La gratuità? La vita non è un caso, nemmeno un dono gratuito

La gratuità? La vita non è un caso, nemmeno un dono gratuito

Messaggioda Berto » lun feb 12, 2018 9:31 am

La gratuità? La vita non è un caso e nemmeno un dono gratuito.

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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La gratuità? La vita non è un caso, nemmeno un dono gratuito

Messaggioda Berto » lun feb 12, 2018 9:32 am

La gratuità in natura, come il caso senza connessioni causali, non esiste.

La gratuità può essere sia un male che un bene
Quando è naturale, libera e volontaria è un bene, quando è ideologica, obbligatoria e senza reciprocità è un male e la base della schiavitù, della depredazione.
Il male e la menzogna della gratuità come ideale sociale religioso e politico.
La gratuità non sempre è un bene e spesso è un male travestito da bene.
La gratuità come ideale e diritto è un male perché deresponsabilizza, deruba, depreda, riduce in schiavitù.
La gratuità come dono e carità ha valore solo se è responsabile, volontaria e libera in un contesto, ambito di relazioni sociali amorose, fraterne, solidali, che presuppongo la reciprocità, uno scambio di dare e ricevere; anche la gratuità di riflesso a una credenza religiosa presuoppone e implica la reciprocità, uno scambio.
La gratuità che disprezza la non gratuità è un male grande ...
È come affermare che la proprietà è un furto, come la libertà di disporre di sé, come il lavoro pagato, il giusto guadagno e il giusto profitto.
Chi predica a favore della gratuità, sempre e comunque e contro la non gratuità è solo un ladro, un bugiardo e un parassita.

Il mandato divino del Creatore per tutte le creature è quello di quadagnarsi da vivere con il sudore della fronte;
e in questa legge universale non vi è nulla di gratuito.
Anche la provvidenza divina, la manna dal cielo e i miracoli degli dèi incarnati, dei santi e delle madonne sono una menzogna della gratuità che viola leggi universali e naturali di Dio.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » lun feb 12, 2018 9:33 am

L'uomo di buona volontà e l'ipocrita
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Il sano egoismo è un bene e non un male ed è un valore naturale, universale e divino poiché il primo dovere di ogni creatura è di vivere la sua vita come da mandato del Creatore.

No Bergoglio, proprio no!

L'uomo di buona volontà vive per sé e per la sua famiglia e così facendo vive per tutta la comunità e tutta l'umanità.
Chi vive per gli altri è lo schiavo che è costretto con la violenza alla rinuncia di sé per consumare la sua vita al servizio di chi l'ha schiavizzato come le bestie in cattività;
oppure chi per scelta ideologico-religiosa rinuncia alla sua vita naturale per farsi membro di una chiesa o di un corpo mistico al servizio di un idolo e del suo dominio sul mondo intero, in cambio di una "vita felice nell'aldilà" o per il potere sulla terra con i relativi privilegi e franchige che questo potere politico-religioso comporta.

Vivere per gli altri incominciando dal vivere per sé e per la propria famiglia, poiché non ha alcun senso trascurare se stessi e la propria famiglia con i propri figli per curare altri.
Ciò sarebbe disumano, assurdo e contrario alle leggi naturali universali e divine.

Aiutare se si può, quando si può, volontariamente e liberamente e non come una costrizione, un obbligo una condanna che ti riduce in schiavitù e che ti priva della libertà e della tua volontà.
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Messaggioda Berto » lun feb 12, 2018 9:34 am

La proprietà non è un furto e un male ma un bene prezioso e rubare non è un bene ma un male
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Messaggioda Berto » lun feb 12, 2018 9:35 am

“Gratuità non è sfruttamento” - Il Ponte
Domenico Chiericozzi

http://www.ilponte.com/gratuita-non-e-sfruttamento

La gratuità può convivere con l’economia? In altri termini, è possibile fare cooperazione in ambienti economici dove tende a predominare un approccio puramente di mercato? Sono state queste le due domande al centro dell’incontro “Il terzo settore: socialità e reciprocità nell’economia”, il terzo appuntamento del ciclo La politica ha bisogno della buona cultura. Alla sala Buonarrivo della Provincia di Rimini, il 29 novembre, ad affrontare queste tematiche è stata la professoressa Alessandra Smerilli, economista, autrice di numerosi saggi e professore di Economia presso l’Università Cattolica di Milano.

Prof.ssa Smerilli, che cosa c’entra il mercato con la socialità e la reciprocità tipiche del terzo settore?
“Per comprendere fino in fondo la questione occorre partire dalle riflessioni di Adam Smith che è considerato il padre fondatore della teoria moderna del mercato. È lui che sostiene che nelle relazioni di mercato c’è uno scambio di equivalenti tra prestazioni e pagamento. I soggetti non devono dipendere dalla benevolenza degli altri. Il contrario di quello che accade nella relazione non di mercato basata sul dono, l’amicizia o la parentela. Da Smith in poi sono passati duecento anni, ma nella sostanza il ragionamento è rimasto lo stesso”.

Con quale messaggio?
“Che se ciascuno cerca il proprio interesse tutto funziona. Ma Smith va oltre e dice che qualunque azione che si propone lo scopo del bene comune, produrrà effetti perversi per l’impresa e per la società, e che per l’esistenza della società la gratuità è meno essenziale della giustizia. Insomma, la società secondo Smith può sussistere senza gratuità”.

Quanto è presente oggi questo pensiero?
“Nel pensiero economico più forte, la scuola di Chicago, si dice ancora che l’unica responsabilità che l’impresa è fare profitti, il resto viene dopo”.

Quindi?
“Quindi è avvenuta l’espulsione della gratuità, della reciprocità, della fraternità dalla sfera economica e l’allontanamento della dimensione economica da chi vuole sfidare il mercato. Paradossalmente, infatti, succede questo: che se l’economia viaggia su un certo binario, chi vuole agire con gratuità mette in qualche modo da parte l’economia. Ma così abbiamo molte realtà che non riescono ad andare avanti e sono costrette a chiudere. Invece l’economia è importante”.

Quindi in base a che cosa si deve decidere: il rapporto costi-benefici?
“No, il rapporto costo-benefici non può essere l’unica dimensione che conta. Pensiamo al campo della sanità, un mero calcolo può portare a delle scelte che mettono a rischio delle vite umane. Un fatto è certo. Stiamo mutuando nella vita di tutti i giorni, anche nel linguaggio, la razionalità economica. Penso ad esempio al campo educativo: si parla di debito, credito, contratto formativo”.

Come si può uscire da questo schema?
“Questo sistema si autoalimenta. Il modello di sviluppo che abbiamo messo in atto genera crescita economica, molte volte a danno delle relazioni interpersonali. Tuttavia vale anche il contrario: il degrado delle relazioni continua a generare sviluppo, crescita, perchè il mercato riesce a offrire servizi a pagamento cercando di rispondere ai bisogni nuovi che si stanno creando”.

L’economia allora si merita davvero la definizione di “scienza triste”?
“Questo è quello che s’insegna nelle università ma se l’economia diventa il luogo delle passioni, degli ideali, degli interessi per la felicità pubblica, allora anche oggi ci può essere qualcosa di nuovo da proporre nel modo di fare economia”.

Che cosa lasciarci alle spalle e che cosa adottare per il futuro?
“Una categoria culturale da superare è legata alla distinzione no profit-for profit. Forse sarebbe meglio parlare di imprese civili e incivili perché fare profitto non è un male, anzi è il test che l’impresa sta funzionando bene.
Persone che vivono la gratuità sono importanti per l’economia, ma rimane pur sempre solo un’affermazione di principio”.

Sì, ma è anche matematicamente dimostrabile. Nella letteratura economica le strategie di gratuità sono considerate stupide perché fanno male a sé stesse e agli altri perchè si lasciano sfruttare dagli opportunisti e li fa crescere. È proprio così?
“Due soggetti possono decidere in una determinata situazione se cooperare o non cooperare. Nonostante entrambi credano che sarebbe meglio cooperare, non ci si arriva mai per due motivi. L’opportunismo perché se penso che l’altro coopera io non coopero e ottengo il massimo beneficio. Oppure per la paura di essere sfruttati: se io coopero e l’altro non coopera ottengo il minimo risultato. Questo mix di opportunismo che in gergo si chiama tentazione e di paura porta a fare delle scelte che non sono ottime sia a livello individuale sia di collettivo”.

Tutto questo come si ricollega al tema del mercato?
“Il mercato per funzionare ha bisogno di fiducia e di cooperazione e non va avanti se ognuno si ritira nel proprio guscio”.

Quali sono allora le soluzioni?
“La strada alla quale forse siamo più vicini, non è solo cambiare i valori individuali ma passare a una diversa percezione dei problemi che possono essere visti sia da un punto di vista individuale ma anche collettivo”.

Come far scattare la cooperazione in ambiti non cooperativi?
“Se vive bene il proprio essere il terzo settore può civilizzare il mercato. Di tutto il terzo settore c’è bisogno perché il mercato sia più completo, più umano. Si tratta di realtà che non devono farsi sfruttare”.

Quindi cosa si deve intendere per gratuità?
“Non va confusa con il buonismo. Confondere il gratuito con il gratis ha nascosto tante forme di sfruttamento, in particolare della donna. Io posso lavorare gratuitamente perché lo faccio anche con motivazioni intrinseche. Gratuito può essere anche con un contratto e un giusto salario. Non perché ricevo uno stipendio, non vivo con gratuità il mio lavoro. Per questo c’è bisogno di cambiare il mondo di intendere la socialità e il sociale anche sul mercato”.

Un esempio concreto?
“Nel raccontare la sua esperienza nel campo di concentramento di Auschwitz, Primo Levi scrive di aver spesso notato un fenomeno curioso. Il muratore italiano che gli ha salvato la vita portandogli di nascosto del cibo, detestava tutto di loro eppure quando lo mettevano a tirare su i muri li tirava su dritti e solidi non per obbedienza, ma per dignità. Tirare su un muro dritto per dignità è espressione di gratuità. È di questa gratuità che il mercato ha bisogno. Pensiamo solo ai muri dell’Aquila: se solo fossero stati fatti diversamente, tante vite umane non sarebbero state perse e così si potrebbero fare tanti altri esempi. Gratuità intesa quindi come un modo nuovo di stare sul mercato facendo le cose bene e in qualche modo portando tutto il mercato a una maggiore cooperazione. Questo è ciò di cui ha bisogno l’Italia, soprattutto ora che sappiamo che dobbiamo tornare a crescere”.
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La gratuità? La vita non è un caso, nemmeno un dono gratuito

Messaggioda Berto » lun feb 12, 2018 9:35 am

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La gratuità? La vita non è un caso, nemmeno un dono gratuito

Messaggioda Berto » lun feb 12, 2018 9:37 am

Ecco i predicatori, fautori, promotori della gratuità, bugiardi, parassiti e ladri:

???

È possibile oggi la gratuità?
JAVIER PRADES riflette su una caratteristica dell'uomo contemporaneo, il rifiuto a riconoscere o accettare la gratuità. Da dove arriva e come si manifesta questa mentalità? 28 agosto 2014 Javier Prades

http://www.ilsussidiario.net/News/Edito ... ta-/522986

Non di rado si respinge una concezione della vita basata su una gratuità primordiale e che si esprime in una gratuità quotidiana. Si deve almeno a due obiezioni che si sono fatte strada in occidente e che oggi sembrano mentalità comune.

La prima obiezione è molto evidente e proviene dall’esperienza del male. La sofferenza, il dolore e la morte accompagnano da sempre l’umanità e la vita di ogni persona; tuttavia, il XX secolo li ha conosciuti in una misura, inimmaginabile prima, che spaventa al di là di qualsiasi parola. Un male così diffuso e profondo porta molti contemporanei a negare l’ipotesi di un’origine buona e gratuita della vita, del suo essere dono ricevuto senza meritarlo, tale cioè da suscitare gratitudine.

La conseguenza sarebbe l’impossibilità di giustificare in modo ragionevole un atto realmente gratuito, amorevole, di puro dono all’altro, nella vita di tutti i giorni. Quanto ai nostri occhi appare come comportamento disinteressato, avrebbe invece altre cause occulte, quali egoismo, volontà di potere, di dominio etc., che apparirebbero evidenti dopo opportune indagini (neurobiologia, psicoanalisi, psicologia sociale, ecc.).

L’altra obiezione si basa sulla tesi secondo la quale nulla sarebbe di fatto gratuito perché tutto ci è dovuto. Alla fine di un lungo processo filosofico, giuridico e teologico si arrivò a negare la gratuità come dimensione necessaria per la vita umana, personale e sociale. Noi uomini non saremmo – né potremmo essere in alcun modo – beneficiari di doni o favori non elargiti a fronte di meriti acquisiti. La nostra stessa vita con le sue caratteristiche peculiari (ragione, libertà, corporeità, dominio della natura, gioia, piacere etc.) non avrebbe carattere di dono ricevuto gratuitamente, ma di stretta proprietà di ciascuno, con i suoi diritti, come prerogative inalienabili che non proverrebbero da altri (da Altro), delle quali non bisognerebbe rendere conto a nessuno.

Curiosamente, secondo questa mentalità – che normalmente va di pari passo con il rifiuto di un Donatore assoluto – si potrebbe prendere in considerazione l’esistenza di Dio allo scopo esclusivo di poter scaricare su di Lui le richieste adirate che le altre istanze (famiglia, società, stato, chiesa) non sono state più in grado di rispondere. Con imparagonabile ironia l’aveva espresso Samuel Beckett: “Dieu, il n’existe pas, le salaud!”.

È possibile quindi vivere e pensare la gratuità in questo nostro mondo? Paradossalmente, anche se teorizza il contrario, l’uomo non riesce a concepire un mondo senza gratuità in senso assoluto, e ancora meno a viverlo. Per uscire dal paradosso e riavviare il dinamismo della ragione di fronte al male, il primo passo è mostrare che la gratuità è possibile perché è reale, esiste di fatto. Esistono e sono esistiti gli uomini e le donne che nella storia hanno testimoniato ostinatamente la misteriosa possibilità di affermare che la realtà è positiva e che la vita può essere abbracciata amorosamente, anche nelle circostanze dove tutto concorrerebbe a far tacere tale voce.



Mi dispiace Bergoglio, ma il bene, lo star bene e la qualità della vita non sono una menzogna. Le tue sono parole menzognere

Papa Francesco: 'La qualità della vita? È una menzogna'. Il messaggio per la giornata mondiale del Malato | San Francesco
01-01-2015

http://www.sanfrancescopatronoditalia.i ... oEj5-dryjI

È una bugia ipocrita quella che «si nasconde dietro certe espressioni che insistono sulla “qualità della vita” per indurre a credere che le vite gravemente affette da malattia non sarebbero degne di essere vissute», «tuona» inoltre il Pontefice. Su questa «grande menzogna» dice: «Anche quando la malattia, la solitudine e l'inabilità hanno il sopravvento sulla nostra vita di donazione, l'esperienza del dolore può diventare luogo privilegiato della trasmissione della grazia». E allora «le persone immerse nel mistero della sofferenza e del dolore, accolto nella fede, possono diventare testimoni viventi di una fede che permette di abitare la stessa sofferenza, benché l'uomo con la propria intelligenza non sia capace di comprenderla fino in fondo».

«Il nostro mondo dimentica a volte il valore speciale del tempo speso accanto al letto del malato – è la denuncia papale - perché si è assillati dalla fretta, dalla frenesia del fare, del produrre, e si dimentica la dimensione della gratuità, del prendersi cura, del farsi carico dell'altro». Per Francesco «dietro questo atteggiamento c'è spesso una fede tiepida». E allora il Papa esorta: «Vorrei ricordare ancora una volta l'assoluta priorità dell'uscita da sé verso il fratello come uno dei due comandamenti principali che fondano ogni norma morale». Inoltre, Jorge Mario Bergoglio mette in evidenza «quanti cristiani testimoniano non con le parole ma con la loro vita» accanto ai malati; questi vivono «un grande cammino di santificazione» perché se «è facile servire per qualche giorno» è invece «difficile accudire una persona per mesi o per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare».

Il Pontefice esprime anche un altro monito: «La vera carità è condivisione che non giudica, che non pretende di convertire l'altro»; «è libera da quella falsa umiltà che sotto sotto cerca approvazione e si compiace del bene fatto». Vatican Insider


Commenti dei lettori

Paolo
Papa Francesco ha la capacità di esprimere concetti profondi con parole chiare e semplici. Lo seguo con piacere

graziella
È semplicemente straordinario, come papa Francesco riesca ad esprimere i concetti dei suoi pensieri in chiave chiara e trasparente.Espone l ipocrisia e i difetti morali mettendoli in luce al solo scopo di fare pulizia nella anima Grazie padre Francesco...



???

Non solo Soldi ed Economia

http://www.quieuropa.it/non-solo-soldi- ... lla-moneta

Roma, Catanzaro – di Padre Piotr Panzulewicz – 12/09: Giovedì della 23a settimana del tempo ordinario – Santissimo Nome della Beata Vergine Maria: «in questo giorno si rievoca l’ineffabile amore della Madre di Dio verso il suo santissimo Figlio ed è proposta ai fedeli la figura della Madre del Redentore perché sia piamente invocata»; in lei «Dio Padre ha radunato tutte le grazie e le ha chiamate Maria» (L. M. Grignon de Montfort), «mare di grazie» (San Bonaventura) o «pioggia di grazia stessa» (Pagninus). «Ecco perché il suo nome è soave per gli angeli e terribile per i demoni» (Santa Brigida). Sia soave, luminoso, misericordioso e generoso anche per noi, come lo fu per il re Giovanni III Sobieski: il 12 settembre 1683, invocando il nome di Maria, le truppe del re hanno definitivamente vinto i Turchi che assediavano Vienna e minacciavano l’intera cristianità europea.

Nel Segno della Gratuità - Proprietà Popolare della Moneta

Non solo Economia e Soldi, ma Soprattutto
Nei momenti di avversità invochiamo anche noi il nome di Maria e non pensiamo che solo economia e soldi possano risolvere i problemi della vita e della politica, chiedendoci se sempre siamo stati riconoscenti al Signore e alla sua (e nostra) Madre, Maria, per tanta generosità nei nostri confronti, ai nostri genitori che ci hanno dato la vita, e alla Chiesa che ci ha generato nella fede attraverso il battesimo, che ci accompagna nella nostra crescita trasmettendo la Parola di Dio, che ci indica il cammino della vita cristiana, che ci porta il perdono di Dio attraverso il Sacramento della Penitenza, che ci sostiene nel momento della malattia con l’Unzione degli infermi, che ci nutre con l’Eucaristia, Pane di vita vera.


La Riconoscenza che Riempie il Cuore

Il filo conduttore delle letture odierne (Col 3,12-17; Sal 150; Lc 6,27-38) può rintracciarsi nella frase: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso». Nelle letture di oggi troviamo magnifiche espressioni di generosità. E una generosità impensabile, perché sgorga dal cuore di Dio, fonte di ogni vera generosità che non cerca il proprio interesse. San Paolo scrive allora ai Colossesi: «Rivestitevi, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia», carità, generosità. Il pensiero di essere stati scelti e amati da Dio dovrebbe sempre riempirci di stupore: "Io, così indegno e miserabile, sono amato da Dio!". Pensiamoci sovente, riflettiamo bene a questa stupenda verità: "Io sono amato, realmente amato". Quando uno si sente amato, non può che amare a sua volta, generosamente, senza cercare il proprio interesse, per la riconoscenza che gli riempie il cuore. San Paolo qui lo ripete tre volte in pochi versetti: «La pace di Cristo regni nei vostri cuori… E siate riconoscenti!» (v. 15);«Ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine» (v. 16); «E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre» (v. 17).


La Via della Gratuità

La riconoscenza è fondamento del vero amore/carità/gratuità/generosità. Dio ci ha amato per primo. Se lo riconosciamo con commozione e stupore, ci incamminiamo a nostra volta sulla via della gratuità, benedizione e generosità, quella a immagine del cuore di Cristo. Pensiamoci. Ad ogni nostra mormorazione e maledizione egli ha sempre risposto benedicendoci, parlando bene di noi al Padre, ripetendo senza sosta: «Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno». Ci ha giustificati, sino a dare la sua vita per noi. Ha risposto benedicendoci! E così quando lo abbiamo maltrattato, nelle persone che ci sono accanto; non soltanto quando abbiamo aggredito verbalmente o alzato le mani, con i colleghi ad esempio, ma anche quando abbiamo ingannato, usato e gettato via le persone come fossero oggetti, o quando lo abbiamo “percosso sulla guancia” in senso di sfida, togliendogli l’onore nelle offese e nelle calunnie con cui abbiamo colpito il prossimo.


Per Quattro Soldi in più

Quante volte abbiamo “spellato” chi ci è accanto, come ripete Papa Francesco. Quante volte, con una superficialità disarmante abbiamo lasciato che la nostra lingua si facesse compagna di tante altre, impegnate nello smontare pezzo a pezzo la dignità di un collega o anche di un amico? E quanti “mantelli” abbiamo sfilato da chi aveva solo quelli per coprirsi: quante ingiustizie per mettersi in tasca quattro soldi in più. Abbiamo preso ciò che non è nostro, mille volte al giorno. E Gesù ci ha sempre perdonato, amandoci senza riserve, offrendoci la guancia, la tunica, tutto se stesso. E’ su di lui che si è abbattuta la nostra concupiscenza e mille volte si è infranta perché non provocasse danni più grandi. Questa è la generosità/misericordia/carità predicata dalla Chiesa, la salvezza che abbiamo sperimentato tante volte. Siamo stati amati senza alcun merito, senza nessun diritto, gratuitamente. E oggi di nuovo ci viene annunciato l’amore divino, perché noi amiamo anche i nostri nemici per strapparli all’inimicizia e infondere in loro la vita che non muore. La “misura” del suo amore è ben più grande di quella dei peccati più atroci. Stretti nell’abbraccio di Gesù, stendiamo allora le braccia per donare ciò che abbiamo, liberi, senza difendere nulla. Mantello, onore, denaro e potere sono per coloro che odiano il Signore o ancora non l’hanno conosciuto.


Non esiste Unità di Misura

Non esiste unità di misura per l’amore del Signore. E noi, quante volte misuriamo il tempo speso per gli altri, il perdono offerto, la quantità di vita consegnata? Sì, perché in fondo, quel che facciamo è prestare e mai riconoscere o donare (Vedi Sistema Bancario e truffaldina "Moneta Debito"). Per chi dona, le misure non contano. Il dono non conosce calcoli. Quando nel cuore si comincia a tenere una segreta contabilità, una partita di dare e avere, è il segno che il Cielo è ormai chiuso, e la vita dei figli è divenuta vita di orfani.


Verso una Vita Nuova

Gesù ci guarda oggi e ci chiede il nulla che abbiamo: cinque pani e due pesci, il nulla di fronte all’eccezionalità della necessità, per sfamare tanta gente, per vivere in pienezza e secondo la volontà d’amore del Padre; ce lo chiede per trasformarlo in un folle, incalcolabile, non invidiabile, inesauribile e smisurato amore, capace di eccedere e condurci in una vita nuova, quella dei figli somiglianti al Padre, allevati nella sua misericordia per essere pura misericordia per ogni nostro prossimo. Chi vive nascosto nel seno del Padre, immerso nella sua misericordia, chi si nutre, istante dopo istante, del suo perdono, chi sperimenta, quotidianamente, il suo amore, non può preoccuparsi di condannare e pensar male degli altri.


Non si può trafugare ciò che è illimitato ed inesauribile

I suoi occhi sono intrisi dello sguardo del Signore, non sanno guardare nessuno se non attraverso gli occhi di Dio. E non può amare che con il cuore di Dio, senza timore, perché il proprio cuore è già nel Cielo e nessuno potrà mai trafugare ciò che non si può misurare e non si esaurisce. Un amore donato nella carne delle proprie ore, spese gratuitamente, senza difendere nulla, senza invidia, gelosia, concupiscenza e avarizia, perché Dio è lo stesso e ama tutti con lo stesso cuore. Ogni situazione che siamo chiamati a vivere è eccezionale e necessita un amore smisurato, per liberarla dalla tirannide dell’oppressore, odio e rancore, e fecondare la vita, gratuitamente. (Padre Piotr)

Sergio Basile

Per la gratuità, contro la "Moneta-Debito" e L'Usurocrazia

Un ultimo pensiero della redazione va in tal senso (aggiungiamo) alla battaglia dei popoli contro l'usurocrazia e la Moneta-Debito che devasta le Nazioni, specie in Europa, oggi, e nella nostra amata Italia. Il prossimo 24 Settembre a Roma (Ore 10,00, Piazza Cavour, dinnanzi al "Palazzaccio" - Vedi allegato) si terrà la prima Manifestazione Nazionale per fermare le Banche e la Criminalità Economico-Finanziaria-Giudiziaria. Il 28, sempre a Roma, si terrà inoltre l'atteso Congresso Nazionale Auritiano. Alla luce di ciò, e con lo sguardo intriso della gratuità "celeste", di cui sopra, vi lasciamo con un commento ispirato al'azione del grande ed indimenticato professore cattolico Giacinto Auriti ed ai suoi studi sulla proprietà popolare della moneta, illuminati dalla saggezza del vangelo e dei passi più significativi della vita di Gesù.

Roma - Prima Manifestazione Nazionale Contro la Criminalità Economico-Finanziaria e Giudiziaria - 24 Settembre

La Questione della "Proprietà Popolare della Moneta" e il Vangelo

Maria diede alla luce il Figlio di Dio, come culla Gesù Cristo ebbe una mangiatoia perché nel “mondo non c’era posto per lui", in realtà non c’era posto per il suo messaggio. Se San Giuseppe fosse stato un mercante, di certo avrebbe trovato un posto migliore. Ciò che accadde alla Santa Famiglia in quel tempo si applica molto bene alla nostroa analisi. Noi che diffondiamo la proprietà popolare della moneta ci troviamo nelle stesse condizioni: per l’ideale che proponiamo spesso e volentieri non c’è posto nei media di regime e in nessun ambito sociale ed economico di regime. Come San Giuseppe, tuttavia, andiamo avanti con umiltà, consapevoli del futuro trionfo della volontà del Signore. Gesù Cristo è figlio di Dio ma nello stesso tempo è un’uomo come noi, come noi ha avuto paura del dolore, ha avuto paura della morte che lo aspettava. Ma come Figlio di Dio sapeva bene che era necessario che lui morisse in Croce perché solo così sarebbe stata svelata a tutti l’essenza del suo messaggio. “Però sia fatta non la mia, ma la tua volontà": chi opera a favore del prossimo deve ricordare sempre bene questa frase. Cristo, infatti, si è manifestato in modo esclusivo, e per noi continua a farlo quotidianamente in modo ordinario. Per accorgerci di questo, oltre al rispetto dei 10 comandamenti, dobbiamo fare come dice il Vangelo “amare il prossimo”, come ci ricorda San Paolo, prendendo le distanze dagli oppressori e dal loro diabolico fascino. D'altra parte è noto come ci siano molti modi per sfruttare ed eliminare chi dice la verità, come d'altronde l’essere debole, o privo di sapere. Il malvivente comune lo fa con le armi semplici, gli uomini di cultura dal cuore malvagio lo fanno con la manipolazione delle informazioni, usando l’ignoranza della gente, e portando essa all’idolatria e alla fame. Preghiamo ed agiamo, dunque, per il bene dell’umanità, consci che chi è per la proprietà popolare della moneta, dimostra di amare il prossimo perché intende dargli quello che gli tocca di diritto: la sua moneta. Chiediamo, infine, per mezzo di Maria, che tutti gli uomini che hanno potere decisionale su popoli interi, possano ricevere i doni dello Spirito, affinché riconoscano nella proprietà popolare della moneta una realtà spirituale di segno positivo che mette d’accordo tutti i popoli del mondo e che essi vedano nella sua attuazione la realizzazione del messaggio evangelico. (Sergio Basile, Redazione Qui Europa e "Sete di Giustizia")




???
La gratuità è un atto rivoluzionario che agevola lo sviluppo sociale
Alberto Bobbio
2014

http://archive.santegidio.org/pageID/64 ... TAMPA.html

Loro di periferie se ne intendono. E non solo di quelle geografiche. Trafficano i talenti della carità nelle zone più disperate e dimenticate delle città del mondo, ma anche con le persone che vengono messe ai margini da una società che non sa più cosa sia la solidarietà. Marco Impagliazzo è il presidente della Comunità di Sant'Egidio e spiega che, in questo anno, papa Francesco ha riportato al centro dell'attenzione della Chiesa «non solo le periferie, ma anche i periferici».

Chi per esempio? «Gli anziani e i giovani, legando insieme il loro destino che è quello di migliorare la società, intrecciando memoria e freschezza, forza degli anni e forza della giovinezza».

Cosa c'è dietro il richiamo costante alle periferie di papa Francesco? «La gratuità come atto rivoluzionario che agevola lo sviluppo sociale. Bergoglio aveva esperienza delle villas miserias di Buenos Aires e sa bene che nelle periferie si capisce meglio e più profondamente la realtà umana».

Però lui parla anche di periferie esistenziali. Perché? «Perché guarda la crisi e spiega che essa ha messo in luce, tra tante cose, anche il tramonto dell'idea di bene comune. Che non è qualcosa che si costruisce da soli, ma insieme. Tutte le grandi conquiste sociali sono state costruite da gruppi di persone che avevano sintonia. Poi c'è stata una frattura e l'individualismo è diventato parola d'ordine. Al punto che il desiderio individuale è diventato diritto da espandere al massimo livello. Pensi all'eutanasia».

E il Papa che cosa ha fatto? «Ha posto il problema del "noi" e ha spiegato che il legame con l'altro, il vicino magari anziano, non è un ostacolo, ma la soluzione alla crisi. Invece chi è prigioniero del fondamentalismo dell'io, sta male. Diventare amico di chi vive nella periferia esistenziale può cambiare le cose».

E con il Vangelo cosa c'entra? «Oggi il "salva te stesso", il concetto anti-evangelico rifiutato da Gesù, è molto diffuso. Ognuno va di fretta travolgendo chi sta accanto. Nessuno crede più che cambiare la vita degli altri può avere qualche utilità per la propria. Così è diventato normale e accettato che vi siano i deboli e gli emarginati: danni collaterali del rispetto delle regole del gioco anti-evangelico. Il Papa non ci sta e lo dice».

Solo analisi o parole che cambiano la vita? «Io posso testimoniare che da quando papa Francesco parla è aumentato di un buon venti per cento il numero di chi bussa alle porte delle nostre comunità per impegnarsi. Per questo parlavo di gratuità come atto rivoluzionario. Le parole del Papa sono facili e tutti le capiscono. Quando parla di economia dell'inclusione per esempio non fa una lezione magistrale, ma mette tutti in grado di capire che si può cominciare dal barbone sotto casa o dall'anziano che sta da solo all'ultimo piano. E l'impegno fa paura».

In che senso? «Il giorno che ha denunciato l'usura e la solitudine sulla quale giocano gli strozzini i media hanno preferito raccontare un piccolo pappagallo verde che il Papa ha preso sulla mano. Se si continua a insistere sulle emozioni, sulle immagini che fanno scalpore, si depotenzia il messaggio di Bergoglio. Andava bene all'inizio. Continuare dopo un anno lascia supporre che vi sia una precisa strategia. Io consiglio di riflettere di più sulle parole profonde che il Papa dice e che possono veramente portare a cambiamenti radicali nel cuore degli uomini».

Dà fastidio la denuncia della cultura dello scarto? «Sì. La cultura dello scarto è alimentata dal pessimismo, dalla sfiducia, dall'autovittimismo. Il "prendersi cura" è sparito dal nostro orizzonte e papa Francesco lo sta pian piano riportando al centro di ogni questione con i ragionamenti sulle periferie. Non denuncia solo l'economia canaglia, ma dice che la povertà economica è accentuata dalla mancanza di relazioni. Nelle nostre comunità sparse in tutto il mondo ogni giorno vediamo nuovi poveri e sperimentiamo quanto l'isolamento sia un grande moltiplicatore di povertà. Vale anche per il nostro sistema comunicativo: maggiore è la possibilità di comunicare con tutto il mondo e più elevato è il rischio di dimenticarci del prossimo più vicino a noi».

Cosa cambia con papa Francesco? «Ci chiede di uscire dalle chiese, ma anche dalla durezza del nostro cuore. Chiede fiducia, chiede di credere nell'amicizia, nei legami. Nei 46 anni della storia della Comunità noi abbiamo sperimentato che funziona. Faccio l'esempio della pace in Mozambico: l'idea della mediazione che ha portato alla pace nel Paese africano è nata dall'amicizia con un vescovo africano. La stessa co sa sta accadendo nella Repubblica Centrafricana e altrove. Una diplomazia che sta in piedi perché frutto della fede, della carità e dell'amicizia. Il Papa sta cambiando la mentalità e la gente capisce che è importante fare qualcosa per gli altri senza pretendere nulla in cambio. E questo è davvero l'atto più eversivo delle parole e delle scelte di papa Francesco». "



I Padri greci, la gratuità e il perdono
21 Settembre 2015
Andrea Pino

http://www.trinitaeliberazione.it/pagin ... rdono.html

La riflessione sulla gratuità della misericordia divina ha sempre attirato l’attenzione dei Padri Greci del Tardoantico. Secondo i loro insegnamenti già l’intera creazione offriva un inno di testimonianza alla bontà di Dio. Egli infatti non aveva certo bisogno delle attenzioni delle intelligenze angeliche o delle altre potenze celesti eppure le aveva chiamate all’esistenza. Non aveva bisogno del mondo eppure lo aveva creato, colmandolo di meraviglie.

Ma il suo essere benigno si era rivelato soprattutto nell’uomo. Dio aveva fatto dell’uomo sulla terra ciò che egli stesso era nei cieli: lo aveva magnificato con splendidi doni, gli aveva conferito la grazia della ragione, lo aveva colmato di sapienza e ritenuto degno della sua conoscenza, gli aveva permesso di godere della sua familiarità, promettendogli addirittura la vita eterna e tutto gratuitamente, senza che l’uomo avesse alcun merito da far valere nei confronti del Creatore.

L’infinita grandezza della bontà del Padre si era manifestata però proprio dopo la caduta. Così scrive Crisostomo: “Forse Dio annientò colui che fin dall’inizio e, per così dire, contro le sue leggi aveva mostrato tanta irriconoscenza? Secondo una logica di giustizia, sarebbe stato conseguente che, avendo goduto di mille vantaggi e, a fronte di questo, essendosi subito basato, fin dagli esordi della sua vita, sulla disobbedienza e sull’ingratitudine, fosse mandato in rovina e fosse tolto di mezzo. Ma Dio non meno di prima continuò a beneficarlo, dimostrando che, se anche sbagliamo infinite volte, egli non cessa di dispensare quanto è necessario per la nostra salvezza, affinché ci convertiamo e siamo salvati, con la conseguenza che egli fa ciò che deve fare, anche se noi perseveriamo nel male. Sembrerebbe che la cacciata dal paradiso, l’interdizione dall’albero della vita ed il consegnarlo alla morte siano azioni di uno che voglia punire e vendicarsi ed invece sono l’effetto, non meno di prima, di un disegno provvidenziale”.

Nel pensiero patristico greco dunque Adamo aveva sì commesso il terribile peccato di hýbris ma anche la giusta punizione ricevuta, cioè la tísis, venne progettata da Dio per la sua salvezza ed il suo onore. Se infatti, dopo aver trasgredito ai comandi divini, l’uomo non fosse stato punito in quel modo, sarebbe comunque incorso in un male estremo pensando che Dio fosse un ingannatore e continuando così a peccare. Il Padre invece, per tenere lontano l’uomo da questo rischio, decise di farlo uscire dal paradiso. Si comportò insomma come un medico che, avendo a che fare con una grave ferita, opta per la terapia più dolorosa ma al fine di preservare il malato da maggiori pericoli. Nella condotta di Dio era dunque da riconoscere la sua misericordia anche quando sembrava infliggere delle pene ai progenitori, come ad esempio il sudore e la fatica del lavoro, il travaglio e le doglie del parto: a prima vista tali cose potevano apparire dei castighi ma altro non erano che salutari correzioni.

Inoltre, per comprendere appieno lo stile pedagogico divino, i Padri invitavano a considerare il caso di Caino, il primo uomo che accolse nella sua mente pensieri perversi e la cui vicenda aveva una valenza davvero emblematica. Caino, infatti, aveva sotto gli occhi il castigo del padre e ciononostante ricadde in una malvagità peggiore commettendo due distinti peccati. Il primo quando, offrendo in sacrificio i frutti della terra senza alcuna amorevolezza ed attenzione, dimostrò tutta la sua tracotanza. Il secondo quando perpetrò lo spaventoso omicidio del fratello. Peraltro, anche in quest’occasione, Dio dimostrò la sua gratuita benevolenza verso l’uomo. Nel primo caso, il Signore si limitò soltanto a rimproverare Caino e addirittura cercò di consolarne la malinconia anche se il peccato compiuto ledeva il suo giusto diritto ad essere adorato. Ma Caino non fece tesoro del perdono ricevuto. La tristezza che lo affliggeva nasceva dalla sua ira e lo condusse a scegliere deliberatamente l’iniquità, versando il sangue di Abele. Quale fu allora la sua punizione? Solo quella di un’esistenza trascorsa nel terrore e nel tremore. Si trattò dunque di una pena molto più mite rispetto alla gravità del peccato compiuto. Essa, per giunta, era vantaggiosa innanzitutto per Caino stesso, perché se Dio lo avesse punito subito con la morte lo avrebbe anche privato di qualsiasi possibilità di pentimento invece, lasciandolo vivere ramingo e fuggiasco sulla terra, gli concedeva l’opportunità di sperimentare la bellezza della misericordia celeste come dono gratuito.

Altra storia emblematica risultava essere per i Padri quella di Noè. Il diluvio, pur essendo un evento davvero tragico, dimostra la premura che Dio ha per le sue creature. Egli infatti avvisò per tempo il genere umano di quella sciagura incombente, fece costruire l’arca dinanzi a tutti come monito, ciononostante le genti non rinsavirono e continuarono con la loro malvagità ad attirare su sé stesse la catastrofe. Certo il Signore non gode per la rovina dei suoi figli, non avrebbe voluto il diluvio, né ricorrere ad alcuna minaccia tuttavia, perché non si spingessero ancora oltre sulla strada della perfidia e per il bene delle stirpi a venire, lasciò che il disastro si compisse. Scriveva ancora Crisostomo: “Non è possibile apprendere tutta la gratuita bontà di Dio verso di noi. Dopo la disobbedienza ed il peccato, quando la tirannide del male dominava su tutto il mondo, quando dun­que bisognava comminare la massima pena ed il genere umano essere completamente distrutto e non restarne neppure il nome, allora si dimostrò a noi il sommo beneficio, facendo morire il suo Unigenito a vantaggio di chi si era allontanato, di chi l’aveva odiato e detestato, operando così per noi la riconciliazione nei suoi confronti e promettendo che avrebbe dato il regno dei cieli, la vita eterna e mille altri beni, che occhi mai non videro, né orecchi sentirono, né giunsero mai al cuore dell’uomo. Che cosa potrebbe paragonarsi a questo?”.

Da tali riflessioni derivava poi un altro dei concetti chiave della patristica greca: l’idea che Dio si prenda cura di tutti anche se ciò rimane spesso celato. Egli è infinito nella saggezza, nella bontà, nell’amore per le creature ed il fatto che gli uomini non riescano a scorgere i favori divini negli avvenimenti terreni è un segno dell’infinità stessa. I fedeli devono essere convinti allora che il Padre compie ogni giorno cose eccezionali per la nostra salvezza, anche se restano evidenti solo a lui ed a noi segrete. Solo in determinati casi alcune vengono rivelate e ciò avviene a nostro utile perché, rendendogli grazie, possiamo attrarre una benedizione ancora maggiore. È necessario quindi ringraziare il Signore non solo per i benefici che appaiono lampanti ma anche per quelli sconosciuti. Se poi qualcuno, pur godendo di una tale cura, rifiuta di migliorarsi, non significa che sarà abbandonato. Avrà liberamente rinunciato alla vita eterna ma Dio lo assisterà comunque nell’esistenza presente perché fa sorgere il sole sui buoni e sui malvagi e manda la pioggia sui giusti e sugli ingiusti.




Meeting di Rimini 2014 - Vita pubblica: giustizia e gratuità
Enrica Izzo
http://www.radioradicale.it/scheda/4195 ... e-gratuita
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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La gratuità? La vita non è un caso, nemmeno un dono gratuito

Messaggioda Berto » lun feb 12, 2018 9:37 am

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Alle sorgenti della gratuità
Julián Carrón
01.12.2007
Appunti dall’intervento di Julián Carrón all’Assemblea generale della Compagnia delle Opere. Milano, 18 novembre 2007

https://it.clonline.org/tracce/pagina-u ... tuit%C3%A0


Vi ringrazio dell’invito che mi avete rivolto a partecipare alla vostra assemblea annuale. Sono contento di essere con voi perché un cristiano come me non può che guardare con simpatia il vostro tentativo. Nel contesto storico in cui ci troviamo, non vi siete risparmiati il rischio della libertà per cercare di creare una compagnia tra coloro che desiderano dare un contributo alla generazione di ricchezza e di lavoro, e di rispondere ai bisogni attraverso opere caritative e culturali.

1. Contesto storico

Viviamo in un panorama sociale che appare sempre più grigio e che ricorda la “grande omologazione” profetizzata da Pasolini. I giovani sono i più colpiti, sono l’emblema della difficoltà che viviamo e la domanda più evidente alla nostra responsabilità di adulti.

«Nel 1968, i giovani incarnavano la speranza, il futuro, la liberazione, l’utopia. I giovani di oggi mi appaiono tanto spesso come l’avanguardia della paura, dell’angoscia davanti al futuro. Sono vittime, secondo me, di una sorta di “sindrome di Peter Pan”», scrive il filosofo francese Luc Ferry, e continua: «Sono bambini, adolescenti che si rifiutano di crescere […]. La paura e l’angoscia sono legate a una sorta d’irresponsabilità e di vittimismo […]. Tutto aspettano dallo Stato e dalla politica […]. Tutti quanti hanno paura di vivere senza le stampelle dello Stato, per entrare nella vita adulta»1.

Gli ha fatto eco in queste settimane Umberto Galimberti, che in un suo libro scrive: «I giovani, anche se non sempre lo sanno, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui»2.

Come diceva qualche anno fa lo scrittore Pietro Citati, i giovani «preferiscono restare passivi […] vivono avvolti in un misterioso torpore» 3.

Un esempio vale di più che mille parole. Mi hanno raccontato che durante un pranzo in famiglia si parlava della situazione del mercato del lavoro e della fatica che fanno in tanti a trovare occupazione. Di fronte al commento del padre di come è brutto e umiliante per un adulto dipendere da un sussidio di disoccupazione, il figlio, al primo anno di università, ha detto dal divano su cui era sdraiato: «Io il sussidio di disoccupazione lo prenderei volentieri».

2. La Compagnia delle Opere:
l’imporsi di un dato

È in questo contesto antropologico e culturale, in cui vediamo venire meno il protagonismo proprio dell’uomo, che occorre considerare la CdO. Guardata in questa prospettiva, la prima cosa che stupisce è proprio il fatto che ci sia una realtà così: persone che non sono vinte da questo misterioso torpore e che trovano l’energia e il coraggio di mettersi insieme per sostenersi; che realizzano un tentativo economico e sociale come risposta ai bisogni, propri e di coloro con cui vivono.

Due sono le caratteristiche del fenomeno CdO, secondo uno slogan che ha segnato la vostra storia: una tensione ideale e un’amicizia operativa.

In questo siete stati pionieri: oltre vent’anni fa avete interpretato un’esigenza che adesso tutti riconoscono come necessaria per una ripresa sociale.

«Sta emergendo con forza, in Europa come negli Stati Uniti - ha scritto di recente Aldo Schiavone -, un nuovo e imprevisto desiderio di legame sociale, l’esigenza di un universo umano, se posso esprimermi così, con maglie più fitte e serrate […]. La ricerca insomma […] di una nuova sostenibilità sociale per la crescita di ciascuna individualità […] [nella quale] la tecnica riesca a entrare in rapporto con la vita […] producendo direttamente libertà […] senza passare attraverso il mercato, e tuttavia evitando di indebolire troppo quest’ultimo». «La Chiesa lo ha colto bene e subito: e si sta dislocando con prontezza in questo orizzonte, per lei familiare»4.

L’esistenza della CdO è una documentazione che non siamo condannati a guardare impotenti come tutto - desideri, speranze, tentativi di fare e di costruire - si disfa tra le nostre mani, ma che c’è una reale possibilità di ripartire, anche nella situazione di distruzione dell’umano in cui ci troviamo a vivere. C’è qualcosa che resiste perfino alle circostanze più sfavorevoli.

Ma per capire fino in fondo il significato del vostro tentativo, occorre guardarne l’origine.

3. Guardare l’origine

Com’è nata la vostra iniziativa imprenditoriale e associativa? Don Giussani identificava chiaramente l’origine nell’intervento all’Assemblea Nazionale della CdO del 1989: «La Compagnia delle Opere […] non nasce come progetto sociale o immagine di costruzione, ma come il miracolo di un cambiamento. Un cambiamento di cui i primi a stupirci, come spettatori, siamo noi stessi»5.

Infatti per tanti di voi - senz’altro per chi l’ha fatta nascere - impresa e associazione (CdO) sono state il frutto del cambiamento operato in voi dall’avvenimento cristiano. Il cristianesimo vissuto come esperienza ha mostrato in voi la sua forza generativa ridestando il vostro “io”. Tanto forte era l’attrattiva umana che esercitava su di voi da muovere la vostra persona a una creatività e ricchezza di iniziative, che costituiscono una testimonianza di Cristo e del valore storico della Chiesa, come riconosceva ancora don Giussani in un’altra occasione come questa6. In altre parole, l’incontro cristiano ridesta in noi il senso religioso, vale a dire quel fascio di esigenze di verità, di bellezza, di giustizia, di bene, di felicità, che costituisce la struttura originale di ogni uomo e che sta all’origine delle vostre mosse.

Grazie a questa vostra rinascita e alle mosse per rispondere ai bisogni e alle urgenze della vita, vi siete incontrati con tanti altri, anche con persone che, pur senza essere cristiane, avevano la stessa urgenza: incontrandovi, hanno sentito il vostro tentativo consono a loro. «È impossibile che la partenza dal senso religioso non spinga gli uomini a mettersi insieme» 7, perché è questa urgenza esistenziale che «guida l’espressione personale e sociale dell’uomo»8 .

Guardare questa origine è fondamentale, perché senza la coscienza di essa si rimane come bambini. Questa origine “grida” che ognuno di noi non si fa da sé e ha bisogno di essere continuamente generato per potere dire “io”, per avere il coraggio di mettere in piedi un’opera o di continuare a farla vincendo tutti gli ostacoli che si trova sulla strada. Come noi non ci diamo la vita biologica, così non ci diamo nemmeno quella vita da cui scaturiscono la capacità, l’energia e il desiderio di costruire. Basta guardarsi intorno per vedere quanti, stanchi, abbandonano ogni tentativo davanti alla situazione attuale oppure nemmeno provano il gusto di iniziare qualcosa.

Per questo è decisivo guardare l’inizio, perché nell’origine, insieme al fatto che la costituisce, ci viene comunicato il metodo per continuare senza esaurirci.

4. Il metodo: la fedeltà all’origine

Il pericolo più grande di chi s’impegna in un’opera è cambiare il metodo staccandosi dall’origine. Per evitarlo occorre essere veramente consapevoli della nostra dipendenza originale, altrimenti finiamo per darlo per scontato. Non lo neghiamo, semplicemente rimane come un sottofondo scontato e prima o poi ci consideriamo gli unici artefici della nostra fortuna.

Soccombiamo così alla stessa illusione dell’Illuminismo, che con la riduzione del cristianesimo a etica ha preteso di ottenere gli stessi frutti che il cristianesimo aveva prodotto, generando soggetti e opere a prescindere da Cristo, che costituiva la sua vera sorgente. Questo ha delle conseguenze devastanti sia per il soggetto sia per il cristianesimo. Per quanto riguarda il soggetto, lo vediamo nel disinteresse totale che porta a quel torpore da cui non può sorgere niente, per mancanza di un luogo dove accada la rinascita dell’io. Per quanto riguarda il cristianesimo, perché esso perde la sua autentica natura di avvenimento storico, capace di suscitare l’io, per ridursi a una premessa etica o a un discorso culturale astratto che non c’entra con gli interessi della vita.

Che questo riguardi anche noi lo vediamo da quello che diceva esattamente trent’anni fa don Giussani a un gruppo di insegnanti e che oggi mantiene la stessa attualità di allora: «Per molti di noi che la salvezza sia Gesù Cristo e che la liberazione della vita e dell’uomo, qui e nell’aldilà, sia legata continuamente all’incontro con Lui è diventato un richiamo “spirituale”. Il concreto sarebbe altro: […] la organizzazione, le unità di lavoro e perciò le riunioni, ma non come espressioni di una esigenza di vita, piuttosto come mortificazione della vita, peso e pedaggio da pagare ad una appartenenza che ci trova ancora inspiegabilmente in fila»9.

Quello che dovrebbe essere un continuo incontro con Lui, per il bisogno che abbiamo di essere continuamente generati, diventa un richiamo spirituale. Ma un richiamo spirituale astratto non è in grado di suscitare il soggetto. Anzi, siccome c’è la premessa spirituale, questo può portare più facilmente all’equivoco di credere che questa premessa, insieme alle buone intenzioni di fare in certo modo, possa sostituire il cristianesimo come esperienza vissuta. Ma una buona teoria sull’amore, insieme alla buona intenzione di innamorarsi, non ha mai avuto come esito l’innamoramento. La differenza si vede nell’azione: come si muove colui al quale è successo di innamorarsi. Se volete sapere che tipo di esperienza fate, guardate come vi muovete nel reale, osservatevi in azione. Tutta la nostra buona volontà non ci libera dal soccombere, in tante occasioni, alla mentalità comune nel modo in cui ci muoviamo realmente, giudicando e operando come tutti secondo un calcolo e un tornaconto.

«Un’esigenza evidente della proposta della fede - ha detto il cardinale Ruini - […] è quella di mostrare come la fede stessa non sia un semplice e alla fine illusorio desiderio dell’animo umano, e nemmeno una pura esperienza interiore, ma abbia invece, in ciascuno dei suoi nuclei essenziali, un preciso e saldissimo rapporto con la realtà»10 .

Le conseguenze di questo cambiare metodo o darlo per scontato le abbiamo tutti davanti: non c’è più nessuna incidenza significativa sull’io. Il riconoscimento da parte di tutti dell’emergenza educativa non è altro che il segno palese della sconfitta storica della pretesa illuministica di produrre i frutti del cristianesimo senza Cristo.

Che cosa può aiutarci a non cambiare metodo? Anche in questo la Chiesa dimostra il suo realismo nell’aiutarci a prendere consapevolezza di tutti i fattori implicati:

1) In primo luogo, il riconoscimento che l’uomo è sempre bisognoso, perché viene meno la sua apertura e il suo impeto originale. È la consapevolezza del suo bisogno che lo sprona a cercare quell’origine senza della quale un uomo non sta in piedi. Per questo, ricordandoci che siamo peccatori, cioè bisognosi, la Chiesa ci offre un contributo più decisivo di quanto pensiamo. Non è un inizio “pio” il fatto che il suo gesto più significativo, la messa, cominci col riconoscimento di essere peccatori; è l’aiuto più realistico perché, così facendo, ci mette nell’atteggiamento adeguato per incominciare qualsiasi cosa.

2) In secondo luogo, la natura del cristianesimo come l’avvenimento dello stupore suscitato dalla bellezza di Cristo. Incollandoci a Lui, questa bellezza facilita il nostro attaccamento, impedendo così il venire meno dell’io, che nessuna riuscita sarebbe in grado di evitare, proprio perché incapace di soddisfare l’esigenza di totalità del nostro io. È solo se noi siamo continuamente sollecitati dall’attrattiva del Vero che possiamo sperare qualcosa.

Infatti una compagnia come la vostra ha a che fare quotidianamente con il potere e i soldi. È realistico pensare che uno possa essere in rapporto con essi senza finire immischiato in un modo di usarli che non costruisce né sé né gli altri? O, detto in altre parole, è possibile fare un’associazione di imprese e opere nuova, diversa? Secondo me, a una condizione. Dubitavo se era adeguato e opportuno dirlo in una sede come questa, che trova radunate persone provenienti da traiettorie diverse. Mi sono pacificato quando uno di voi mi ha detto che la Corporazione dei tintori - cioè gente come voi, con le mani in pasta, con la stessa esigenza di riuscita - fece scrivere nella cattedrale di Piacenza queste parole: «Se vogliamo dare un senso nuovo alla realtà, se vogliamo una vita nuova, dobbiamo ritornare alla verginità». E don Giussani commenta: «Verginità è la ricerca del destino in ogni cosa che si fa, per cui ogni circostanza è plasmata nel suo significato, realizzata quindi nel modo più vero, più leale, più utile. E così la vita umana diventa più vera, più leale, più utile. Diventa migliore. La vita umana sorta come passione per Cristo […] si concreta nella volontà appassionata che la vita dell’uomo sia più vera, più leale, più utile»11.

È soltanto questa passione per Cristo, è lo «sguardo diretto a Qualcosa di più grande»12 che rende possibile la verginità, che ci può mettere nell’atteggiamento giusto per trattare col potere e i soldi senza finire con l’esserne dominati, cioè ciò che consente un uso nuovo delle cose, il loro vero possesso. Non è l’esito di uno sforzo etico, ma è il cedere al fascino della bellezza di cui parlava Jacopone da Todi: «Cristo me trae tutto, tanto è bello!»13.

È Lui che rende possibile la gratuità che avete messo nel titolo del vostro incontro. «Se Dio […] non fosse diventato uomo - ci ricorda don Giussani -, nessuno avrebbe potuto impostare la propria vita secondo questa gratuità»14.

5. La sfida di una compagnia così

Non c’è dubbio che accettare di mettere in atto un tentativo come il vostro non è senza rischi. Tutta quanta la novità che Cristo è in grado di generare è affidata alla vostra libertà e responsabilità. Fa parte dell’evento che vi ha generato la capacità che vi ha dato di rischiare, entrando nel reale con questo ideale (rischio anch’io nell’opera che è il movimento). Noi lo sappiamo bene, questo ideale non potrà essere vissuto compiutamente nella storia. Ma con questo non viene meno la tensione a esso.

Questa tensione la descrive molto bene Eliot, le cui parole sentiamo così consone a noi: «Bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo furono prima, / Eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce; / Spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi, tornando, eppure mai seguendo un’altra via»15.

Bestiali come tutti, ma sempre in lotta e mai abbandonando la strada.

Perciò non spaventatevi dei vostri eventuali errori, inevitabili in ogni opera umana. Ma neppure giustificateli. Noi possiamo riconoscerli, perché non siamo definiti da essi. Altrimenti, come tutti, per affermare noi stessi saremmo costretti a negarli presuntuosamente.

Dentro l’esperienza che abbiamo incontrato ci è dato il principio per correggerci e per ripartire sempre. Appunto, sempre in lotta; e la prima lotta è dentro di noi, per affermare un bene più grande della nostra misura e dei nostri progetti.

6. Ragioni profonde della mia simpatia

Vedo il vostro tentativo molto consono al mio modo di percepire l’avvenimento cristiano, come l’avvenimento della creatura nuova di cui parla san Paolo, cioè di un soggetto nuovo sulla scena del mondo, di un protagonista nuovo nella società.

Prendere coscienza di questo mi sembra particolarmente urgente. Perché solo un cristianesimo come avvenimento può rispondere alla situazione attuale in cui vediamo venire meno il soggetto e crescere il torpore. E senza un soggetto in grado di dire “io” non c’è possibilità di novità e di crescita di un Paese. Capite perché da anni parliamo di “emergenza educativa”?

Ecco perché il vostro tentativo è decisivo anche per capire la natura del cristianesimo. A chi può interessare un cristianesimo incapace di generare un soggetto in grado di entrare nel reale? Sarebbe una inutile complicazione dell’esistenza, già così piena di problemi! Ecco perché quello che potrà interessare a chi vi incontra, qualunque ne sia l’occasione, è il cristianesimo come risposta al problema della vita, perché questo è l’origine e il metodo della vostra originalità. È così che si può evitare il rischio denunciato dal cardinale Ruini: «Esso riguarda una concezione della nostra fede che vuole essere “pura”, ma che rischia di risultare disincarnata, poiché non si interessa, o comunque non si fa carico delle condizioni socio-culturali e istituzionali richieste per mantenere e rilanciare sia il radicamento popolare della fede stessa sia la sua capacità di esercitare un ruolo guida nella storia […]. Dobbiamo superare queste forme di spiritualismo, che possono nascondere una specie di alienazione da noi stessi. I fattori socio-culturali non sono certo la forza motrice decisiva del cristianesimo, che si colloca nel mistero del nostro rapporto con il Dio che ci salva, ma rappresentano pur sempre un elemento imprescindibile nell’intreccio concreto della storia, come hanno mostrato ripetutamente le vicende di questi due millenni»16 .

Le opere a cui avete dato vita mi appaiono come un “tentativo ironico” - per dirla con don Giussani - di espressione della novità che è entrata in tanti di voi per il Battesimo: una creatura nuova, un modo nuovo di dire “io”, altro che alienazione da noi stessi! Un soggetto nuovo in grado di rischiare, questo è il frutto di un’educazione cristiana. Avete un bel coraggio a rischiare di questi tempi! Sarebbe più facile disinteressarvi di voi stessi e degli altri. Ma voi vi assumete questo rischio. E io vi sono grato di questa testimonianza, perché i tentativi della vostra creatività sono un contributo per il bene e il benessere della società.

Essere protagonisti dentro la realtà sociale impedisce quello svuotamento dell’io che avviene quando ci si aspetta tutto dallo Stato. Di fronte a questo protagonismo nuovo lo Stato acquista il suo giusto posto ed è in grado di svolgere il suo ruolo fondamentale: favorire la libertà espressiva e associativa, assicurare lo spazio in cui l’uomo possa percorrere la sua strada, affrontando i problemi e cercando risposte che rendano più umana e degna la vita di ciascuno. Nel favorire o meno questa iniziativa delle persone, ogni Stato decide come vuole i suoi cittadini: protagonisti o sottomessi.

L’enciclica di Benedetto XVI, in questo senso, è una “magna carta” di un giusto rapporto tra la società e lo Stato: «Non uno Stato che regoli e domini tutto è ciò che ci occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto»17.

Questo conviene allo Stato e alla società. In questo, mi pare, stanno le ragioni di interesse - anche per un laico - a partecipare a una compagnia così.

Note
1 L. Ferry, «Tenemos miedo de todo, del tabaco, del sexo, del alcohol, de la mundilización…», in ABC, 1 aprile 2006, p. 27.
2 U. Galimberti, «La generazione del nulla», in la Repubblica, 5 ottobre 2007, p. 47.
3 P. Citati, «Gli eterni adolescenti», in la Repubblica, 2 agosto 1999, p. 1.
4 A. Schiavone, «La destra non sa più spiegare il mondo», in la Repubblica, 16 ottobre 2007, p. 26.
5 L. Giussani, L’io, il potere, le opere, Marietti, Genova 2000, p. 159.
6 Cfr. ibidem, p. 99.
7 Ibidem, p. 168.
8 Ibidem, p. 165.
9 L. Giussani, «Viterbo 1977», in Il rischio educativo, Sei, Torino 1995, p. 61.
10 C. Ruini, Chiesa del nostro tempo III, Piemme, Casale Monferrato 2007, p. 135.
11 L. Giussani, «Presentazione», in E. Manfredini, La conoscenza di Gesù, Marietti, Genova-Milano 2004, p. 24.
12 L. Giussani, Perché la Chiesa, Rizzoli, Milano 2003, p. 203.
13 Jacopone da Todi, «Como l’anima se lamenta con Dio de la carità superardente in lei infusa», Lauda XC, in Le Laude, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1989, p. 313.
14 L. Giussani, L’io, il potere, le opere, op. cit., p. 132.
15 T.S. Eliot, Cori da «La Rocca», Bur, Milano 1994, p. 99.
16 C. Ruini, Chiesa del nostro tempo III, op. cit., pp. 56-57.
17 Benedetto XVI, Deus caritas est, II, 28.



Cambiano le persone, ma non quella pazzia-utopia del 1927. Buon Natale e buon 2018 dalla vostra Redazione.
2017/12/24
Beppe Castellano

https://www.donoevita.it/2017/12/24/cam ... -redazione

Si chiude questo 2017, l’anno in cui si è celebrato il 90° di Avis. Non era solo il compleanno di Avis nazionale, ma di tutte le Avis. Era, secondo me, ancora di più. Era il 90° dalla nascita di un’idea, a quei tempi del tutto rivoluzionaria e controcorrente.

Un’idea che “rompeva” (ricordiamoci che era il 1927) ogni schema della medicina e della stessa Società del tempo. Nessuno, infatti, aveva allora il nostro attuale “diritto alla salute”, salvo chi poteva “comprarselo”. Fu sancito dalla Costituzione che sarebbe arrivata soltanto 20 anni dopo. Una delle Costituzioni più belle del mondo, che oggi dobbiamo ancora applicare totalmente. Basterebbe quello, per essere ancor più faro di civiltà nel mondo. Fu l’Italia, grazie a un medico “eretico”, Vittorio Formentano, il primo Paese al mondo ad avviarsi sulla strada della totale gratuità di un dono vitale.

Lottarono contro tutto e contro tutti, per difendere quell’ideale di civiltà, quel pugno di “partigiani” convinti dell’uguaglianza fra gli uomini. Nessuna razza, nessuna religione, nessuna fede politica, nessun censo, nessuna nazionalità poteva ai tempi di Formentano e Moscatelli fare la differenza, quando una “persona” era ammalata e bisognosa. Anche il nemico aveva diritto di ricevere il loro sangue.

È una fiaba, una storia inventata buona per un fumetto? Tra l’altro leggetevelo quello di Avis nazionale, vale la pena. No, è storia. Ancor oggi vive quell’utopia. Vive ancora, quello spirito.

Quello spirito ha permeato in questi 90 anni anche tutte le altre associazioni del dono del sangue che, in fondo, da Avis hanno preso spunto. Come la Fidas, che nacque a Torino e Udine nel 1959, “costola” delle locali Avis. Le sigle possono cambiare, le persone anche “litigare” (si fa per dire), ma l’ideale rimane. Per fortuna. Mia, di un ricevente, di tutti…

Permettetemi un pizzico di orgoglio nazionale (come italiani ci difetta fin trpèèp, sempre propensi a lamentarci): prima in questo senso lo è ancora, la nostra Italia nel mondo.

Voi, esercito di donatori volontari, periodici, non remunerati, disinteressati e in gran parte associati ogni giorno andate a donare sangue e plasma. Un esercito di quasi due milioni di cittadini che semplicemente va… Va a dare un po’ di sé

La sola Avis, l’anno scorso, ha superato complessivamente i 2 milioni di donazioni. Più di 5.600 associati Avis in media ogni giorno, in ogni angolo d’Italia, vanno a farsi “bucare”. Donando, semplicemente donando, tutti eredi di quell’idea-utopia.

Ora la esportiamo nel mondo, ancora una volta, dopo che Avis e Formentano hanno fondato la Fiods nel 1955. È quell’idea-utopia della gratuità e della solidarietà laddove non esiste ancora il “diritto alla salute”, se non te lo paghi. Laddove le partorienti muoiono ancora per emorragia perché non c’è sangue, se non te lo compri.

Allora possiamo anche litigare fra persone, fra dirigenti, cambiare vertici associativi e pure i presidenti, l’essenziale è che rimanga saldo il “nocciolo”. Quella “pazzia” che dal 1927 vi pervade.

Vi lascio con un augurio e un brindisi per un sereno Natale con i vostri cari e per l’anno nuovo… Auguri e Buon Dono a tutti. I molti che non possono donare, che usufruiscono del vostro dono disinteressato, vorrebbero essere come voi.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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La gratuità? La vita non è un caso, nemmeno un dono gratuito

Messaggioda Berto » lun feb 12, 2018 9:38 am

???
"Caritas in veritate". Pagine scelte

http://chiesa.espresso.repubblica.it/ar ... 39218.html

Antologia della terza enciclica di questo pontificato, firmata dal papa il 29 giugno 2009 e resa pubblica il 7 luglio, "sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità"

di Benedetto XVI

1. LA CARITÀ NELLA VERITÀ, di cui Gesù Cristo s'è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera. [...]

3. [...] Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. [...] Nella verità la carità riflette la dimensione personale e nello stesso tempo pubblica della fede nel Dio biblico, che è insieme Agápe e Lógos: Carità e Verità, Amore e Parola.

4. [...] Un cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali. In questo modo non ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo. Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni. È esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra i saperi e le operatività. [...]

28. Uno degli aspetti più evidenti dello sviluppo odierno è l'importanza del tema del rispetto per la vita, che non può in alcun modo essere disgiunto dalle questioni relative allo sviluppo dei popoli. Si tratta di un aspetto che negli ultimi tempi sta assumendo una rilevanza sempre maggiore, obbligandoci ad allargare i concetti di povertà e di sottosviluppo alle questioni collegate con l'accoglienza della vita, soprattutto là dove essa è in vario modo impedita.

Non solo la situazione di povertà provoca ancora in molte regioni alti tassi di mortalità infantile, ma perdurano in varie parti del mondo pratiche di controllo demografico da parte dei governi, che spesso diffondono la contraccezione e giungono a imporre anche l'aborto. Nei paesi economicamente più sviluppati, le legislazioni contrarie alla vita sono molto diffuse e hanno ormai condizionato il costume e la prassi, contribuendo a diffondere una mentalità antinatalista che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale.

Alcune organizzazioni non governative, poi, operano attivamente per la diffusione dell'aborto, promuovendo talvolta nei paesi poveri l'adozione della pratica della sterilizzazione, anche su donne inconsapevoli. Vi è inoltre il fondato sospetto che a volte gli stessi aiuti allo sviluppo vengano collegati a determinate politiche sanitarie implicanti di fatto l'imposizione di un forte controllo delle nascite. Preoccupanti sono altresì tanto le legislazioni che prevedono l'eutanasia quanto le pressioni di gruppi nazionali e internazionali che ne rivendicano il riconoscimento giuridico. [...]

29. C'è un altro aspetto della vita di oggi, collegato in modo molto stretto con lo sviluppo: la negazione del diritto alla libertà religiosa. Non mi riferisco solo alle lotte e ai conflitti che nel mondo ancora si combattono per motivazioni religiose, anche se talvolta quella religiosa è solo la copertura di ragioni di altro genere, quali la sete di dominio e di ricchezza. Di fatto, oggi spesso si uccide nel nome sacro di Dio, come più volte è stato pubblicamente rilevato e deplorato dal mio predecessore Giovanni Paolo II e da me stesso. Le violenze frenano lo sviluppo autentico e impediscono l'evoluzione dei popoli verso un maggiore benessere socio-economico e spirituale. Ciò si applica specialmente al terrorismo a sfondo fondamentalista, che genera dolore, devastazione e morte, blocca il dialogo tra le Nazioni e distoglie grandi risorse dal loro impiego pacifico e civile. Va però aggiunto che, oltre al fanatismo religioso che in alcuni contesti impedisce l'esercizio del diritto di libertà di religione, anche la promozione programmata dell'indifferenza religiosa o dell'ateismo pratico da parte di molti paesi contrasta con le necessità dello sviluppo dei popoli, sottraendo loro risorse spirituali e umane. Dio è il garante del vero sviluppo dell'uomo, in quanto, avendolo creato a sua immagine, ne fonda altresì la trascendente dignità e ne alimenta il costitutivo anelito ad “essere di più”. [...]

34. La carità nella verità pone l'uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono. [...] Talvolta l'uomo moderno è erroneamente convinto di essere il solo autore di se stesso, della sua vita e della società. È questa una presunzione, conseguente alla chiusura egoistica in se stessi, che discende – per dirla in termini di fede – dal peccato delle origini. [...] La convinzione di essere autosufficiente e di riuscire a eliminare il male presente nella storia solo con la propria azione ha indotto l'uomo a far coincidere la felicità e la salvezza con forme immanenti di benessere materiale e di azione sociale. La convinzione poi della esigenza di autonomia dell'economia, che non deve accettare “influenze” di carattere morale, ha spinto l'uomo ad abusare dello strumento economico in modo persino distruttivo. A lungo andare, queste convinzioni hanno portato a sistemi economici, sociali e politici che hanno conculcato la libertà della persona e dei corpi sociali e che, proprio per questo, non sono stati in grado di assicurare la giustizia che promettevano. Come ho affermato nella mia enciclica "Spe salvi", in questo modo si toglie dalla storia la speranza cristiana, che è invece una potente risorsa sociale a servizio dello sviluppo umano integrale, cercato nella libertà e nella giustizia. La speranza incoraggia la ragione e le dà la forza di orientare la volontà. È già presente nella fede, da cui anzi è suscitata. La carità nella verità se ne nutre e, nello stesso tempo, la manifesta. Essendo dono di Dio assolutamente gratuito, irrompe nella nostra vita come qualcosa di non dovuto, che trascende ogni legge di giustizia. Il dono per sua natura oltrepassa il merito, la sua regola è l'eccedenza. Esso ci precede nella nostra stessa anima quale segno della presenza di Dio in noi e della sua attesa nei nostri confronti. La verità, che al pari della carità è dono, è più grande di noi, come insegna sant'Agostino. [...]

35. Il mercato, se c'è fiducia reciproca e generalizzata, è l'istituzione economica che permette l'incontro tra le persone, in quanto operatori economici che utilizzano il contratto come regola dei loro rapporti e che scambiano beni e servizi tra loro fungibili, per soddisfare i loro bisogni e desideri. Il mercato è soggetto ai principi della cosiddetta giustizia commutativa, che regola appunto i rapporti del dare e del ricevere tra soggetti paritetici. Ma la dottrina sociale della Chiesa non ha mai smesso di porre in evidenza l'importanza della giustizia distributiva e della giustizia sociale per la stessa economia di mercato, non solo perché inserita nelle maglie di un contesto sociale e politico più vasto, ma anche per la trama delle relazioni in cui si realizza. Infatti il mercato, lasciato al solo principio dell'equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare. Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave.

Opportunamente Paolo VI nella "Populorum progressio" sottolineava il fatto che lo stesso sistema economico avrebbe tratto vantaggio da pratiche generalizzate di giustizia, in quanto i primi a trarre beneficio dallo sviluppo dei paesi poveri sarebbero stati quelli ricchi. Non si trattava solo di correggere delle disfunzioni mediante l'assistenza. I poveri non sono da considerarsi un "fardello", bensì una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico. È tuttavia da ritenersi errata la visione di quanti pensano che l'economia di mercato abbia strutturalmente bisogno di una quota di povertà e di sottosviluppo per poter funzionare al meglio. È interesse del mercato promuovere emancipazione, ma per farlo veramente non può contare solo su se stesso, perché non è in grado di produrre da sé ciò che va oltre le sue possibilità. Esso deve attingere energie morali da altri soggetti, che sono capaci di generarle.

36. [...] La Chiesa ritiene da sempre che l'agire economico non sia da considerare antisociale. Il mercato non è, e non deve perciò diventare, di per sé il luogo della sopraffazione del forte sul debole. La società non deve proteggersi dal mercato, come se lo sviluppo di quest'ultimo comportasse "ipso facto" la morte dei rapporti autenticamente umani. È certamente vero che il mercato può essere orientato in modo negativo, non perché sia questa la sua natura, ma perché una certa ideologia lo può indirizzare in tal senso. Non va dimenticato che il mercato non esiste allo stato puro. Esso trae forma dalle configurazioni culturali che lo specificano e lo orientano. Infatti, l'economia e la finanza, in quanto strumenti, possono esser mal utilizzati quando chi li gestisce ha solo riferimenti egoistici. Così si può riuscire a trasformare strumenti di per sé buoni in strumenti dannosi. Ma è la ragione oscurata dell'uomo a produrre queste conseguenze, non lo strumento di per sé stesso. Perciò non è lo strumento a dover essere chiamato in causa ma l'uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e sociale.

La dottrina sociale della Chiesa ritiene che possano essere vissuti rapporti autenticamente umani, di amicizia e di socialità, di solidarietà e di reciprocità, anche all'interno dell'attività economica e non soltanto fuori di essa o "dopo" di essa. La sfera economica non è né eticamente neutrale né di sua natura disumana e antisociale. Essa appartiene all'attività dell'uomo e, proprio perché umana, deve essere strutturata e istituzionalizzata eticamente.

La grande sfida che abbiamo davanti a noi, fatta emergere dalle problematiche dello sviluppo in questo tempo di globalizzazione e resa ancor più esigente dalla crisi economico-finanziaria, è di mostrare, a livello sia di pensiero sia di comportamenti, che non solo i tradizionali principi dell'etica sociale, quali la trasparenza, l'onestà e la responsabilità non possono venire trascurati o attenuati, ma anche che nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica. Ciò è un'esigenza dell'uomo nel momento attuale, ma anche un'esigenza della stessa ragione economica. Si tratta di una esigenza ad un tempo della carità e della verità. [...]

42. [...] La globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno. [...] I processi di globalizzazione, adeguatamente concepiti e gestiti, offrono la possibilità di una grande ridistribuzione della ricchezza a livello planetario come in precedenza non era mai avvenuto; se mal gestiti, possono invece far crescere povertà e disuguaglianza, nonché contagiare con una crisi l'intero mondo. [...]

43. [...] Si assiste oggi a una pesante contraddizione. Mentre, per un verso, si rivendicano presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario, con la pretesa di vederli riconosciuti e promossi dalle strutture pubbliche, per l'altro verso, vi sono diritti elementari e fondamentali disconosciuti e violati nei confronti di tanta parte dell'umanità. Si è spesso notata una relazione tra la rivendicazione del diritto al superfluo o addirittura alla trasgressione e al vizio, nelle società opulente, e la mancanza di cibo, di acqua potabile, di istruzione di base o di cure sanitarie elementari in certe regioni del mondo del sottosviluppo e anche nelle periferie di grandi metropoli. La relazione sta nel fatto che i diritti individuali, svincolati da un quadro di doveri che conferisca loro un senso compiuto, impazziscono e alimentano una spirale di richieste praticamente illimitata e priva di criteri. L'esasperazione dei diritti sfocia nella dimenticanza dei doveri. [...]

44. [...] Considerare l'aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo è scorretto, anche dal punto di vista economico: basti pensare, da una parte, all'importante diminuzione della mortalità infantile e il prolungamento della vita media che si registrano nei paesi economicamente sviluppati; dall'altra, ai segni di crisi rilevabili nelle società in cui si registra un preoccupante calo della natalità. Resta ovviamente doveroso prestare la debita attenzione ad una procreazione responsabile, che costituisce, tra l'altro, un fattivo contributo allo sviluppo umano integrale. La Chiesa, che ha a cuore il vero sviluppo dell'uomo, gli raccomanda il pieno rispetto dei valori umani anche nell'esercizio della sessualità: non la si può ridurre a mero fatto edonistico e ludico, così come l'educazione sessuale non si può ridurre a un'istruzione tecnica, con l'unica preoccupazione di difendere gli interessati da eventuali contagi o dal "rischio" procreativo. [...]

L'apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica. Grandi nazioni hanno potuto uscire dalla miseria anche grazie al grande numero e alle capacità dei loro abitanti. Al contrario, nazioni un tempo floride conoscono ora una fase di incertezza e in qualche caso di declino proprio a causa della denatalità, problema cruciale per le società di avanzato benessere. La diminuzione delle nascite, talvolta al di sotto del cosiddetto "indice di sostituzione", mette in crisi anche i sistemi di assistenza sociale, ne aumenta i costi, contrae l'accantonamento di risparmio e di conseguenza le risorse finanziarie necessarie agli investimenti, riduce la disponibilità di lavoratori qualificati, restringe il bacino dei "cervelli" a cui attingere per le necessità della nazione. Inoltre, le famiglie di piccola, e talvolta piccolissima, dimensione corrono il rischio di impoverire le relazioni sociali, e di non garantire forme efficaci di solidarietà. Sono situazioni che presentano sintomi di scarsa fiducia nel futuro come pure di stanchezza morale. Diventa così una necessità sociale, e perfino economica, proporre ancora alle nuove generazioni la bellezza della famiglia e del matrimonio, la rispondenza di tali istituzioni alle esigenze più profonde del cuore e della dignità della persona. In questa prospettiva, gli Stati sono chiamati a varare politiche che promuovano la centralità e l'integrità della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, prima e vitale cellula della società. [...]

45. [...] Oggi si parla molto di etica in campo economico, finanziario, aziendale. [...] È bene, tuttavia, elaborare anche un valido criterio di discernimento, in quanto si nota un certo abuso dell'aggettivo "etico" che, adoperato in modo generico, si presta a designare contenuti anche molto diversi, al punto da far passare sotto la sua copertura decisioni e scelte contrarie alla giustizia e al vero bene dell'uomo.

Molto, infatti, dipende dal sistema morale di riferimento. Su questo argomento la dottrina sociale della Chiesa ha un suo specifico apporto da dare, che si fonda sulla creazione dell'uomo "ad immagine di Dio" (Genesi 1, 27), un dato da cui discende l'inviolabile dignità della persona umana, come anche il trascendente valore delle norme morali naturali. Un'etica economica che prescindesse da questi due pilastri rischierebbe inevitabilmente di perdere la propria connotazione e di prestarsi a strumentalizzazioni; più precisamente essa rischierebbe di diventare funzionale ai sistemi economico-finanziari esistenti, anziché correttiva delle loro disfunzioni. Tra l'altro, finirebbe anche per giustificare il finanziamento di progetti che etici non sono. [...]

56. La religione cristiana e le altre religioni possono dare il loro apporto allo sviluppo solo se Dio trova un posto anche nella sfera pubblica, con specifico riferimento alle dimensioni culturale, sociale, economica e, in particolare, politica. La dottrina sociale della Chiesa è nata per rivendicare questo "statuto di cittadinanza" della religione cristiana. [...] La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla fede, e questo vale anche per la ragione politica, che non deve credersi onnipotente. A sua volta, la religione ha sempre bisogno di venire purificata dalla ragione per mostrare il suo autentico volto umano. La rottura di questo dialogo comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell'umanità.

57. Il dialogo fecondo tra fede e ragione non può che rendere più efficace l'opera della carità nel sociale e costituisce la cornice più appropriata per incentivare la collaborazione fraterna tra credenti e non credenti nella condivisa prospettiva di lavorare per la giustizia e la pace dell'umanità. [...] Manifestazione particolare della carità e criterio guida per la collaborazione fraterna di credenti e non credenti è senz'altro il principio di sussidiarietà, espressione dell'inalienabile libertà umana. La sussidiarietà è prima di tutto un aiuto alla persona, attraverso l'autonomia dei corpi intermedi. Tale aiuto viene offerto quando la persona e i soggetti sociali non riescono a fare da sé e implica sempre finalità emancipatrici, perché favorisce la libertà e la partecipazione in quanto assunzione di responsabilità. La sussidiarietà rispetta la dignità della persona, nella quale vede un soggetto sempre capace di dare qualcosa agli altri. Riconoscendo nella reciprocità l'intima costituzione dell'essere umano, la sussidiarietà è l'antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista. Essa può dar conto sia della molteplice articolazione dei piani e quindi della pluralità dei soggetti, sia di un loro coordinamento. Si tratta quindi di un principio particolarmente adatto a governare la globalizzazione e a orientarla verso un vero sviluppo umano. Per non dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico, il governo della globalizzazione deve essere di tipo sussidiario, articolato su più livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente. La globalizzazione ha certo bisogno di autorità, in quanto pone il problema di un bene comune globale da perseguire; tale autorità, però, dovrà essere organizzata in modo sussidiario e poliarchico, sia per non ledere la libertà sia per risultare concretamente efficace. [...]

67. Di fronte all'inarrestabile crescita dell'interdipendenza mondiale, è fortemente sentita, anche in presenza di una recessione altrettanto mondiale, l'urgenza della riforma sia dell'Organizzazione delle Nazioni Unite che dell'architettura economica e finanziaria internazionale. [...] Urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è stata già tratteggiata dal mio predecessore, il beato Giovanni XXIII. Una simile Autorità dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune, impegnarsi nella realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità. Tale Autorità inoltre dovrà essere da tutti riconosciuta, godere di potere effettivo per garantire a ciascuno la sicurezza, l'osservanza della giustizia, il rispetto dei diritti. Ovviamente, essa deve godere della facoltà di far rispettare dalle parti le proprie decisioni, come pure le misure coordinate adottate nei vari fori internazionali. In mancanza di ciò, infatti, il diritto internazionale, nonostante i grandi progressi compiuti nei vari campi, rischierebbe di essere condizionato dagli equilibri di potere tra i più forti. Lo sviluppo integrale dei popoli e la collaborazione internazionale esigono che venga istituito un grado superiore di ordinamento internazionale di tipo sussidiario per il governo della globalizzazione. [...]

75. [...] Oggi occorre affermare che la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica, nel senso che essa implica il modo stesso non solo di concepire, ma anche di manipolare la vita, sempre più posta dalle biotecnologie nelle mani dell'uomo. La fecondazione in vitro, la ricerca sugli embrioni, la possibilità della clonazione e dell'ibridazione umana nascono e sono promosse nell'attuale cultura del disincanto totale, che crede di aver svelato ogni mistero, perché si è ormai arrivati alla radice della vita. Qui l'assolutismo della tecnica trova la sua massima espressione. In tale tipo di cultura la coscienza è solo chiamata a prendere atto di una mera possibilità tecnica. Non si possono tuttavia minimizzare gli scenari inquietanti per il futuro dell'uomo e i nuovi potenti strumenti che la "cultura della morte" ha a disposizione. Alla diffusa, tragica, piaga dell'aborto si potrebbe aggiungere in futuro, ma è già surrettiziamente "in nuce", una sistematica pianificazione eugenetica delle nascite. Sul versante opposto, va facendosi strada una "mens eutanasica", manifestazione non meno abusiva di dominio sulla vita, che in certe condizioni viene considerata non più degna di essere vissuta. Dietro questi scenari stanno posizioni culturali negatrici della dignità umana. Queste pratiche, a loro volta, sono destinate ad alimentare una concezione materiale e meccanicistica della vita umana. Chi potrà misurare gli effetti negativi di una simile mentalità sullo sviluppo? Come ci si potrà stupire dell'indifferenza per le situazioni umane di degrado, se l'indifferenza caratterizza perfino il nostro atteggiamento verso ciò che è umano e ciò che non lo è? Stupisce la selettività arbitraria di quanto oggi viene proposto come degno di rispetto. Pronti a scandalizzarsi per cose marginali, molti sembrano tollerare ingiustizie inaudite. Mentre i poveri del mondo bussano ancora alle porte dell'opulenza, il mondo ricco rischia di non sentire più quei colpi alla sua porta, per una coscienza ormai incapace di riconoscere l'umano. Dio svela l'uomo all'uomo; la ragione e la fede collaborano nel mostrargli il bene, solo che lo voglia vedere; la legge naturale, nella quale risplende la Ragione creatrice, indica la grandezza dell'uomo, ma anche la sua miseria quando egli disconosce il richiamo della verità morale. [...]

78. Senza Dio l'uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia. [...] La chiusura ideologica a Dio e l'ateismo dell'indifferenza, che dimenticano il Creatore e rischiano di dimenticare anche i valori umani, si presentano oggi tra i maggiori ostacoli allo sviluppo. L'umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano. [...]

79. Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che l'amore pieno di verità, "caritas in veritate", da cui procede l'autentico sviluppo, non è da noi prodotto ma ci viene donato. [...] L'anelito del cristiano è che tutta la famiglia umana possa invocare Dio come "Padre nostro!". Insieme al Figlio unigenito, possano tutti gli uomini imparare a pregare il Padre e a chiedere a Lui, con le parole che Gesù stesso ci ha insegnato, di saperlo santificare vivendo secondo la sua volontà, e poi di avere il pane quotidiano necessario, la comprensione e la generosità verso i debitori, di non essere messi troppo alla prova e di essere liberati dal male. [...]



LETTERA ENCICLICA CARITAS IN VERITATE
DEL SOMMO PONTEFICE BENEDETTO XVI
AI VESCOVI AI PRESBITERI E AI DIACONI ALLE PERSONE CONSACRATE
AI FEDELI LAICI E A TUTTI GLI UOMINI DI BUONA VOLONTÀ
SULLO SVILUPPO UMANO INTEGRALE NELLA CARITÀ E NELLA VERITÀ

http://w2.vatican.va/content/benedict-x ... itate.html

1. La carità nella verità, di cui Gesù Cristo s'è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera. L'amore — « caritas » — è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. È una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Verità assoluta. Ciascuno trova il suo bene aderendo al progetto che Dio ha su di lui, per realizzarlo in pienezza: in tale progetto infatti egli trova la sua verità ed è aderendo a tale verità che egli diventa libero (cfr Gv 8,32). Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità. Questa, infatti, « si compiace della verità » (1 Cor 13,6). Tutti gli uomini avvertono l'interiore impulso ad amare in modo autentico: amore e verità non li abbandonano mai completamente, perché sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo. Gesù Cristo purifica e libera dalle nostre povertà umane la ricerca dell'amore e della verità e ci svela in pienezza l'iniziativa di amore e il progetto di vita vera che Dio ha preparato per noi. In Cristo, la carità nella verità diventa il Volto della sua Persona, una vocazione per noi ad amare i nostri fratelli nella verità del suo progetto. Egli stesso, infatti, è la Verità (cfr Gv 14,6).
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La gratuità? La vita non è un caso, nemmeno un dono gratuito

Messaggioda Berto » lun feb 12, 2018 9:57 am

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