Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Re: Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Messaggioda Berto » dom ott 30, 2022 8:53 pm

I diritti umani, civili e politici degli ucraini violati dai nazifascisti russi
I diritti umani, civili e politici degli ucraini violati dai filorussi e dalla Russia suprematista e imperialista di Putin in Ucraina e nelle sue regioni del Donbass e della Crimea
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... 2734682162
Non sono i russi dell'Ucraina l'etnia maltrattata, oppressa e oggetto di pulizia etnica genocidaria come racconta la propaganda nazifascista russa amplificata dai suoi demenziali sostenitori in Occidente, ma sono gli ucraini dell'Ucraina e dei suoi territori del Donbass e della Crimea.
Sono in molti che si sono fatti ingannare: pochi in demenziale buona fede e molti in malvagia malafede l'hanno fatta propria.


Patriottismo, indipendentismo, nazionalismo e nazismo in Ucraina e in Russia
e la Russia nazi fascista e comunista, suprematista e imperialista del falso cristiano Putin il violento e criminale dittatore russo
viewtopic.php?f=143&t=3004
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 9263248411


La Russia nazi fascista di Putin

La Russia di Putin e l'Ucraina e la putinlatria
viewtopic.php?f=92&t=2990

Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia
viewtopic.php?f=143&t=3002


Il demenziale bullo nazifascista del Cremlino.

Il demenziale bullo nazifascista e nazi comunista del Cremlino,
il gemello eterozigote di Kin Jong-un.

Il macellaio del Cremlino è un criminale assassino,
un brigante, un grassatore, un mafioso, un oligarca ladro e farabutto,
un suprematista e imperialista russo come gli Zar e Stalin.

Il bullo del Cremlino è un demenziale fallito,
fallito come uomo, come cristiano, come statista.

Questo bullo criminale con il suo Impero del male minaccia il Mondo di sterminio nucleare.

Il macellaio del Cremlino come ha detto Trump è un genio ma del male
e per questo verrà ricordato come un criminale assassino,
uno stupratore di popoli e di cristiani,
come Moametto, Hitler e Stalin,
come i peggiori dittatori e assassini della storia,
una vergogna dei cristiani e dell'umanità.

E come per lui vi sarà grande vergogna anche per tutti coloro che demenzialmente lo hanno eletto a eroe, a santo, a paladino, a messia, a redentore dei cristiani e dell'umanità.

Costui dovrà essere bannato dall'ONU (già bandito dal Consiglio per i Diritti Umani) e da tutti i paesi del Mondo Libero e condannato dalla Corte Internazionale dell'Aia per gravi crimini contro l'umanità (sono già iniziate le pratiche sia all'ONU che all'Aia), dovrà essere braccato e arrestato da tutte le polizie dei paesi civili, sulla sua testa si dovrà mettere una taglia adeguata vivo o morto e i paesi che gli daranno rifugio dovranno essere boicottati in tutto come si fece con l'Afganistan che diede rifugio al criminale Osama Bin Laden.





Dov'è il nazismo e chi è il nazista in Ucraina e in Russia?

viewtopic.php?f=143&t=3003
Dove sta il nazismo e chi è il nazista nella questione Ucraina Russia?
Non è difficile e non ci vuole molto per capirlo.
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... 1493516620


Putin, no grazie! La Russia di Putin con il male della terra, come la Russia dell'URSS
Difendiamo il Mondo Libero, difendiamo l'Ucraina!
viewtopic.php?f=144&t=2998


La Russia di Putin è alleata, sostenitrice e paladina di tutte le dittature della terra:
della staliniana Corea del Nord con il suo culto della personalità,
del Venezuela social comunista di Maduro,
dell'Iran nazi maomettano che vorrebbe l'atomica per distruggere Israele e l'Occidente cristiano,
della Cina che è cresciuta economicamente grazie al lavoro portato dall'Occidente industriale e capitalista e che pratica la concorrenza sleale che inquina il Mondo più del resto degli altri paesi industrializzati, che è diventata una minaccia militare per tutto il Mondo Libero.
Putin è un dittatore prepotente e violento, imperialista antidemocratico e antioccidentale che fa parte di una oligarchia economica nazionalista, prepotente e mafiosa che affama la sua gente il suo stesso popolo preferendo impiegare le sue risorse per costruire armi offensive, che non ha alcun rispetto per i paesi confinanti europei che non ne vogliono sapere della Russia di Putin erede della Russia imperialista e autoritaria degli Zar e dell'URSS.
Putin è un falso cristiano pieno di violenza e di spirito di sopraffazione, altro che gli ucraini nazisti, il russo Putin pare la fusione di Hitler e di Stalin, il peggio del peggio e un bugiardo matricolato.


La triplice alleanza del Male:

la Russia nazi fascista e imperiale di Putin, prosegue quella degli Zar e quella internazi comunista dell'URSS;
Putin è un falso cristiano che usa il cristianismo per legittimarsi con il suopopolo e con l'Occidente cristiano, dove una parte dei cristiani abbandonati dall'Europa e dal Papa sinistrati e politicamente corretti, lo hanno eletto a loro paladino ed eroema che e con il suo imperialismo nazionalista opprime e ammazza i cristiani d'Europa;
la Russia dal primo novecento è sempre alleata dei paesi canaglia, di tutta la terra, come oggi con:
Cina/Corea del Nord/Venezuela di Maduro/Cuba nazi comunisti,
Iran nazi maomettano ed altri paesi islamici, che vogliono distruggere Israele,
da ricordare sempre:
i pogrom russi contro gli ebrei,
la persecuzione degli ebrei nella Russia sovietica,
I Protocolli dei Savi di Sion per demonizzare calunniosamente gli ebrei elaborati dalla Russia antisemita,
l'invenzione del Popolo palestinese e l'organizzazione del suo terrorismo ad opera dell'URSS,
gli scud sovietici che nel 1991 Saddam Hussein fece piovere su Israele,
mai dimenticare che la Russia di Putin all'ONU ha sempre votato contro Israele.
Il regime russo sovietico dell'URSS ha oppresso come mai nessun'altro i popoli d'Europa su cui era riuscito a imporre il suo dominio e questi popoli al crollo dell'URSS hanno scelto l'Europa e la NATO come anche l'Ucraina liberatasi dal gioco russo moscovita con il Referendo del 1991 scegliendo il Sì con oltre il 90%.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Messaggioda Berto » dom ott 30, 2022 8:54 pm

Fine della menzogna nazifascista russa sul genocidio dei russi nel Donbass
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 9003863100


Nessun genocidio di russofoni russofili nel Donbass ucraino ad opera degli ucraini, la Corte Internazionale condanna la Russia di Putin e il nazifascista Putin per crimini contro l'umanità



Guerra Ucraina, in arrivo decisione Corte giustizia su ricorso contro Russia
La decisione mercoledì
14 marzo 2022
https://www.adnkronos.com/guerra-ucrain ... OXRp223HKR
Guerra Ucraina-Russia, la Corte di Giustizia internazionale (massimo organismo giuridico dell'Onu per le dispute tra Stati) annuncerà la sua decisione sul ricorso presentato da Kiev per imporre misure contro Mosca che accusa falsamente l'Ucraina di genocidio per giustificare la sua invasione. "Mercoledì 16 marzo la Corte emetterà un ordine sulla richiesta dell'Ucraina" si legge in un comunicato della Corte che ha sede all'Aja alla quale Kie ha chiesto "una decisione urgente che ordini alla Russia di mettere fine alle attività militari" negando nel modo più assoluto le accuse di genocidio. "La Russia non ha nessuna base legale per prendere misure contro l'Ucraina con il proposito di evitare nessun presunto genocidio" in Donbass, recita il ricorso del governo ucraino.


Onu, la CIG ordina alla Russia di “sospendere immediatamente” la guerra
La Voce di New York
16 marzo 2022

https://www.lavocedinewyork.com/onu/202 ... la-guerra/

Con 13 voti a favore e 2 contrari – quelli del vicepresidente russo Kirill Gevorgian e del cinese Xue Hanqin – la Corte internazionale di giustizia (CIG) ha stabilito che la Russia “deve sospendere immediatamente le operazioni militari che ha iniziato il 24 febbraio” in Ucraina.

La sentenza – primo verdetto del genere emesso dalla “corte ONU” dall’inizio dell’invasione russa – è in risposta a una causa presentata dall’Ucraina alla fine dello scorso mese, che incolpa la Russia di manipolare il concetto di genocidio per giustificare la sua aggressione militare.

La tempistica non è casuale: giovedì, infatti, il Governo di Mosca presenterà una risoluzione umanitaria al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, giustificando il suo intervento militare in Ucraina proprio sulla base del presunto genocidio ucraino contro le popolazioni russofone del Donbass. La mossa della CIG va quindi letta anche come una maniera di ‘mettere le mani avanti’ rispetto all’interpretazione del diritto internazionale fornita da Mosca.

Ciò premesso, malgrado i verdetti della Corte internazionale di giustizia siano pienamente vincolanti, c’è più di qualche dubbio che Mosca rispetterà la sentenza, dal momento che il tribunale dell’Aja non ha mezzi diretti per farli rispettare.

Il caso

La Corte ha esordito ricordando che il 26 febbraio l’Ucraina ha presentato un ricorso contro la Russia per “una controversia” sull’interpretazione, applicazione e adempimento della Convenzione sul genocidio del 1948.

L’Ucraina sostiene che la Russia, avendo falsamente evidenziato atti di genocidio contro la popolazione delle regioni di Luhans’k e Doneck, avesse dichiarato e attuato una “operazione militare speciale” per prevenire e punire i presunti atti.

La CIG ha chiesto a Mosca di sospendere immediatamente i suoi attacchi e cessare tutte le operazioni militari in quanto basate sullo scopo dichiarato dal Cremlino di prevenire o punire Kyiv per aver commesso un genocidio.

La Corte ha anche sottolineato come la Russia avesse deciso di non partecipare al procedimento orale e, successivamente, avesse presentato un documento con la propria posizione, secondo cui la Corte non avrebbe giurisdizione, e chiedendole di “astenersi dall’indicare misure provvisorie e di rimuovere il caso dalla sua agenda”.


Le condizioni

Nel pronunciare il verdetto, il presidente – lo statunitense Joan E. Donoghue – ha sottolineato che sono state soddisfatte le condizioni necessarie per dare alla CIG l’autorità di indicare misure provvisorie, vale a dire che i diritti rivendicati dall’Ucraina sono plausibili; il genocidio non è stato commesso; e la condizione di urgenza è stata soddisfatta in quanto danni irreparabili possono “verificarsi in qualsiasi momento”.

“In effetti, qualsiasi operazione militare, in particolare una della scala realizzata dalla Federazione Russa sul territorio dell’Ucraina, provoca inevitabilmente la perdita di vite umane, danni mentali e fisici, e danni alla proprietà e all’ambiente”, ha riferito il presidente della CIG.

Per conto della Corte ONU, ha continuato, “la popolazione civile colpita dall’attuale conflitto è estremamente vulnerabile”, aggiungendo che l’aggressione della Russia ha provocato “numerosi morti e feriti civili (…), danni materiali significativi, compresa la distruzione di edifici e infrastrutture”.

“Gli attacchi sono in corso e stanno creando condizioni di vita sempre più difficili per la popolazione civile. Molte persone non hanno accesso agli alimenti più elementari, all’acqua potabile, all’elettricità, alle medicine essenziali o al riscaldamento. Un numero molto elevato di persone tenta di fuggire dalle città più colpite in condizioni di estrema insicurezza”, ha spiegato.

I giudici sono stati peraltro unanimi nell’ordinare che entrambe le parti si astengano da qualsiasi azione che possa “aggravare o estendere la controversia (…) o renderla più difficile da risolvere”.





La Corte Internazionale di Giustizia dell'Onu ordina alla Russia di fermare la guerra
Paolo Busco e Filippo Fontanelli
17 marzo 2022

https://www.corriere.it/esteri/22_marzo ... f215.shtml

La decisione del tribunale delle Nazioni Unite è una vittoria per il governo di Kiev. Rigettate le accuse di Mosca sul genocidio della popolazione del Donbass

La Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite ha ordinato ieri alla Russia di sospendere immediatamente le «operazioni militari» iniziate in Ucraina, con 13 voti favorevoli e 2 contrari (da parte dei giudici russo e cinese). L’ordine è stato adottato in via urgente, nell’attesa di una decisione definitiva nel merito del giudizio che l’Ucraina ha introdotto contro la Russia all’Aja lo scorso 26 febbraio. Qual è la portata della decisione odierna, e in cosa consiste di preciso il caso instaurato dall’Ucraina davanti alla Corte?

Disputa fra Stati

Il ricorso dell’Ucraina contro la Russia verte sulla interpretazione e applicazione della Convenzione sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio del 1948. Non è la prima volta che la Convenzione è oggetto di una disputa fra Stati davanti alla Corte: per esempio, la Convenzione è stata invocata dalla Bosnia contro la Serbia e il Montenegro negli anni ’90, nel contesto della guerra di Balcani; più di recente, dal Gambia contro Myanmar rispetto alla situazione della minoranza Rohingya. Se confrontato con questi casi, e con le ordinarie dinamiche fra Stato attore e Stato convenuto in una disputa internazionale, il caso introdotto dall’Ucraina è inusuale.

La questione del Donbass

L’Ucraina non accusa la Russia di aver compiuto atti di genocidio nei confronti della popolazione ucraina durante la guerra in corso. Al contrario, chiede alla Corte di confermare che la stessa Ucraina non ha commesso atti di genocidio contro la popolazione russofona del Donbass; inoltre, e in ogni caso, che la risposta armata russa sarebbe comunque illegittima, poiché la repressione di un eventuale genocidio potrebbe avvenire solo con i mezzi previsti dalla Convenzione, che non contempla l’uso unilaterale della forza. Come noto, invece, il Cremlino giustifica l’invasione proprio sulla base della necessità di fermare un asserito genocidio perpetrato dall’Ucraina nelle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk. L’idea di fondo della richiesta dell’Ucraina è in sostanza la seguente: la Russia ha usato la Convenzione sul genocidio per fini impropri e in mala fede; l’uso unilaterale della forza sarebbe vietato anche laddove si stesse davvero consumando un genocidio e dunque è tanto più vietato quando l’accusa di genocidio è pretestuosa. Si tratta di un caso non «lineare», viste le circostanze. Perché l’Ucraina non ha più semplicemente chiesto di accertare direttamente l’illiceità dell’aggressione armata russa, invocando il diritto internazionale e la Carta ONU, oppure di dichiarare che la Russia sta commettendo un genocidio ai danni della popolazione ucraina nel contesto delle ostilità?

La Convenzione sul genocidio

Sul primo punto, la spiegazione è che la competenza della Corte si basa sul consenso delle parti. Perciò, uno Stato può convenirne un altro in giudizio per accertare la commissione di un illecito internazionale solo se quest’ultimo accetta la giurisdizione della Corte sulla materia della controversia. La Russia non si è assoggettata alla giurisdizione della Corte su qualsiasi questione, ma lo ha fatto sulle questioni trattate dalla Convenzione sul genocidio, quando ha deciso di diventarne parte nel 1954. Per questo motivo, per adire la Corte, l’Ucraina ha dovuto formulare un ricorso inusuale, costretto dall’aggancio indispensabile all’argomento del genocidio. Sul secondo punto, la risposta è che, almeno per il momento, un’accusa diretta di genocidio alla Russia avrebbe avuto poche chances di successo davanti alla Corte.

Crimini di guerra e crimini contro l’umanità

Il crimine di genocidio ha difatti una definizione tecnica, il cui elemento centrale è la volontà soggettiva di annientare un gruppo (etnico, religioso, ma anche nazionale) in quanto tale, per le sue specifiche caratteristiche. I crimini di guerra e i crimini contro l’umanità non costituiscono genocidio, se non è data prova di questo specifico intento. La difesa dell’Ucraina può aver ritenuto strategicamente più opportuno, almeno per il momento, concentrare gli sforzi su obiettivi più limitati, ma più realistici da ottenere. Passando ora alla decisione di ieri, è evidente che la strategia dell’Ucraina, pur con le limitazioni di cui si è detto, mirava ad alcuni obiettivi concreti, tutti centrati.

Gli obiettivi

Primo, l’introduzione del giudizio ha permesso all’Ucraina di chiedere e ottenere un ordine diretto di cessazione delle ostilità da parte della massima istanza giudiziaria internazionale, in meno di tre settimane dall’attacco russo. Secondo, la Corte ha indicato che le tesi dell’Ucraina sono quanto meno plausibili (fermi restando gli approfondimenti che la Corte dovrà fare in seguito) tanto rispetto al fatto che nel Dombass non sia in atto un genocidio della popolazione russofona; quanto rispetto al fatto che l’uso della forza unilaterale sia in ogni caso vietato. Questi passaggi fondamentali smascherano la povertà delle dichiarazioni russe sulla necessità e legalità dell’intervento armato. Da ultimo, non si può escludere che ora che il caso è incardinato, l’Ucraina valuti di ampliare l’oggetto della domanda, e introdurre accuse ulteriori di violazione diretta da parte della Russia delle disposizioni centrali della Convenzione contro il genocidio, ove emergano elementi in tal senso. È difficile immaginare che le misure ordinate ieri saranno rispettate; ma la decisione è importante soprattutto per un aspetto: perché non è assunta da un organo le cui decisioni sono sorrette da valutazioni politiche, ma da una corte, per sua natura terza ed imparziale. Nella propaganda che inevitabilmente accompagna ogni guerra, una parola obiettiva come quella pronunciata ieri è quanto mai importante.
(Paolo Busco è avvocato internazionalista presso lo studio Twenty Essex di Londra; Filippo Fontanelli è docente di diritto internazionale alle Università di Edimburgo e LUISS di Roma).



La verità è proprio il contrario,
con la guerra civile in Donbass istigata, fomentata e finanziata dal suprematismo imperialista russo del nazifascista e falso cristiano Putin, teso a ricostruire la Grande Russia zarista e sovietica è iniziata la pulizia etnica e il genocidio degli ucraini non filorussi.





Non trovate strano ma molto strano che tutti ma proprio tutti i nazi fascisti e gli internazi comunisti d'Europa, nostalgici di Mussolini, Hitler e Stalin, siano tutti ma proprio tutti a sostegno del presunto "denazificatore" Putin e contro il presunto "nazismo ucraino" guidato dall'ebreo Zelensky?

Non trovate che vi sia qualcosa che non quadra?
Non vi viene alcun sospetto?
Non vi viene automatica la risposta?


Caro Trump
se non vuoi perdere alle prossime elezioni e perdere anche il mio sostegno per quello che vale, schierati senza se e senza ma con il bene, schierati con gli oppressi, schierati con l'ebreo Zelensky e la sua Ucraina libera e democratica, dissipa ogni sospetto e timore che tu possa essere un nazifascista che sostiene il criminale Putin.
Schierati con l'Ucraina come hai fatto con Israele, schierati contro il nazi fascismo del suprematista e imperialista russo Putin come ti sei schierato contro il nazismo maomettano palestinese e iraniano.
Zelensky e l'Ucraina non hanno alcuna colpa e responsabilità per la vicenda del Russiagate/Ucrainagate. Trump non sbagliare, non perdere il treno della storia per il tuo e il nostro bene.


La guerra in Ucraina spacca il Gop dando speranze di elezione agli anti Trump
di La Voce di New York
14 marzo 2022

https://www.lavocedinewyork.com/news/po ... nti-trump/

La guerra in Ucraina sta dividendo il Partito repubblicano. Le simpatie per Putin mostrate in passato dall’ex presidente Donald Trump e accettate e ripetute dai suoi fedelissimi pesano come macigni sulla loro immagine e ora che sono sfidati alle primarie vengono attaccati per questi giudizi espressi.

Mercoledì il presidente ucraino Volodymyr Zelensky parlerà in videoconferenza con il Congresso. La speaker della Camera Nancy Pelosi e il leader della maggioranza al Senato Chuck Schumer hanno affermato che ospitare il discorso aiuterà a trasmettere il sostegno dei legislatori al popolo ucraino “mentre difende coraggiosamente la democrazia”. La scorsa settimana, il Congresso ha approvato un disegno di legge che prevedeva 13,6 miliardi di dollari di aiuti militari e umanitari all’Ucraina e Zelensky userà il discorso di domani anche per ringraziare, ma soprattutto per chieder nuovi immediati aiuti.

Nelle gare al Senato e alla Camera i candidati repubblicani legati a Trump sono sulla difensiva per i loro commenti in cui hanno definito Putin “intelligente”, il presidente ucraino Zelenskiy un “teppista” e l’Ucraina come non degna di essere difesa dagli Stati Uniti.

Pat McCrory, uno dei principali candidati repubblicani al Senato alle elezioni primarie del 17 maggio nella Carolina del Nord, questo fine settimana si è scagliato contro Ted Budd, il suo rivale repubblicano sostenuto da Trump, nel suo primo spot trasmesso in televisione. “Mentre gli ucraini vengono massacrati… il membro del Congresso Budd giustifica il loro assassino”, dice McCrory nell’annuncio, che è intervallato da videoclip di un’intervista televisiva che mostra Budd che descrive Putin come “un attore molto intelligente” con “ragioni strategiche” per l’invasione.

Marjorie Taylor Greene (Immagine da youtube)

Prima che i soldati russi invadessero l’Ucraina il 24 febbraio, alcuni repubblicani si sentivano a proprio agio nel ripetere gli elogi dell’ex presidente Donald Trump per Putin definito “un leader forte” “un genio” “un presidente di cui mi fido”. Anche dopo l’invasione, due alleati di Trump alla Camera – Marjorie Taylor Greene e Paul Gosar – hanno preso parte a una conferenza organizzata dai suprematisti bianchi i cui i partecipanti hanno applaudito all’invasione della Russia Ucraina e ripetutamente inneggiato a Putin.

Nella Carolina del Nord, il congressman Madison Cawthorn è stato preso di mira dai suoi rivali repubblicani per le osservazioni in cui ha criticato Zelenskiy e l’Ucraina. “Voglio ricordarvi che Zelenskiy è un delinquente. Che il governo ucraino è incredibilmente corrotto ed è incredibilmente malvagio”, ha detto Cawthorn in un incontro a Raleigh.

Nello Utah, il candidato indipendente al Senato Evan McMullin, un ex agente della CIA, ha attaccato il senatore repubblicano Mike Lee in una pubblicità accusandolo di “renderci deboli e insicuri” per essersi opposto alle sanzioni contro la Russia. Ma i dissidi tra i repubblicani ed i seguaci di Trump hanno una lunga storia cominciata con i due impeachment ed esplosa con il tentativo insurrezionale del 6 gennaio. Ed è una guerra sorda quella che si sta combattendo all’interno del Grand Old Party tra i seguaci dell’ex presidente e gli oppositori in vista delle elezioni di Mid Term dell’8 novembre. Donald Trump cerca di mantenere la sua presa sui candidati promuovendo o bocciando le loro aspirazioni usando come misura per le sue scelte la loro devozione a lui. Una politica per allargare il suo controllo sul partito.

Liz Cheney

Ovviamente i repubblicani che hanno votato per il suo impeachment sono tutti nella lista degli indesiderati. Ma questi, a loro volta si sono organizzati. Il caso più clamoroso è quello della congresswoman Liz Cheney, rappresentante del Wyoming, Stato che ha mandato il padre di Liz, Dick Cheney alla Camera e poi alla vicepresidenza degli Stati Uniti con George W Bush. In questo Stato Donald Trump con il leader della minoranza repubblicana alla Camera Kevin McCarthy, è riuscito prima a “scomunicare” Liz Cheney e a farle perdere la terza carica più importante all’interno del partito, poi ad emarginarla tanto da imporre una candidata che la sfiderà alle primarie che si terranno nello Stato il 16 agosto. Una destituzione che in pratica elimina i contributi elettorali del partito per la sua rielezione. E come Liz Cheney tanti altri oppositori repubblicani dell’ex presidente, sono stati emarginati e degradati. Ma tutti meditano la vendetta. Il governatore del Maryland, Larry Hogan, anche lui nella lunga lista nera dell’ex presidente sta pianificando viaggi in Iowa e New Hampshire, Stati in cui si tengono le prime primarie per le presidenziali. Il congressman Adam Kinzinger, sta valutando la sua candidatura per le presidenziali del 2024. E gli alleati di Liz Cheney, stanno apertamente parlando per lanciarla alla conquista della Casa Bianca.

Chi è vicino a Cheney, Hogan e Kinzinger si aspetta che dopo le elezioni di Midterm almeno uno di loro annuncerà la candidatura per la presidenza. Diversi ex sostenitori di Trump sono diventati critici dell’ex presidente come l’ex governatore del New Jersey Chris Christie, l’ex vicepresidente Mike Pence, il governatore della Florida Ron DeSantis e l’ex ambasciatore delle Nazioni Unite Nikki Haley.

Trump parlando in South Carolina durante il weekend ha detto a migliaia di sostenitori “Potremmo dover correre di nuovo”, non dicendo chiaramente che si candiderà, ma lasciando capire che potrebbe farlo. Un modo per mantenere viva la sua popolarità sperando che le sue scelte per i candidati di Mid Term gli diano un peso maggiore per portare il partito nella sua direzione.

Adam Kinzinger (wikipedia)

I repubblicani dissidenti, vicini a Cheney, Hogan e Kinzinger insistono che un numero significativo di elettori repubblicani meno vistosi sono ansiosi di lasciare Trump alle spalle soprattutto dopo che è stato strumentale nel tentativo di insurrezione del 6 gennaio. Dopotutto, 10 rappresentanti repubblicani hanno votato per mettere sotto accusa Trump e sette senatori repubblicani hanno successivamente votato per condannarlo.

“C’è una quantità di repubblicani e americani in tutto lo spettro politico che sono stufi delle politiche tossiche e vogliono muoversi in una nuova direzione”, ha detto Hogan. “Mentre mi concentro sul finire il mio mandato come governatore, continuerò ad essere una voce per riportare il partito Repubblicano e il nostro paese sulla strada giusta”.

Il 65enne Hogan lascerà l’incarico alla fine dell’anno. Ha già deciso che non si candiderà al Senato nel 2022, respingendo l’invito del leader repubblicano del Senato Mitch McConnell. Kinzinger, tra i 10 membri della Camera repubblicana che hanno votato per mettere sotto accusa Trump, ha scelto di non ricandidarsi dopo che il suo distretto è stato ridisegnato dai legislatori Statali. Solo Liz Cheney, che ha anche votato per l’impeachment, è in corsa per mantenere il suo seggio a metà mandato se vincerà le primarie. Secondo molti politologhi la figlia 55enne dell’ex vicepresidente Dick Cheney ha il profilo nazionale più forte. A dimostrarlo la pioggia di fondi che le vengono dati da privati.

Sia Hogan che Kinzinger stanno mettendo a punto delle organizzazioni politiche che potrebbero fungere da veicoli per promuovere le loro ambizioni presidenziali.

America United, creato da Hogan, ha milioni in banca e Hogan sta lavorando per aiutare i più accesi critici repubblicani di Trump anche in altri stati. La settimana scorsa ha pranzato con il governatore dell’Arizona Doug Ducey, che si è rifiutato di accettare le bugie di Trump sulle elezioni del 2020. Hogan prevede anche di ospitare eventi per raccogliere fondi elettorali per la senatrice Lisa Murkowski, e il rappresentante David Valadao. Entrambi hanno votato per mettere sotto accusa Trump per aver ispirato l’insurrezione del 6 gennaio.

Il gruppo creato da Kinzinger, Country First, ora rivendica capitoli in 38 stati e una base di raccolta fondi in crescita. Kinzinger ha in programma di trascorrere gran parte dell’anno lavorando per sconfiggere i repubblicani che promuovono le false affermazioni di Trump sulla frode elettorale. Il mese scorso, ha annunciato un piano per incoraggiare i democratici e gli indipendenti a votare alle primarie repubblicane, quando possibile, per estromettere i candidati pro-Trump e ridare i valori morali al partito.


Il deputato Repubblicano Madison Cawthorn attacca Zelensky e lo definisce un "delinquente" che sovraintende ad un governo "malvagio".

L'Osservatore Repubblicano
11 marzo 2022

https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 5182916149

Il repubblicano della Carolina del Nord è stato ripreso durante un comizio della campagna elettorale lo scorso fine settimana mentre attaccava il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
"Ricordate che Zelensky è un delinquente", ha detto Cawthorn, secondo un video ottenuto da WRAL. "Ricordate che il governo ucraino è incredibilmente corrotto, ed è incredibilmente malvagio, ed ha promosso ideologie 'woke'".
I commenti di Cawthorn sono in netto contrasto con il sostegno bipartisan che si è levato attorno alla figura di Zelensky e all'esercito ucraino sin dall'inizio della brutale invasione della Russia il mese scorso.
Ma riecheggiano la linea repubblicana del 2019, quando l'allora presidente Donald Trump fu sottoposto ad un procedimento di impeachment per aver presumibilmente minacciato di trattenere gli aiuti militari statunitensi al governo di Zelensky a meno che il governo ucraino non avesse indagato sull'allora candidato Joe Biden.
Durante il procedimento di impeachment del 2019 - che culminò con l'assoluzione di Trump con un voto sulla linea dei due partiti americani - il deputato Jim Jordan (R-Ohio) disse che l'Ucraina era considerata dalla società di revisione Ernst & Young come "uno dei tre paesi più corrotti del pianeta".


Ucraina-Russia, Zelensky oggi al Congresso Usa: da protagonista Kievgate a eroe di guerra

16 marzo 2022

https://www.adnkronos.com/ucraina-russi ... jmdyEs6GXX

Il presidente ucraino coinvolto nella battaglia politica dell'impeachment, con la telefonata che gli fece Trump il 25 luglio del 2019 diventata una degli elementi principali del capo di accusa contro l'allora presidente.
Guerra Ucraina-Russia, due anni fa il nome di Volodymyr Zelenskyy riecheggiava al Congresso americano come uno dei protagonisti del Kievgate che portò al processo di impeachment di Donald Trump. Oggi il presidente ucraino si rivolgerà con un discorso in video conferenza a deputati e senatori americani, acclamato in modo bipartisan come eroe della resistenza ucraina all'invasione della Russia.

La Speaker della Camera, Nancy Pelosi, ha detto che è un "privilegio" per il Congresso americano ascoltare il discorso del presidente ucraino, che all'inizio di marzo è intervenuto al Parlamento europeo, la scorsa settimana a quello britannico e ieri a quello canadese. Lo scorso 5 marzo, Zelensky aveva già avuto una conference call via zoom con membri del Congresso durante il quale aveva fatto un accorato appello per maggiori aiuti militari, compresi gli aerei, e l'embargo del petrolio, che veniva poi annunciato nei giorni seguenti da Joe Biden.

Il senatore repubblicano, Rob Portman, ha definito il presidente ucraino una "fonte di ispirazione e una delle rare figure che effettivamente possono aiutare a cambiare il corso della storia". Sembrano lontani anni luce quindi i momenti in cui l'allora poco conosciuto attore diventato presidente si era trovato contro la sua volontà coinvolto nella battaglia politica dell'impeachment, con la telefonata che gli fece Trump il 25 luglio del 2019 diventata una degli elementi principali del capo di accusa contro l'allora presidente.

Nella telefonata, Trump faceva pressioni sul presidente ucraino, congelando anche gli aiuti militari a Kiev, per ottenere un'inchiesta sul ruolo del figlio di Joe Biden, Hunter, in una società energetica ucraina. Inchiesta che avrebbe dovuto, nelle intenzioni di Trump, arrivare a coinvolgere l'allora probabile candidato alla Casa Bianca, sbarrando il cammino che invece poi ha portato il democratico ad essere ora il nuovo presidente, e principale interlocutore ed alleato di Zelensky, attaccato ed assediato dalla guerra scatenata da Vladimir Putin.

Nonostante lo spirito bipartisan con cui si sta affrontando al Congresso il discorso di Zelensky, lo stesso che ha portato a stanziare 13,6 miliardi di aiuti all'Ucraina nella legge omnibus di bilancio approvata dal Congresso, c'è chi tra i repubblicani afferma che questa vicenda del Kievgate è all'origine degli errori fatti con gli ucraini: "credo che sia stato un errore che i democratici abbiano politicizzato le relazioni con l'Ucraina durante l'impeachment", afferma il senatore Ted Cruz.


???
L' Europa è e sarà l'epicentro del Grande Reset
Roberto Mazzoni
Mar 17, 2022
https://www.youtube.com/watch?v=bHQ08gqWGnY


"L'Occidente non sia il nemico di se stesso: è il mondo migliore"
Luigi Mascheroni
22 Aprile 2022

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1650606641

La guerra in Ucraina non è solo l'aggressione di uno Stato libero e democratico da parte di uno Stato che libero e democratico non è. È anche la violenta contrapposizione fra un popolo che rivendica i valori del mondo democratico e un'autocrazia che odia l'Occidente, la sua identità e la sua cultura. Lo ha ribadito ieri sulle pagine del Giornale Marina Berlusconi. E lo conferma Pierluigi Battista, intellettuale non militante, ferocemente critico contro tutti gli autoritarismi, bipartisan nello stigmatizzare la sinistra e la destra illiberali.

La guerra ha smascherato una verità per alcuni fastidiosa: che il sistema occidentale, per quanto indebolito, è l'unica opzione possibile.

«No, non possibile. È l'unica opzione desiderabile. Noi che siamo cittadini di un Occidente libero e democratico dobbiamo essere consapevoli che viviamo nella parte del mondo dove è meglio vivere. Dove c'è la maggiore possibilità di esprimersi, dove la ricchezza non è concentrata in poche oligarchie, dove è possibile criticare, contestare, manifestare. E nello stesso tempo dobbiamo ricordarci che tali risultati libertà e benessere - non sono prodotti del caso, ma di processi culturali lunghi, sofferti e cruenti».

La libertà e la democrazia la Storia non te li regala: li paghi coi secoli e il sangue.

«Certo. Ma alla fine siamo diventati quello che siamo, e che altri popoli vorrebbero essere. E infatti a un certo punto molti Paesi dell'Europa dell'Est, come l'Ungheria o la Cecoslovacchia, che erano stati risucchiati nell'orbita di un pianeta dove erano oppressi, hanno cercato la strada verso l'Occidente».

Come ora l'Ucraina.

«Che vuole avvicinarsi a un mondo libero, in cui si può scegliere cosa pensare e cosa consumare, dove le donne sono emancipate, il voto è libero e i governi non sono totalitari. L'Ucraina capisce la differenza. Alcuni di noi non sempre».

Da qui i distinguo sulle ragioni e i torti della Russia, i j'accuse contro la Nato, la fascinazione per lo Zar

«Tra le libertà dell'Occidente c'è anche quella di criticare se stesso, diceva Lucio Colletti. Ed è giusto così. Come è giusto il pluralismo delle voci, come è giusto rifiutare la pretesa di incarnare la Verità. Insomma: si possono fare tutte le autocritiche possibili, ma dobbiamo anche capire che dall'altra parte c'è un leader, Putin, che ha come ideologo il Patriarca della Chiesa ortodossa Kirill, il quale dice che la Russia è intervenuta in Ucraina per scacciare Satana... Il dissenso si può accettare, le follie e la menzogna no. Dovremmo tornare all'idea che il sistema in cui la parola, la cultura, la sessualità e il dissenso sono liberi, è l'unico che vale la pena difendere».

Dovremmo. Ma...

«Ma purtroppo, davvero, l'Occidente a volte è il peggior nemico dell'Occidente stesso. E quando la critica non è più critica legittima del proprio mondo ma delegittimazione di tutto ciò che siamo e siamo stati, allora ecco il delirio della cancel culture, che condanna la storia dell'Occidente senza capire che è proprio per via di quegli errori e di quegli orrori che oggi la nostra è la parte del mondo in cui c'è più ricchezza, meno razzismo, la donna è più tutelata, le arti sono più libere L'Occidente non deve solo fare di esami di coscienza, ma anche confronti con altri mondi».

E invece di cancellare le intolleranze di oggi si vogliono cancellare quelle di ieri.

«In maniera unidirezionale, poi. Mai sentito uno di quelli che vuole usare lo schwa denunciare chessò? la lapidazione nei Paesi islamici o prendere le parti degli omosessuali palestinesi che da Gaza scappano in Israele. Serve una battaglia cultuale per ribadire chi siamo e che il nostro mondo, imperfetto quanto si vuole, è preferibile agli altri. Altrimenti non si capirebbe perché le correnti migratorie puntano in Europa o negli Usa, e non verso la Russia Chi vuole entrare in Occidente non cerca solo il benessere materiale, ma anche una società più libera e pluralista. Cosa che ai filo-putinisti non piace».

Chi sono i filo-putinisti?

«Da una parte è la destra illiberale: un pezzo del mondo che ruota attorno a Salvini o a Marine Le Pen, cosa che poi spinge molti a scegliere con rassegnazione Macron... E dall'altra la sinistra illiberale costituita dai nostalgici dell'Urss e dall'Anpi, una associazione partigiana senza più partigiani che non capisce il valore della Resistenza ucraina... Insomma la sinistra ancora legata alla mitologia comunista che non ha digerito il crollo del Muro. In un caso come nell'altro la difesa dei valori occidentali si ferma davanti alla fascinazione irresistibile per l'autoritarismo. Come se i modi sbrigativi di Putin siamo preferibili alle complicazioni naturali della democrazia».

Al fascino per quella Russia a volte si affianca il fascino per certa Cina

«A cui è ancora più difficile resistere: lì si sommano autoritarismo e sviluppo economico. La Russia ha gas e petrolio; la Cina il dominio dei mercati e il 5G».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Messaggioda Berto » dom ott 30, 2022 8:55 pm

IL RE DI MOSCA.
Мішель Іщенко

https://www.facebook.com/ishchenzoart/p ... GFa25CE42l

Davanti ai tuoi occhi, il vero volto di un moscovita che ci ha rubato la storia, l'identità, la libertà, per lunghi 300 anni. Proprio questa creatura, per la prima volta zazíhnula ha distrutto e assimilato впе рvati l'intera nazione.
Monumento iconico a Pietro I a cavallo, scultore francese Etienne Falcone, cantato a. S. Pushkinim nella poesia "Cavaliere di rame", o il sensuale ritratto pittoresco "Peter and the Magnificent" di Karel de Moore, e tutto quello che si vedeva fu un falso creato deliberatamente del re moscoviti, che nel settembre 1721 accettò il titolo - il Primo Em peror di tutto-russo.

UN GRANDE FALSO

Per la prima volta, un moscovita, lo zar Ivan III, tentò di nominarsi erede della Rus' di Kiev, nel 1460-70, inviando lettere a Roma, firmandole come Principe della Russia Bianca.

Più tardi, lo zar Vasili III, (1505-1533 anni di governo), per regolare le sue aspirazioni, cercando un motivo per l'occupazione legale dell'etmano Ucraina, ha iniziato a sollevare la questione della riunificazione della Russia con il Mokshan-Tat (fino-ungherese) Ar Orda. Stranamente ho percepito il fatto che gli stessi moscoviti hanno guardato Vasily III "camminare per le camere dei re in un chalmi, con uno yatagan sul lato della veste di Astrakhan"...
Sono passati 200 anni, pulsando con l'impulso di enfatizzare il proprio sangue alla famiglia europea delle nazioni, già "Petrovsk" Moscovy sta cercando di ribrandare il suo nome sulla trascrizione greca di Russia - Russia (Russia).
Karl Marx, nella "divulgazione della storia diplomatica del XVIII secolo. » ha scritto: la storia di Mosca è prishita alla storia dei fili bianchi russia! Pietro I, che odiava tutti i suoi dintorni tataro-Mosca, era determinato a rendere il Principato dell'Orda intasato con ambizioni imperiali, uno stato europeo con grande storia.
Ecco com'è andata:
Lo zar, Pietro e Romanov, hanno costantemente speso la politica di limitare l'autonomia della sinistra e dei cialtroni. Ucraina, riducendo le libertà del cosacco e la carta delle libertà. Dopo la morte di Ivan Skoropadsky, ai cosacchi fu proibito scegliere da soli il proprio etmano.
Nel 1709 si ordina di ridurre di 2mila il numero degli studenti dell'Accademia di Kiev-Mohylansk. Fino a 161, le migliori figure di scienza e illuminazione zvelív per trasferirsi da Kiev a Mosca.
Nel 1711-12 Per ordine di Pietro I, ci fu una violenta delocalizzazione (collusione) della popolazione dalla riva destra dell'Ucraina alla riva sinistra (in campo selvaggio) e la completa eliminazione dei reggimenti cosacchi di destra. Secondo diverse stime, fino a 200mila spostati. persone, questa è quasi l'intera popolazione della regione.
1720 decreto del re di Mosca sul divieto di knigodrukuvâ in lingua ucraina e la rimozione dei testi ucraini dai libri della chiesa. "quelli, vecchi libri con i libri della grande stampa russa si equivalgono, in modo che nessuna differenza e anno speciale in loro non fossero all'ortografia e agli accenti ripetuti esattamente Mosca".

IL GRANDE SANGUE DEGLI UCRAINI.
Lo Zar stava lottando da molti anni per l'uscita di Moscovia verso l'Azov e il Mar Nero, così gli è stato impedito l'esistenza stessa dell'etmano Ucraina. In quel momento, lo scopo di Ivan Mazepa, l'esercito etmano di Zaporozhye, era l'unificazione delle terre cosacche della riva sinistra, della riva destra, di Zaporozhyhzhya (Sichi), della regione di Slobozhan e della Khans ʹkoí ть Ucraina (Gan Вini) nella composizione del stato ucraino unificato sotto il reggimento Hetman,
Dopo il fallito sostegno di Mazepo не, il re svedese Carlo XII, Pietro e ha ordinato di distruggere la capitale hetman - baturin.
Generale Alexander Menshikov, fino a 20mila persone del posto sono state uccise. Durante questi eventi, l'Orda settentrionale ha tagliato tutti gli abitanti della città, indipendentemente dall'età e dal sesso, non escludendo bambini e donne con neonati.
"tutta l'Ucraina è nel sangue ", " donne e bambini sulla sciabola vístríâh", con tali nomi sono usciti i principali giornali francesi - " gazette de France", " Paris gazette", " lettres historique".
" un terribile zar, avido di sangue in Ucraina. Tutti gli abitanti di baturina sono tagliati come l'ordine dei costumi non umani dei moscoviti ", "Menshikov mostra gli orrori della barbarie di Mosca. Le persone al suo interno [Baturiní] sono state abbattute, chiese distrutte, case saccheggiate e bruciate ".
Lo storico svedese Anders Friksel, autore de "la storia della vita di Carlo XII", ha scritto: I moscoviti hanno crocifisso i cadaveri dei cosacchi sulle recinzioni e li hanno lasciati attraversare il fiume Sejm (tribù di Desna) in modo che la popolazione potesse vedere il destino di Baturin . .
L'ambasciatore austriaco Otto Player in una lettera di Glukhov riportata a Vienna: "Menshikov ha tagliato tutti quelli che erano a Baturin, ha dato fuoco e raso al suolo la città, sequestrando tutte le proprietà, le armi e 80 cannoni".
Sono stati anche bruciati, (soprattutto con i residenti): Mayčka, nehvor. , keleberda, vecchio kodak, nuovo kodak, vecchio sanzari e nuovo sanzari. La popolazione è stata uccisa insieme a donne e bambini. Le città dopo il rosario sono state bruciate e distrutte, tra chiese e monasteri. I sostenitori di Mazepa sono stati bruciati, squartati, impiccati o altrimenti giustiziati. Per intimidire la popolazione, i cadaveri dei locali uccisi innocentemente galleggiavano sulle zattere attraverso il Dniepr.
Ogni settimana, nel mese di gennaio-giugno 1709, fino a 300 residenti di Zaporozhye, cosacchi venivano uccisi in scontri da combattimento. Se metti insieme i ribelli uccisi e il numero dei cosacchi morti nella battaglia di Poltava, scoprirai che l'etmano I. Mazepu ha sostenuto la sua vita e la partecipazione attiva al combattimento fino a 40.000 ucraini.
12.11.1708 per ordine del re russo, su John Mazepu Nakladena Anathema. L'anatema era zdijsnena dalla Chiesa ortodossa russa nella Chiesa della Trinità (ora non esiste) m. Per i sordi nella regione di Sumy. Secondo la Cronaca di Lizogubívs ʹkogo, alla vigilia dell'arrivo dei gerarchi della ROC, sono state effettuate esecuzioni dimostrative di sacerdoti e monaci ucraini, locali, le cui teste sono state impiccate a Hlukhov sulla piazza.
Decine di migliaia di cosacchi e contadini ucraini, zaslanih sulla costruzione di fortezze, canali, sono morti per lavoro, malattie e fame. 104 strati del canale ladoz ʹkogo erano spesso rilievo dai cadaveri dei cosacchi. "Víkno in Europa" - la città di San Pietroburgo è stata spinta sulle ossa di migliaia di ucraini.

SIFILIDE.
Questo mostro morì intorno alle 6 del mattino dell'8 febbraio 1725. Secondo l'ambasciatore francese presso la corte russa di Campredona, sulla base delle informazioni di un medico italiano che sosteneva che il ritardo nell'urinare fosse correlato alla "sifilide mal guarita". Lei, in particolare, era sostenuta dallo scienziato sovietico M. Pokrovsky: a causa di uno stile di vita depravato è morto per complicazioni causate da questa malattia venerea, che dal 1696 al 1707 è stata trattata con farmaci al mercurio. Questo trattamento di per sé era inefficace e altamente tossico.
Secondo François Wilboa, che conosceva bene il re, probabilmente era ammalato di gonorrea infettata dal generale di Chernyshova nel 1721. Un forte dolore urinario, menzionato dalle persone più vicine al re, è caratteristico di questa malattia.
ПізнайУкраїну




A PROPOSITO DELLA LINGUA RUSSA IN UCRAINA E NON SOLO…
Kostantin Zavinovski
16 agoato 2022

https://www.facebook.com/kostantin.zavi ... TqYPAqRNRl

Quando studiavo in Cina negli anni 2009/2011 ho conosciuto persone da Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Bielorussia, Lettonia, Estonia e altri paesi dell’ex Unione sovietica.
Tutti noi parlavamo il russo tra di noi e io nella mia testa inquinata dai residui del pensiero dell’homo sovieticus gioivo “wow, che bella cosa che tante persone da così tanti paesi distanti possano parlare la medesima lingua!” (senza capire il costo che hanno pagato i miei avi per le politiche di russificazione, ma andiamo per gradi)
Allo stesso tempo mi sono sempre chiesto: “come è possibile che in Italia come ti sposti qualche decina di chilometri senti che cambia il dialetto, il modo di parlare, mentre tutti noi parlavamo allo stesso modo senza nessuna cadenza dialettale?!”
Non ho mai alla fine ragionato sulla risposta, ma oggi vorrei farlo insieme a te.
La lingua è un’entità viva che cambia ed evolve nel tempo seguendo la storia. I dialetti sono espressioni di questa evoluzione a livello locale. E laddove c’è un’evoluzione storica secolare popolare, è normale anche trovare flessioni dialettali locali diverse della lingua in uso.
Succede in tanti paesi del mondo. Anche in Cina come in Italia appena cambi la regione cambia il dialetto e il modo di parlare in cinese.
Perché allora la lingua russa parlata da persone che vivono anche a distanza di oltre 10.000 chilometri l’una dall’altra è IDENTICA e non ci sono dialetti?
La risposta è perché la lingua russa NON è la lingua che storicamente nei secoli veniva parlata in quei territori. La lingua russa in quelle aree dell’ex Impero zarista o sovietico non ha subìto un’evoluzione storica a carattere locale popolare. La lingua russa era stata calata, imposta a forza da sopra in modo standard dappertutto.
Ecco perché io che sono cresciuto a Mykolaiv in Ucraina parlo in russo nello stesso modo in cui lo parla il cittadino di Tallinn in Estonia a 1.800 chilometri ed esattamente allo stesso identico modo in cui lo parla il cittadino di Almaty in Kazakistan a distanza di oltre 4.500 chilometri e ancora allo stesso modo in cui lo parla il cittadino di Vlàdivostok a oltre 10.000 chilometri.
Infatti in Ucraina non c’è nessuna variante dialettale della lingua russa, mentre come fa chiaramente vedere questa mappa del 2005 esistono diversi dialetti locali dell’ucraino che si sono creati e mantenuti nei secoli.
E questo malgrado diversi periodi di russificazione forzata che ha subito il popolo ucraino e di cui io stesso sono stato una vittima inconsapevole.
La propaganda può anche ingannare, ma la storia dello sviluppo linguistico parla chiaro: la lingua russa standardizzata è il marchio di fabbrica che tradisce la sua origine innaturale, artificiale, mentre l’esistenza di dialetti locali dell’ucraino sono la testimonianza palese ed inconfutabile della sua evoluzione storico popolare in quei territori (anche fuori dagli attuali confini nazionali ucraini! noi ucraini però non invadiamo gli altri usandolo come scusa).

Alberto Pento
Proprio come l'Arabo esportato e imposto dall'imperialismo nazimaomettano violento, da Maometto in poi.





L'Ucraina, la persecuzione, la resistenza: le cose che qualcuno sapeva

Di Adriano Sofri
Cesare Prevedini
30 ottobre 2022

https://www.facebook.com/cesare.prevedi ... 8mVDBdrVml

Andrea Graziosi (Roma, 1954) è uno dei più importanti studiosi internazionali della storia sovietica e in particolare dell’Ucraina nel Novecento. Il suo nome e la sua faccia sono diventati familiari al grande pubblico: un buon effetto collaterale della guerra. C’è una questione tormentosa per tutti noi: dell’Holodomor, il genocidio di milioni di ucraini nella Grande Carestia, o non abbiamo saputo, o, che forse è peggio, abbiamo saputo ma senza capire e sentire, e senza trarne conseguenze. Graziosi racconta un episodio esemplare. Alla fine degli anni ’80 trovò i rapporti segreti dei diplomatici italiani in Urss sulla carestia ucraina (e di altre regioni) del 1932-1933. Erano testi così forti – destinati a restare segreti, e a essere letti da Mussolini - che per un po’ li tenne fermi, poi ne curò un’edizione accademica in francese. Nel 1990 decise di proporli a Einaudi. Dagli storici della casa editrice venne un rifiuto fermissimo. “Una sera raccontai a Vittorio Foa la storia, credo al ristorante kosher vicino a Piazza Vittorio dove andavamo allora, e c’era anche Natalia Ginzburg, che mi chiese di farglieli leggere. Mi chiamò due giorni dopo dicendo che quelli erano matti, e che li avrebbe pubblicati lei negli Struzzi dove non potevano dirle di no. Le Lettere finirono così per uscire in una collana di letteratura e non di storia, e furono per questo più lette (anche se non troppo...)”. Erano le “Lettere da Kharkov: La carestia in Ucraina e nel Caucaso del Nord nei rapporti dei diplomatici italiani. 1932-33”, Torino, 1991. Sono state ripubblicate quest’anno in appendice alla riedizione de “La grande guerra contadina in Urss. 1918-1933”, Officina Libraria. E’ anche a quella lettura che si deve la conoscenza sconvolgente di almeno un dettaglio: il “cannibalismo” suscitato fra quei milioni di contadini affamati a morte da una carestia deliberata per annientarne la renitenza alla collettivizzazione forzata e l’attaccamento nazionale.
Ora è uscito un altro libro di Graziosi, intitolato a “L’Ucraina e Putin tra storia e ideologia” (per Laterza, pp.200, ill.,16 euro). Rifonde e aggiorna scritti e lezioni di tempi diversi, infittiti da quando il tema ha rotto gli argini e si è imposto come lo spartiacque fra due epoche della storia d’Europa – almeno. Autore ed editore hanno ignorato l’obiezione che viene dalla mutevolezza dell’oggetto. Chiuso alla fine di agosto, il testo ignora per esempio una svolta come la controffensiva ucraina nella regione di Kharkiv: l’Ucraina, che aveva sorprendentemente mostrato nei primi giorni di poter resistere all’invasione, mostrava ora di poter vincere sul campo. Ma l’evoluzione drammatica della guerra è affare della cronaca quotidiana, la quale non riesce a dar conto della posta in gioco. Farò una cosa indebita senza chiedere permesso: una specie di antologia parziale e ricucita di notizie e pensieri del libro, a scapito di altre parti che lascio ai lettori.
L’indipendenza dell’Ucraina, voluta dal già comunista Leonid Kravchuk, primo presidente, votata dal parlamento ucraino e poi, il 5 dicembre 1991, dalla stragrande maggioranza degli elettori insieme alla secessione dall’Urss, fu la fatidica premessa della dissoluzione dell’Urss, firmata il 9 dicembre a Belaveža da Kravchuk, Eltsin, e il presidente della Bielorussia a sua volta indipendente dal settembre, Šuškevič.
L’Ucraina era stata anche all’origine della guerra civile dopo l’Ottobre bolscevico del 1917. Dopo la rivoluzione democratica del febbraio, la Rada di Kyiv rivendicò ampia autonomia nel governo dei territori a maggioranza etnolinguistica ucraina. Proprio la concessione di questa autonomia avrebbe provocato a luglio la crisi del governo di Pietrogrado e scatenato il primo tentativo bolscevico di conquistare il potere. Di fronte al successo di ottobre la Rada, anch’essa dominata da forze socialiste, dichiarò l’indipendenza e chiese di negoziare un patto tra eguali. Lenin e Stalin risposero con l’invasione. La guerra civile russa cominciò così nel dicembre 1917 con l’aggressione della Repubblica socialista russa alla Repubblica socialista ucraina: il primo conflitto iniziato dal nuovo potere bolscevico, come denunciò il leader del Bund, il partito socialista ebraico. L’Ucraina fu invasa “da forze straniere che si diedero a fucilazioni e massacri, per esempio di giovani ginnasiali nazionalisti”.
Lenin si convinse che non era possibile vincere senza riconoscere l’identità ucraina. In una lettera segreta di fine 1919 raccomandava: “la più grande attenzione nei riguardi delle tradizioni nazionali, la più stretta osservanza della pari dignità della lingua e della cultura ucraina ecc.; ...lanciare una campagna di propaganda per la completa fusione dell’Ucraina con la Russia (in maniera velata); per il momento creare una Repubblica Sovietica Ucraina strettamente federata a quella russa; non affrettarsi a estrarre surplus dall’Ucraina per la Russia; trattare gli ebrei (dirlo educatamente), la piccola borghesia ebraica e gli abitanti urbani dell’Ucraina in maggioranza russi con il guanto di ferro, trasferendoli al fronte e non permettendogli l’accesso agli uffici pubblici...”.
Subito dopo la rivoluzione russa del 1905 l’Accademia delle scienze aveva riconosciuto lo stato di lingua all’ucraino. Ma tanto la lingua, che comunque non venne introdotta nei corsi scolastici, quanto il movimento nazionale, ebbero poco tempo per svilupparsi, prima della guerra. Dopo il 1923, la guerra civile e le decisioni di Lenin su come controllare l’Ucraina sconfitta, consentirono un forte sviluppo della cultura ucraina, che non era ancora stata ridotta, come dopo la Seconda guerra, al bilinguismo. Per questo sviluppo pericoloso, connesso con la resistenza contadina alla collettivizzazione, nell’estate del 1932 Stalin decise di assestare alla Repubblica ucraina il doppio colpo di una carestia sterminatrice e dell’eliminazione sistematica della sua élite.
E la Crimea, quella che oggi si descrive come da sempre russa? La seconda guerra l’aveva quasi svuotata, dopo le purghe del 1937-38 contro le comunità greche e persino italiane, cui si aggiunsero lo sterminio nazista degli ebrei, la fuga dei vecchi coloni mennoniti coi tedeschi in ritirata, e la deportazione dei tatari nel 1944, decisa da Stalin per punirli collettivamente del sostegno offerto da alcuni ai tedeschi. Alla fine della guerra, dopo aver ricevuto dal Comitato antifascista ebraico la richiesta di costruire nella penisola una Repubblica autonoma ebraica, trasferendovi i sopravvissuti all’Olocausto, richiesta che affrettò la decisione di liquidare il Comitato e i suoi leader, Stalin ripopolò la Crimea con coloni russi che perciò nel 1954, quando arrivò la cessione all’Ucraina, costituivano il 75% dei suoi abitanti.
Quel primo presidente Kravchuk (è morto nel 2022) “avrebbe poi confessato di essersi convinto della necessità di staccarsi da Mosca leggendo negli anni ’80 i documenti sulla grande carestia del 1932-1933”: l’Ucraina aveva subito un deliberato sterminio. Il ritardo nel recupero di quella memoria è appena meno impressionante se lo si paragona con quello nei confronti della memoria della Shoah. Anche Yushchenko si impegnò a fare dell’Holodomor il fondamento della legittimazione del paese.
Con l’indipendenza la cittadinanza fu concessa a tutti i residenti, compresi quelli che si dichiaravano di nazionalità russa. Etnicità, lingua e religione in Ucraina non coincidevano. Per questo è difficile ricorrere alla lingua d’uso per farsi un’idea affidabile della questione nazionale nell’Ucraina post-sovietica. Nell’ultimo censimento sovietico dell’89, ancora su base etnica, gli ucraini con circa 37 milioni rappresentavano il 75% della popolazione, seguiti da russi, circa 11 milioni, pari al 21%, ebrei 500.000, bielorussi 440.000, e altri. Dal punto di vista linguistico la popolazione si divideva in tre e non due grandi gruppi etno-linguistici: gli ucraini ucrainofoni 40%, quelli russofoni 34%, e i russi naturalmente russofoni al 21%. Il gruppo decisivo era quindi evidentemente il secondo. Putin ignora che le lingue veicolari spesso cessano di essere strumenti identitari: malinteso che gli ha fatto vedere nei russofoni che rifiutavano la madre Russia altrettanti traditori da raddrizzare o liquidare.
Poroshenko dedicò la Presidenza (2014-2019) alla conferma di un orientamento occidentale. I provvedimenti maldestri, anche perché facilitavano la propaganda putiniana, sulla repressione dei russi e del russo, erano in realtà blandi. Soprattutto non abbandonarono il perseguimento di un ideale civico di cittadinanza, come dimostrò nel 2016 la nomina a primo ministro di Volodymyr Hrojsman, l’ex-sindaco di Vinnycia di origine ebraica.
I rapporti fra l’Ucraina e i paesi anglosassoni di emigrazione, nonché con l’UE, hanno due componenti essenziali: una forte diaspora, portatrice di valori liberaldemocratici nutriti dalla lotta per il riconoscimento dell’Holodomor, e la nuova emigrazione ucraina verso l’UE - un milione e più in Polonia prima della guerra, e centinaia di migliaia in Italia Francia Germania. L’Ucraina è così tra i pochi paesi dove sia possibile fare un confronto diretto di massa tra la vita e il lavoro in Russia e nell’Unione Europea.
L’identità ucraina aveva due possibili opzioni. La prima costituita dalla grande tragedia nazionale della carestia sterminatrice del 1932-33. La seconda rappresentata dalla accanita resistenza opposta dall’Ucraina occidentale già asburgica e polacca, all’occupazione sovietica del 1944. Il suo movimento partigiano è stato forse il più compatto e duraturo dell’Europa del XX secolo. Grazie all’appoggio contadino, esso riuscì a sostenere la lotta armata fino al 1950 circa. A renderla inutilizzabile era l’ideologia: un esasperato nazionalismo che aveva causato rovina nella storia europea e mal si attagliava al contesto culturale in cui il nuovo Stato cercava di inserirsi. Non stupisce quindi che malgrado i tentativi ripetuti di elevare Stepan Bandera e quella resistenza a simboli dell’Ucraina indipendente, alla fine la scelta sia caduta sull’Holodomor. Ad esso il nuovo Stato ha dedicato il suo più importante monumento, e su di esso si è costruito già negli anni ’90, ma soprattutto a partire dal 2004, il suo discorso di identificazione. Ma scegliere come simbolo della nuova Ucraina un genocidio (e per Graziosi che scrive lo è stato senza dubbio) voleva dire anche riorientarla: non più un paese che si allineava alla tragica esperienza europea del nazionalismo integrale, ma piuttosto un paese che si presentava come vittima del crimine più efferato contro un popolo. Un paese che quindi guardava alle altre vittime di genocidi come a fratelli, fossero essi ebrei, armeni o tatari: anche qui affonda le sue radici la possibilità di scegliere un primo ministro di origine ebraica e poi di votare in massa per un presidente come Zelensky.
Benché il paragone fra la Russia degli anni ’90 e la Germania degli anni ’20 sia del tutto infondato, parte dei gruppi dirigenti russi si convinse di un’umiliazione che era solo nelle loro menti. Le idee contano: così il sogno di un nuovo Mondo Russo di Putin - anche i malvagi infatti non sono sempre cinici. Parlando della più grande catastrofe geopolitica del ventesimo secolo Putin dimenticò che Washington aveva provato fino all’ultimo a salvare l’Unione sovietica e che la Russia di Eltsin, di cui era l’erede, aveva invece giocato un ruolo cruciale nella sua dissoluzione. Alla Russia non fu imposta alcuna riparazione e non fu tolto alcun territorio. Venne ammessa nel club dei grandi, nel 1997 il G7 fu ribattezzato G8, e al suo esercito non fu imposto alcun tetto. Quanto alle proteste di Putin sull’espansione della NATO, nel 1994 la Russia ricevette, grazie al sostegno americano, le circa 4000 testate nucleari ucraine, oltre a quelle kazake, in cambio delle quali si impegnò a garantire i confini della Repubblica sorella. La storia è cruciale perché indica quali fossero i sentimenti filo-russi degli Stati Uniti negli anni ’90, rivela la malafede della Mosca odierna, e suscita amarezza in una Kyiv che si fidò allora degli impegni di russi americani e inglesi, i garanti degli accordi di Budapest.
Il pericolo reale è quello costituito dall’Unione Europea e dalla sua cultura, contro cui la Mosca di Putin combatteva da tempo, sostenendo e finanziando i movimenti sovranisti. Putin ha giustificato l’operazione militare speciale anche con la necessità di fermare il genocidio in corso da 8 anni nel Donbass. Nella regione ci sono però dal 2014 centinaia di osservatori Osce e i loro dati parlano chiaro. Le vittime civili, di entrambe le parti, sono state 2084 nel 2014, l’anno della guerra aperta, 954 nel 2015, 112 nel 2016, 117 nel 2017, 55 nel 2018, 27 nel 2019, 26 nel 2020, e 25 nel 2021.
“Bisogna tenere presente quello che l’invasione russa ha messo in evidenza: anche le élite di altri continenti pensano che l’ordine del mondo debba essere riscritto, ancorché non certo da un paese in crisi come la Russia. Una Russia la cui, spero temporanea, perdita per l’Europa è una delle grandi cause della nostra oltre che della sua debolezza. Soprattutto è sbagliato ragionare solo in base alla dicotomia ‘the West and the rest’, e non solo per la crisi di quel West che malgrado la sua fortunata riapparizione al fianco dell’Ucraina non c’è più nei termini in cui c’era stato. Il futuro dell’occidente che speriamo possa rinascere ancora una volta, vale a dire il futuro della libertà, sta in primo luogo nella nostra capacità di rispettare e riconoscere l’altro da noi, dove la vita oggi pulsa. Per l’Europa, soprattutto nell’Africa subsahariana, con cui bisogna dialogare ponendo fine alla faccia oscura del ‘mondo bianco’.”
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Messaggioda Berto » gio dic 01, 2022 8:14 am

L’UCRAINA ORIENTALE NON È RUSSIA
intervista a Giovanna Brogi Bercoff*
Massimiliano Di Pasquale
*Pubblicata in versione diversa e con il titolo “L’illusione degli ucraini sul nazismo durò solo qualche settimana” sul quotidiano La Stampa il 13 marzo 2014

https://www.facebook.com/forzaucraina.i ... hrbfQmJKrl

Giovanna Brogi Bercoff, professore ordinario di slavistica presso l’Università di Milano, direttrice della rivista Studi Slavistici e presidente dell’AISU (Associazione Italiana di Studi Ucrainistici), parla della grave crisi tra Russia e Ucraina e aiuta a inquadrare le complesse vicende di queste settimane in un’ottica storico-culturale in cui grande peso hanno avuto le politiche di russificazione dell’Ucraina Orientale intraprese dalla Russia zarista dopo la storica battaglia di Poltava del 1709.

Professoressa Brogi, che spiegazione dà alla lettura russo centrica della crisi ucraina presente in vasti settori dell’establishment politico-culturale nel nostro Paese?
In parte la dimensione russo-centrica dell’Italia riflette il provincialismo e la scarsa cultura degli italiani, ma fondamentali restano motivi economici. Basti pensare ai rapporti tra ENI e il colosso energetico Gazprom. Non escluderei che l’amicizia personale tra Berlusconi e Putin abbia ancora una certa influenza, in considerazione della lentezza con cui in Italia cambiano idee e abitudini.

A proposito di politici, cosa pensa dell’editoriale scritto dall’ex premier Romano Prodi sul New York Times qualche settimana fa rispetto a ciò che succede in Ucraina?
Trovo sconcertante quello che ha detto. Prodi continua a perpetrare il vecchio mito dell’Unione Sovietica di quaranta anni fa. Molti politici e parte dell’opinione pubblica continuano a considerare ‘normale’ che la Russia agisca come un impero in cui i popoli non hanno diritto alla loro sovranità nazionale. Ed è ancora frequente la stessa pretestuosa spiegazione: gli ucraini sono fascisti! Perdura i molti personaggi l’inerzia ideologica e mentale per cui i russi vengono considerati i ‘buoni’ e progressisti, e gli ucraini come filofascisti. Sul Majdan di Kiev erano rappresentate da milioni di persone per 4 mesi tutte le tendenze dell’opposizione al corruttissimo governo di Yanukovych, ma molti in Italia continuano a dire che i manifestanti sono dominati dalla destra e sono estremisti fascistoidi. O non sanno leggere, o non vogliono allontanarsi da certi stereotipi che magari fanno comodo a qualcuno. Tutto questo senza tenere in alcun conto che il paese è indipendente da 23 anni ed è cambiato, si è evoluto e nella stragrande maggioranza non ne vuol sapere di prendere ordini da Mosca. Permane in Italia il mito della Russia.

Cosa intende esattamente per mito della Russia?
C’è un mito di natura culturale, pensiamo alla letteratura o la musica. Anche la Slavistica è da sempre dominata dalla Russistica. In questi ultimi anni il numero degli studenti di russo è raddoppiato, in certi casi triplicato creando grossi problemi didattici e organizzativi perché mancano insegnanti qualificati. Fra le cause di questo aumento è la speranza di trovare lavoro grazie all’intensificazione dei rapporti economici e commerciali, ma forse questo interesse per gli studi russi è anche frutto della propaganda che sta facendo la fondazione Russkij Mir, finanziata direttamente da Mosca, stabilendo accordi con i vari istituti. I docenti delle università accettano gli aiuti offerti da questa fondazione perché offrono soldi e infrastrutture (computer etc). Negli ultimi tempi sono molto attivi, fanno conferenze, si danno da fare. Poi naturalmente ci sono tanti russi che vengono in Italia e portano soldi. Milano, Roma, Venezia, la Versilia, la costa Adriatica sono piene di russi. Tutto questo pesa visto, che l’Italia è economicamente in crisi.

Come mai testate che in politica interna sono su posizioni antitetiche come Il Giornale e Il Manifesto offrono la stessa lettura degli avvenimenti a Kiev e in Crimea?
È una combinazione di inerzia mentale, retaggi sovietici e interessi economici. Per quanto riguarda Il Giornale pesa forse anche l’amicizia Putin-Berlusconi.

Pensa che l’AISU poteva fare di più per fare conoscere le specificità culturali di questo paese?
Non so se l’AISU poteva fare di più, credo di no. La verità è che non siamo tanti e non abbiamo disponibilità economiche e influenze politiche. Inoltre anche tra di noi sono pochi quelli che conoscono veramente bene il paese e che sono stati in Ucraina. Quando veniamo interpellati diciamo la nostra, ma c’è un muro di gomma anche sul fronte informativo, a parte qualche trasmissione radiofonica ben fatta tipo quelle di Radio 3 della RAI dove c’è spazio per l’approfondimento. Anche i grandi giornali come il Corriere della Sera hanno un livello disomogeneo. Accanto ad analisi serie come quelle di Franco Venturini o Panebianco pubblicano articoli, come quelli di Sergio Romano, faziosi e smaccatamente filorussi. Alcuni buoni articoli sono apparsi sulla Stampa di Torino. Alcuni buoni interventi vengono fatti da Mentana e da LA7 in generale.

Come mai in Italia più che altrove continua a resistere lo stereotipo dell’ucraino fascista?
Non so perché, forse per ignoranza! In realtà è stato calcolato dagli storici che circa il 10% della popolazione ucraina è stata collaborazionista. Naturalmente non è poco, e sono la prima a riconoscere che in Ucraina esiste ancora un diffuso antisemitismo. È però notevole che al movimento di Majdan partecipano attivamente le comunità ebraiche ucraine e per la prima volta c’è una vera collaborazione fra ucraini ed ebrei. Comunque l’antisemitismo ucraino è sicuramente secondo a quello russo. I pogrom di fine ‘800 erano fatti dai russi non dagli ucraini! I pogrom di cui scrive Isaak Babel della famosa Armata a Cavallo erano russi, non ucraini. Ricorderei anche che il collaborazionismo in Francia, in Belgio e in Italia era sicuramente superiore al 10% però nessuno oggi definisce francesi, belgi, italiani dei nazisti. E i pogrom polacchi di Kielce, nessuno se li ricorda? Gli unici ad essere ancora bollati di fascismo sono gli ucraini! Tengo a precisare che l’illusione ucraina che il nazismo li avrebbe liberati dallo stalinismo è durata poche settimane. Dai nazisti gli ucraini hanno subito persecuzioni e deportazioni poco meno che i polacchi. Tant’è che il tanto demonizzato dai russi leader dell’UPA Stepan Bandera fu incarcerato dai nazisti e poi morì per mano sovietica.

Oksana Zabuzhko nel suo ultimo libro sostiene che sono stati proprio i comitati di autodifesa dei partigiani ucraini nel dopoguerra a impedire al regime sovietico di perpetrare una strategia di genocidi nell’Ovest del paese come quella che si ebbe nel 32-’33 con lo Holodomor che avrebbe distrutto l’Ucraina per sempre. Lei cosa ne pensa?
Non ho ancora letto il libro di Zabuzhko ma concordo sul fatto che la popolazione di Galizia e Volinia, che era vissuta sotto polacchi e austriaci e che fu inglobata nell’URSS solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, abbia resistito con grande forza alla russificazione e abbia ostacolato fortemente le politiche di russificazione della cultura ucraina. Se i sovietici fossero riusciti a sovietizzare e russificare anche queste terre lo spirito e la cultura di una nazione avrebbero avuto maggiori difficoltà a sopravvivere.

Cosa risponde ai tanti italiani che identificano i russofoni con i russi o sostengono che l’Ucraina orientale è Russia?
C’è grande ignoranza e in alcuni casi disonestà intellettuale. L’uso di due lingue non è facilmente comprensibile e si tende a semplificare, anche fra gli “intellettuali”. Dopo il 1709 e la sconfitta di Mazepa a Poltava, è iniziata nell’Ucraina centro-orientale una forte russificazione. I primi provvedimenti hanno riguardato proprio il divieto di usare la prima lingua letteraria che si era formata nel Seicento: non era esattamente l’ucraino moderno ma lo poteva diventare. Nell’Ottocento, l’opera poetica del poeta nazionale Shevchenko divenne oggetto di critica perché un grande poeta non doveva scrivere in ucraino, considerato dialetto del russo, ma solo in russo. Nel 1863 e 1876 furono emessi dei veri e propri ukaze per proibire l’uso letterario della lingua ucraina e la stampa di opere e riviste. Spesso scrittori dell’Ucraina sottoposta allo zar che volevano pubblicare opere in ucraino potevano farlo solo a Leopoli, nella Galizia asburgica. Questo è durato fino alla rivoluzione del 1905 quando il divieto venne abolito. Dal 1927 in poi ricominciarono le politiche di russificazione/sovietizzazione volute da Stalin: furono fucilati subito circa un centinaio dei migliori scrittori, artisti e intellettuali ucraini. Molte altre centinaia furono spediti nei Gulag. Chi scrive con superficialità che Kharkiv è una città russa farebbe meglio a studiare la storia.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Messaggioda Berto » sab gen 07, 2023 9:23 pm

L'Ucraina, la persecuzione, la resistenza: le cose che qualcuno sapeva
Di Adriano Sofri
Cesare Prevedini
30 ottobre 2022

https://www.facebook.com/cesare.prevedi ... 8mVDBdrVml

Andrea Graziosi (Roma, 1954) è uno dei più importanti studiosi internazionali della storia sovietica e in particolare dell’Ucraina nel Novecento. Il suo nome e la sua faccia sono diventati familiari al grande pubblico: un buon effetto collaterale della guerra. C’è una questione tormentosa per tutti noi: dell’Holodomor, il genocidio di milioni di ucraini nella Grande Carestia, o non abbiamo saputo, o, che forse è peggio, abbiamo saputo ma senza capire e sentire, e senza trarne conseguenze. Graziosi racconta un episodio esemplare. Alla fine degli anni ’80 trovò i rapporti segreti dei diplomatici italiani in Urss sulla carestia ucraina (e di altre regioni) del 1932-1933. Erano testi così forti – destinati a restare segreti, e a essere letti da Mussolini - che per un po’ li tenne fermi, poi ne curò un’edizione accademica in francese. Nel 1990 decise di proporli a Einaudi. Dagli storici della casa editrice venne un rifiuto fermissimo. “Una sera raccontai a Vittorio Foa la storia, credo al ristorante kosher vicino a Piazza Vittorio dove andavamo allora, e c’era anche Natalia Ginzburg, che mi chiese di farglieli leggere. Mi chiamò due giorni dopo dicendo che quelli erano matti, e che li avrebbe pubblicati lei negli Struzzi dove non potevano dirle di no. Le Lettere finirono così per uscire in una collana di letteratura e non di storia, e furono per questo più lette (anche se non troppo...)”. Erano le “Lettere da Kharkov: La carestia in Ucraina e nel Caucaso del Nord nei rapporti dei diplomatici italiani. 1932-33”, Torino, 1991. Sono state ripubblicate quest’anno in appendice alla riedizione de “La grande guerra contadina in Urss. 1918-1933”, Officina Libraria. E’ anche a quella lettura che si deve la conoscenza sconvolgente di almeno un dettaglio: il “cannibalismo” suscitato fra quei milioni di contadini affamati a morte da una carestia deliberata per annientarne la renitenza alla collettivizzazione forzata e l’attaccamento nazionale.
Ora è uscito un altro libro di Graziosi, intitolato a “L’Ucraina e Putin tra storia e ideologia” (per Laterza, pp.200, ill.,16 euro). Rifonde e aggiorna scritti e lezioni di tempi diversi, infittiti da quando il tema ha rotto gli argini e si è imposto come lo spartiacque fra due epoche della storia d’Europa – almeno. Autore ed editore hanno ignorato l’obiezione che viene dalla mutevolezza dell’oggetto. Chiuso alla fine di agosto, il testo ignora per esempio una svolta come la controffensiva ucraina nella regione di Kharkiv: l’Ucraina, che aveva sorprendentemente mostrato nei primi giorni di poter resistere all’invasione, mostrava ora di poter vincere sul campo. Ma l’evoluzione drammatica della guerra è affare della cronaca quotidiana, la quale non riesce a dar conto della posta in gioco. Farò una cosa indebita senza chiedere permesso: una specie di antologia parziale e ricucita di notizie e pensieri del libro, a scapito di altre parti che lascio ai lettori.
L’indipendenza dell’Ucraina, voluta dal già comunista Leonid Kravchuk, primo presidente, votata dal parlamento ucraino e poi, il 5 dicembre 1991, dalla stragrande maggioranza degli elettori insieme alla secessione dall’Urss, fu la fatidica premessa della dissoluzione dell’Urss, firmata il 9 dicembre a Belaveža da Kravchuk, Eltsin, e il presidente della Bielorussia a sua volta indipendente dal settembre, Šuškevič.
L’Ucraina era stata anche all’origine della guerra civile dopo l’Ottobre bolscevico del 1917. Dopo la rivoluzione democratica del febbraio, la Rada di Kyiv rivendicò ampia autonomia nel governo dei territori a maggioranza etnolinguistica ucraina. Proprio la concessione di questa autonomia avrebbe provocato a luglio la crisi del governo di Pietrogrado e scatenato il primo tentativo bolscevico di conquistare il potere. Di fronte al successo di ottobre la Rada, anch’essa dominata da forze socialiste, dichiarò l’indipendenza e chiese di negoziare un patto tra eguali. Lenin e Stalin risposero con l’invasione. La guerra civile russa cominciò così nel dicembre 1917 con l’aggressione della Repubblica socialista russa alla Repubblica socialista ucraina: il primo conflitto iniziato dal nuovo potere bolscevico, come denunciò il leader del Bund, il partito socialista ebraico. L’Ucraina fu invasa “da forze straniere che si diedero a fucilazioni e massacri, per esempio di giovani ginnasiali nazionalisti”.
Lenin si convinse che non era possibile vincere senza riconoscere l’identità ucraina. In una lettera segreta di fine 1919 raccomandava: “la più grande attenzione nei riguardi delle tradizioni nazionali, la più stretta osservanza della pari dignità della lingua e della cultura ucraina ecc.; ...lanciare una campagna di propaganda per la completa fusione dell’Ucraina con la Russia (in maniera velata); per il momento creare una Repubblica Sovietica Ucraina strettamente federata a quella russa; non affrettarsi a estrarre surplus dall’Ucraina per la Russia; trattare gli ebrei (dirlo educatamente), la piccola borghesia ebraica e gli abitanti urbani dell’Ucraina in maggioranza russi con il guanto di ferro, trasferendoli al fronte e non permettendogli l’accesso agli uffici pubblici...”.
Subito dopo la rivoluzione russa del 1905 l’Accademia delle scienze aveva riconosciuto lo stato di lingua all’ucraino. Ma tanto la lingua, che comunque non venne introdotta nei corsi scolastici, quanto il movimento nazionale, ebbero poco tempo per svilupparsi, prima della guerra. Dopo il 1923, la guerra civile e le decisioni di Lenin su come controllare l’Ucraina sconfitta, consentirono un forte sviluppo della cultura ucraina, che non era ancora stata ridotta, come dopo la Seconda guerra, al bilinguismo. Per questo sviluppo pericoloso, connesso con la resistenza contadina alla collettivizzazione, nell’estate del 1932 Stalin decise di assestare alla Repubblica ucraina il doppio colpo di una carestia sterminatrice e dell’eliminazione sistematica della sua élite.
E la Crimea, quella che oggi si descrive come da sempre russa? La seconda guerra l’aveva quasi svuotata, dopo le purghe del 1937-38 contro le comunità greche e persino italiane, cui si aggiunsero lo sterminio nazista degli ebrei, la fuga dei vecchi coloni mennoniti coi tedeschi in ritirata, e la deportazione dei tatari nel 1944, decisa da Stalin per punirli collettivamente del sostegno offerto da alcuni ai tedeschi. Alla fine della guerra, dopo aver ricevuto dal Comitato antifascista ebraico la richiesta di costruire nella penisola una Repubblica autonoma ebraica, trasferendovi i sopravvissuti all’Olocausto, richiesta che affrettò la decisione di liquidare il Comitato e i suoi leader, Stalin ripopolò la Crimea con coloni russi che perciò nel 1954, quando arrivò la cessione all’Ucraina, costituivano il 75% dei suoi abitanti.
Quel primo presidente Kravchuk (è morto nel 2022) “avrebbe poi confessato di essersi convinto della necessità di staccarsi da Mosca leggendo negli anni ’80 i documenti sulla grande carestia del 1932-1933”: l’Ucraina aveva subito un deliberato sterminio. Il ritardo nel recupero di quella memoria è appena meno impressionante se lo si paragona con quello nei confronti della memoria della Shoah. Anche Yushchenko si impegnò a fare dell’Holodomor il fondamento della legittimazione del paese.
Con l’indipendenza la cittadinanza fu concessa a tutti i residenti, compresi quelli che si dichiaravano di nazionalità russa. Etnicità, lingua e religione in Ucraina non coincidevano. Per questo è difficile ricorrere alla lingua d’uso per farsi un’idea affidabile della questione nazionale nell’Ucraina post-sovietica. Nell’ultimo censimento sovietico dell’89, ancora su base etnica, gli ucraini con circa 37 milioni rappresentavano il 75% della popolazione, seguiti da russi, circa 11 milioni, pari al 21%, ebrei 500.000, bielorussi 440.000, e altri. Dal punto di vista linguistico la popolazione si divideva in tre e non due grandi gruppi etno-linguistici: gli ucraini ucrainofoni 40%, quelli russofoni 34%, e i russi naturalmente russofoni al 21%. Il gruppo decisivo era quindi evidentemente il secondo. Putin ignora che le lingue veicolari spesso cessano di essere strumenti identitari: malinteso che gli ha fatto vedere nei russofoni che rifiutavano la madre Russia altrettanti traditori da raddrizzare o liquidare.
Poroshenko dedicò la Presidenza (2014-2019) alla conferma di un orientamento occidentale. I provvedimenti maldestri, anche perché facilitavano la propaganda putiniana, sulla repressione dei russi e del russo, erano in realtà blandi. Soprattutto non abbandonarono il perseguimento di un ideale civico di cittadinanza, come dimostrò nel 2016 la nomina a primo ministro di Volodymyr Hrojsman, l’ex-sindaco di Vinnycia di origine ebraica.
I rapporti fra l’Ucraina e i paesi anglosassoni di emigrazione, nonché con l’UE, hanno due componenti essenziali: una forte diaspora, portatrice di valori liberaldemocratici nutriti dalla lotta per il riconoscimento dell’Holodomor, e la nuova emigrazione ucraina verso l’UE - un milione e più in Polonia prima della guerra, e centinaia di migliaia in Italia Francia Germania. L’Ucraina è così tra i pochi paesi dove sia possibile fare un confronto diretto di massa tra la vita e il lavoro in Russia e nell’Unione Europea.
L’identità ucraina aveva due possibili opzioni. La prima costituita dalla grande tragedia nazionale della carestia sterminatrice del 1932-33. La seconda rappresentata dalla accanita resistenza opposta dall’Ucraina occidentale già asburgica e polacca, all’occupazione sovietica del 1944. Il suo movimento partigiano è stato forse il più compatto e duraturo dell’Europa del XX secolo. Grazie all’appoggio contadino, esso riuscì a sostenere la lotta armata fino al 1950 circa. A renderla inutilizzabile era l’ideologia: un esasperato nazionalismo che aveva causato rovina nella storia europea e mal si attagliava al contesto culturale in cui il nuovo Stato cercava di inserirsi. Non stupisce quindi che malgrado i tentativi ripetuti di elevare Stepan Bandera e quella resistenza a simboli dell’Ucraina indipendente, alla fine la scelta sia caduta sull’Holodomor. Ad esso il nuovo Stato ha dedicato il suo più importante monumento, e su di esso si è costruito già negli anni ’90, ma soprattutto a partire dal 2004, il suo discorso di identificazione. Ma scegliere come simbolo della nuova Ucraina un genocidio (e per Graziosi che scrive lo è stato senza dubbio) voleva dire anche riorientarla: non più un paese che si allineava alla tragica esperienza europea del nazionalismo integrale, ma piuttosto un paese che si presentava come vittima del crimine più efferato contro un popolo. Un paese che quindi guardava alle altre vittime di genocidi come a fratelli, fossero essi ebrei, armeni o tatari: anche qui affonda le sue radici la possibilità di scegliere un primo ministro di origine ebraica e poi di votare in massa per un presidente come Zelensky.
Benché il paragone fra la Russia degli anni ’90 e la Germania degli anni ’20 sia del tutto infondato, parte dei gruppi dirigenti russi si convinse di un’umiliazione che era solo nelle loro menti. Le idee contano: così il sogno di un nuovo Mondo Russo di Putin - anche i malvagi infatti non sono sempre cinici. Parlando della più grande catastrofe geopolitica del ventesimo secolo Putin dimenticò che Washington aveva provato fino all’ultimo a salvare l’Unione sovietica e che la Russia di Eltsin, di cui era l’erede, aveva invece giocato un ruolo cruciale nella sua dissoluzione. Alla Russia non fu imposta alcuna riparazione e non fu tolto alcun territorio. Venne ammessa nel club dei grandi, nel 1997 il G7 fu ribattezzato G8, e al suo esercito non fu imposto alcun tetto. Quanto alle proteste di Putin sull’espansione della NATO, nel 1994 la Russia ricevette, grazie al sostegno americano, le circa 4000 testate nucleari ucraine, oltre a quelle kazake, in cambio delle quali si impegnò a garantire i confini della Repubblica sorella. La storia è cruciale perché indica quali fossero i sentimenti filo-russi degli Stati Uniti negli anni ’90, rivela la malafede della Mosca odierna, e suscita amarezza in una Kyiv che si fidò allora degli impegni di russi americani e inglesi, i garanti degli accordi di Budapest.
Il pericolo reale è quello costituito dall’Unione Europea e dalla sua cultura, contro cui la Mosca di Putin combatteva da tempo, sostenendo e finanziando i movimenti sovranisti. Putin ha giustificato l’operazione militare speciale anche con la necessità di fermare il genocidio in corso da 8 anni nel Donbass. Nella regione ci sono però dal 2014 centinaia di osservatori Osce e i loro dati parlano chiaro. Le vittime civili, di entrambe le parti, sono state 2084 nel 2014, l’anno della guerra aperta, 954 nel 2015, 112 nel 2016, 117 nel 2017, 55 nel 2018, 27 nel 2019, 26 nel 2020, e 25 nel 2021.
“Bisogna tenere presente quello che l’invasione russa ha messo in evidenza: anche le élite di altri continenti pensano che l’ordine del mondo debba essere riscritto, ancorché non certo da un paese in crisi come la Russia. Una Russia la cui, spero temporanea, perdita per l’Europa è una delle grandi cause della nostra oltre che della sua debolezza. Soprattutto è sbagliato ragionare solo in base alla dicotomia ‘the West and the rest’, e non solo per la crisi di quel West che malgrado la sua fortunata riapparizione al fianco dell’Ucraina non c’è più nei termini in cui c’era stato. Il futuro dell’occidente che speriamo possa rinascere ancora una volta, vale a dire il futuro della libertà, sta in primo luogo nella nostra capacità di rispettare e riconoscere l’altro da noi, dove la vita oggi pulsa. Per l’Europa, soprattutto nell’Africa subsahariana, con cui bisogna dialogare ponendo fine alla faccia oscura del ‘mondo bianco’.”




MASSACRO DI BATHURYN – ANNIVERSARIO DEI 314 ANNI
Maryana Hutsalyuk
(da Wikipedia)
Il “sacco di Baturyn”, o “massacro di Baturyn” occupa un posto speciale nella storia dell'Ucraina.
Il 2 novembre 1708, per ordine dello zar di Russia Pietro I, durante un’operazione punitiva, le truppe di Mosca al comando del principe Oleksiy Menshikov conquistarono la città. Tutti i residenti furono brutalmente uccisi: né bambini né donne furono risparmiati. Si stima che le vittime furono tra le 9.000 e le 15.000.
La fortezza di Baturyn, all’epoca, era la capitale di Hetman Mazepa.
Questa fu la vendetta di Pietro I su Hetman* Ivan Mazepa per la sua decisione di schierarsi con il re svedese Carlo XII a discapito della Russia.
La parola hetman, o etmano, è strettamente collegata con il vocabolo atamano, in uso presso russi e cosacchi a partire dal Cinquecento per indicare il supremo signore, in questo caso però sia con valenza militare che politica. Nelle terre della Confederazione polacco-lituana, entità politica all'interno della quale erano confluiti il Regno di Polonia ed il Granducato di Lituania a seguito dell'Unione di Lublino del 1569, il titolo di etmano indicò invece sempre un capo militare e politico di vastissimi poteri ma secondo sempre al sovrano per autorità.
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Re: Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Messaggioda Berto » sab gen 07, 2023 9:23 pm

L’UCRAINA ORIENTALE NON È RUSSIA
intervista a Giovanna Brogi Bercoff*
Massimiliano Di Pasquale
*Pubblicata in versione diversa e con il titolo “L’illusione degli ucraini sul nazismo durò solo qualche settimana” sul quotidiano La Stampa il 13 marzo 2014

https://www.facebook.com/forzaucraina.i ... hrbfQmJKrl

Giovanna Brogi Bercoff, professore ordinario di slavistica presso l’Università di Milano, direttrice della rivista Studi Slavistici e presidente dell’AISU (Associazione Italiana di Studi Ucrainistici), parla della grave crisi tra Russia e Ucraina e aiuta a inquadrare le complesse vicende di queste settimane in un’ottica storico-culturale in cui grande peso hanno avuto le politiche di russificazione dell’Ucraina Orientale intraprese dalla Russia zarista dopo la storica battaglia di Poltava del 1709.

Professoressa Brogi, che spiegazione dà alla lettura russo centrica della crisi ucraina presente in vasti settori dell’establishment politico-culturale nel nostro Paese?
In parte la dimensione russo-centrica dell’Italia riflette il provincialismo e la scarsa cultura degli italiani, ma fondamentali restano motivi economici. Basti pensare ai rapporti tra ENI e il colosso energetico Gazprom. Non escluderei che l’amicizia personale tra Berlusconi e Putin abbia ancora una certa influenza, in considerazione della lentezza con cui in Italia cambiano idee e abitudini.

A proposito di politici, cosa pensa dell’editoriale scritto dall’ex premier Romano Prodi sul New York Times qualche settimana fa rispetto a ciò che succede in Ucraina?
Trovo sconcertante quello che ha detto. Prodi continua a perpetrare il vecchio mito dell’Unione Sovietica di quaranta anni fa. Molti politici e parte dell’opinione pubblica continuano a considerare ‘normale’ che la Russia agisca come un impero in cui i popoli non hanno diritto alla loro sovranità nazionale. Ed è ancora frequente la stessa pretestuosa spiegazione: gli ucraini sono fascisti! Perdura i molti personaggi l’inerzia ideologica e mentale per cui i russi vengono considerati i ‘buoni’ e progressisti, e gli ucraini come filofascisti. Sul Majdan di Kiev erano rappresentate da milioni di persone per 4 mesi tutte le tendenze dell’opposizione al corruttissimo governo di Yanukovych, ma molti in Italia continuano a dire che i manifestanti sono dominati dalla destra e sono estremisti fascistoidi. O non sanno leggere, o non vogliono allontanarsi da certi stereotipi che magari fanno comodo a qualcuno. Tutto questo senza tenere in alcun conto che il paese è indipendente da 23 anni ed è cambiato, si è evoluto e nella stragrande maggioranza non ne vuol sapere di prendere ordini da Mosca. Permane in Italia il mito della Russia.

Cosa intende esattamente per mito della Russia?
C’è un mito di natura culturale, pensiamo alla letteratura o la musica. Anche la Slavistica è da sempre dominata dalla Russistica. In questi ultimi anni il numero degli studenti di russo è raddoppiato, in certi casi triplicato creando grossi problemi didattici e organizzativi perché mancano insegnanti qualificati. Fra le cause di questo aumento è la speranza di trovare lavoro grazie all’intensificazione dei rapporti economici e commerciali, ma forse questo interesse per gli studi russi è anche frutto della propaganda che sta facendo la fondazione Russkij Mir, finanziata direttamente da Mosca, stabilendo accordi con i vari istituti. I docenti delle università accettano gli aiuti offerti da questa fondazione perché offrono soldi e infrastrutture (computer etc). Negli ultimi tempi sono molto attivi, fanno conferenze, si danno da fare. Poi naturalmente ci sono tanti russi che vengono in Italia e portano soldi. Milano, Roma, Venezia, la Versilia, la costa Adriatica sono piene di russi. Tutto questo pesa visto, che l’Italia è economicamente in crisi.

Come mai testate che in politica interna sono su posizioni antitetiche come Il Giornale e Il Manifesto offrono la stessa lettura degli avvenimenti a Kiev e in Crimea?
È una combinazione di inerzia mentale, retaggi sovietici e interessi economici. Per quanto riguarda Il Giornale pesa forse anche l’amicizia Putin-Berlusconi.

Pensa che l’AISU poteva fare di più per fare conoscere le specificità culturali di questo paese?
Non so se l’AISU poteva fare di più, credo di no. La verità è che non siamo tanti e non abbiamo disponibilità economiche e influenze politiche. Inoltre anche tra di noi sono pochi quelli che conoscono veramente bene il paese e che sono stati in Ucraina. Quando veniamo interpellati diciamo la nostra, ma c’è un muro di gomma anche sul fronte informativo, a parte qualche trasmissione radiofonica ben fatta tipo quelle di Radio 3 della RAI dove c’è spazio per l’approfondimento. Anche i grandi giornali come il Corriere della Sera hanno un livello disomogeneo. Accanto ad analisi serie come quelle di Franco Venturini o Panebianco pubblicano articoli, come quelli di Sergio Romano, faziosi e smaccatamente filorussi. Alcuni buoni articoli sono apparsi sulla Stampa di Torino. Alcuni buoni interventi vengono fatti da Mentana e da LA7 in generale.

Come mai in Italia più che altrove continua a resistere lo stereotipo dell’ucraino fascista?
Non so perché, forse per ignoranza! In realtà è stato calcolato dagli storici che circa il 10% della popolazione ucraina è stata collaborazionista. Naturalmente non è poco, e sono la prima a riconoscere che in Ucraina esiste ancora un diffuso antisemitismo. È però notevole che al movimento di Majdan partecipano attivamente le comunità ebraiche ucraine e per la prima volta c’è una vera collaborazione fra ucraini ed ebrei. Comunque l’antisemitismo ucraino è sicuramente secondo a quello russo. I pogrom di fine ‘800 erano fatti dai russi non dagli ucraini! I pogrom di cui scrive Isaak Babel della famosa Armata a Cavallo erano russi, non ucraini. Ricorderei anche che il collaborazionismo in Francia, in Belgio e in Italia era sicuramente superiore al 10% però nessuno oggi definisce francesi, belgi, italiani dei nazisti. E i pogrom polacchi di Kielce, nessuno se li ricorda? Gli unici ad essere ancora bollati di fascismo sono gli ucraini! Tengo a precisare che l’illusione ucraina che il nazismo li avrebbe liberati dallo stalinismo è durata poche settimane. Dai nazisti gli ucraini hanno subito persecuzioni e deportazioni poco meno che i polacchi. Tant’è che il tanto demonizzato dai russi leader dell’UPA Stepan Bandera fu incarcerato dai nazisti e poi morì per mano sovietica.

Oksana Zabuzhko nel suo ultimo libro sostiene che sono stati proprio i comitati di autodifesa dei partigiani ucraini nel dopoguerra a impedire al regime sovietico di perpetrare una strategia di genocidi nell’Ovest del paese come quella che si ebbe nel 32-’33 con lo Holodomor che avrebbe distrutto l’Ucraina per sempre. Lei cosa ne pensa?
Non ho ancora letto il libro di Zabuzhko ma concordo sul fatto che la popolazione di Galizia e Volinia, che era vissuta sotto polacchi e austriaci e che fu inglobata nell’URSS solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, abbia resistito con grande forza alla russificazione e abbia ostacolato fortemente le politiche di russificazione della cultura ucraina. Se i sovietici fossero riusciti a sovietizzare e russificare anche queste terre lo spirito e la cultura di una nazione avrebbero avuto maggiori difficoltà a sopravvivere.

Cosa risponde ai tanti italiani che identificano i russofoni con i russi o sostengono che l’Ucraina orientale è Russia?
C’è grande ignoranza e in alcuni casi disonestà intellettuale. L’uso di due lingue non è facilmente comprensibile e si tende a semplificare, anche fra gli “intellettuali”. Dopo il 1709 e la sconfitta di Mazepa a Poltava, è iniziata nell’Ucraina centro-orientale una forte russificazione. I primi provvedimenti hanno riguardato proprio il divieto di usare la prima lingua letteraria che si era formata nel Seicento: non era esattamente l’ucraino moderno ma lo poteva diventare. Nell’Ottocento, l’opera poetica del poeta nazionale Shevchenko divenne oggetto di critica perché un grande poeta non doveva scrivere in ucraino, considerato dialetto del russo, ma solo in russo. Nel 1863 e 1876 furono emessi dei veri e propri ukaze per proibire l’uso letterario della lingua ucraina e la stampa di opere e riviste. Spesso scrittori dell’Ucraina sottoposta allo zar che volevano pubblicare opere in ucraino potevano farlo solo a Leopoli, nella Galizia asburgica. Questo è durato fino alla rivoluzione del 1905 quando il divieto venne abolito. Dal 1927 in poi ricominciarono le politiche di russificazione/sovietizzazione volute da Stalin: furono fucilati subito circa un centinaio dei migliori scrittori, artisti e intellettuali ucraini. Molte altre centinaia furono spediti nei Gulag. Chi scrive con superficialità che Kharkiv è una città russa farebbe meglio a studiare la storia.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Messaggioda Berto » sab gen 07, 2023 9:24 pm

NESTOR MACHNO E LA MACHNOVŠČINA
IL SOGNO ANARCHICO DEL CONTADINO UCRAINO CHE PROVÒ A COSTRUIRE UNA SOCIETÀ DI LIBERI E DI UGUALI

https://www.facebook.com/alessandro.man ... b3SqEAF82l

Fino alla dissoluzione dell'Unione Sovietica Nestor Machno veniva definito un bandito in patria. Eppure la sua parabola e le sue gesta avevano suscitato l'entusiasmo e la speranza di una vita migliore di e per centinaia di migliaia di contadini e più in generale di appartenenti alle classi sociali più svantaggiate dell'Ucraina.
Era nato nel 1888 a Huljajpole nell'oblast di Zaporižžja, figlio di un ex servo della gleba. Fin da ragazzo, sulla scia degli eventi della rivoluzione del 1905, si avvicinò al movimento anarchico, che a quel tempo era piuttosto diffuso nell'impero russo viste le drammatiche diseguaglianze sociali presenti e il carattere autoritario e oppressivo dello Stato.
Nel 1918 divenne il leader della guerra partigiana contadina nella sua regione contro gli occupanti Austriaci e il regime dell'Atamano Skoropads'kyj. Va detto che per Machno la questione sociale, l'inseguimento di una assoluta uguaglianza rivoluzionaria, furono sempre al primo posto, a discapito dell'ideale nazionale. Da vero anarchico concepiva gli Stati come retaggi del passato da superare. Da qui i suoi rapporti a dir poco freddi con i Petljuristi, ad eccezione di rari e brevi momenti di alleanza tattica. I suoi nemici principali erano comunque i controrivoluzionari dell'Armata russa Bianca guidata prima da Denikin e poi da Wrangel.
Drammatico e in fondo ingenuo il suo altalenante rapporto con i bolscevichi. Pur avendone presto compreso la natura dittatoriale e la tendenza a costruire un apparato statale burocratico oppressivo, riteneva che fosse obbligatorio allearsi con loro per battere le forze controrivoluzionarie. I bolscevichi ne approfittarono per utilizzare le forze di Machno contro i Bianchi, salvo perseguitare i machnovisti non appena non servivano più e quando i rapporti di forza lo consentivano. Vi era infatti una differenza di fondo tra il modo di pensare di Machno e quello del nascente regime sovietico. Per il primo la rivoluzione doveva essere democratica e autogestita dal basso, per i secondi ben presto si impose l'idea del c.d. comunismo di guerra che implicava una rigida catena di comando dall'alto verso il basso.
Malgrado gli sconvolgimenti della guerra, Machno riuscì a più riprese tra il 1918 e il 1920 a controllare una vasta area dell'Ucraina che aveva al centro la sua cittadina natale. Il suo movimento fu chiamato machnovščina, caratterizzato da spinte libertarie e da una sperimentazione di cooperazione economica dal basso secondo i principi dell'anarchismo. Ebbe l'appoggio della maggioranza della popolazione locale, in particolare dei contadini, che erano esasperati dalle requisizioni di grano attuate dall'Armata Rossa, la quale da questo punto di vista si comportava a volte peggio dei Bianchi.
Una volta sconfitti questi ultimi nel loro ultimo bastione in Crimea i bolscevichi gettarono definitivamente la maschera e si avventarono contro Machno, l'alleato scomodo che non serviva più e che anzi costituiva dal loro punto di vista una gravissima minaccia. La machnovščina infatti rappresentava l'esempio concreto di una società egualitaria non oppressa da un rigido apparato burocratico.
Nel 1921 Machno diede a lungo filo da torcere ai bolscevichi con una intensa attività di guerriglia, ma alla fine il suo movimento fu soffocato con la forza. Machno fu costretto a riparare prima in Romania, poi in Polonia e infine in Francia, dove morì nel 1934. Durante gli anni dell'esilio non rinunciò all'attività politica continuando a frequentare gli ambienti dell'anarchismo internazionale.
Mi ha colpito, leggendo le gesta di questo personaggio di rilievo della storia contemporanea dell'Ucraina, vedere come la sua principale base di azione si trovasse negli stessi luoghi dove si svolge la guerra attuale, tra Cherson, Zaporižžja, Charkiv, il Donbass e le città costiere del Mar d'Azov. Malgrado le innegabili differenze e il tempo trascorso, forse da quelle parti qualcosa è rimasto dell'indole intimamente libertaria di Bat'ko Machno, così diversa dallo spirito autocratico e dirigista russo (non importa se declinato in salsa zarista, bolscevica o putiniana). Chissà, anche questo spiega la volontà di resilienza del popolo ucraino? Secondo me si.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Messaggioda Berto » sab gen 07, 2023 9:25 pm

Un demenziale adoratore di Putin

Ecco l'intervista che ho rilasciato a "L'indipendente", ditemi cosa ne pensate nei commenti
Nicolai Lilin
5 gennaio 2022

https://www.facebook.com/nicolai.lilin/ ... EMuhen6M1l

Ucraina, la vera storia: già dal titolo del libro lei lascia intendere che esista una storia ampiamente diffusa ma falsa, che il testo si occupa di confutare. Quali sono le informazioni parziali o le menzogne che hanno contribuito a distorcere la conoscenza dell’opinione pubblica sulla guerra in corso?
Ciò che noi in Italia conosciamo dell’Ucraina è un insieme di informazioni distorte, derivate dalla nostra incapacità occidentale di esprimere in maniera coerente i processi geopolitici che hanno avuto luogo in Unione Sovietica dopo il crollo del comunismo. La storia dell’Ucraina non è conosciuta come questo momento storico richiederebbe, tanto meno da parte di chi si lancia in facili analisi. Con questo libro volevo dare la possibilità alle persone, politici e giornalisti, di affacciarsi a questa situazione. Quando è cominciata questa guerra è stato chiaro che gran parte di loro non sapesse niente dell’Ucraina, tanto che alcuni in diretta televisiva commettevano errori geografici, non riuscendo a capire dove si trovavano certe regioni o sbagliandone la pronuncia, o senza saper indicare dove fosse l’Ucraina sulla cartina. Si tratta da un lato di una palese mancanza di informazione, dall’altro di pregiudizi culturali legati all’epoca del crollo dell’Unione Sovietica, in base ai quali in Occidente abbiamo un’immagine dell’Ucraina come Paese libero invaso dall’Impero.
L’Ucraina prima della metà del diciannovesimo secolo non è esistita. Era una regione dell’Impero russo e aveva il nome di Malorossiya, ovvero Piccola Russia. Anche geograficamente era diversa da com’è oggi. Per parlare della guerra attuale è necessario conoscere le basi della Storia. Nel mio libro ho cercato di spiegarle, raccontando a grandi linee la creazione dell’Ucraina, avvenuta in due fasi ben distinte.
La prima riguarda la creazione dell’identità dell’Ucraina, ovvero quando i suoi abitanti – prima definiti russini – hanno cominciato a chiamarsi ucraini. Questo è avvenuto dopo il 1863, con il fallimento della seconda rivoluzione polacca nella quale gli intellettuali polacchi, che ebbero la peggio contro il regime zarista russo, cominciarono a fare un lavoro propagandistico nelle regioni remote dell’impero. In questo modo corruppero il potere zarista nelle regioni vicine all’Impero austro-ungarico, vicino alla Polonia. Nacque così il movimento detto ucrainofilo e, di conseguenza, l’identità ucraina: per mano dei polacchi, e con il sostegno economico e militare degli austro-ungarici. Fu un lavoro di propaganda unito alle minacce di interventi sul territorio contro i contadini, i quali furono così costretti a cambiare la loro identità. La seconda parte inizia nel 1917, quando arrivarono i comunisti e fu creata l’Unione Sovietica. Data la loro visione multiculturale, socialista e internazionalista della società, i comunisti fecero di tutto per far emergere, all’interno dell’Impero russo, le differenze etniche mentre l’Impero cercava di spianarle. Per i comunisti la questione dell’etnia divenne fondamentale, tanto che uno dei primi e più brillanti lavori di Stalin fu La questione nazionale, nel quale viene spiegata la visione del comunismo internazionalista. Fu in base a questo che furono creati tutti i Paesi asiatici ex sovietici (Turkmenistan, Kazakistan, Kurdistan eccetera) e così è stata creata anche l’Ucraina. Nel 1917, grazie a personaggi storici come Lenin, Kaganovic e Stalin, l’Ucraina divenne una struttura geopolitica, seppure con confini molto diversi da oggi. Poi fu creato il governo ucraino. La creazione dell’Ucraina è avvenuta all’interno dell’Unione Sovietica, perché è uno Stato appendice creato dal partito comunista in funzione geopolitica. Questa, a grandi linee, è la storia dell’Ucraina che non viene raccontata in occidente e che dovremmo avere bene in testa per comprendere perché in questi territori adesso c’è una guerra sanguinosa, quest’euforia dei nazionalisti contrapposta ai filorussi fedeli ai vecchi simboli del comunismo. Per capirlo dobbiamo partire dalla storia.

Un approccio del genere, tutto incentrato sulla genesi storica della nazione ucraina, non rischia di tramutarsi in una negazione del suo stesso diritto all’indipendenza? I nazionalisti russi si appoggiano proprio alla storia per sostenere come l’Ucraina, in fondo, sia nient’altro che una propaggine di Mosca incidentalmente e momentaneamente indipendente. Lei ritiene che l’Ucraina abbia diritto a esistere come nazione indipendente?
Senza dubbio, l’Ucraina ha il diritto ad esistere come nazione indipendente. Ma è importante conoscere le condizioni per le quali l’Ucraina ha perso la sua indipendenza dal 1991. La tragedia di questo Paese, come spiego nel libro, sta nel fatto che prima del 1991 non è mai stata indipendente e non ha potuto coltivare una cultura politica indipendente. È importante comprendere che si tratta di un Paese differente, ad esempio, dai Paesi baltici, dove vi è un’etnia dominante. L’Ucraina è divisa grossomodo in tre fazioni. La prima corrisponde alla zona occidentale di Galizia, dove abitano le persone che guardano più agli ideali occidentali, ai polacchi, all’impero austro-ungarico, a quello rumeno e anche al cattolicesimo. Attraverso la Polonia e l’Austro-Ungheria la Chiesa cattolica entrò in quelle zone e fece molti adepti. La zona centrale è invece stata storicamente dominata da diverse nazione, mentre la zona a sud-est è abitata a stragrande maggioranza da persone di etnia russa che pensano che la Russia sia la loro patria. Il Paese ha diverse identità al suo interno, staccate dopo il crollo dell’Urss senza che vi fosse un governo forte né una cultura indipendentista. Per questo sin da subito l’Ucraina è stata oggetto di speculazioni, tanto interne quanto esterne. Mentre provavano a ottenere l’indipendenza arrivano al potere gruppi nazisti, cominciava una guerra civile, il Paese diventava preda delle mire imperialistiche dei russi da una parte e delle manipolazioni statunitensi dall’altra. Si tratta di un caos in buona parte dovuto proprio alla mancanza di una cultura dell’indipendenza.

Questo conflitto era inevitabile per via delle diverse coscienze nazionali presenti nella nazione? O forse con una gestione più rispettosa dei diritti delle varie minoranze – a partire da quella in Donbass dove, lo ricordiamo, era in corso già dal 2014 una guerra civile – sarebbe stato possibile evitare questa escalation e magari anche l’invasione russa?
La questione della differenza etnica all’interno di uno Stato non è mai un problema se esiste una cultura politica in grado di mandare avanti un Paese con questo tipo di struttura sociale. La differenza etnica diventa problematica quando ci sono in gioco forze politiche che la usano per creare contrasti all’interno della società e portare avanti programmi legati alla guerra, agli scontri, alla destabilizzazione della situazione interna del Paese. L’abbiamo visto in Jugoslavia: in Ucraina è accaduto lo stesso. Qui il problema non è la diversità etnica interna, quanto il fatto che Paesi potenti si sono interessati all’Ucraina e hanno deciso di sfruttare questa diversità, che potrebbe essere una risorsa per il Paese. Se manca una classe politica in grado di gestire questo tipo di struttura sociale, arrivano forze esterne interessate che investono nel fomentare la guerra tra le etnie interne allo Stato. Questa è l’Ucraina dal momento del crollo dell’Unione Sovietica: l’occidente non ha fatto altro che favorire i nazionalismi e portare allo scontro. Un conflitto che è anche culturale, tra due modelli di vita: quello occidentale e quello russo. Quest’ultimo è un modello che ancora conserva una visione di vita basata sulla coscienza sindacale – sviluppata con la cultura sovietica – per la quale tutti erano uguali e godevano di uguali diritti, tutti dovevano lavorare allo stesso modo per vivere, dove non c’erano ricchi né poveri ma una classe media nella quale tutti avevano uguali diritti sociali indipendentemente dall’etnia e dalla provenienza. Non esistevano classi. Questi due sistemi, insieme con le etnie e tutte le stratificazioni sociali di cui abbiamo parlato, sono entrati in guerra tra di loro quando gli USA hanno pagato, organizzato e portato avanti il cambio illegale del governo ucraino, quello che avvenne nel 2014. Il popolo era martoriato dalla propaganda e dalle difficoltà economiche dovute alla criminalità e alla corruzione del proprio governo il quale, dal momento del crollo dell’Unione Sovietica, non ha fatto altro che rubare. C’era scontento della popolazione nei confronti di una classe politica che non risolveva le questioni in maniera diplomatica, attraverso un percorso costituzionale: gli USA hanno sostenuto un colpo di Stato e hanno portato così al potere i nazionalisti, legalizzando di fatto il nazismo. Oggi mi sento di dire che il problema più grave in Ucraina è la totale legittimazione del nazismo hitleriano.

In questo conflitto culturale e di visione di società nascono anche le spinte indipendentiste del Donbass?
Sì, dopo il colpo di stato del 2014 quella parte di Paese costituita da russofoni con una cultura tipicamente molto lontana dai loro concittadini che guardano ad occidente, si è ribellata verso il nuovo governo centrale. Inizialmente non hanno chiesto la separazione e non sono voluti andare in Russia: hanno chiesto il riconoscimento di uno statuto speciale con una rappresentanza parlamentare e il riconoscimento del russo come lingua regionale. Invece, la prima legge che hanno fatto i parlamentari della nuova coalizione portata al potere dagli americani è stata quella di togliere alla lingua russa lo statuto ufficiale. Lì è stato fatto un primo passo verso la guerra: la popolazione ha capito che doveva difendersi dal proprio governo. La problematica dell’Ucraina oggi non è etnica, come vogliono farci credere i media, ma deriva dal fatto che USA e NATO hanno investito in un nazionalismo che ha schiacciato le minoranze. Senza di loro non vi sarebbe stata nessuna guerra, se ci fosse stato un esecutivo in grado di governare oggi forse l’Ucraina sarebbe uno dei Paesi più ricchi d’Europa. Ma non è stato così.

È lecito in qualche modo affermare che cultura russa e ucraina siano gemelle che si è tentato a un certo punto di separare?
Non sono gemelle, sono proprio la medesima cultura. Almeno fino a quando l’Ucraina non ha deviato dalla cultura russa su pressione occidentale. Se si legge ad esempio La guardia bianca di Bulgakov questo emerge chiaramente.

Anche se la narrazione mainstream tende a raccontare il sistema di potere ucraino come una democrazia compiuta quasi di stampo liberale, sappiamo invece che nel Paese hanno peso specifico notevole gli oligarchi. Lo stesso Zelensky è un ex attore comico entrato in politica come prodotto di un disegno oligarchico. Inoltre i giornalisti in Ucraina vivono in un regime di censura e diversi di essi sono scomparsi o sono stati uccisi in strane circostanze, anche ben prima dell’inizio della guerra. Anche in questo Ucraina e Russia sono Paesi molto simili?
No, sono totalmente differenti. La Russia è un Paese autoritario, dove gli oligarchi non esistono più da tempo. Solo una certa narrazione occidentale continua a straparlare degli oligarchi russi. Putin li ha fatti uccidere tutti, quelli rimasti sono stati privati delle loro intenzioni oligarchiche – e quindi politiche – e si sono trasformati semplicemente in uomini molto ricchi. Il potere lo detiene Putin e sotto di lui vi sono i servizi, l’esercito e così via: la struttura politica è totalmente sotto il suo controllo. Gli oppositori possono esprimersi, ma fino a un certo punto. L’Ucraina è un Paese dove non c’è mai stato un presidente o un leader politico come può essere Putin per la Russia e allo stesso tempo non è neppure una democrazia compiuta. È un Paese dominato da grandi sistemi oligarchici, dove le famiglie potenti tengono sotto controllo l’esercito, i servizi segreti, e in buona sostanza il governo stesso.

Qual è il peso specifico dei gruppi neonazisti nella società e nel sistema di potere politico ucraino?
Un gruppo di estremisti non può disegnare la politica di un intero Paese. In tutti gli Stati esistono estremismi, persino in Russia. In Ucraina il problema principale non sono gli estremisti, ma la loro unione con le strutture governative. I nazisti sono nel governo e persino nell’esercito, dove hanno integrato illegalmente simboli del Terzo Reich. Il problema è che personaggi come Stepan Bandera e Roman Shukhevych, dei quali l’Ucraina dovrebbe vergognarsi, sono venerati a livello statale. Il primo è diventato ufficiale delle SS, il secondo comandante del battaglione Nachtigall, composto dai tagliagole dei criminali nazisti che hanno compiuto crimini atroci. A Kiev ogni anno si festeggia alla presenza di rappresentanti di Stato la fondazione della divisione, ci sono foto e video amatoriali come prova. In Ucraina ci sono cittadini che credono che il nazismo sia un valore antisovietico per permette loro di raggiungere le vette della democrazia occidentale: si tratta di propaganda inculcata a partire dal crollo del comunismo, quando il Paese doveva creare la propria ideologia e la propria propulsione storica. Non avendo il tempo di crearne una hanno attinto dal passato e quella che contrastava il comunismo era il nazismo.

Quindi il problema non è tanto la presenza più o meno forte di gruppi espressamente neonazisti ma il fatto che l’ideale neonazista è culturalmente egemone in Ucraina?
Certo. Le persone sostengono il nazismo. Nel centro di Kiev vi sono monumenti a Shukhevych, le strade portano il nome di militari nazisti e su questo nessuno se non sparute minoranze ha nulla da ridire.

Come risponde ad alcuni detrattori che hanno definito il suo libro come un testo che sembra scritto “dall’ufficio stampa del Cremlino”?
Io ragiono in maniera obiettiva, senza entrare nelle trincee ideologiche. Io non sostengo affatto Putin, ma questo non significa che io debba andare a braccetto con i nazisti ucraini e con Zelensky, cose che invece la gran parte degli analisti che hanno accesso ai canali di comunicazione ufficiali in Italia fa. Io ho le mie opinioni, che si basano su studi seri che ho fatto della storia. Ciò che dico sono in grado di argomentarlo, non sono posizioni per partito preso. Quindi accetto le critiche in quanto tali, ma non le diffamazioni, concetti che nella cultura occidentale spesso si confondono. Io vorrei animare un dibattito costruttivo basato sulle argomentazioni, invece mi trovo davanti persone abbagliate dalla propaganda di regime, che rispondono con opinioni e diffamazioni. Quando ho scritto il libro su Putin alcuni critici sostenevano che fossi un venduto alla NATO, ora chi sostiene i nazisti in Ucraina mi critica perché credono si tratti di un Paese democratico, quando io dimostro in maniera scientifica che non è così. E si arrabbiano, perché scoprono di essere in torto.
Ultima cosa: come immagina la fine del conflitto in Ucraina?
La storia ci ha insegnato che tutte le guerre hanno una fine e io sono sicuro che anche questa finirà con un accordo. L’unico problema è capire quante persone dovranno ancora morire, quanta sofferenza e distruzione dovrà ancora subire il popolo. Da aprile e maggio in Ucraina combatte la NATO: l’Ucraina è stata sconfitta dalla Russia nei primi tre mesi della guerra, ora è la NATO a combattere usando carne da cannone ucraina. Questa guerra è combattuta tra la Russia, gli USA e 23 Paesi dell’Unione europea, quindi sono questi soggetti che dovranno sedersi al tavolo per trovare un accordo. L’opinione dell’Ucraina, in tutto questo, sarà irrilevante.



Alberto Pento

Questo testo inizia il suo racconto della storia dell'Ucraina partendo dalla metà del diciannovesimo secolo e ciò rende la storia del racconto una storia monca e insensata, manipolata e falsificata.
In verità la storia dell'Ucraina o meglio di quell'area etnogeografica oggi chiamata Ucraina è innanzitutto radicata nella preistoria e poi si sviluppa variamente nel primo millennio dopo Cristo e nel secondo come Russia di Kijv prima ancora dell'esistenza della Russia di Mosca che nasce qualche secolo dopo.
Poi il demenziale racconto prosegue definendo l'Indipendenza dell'Ucraina dalla Federazione Russa, sancita dal libero Referendo del 1991 come una perdita dell'indipendenza.
Ciò rende il racconto del tutto inaffidabile e chiaramente menzognero, di una ignoranza terrificante.


Ecco un elenco delle demenzialità e delle falsità più rilevanti del racconto:

1)
L’Ucraina prima della metà del diciannovesimo secolo non è esistita. Era una regione dell’Impero russo e aveva il nome di Malorossiya, ovvero Piccola Russia.
2)
Si tratta da un lato di una palese mancanza di informazione, dall’altro di pregiudizi culturali legati all’epoca del crollo dell’Unione Sovietica, in base ai quali in Occidente abbiamo un’immagine dell’Ucraina come Paese libero invaso dall’Impero.
3)
Senza dubbio, l’Ucraina ha il diritto ad esistere come nazione indipendente. Ma è importante conoscere le condizioni per le quali l’Ucraina ha perso la sua indipendenza dal 1991. La tragedia di questo Paese, come spiego nel libro, sta nel fatto che prima del 1991 non è mai stata indipendente e non ha potuto coltivare una cultura politica indipendente.
4)
Mentre provavano a ottenere l’indipendenza arrivano al potere gruppi nazisti, cominciava una guerra civile, il Paese diventava preda delle mire imperialistiche dei russi da una parte e delle manipolazioni statunitensi dall’altra. Si tratta di un caos in buona parte dovuto proprio alla mancanza di una cultura dell’indipendenza.
5)
Questi due sistemi, insieme con le etnie e tutte le stratificazioni sociali di cui abbiamo parlato, sono entrati in guerra tra di loro quando gli USA hanno pagato, organizzato e portato avanti il cambio illegale del governo ucraino, quello che avvenne nel 2014. Il popolo era martoriato dalla propaganda e dalle difficoltà economiche dovute alla criminalità e alla corruzione del proprio governo il quale, dal momento del crollo dell’Unione Sovietica, non ha fatto altro che rubare. C’era scontento della popolazione nei confronti di una classe politica che non risolveva le questioni in maniera diplomatica, attraverso un percorso costituzionale: gli USA hanno sostenuto un colpo di Stato e hanno portato così al potere i nazionalisti, legalizzando di fatto il nazismo. Oggi mi sento di dire che il problema più grave in Ucraina è la totale legittimazione del nazismo hitleriano.
6)
Sì, dopo il colpo di stato del 2014 quella parte di Paese costituita da russofoni con una cultura tipicamente molto lontana dai loro concittadini che guardano ad occidente, si è ribellata verso il nuovo governo centrale. ... La problematica dell’Ucraina oggi non è etnica, come vogliono farci credere i media, ma deriva dal fatto che USA e NATO hanno investito in un nazionalismo che ha schiacciato le minoranze. Senza di loro non vi sarebbe stata nessuna guerra, se ci fosse stato un esecutivo in grado di governare oggi forse l’Ucraina sarebbe uno dei Paesi più ricchi d’Europa. Ma non è stato così.
7)
È lecito in qualche modo affermare che cultura russa e ucraina siano gemelle che si è tentato a un certo punto di separare?
Non sono gemelle, sono proprio la medesima cultura. Almeno fino a quando l’Ucraina non ha deviato dalla cultura russa su pressione occidentale. Se si legge ad esempio La guardia bianca di Bulgakov questo emerge chiaramente.
8)
Qual è il peso specifico dei gruppi neonazisti nella società e nel sistema di potere politico ucraino?
Un gruppo di estremisti non può disegnare la politica di un intero Paese. In tutti gli Stati esistono estremismi, persino in Russia. In Ucraina il problema principale non sono gli estremisti, ma la loro unione con le strutture governative. I nazisti sono nel governo e persino nell’esercito, dove hanno integrato illegalmente simboli del Terzo Reich. ...
9)
. Da aprile e maggio in Ucraina combatte la NATO: l’Ucraina è stata sconfitta dalla Russia nei primi tre mesi della guerra, ora è la NATO a combattere usando carne da cannone ucraina. Questa guerra è combattuta tra la Russia, gli USA e 23 Paesi dell’Unione europea, quindi sono questi soggetti che dovranno sedersi al tavolo per trovare un accordo. L’opinione dell’Ucraina, in tutto questo, sarà irrilevante.




DALLA RUS' DI KIEV ALLA RUSSIA DI PUTIN: PERCHÉ GLI UCRAINI TENGONO ALL'INDIPENDENZA
di Antonio Polito, Il Corriere della Sera
28 marzo 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

La Rus’ è nata a Kiev, tra il IX e il X secolo dopo Cristo; fu la più antica forma di stato degli slavi orientali. Il suo sovrano Vladimir è passato alla storia per essersi convertito nel 988 al Cristianesimo insieme al suo popolo. Per questo è venerato come santo. Quindi Putin porta oggi il nome di un principe di Kiev, come del resto il suo avversario Zelensky.
Mosca nacque solo molto dopo - è citata per la prima volta alla data del 1147 - come avamposto militare di uno dei principati in cui si era divisa la Rus’. Ma dopo la lunga dominazione mongola - il “giogo tartaro” - emerse come il centro del principato della Moscovia, e con la caduta di Costantinopoli (1453) cominciò a fregiarsi del titolo di «Terza Roma», erede cioè sia dell’impero romano di Occidente e di Oriente.
Kiev passò sotto il controllo di Mosca soltanto nel 1667, e non con una conquista ma con la diplomazia e l’inganno. I cosacchi ortodossi, ribellatisi ai polacchi per difendere la loro indipendenza, chiesero aiuto alla ortodossa Moscovia. Aleksej, il primo principe russo a lasciare il paese per combattere all’estero, sconfisse i polacchi e nel trattato di pace ottenne per due anni il controllo di Kiev. Non lo lasciò mai più. Toccò poi un secolo dopo a Caterina II la Grande il compito di completare l’opera, smembrando la Polonia e annettendosi l’Ucraina meridionale, la Crimea e la Polonia orientale. La zarina affidò a un suo favorito la fondazione del porto di Odessa sul Mar Nero, una sorta di contraltare della magnifica San Pietroburgo che lo zar Pietro il Grande aveva fatto costruire sul Mar Baltico. L’accesso ai «mari caldi», navigabili cioè anche d’inverno, è stato infatti il primo obiettivo strategico degli zar, e ancora oggi si combatte sulle sponde del Mar d’Azov, dove Pietro il Grande schierò la prima flotta della storia russa.
L’anelito all’indipendenza degli ucraini fu duramente represso nell’Ottocento, con il divieto delle pubblicazioni nella lingua nazionale. La regione andò poi persa con la disfatta del regime zarista nella Grande Guerra. Quando i bolscevichi presero il potere con la Rivoluzione di Ottobre nel 1917, decisero di mettere fine al conflitto con gli Imperi centrali. Così, nella pace di Brest-Litvosk nel 1918, rinunciarono a tutti i territori occidentali, tra cui l‘Ucraina, che fu occupata dai tedeschi e tornò nelle mani dei nazionalisti. Solo dopo la fine della guerra civile Kiev entrò a far parte nel 1922 dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Ma è proprio durante l’epoca sovietica che gli ucraini hanno conosciuto quella che forse è la loro peggiore tragedia nazionale. La grande carestia, passata alla storia come Holodomor, fu provocata da Stalin per imporre la sua politica di «collettivizzazione» delle terre e liberarsi della classe dei «kulaki», i contadini indipendenti. L’Ucraina oppose una strenua resistenza, e nel 1932-1933 le autorità di Mosca deliberatamente l’affamarono, esportando o nascondendo il cibo ai contadini. Si registrarono anche casi di cannibalismo. Le vittime complessive della carestia superarono i 4 milioni.
Anche per questo, quando le armate hitleriane invasero l’Ucraina marciando contro l’Urss, furono spesso accolte come liberatori dagli ucraini: in realtà portarono solo altra morte e devastazione.
Dopo il collasso dell’Urss, nel 1991, e di nuovo a Brest (dove anche in questa guerra si sono svolti colloqui di pace) l’Ucraina dichiarò la sua indipendenza, insieme con la Federazione russa e la Bielorussia, confermata da un referendum popolare che vinse anche nell’est del paese. Con gli accordi del 1994 accettarono di consegnare alla Russia le testate nucleari presenti sul loro territorio in cambio della garanzia di integrità territoriale.
Il paese è rimasto a lungo diviso tra la parte occidentale, che voleva una maggiore integrazione con l’Europa, e la parte orientale più legata alla Russia. Nel 2008 la Nato accettò la richiesta di adesione di Kiev ma non vi ha mai dato seguito proprio per evitare la reazione di Mosca, che invece c’è stata comunque. Prima nel 2004 con la «rivoluzione arancione» e poi nel 2013 con il movimento chiamato Euromajdan , le forze pro-Europa hanno avuto il sopravvento, nonostante il tentativo di repressione del governo filo-russo nel 2013. Putin reagì a quello che definì un «colpo di Stato» con l’occupazione militare della Crimea e la sua annessione, e con il sostegno alle milizie dell’area orientale del Donbass, il bacino minerario, che dichiararono la nascita di due repubbliche separatiste.
Il resto è storia dei nostri giorni.


STORIA DEL CRISTIANESIMO ORTODOSSO A KYIV E A MOSCA DALL'867 AD OGGI
Omar Nadiv Mirzan Iacci
7 gennaio 2022

https://www.facebook.com/omar.mirzan/po ... WS11FKxZwl

Quest’anno il mio augurio di buone feste va sopra tutto agli amici parenti, compagni ucraini e a quegli italiani che hanno lasciato il cuore come me in Ucraina!
E vorrei dire a tutti voi: non lasciate che vi rubino il sorriso.
Che voi siate ortodossi, cattolici, ebrei o atei, siate forti e continuate a vivere perché presto arriverà la vittoria.
Non permettete ai moskal di sottrarvi neanche un giorno della vostra vita.
Anche se siete in lutto, uscite, combattete, vivete! E soprattutto a chi è cristiano ortodosso vorrei dire: non dimenticate la vostre usanze e le vostre tradizioni.
Non siete voi che dovete cambiare.

Perché non Mosca ma Kyiv fu la culla della cristianizzazione!
Pochi a Mosca ricordano o preferiscono dimenticare che fu per volontà di Volodimir Svjatoslavic detto il Grande, della dinastia UCRAINA dei Rjurikidi, Gran Principe di KYIV, nato a KYIV e morto a KYIV, che l’ortodossia divenne La Religione.
Fu grazie alla sua conversione e alla conversione della sua popolazione che si ebbe la diffusione ad Est di questa religione.
Il Cristianesimo arrivò per la prima volta a Kyiv con l'apostolo Andrea, che predisse la fondazione di una grande città cristiana.

Poi fu la volta del principe Askold.
Nell'867 il battesimo di Fozio (patriarca di Costantinopoli) fece divenire KYIV la prima sede episcopale della Chiesa russa (russa perché della Rus’).

Nel 945, la reggente di KYIV Olga venne battezzata cristiana.
988 VOLODIMIR E LA CRISTIANIZZAZIONE DEL RUS'
Dovremo attendere il 988 per una reale espansione del cristianesimo a Kyiv.
Un anno prima, i generali Barda Sclero e Barda Foca il Giovane si rivoltarono contro l’imperatore bizantino Basilio II avanzando su Costantinopoli.
Basilio II chiese aiuto a Volodimir, principe di Kyiv, che lo soccorse, chiedendo in cambio la mano di sua figlia Anna Porfirogenita. L’imperatore accolse la proposta, ma ad un’unica condizione: che Volodimir si convertisse al Cristianesimo.
Fu così che una volta sedata la rivolta, Volodimir fu battezzato a Cherson, si unì in matrimonio con rito cristiano alla figlia dell’imperatore e tornò a Kyiv per convertire nel fiume Dnepr i suoi dodici figli, i boiardi e tutti i vassalli del reame. Ordinò in seguito la distruzione delle statue lignee degli déi pagani.
Per commemorare la conversione, Volodimir innalzò la prima chiesa in pietra di Kyiv, che dedicò all'Assunzione della Vergine. Ne fece erigere una seconda sulla cima della collina, dove prima spiccavano le statue pagane.

KYIV quindi e non Mosca, che allora neppure esisteva, divenne capoluogo di una nuova provincia ecclesiastica, posta sotto la giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli.

1299 LA CAPITALE DEL CRISTIANESIMO ORTODOSSO SI TRASFERISCE A VLADIMIR
Fu solo 300 anni dopo, nel 1299, che la sede di questa ortodossia venne trasferita in una città dell’attuale Federazione Russa, Vladimir, città peraltro fondata dallo stesso Volodimir da cui prese il nome e capitale della Rus' dal 1169, quando Andrej Bogolyubsky di Vladimir-Suzdal saccheggiò Kyiv spodestando e uccidendo suo fratello Daniil, Gran Principe della Rus’.
Andrej, ignorando le regole della Russkaja Pravda, che imponevano che il Gran Principe dovesse rimanere a Kyiv, nominò suo fratello minore Gleb principe di Kyiv e fece ritorno a Suzdal’ e infine a Vladimir, che divenne la nuova capitale della Rus’.
Kyiv rimase però sede del potere ecclesiastico fino al 1299, quando il metropolita Massimo decise di abbandonare la città, invasa dai Tatari-Mongoli, cercando rifugio a Vladimir.

SCISSIONE IN DUE METROPOLIE: KYIV E VLADIMIR
I vescovi di Kyiv, Galizia e Volinia rifiutarono il trasferimento della sede religiosa a Vladimir e nel 1303 elessero un proprio metropolita, contrapposto a Massimo, che il patriarca di Costantinopoli, Atanasio I, non poté che accettare sancendo pertanto una scissione in due metropolie.
Nel 1325, Ivan I Danilovič, anch’esso della dinastia dei Rjurikidi, forte del sostegno militare e politico dell’Orda d’oro, fece trasferire la sede del metropolita di Kyiv, Pietro (nato in Volinia, area in cui ora sorgono, tra le altre, le città di Rivne e Lutsk), da Vladimir a Mosca, atto che rafforzò la sua autorità come principe di Mosca e che di fatto segnò l’inizio dell’ascesa di questa città come centro nevralgico del cristianesimo ortodosso.

RINASCITA DI KYIV
Dopo l’ingresso di Kyiv nel Granducato di Lituania (1362), avviene la sua graduale rinascita come centro spirituale e religioso. Da questo momento e per quasi un secolo Kyiv e Mosca elessero il proprio metropolita di Kyiv.
Nel 1433, dopo la morte di Fozio, metropolita di Kyiv e di tutta la Russia, il principe di Mosca decise di nominare metropolita Iona, vescovo di Ryazan (città dell’attuale Federazione Russa, a sud di Mosca). Ma, arrivato a Costantinopoli, Iona non ricevette l’approvazione del patriarca e fu nominato metropolita il protetto del Granduca di Lituania Svidrigaila , il vescovo Gerasim di Smolensk, allora parte del Granducato di Lituania.
Nel 1436 il patriarca ordinò metropolita di Kyiv Isidoro, sostenitore dell’unione delle chiese ortodosse e cattoliche procurandosi l’ostilità del metropolita e del principe di Mosca, il quale dopo l’Unione di Firenze (1441), lo arrestò come eretico, anche se in seguito riuscì a fuggire.

SCISSIONE DELLA METROPOLIA DI MOSCA DA COSTANTINOPOLI
Il principe di Mosca chiese a Costantinopoli di dare alla Rus’ un nuovo metropolita, ma il patriarca si rifiutò di farlo. Fu così che un consiglio di vescovi della Russia orientale, “per ordine del sovrano”, senza il consenso del patriarca di Costantinopoli, nominò nel 1448 il vescovo Iona di Ryazan metropolita di Kyiv e di tutta la Rus’.
Il metropolita eletto dopo la morte di Iona, Teodosio , portava già il titolo di metropolita di Mosca e di tutta la Russia.

UNIONE DI FIRENZE
Nel 1458 Isidoro rinunciò ufficialmente al titolo di metropolita di Kyiv in favore di un suo allievo, lo stesso sostenitore dell’Unione di Firenze, Gregorio il Bulgaro forse su pressione di Papa Callisto III.
Il Patriarca di Costantinopoli diede al metropolita di Kyiv (che ora comprendeva 11 diocesi: Kyiv, Bryansk, Smolensk, Polotsk, Turov, Lutsk, Vladimir-Volynsk, Brest, Przemysl, Galiziano e Kholmsk) un nuovo titolo: metropolita di Kyiv, Galizia e di tutta la Russia, titolo che rimase fino all’adesione della metropolia di Kyiv al Patriarcato di Mosca nel 1686.
I primi metropoliti di Kyiv, della Galizia e di tutta la Rus’, dopo la separazione da Mosca, furono sostenitori dell’Unione di Firenze e quindi vicini al Papa, ma mantennero legami con il Patriarca di Costantinopoli e tutti (tranne Misail) ricevettero l’approvazione dell’investitura a metropoliti da Patriarca.
L’ultimo metropolita sostenitore dell’Unione di Firenze fu il metropolita Iosif Bolgarinovich.

RIAVVICINAMENTO A MOSCA
Il principe lituano Alessandro, volendo avvicinarsi a Mosca, sposò la principessa moscovita Elena (figlia del granduca Ivan III il Grande).
Nel 1501, grazie al sostegno della principessa Elena, Iona II fu eletto metropolita di Kyiv, della Galizia e di tutta la Russia. Si oppose all’Unione di Firenze e recise ogni legame con Roma ed il papato.
Nel 1507 Iosif II Soltan divenne il nuovo metropolita ricevendo l’iniziazione dal Patriarcato di Costantinopoli.

PATRIARCATO DI MOSCA
Nel 1589 fu istituito il Patriarcato di Mosca, facendo del metropolita Giobbe il primo patriarca di Mosca e di tutta la Rus’. Durante il mezzo secolo successivo, quando lo zarismo era debole, i patriarchi (in particolare Germogeno e Filarete) gestivano lo Stato insieme (e talvolta sostituendosi) agli zar.

UNIONE DI BREST: CHIESA RUTENA + CHIESA CATTOLICA
Mychajlo Rohoza fu eletto metropolita ruteno di Kyiv, Galizia e tutta la Russia dal 1588. Nel 1595 firmò l’Unione di Brest, che fu sostenuta dalla maggior parte dei vescovi della metropoli di Kyiv (ma non dai sacerdoti e i laici ordinari, che non furono nemmeno interpellati) e sancì l’unione della Chiesa rutena con la Chiesa cattolica, formando così la Chiesa greco-cattolica rutena, preservando il rito bizantino, le pratiche liturgiche, il diritto canonico e il matrimonio per i chierici.

ORTODOSSI VS. GRECO-CATTOLICI RUTENI
Gli oppositori dell’Unione di Brest lottarono per il mantenimento dell’ortodossia e questa lotta intestina portò all’esistenza parallela di due metropoli di Kyiv: quella greco-cattolica di Rohoza e quella ortodossa guidata da Jacek Balyka.
I monaci di Kyiv-Pechersk Lavra e il loro abate Nikifor Tur opposero una forte resistenza. Tanto che il re Sigismondo III dovette ammettere la sconfitta e nel 1603 liberò ufficialmente la Lavra dalla giurisdizione uniate.
Tuttavia, la Cattedrale di Santa Sofia, diverse chiese della Città Alta e il Monastero Vydubitsky rimasero nelle mani degli uniati.
Fu una guerra interconfessionale tra i borghesi ortodossi, i cosacchi e il clero da un lato e gli uniati e le autorità polacche dall’altro. La Chiesa ortodossa ucraina e la sua gerarchia ortodossa furono rinnovate, i cosacchi ucraini si trasformarono in un’influente parte progressista della società e Kyiv ritornò ad essere una delle principali città ucraine – un centro culturale, scientifico e spirituale dell’ucrainesimo.

LA PRIMA LOTTA PER L'INDIPENDENZA DI KYIV
La ribellione contro l’Unione a Kyiv mobilitò la popolazione ucraina nella lotta per i propri diritti nazionali e sociali e in larga misura avvicinò l’inizio della guerra di liberazione del popolo ucraino.
Nel 1615, gli oppositori dell’Unione si unirono nella Confraternita di Kyiv.
Quando nel 1618 il governatore uniate Antony Grekovych cercò di confermare con la forza i diritti degli uniati di possedere il monastero dalle cupole dorate di San Michele, i cosacchi lo uccisero annegandolo nel pozzo della città. La stessa sorte toccò in seguito all’esattore delle tasse Oklinskyi.

RIPRISTINO DELLA ORTODOSSIA A KYIV
Nel 1620 , il patriarca di Gerusalemme Teofane III, grazie ai cosacchi e all’atamano Pyotr Sahaidachny, ordinò metropolita Iov Boretsky, ripristinando così la gerarchia ortodossa a Kyiv.
Nel 1624 i cittadini ortodossi attaccarono Santa Sofia. Nel gennaio dell’anno successivo, il borgomastro uniate Khodyka-Kobizevych fu annegato nel Dnepr e il sacerdote uniate Ivan Yuzefovich fu ucciso.
Dal 1626 chiese, monasteri e i loro possedimenti iniziarono a passare nelle mani degli ortodossi.
La morte di Sigismondo III pose fine alla lotta.
Nel 1633, il nuovo re Vladyslav IV riconobbe la legittimità della Chiesa ortodossa e Mohyli, nuovo metropolita di Kyiv, restituì tutte le chiese e i monasteri della città agli ortodossi. Solo il monastero Vydubytsky rimase in possesso di Rutsky fino alla sua morte nel 1637.

TRATTATO DI PEREJESLAV - MOSCA SI RIPRENDE KYIV
Nel 1654 venne stipulato il trattato di Perejaslav (città dell’ Ucraina), fra i cosacchi di Zaporizhzhia, guidati da Bohdan Chmel'nyc'kyj, e lo zar di Russia Alessio I per rispondere al tentativo polacco di irreggimentare (1638) alcuni gruppi di cosacchi con lo scopo di smantellare le istituzioni tradizionali dei cosacchi.
La Russia offrì sostegno e protezione ai cosacchi dell’atamano Bohdan Chmel'nyc'kij, ma produsse un effetto molto diverso da quello sperato da Bohdan perché sottrasse sì incosacchi all'influenza polacca ma li spinse nell'orbita russa e segnò la separazione dell'Ucraina dalla Polonia rafforzando la potenza russa.
La zona, che ai tempi del predominio polacco faceva riferimento alla tradizione cattolica, passò sotto l'influenza della chiesa ortodossa.
Per la Russia, l'acquisizione dell'Ucraina segnò il rafforzamento del suo potere e giustificò il nome di "impero" e il titolo di zar come "imperatore di tutte le Russie".
Il Metropolita di Kyiv, della Galizia e di tutta la Rus', Sylvester Kosiv, fu un attivo oppositore all’unione con il regno di Mosca), e fu anche contrario ad un accordo incondizionato con la Federazione Polacco-Lituana e all'Unione di Brest difendendo l’indipendenza della Chiesa ortodossa ucraina e la sua permanenza sotto la giurisdizione del Patriarca di Tsargorod.

GUERRA RUSSO-POLACCA
Durante la guerra russo-polacca (1654-1667) anche chiamata “Guerra d’Ucraina”, l’ultimo grande conflitto tra il Regno russo e la Confederazione Polacco-Lituana, l’Unione venne bandita nei territori occupati dalle truppe russe.
Dopo il Trattato di Andrusovo del 1667, con il quale la Confederazione cedette alla Russia la fortezza di Smolensk ed il territorio dell'Ucraina ad est del fiume Dnepr più la città di Kyiv, i circoli dominanti della Federazione Polacco-Lituana aumentarono invece notevolmente il loro sostegno all’Unione.
Quando la maggior parte delle diocesi della Chiesa Uniate divenne parte dell’Impero russo, alcuni dei greco-cattolici si unirono alla Chiesa russa ortodossa e alcuni rimasero subordinati a Roma.

PIETRO IL GRANDE E LA SECOLARIZZAZIONE
Il patriarcato fu abolito da Pietro il Grande il 25 gennaio 1721 e sostituito dall’istituzione del Santissimo Sinodo Governativo, il nuovo organo supremo, composto dai più importanti esponenti del clero russo, tutti nominati dallo Zar, e di cui faceva parte anche il Metropolita di Mosca, con a capo un procuratore imperiale.
Nel 1762 Pietro III tentò di secolarizzare tutta la terra e i servi della chiesa.

CATERINA
Nel 1787, Caterina II decretò che solo le tipografie subordinate al Santissimo Sinodo potessero stampare libri spirituali nell’impero russo e le attività delle tipografie greco-cattoliche cessarono.
Nel 1794, il vescovo ortodosso Viktor Sadkovskyha chiese agli uniati di convertirsi “alla retta fede”. Le autorità elargivano un assegno in denaro a chi decideva di convertirsi all’Ortodossia e inviavano un sacerdote con un distaccamento di soldati per confiscare le chiese ai greco-cattolici, consegnarle agli ortodossi ed espellere le famiglie e i sacerdoti dei primi.
Le diocesi greco-cattoliche, ad eccezione di Polotsk, furono abolite e i vescovi furono mandati in pensione o all’estero.
Nel 1807, Papa Pio VII firmò la bolla “In universalis Ecclesiae regimine”, secondo la quale la metropoli greco-cattolica di Galizia veniva proclamata erede della metropoli uniate di Kyiv.

NICOLA I E LA REPRESSIONE
L’imperatore Nicola I usò metodi ancora più repressivi di quelli di Caterina II.
Nel 1839, in un consiglio a Polotsk, le decisioni del Trattato di Brest furono annullate: 1.607 parrocchie uniate e più di 1.600.000 persone passarono sotto la giurisdizione della Chiesa ortodossa russa. L’unica diocesi uniate nell’impero russo rimase la diocesi di Kholm, che fu anch’essa convertita all’Ortodossia nel 1875.
ABOLIZIONE DEL SANTISSIMO SINODO E RIABILITAZIONE DDL PATRIARCATO DI MOSCA
Il Santissimo Sinodo fu abolito il 6 aprile 1918 in seguito alla rivoluzione d'ottobre e il patriarcato di Mosca fu ristabilito.

RIVOLUZIONE UCRAINA
Sulla scia della disgregazione dell'Impero russo alcuni gruppi nazionali cercarono l'autonomia o l'autocefalia da Mosca . La Chiesa ortodossa ucraina fu proclamata sotto la Repubblica nazionale ucraina nel 1917 e sopravvisse nell'Ucraina sovietica fino all'inizio degli anni '30.
La rivoluzione ucraina del 1917-1921 realizzò per un breve periodo il desiderio di creare una Chiesa ortodossa indipendente in Ucraina. Il 1 marzo 1918, a Zhytomyr, la Rada centrale adottò una serie di leggi, secondo le quali il calendario gregoriano e la valuta nazionale - la grivna - furono introdotti nella Repubblica popolare ucraina, fu determinato l'emblema dello Stato della Repubblica popolare ucraina - "il tridente dei tempi di Volodymyr il Grande", e venne adottata anche la legge sulla cittadinanza nella Repubblica popolare ucraina.
Nel 1921 a Kyiv, la capitale della nuova Ucraina indipendente, fu convocato un Sobor (Sinodo) tutto ucraino e la Chiesa ortodossa autocefala ucraina fu dichiarata indipendente dal Patriarcato di Mosca (MP). I delegati di Sobor hanno scelto il metropolita Vasyl Lypkivsky come capo della chiesa. Il Sobor del 1921 è diventato noto come la "prima resurrezione" dell'UAOC.
L'indipendenza ucraina fu di breve durata in questo periodo e nel 1922 nacque l' URSS . I sovietici introdussero un regime ateo, sebbene inizialmente alla chiesa fosse permesso di funzionare.

BOLSCEVICHI E SEPARAZIONE TRA CHIESA E STATO
Negli stessi anni e più precisamente all’inizio di febbraio 1918, il governo della Russia sovietica controllato dai bolscevichi emanò il decreto sulla separazione della Chiesa dallo Stato e della scuola dalla Chiesa che proclamava la separazione tra Chiesa e Stato in Russia, la libertà di “professare qualsiasi religione o non professarne nessuna”.
La Chiesa ortodossa russa sostenne la Russia zarista, creando quindi una ragione per cui i bolscevichi avrebbero tentato di diminuire la loro influenza sul popolo e sul governo russi.

LE REPRESSIONI DI LENIN
Già nell’agosto 1920 Lenin scrisse a Skliansky, vicepresidente del Consiglio militare rivoluzionario : “Soffocheremo con il pugno la borghesia, il clero e i proprietari terrieri.
Ci sarà un premio di 100.000 rubli per ognuno di loro che verrà impiccato.” Stava parlando delle azioni future nei Paesi vicini alla Russia.
Migliaia di sacerdoti e credenti ortodossi vennero torturati, deportati in campi di prigionia, di lavoro ed ospedali psichiatrici dove vennero sottoposti ad orribili punizioni psicologiche ed esperimenti di controllo mentale per costringerli a rinunciare alle loro convinzioni religiose.
Nei primi cinque anni dopo la rivoluzione bolscevica furono giustiziati 28 vescovi e 1.200 sacerdoti.
Circa 20.000 persone furono giustiziate appena fuori Butovo, inclusi molti ecclesiastici, asceti e laici.

GUERRA SOVIETICO-POLACCA - UCRAINA SOTTO LA POLONIA
A seguito della guerra sovietico-polacca e della lotta con la chiesa in URSS , i rapporti con il Patriarcato di Mosca si complicarono e lo stesso Patriarcato subì forti pressioni da parte delle autorità punitive sovietiche. Ciò costrinse i vescovi ortodossi della Polonia Yuriy (Yaroszewski) e Dionysius (Valedynski) a fare appello, tramite il rappresentante diplomatico polacco a Mosca, al patriarca Tikhon in materia di concessione dell'autocefalia. Il Patriarca rifiutò di concedere l'autocefalia.
Il 16 giugno 1922 si tenne il Consiglio dei vescovi polacchi, che esaminò la questione dell'autocefalia e la acconsentì.
Il 13 novembre 1924, il Patriarca Gregorio VII di Costantinopoli firmò il " Tomos patriarcale e sinodale-canonico del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli sul riconoscimento della Chiesa ortodossa in Polonia come autocefala".

PATTO MOLOTOV-RIBBENTROP - UCRAINA SOTTO LA RUSSIA
Nel 1939 , dopo il patto Molotov-Ribbentrop , l'Ucraina occidentale fu occupata dalle truppe sovietiche. Subito dopo iniziarono le repressioni dell'NKVD contro la chiesa. E il Patriarcato di Mosca ha avviato azioni attive per subordinare la Chiesa polacca a Mosca.
L'esarca patriarcale, l'arcivescovo Mykolay Yarushevich, arrivò a Volyn, i gerarchi locali furono costretti a venire a Mosca e lì fare una dichiarazione di lealtà al Patriarcato di Mosca.
La chiusura di massa delle chiese ricominciò e continuò fino al 1939, quando ormai ne erano rimaste solo poche centinaia. Secondo i dati ufficiali della Commissione governativa per la “riabilitazione” nel 1937 furono arrestati 136.900 chierici ortodossi, di cui 85.300 fucilati; nel 1938 28.300 arrestati, 21.500 dei quali fucilati; nel 1939 1.500 arrestati, 900 dei quali fucilati; nel 1940 5.100 arrestati, 1.100 dei quali fucilati.
Il campo "per scopi speciali" Solovki fu istituito nel monastero delle isole Solovetsky nel Mar Bianco. Vi morirono 8 metropoliti, 20 arcivescovi e 47 vescovi della Chiesa ortodossa, insieme a decine di migliaia di laici. Di questi, 95.000 furono messi a morte, fucilati.

STALIN E LA CHIESA ORTODOSSA
Dopo l’attacco della Germania nazista all’Unione Sovietica nel 1941, Stalin fece rivivere la Chiesa ortodossa russa per intensificare il sostegno patriottico allo sforzo bellico.

OCCUPAZIONE TEDESCA
Nel 1941 - dopo l'occupazione da parte della Germania hitleriana, nel territorio dell'Ucraina operavano due chiese ortodosse: quella degli "Autonomisti" guidati dall'arcivescovo Oleksiy (Hromadskyi), subordinato al Patriarcato di Mosca, e la Chiesa ortodossa di Polonia.
Dalla fine del 1941, il regime di occupazione tedesco iniziò a reprimere tutte le manifestazioni dell'attività nazionale ucraina, vietando anche le attività del Consiglio della Chiesa ortodossa tutta ucraina.

OCCUPAZIONE SOVIETICA
1942-1944 — L'Ucraina fu nuovamente occupata dalle truppe sovietiche. I sacerdoti rimasti in Ucraina subirono repressioni e molti vennero uccisi. Molti vescovi, in fuga dalle persecuzioni, si trasferirono nella Germania Ovest, poi negli Stati Uniti, in Canada e in altri Paesi.
Nel 1942, la Chiesa autocefala fu ristabilita durante l'occupazione dell'Ucraina da parte della Germania nazista. Questo periodo durò fino al ritorno dell'Armata Rossa nel 1944.

KHRUSHCHEV CONTRO LA CHIESA ORTODOSSA
Ma nel 1959 Nikita Khrushchev ricominciò la campagna russa contro la Chiesa ortodossa russa e costrinse la chiusura di circa 12.000 chiese. Nel 1985 erano rimaste attive meno di 7.000 chiese. Si stima che 50.000 ecclesiastici siano stati giustiziati entro la fine dell’era Krushchev.

GORBACIOV
Un momento cruciale nella storia della Chiesa ortodossa russa si ebbe nel 1988 per il 1000° anniversario della Cristianizzazione della Rus’ (era il 988 quando il principe di Kyiv Volodimir iniziò questo processo): per tutta l’estate di quell’anno, a Mosca, a Kyiv, a Zagorsk e in altre città si svolsero importanti celebrazioni sostenute dal Governo di Gorbaciov.
1989
Il 15 febbraio 1989, con il sostegno delle forze filoucraine, iniziò a operare a Kiev un comitato di iniziativa per il ripristino della Chiesa ortodossa autocefala ucraina in Ucraina.
Il 5 e 6 giugno 1990 si tenne a Kyiv il Concilio panucraino ortodosso con la partecipazione di circa 700 delegati provenienti da tutta l'Ucraina, tra cui 7 vescovi e oltre 200 sacerdoti. Il Consiglio approvò la restaurazione della Chiesa ortodossa autocefala ucraina e il già metropolita della Chiesa ortodossa ucraina del Canada, Mstyslav, fu intronizzato come patriarca.
La chiesa ha riacquistato il riconoscimento statale nel 1991.
Dal 2000, il primate della chiesa è stato il metropolita di Kyiv e di tutta l'Ucraina.

KIRILL E PUTIN
Kirill nel 2009 divenne Patriarca di Mosca e di tutta la Rus' e Primate della Chiesa ortodossa russa.
Nacque da una famiglia di ecclesiastici. Putin dice che suo padre l'abbia battezzato ed è innegabile il forte legame tra i due, nato forse quando entrambi erano agenti del KGB, come risulterebbe dagli archivi sovietici.
Il potere della Chiesa in Russia è cresciuto enormemente negli ultimi anni e ciò si deve soprattutto a Putin che ha reso il patriarcato il braccio spirituale del Cremlino.
Tanto che il numero di russi che si dichiarano credenti è passato dal 31% degli anni Novanta al 73% nel 2014.
La Chiesa ortodossa russa è tornata in possesso di tutte le proprietà confiscate dai bolscevichi ed ha ottenuto incredibili “privilegi” potendo importare tabacco e alcolici esentasse, cosa che è fruttata per le tasche della Chiesa almeno 4 miliardi di dollari secondo il Moscow Times.
Così il rapporto tra Chiesa e Stato è cresciuto nel nome di quella che Kirill chiama “symphonia”, termine che in epoca giustinianea descriveva la comunanza armonica del potere spirituale con quello secolare.

IL MONDO RUSSO E L'IMPERIALISMO
Il Cremlino ha sapientemente usato la religione come strumento di coesione sociale, inserendola in quel complesso processo di (ri)costruzione di un’identità pan-russa culminato nel russkij mir, vera impalcatura ideologica dello stato emerso dalle ceneri sovietiche.
Uno Stato che, non potendo più attingere all’ideologia comunista, necessitava di reinventarsi ritagliando per sé un destino, una missione, nei confronti del mondo.
L’esito fu appunto il russkij mir, “mondo russo”, dottrina elaborata a partire dalla metà degli anni Novanta, e perfezionata nell’ultima decade, secondo cui la nuova Russia deve porsi come alternativa al modello occidentale, quale diversa forma di “civilizzazione”, inserendosi in un ordine mondiale che Mosca vuole multipolare.
La dottrina del “mondo russo” assume in sé caratteri propri dell’imperialismo, dell’antioccidentalismo e del conservatorismo religioso. La Chiesa ortodossa russa ne è un elemento fondamentale poiché, mentre da un lato garantisce unità interna al paese, dall’altro diventa strumento di politica estera.

“PUTIN DIFENSORE DELL’OCCIDENTE”
Il più grande successo diplomatico ottenuto dal Cremlino attraverso il patriarcato è stata la rottura dell’isolamento diplomatico seguito all’annessione della Crimea.

BERGOGLIO, KIRILL, PUTIN E LA SIRIA
Un intreccio di relazioni tra Kirill, Papa Bergoglio e Putin, portò infine il presidente russo a farsi carico dell’appello del Papa per “la pace in Siria” intervenendo direttamente nel conflitto a fianco di Assad. Era il settembre 2015.
In quell’occasione Kirill definì Putin “l’ultimo difensore dell’Occidente”.
Anche grazie all’intercessione vaticana, la Russia poté uscire dall’angolo. Nel 2015 Kirill celebrò l’attacco russo alla Siria arrivando a dire che i militari portavano "amore e speranza per la pace con l'arrivo del Cristo Salvatore in terra siriana".

BERGOGLIO E KIRILL ALL'HAVANA
Nel 2016 Bergoglio e Kirill si incontrarono all’Havana dove firmarono una dichiarazione congiunta in cui, rimarcando i valori tradizionali della Chiesa, si sosteneva e supportava l’intervento russo in Siria e in Ucraina.
Non solo, la chiesa ucraina veniva invitata a superare le divergenze e riappacificarsi con Mosca.
Una chiara presa di posizione da parte del Vaticano.

LA CADUTA DELLA TERZA ROMA
Un sinodo di vescovi presieduto dal patriarca di Costantinopoli l’11 ottobre 2018, concesse l'autocefalia (indipendenza) alla chiesa ortodossa in Ucraina, ristabilì una stauropegione (organo ecclesiale responsabile solo nei confronti del Patriarca ecumenico) a Kyiv, ritenne invalido lo statuto di Dionigi IV del 1686 e ha annullato tutti i diritti concessi in passato al Patriarcato di Mosca per amministrare il metropolita di Kyiv e infine revocò le scomuniche che colpivano il clero e i fedeli di due chiese ortodosse orientali ucraine non riconosciute da Mosca: la Chiesa ortodossa autocefala ucraina (COAU) e la Chiesa ortodossa ucraina - Patriarcato di Kyiv (COU-PK) che il 15 dicembre 2018 si fusero per formare la Chiesa ortodossa dell'Ucraina dopo un consiglio di unificazione.
“Questa è la caduta della Terza Roma, l’antichissima formula utilizzata per definire Mosca e il suo dominio sul mondo” dichiarò allora enfaticamente Poroshenko.
Il patriarca di Mosca, Kirill, reagì minacciando il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, con uno scisma che avrebbe interrotto ogni rapporto tra le due chiese e così fece il 15 ottobre 2018 interrompendo unilateralmente la piena comunione con il secondo.
Il 21 ottobre 2019, l'arcivescovo Geronimo II di Atene, primate della Chiesa di Grecia, inviò una lettera pacifica a Epifanio, il primate della Chiesa ortodossa dell'Ucraina, per consolidare la comunione tra le due Chiese. E così fecero anche i primati delle chiese di Cipro e di Alessandria.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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