non gli interessava il consenso. La gente sottometteva ai suoi voleri il proprio corpo, ma poteva conservare intatte la mente e l’anima. Sono bei tempi e sono passati.

La manipolazione si è moltiplicata dopo l’invenzione della fotografia. Quando è comparsa la fotografia, ha dato l’illusione di essere un qualcosa che era appannaggio della realtà e che, grazie alla fotografia, la verità avrebbe avuto una maggiore possibilità di stare sulla scena. Certo, in alcuni casi, per alcune cose, questo è vero: per esempio il pacifismo nasce con la fotografia. Prima dell’avvento della fotografia l’immagine dei campi di battaglia era molto edulcorata: l’eroe che moriva in guerra, moriva con un raggio di sole che lo baciava, colpito più o meno sul cuore da un proiettile che lasciava una macchietta di sangue di circa di 3 cm di diametro. Nel momento in cui qualcuno ha visto la gente con le budella sui reticolati, ci siamo resi conto che forse morire in battaglia non era così grandioso. All’inizio i generali vietarono la presenza di fotografi sui veri campi di battaglia, ma anche così restavano le fotografie mutilati, le fotografie degli ustionati, e soprattutto quelle dei morti. Da questo punto di vista la fotografia ha fatto il suo compito di dire la verità, ed è proprio per questo che si è moltiplicata la menzogna. Una volta stabilito che la guerra non è bella ma è uno schifo, bisogna inventarsi che è sempre colpa dell’altro se la stiamo facendo, e di qui si arriva a micidiali posizioni di disumanizzazione del nemico cui non si arrivava nelle epoche precedenti, quando era lecito dire che andavamo a spaccare la faccia a un altro popolo semplicemente perché avevamo voglia di mettere le mani sulla sua roba. In questo fiume di menzogne per la disumanizzazione del nemico, la fotografia, nata per proteggere il vero, diventa uno strumento micidiale. Proprio per questa sua straordinaria capacità di sembrare vera, la fotografia permetteva inganni spaventosi. Tenete presente che nelle ultime settimane sono state mostrate fotografie di film o fotografie di videogames spacciandole per fotografie autentiche, sono state attribuite al conflitto ucraino foto di altri conflitti, e addirittura le bare di Bergamo, l’esplosione di Beirut, gli ospedali siriani L’altro punto fondamentale di una buona manipolazione mentale è la frase “buona la prima”: una volta che la menzogna è passata e ha scatenato il picco di emozioni, la correzione non si sente. È stato bombardato l’ospedale pediatrico, 1100 morti, no scusate forse abbiamo 12 feriti, perché l’ospedale è stato da tempo svuotato ed era un deposito di armi e munizioni, quindi in effetti bombardarlo era anche un gesto di guerra corretto. Le emozioni scatenate dalla prima notizia falsa, il piacere di sentirsi migliori avendo un nemico disumanizzato da odiare, sono un punto fondamentale. L’odio è un tale piacere che la gente è disposta a pagarlo col proprio benessere, ad avviarsi a un glorioso futuro di miseria totale con un sorriso trionfante. Piuttosto creperemo di fame che comprare dalla Russia. Tranquilli, morirete di fame, quello è il piano. Oggi si sono fermati i pescherecci, domani si fermeranno i trattori, e nessuno moltiplicherà né i pani né i pesci.

Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha detto: “Ci siamo resi conto che ora non stiamo affatto parlando dell’Ucraina, ma dell’aggressione contro tutto ciò che è russo: interessi, religione, cultura, lingua, sicurezza, ecc. La reazione frenetica dell’Occidente alle nostre azioni mostra che c’è davvero una battaglia per la vita, ma fino alla morte, per il diritto della Russia di essere sulla mappa politica del mondo nel pieno rispetto dei suoi legittimi interessi”.

Abbiamo l’infamia dei bambini russi trattati male nelle classi dove sono già stati trattati male i bambini non vaccinati, e tutto questo dopo che abbiamo sperperato fiumi di denaro dei contribuenti a fare ridicoli corsi sulla inclusione.

Odi la Russia perché altrimenti sei cattivo. Facebook permette l’odio contro la Russia, e ha tirato fuori una notevole tolleranza per il nazionalsocialismo del battaglione Azov. Come siamo arrivati ad essere così manipolabili ? La televisione ha un impatto enorme, data anche la sua capacità di mandare il cervello in ritmo alfa. Tanto maggiore è il numero di ore che abbiamo passato davanti alla televisione, tanto maggiore sarà il nostro desiderio di essere approvati dalla televisione, di fare e pensare le cose che la televisione approva. Davanti alla televisione fabbrichiamo meno sinapsi che in qualsiasi altra attività, diventiamo manipolabili. Il mondo sarebbe meraviglioso se non ci fossero i no vax, il leone e l’agnello giocherebbero insieme, tutto potrebbe essere letizia. La Russia è colpevole di tutti i mali. Si è svegliata un mattino, e contro il parere dell’ONU ha invaso l’Iraq con l’accusa poi rivelatasi falsa, della presenza di armi di distruzione di massa. No, ora che ci penso, questi erano stati gli USA, eppure nessuno aveva scatenato la caccia al bambino statunitense nelle scuole, e nessuno aveva vietato i corsi di letteratura su Mark Twain, nè aveva preteso di affiancare scrittori iracheni.

Quando l’ira si scatena e quelle che odiano si sentono giusti, occorre ricordare la massima principe di tutta la storia dell’umanità. Il mondo si divide in buoni e cattivi, e i buoni decidono chi sono i cattivi.




PERCHÉ L'ITALIA È L'ANELLO DEBOLE

di Angelo Panebianco, Il Corriere della Sera
29 marzo 2022

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Come ha fatto l’Europa a diventare così dipendente dalla Russia per l’energia e non soltanto? Come mai a coloro che, per conto di pubblici poteri e di imprese private, hanno alimentato per anni e anni l’interscambio con la Russia, non è mai venuto il sospetto di avere infilato la testa nella bocca del leone?
C’è un problema che riguarda l’intera Europa e ci sono le specificità nazionali. Con riguardo alle quali possiamo dire che il caso italiano fa storia a sé. Come in altri momenti del passato, l’Italia si rivela l’anello debole della catena occidentale.
Consideriamo dapprima il problema generale. Perché la dipendenza europea dalla Russia? Si possono citare varie cause. Come la geografia: avere buoni rapporti con un vicino così ingombrante era rassicurante per l’Europa occidentale. Cosa c’era di meglio dei rapporti economici per rinforzare l’amicizia fra vicini? Poi c’era la convenienza: gli affari erano davvero buoni. Per il prezzo di petrolio e gas. E perché la Russia è un grande e appetibile mercato per le merci occidentali.
Gli affari sono affari, si dice, e pecunia non olet, i soldi non hanno odore. Ma non tutti gli affari sono uguali.
Che le cose potessero prendere una brutta piega era chiaro a diversi osservatori da molto tempo. Per lo meno dall’attacco alla Georgia del 2008. E ancor più platealmente dal momento della conquista della Crimea (2014) e l’avvio della secessione nel Donbass. Per la prima volta dopo la Seconda guerra mondiale una grande potenza violava la regola tacita secondo cui la pace in Europa richiede che i cambiamenti di confine siano sempre decisi consensualmente. Perché nessuno si preoccupò allora di fare i conti con la vulnerabilità economica dell’Europa?
È troppo facile dire che era solo una questione di interessi. Naturalmente, gli interessi contano, eccome. Però, vale la regola generale secondo cui gli interessi sono potentemente condizionati dal clima politico-culturale prevalente. Quel clima spinge gli interessi in una direzione o nell’altra, incentiva o disincentiva certi investimenti, favorisce l’ingresso in certi mercati, rende più difficoltoso l’ingresso in altri.
Si consideri l’illusione di cui spesso sono vittime le società aperte quando trattano con le autocrazie. È un’idea antica, presente in Occidente fin da quando Montesquieu nel Settecento scrisse che il commercio ingentilisce i costumi, quella secondo cui l’interscambio economico, e l’interdipendenza che ne risulta, può favorire la pace. Un’idea corretta. Ma che diventa sbagliata se viene estremizzata, se ci porta a pensare che sia sufficiente un’elevata interdipendenza economica perché i problemi politici e geopolitici scompaiano. L’errore consiste nel credere che i rapporti che le società aperte e democratiche intrattengono con una grande potenza autocratica abbiano gli stessi effetti di quelli che tali società intrattengono fra loro.
Da quella concezione errata discendono gli sbagli commessi dall’Occidente. Finita la Guerra fredda e ancora nella prima fase dell’era Putin, si pensò che la Russia non sarebbe mai più stata un pericolo. Se anche non fosse diventata una democrazia di stampo occidentale, la sua apertura al mondo ne avrebbe comunque garantito una definitiva normalizzazione. Era l’epoca in cui la Russia veniva inserita a pieno titolo nelle istituzioni che alimentano quei processi di crescita dell’interdipendenza economica e finanziaria impropriamente chiamati «globalizzazione». Era l’epoca di Pratica di Mare (2002) e dell’accordo di collaborazione allora siglato fra la Nato e la Russia. La Russia era diventata un alleato dell’Occidente. E fu proprio per questo che l’allargamento della Nato ad Est non venne allora considerato né dagli occidentali né da Putin una minaccia alla sicurezza russa.
Che cosa avvenne poi? Avvenne che, un pezzo alla volta, Putin costruì un sistema autocratico personale. Ma in Occidente non suonò il campanello di allarme. Non si mise in conto che il consolidamento di un potere autocratico avrebbe presto o tardi influenzato le relazioni esterne della Russia. C’è un diretto collegamento fra quel consolidamento e l’adozione da parte di Putin di una postura internazionale sempre più aggressiva nei confronti dell’Occidente.
Ma per forza d’inerzia o per quieto vivere, e per effetto dell’illusione sopra evocata, gli occidentali non presero subito atto della nuova realtà. C’è voluta l’aggressione all’Ucraina per scoprire come stanno davvero le cose.
Fin qui il problema generale. C’è poi il caso speciale dell’Italia. Talmente speciale che la Russia ora ci tratta con particolare aggressività: l’attacco al ministro Guerini, l’esposto dell’ambasciatore russo contro La Stampa. Sembra proprio che la Russia si senta tradita dall’Italia più che da qualunque altro Paese europeo. Aiutano a capirlo le ambiguità e contorsioni attuali di una parte abbondante dell’Italia politica, documentate da Paolo Mieli (Corriere, 28 marzo).
Anche in questa occasione l’Italia si conferma come una democrazia difficile. Il che ne fa per l’appunto un anello debole nei tempi duri che ci attendono. L’Italia è da sempre attraversata da robuste correnti antioccidentali, di destra e di sinistra, afflitta da un antiamericanismo tenace e dotato di proprietà camaleontiche, cucinato in varie salse politiche. Ne consegue l’ostilità (minoritaria ma tutt’altro che irrilevante) alla Nato, un sentimento «trasversale», presente a destra e a sinistra, nonché in settori consistenti del mondo cattolico. È il «di più» che abbiamo rispetto ad altri Paesi europei e che ha contribuito ad accentuare la nostra dipendenza (psicologica prima ancora che economica) dalla Russia e la nostra conseguente vulnerabilità. Senza contare che siamo anche il Paese più condizionato da un ecologismo estremo (no al nucleare, no alle trivellazioni, eccetera) che ha favorito, negli anni, la nostra dipendenza energetica dalla Federazione russa.
Per le cause generali dette e per ragioni più specificatamente italiane, dipendenza energetica a parte, si è sviluppata nel tempo un’ampia rete di interessi, sia economici che politici, che collega il nostro Paese alla Russia.
Ciò che accade sul piano politico (le ambiguità di una parte dei 5 Stelle e della Lega, il silenzio di Berlusconi) suggerisce l’esistenza di più ramificate connessioni.
Per lo più, le guerre hanno la proprietà di bruciare le posizioni ambigue. Se, contrariamente alle aspettative, tali posizioni non verranno davvero punite dagli elettori, vorrà dire che le correnti anti-occidentali saranno state in grado di resistere persino alla guerra. Vorrà dire che l’Italia non cesserà di essere un caso speciale. Le guerre hanno anche, in genere, un effetto «costituente», forgiano, nei vari Paesi, gli equilibri successivi. Anche in Italia (come in Germania) molti interessi economici dovranno comunque riposizionarsi. Sul piano politico, sembra proprio che Enrico Letta e Giorgia Meloni, collocando immediatamente i loro partiti dalla parte dell’Occidente, si siano guadagnati i galloni, abbiano conquistato il diritto di essere i principali protagonisti/avversari della prossima stagione politica. In ogni caso, comunque si distribuiranno le parti, quali che saranno in futuro i nomi dei protagonisti, dei comprimari e delle comparse, la guerra ha generato una nuova divisione: fra chi vuole e chi non vuole togliere la testa dalla bocca del leone.


Riccardo Ghezzi Antonioli
Tutto il rispetto per Panebianco, ma da questo punto di vista credo che la Germania di Angelona Merkel sia pure messa peggio. L'ha trasformata in una succursale della Russia, e questo credo sia un problema ben maggiore considerando l'influenza di Berlino

Antonio Sapatiello
si, infatti la Germania è più esposta di noi ma va anche detto che a livello ideologico l'Italia è l'anello debole occidentale perché il Putin fanclub da noi è molto più vasto, i tedeschi sono più legati per fattori economici, da noi c'è una manovalanza di utili idioti disinteressata enorme

Roberta Cuciti
Se si decide di fare un articolo così, é troppo comodo citare il solito Berlusconi (amicone di Putin, e silente sulla guerra), o il tontolone Salvini, che di affari in Russia é stato solo accusato strumentalmente senza neanche una prova a carico. Resta la maglietta ma per carità, andiamo al sodo...solo negli ultimi 10 anni, la dipendenza italiana dal gas russo é passata da un accettabile 17% all'attuale 40%. Un disastro annunciato.
Sappiamo bene chi ha governato l'Italia post 2011: un commissariamento politico continuo di Bruxelles tramite il PD.
La nostra dipendenza dal gas russo é la più alta d'Europa: neanche la Germania di Merkel, la quale con Putin parlava in russo è arrivata a tanto, e si attestano poco sopra il 20%.
Voglio dire che, fare un articolo del genere senza evidenziare questo dato, che ha riferito (sconvolto) pure Draghi in una recente conferenza stampa, é subdolo e assolve solo il principale colpevole con tutta la sua classe dirigente: il piddì.

Niram Ferretti
Roberta Cuciti sulla interconnessione Lega-Russia non possono esserci dubbi, soprattutto in Veneto, ma non solo. Non è unicamente una questione folkloristica di magliette. Su Berlusconi meglio tacere come fa lui, vista l'età e anche lo stato mentale. L'Italia ha iniziato ad aprirsi per convenienza al mercato energetico russo settanta anni fa e sotto tutti i governi che si sono succeduti non ha mai allentato la presa. Da un articolo recente, "Il calo della produzione nazionale – Tra il 1994 e il 1996 l’Italia aveva superato una produzione annua di 20 miliardi di metri cubi di gas, via via scesi fino ai 4,8 miliardi del 2019 e, con la pandemia, ai 4,1 del 2020 e 3,3 del 2021. “Già dai primi anni 2000 abbiamo avuto un costante calo della produzione nazionale, nonostante il Nord Adriatico sia tutt’ora ricchissimo di gas – dice Tabarelli -. Poi nel 2010 c’è stato l’incidente al pozzo Macondo nel Golfo del Messico, che in Italia ha avuto come conseguenza il divieto di perforazione entro le 12 miglia dalla costa. È nata anche una forte ostilità contro le trivellazioni. Prima Monti, poi Letta han cercato di farle ripartire. Alla fine è arrivato Renzi che col suo decisionismo ha cercato di spingere con qualche normativa che effettivamente forzava un po’ la situazione”. Così nel 2016 si arriva al referendum contro la norma voluta dal governo Renzi per estendere la durata delle concessioni per l’estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia sino all’esaurimento dei giacimenti: vincono i sì all’abolizione, ma il quorum non viene raggiunto". Una cosa va comunque notata: “Dopo la corsa ai permessi per realizzare rigassificatori nel periodo 2008-2010 – dice Nicolazzi – nel decennio successivo la capacità di rigassificazione europea è stata sottoimpiegata, con una percentuale di utilizzo di appena il 20%”. Il motivo? Sempre lo stesso, il gas russo via gasdotto è stato storicamente più conveniente. A non essere utilizzati appieno sono anche i nostri tre rigassificatori: nel 2021, per esempio, su una capacità totale di 15,3 miliardi di metri cubi di gas naturale liquido, ne sono stati importati solo 9,8 miliardi.
L’opposizione al Tap – Tormentata è stata anche la realizzazione del Tap, il gasdotto che attraversando l’Adriatico approda in Puglia per portare dall’Azerbaijan 10 miliardi di metri cubi l’anno. Un progetto su cui ha un sospetto Franco Bernabé, negli anni Novanta primo amministratore delegato di Eni dopo la trasformazione in spa: che sia stato “fortemente contrastato anche da Mosca, con un’attività dei servizi segreti molto incisiva”. Di certo la realizzazione del Tap è stata ritardata dall’opposizione degli ambientalisti, del M5S e del governatore Michele Emiliano. “Tra le argomentazioni utilizzate contro il Tap – ricorda Zorzoli – c’era anche quella di chi lo riteneva inutile perché eravamo collegati via gasdotto con la Russia, un paese considerato molto più affidabile dell’Azerbaijan. Oggi sembra incredibile”.

Roberta Cuciti
Niram Ferretti forse non ci siamo capiti.
Berlusconi, sappiamo, ok, mettiamolo lì tra i colpevoli.
M5S non li ho neanche menzionati ma ovviamente, che vuoi, oltre i finanziamenti da Maduro direttamente scopriremo che indirettamente i soldi arrivavano da Mosca, se non proprio un filone diretto ancora da indagare, chissà. Il Dibba del resto, nella sua vacanza da reporter nei peggiori stati canaglia del sud America, tornando in Italy, ha allargato il giro di una mesata in Iran.
Su Lega non risultano finanziamenti: indubbie le simpatie, in Veneto poi imbarazzanti (quanti leghisti veneti pro-Putin ho bannato in questo periodo, non ti dico...).
Ma all'atto pratico, grandi responsabilità alla Lega non possiamo attribuirle. Un anno di governo nel 2019 coi cinquini?
No no. Fare un articolo del genere, tacendo del colpevole numero 1 che ci ha portati a questa dipendenza energetica dalla Russia, é veramente disonesto intellettualmente.
Perché é proprio questa dipendenza energetica che ci tiene in scacco, non le simpatie putiniane della Lega, essù.

Niram Ferretti
Roberta Cuciti io non ho alcuna simpatia per il PD, come è noto, ma affermare che è il PD che ha dertermianto questa dipendenza energetica è eccessivo. Non c'è stato un governo italiano degli ultimi trent'anni che non abbia mantenuto stretti legami con Mosca per il gas. Berlusconi non è sicuramente il principale responsabile, ma certamente non ha fatto assolutamente nulla per diminure questa dipendenza, anzi, vedi Pratica di Mare. Sui finanziamenti russi alla Lega, lo do per scontato, come quelli ricevuti da Marine le Pen, dai, lo sanno anche i tombini, poi che non ci sia la pistola fumante è un altro paio di maniche.

Roberta Cuciti
Niram Ferretti tutti certamente hanno commesso errori, ma con diversi gradi di responsabilità direi.
E se negli ultimi 10 anni abbiamo più che raddoppiato la nostra dipendenza energetica con la Russia, e sono stati tutti governi pd o a trazione pd (a parte la breve parentesi di 1 anno del governo giallo-verde), scusa, ma neanche accennare al fatto in un articolo in cui si cercano le responsabilità politiche della situazione attuale, é quanto meno l'elefante nella stanza.
La critica la rivolgo a Panebianco, non a te, ma anche tu sembri non vedere quell'enorme elefante.

Marco Bazzi
L'europa intera ha messo la testa in bocca all'orso, convinti di poterlo addomesticare con le chiacchiere: sono le politiche GREEN, il volere energia ma not in my backyard, sono decenni di ambientalismo no gas, no triv, no nuke ..... sono questi politici dementi ambientalisti che ci hanno spinto in questa direzione anno dopo anno!
Ecco perché hanno aperto tutte le porte dei parlamenti ad una ragazzina che non ha neppure la licenza media. È questa la follia...


Alberto Pento
Io penso che il debole di tanti veneti, sia della maggioritaria area leghista che di quella minoritaria indipendentista, sia dovuta a una molteplicità di fattori.
Oltre alle motivazioni comuni e condivise da tutto lo schieramento politico, che hanno tratto in inganno quasi tutti, tra le quali la speranza e l'illusione che la Russia URSS fosse diventata politicamente più affidabile per la civiltà occidentale sdoganandola su tutti i fronti, e al fatto che per questioni economico-geografiche il Veneto è naturalmente esposto all'Est europeo (delocalizzazione e sbocco di mercato dei prodotti veneti) e all'Oriente (vedasi i secoli della Serenissima); ne vanno aggiunte delle altre di tipo ideologico religioso e politico.
I veneti che sono molto cristianamente religiosi hanno visto nella Russia di Putin una forte rivalorizzazione della tradizione e della religiosità cristiana che l'Europa social democratica atea e bergogliana aveva abbandonato e disprezzato a favore della degenerazione politicamente corretta e della deriva demenzialmente e pericolosamente filo nazi maomettana.
Alla questione religiosa va aggiunta quella politica legata alla maggioritaria tradizione leghista autonomista e al minoritario indipendentismo veneto che hanno portato i veneti a farsi stupidamente ingannare dalla propaganda russa a favore dell'indipendentismo/separatismo/autonomismo del Donbass e della Crimea che i veneti hanno scambiato per giuste rivendicazioni nei confronti di una supposta oppressione ucraina, induzione causata da una errata associazione/identificazione Veneto/Donbass-Crimea = popoli oppressi e Italia/Ucraina = stati oppressori.
Si tratta di due errori gravi da parte dei leghisti e dei veneti che denotano una forte insufficienza nel loro criterio di giudizio sia dei valori spirituali nella religiosità/religione, sia di lettura e interpretazione della storia del Veneto, dell'Italia, e dell'Europa che della questione Ucraina-Russia, sia dei valori di giustizia e civiltà democratica nella politica degli stati e delle nazioni e nella geopolitica che concerne i loro rapporti di vicinanza e internazionali.



HALLUCINATION
Nel mondo alternativo che ruota intorno a Vladimir Putin, come al proprio sole, c'è un po' di tutto.

Niram Ferretti
31 marzo 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Dall'arconte Soros, che finanzierebbe insieme a Hunter Biden, (chi se no?) e al Pentagono fantomatici laboratori biologici in Ucraina, ad Aleksandr Dugin, per il quale, il destino manifesto della Russia è quello di dare vita a un impero la cui estensione sarà "da Dublino a Vladivostok", dal Patriarca Kirill, ex KGB, per il quale la guerra in corso ha il compito principale di combattere contro la sodomia globale e la decadenza occidentale, alla diffusa propaganda che rappresenta il governo Zelensky come un covo di nazisti eterodiretto da Washington.
Questo guazzabuglio delirante purtroppo non è uscito dalle pagine di un romanzo di Friedrich Dürrenmatt ma è uno scampolo della realtà, di una realtà completamente fuori controllo che trova vasta eco, seguaci, e simpatizzanti.
Dopo due anni di Covid, e il proliferare delle teorie più estreme: il Grande Reset, il virus creato da Bill Gates, i vaccini che provocheranno vittime e menomazioni, ecc. ecc. molte menti già deboli hanno ceduto ulteriormente e sono pronte a recepire tutto il pattume prodotto dalla Russia.
Di intossicazione a intossicazione. Quando la ragione si addormenta e le allucinazioni iniziano a impossessarsi della mente.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Dov'è il nazismo e chi è il nazista in Ucraina e in Russia?

Messaggioda Berto » sab mar 19, 2022 7:16 pm

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