I peggiori sono quelli che rubano in nome degli ultimi

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Messaggioda Berto » dom dic 03, 2017 10:14 am

Il mito tabù degli ultimi e dei poveri
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I criminali peggiori sono quelli che rubano e uccidono in nome degli ultimi o dei presunti ultimi

Tra questi i peggiori sono quelli che utilizzano i falsi miti della fraternità italiana (ascoltasi l'obbrobrioso inno d'Italia e vedasi i primati dello stato italiano), poi vi sono quelli della fraternità e della cittadinanza mondiale (i cosidetti progressisti o democratici di sinistra, cattolici-comunisti-radicali).
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Re: Il mito tabù degli ultimi e dei poveri

Messaggioda Berto » dom dic 03, 2017 10:15 am

Il mito degli ultimi (che saranno i primi) e dei loro diritti veri e presunti, il più delle volte rende disumani e copre ogni nefandezza anche contro la propria gente.


Non si confondano i privilegi con i diritti:
non si possono manipolare i diritti e negarli ai primi a cui spettano per diritto naturale o di cittadinanza, per darli o riconoscerli ad altri denominati ultimi a cui non spettano affatto per natura o cittadinanza se non per demenziale fanatismo ideologico politico religioso.

Questo mito è il paravento e pretesto preferito dai parassiti, dai ladri, dai prepotenti, dai violenti siano essi comunisti atei o cristiani cattolico romani idolatri per giustificare i loro crimini, le loro predazioni, i loro privilegi, le loro demenziali politiche, la loro supremazia, la loro manipolazione dei valori/doveri/diritti umani universali.


Nessun presunto diritto di presunti ultimi può giustificare la violazione dei diritti umani di chi non si ritiene ultimo o che si ritiene primo o tra i primi.
Anche i primi sono uomini e non è una colpa e nemmeno un delitto e un peccato essere sani, avere un lavoro, abitare in una buona terra e magari vivere nell'agiatezza o ricchezza grazie al proprio lavoro, impegno, fatica, sacrificio, energia:
la ricchezza di chichessia è un male e immeritata solo quando è frutto di ladrocinio, di inganno, di predazione e del danneggiamento dei beni altrui o comuni.
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Re: Il mito tabù degli ultimi e dei poveri

Messaggioda Berto » dom dic 03, 2017 10:20 am

La parabola evangelica dei lavoratori della vigna
https://it.wikipedia.org/wiki/Parabola_ ... ella_vigna

« Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna.

Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi » (Matteo 20,1-16)



Alberto Pento
Dio il Creatore dell'Universo non è un padrone, non è un re e nemmeno un imperatore e le sue leggi sono universali, uguali per tutti e spesso sfuggono alla comprensione umana e risultano contradittorie all'uomo.
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Re: Il mito tabù degli ultimi e dei poveri

Messaggioda Berto » dom dic 03, 2017 10:25 am

???

Perché "gli ultimi sono i primi" fa arrabbiare i giusti?
di Silvano Fausti
2011/09/17

http://www.linkiesta.it/it/article/2011 ... iusti/4975

La ricompensa evangelica è data in un modo strano: gli ultimi sono i primi. Per noi, invece, non è giusto che a chi lavora un’ora venga dato il salario di un giorno. E noi ce l’abbiamo con Dio perché è buono con gli ultimi.

Matteo 20, 1-16
Il Regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna.
Uscito poi verso le nove del mattino ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna, quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono.
Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto.
Uscito ancora verso le cinque ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna.
Quando fu sera il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi.
Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro.
Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più, ma anch’essi ricevettero un denaro ciascuno. Nel ritirarlo però mormoravano contro il padrone, dicendo: questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto; non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ora voglio dare a quest’ultimo come anche a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure il tuo occhio è cattivo perché io sono buono?
Così gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi.



Questa parabola è più scandalosa di altre perché tocca proprio l’economico che a noi interessa, perché “giusto” è uno che fa una economia spirituale. Il brano precedente vedeva Pietro che diceva: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, che cosa dunque ne otterremo? Otterremo una grande ricchezza spirituale. Ma questa ricchezza è data a tutti, purché non si faccia di questo dono l’oggetto della pretesa. La ricchezza spirituale è data agli ultimi, a quelli che capiscono che ricevono per grazia e per amore il dono gratuito. E gli altri, i “giusti”? Quando si accorgeranno di essere “ultimi” perché sono cattivi, potranno, a loro volta, ricevere ciò che Dio vuole donare.

È il dramma del giusto. I giusti si arrabbiano che Dio dia se stesso per amore e per grazia: vorrebbero il salario del loro sudore. Ma qualunque salario del nostro sudore sarà un po’ di sudore, non sarà Dio. Dio non è oggetto di guadagno o di perdita. E i giusti si incattiviscono perché Dio è grazia, amore e perdono. Quindi, questi giusti fanno l’unico peccato vero contro Dio: è l’uomo religioso che non accetta che Dio sia misericordia, è l’uomo buono che non accetta che il cattivo sia graziato da Dio.

Non è che ci sia un privilegio per chi è cattivo, ma va a finire davvero che i pubblicani e le prostitute ci precedono nel regno dei cieli (Mt 21,31) perché di fatti comprendono meglio quella che è la sostanza, l’essenza di Dio che è misericordia. Il giusto invece continua a vedere ostinatamente Dio in una prospettiva economica: “io faccio il bravo, allora tu mi devi…”.

Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna.

Ecco l’immagine usuale: persone ricche che hanno una vigna grande e persone povere che hanno poco lavoro, si mettono sulla piazza il mattino aspettando che uno venga a prenderle per il lavoro. Il salario stabilito è un danaro ed è quello che serve per un giorno; ed era un contratto che valeva per tutti.

La vigna è simbolo di Israele, del popolo di Dio, perché la vigna è la parte migliore della terra che produce il frutto e il frutto del popolo di Dio che cos’è? È esattamente l’amore fraterno, è dove si realizza l’amore del Padre. Questo è il frutto: l’amore di Dio e del prossimo. E c’è gente che è chiamata fin dall’alba a fare questo frutto: chi è stato chiamato all’alba? Israele, il credente, la Chiesa, i buoni, i giusti, quelli che fin da giovani, da sempre si sono dedicati con zelo alle cose buone, a fare il bene. Tra l’altro, c’è una chiamata ogni tre ore.

I Padri della Chiesa hanno visto in queste varie chiamate il fatto che noi siamo chiamati ad ogni ora a produrre questi frutti. Se non l’hai fatto prima lo puoi fare anche dopo; non è che si dica: ormai è troppo tardi, io ho sempre vissuto così, ho sessanta anni, ormai è finita. No, a qualunque ora, che tu abbia zero anni, ne abbia dieci, ne abbia venti, ne abbia novanta, sei sempre chiamato a fare questo frutto.

Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna.

C’è un accordo, un patto, una promessa: e la promessa è ciò che ti concede di vivere. Un denaro serve per vivere te e la tua famiglia un giorno: la promessa di Dio è la vita. In concreto, poi, Dio che promette, ha un segreto da rivelare. Lui promette, ma perché promette? Quando tu prometti, ti com-prometti. Sei compromesso tu, sei tu che fai la promessa. Nella promessa che Dio ha fatto all’uomo, cosa salario dà la sua vita. Ci dà se stesso. Per cui il salario degno dell’uomo è Dio stesso.

Di fatti il comandamento è Shema Israel, ascolta Israele, amerai il Signore Dio tuo. È Lui il salario degno dell’uomo. E niente meno di Dio può essere il salario dell’uomo che è fatto per amare in modo assoluto. Quindi, questo danaro è figura proprio della realizzazione piena dell’uomo, è la comunione con Dio; è Dio stesso; Dio dà se stesso in ogni dono.

Uscito poi verso le nove del mattino ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò, ed essi andarono.

I primi stanno già lavorando da tre ore, le prime tre ore sono le più redditizie perché sei fresco, fa fresco; dopo tre ore cominciano a sentire il peso della fatica. Il padrone esce a chiamare anche alle nove del mattino e vede altra gente disoccupata.

Si capisce che questo padrone è contro la disoccupazione, a tutti i costi. Ogni uomo deve essere occupato: cioè deve poter vivere, deve poter amare, deve avere la pienezza di vita, che è l’unica occupazione degna dell’uomo. Ai primi promette quello che è giusto, il salario concordato; ai secondi invece dice: Vi darò quello che è giusto. Che cos’è giusto per chi arriva tre ore dopo? Non lo dice. Capiremo dopo qual è la giustizia di Dio. Ne aveva già parlato Matteo nel discorso sulla montagna: Se la vostra giustizia non è eccessiva, non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno. La giustizia di Dio, vedremo, è quella giustizia che è eccessiva, che è la giustizia del Regno. Ma gli operai non lo sanno e si fidano. Quindi sono affidati a questa giustizia e pensano: speriamo ci vada bene, comunque abbiamo niente da fare, almeno qualcosa ci darà.

Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto.

È interessante: c’è allora una prima chiamata: è quella “intera” che affronta tutta la giornata; una seconda chiamata, in cui si perdono le ore migliori del lavoro; una terza chiamata a mezzogiorno; una quarta chiamata alle tre del pomeriggio, per tre ore di lavoro. Con i primi c’è un patto: “vi darò un danaro”; con gli altri: “vi darò ciò che è giusto”. Non dice che cosa darà.

Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: andate anche voi nella mia vigna.

Così si conclude la prima parte della parabola in cui si vede che tutti gli uomini sono chiamatati a tutte le ore. Con questi ultimi però c’è qualche dettaglio in più; infatti dice loro: perché state qui a far niente? Si preoccupa per loro: non li colpevolizza, è lui preoccupato. Loro dicono: nessuno ci ha preso. È interessante, non hanno colpa: nessuno ci ha preso. Perché nessuno li ha presi? Forse perché non erano validi, forse perché non erano bravi: anche noi lasciamo un po’ ai margini le persone che valgono poco, le lasciamo perdere. Con questi il padrone della vigna si preoccupa molto e va a vedere.

Siamo tutti chiamati a essere operai della vigna, cioè a raccogliere questo frutto che è l’amore del Padre ed è l’amore dei fratelli. E non c’è età che tenga. Si vede proprio questa preoccupazione del Signore di chiamare tutti, nessuno è escluso.
Chi si crede escluso perché non è stato preso prima, sappia che di lui si preoccupa molto di più. E si sente un po’ in colpa, come un padre si sente un po’ in colpa se a un figlio non è riuscito a dare quel che voleva, se non gli è riuscito bene, se è un po’ fuori posto.

Quando fu sera il padrone della vigna disse al suo fattore: chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi.

La scena è costruita molto bene, in modo da lasciare proprio un sospeso: incominciando dagli ultimi. Gli ultimi saranno i primi ad essere pagati. Si fa presto a fare i conti con loro, forse gli dà qualcosina e li manda via, per cui anche gli altri stanno tranquilli, fino a quando non vedono quello che succede.

Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro.

Questa è la prima sorpresa piacevole. Guarda: questi hanno lavorato un’ora e hanno ricevuto il salario intero, noi che abbiamo lavorato tutto il giorno chissà cosa prenderemo... quindi sono contenti all’inizio: si capisce che il padrone è in vena di largheggiare.
Sotto c’è un significato profondo: il Signore non può dare a nessuno meno di un danaro perché serve per vivere.

Che cosa serve per vivere all’uomo? Serve l’amore del Padre, serve essere figlio, serve Dio stesso che è amore, che è sua vita. Dio non può dare di meno di se stesso. Dà tutto. Anche a chi arriva all’ultima ora. Anzi chi arriva all’ultima ora lo chiama per primo perché dice: hai penato tanto, gli altri almeno dal mattino erano sicuri di avere già tutto fino a sera; tu che hai vissuto nell’ansia le undici ore della tua esistenza, arrivato alla dodicesima vieni prima, almeno hai subito un respiro di sollievo.

Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più, ma anch’essi ricevettero un denaro ciascuno.

Si dice che saremo retribuiti secondo le nostre opere. Lo diciamo anche in certe forme di preghiera. Però siamo retribuiti anche secondo la grazia. Nessuna nostra opera produce Dio e Dio ci dona se stesso per grazia e questo lo vuole dare a tutti. E per chi ha lavorato dal mattino, qual è il premio maggiore?

Qui c’è sotto un mistero da capire: quelli che vogliono di più da Dio, non hanno capito che Dio dà se stesso. Quindi disprezzano ciò che ricevono, disprezzano Dio. Vogliono ridurre Dio a un prodotto del loro lavoro. Vogliono comprare Dio con il loro lavoro, cioè lo trattano da prostituta. Vanno direttamente contro Dio questi “giusti”. Non hanno capito che lavorare dal mattino è questa la grande opera; la retribuzione consiste nel fatto che dal mattino lavoro con Lui. È l’essere con Lui la retribuzione. È l’essere come Lui la retribuzione. Che è uguale a quella che viene data a chi arriva alla fine.

La grazia è l’essere arrivato prima: è un dono. La grazia è anche l’essere arrivato dopo: è un dono. Chi arriva ultimo lo capisce meglio. Ricordate la prostituta che arriva in casa del fariseo, mentre Gesù è lì a banchettare e il fariseo che dice: certamente questi non sa di che donna si tratta, se no… e Gesù gli racconta la parabola: un creditore aveva due debitori: uno gli doveva 500 danari e l’altro 50. Perdonò a tutti e due, chi amerà di più? Colui al quale è stato perdonato di più! Non quello che è più bravo e che ha minor debito! Colui che ha un debito maggiore, amerà di più.

Il problema è chi ama di più. Chi ama di più capisce meglio la grazia; “il giusto” non è colui che merita, è l’altro che non merita, e che amerà di più. È questo il prodigio di Dio che fa anche del nostro male, del nostro peccato un luogo di maggiore amore, dove sperimenti la grazia, nel senso che è la bellezza, la bontà, la gratuità, l’essenza di Dio, lo sperimenti lì.

Questa parabola è davvero il Vangelo in luce: viviamo di questa grazia. È questo il dono che Dio vuole fare a ogni uomo. I primi pensano di ricevere di più: abbiamo lavorato non per ricevere Dio, per entrare in comunione ed essere come Lui; abbiamo lavorato per altri fini. Per essere ricchi noi. Come se la ricchezza, la giustizia valesse più di Dio, del suo amore gratuito. Cioè, in fondo, si sono serviti di Dio per raggiungere la propria bravura, la propria giustificazione, la propria giustizia. In realtà, sono fuori dalla grazia.

Questa parabola è più scandalosa, lo sottolineo, perché tocca l’economico. Le altre riguardano di più i sentimenti e allora non si discute tanto: che lo ami di più non interessa, è il salario che interessa. I lavoratori della prima ora pretendono. Pretendono più grazia, come se la grazia fosse oggetto di merito. Chi fa così non ha capito una cosa: non ama il fratello, perché altrimenti sarebbe contento se il fratello riceve un dono. E non ama il Padre che ama il fratello, quindi è totalmente fuori dall’economia di Dio.

Nel ritirarlo però mormoravano contro il padrone dicendo: questi ultimi hanno lavorato per un’ora soltanto e li hai trattati come noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo.

Il giusto cosa fa per mestiere? Brontola contro gli altri. Guarda quelli lì come sono! Un minimo di decenza! A me tocca faticare, a me tocca fare… e loro guarda! Giustamente verranno puniti o almeno io riceverò un giusto premio perché sono stato veramente bravo. Provate a esaminare i sentimenti che dettano la nostra giustizia nei confronti degli altri che non sono bravi. Ci sentiamo molto a posto mentre l’altro serve da piedistallo. Però quando sperimentiamo la fatica di esser bravo, abbiamo rancore come il fratello maggiore che dice: il minore ha speso tutto in divertimenti e prostitute e io qui a lavorare.

Il rancore è un sentimento tipico del giusto. E di fatti quando abbiamo rancore noi? Quando ci sentiamo giusti e subiamo un torto ingiusto.

Ma il padrone, rispondendo a uno di loro disse: Amico, io non ti faccio torto, non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene! Ora voglio dare a quest’ultimo come anche a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure il tuo occhio è cattivo, perché io sono buono?

È l’apice della parabola: amico, io non ti faccio torto, do anche a te tutto, non l’hai capito? Tu non vuoi invece me, la vita, vuoi un salario che non sono io. Io sono solo uno strumento per raggiungere i tuoi fini, allora prendi il tuo e vattene. Io ti ho dato però quello che ti spetta, ti ho dato me stesso, e tu non mi vuoi. Tu mi rifiuti perché io faccio grazia e amo gli altri? Non hai capito che sei figlio tu come è figlio l’altro? E per questo non posso non amarvi tutti e due. Tu vuoi proprio andare via, perché io sono buono? Cioè, mi rifiuti come padre, mi rifiuti come madre, mi rifiuti come amore, mi rifiuti come Dio. Per cui il rifiuto di Dio, per sé, lo fa il giusto. È il pericolo costante.

Se io divento cattivo perché Lui è buono con mio fratello, vuol dire che odio il fratello e odio il Padre: e quindi sono fuori dalla grazia. Se nella vita materiale abbiamo l’attaccamento alle ricchezze, nella vita spirituale c’è un attaccamento ancora più profondo alla nostra ricchezza spirituale, alla nostra onorabilità, la nostra bravura, invece che alla gratuità dell’amore che Dio mi accorda e che accorda all’altro, e che è bellissimo che sia così.

Così gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi.

Che gli ultimi siano i primi è chiaro: perché sono i primi che capiscono che è pura grazia, non se l’aspettavano. I primi saranno gli ultimi: solo quando saranno ultimi anche loro potranno capire, prima no.
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Re: Il mito tabù degli ultimi e dei poveri

Messaggioda Berto » dom dic 03, 2017 10:26 am

???

Papa all'Angelus: l'amore è il criterio con cui verremo giudicati
2017/11/26

http://it.radiovaticana.va/news/2017/11 ... ud/1351277

Il significato della regalità di Cristo nella catechesi di Papa Francesco all’Angelus di oggi, ultima domenica dell’anno liturgico e solennità di N.S.Gesù Cristo, Re dell’Universo.

“Una regalità di guida, di servizio che alla fine dei tempi si affermerà come giudizio” spiega Francesco che, nel presentare l’odierna pagina evangelica (Mt 25,31) in cui Gesù “dopo aver vissuto l’esistenza terrena in umiltà e povertà”, “si presenta ora nella gloria divina che gli appartiene”.

Nel convocare davanti a Lui l’intera umanità, dice ancora il Pontefice, “Egli esercita la sua autorità separando gli uni dagli altri” rivelando “il criterio decisivo del suo giudizio, cioè l’amore concreto per il prossimo in difficoltà” : “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

A commento della citazione del Vangelo, prosegue ancora: “Questa parola non finisce mai di colpirci, perché ci rivela fino a che punto arriva l’amore di Dio: fino al punto di immedesimarsi con noi, ma non quando stiamo bene”, “ma quando siamo nel bisogno. “In questo modo nascosto Lui si lascia incontrare, ci tende la mano come mendicante”, “si rivela il potere dell’amore, la regalità di Dio: solidale con chi soffre per suscitare dappertutto atteggiamenti e opere di misericordia”.

Ma la parabola del giudizio prosegue presentando il Re che allontana coloro che nella vita non hanno aiutato i fratelli nel bisogno e Francesco sottolinea: “Anche in questo caso costoro rimangono sorpresi e chiedono: Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?. Sottinteso: “Se ti avessimo visto, sicuramente ti avremmo aiutato!”. Ma il re risponderà:Tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me. L’amore è dunque il criterio su cui verremo giudicati e cioè “sul nostro concreto impegno di amare e servire Gesù nei nostri fratelli più piccoli e bisognosi”.

“Gesù verrà alla fine dei tempi per giudicare tutte le nazioni, ma - ricorda e avverte il Papa - viene a noi ogni giorno, in tanti modi, e ci chiede di accoglierlo”. Invocando l’aiuto della Vergine Maria, Francesco conclude invitando a incontrare e ricevere Cristo “nella Sua Parola e nell’Eucaristia, e nello stesso tempo nei fratelli e nelle sorelle che soffrono la fame, la malattia, l’oppressione, l’ingiustizia”.
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Re: Il mito tabù degli ultimi e dei poveri

Messaggioda Berto » dom dic 03, 2017 11:32 am

Padre Mariani, il don di Nuoro contro gli accattoni:
"Lo Stato gli dà 35 euro, perché mendicano?". La sinistra lo insulta
30 Novembre 2017
di Brunella Bolloli

http://www.liberoquotidiano.it/news/ita ... ngari.html

«Io dico: se lo Stato dà 35 euro al giorno a chi gestisce gli immigrati, perché poi questi signori vengono a mendicare ogni giorno fuori dalla mia parrocchia?». Don Francesco Mariani non è un prete qualunque. Oltre a curare le anime fa il sociologo, insegna, ed è un giornalista. Per trentatré anni è stato direttore di Radio Barbagia e responsabile della Caritas di Nuoro, conosce il mondo dei poveri, per questo non ci sta ad accomunare la gente, tanta, che non arriva a fine mese con i migranti che chiedono l’elemosina davanti alle chiese.

«No all’accattonaggio molesto», ha scritto in un editoriale pubblicato dal settimanale diocesano l’Ortobene ed è scoppiato il caso. «Il prete “salviniano”», gli hanno urlato contro gli odiatori del web. «Xenofobo e razzista». Perfino la politica si è scomodata contro il don: «Un uomo di chiesa dovrebbe almeno provare a comprendere e accogliere gli ultimi», ha dichiarato stizzito il deputato di Mdp-Articolo 1, Michele Piras, «invece eccolo qui come un Salvini qualsiasi». Don Mariani ha scritto «un vergognoso redazionale», ha aggiunto Pierfranco Devias, segretario del partito indipendentista Liberu. Mentre Michele Tatti, direttore dell’Ortobene, ha attaccato i commenti feroci sul web: «Si può convidivere o meno il pensiero di una persona, ma non la si deve infangare, tra l’altro nascondendosi dietro l’anonimato».

Di fronte alle critiche il parroco di San Giuseppe di Nuoro non si scompone: «Non mi spaventano le esternazioni di certi pellegrini della politica», spiega a Libero, «non credo di esagerare quando affermo che ci sono dei fenomeni da analizzare, come quello dei questuanti, che non è fine a se stesso. Temo che ci sia una vera organizzazione dietro». Il sacerdote non pronuncia la parola racket, ma insiste sul concetto di «legalità». «Ho visto il ritorno alla grande di un clan di zingari che dopo avere devastato il campo di accoglienza realizzato dal Comune con i nostri soldi lo hanno trasformato in una discarica».

Indignato: «Si è speso per garantire la frequenza scolastica ai loro figli, per nutrirli e vestirli e loro erano lì a strattonare anziani e malati per avere qualche moneta». «Non sono razzista», spiega don Francesco che ha scritto un altro articolo che uscirà oggi, «sono contento che si crei dibattito, ma provo rabbia perché lo Stato, cioè pantalone, spende ogni giorno mentre l’anziana italiana che va in banca o alle poste poi si trova davanti all’uscio un giovanottone che vuole soldi», insiste. Salvini? «Non è a lui che mi ispiro, ma al Papa: è lui che ha detto che c’è differenza tra poveri e accattoni», spiega il sacerdote. «La sinistra che mi attacca guardi al Comune di Sassari, a guida Pd: il sindaco ha fatto un’ordinanza anti-accattonaggio. Accogliere vuol dire fare rispettare le leggi di chi ti accoglie. Trasgredirle è un reato, a prescindere dall’identità etnica.
L'uomo di buona volontà e l'ipocrita
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Re: Il mito tabù degli ultimi e dei poveri

Messaggioda Berto » lun dic 04, 2017 5:51 am

Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli
https://it.wikipedia.org/wiki/Beatitudini_evangeliche

È la prima beatitudine della Legge di Cristo Gesù, il fondamento su cui innalzare tutto l’edificio cristiano, la via sulla quale camminare per portare il regno di Dio in mezzo agli uomini, la porta per entrare nella beata eternità. Per comprendere la povertà in spirito, bisogna guardare a Gesù.
http://www.papaboys.org/beati-i-poveri- ... -millennio
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Re: Il mito tabù degli ultimi e dei poveri

Messaggioda Berto » lun dic 04, 2017 6:04 am

Il mito fastidioso del povero buono
Pier Luigi Del Viscovo - Dom, 19/11/2017

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 64753.html

L'equazione «poveri/disgraziati=buoni», uno dei pregiudizi più radicati e diffusi, trova origine e conservazione, da un lato, nella religione, che doveva aggregare soprattutto le fasce più umili, più disperate e, per lenire quelle sofferenze, le incanalava verso una riscossa ultraterrena (piuttosto che verso la protesta).

Da qui a blandire quei disgraziati per la bontà d'animo, meritevole di qualcosa di meglio (ancorché non subito, non qui) e, dunque, capace di sopportare, di vivere nel bene maturando un credito, il passo è breve. Dall'altro lato, nel senso di colpa. A parte pochi malvagi, chi riesce a godere di una posizione confortevole non è felice nel vedere chi se la passa proprio male. Quanto per senso di giustizia e benevolenza, quanto per l'egoismo di non volere sofferenze alla propria festa, non è facile da stabilire. Ma il risultato è lo stesso: la compassione, sul presupposto che il disgraziato la meriti, sia buono.

Tuttavia, come tutti i pregiudizi, anche questa favoletta dei poveri e dei disperati che sono tutti buoni ha stancato. Ci sono poveri buoni, magari tanti, però lo sono non a causa, ma nonostante l'indigenza in cui versano, grazie a una statura morale che non deriva dal bisogno, anzi, riesce a governarlo. Il bisogno spinge alla trasgressione, a volte quasi la giustifica. La povertà, il sentirsi relegato ai margini di una società che non consente di accedere ai piaceri che ostenta, è piuttosto una potenziale causa di aggressività e di rivolta. Tanti conservano una dignità, un codice morale che vieta loro di trasformare certi sentimenti in azioni efferate. Ma non tutti.

Per corollario, la non-povertà non significa essere cattivi. L'agiatezza non va espiata. Basta con l'idea che se hai fatto i soldi qualche marachella devi averla combinata per forza, perché sennò non si spiega: non mi sono arricchito io, come è possibile che quello ci sia riuscito? Dopo tutto, siamo o non siamo tutti uguali? Eh no... non proprio; dispiace, ma è proprio così.

Chiariamo subito che nessuno ce l'ha con chi è in difficoltà. Solo non pare necessario elevarlo a una statura morale che qualcuno probabilmente non ha. Prendersi cura di chi soffre, anche facendone valere le ragioni, quando valide, è una posizione corretta in punto di giustizia umana e sociale. Inoltre, quando quei qualcuno diventano tanti o tantissimi, è anche conveniente socialmente ed economicamente: nessun impero è contento di generare uno Spartacus, con tanto di esercito. Noi abbiamo prodotto un paio di generazioni poco o punto capaci di sostenere se stesse (povere di prospettive e di competenze) e importiamo ogni anno altri poveri (di vitto e alloggio). Trovare delle soluzioni è imperativo categorico, pur se non il «reddito di cittadinanza», in quanto portatore (non estirpatore) di povertà.

Ma questo non pare abbastanza per una certa cultura. La gauche caviar dominante, a cominciare dalla terza carica dello Stato, li vuole sul pulpito: i poveri, i diseredati, i disperati. Ci devono dare lezioni di etica e di morale. Così da poterci sentire giustamente colpevoli o, se innocenti, almeno sbagliati. Tra loro e noi, abbiamo sempre noi torto e qualcosa da imparare. La parola magica per sdoganare il tutto è: cultura. I musulmani hanno la loro cultura: ma che cultura è trattare la donna come essere inferiore? Gli zingari hanno la loro cultura, infatti si devono chiamare rom: ma che cultura è rubare, scippare, frugare nei cassonetti, crescere i figli in condizioni pietose, invece di andare a lavorare? Ci dobbiamo confrontare? Sul serio?

Come ogni pregiudizio della gauche caviar, anche questo ha le sue odi. Una per tutte, la famosa canzone di De André «Il pescatore», in cui questo sonnacchioso vecchietto prima foraggia un assassino dichiarato («ho sete, sono un assassino») e poi depista le indagini delle forze dell'ordine, spargendo sul gesto un'aura evangelica con la storia del pane e del vino. L'eroe della canzone è il vecchio pescatore, che «non si guardò neppure intorno» prima di dare sostegno al malcapitato, che è l'assassino, non la vittima, il morto. Facciamo un test: quanti illuminati di sinistra sono pronti a dichiarare che il vecchio ha sbagliato, che il grande cantante stavolta ha steccato? Poi diamo un nome all'assassino: facciamo che si chiami Igor.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il mito tabù degli ultimi e dei poveri

Messaggioda Berto » mar dic 05, 2017 7:37 am

Aiutati che il ciel ti aiuta e la provvidenza divina
viewtopic.php?f=141&t=2703

Aiutati che il ciel ti aiuta è la vera provvidenza divina che non appartiene all'idolatria delle varie religioni ma che è insita nella vita, nella natura, nelle leggi fisiche dell'universo e morali o etiche delle creature;
sopratutto è presente nella responsabilità dell'uomo.
religiosa miracolistica delle preghiere e delle invocazioni/raccomandazioni idolatre.
La provvidenza divina si realizza esclusivamente nelle opere dell'uomo di buona volontà e non certo nei miracoli soprannaturali per opera di qualche "santo fanfarone".

La proprietà non è un furto e un male ma un bene prezioso e rubare non è un bene ma un male.
viewtopic.php?f=141&t=2495



L'uomo di buona volontà e l'ipocrita
viewtopic.php?f=141&t=2515



LA " VISIONE" EBRAICA con cui sono totalmente d'accordo

" Se io non sono per me, chi e' per me? E se non sono per me, cosa sono io?
E se non ora, quando?"


Hilel 60 a.C.

In questa frase e' concentrata molta dell'essenza dello stile di vita ebraico.

Certo, credo in D-o ma se non sono io per me, chi lo sara'?

E se io non sono per me, cosa sono io?

E se non ora, quando?

Quanti significati in sole tre frasi: sii te per te stesso ed agisci ora, se non ora, quando?

Certo, l'ebreo crede nella vita terrena e parla poco di quella ultraterrena.
Realizzarsi ora, in questa vita, fare della propria vita una missione, da completare con successo; contando sull'aiuto di D-o certamente ma credendo prima di tutto in noi stessi come gli artefici del nostro successo e della nostra felicita'.
B. H.

Jossy

https://www.facebook.com/Ebrei-e-Israel ... 9871202295
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Re: Il mito tabù degli ultimi e dei poveri

Messaggioda Berto » mar dic 05, 2017 7:39 am

Il nuovo antisemitismo in Francia e la triste dimenticanza di una certa sinistra
di Mauro Zanon
2017/09/28

http://www.ilfoglio.it/esteri/2017/09/2 ... tra-154619

Parigi. “Siete ebrei, avete i soldi! Lo prendiamo a voi per darlo ai poveri!”. Con queste parole, qualche settimana fa, Mireille e suo figlio sono stati aggrediti e sequestrati per più di tre ore nella loro casa di Livry-Gargan, nel dipartimento Seine-Saint-Denis, lì dove le famiglie di confessione ebraica si contano oramai sulle dita di una mano. Un fatto di cronaca che non poteva passare inosservato, perché consumatosi a pochi mesi di distanza dall’assassinio di Sarah Halimi, ebrea francese di 65 anni, accoltellata e scaraventata dalla finestra, al grido di Allah Akbar, dal suo vicino di casa musulmano, Kobili Traoré. Dalla strage di ebrei commessa dal jihadista Mohamed Merah, nel 2012, al sequestro di Livry-Gargan, le manifestazioni di un nuovo antisemitismo riempiono le pagine dei “fait divers” dei giornali francesi, e piombano la comunità ebraica nella paura di un abbandono.

È il “nuovo malessere degli ebrei francesi”, come scrive il settimanale Express nel suo ultimo numero, il malessere di una comunità che si sente minacciata dall’antisemitismo dilagante e vittima dell’indifferenza generale dei media. “Perché così tanto imbarazzo da parte di alcune persone a parlare di razzismo antiebraico? Perché tanta precauzione nel trattare questo problema mediaticamente?”, si chiede l’Express. Quest’anno, a Noisy-le-Grand (Seine-Saint-Denis), una famiglia di confessione ebraica ha trovato nella sua cassetta delle lettere una pallottola di kalashnikov accompagnata da insulti antisemiti, mentre ad Anet, nel dipartimento Eure-et-Loir, è la scritta “Hitler aveva ragione, bisognava mettere tutti gli ebrei nei forni”, che una coppia ha trovato sulla porta di casa. In Francia, i cittadini di religione ebraica rappresentano meno dell’uno per cento della popolazione, ma secondo i dati del ministero dell’Interno sono vittima della metà degli atti razzisti commessi in Francia.

Stando a quanto riportato dall’Express nella sua inchiesta, negli ultimi cinque anni, il 40 per cento degli episodi razzisti è stato a danno degli ebrei. E gli autori, ben lontani dal profilo dello skinhead affiliato all’estrema destra, come una certa sinistra continua a sostenere, sono per la maggior parte di cultura islamica. Il silenzio della gauche dinanzi all’aumento esponenziale degli episodi di antisemitismo, che costringono ogni anno migliaia di ebrei all’aliyah, ossia al ritorno in Israele, è stato denunciato sulle pagine dell’Express dall’intellettuale laica Elisabeth Badinter.

“Ciò che mi ha spinto a scrivere, è ciò che è accaduto a Sarah Halimi. Il silenzio mediatico e politico attorno al martirio di questa donna mi ha perturbato enormemente. Non mi capacito di come sia stato possibile, in Francia, tenere nascosto questo atto atroce per più due mesi”, ha scritto la Badinter. Poiché la maggior parte delle violenze contro gli ebrei sono commesse da aggressori islamisti, la sinistra teme la stigmatizzazione, l’accusa di “islamofobia”, e dunque sceglie di tapparsi la bocca, per non “gettare olio sul fuoco”, come scrive il settimanale parigino. E si dimentica. “Non capisco come mai l’uccisione da parte di Mohamed Merah di tre bambini nel cortile di una scuola ebraica non si imprima nella memoria. Non capisco perché questo atto di natura nazista, dove una bambina di sette anni è stata presa per i capelli per essere colpita con una pallottola in testa, non sia entrato nella memoria collettiva”, commenta Badinter, che denuncia il “malheureux oubli”, la triste dimenticanza di una certa sinistra francese. Prima di concludere: “Non lasciate gli ebrei combattere da soli”.


Idiozie e odio contro Israele e gli ebrei
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