Dalla parte dell'Inghilterra, dell'ospedale inglese e dei medici inglesi che non sono dei mostriFerdinando Montechiarohttps://www.facebook.com/zio.Ferdinando ... 6048589538 [dalla bacheca di amici, Silvio]
IL governo italiano ha sottovalutato il fatto che la giurisdizione inglese antepone gli interessi del minore a quelli dei genitori...
È pacifico che in un paese civilmente avanzato le sofferenze del bambino vengano prima di quelle dei genitori.
1. Vi è un ClamoreDisinformato messo in giro ad arte dalla famiglia e dai militanti provita. Alfie è in uno stato SemiVegetativo, cioè in coma, a causa di una grave, ampia, documentata e irreversibile compromissione cerebrale, per cui è normale che possa esserci attività respiratoria spontanea.
2. La disinformazione ha colto di sorpresa persino BeppinoEnglaro, che in una intervista sostiene il potere assoluto dei genitori sul figlio, come se un bambino fosse proprietà dei genitori senza diritti propri. Nel caso di Alfie è come se Eluana fosse stata vittima di un incidente stradale all'età di un anno e fosse in stato vegetativo da allora.
3. Alfie è destinato ad essere un corpo in crescita senza attività cognitive e di relazione, che è una indubbia condizione disumana e di grave sofferenza, a meno di ritenere che non soffra proprio perché non consapevole per la compromissione cerebrale. Che si tratti di AccanimentoTerapeutico è indubbio.
4. La giurisdizione italiana ha certamente un vuoto, in parte colmato dalla recente legge sul FineVita, ma anche in Italia la desistenza terapeutica è praticata in un contesto di relazione tra medici e genitori. I genitori di Alfie Evans, come quelli di Charlie Gard, sono delle eccezioni mosse da motivazioni religiose e supportate dalle associazioni pro vita per motivi politici.
5. La questione della CittadinanzaItaliana, come una sorta di AsiloPolitico, è ridicola, poiché in effetti nulla vieta che un cittadino europeo sia ricoverato in un ospedale italiano e che lo Stato del Vaticano possa pagare le rate relative. Il governo italiano ha sottovalutato il fatto che la giurisdizione inglese antepone gli interessi del minore a quelli dei genitori, a differenza delle esortazioni del Papa di comprensione verso le sofferenze dei genitori. E' pacifico che in un paese civilmente avanzato le sofferenze del bambino vengano prima di quelle dei genitori.
6. Le offerte degli ospedali cattolici, Bambin Gesù e Gaslini, sembrano mosse più da motivazioni ideologiche e religiose, che scientifiche. Non a caso nessun altro paese europeo sostiene la posizione Alfano/Minniti/Pinotti. Nemmeno Trump sembra voler ripetere la trafila intrapresa meno di un anno fa per Charlie Gard.
7. Un grande merito, ancora una volta, va ai colleghi inglesi, che mantengono una posizione umana e scientifica, nonostante la bufera mediatica e politica che li ha investiti. La loro grande umanità e la loro grande professionalità, che si evincono anche dai comunicati dell'Alder Hey Children's Hospital), sono un esempio e una lezione per tutti noi.
Angela Polin
La "loro grande umanità" li costringa a restituire Alfie ai genitori. Sono sempre i genitori che possono decidere della loro creatura. Il compito del medico si conclude con la corretta informazione sui pro e sui contro. Nessuno, proprio nessuno, tanto meno degli estranei alla famiglia, può affermare che il bene del bambino sia morire asfissiato, di fame e di sete. Morirà quando sarà il suo momento: non prima e non dopo.
Quanto all'ideologia poi.... non è per ideologia che uno staff medico e un giudice possono decidere, d'imperio, che il piccolo deve morire?
Lo restituiscano alla famiglia, piuttosto! E la aiutino per quanto possibile ad affrontare le difficoltà che inevitabilmente arriveranno, ma a casa loro se lo desiderano. Alfie in questo momento e sequestrato dallo Stato-Regno Inglese. Si vergognino!
Ferdinando Montechiaro ... il fatto che Alfie abbia continuato a respirare da solo per alcune ore non è un fatto inaspettato né di per sé la dimostrazione che “è in grado di farcela”. Anche il cuore di Eluana Englaro, che era rimasta attaccata alle macchine per diciassette anni, non smise subito di battere ma ci vollero due giorni. Il destino di Alfie è segnato, non perché hanno tolto le macchine per la ventilazione ma perché ha una malattia incurabile che lo ha condannato a morte. Che non significa che lo Stato lo sta uccidendo. Il giudice non ha fatto altro che difendere l’interesse del bambino, è dal 1891 – con il Custody Children Act – che in Regno Unito il padre non ha il diritto di habeas corpus del minore.
Regno Unito, la "fuga" degli infermieri italiani: 'Qui possiamo fare carriera ed essere considerati persone, non numeri'di Ludovica Liuni
25 ottobre 2015
https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/1 ... ri/2145587 Hanno meno di trent’anni, una laurea in scienze infermieristiche e nessuna intenzione di perdere tempo in Italia. Il loro presente è in Inghilterra, il futuro chi lo sa.
Il fenomeno, riferisce l’organizzazione Nursing & Midwifery Council, ormai coinvolge oltre 2.500 italiani e stando alle stime dell’Ipasvi, la Federazione Nazionale Collegi Infermieri, si è registrato un incremento del 70% negli ultimi tre anni. Fino al 2012, infatti, chi decideva di trasferirsi oltremanica lo faceva più per scelta che per necessità. Ma da quando l’Inghilterra si è trasformata in una meta così ambita?
Inghilterra, selezione per merito e possibilità di crescita – In Inghilterra il 40% della forza lavoro negli ospedali è costituita da infermieri e medici stranieri. E se la fetta maggiore di assunti arriva dalle Filippine e dall’India, negli ultimi sei anni anche italiani, spagnoli e portoghesi hanno fatto la loro parte. A oggi il Nursing & Midwifery Council ha stimato che oltre ai 2.500 operatori sanitari arrivati dal nostro paese, ce ne sono più di 10mila che vengono dalla penisola iberica. E, come è emerso da un servizio della Bbc, il boom è avvenuto a partire dal 2011, con l’acuirsi della crisi economica.
Tre le procedure di “reclutamento”. La prima è rappresentata dalle agenzie private che fanno da intermediario tra i laureati italiani e gli ospedali inglesi. La selezione, spesso, avviene con un semplice colloquio via Skype. Poi ci sono gli infermieri freelance, che cercano da sé un posto disponibile. Infine c’è il sistema sostenuto dall’Ipasvi, la Federazione Nazionale Collegi Infermieri, che mette online i bandi che arrivano dagli ospedali inglesi.
“Questa è la soluzione su cui puntiamo di più – spiega a ilfattoquotidiano.it Luigino Schiavon, presidente della Federazione Ipasvi di Venezia – perché non ci sono di mezzo le agenzie”. Il primo step è mandare il proprio curriculum, poi sono le stesse infermiere inglesi a venire in Italia per completare la selezione. “Arrivano qui per valutare motivazioni e competenze dei candidati”, aggiunge Schiavon. Per ora i giovani reclutati con questa modalità sono circa 1.200. Un sistema ben avviato, dunque.
Ma quali sono le ragioni che spingono i ragazzi italiani a dare la priorità all’Inghilterra rispetto agli altri Paesi europei? “Lì il ruolo professionale è molto valorizzato dal sistema sanitario – spiega Schiavon – e dopo sei mesi di affiancamento gli infermieri sono regolarmente assunti con un contratto a tempo indeterminato”. Quello che affascina di più, però, sono le prospettive di crescita: “La progressione di carriera avviene per merito – spiega -. Si parte da un salario minimo di 26mila sterline all’anno per arrivare a 98mila sterline quando si raggiunge l’apice”.
Negli ultimi mesi, però, il governo inglese ha messo una stretta sugli ingressi. Da gennaio 2016 per essere assunti sarà necessario possedere alcuni requisiti linguistici, tra cui il superamento dello Ielts (International English Language Testing System) negli ultimi due anni o lo svolgimento di un corso con almeno il 75% di interazione clinica in inglese.
Italia, assunzioni a singhiozzo dal 2008 – I dati pubblicati dall’Ocse nel 2014 parlano chiaro: nel nostro Paese mancano circa 60mila infermieri e, al tempo stesso, sono ben 25mila i neolaureati che non riescono a trovare lavoro. Un paradosso che si traduce nella chiusura dei reparti e nella riduzione dei posti letti. Il problema è la mancanza di concorsi e assunzioni: “Dal 2008 la crisi economica ha ridotto il finanziamento al sistema sanitario e ormai abbiamo alle spalle anni di blocchi del turnover e dei contratti – spiega a ilfattoquotidiano.it Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione Nazionale dei Collegi Ipasvi -, questo significa che noi formiamo il giusto numero di infermieri, ma loro poi non vengono assorbiti dalla pubblica amministrazione”. Motivo per cui decidono di andare via.
Gli italiani, poi, sono molto corteggiati dagli altri Paesi europei: “Le agenzie governative che prendono contatto con noi ci dicono che i nostri infermieri sono i più ricercati grazie alle loro competenze”. L’unica speranza è che le assunzioni vengano sbloccate: “La politica deve dare a questi giovani la possibilità di tornare – spiega Mangiacavalli -, in questo modo avremo sul mercato dei professionisti arricchiti dalla loro esperienza all’estero”.
Bisogna però sfatare un mito. Non è vero che gli italiani che vanno via sono rimpiazzati da infermieri di altre nazionalità. La quota di stranieri che lavorano negli ospedali pubblici italiani è piuttosto bassa: su 430.537 iscritti all’Albo nazionale solo 27.278 vengono dall’estero. “La maggior parte degli infermieri romeni e bulgari che sono in Italia operano nelle strutture privato-assistenziali”, sottolinea la presidente Mangiacavalli.
Gli infermieri in Inghilterra: “Qui siamo persone, non numeri” – Antonio Torella è un infermiere pugliese trapiantato a Bologna. Per lui, 31 anni e una laurea conseguita nel 2007, quella inglese è stata una parentesi lavorativa che si è appena conclusa. “Faccio parte dell’ultima generazione che è riuscita a entrare negli ospedali italiani tramite concorso pubblico e a ottenere un contratto a tempo indeterminato”, racconta a ilfattoquotidiano.it.
Ma Antonio, dopo otto anni di lavoro senza prospettive di crescita, sentiva il bisogno di fare un’esperienza all’estero: “Ho chiesto un periodo di aspettativa non retribuita per andare in Inghilterra”, spiega. La sua destinazione è stata un ospedale pubblico di Brighton, ottanta chilometri a sud di Londra. Qui Antonio è venuto a contatto con i problemi di una generazione vicinissima alla sua e al tempo stesso molto distante: “Per la prima volta ho vissuto tutte le preoccupazioni di questi ragazzi appena laureati che sono costretti ad andare all’estero per trovare lavoro”, ammette.
Giovani che non possono fare altro che rispondere alle sirene inglesi. È il caso di Liliana Mistretta, 26 anni, stanca di aspettare un posto fisso che non arrivava mai: “Dopo la laurea ho lavorato per sei mesi nel privato, poi ho fatto l’infermiera domiciliare con partita Iva, ma non vedevo crescita professionale”, spiega a ilfattoquotidiano.it. Così nove mesi fa è andata via, senza nemmeno sapere bene l’inglese: “All’inizio ho cercato lavoro in una casa di riposo perché volevo migliorare la lingua, poi dopo qualche mese mi hanno offerto un contratto a tempo indeterminato in un ospedale di Brighton”. E ora non può che dirsi soddisfatta: “In Inghilterra siamo persone e non numeri”, ammette.
Il lavoro è duro, ma le prospettive di crescita sono un incentivo a fare di più. Lo conferma Flavia Amendola, 24 anni, da quattro mesi in servizio a Brighton: “Ho capito subito che in Italia non c’era spazio per me”, ricorda. Così ha deciso di partecipare a uno dei colloqui che le agenzie inglesi organizzano in Italia: “Ho fatto una prova scritta e una di anatomia medica e ho superato entrambe”, ricorda.
Ora lavora nel reparto di medicina d’urgenza, ma il bello del sistema inglese è che ti permette di cambiare e di crescere: “Qui il merito è al centro del sistema – spiega -, se partecipi ai corsi di aggiornamento sali di livello”. In questo modo crescono le responsabilità, ma anche i guadagni. Tutte opzioni che in Italia non vengono prese in considerazione: “Nel nostro Paese ho visto infermieri leggere un ecocardiogramma meglio dei medici, ma la nostra professione è sottopagata e bistrattata da tutti”. Entrambe, però, sognano di tornare a casa prima o poi. Ma alle loro condizioni: “Vogliamo un posto fisso”.
Riattivare un cuore morto da oggi è possibile. In Inghilterra è stato effettuato il primo trapianto da un cadavere2015/03/27
https://www.huffingtonpost.it/2015/03/2 ... 54198.html Nel Regno Unito è stato effettuato il primo trapianto di cuore da cadavere in Europa: l'intervento, di cui danno notizia i principali quotidiani inglesi, è stato portato a termine al Papworth Hospital nel Cambridgeshire su un uomo di 60 anni che ha ricevuto un cuore da un cadavere, ed è perfettamente riuscito.
Fino ad ora era stato possibile trapiantare cuori ancora in funzione da pazienti in stato di morte celebrale. Ma i chirurghi dell'ospedale britannico hanno dimostrato che anche un cuore morto può essere riattivato. Il primo intervento è stato portato a termine un mese fa, ed il paziente che ha ricevuto il nuovo cuore "morto" si sta riprendendo bene.
Secondo i medici inglesi, la nuova tecnica potrebbe determinare un incremento di un quarto dei trapianti di cuore nel Regno Unito, permettendo di salvare centinaia di vite.
Il cuore morto è stato riattivato nel ricevente attraverso una pompa che ne ha permesso il monitoraggio per un'ora, in maniera da accertarne l'efficienza.
Lo stato di salute degli ospedali inglesi16 novembre 2017
Simona Soldati
http://www.clinicalriskmanagement.it/cl ... -2014-2016In questo report vengono riportati i risultati di tre anni di ispezioni condotte negli ospedali del Servizio Sanitario Inglese. Le ispezioni sono state condotte tra il settembre 2013 e il giugno 2016 in 153 articolazioni locali (136 specialistiche, 17 non-specialistiche) del Servizio Sanitario Inglese; dal gennaio 2014 sono stati classificati 292 ospedali che operano all’interno delle articolazioni locali del Servizio Sanitario Inglese. Ciò ha permesso una comprensione dettagliata della qualità dell’assistenza in Inghilterra.
Le articolazioni locali del Servizio Sanitario Inglese stanno affrontando sfide importanti, poiché gli ospedali devono gestire una domanda crescente dei loro servizi, in un momento in cui anche loro devono risparmiare come mai è stato fatto in passato.
Nel report viene riportato che alcuni Servizi Sanitari locali forniscono cure di qualità molto elevata, nonostante le sfide in atto e si prendono cura dei pazienti in maniera adeguata.
I punti principali
Sebbene venga riportato che vi è un elevato livello di qualità nell’erogazione dell’assistenza sanitaria in Inghilterra, gli autori del report riportano una grande differenza nella qualità dell’assistenza tra i vari ospedali e all’interno dei servizi dello stesso ospedale; questa disparità è stata spesso associata a differenze di qualità della leadership. In un numero relativamente basso di casi, la qualità delle cure è stata giudicata molto scarsa e, in 28 servizi specialistici locali del Servizio Sanitario Nazionale, sono state introdotte misure straordinarie dal 2014 per garantire un miglioramento.
Per quanto riguarda la qualità delle cure, il 78% degli ospedali non specialistici inclusi nell’indagine è stato classificato come ‘buono’ e il 15% è stato valutato come ‘eccezionale’.
La sicurezza legata all’assistenza è ciò che desta la maggiore preoccupazione, con l’11% (4 su 5) degli ospedali non specialistici valutati come inadeguati per quanto riguarda la sicurezza e che necessitano, quindi, di miglioramento.
Per quanto riguarda, invece, l’efficacia, il 56% degli ospedali non specialistici sono classificati come buoni o eccezionali, significa che forniscono cure e trattamenti evidence-based e registrano buoni outcome.
La sicurezza è ancora una preoccupazione in più della metà (53%) degli ospedali specialistici valutati ed è necessario un miglioramento.
Si è osservato che la maggioranza del personale ospedaliero tratta i pazienti con rispetto e dignità, ad esempio assicurandosi di rispettare la privacy dei pazienti e di spiegare ai pazienti in che cosa consiste la loro cura. Dove sono state evidenziate problematiche, queste sono state principalmente dovute ai livelli non soddisfacenti dello staff.
In tutti i centri oggetto dell’analisi, si è osservato che una leadership di alta qualità è fondamentale ed ha un impatto diretto sulla qualità dei servizi erogati.
Perché è importante
Nel valutare se un servizio è sicuro, sono state esaminate tre ampie aree che comprendono la cultura, il personale e l’ambiente. Rispetto ad altri settori, gli ospedali non specialistici del Servizio Sanitario Inglese hanno la percentuale più elevata di inadeguatezza (11%) e necessitano di miglioramenti (70%) legati alla sicurezza. Ciò significa che più di quattro ospedali su cinque devono migliorare la loro sicurezza. Nessun ospedale è stato classificato come ‘eccezionale’ per quanto riguarda la sicurezza.
Una componente fondamentale per quanto riguarda la sicurezza, che è una preoccupazione ricorrente nei report, è il riconoscimento del peggioramento clinico dei pazienti e l’intervento con un trattamento adeguato prima che la loro condizione si aggravi. Negli ospedali in cui ciò viene fatto in modo adeguato, è presente un team multidisciplinare ben integrato, con incluse conoscenze di terapia intensiva che supportano il personale dei reparti ospedalieri.
Un altro strumento importante è l’utilizzo di un sistema di allerta precoce a score. In molti ospedali questo non viene utilizzato in modo proattivo o efficace, in quanto il personale fa ricorso solamente al proprio giudizio clinico e non agisce in modo appropriato sulla base degli ‘score’ di un sistema di allerta precoce. Il personale, in questi casi, sembra vedere tale sistema come un esercizio gravoso, piuttosto che uno strumento essenziale per proteggere i pazienti.
Per il rapporto sullo Stato dell’Assistenza negli anni 2015/16, è stato intervistato un campione degli ispettori per comprendere quali sono i fattori che differenziano gli ospedali classificati come ‘eccezionali’ da quelli valutati come ‘inadeguati’. La cosa più importante è che gli ospedali valutati come ‘eccezionali’ hanno una cultura aperta e virtuosa e ascoltano veramente il personale circa le preoccupazioni sulla sicurezza. Sono in grado di monitorare e agire sulla base di problemi identificati e di condividere ciò che si è imparato dagli incidenti. Hanno un approccio che viene comunicato e compreso da tutto il personale e promuovono costantemente una cultura di apertura in cui il personale non si sente di essere ritenuto colpevole per eventuali problemi.
Una cultura legata all’apprendimento in cui gli errori vengono segnalati e indagati è fondamentale per fornire un servizio sicuro. Mentre una parte del personale si comporta passivamente riguardo alla sicurezza e lo vede come il ruolo della dirigenza per dire loro cosa fare, altri lo prendono seriamente in considerazione e segnalano incidenti quando li vedono. Tuttavia, alcuni dicono che si sentono scoraggiati quando non ricevono risposte. In una cultura della sicurezza efficace, la stessa è responsabilità di tutti e tutto il personale ha il dovere di proteggere i pazienti da eventuali danni. Ciò include la segnalazione di incidenti riguardanti la sicurezza del paziente e l’impegno attivo nell’apprendere dagli incidenti per migliorare la sicurezza.
Dove c’erano evidenze che la sicurezza del paziente era la priorità assoluta dell’ospedale, il personale era fiducioso nel segnalare incidenti e considerava la segnalazione e l’apprendere dagli incidenti come parte importante della sicurezza, piuttosto che un onere burocratico. In questi ospedali, tutto il personale lavora insieme, assumendosi la responsabilità della segnalazione e di imparare dagli incidenti, piuttosto che vederla come il ruolo di un particolare gruppo del personale.
L'Avvenire, giornalaccio idolatra e papolatra offende l'Inghilterra e gli inglesi.Charlie, se l'Inghilterra si scopre senza cuore
Silvia Guzzetti
http://www.famigliacristiana.it/articol ... uore-.aspx Il Patriarca Moraglia: "Sul caso Alfie l'Europa ci ha deluso ancora"
Sconvolti e sconfitti di fronte ad Alfie
Alfie, parla Mariella Enoc: "A Liverpool ho trovato solo porte chiuse"
Disperato il papà di Alfie: "Stanno per uccidere mio figlio"
Alfie Evans, monsignor Paglia: «L'unico aiuto? Un'alleanza d'amore»
Il Papa al padre di Alfie: «Il tuo amore come quello di Dio che non si rassegna a perderci»
Il padre di Alfie dal Papa: «Lo salvi». E Francesco: «L’unico padrone della vita è Dio»
Alfie Evans, nessuna vita è una vita di scarto
Il confine tra eutanasia e accanimento terapeutico
Addio al piccolo Charlie, la battaglia è finita
Charlie, se l'Inghilterra si scopre senza cuore
Charlie, uno di noi
Addio Charlie, medici e giudici hanno deciso che non devi vivere
Non sembrano lo stesso bambino quello raccontato dai genitori Connie Yates e Chris Gard e quello descritto dai medici del “Great Ormond Street Hospital”, il famoso ospedale pediatrico londinese che l’ha in cura da mesi e vorrebbe lasciarlo morire. Il Charlie di papà e mamma apre gli occhi, si muove e si diverte e dà segni di felicità quando viene portato a fare un picnic sul tetto dell’ospedale. Il Charlie dei dottori è quasi morto. Soffre, non risponde quando lo si chiama, è cieco e sordo e non può respirare senza il ventilatore.
Qualunque genitore che si rispetti sa perché i medici non vedono quel battito delle ciglia o i movimenti nel corpicino che segnalano la vita in Charlie. Lo stesso motivo per cui soltanto mamma e papà capiscono subito se un figlio fa uno starnuto che segnala un raffreddore oppure è di cattivo umore perché la giornata a scuola è andata male. Eppure, a Londra, questo principio, riconosciuto dalle legislazioni di tutto il mondo, che sono i genitori e soltanto loro a sapere qual è il bene dei figli, non vale più e tocca a giudici decidere che Charlie non ha diritto di vivere.
Realtà aberrante alla quale l’opinone pubblica si è ribellata, con la campagna condotta a difesa del bambino dal vendutissimo tabloid Daily Mail, il mezzo milione di firme della petizione citizengo.org e l’1,3 milioni di sterline raccolte dai genitori perché Charlie possa essere curato. E’ un nuovo trend, alimentato dall’alto numero dei divorzi e la tendenza ad affidare a servizi sociali e giudici il destino dei bambini, quello segnalato da Charlie secondo il quale lo stato può e deve sostituire i genitori. Basti pensare che in Scozia c’è uno schema che assegna ogni bambino a un professionista, assistente sociale o preside che sia, che prenderà le decisioni chiave sulla sua vita. Proprio come se i genitori non fossero in grado. E sempre più spesso sono le maestre che dicono ai bambini che cosa devono mangiare per un’alimentazione sana e come prendersi cura del loro corpo. Quasi i genitori non fossero più competenti a occuparsi dei figli.
Lo stato britannico , oltre che “Grande Fratello”, è “Genitore vicario”. Più preoccupato di far morire i figli che di farli vivere. Perché – è il movimento per la vita a segnalarlo – sono, in questo momento, tanti i Charlie che muiono perché mamma e papà non hanno l’energia dei Gard. E il tubo che garantisce cibo e acqua viene staccato anche a tanti anziani, la vita dei quali non avrebbe abbastanza qualità. Il “Genitore vicario” fa finta di non vedere.
Il Papa impotente e chiaccherone che Dio non ascolta e che non è capace di fare miracoli, almeno stesse zitto.Il padre di Alfie dal Papa: «Lo salvi». E Francesco: «L’unico padrone della vita è Dio»
Antonio Sanfrancesco
http://www.famigliacristiana.it/articol ... e-dio.aspx «Vorrei ribadire e confermare che l’unico padrone della vita dall'inizio alla fine naturale è Dio. È nostro dovere fare di tutto per custodire la vita». Dopo il tweet dal suo account @Pontifex e la preghiera durante il Regina Coeli di domenica scorsa, papa Francesco torna a lanciare un appello al termine dell'udienza generale per il piccolo Alfie Evans, il bambino inglese di 23 mesi ricoverato nell’Arder Hey Hospital di Liverpool per un morbo neurologico degenerativo al quale potrebbe essere presto staccata la spina secondo quanto disposto dai giudici inglesi contro la volontà dei genitori, Tom e Kate, rispettivamente 21 e 20 anni, che si oppongono disperatamente all'esecuzione della sentenza.
L'ospedale Bambino Gesù di Roma si è più volte detto disponibile ad accogliere il bambino per assisterlo e accompagnarlo alla sua morte naturale. Prima dell'udienza generale, attorno alle 9, papa Francesco a Santa Marta ha incontrato privatamente Thomas Evans, il giovane papà di Alfie. Thomas, giunto da Londra a Roma appositamente per questo incontro, sta cercando di evitare che venga eseguita la sentenza della Corte di Londra. Il giovane papà ha informato il Pontefice della situazione e sul suo profilo social ha pubblicato un paio di foto, che documentano l'incontro, accompagnate dal commento: «Alfie faremo qualsiasi cosa per te. Tu non stai morendo e perciò non permetteremo che ti tolgano la vita. Santità, salvi il nostro figlio». Il papà di Alfie scrive ancora di «non aver dormito, non aver mangiato e non essersi messo la cravatta né preparato» e di essere «saltato ieri sera su un aereo per venire a Roma e incontrare il Papa».
«Non potete controllare ogni aspetto della vita delle persone»
Per la vita di Alfie sono ore decisive. I suoi genitori hanno chiesto questo all’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool di portare Alfie all’Ospedale Bambino Gesù di Roma, una delle eccellenze pediatriche a livello internazionale. I medici inglesi però hanno sempre rifiutato il trasferimento del bambino: secondo loro il massimo interesse di Alfie è morire, e per questo ritengono necessario che gli sia interrotta la ventilazione artificiale, che finora gli ha consentito di respirare. I tribunali inglesi e la Corte europea per i diritti umani hanno dichiarato legittima la loro decisione, fino all’ultima udienza di lunedì 16 aprile.
Alfie, nato sano il 9 maggio 2016, aveva due mesi quando Tom e Kate (19 e 18 anni, all’epoca) si accorgono che c’è qualcosa che non va. A sei mesi mostrava già un ritardo nello sviluppo, ma è stata una bronchite che, nel dicembre successivo, lo ha fatto entrare nell’ospedale da cui non è riuscito più a uscire. Le sue condizioni sono drasticamente peggiorate per via di una malattia neurodegenerativa a oggi sconosciuta, che secondo tutti i medici che lo hanno visitato lo porterà alla morte.
Quando erano ormai stabilite data, ora e modalità per la morte di Alfie, i suoi genitori hanno compiuto una protesta durissima: giovedì scorso sono andati a riprendersi il figlio, fisicamente, all’Alder Hey, con un ambulanza privata ed équipe medica, e con un parere legale con cui i propri avvocati dichiaravano il diritto a portare via il piccolo. I due giovani genitori sono stati bloccati dalla polizia nel reparto di terapia intensiva dove è ricoverato Alfie e hanno ripreso la scena. Sono diventati immediatamente virali i video dei poliziotti che piantonavano la corsia e di Thomas che mostrava suo figlio nella stanza e che chiedeva di portarlo via, in un altro ospedale, perché non fosse fatto morire.
Nella drammatica udienza del 16 aprile, l’avvocato degli Evans ha gridato ai giudici: «Non potete controllare ogni aspetto della vita delle persone», dopo aver invocato per Alfie, invano, l’«Habeas corpus», l’antico diritto all’inviolabilità delle persone. I giudici hanno risposto che quel che conta è l’interesse supremo del bambino, e non sono i genitori a deciderlo. È lo Stato britannico che per Alfie, come per Charlie Gard, ha deciso che deve morire. Contro la volontà dei suoi stessi genitori.
Alberto PentoAl Papa ricordo che Dio non è un padrone e che la vita risponde alle sue leggi, alle leggi del creato e che il Creatore non è equiparabile a un padrone, a un re, a un imperatore, a un dittatore, ... e che l'uomo è in parte, entro certi limiti e ambiti, corresponsabile e responsabile.
La vita è anche dell'uomo, della sua volontà.