Il sud della penisola italica - i meridionali

Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » dom ago 13, 2017 3:34 pm

Se lo dice il Corriere: maturità, lo scandalo della valanga di 100 e lode nelle scuole del Sud
Stefania
13 Ago 2017

http://www.lindipendenzanuova.com/se-lo ... le-del-sud

Semmai, quest’anno ci sono un po’ più di dati pubblici per documentare meglio lo scandalo. La Puglia è il campione nazionale della maturità con 944 cento e lode, un po’ meno di tre volte dei 337 della Lombardia, ma se si tiene conto del numero degli studenti il gap sale a 5 volte . In Puglia 26 studenti su mille hanno avuto la lode contro i 5 in Lombardia. Ma l’analisi delle prove Invalsi di italiano del 2016 sulla seconda superiore (studenti lontani tre anni dalla maturità, ma un riferimento valido) dimostra che le scuole pugliesi sono decisamente peggiori di quelle lombarde: 54 per cento di risposte esatte in Puglia contro 64 in Lombardia e punteggio complessivo di 193 contro 213.

Anche nel resto del Paese, il successo delle scuole del Centro-Sud non è giustificabile. La Campania ha avuto 12 studenti su 1.000 con 100 e lode. Il Lazio 10. La Calabria 20. Mentre nelle regioni del Nord, oltre ai 5 su mille della Lombardia, sono stati 8 su mille in Veneto e Piemonte….

Questi voti sono esattamente invertiti rispetto ai risultati Invalsi, che per il resto delle regioni del centro-sud sono molto inferiori a quelli del nord. Le risposte giuste in Calabria, Campania e Lazio sono, rispettivamente, 51,52 e 53 per cento contro 62,63 e 64 in Piemonte, Veneto e Lombardia. Il punteggio complessivo è 188 in Calabria , 191 in Campania e 192 in Lazio contro il 207 in Piemonte, 211 in Veneto e 213 in Lombardia.

segue su
http://www.corriere.it/economia/17_agos ... ire-merito
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » dom ago 13, 2017 5:55 pm

???

Galasso: «Il paradiso borbonico? È solo un’invenzione nostalgica »
Giuseppe Galasso
13 luglio 2015 | 10:57

http://corrieredelmezzogiorno.corriere. ... da66.shtml


Il primo che incontriate per strada o altrove può farvi dotte lezioni sui cento primati del Regno delle Due Sicilie, sulla rapina delle ricchezze meridionali dopo il 1860. Risultato delle clamorose fortune di questa pseudo-letteratura storica (con poche eccezioni)

Che il largo moto di rivalutazione e di fantasiosa nostalgia del Mezzogiorno borbonico portasse a riflessi politici era nella logica di questi fenomeni, ripetuta e verificata in tanti casi in Italia e fuori d’Italia. Per il Mezzogiorno, ciò appariva, anzi, più facile data la rapidissima diffusione di quella rivalutazione e nostalgia, per cui alcuni vi hanno trovato il fortunato appiglio per libri e scritture di scarsissimo o nessun peso storico e culturale, e tuttavia portati dall’onda della moda in materia a tirature e vendite da capogiro. Le clamorose fortune di questa pseudo-letteratura storica, se hanno potenziato il moto di opinione da cui essa è nata, hanno fatto torto, peraltro, alle, invero poche, opere che sulle stesse note di rivalutazione e nostalgia hanno dato (da Zitara a Di Fiore) contributi discutibili o poco accettabili, ma sono state scritte con ben altro scrupolo e serietà. Questa è, però, una legge comune dell’economia, che non risparmia nessun altro campo. Ovunque la moneta cattiva espelle la moneta buona.

Il risultato è che oggi il primo che incontriate per istrada o altrove può farvi dotte lezioni sui cento e cento primati del Regno delle Due Sicilie, sulla rapina delle ricchezze meridionali dopo il 1860. E ancora sul felice stato e sulla lieta vita del Mezzogiorno prima del 1860, sulla deliberata politica di dipendenza coloniale e sfruttamento in cui l’Italia unita tuttora mantiene il Mezzogiorno, e su altre simili presunte «verità», lontane dalla «storia ufficiale».Tutto ciò farebbe pensare a quella quindicina e più di generazioni di meridionali susseguitesi dal 1860 in poi come segregate dalla vita civile e istituzionale dello Stato e della società italiana. Si sa, però, che non è così. Si sa che l’integrazione dei meridionali nell’Italia unita, come per gli altri italiani, è stata profonda, rompendo un isolamento storico che, nel caso di varie parti del Mezzogiorno, durava da secoli. Mezza diplomazia italiana è stata fatta di meridionali. I due migliori capi di Stato Maggiore dell’Esercito – Pollio e Diaz – erano napoletani. Già da dopo la prima guerra mondiale la burocrazia italiana ha cominciato a essere fatta per lo più di meridionali. Quattro presidenti della Repubblica su 12 (De Nicola, Leone, Napolitano, Mattarella), vari capi di governo (da Crispi a D’Alema), innumerevoli ministri, vari e potenti capi di partito sono stati meridionali. Sulle cattedre universitarie e nell’insegnamento la parte dei meridionali si è fatta sempre più ampia.

Si potrebbe continuare, ma conta ben più ricordare che proprio il Mezzogiorno è stato il teatro di maggiore fortuna del nazionalismo italiano: un nazionalismo tanto forte che il partito delle «camicie azzurre» rimase per un bel po’ in piedi accanto al partito fascista prima di confluire in esso; e anche del fascismo rimase a lungo nel Mezzogiorno la traccia. Conta ricordare che il Mezzogiorno è stato la parte d’Italia con maggiore evidenza più legata alla causa monarchica e alla Casa di Savoia anche quando era ormai esclusa ogni possibilità di ritorno monarchico (e non si dica che i meridionali volevano difendere solo l’istituzione monarchica, perché non è vero: l’attaccamento ai Savoia fu manifestato a lungo in modo indubitabile).

Su questo metro, però, non si finirebbe più, e non serve neppure. Il corso delle cose sistema spesso questioni come questa senza quasi darlo a vedere. Ricordate le fiere proclamazioni secessionistiche della Lega Nord? Ora essa parla e si atteggia da forza nazionale, anche se nei confusi termini delle pasticciate velleità da «líder máximo» di Salvini. Il corso delle cose agirà anche sul piano culturale. Come sono passati il nazionalismo delle camicie azzurre e il fascismo, appoggiati dai maggiori e minori nomi della cultura italiana di un secolo fa, e culturalmente ben più forti e provveduti, così passerà anche l’onda della rivendicazione borbonica.

La quale onda rivela, intanto, sempre più la sua macroscopica e inattesa incapacità di dar luogo a un qualsiasi serio movimento politico di qualche, sia pur minima, consistenza. E già questo dice quanto sia debole la sua spinta culturale, benché agiti temi tra i più orecchiabili e utilizzabili in chiave demagogica e tra i più ascoltati e utilizzati a sostegno dei movimenti di tipo «leghista» in Italia e altrove («conquista piemontese» e sue violenze, rapina e sfruttamento dello Stato unitario a danno del Sud, e così via). Da ultimo, poi, si è aggiunto il tema della «nazione napoletana», senza, peraltro, mostrare una sufficiente informazione sulla sua antica e complessa storia, e come se fosse una postuma scoperta di oggi, mentre è il tema di tutta la maggiore e migliore storiografia meridionale, da Angelo di Costanzo nel ‘500 a Giannone nel ‘700, e poi a Cuoco e a Croce, nonché ai continuatori della stessa tradizione.

Tutto a posto, dunque? Tutto si spiega e si vanifica? Evidentemente no. Se nel breve giro di un paio di decenni si diffonde a tal punto una certa moda culturale, sia pure senza capacità di riflessi politici, allora vuol dire che qualcosa non va sotto il nostro cielo. Vuol dire che ci dev’essere un perché più profondo dell’atteggiamento di moda. Le risposte possono essere molte: la sprezzante sfida nordista della Lega, che non poteva non provocare una reazione meridionale; o la progressiva scomparsa del Mezzogiorno dalla più immediata e importante agenda politica italiana; o la conseguente sensazione di un’estrema, definitiva difficoltà a trovare nello Stato italiano, come si era sperato soprattutto dal 1945 al 1990, un modo di compensare e superare le gravi negatività della politica italiana verso il Mezzogiorno dopo il 1860, da subito denunciate dal pensiero meridionalistico; o, ancora, le difficoltà dovute alla non ancora superata crisi di questo Stato, che sul Mezzogiorno per forza di cose si sono ripercosse in peggiore maniera e misura.

La ragione eminente pare, però, sempre più la crisi dello Stato e dell’idea nazionale, in corso dalla metà del ‘900 in tutta Europa, che l’Unione Europea non ha saputo finora superare e compensare in un nuovo quadro etico e politico di uguale forza ideale. Si è verificato così il paradosso di una realtà europea in cui la forza di un persistente nazionalismo degli Stati e delle opinioni pubbliche europee si accompagna a una crisi sempre più diffusa, politica e ideale, dello Stato e dei valori nazionali, che in alcuni paesi (Spagna, Gran Bretagna, Belgio, Italia) è particolarmente forte.

È su questo fronte che appare preoccupante il problema posto dall’antitalianismo borbonizzante. Sul piano culturale lo si può ritenere ben poco vitale e, comunque, destinato a essere superato (e anche omologato in quel tanto di fondato che può essere in esso). Sul piano politico, invece, alla sua incapacità di alimentare un filone politico specifico e consistente, corrisponde la sua forza erosiva e corrosiva dell’idea nazionale italiana, della quale il Mezzogiorno ha tanto partecipato e della quale, nonostante le apparenze, tuttora profondamente partecipa. E da ciò derivano un danno sicuro all’organismo nazionale italiano e un suo indebolimento in Europa, senza che si riesca in alcun modo a vedere che cosa ne venga di buono al Mezzogiorno.



Gino Quarelo

Certo non era un paradiso, ma non lo è diventato nemmeno con l'arrivo dei Savoia e del loro regno-stato italiano, non lo era ieri e non lo è oggi. Forse, per alcuni aspetti, l'ieri era meglio dell'oggi e per altri l'oggi è meglio del ieri. Sicuramente è sbagliato mitizzare il passato remoto ma è altrettando errato mitizzare il passato prossimo e il presente.

Poi bisogna chiedersi: ma questo Garibaldi e questi Savoia cosa hanno portato? Hanno portato vita o morte, hanno portato doni o hanno depredato, hanno portato libertà o servitù e prigionia, hanno portato civiltà o inciviltà, hanno portato lavoro o disoccupazione, ... ? Credo che facendo questi conti semplici ed essenziali della serva o della massaia, o del buon padre di famiglia si debba concludere che in tutta la penisola italica questa genia infame abbia portato più male che bene. I discorsi degli storici, dei grandi accademici se non fanno questi conti della serva e del buon padre di famiglia non valgono proprio niente e dimostrano di essere soltanto dei fanfaroni, dei conta balle al soldo della casta parassita, predona e assassina.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » lun ago 14, 2017 6:30 am

???

I successi del sud sono una lezione per i neo separatisti italiani
di Giuseppe Bedeschi

http://www.ilfoglio.it/economia/2017/08 ... ani-148359

Nel suo recentissimo volumetto (di poco più di 160 pagine, edito da Donzelli) – La questione meridionale in breve – Guido Pescosolido (che a questo problema ha dedicato molti anni di ricerche e di studi) ricorda che, a partire dal decennio settanta del Novecento, correnti storiografiche molto critiche verso lo Stato liberale hanno sostenuto che fu quello Stato a creare, a partire dal 1860-61, le condizioni di inferiorità economica e civile del Mezzogiorno rispetto al Nord, interrompendone uno sviluppo brillantemente avviato, e riducendo la popolazione del Sud alla miseria e all’emigrazione. Questa tesi è stata rilanciata successivamente dalle frange più accese di un neo-borbonismo abbarbicato al mito di primati del tutto immaginari del Mezzogiorno preunitario, che i piemontesi e lo Stato unitario avrebbero distrutto.

Contro queste favole i dati statistici di cui disponiamo attestano che nelle regioni Piemonte, Lombardia, Veneto e Liguria, intorno al 1857 erano installati circa 350.000 fusi di cotone, mentre nel Regno delle Due Sicilie erano circa 70.000; nel 1866 i telai di lana erano 4.450 nelle regioni del Nord, contro i 1.640 del Sud; nel 1861 gli occupati dell’industria metalmeccanica erano 7.231 nel Nord, contro 2.500 nel Sud; nel 1866 la produzione di cuoio era di 8.209 tonnellate nel Nord contro 4.083 nel Sud; la produzione di ferro era di circa 17.000-18.000 tonnellate al Nord contro circa 1.500 al Sud.

Naturalmente questi dati vanno letti nel quadro della generale arretratezza dell’Italia presa nel suo complesso, che non era un’area industriale. Basti pensare che nel 1861 l’Inghilterra produceva 85 milioni di tonnellate di carbone all’anno, la Germania 18,7, la Francia 9,4, mentre la produzione italiana era di 34.000 tonnellate. Per quanto riguarda l’industria manifatturiera, nel 1869, nel settore dei pettinati di lana, contro 10-12.000 fusi in Italia, ne erano impiantati 1,4 milioni in Inghilterra. Nella filatura del cotone i 453.000 fusi installati in Italia erano ben poca cosa di fronte ai 30 milioni di fusi dell’Inghilterra e ai 5,5 milioni della Francia.

Tutto questo va tenuto presente, per non adottare una prospettiva storica sbagliata: e cioè che l’Italia del Nord fosse il paese di Bengodi, pronto a divorare il Sud. In realtà, come Pescosolido mostra bene, l’unificazione italiana del 1861 ebbe luci e ombre, ma, appunto, anche luci. E’ vero che per il Mezzogiorno aumentò il carico fiscale rispetto alla tenue fiscalità borbonica. È vero che l’estensione al Mezzogiorno del regime doganale liberista significò l’abbattimento dall’oggi al domani dell’80 per cento della barriera protettiva rispetto alla concorrenza estera (entrò così in crisi buona parte del già modesto apparato industriale meridionale sia nel settore siderurgico, cantieristico e meccanico, sia in quello della lana e del cotone). È vero che con la vendita dei beni dell’asse ecclesiastico ci fu un drenaggio di capitali dal Mezzogiorno al Nord: ma questo fenomeno si rivelò un fattore di positiva trasformazione delle campagne del Mezzogiorno, perché gli acquirenti di quei terreni furono per lo più esponenti della borghesia agraria meridionale, che ne elevarono, con ulteriori investimenti, produttività e redditi, con ricadute positive per l’intera agricoltura del Sud. Sicché si può dire che nei primi decenni post-unitari la crescita della produzione agricola del Mezzogiorno fu pari, o di poco inferiore, a quella del Nord, grazie alle colture specializzate; e che in termini di reddito pro capite il divario Nord-Sud rimase sostanzialmente invariato nel primo ventennio unitario. Inoltre, il Sud progredì in misura apprezzabile anche in alcuni aspetti fondamentali della vita civile: nella lotta all’analfabetismo, e soprattutto nella dotazione di infrastrutture ferroviarie, nella quale il recupero rispetto al Nord fu cospicuo. Nel 1866 la rete ferroviaria meridionale raggiunse i 4.000 km contro i 184 del dicembre 1861, e anche se quella settentrionale era passata nel frattempo da 2.336 a 8.080 km, ora il rapporto era di 2 a 1, mentre nel 1861 era di 13 a 1.

Una vera e propria svolta ebbe luogo nel 1887, con l’adozione da parte dell’Italia della tariffa protezionistica, che introdusse un forte dazio sulle importazioni di grano e sui principali prodotti industriali: la componente più dinamica della imprenditoria agricola e l’intera società meridionale pagarono un pesante tributo. Il crollo delle esportazioni causato dalla guerra commerciale scatenata dalla Francia colpì l’olio di oliva (che scese dai 641.000 quintali esportati nel 1887 ai 378.000 del 1890), gli agrumi (che dai 2,3 milioni di quintali del 1887, crollarono a 1,4 milioni di quintali del 1891), il vino (le esportazioni si dimezzarono nel giro di un anno da 3,6 milioni di ettolitri nel 1887 a 1,8 milioni nel 1888, e poi si dimezzarono ancora fino a 936.000 ettolitri nel 1890). Una catastrofe, dunque, per il Mezzogiorno. Inoltre, esso fu costretto ad acquistare i prodotti industriali del Nord a prezzi più alti rispetto a quelli dei prodotti stranieri sottoposti al dazio. Per la prima volta dall’Unità il pil meridionale ebbe un periodo di flessione e solo nel 1896 toccò nuovamente il livello del 1887.

Su tutto ciò è stata scritta, come è noto, una vasta letteratura. I maggiori meridionalisti (Giustino Fortunato, Antonio De Viti De Marco, Gaetano Salvemini) criticarono acerbamente la svolta protezionistica. Dissentirono però dalle posizioni antiprotezionistiche Napoleone Colajanni e poi Francesco Saverio Nitti (a partire dai primi anni del Novecento). Pur convenendo che il protezionismo svantaggiasse il Mezzogiorno e favorisse il Nord, essi lo ritenevano tuttavia una scelta assolutamente obbligata per garantire l’avvento di un processo di industrializzazione al Nord, nel superiore interesse della collettività nazionale e (in prospettiva) dello stesso Mezzogiorno. Magra consolazione questa, certo, per gli oltre quattro milioni di italiani) che dovettero emigrare nelle Americhe: l’esodo migratorio in assoluto più imponente dell’intera storia d’Italia e uno dei maggiori della storia d’Europa.

Negli anni successivi i governi italiani realizzarono grandi interventi nel Sud: nel 1904 la legge speciale per l’incremento industriale di Napoli, che portò alla creazione dello stabilimento siderurgico di Bagnoli; la legge speciale per la Basilicata (1902), per le province meridionali (1906), per la sistemazione idraulico-forestale dei bacini montani (1911). Furono costruiti altresì l’acquedotto pugliese e la direttissima Roma-Napoli. Tutti questi sforzi per favorire l’industrializzazione e creare infrastrutture e servizi, non modificarono però la differenziazione tra un Sud eminentemente agricolo-commerciale e un Nord industriale: tale differenziazione divenne un dato sistemico.

E’ superfluo dire che la prima guerra mondiale danneggiò enormemente il Mezzogiorno; che il fascismo non “risolse” affatto la questione meridionale, come pure proclamò, bensì la aggravò con la sua politica demografica, che aumentò lo squilibrio popolazione-risorse.

In realtà, un intervento massiccio, di straordinaria ampiezza, nel Mezzogiorno fu compiuto nel secondo dopoguerra dai governi democratici-cristiani coi loro alleati laici (a partire dai governi De Gasperi): attraverso la riforma agraria (che ebbe molti limiti, ma che liquidò il vecchio ceto latifondistico, che aveva sempre avuto un ruolo fondamentale); attraverso la Cassa per il Mezzogiorno (che realizzò bonifiche, irrigazioni, infrastrutture e opere pubbliche in genere, istruzione di base e tecnico-professionale). La Cassa, dice Pescosolido “superò qualunque precedente nella lotta a quello che al momento dell’Unità si era rivelato il maggior fattore di inferiorità del Sud rispetto al Nord, ossia la scarsa dotazione di capitale fisso sociale e il basso livello di sviluppo civile, in particolare in materia di infrastrutture e alfabetizzazione”.

I risultati di questa politica verso il Mezzogiorno furono straordinari. La modernizzazione delle strutture civili avvenuta negli anni cinquanta e sessanta, oltre che favorire lo sviluppo dell’agricoltura e dei consumi, creò i prerequisiti essenziali per l’adozione, a partire dal 1957, di una linea strategica specificamente industrialista. Furono gli anni della motorizzazione di massa, alla quale anche il Mezzogiorno partecipò. E se il chilometraggio della rete stradale del Mezzogiorno era rimasto sostanzialmente invariato tra il 1910 e il 1951 (da 42.628 a 42.897 km), ora i km di strade costruite nel Sud furono quasi 5.000 (nel 1959 l’estensione della rete meridionale giunse a 47.528 km), il che significava un aumento senza precedenti, in così pochi anni, sia in assoluto che per unità di superficie. Non restava quindi che la carta di una spinta straordinaria anche all’industria, carta che fu giocata con la legge n. 634 del 1957, che introdusse una serie di incentivi (credito agevolato, contributi a fondo perduto, agevolazioni fiscali) e l’obbligo per le imprese a partecipazione statale di riservare al Mezzogiorno almeno il 60 per cento dei nuovi investimenti e non meno del 40 per cento degli investimenti complessivi. Nacquero così nel Mezzogiorno aree di sviluppo industriale e nuclei di industrializzazione che furono stimolati anche da successivi provvedimenti, che trovarono la loro applicazione negli anni di massima crescita industriale che l’Italia abbia mai conosciuto (il boom della fine degli anni cinquanta e dei primi anni sessanta). In Puglia con il centro siderurgico di Taranto e i complessi chimici e petrolchimici di Brindisi; in Sardegna con gli stabilimenti chimici, petrolchimici e cartari di Cagliari, Sassari e Porto Torres; in Sicilia con le raffinerie di Gela e Siracusa; in Campania con le aree di sviluppo di Caserta, Napoli e Salerno, e con i nuclei di industrializzazione di Avellino e Benevento, si ebbe una crescita consistente delle attività industriali, che modificò in misura significativa la fisionomia produttiva dell’intero Mezzogiorno.

Questa trasformazione fu gravemente danneggiata da avvenimenti successivi: l’interruzione del boom economico a causa di una dinamica salariale che, alla fine degli anni sessanta, superò notevolmente la produttività, mettendo in crisi le aziende (il salario fu definito una “variabile indipendente”, e su questa idiozia giuravano i nove decimi della sinistra italiana); la crisi petrolifera iniziata nel 1973; e, in anni a noi più vicini, il disastro della riforma del titolo V della Costituzione, che cacciò l’Italia nel tunnel di una legislazione concorrente fra Stato e regioni, che resta ancor oggi uno degli ostacoli più ingombranti sulla via della modernizzazione del Paese; e poi la terribile crisi economica iniziata nel 2008.

E tuttavia, quanto è stato seminato nel Mezzogiorno non è andato perduto. Se è vero che – come Pescosolido mette in rilievo nel suo libro, e come ha illustrato di recente su “Il foglio” del 3 agosto u.s. – dal 2015 il pil pro capite del Sud ha ripreso ad aumentare più di quello del Centro-Nord. Ha confermato tale superiorità nel 2016, e conferma una crescita anche nel 2017. Con due elementi di solidità che non vanno persi di vista. Il primo è che la ripresa del pil è stata accompagnata anche da un leggero aumento dell’occupazione. Il secondo è che, per la prima volta in misura consistente dagli anni novanta del secolo scorso, c’è stata una ripresa degli investimenti privati che ha compensato la contrazione degli investimenti pubblici.

È, questa, la smentita più efficace delle posizioni di coloro (ai quali sembrano aggregarsi i “pentastellati”) che ripetono che l’Unità italiana ha significato per il Sud solo e soltanto sventura. La verità è che l’unificazione della penisola nel 1861 ha sottratto il Meridione a un destino di depressione e di sottosviluppo, e lo ha fatto entrare stabilmente nella modernità.


Gino Quarelo

"La verità è che l’unificazione della penisola nel 1861 ha sottratto il Meridione a un destino di depressione e di sottosviluppo, e lo ha fatto entrare stabilmente nella modernità."

Questa affermazione è palesemente del tutto falsa; la modernità poteva arrivare tranquillamente anche senza i Savoia poiché la modernità non era una proprietà, un brevetto, un monopolio dei Savoia, la modernità è un prodotto complesso del tempo e appartiene all'umanità intera e nulla ci dice che nel Meridione italico questa modernità non sarebbe potuta arrivare anche senza la conquista dei Savoia.
Ma ciò vale non solo per il sud ma per tutta la penisola italica "conquistata e unificata statualmente" dai Savoia.
Questi storici al soldo. che quando parlano dello sviluppo agricolo dimenticano la grande espulsione-emigrazione dalle terre italiche, dimostrano tutta la loro ignoranza e la loro falsità, poiché il furto, la rapina, l'estorsione, la confisca, il sequestro, la riduzione in schiavitù e l'omicidio sono crimini e produrre ricchezza compiendo crimini non è né modernità, né civiltà, né buona e sana economia.
È come se io cacciassi, riducessi in miseria e in schiavitù o uccidessi i miei famigliari per appropriarmi dei beni di famiglia ed essere personalmente più ricco.
Chi è che può sensatamente affermare che se non ci fosse stata la conquista dei Savoia la penisola italica non sarebbe stata civilmente migliore ed economicamente più ricca?
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » mar ago 15, 2017 10:03 am

Un (ennesimo) mito neobarbonico smascherato (e da una coppia di studiosi meridionali, eh...): quello delle Due Sicilie (mai) premiate quale (presunta) "terza nazione più industrializzata d'Europa".

https://www.facebook.com/ClaudioCrisote ... hBXWoB9Bn0

INTERESSANTE:LA VERA STORIA DELLE ESPOSIZIONI DEL 1855 E DEL 1856
https://forum.termometropolitico.it/757 ... 856-a.html


La vera storia dellle esposizioni del 1855 e del 1856. Ovvero il mare magnum (pieno) del web!!!pubblicata da Roberto Della Rocca il giorno giovedì 19 agosto 2010 alle ore 7.19
Non pensavamo, io e l’amico Andrea Casiere in primis, di generare un dibattito così ampio come quello scatenato sulla richiesta di precisazioni e maggiori informazioni su un primato, quello dell’esposizione universale di Parigi del 1855, che ci pareva molto strano. Repetita juvant. Su numerosi siti, praticamente su tutti i siti dell’area borbonica (neoborbonici, eleaml, il brigantino, i comitati due sicilie, nelle discussioni di numerosi forum come politica in rete, ecc.) compare la notizia che vede il Regno delle Due Sicilie classificato al terzo posto come paese più industrializzato d’Europa, il primo d’Italia. A prima botta, perdonatemi il linguaggio poco aulico ma efficace, ci era sembrata una boiata pazzesca. Per quanto ci riguarda non inseguiamo, non lo abbiamo fatto e non lo faremo mai, le chimere. A noi piace la verità nuda e cruda, anche dura (e molte volte lo è). In fin dei conti dai nostri “amici” unitaristi abbiamo da sempre preteso rispetto per la nostra storia che, al di là di venti, trenta o novanta primati, è grande. Il riconoscimento della storia napoletana è una questione fondamentale. Ma chi ama la storia come noi, che ci rifacciamo ad una massima di Napoleone I (per scrivere la storia serve una persona che regga la penna con cui scrive gli eventi con imparzialità come pure senza alcun interesse), deve esigere onestà e rispetto anche e soprattutto da alcuni amici borbonici. Non è una questione personale visto che la diffusione capillare di questa vicenda specifica è enorme e non è nello stile di chi scrive lavare panni privati in pubblico. Una nota su fb è parsa lo strumento più utile per ottenere un rapido ristabilimento della verità e l’ampio dibattito generato ci ha dato ragione. Ma passiamo ai fatti che sono la cosa che veramente ci interessa di più.

Nella mattinata di ieri, mercoledì 18 agosto 2010, ci siamo recati all’Archivio di Stato di Napoli. Lo abbiamo fatto immediatamente dopo aver ricevuto le preziose precisazioni pervenuteci dal professore De Crescenzo che ci ha portato al punto esatto della questione e ci ha indicato (come si può vedere tra i commenti in calce al manifesto appello) il fondo del ministero dell’Agricoltura Industria e Commercio, fascio 246. Un fascio che è chiamato “mostra industriale” e che fa riferimento alle esposizioni di Londra del 1851, a quella organizzata a Napoli del 1853, a quella, anzi a quelle di Parigi del 1855 e del 1856, e a quella di Torino del 1857. Proprio così. Le esposizioni universali, o fiere mondiali (come sarebbe opportuno definirle), svoltesi nella capitale dell’impero francese sono state due. Una, quella dell’industria (con l’aggiunta delle Belle Arti) svoltasi dal primo maggio al 31 ottobre 1855. L’altra, concorso universale dell’agricoltura, che si è avuta l’anno successivo. Tenere presente che sono stati consultati anche l’Almanacco Reale delle due Sicilie e gli Annali Civili oltre che la Collezione dei Decreti Reali e nulla si è trovato.

Non dimentichiamo mai qual è il nocciolo della questione: ovvero il terzo posto come paese più industrializzato d’Europa. Ebbene, dopo la prima sensazione, è arrivata la conferma dai documenti del fascio 246. Il terzo posto è un artificio. Alla fiera mondiale del 1855 non si fece nessuna classifica. Tra i documenti trovati vi sono:

- una copia del Moniteur Universelle numero 13 del 15 gennaio 1854 con cui si celebra, in prima pagina, la fiera svoltasi a Napoli nel 1853 (poi si capirà perché importante questa copia) - Una lettera del 25 aprile 1855 indirizzata a Carafa dall’ambasciatore francese (cui seguono altre epistole tra legati francesi e governo napoletano e tra quest’ultimo e i legati napoletani in Francia)

- Foglio numero 5812 su carta intestata del ministero Affari Esteri dove si annuncia al governo napoletano la corretta interpretazione dell’articolo 8 del regolamento ufficiale elaborato dalla commissione francese. Errore che si definisce diffuso in numerosi governi europei.

- Foglio numero 7049 intestato al ministero affari esteri dove si parla di uno spazio di 150 metri quadrati richiesti dal governo napoletano alla commissione francese.

- Foglio numero 8111 ovvero una lettera dell’11 novembre 1854 scritta dal Carafa al direttore della mostra parigina con la richiesta di creare un comitato nazionale rappresentativo della nazione duo siciliana come voluto anche dal Re Ferdinando II che lo espresse nella seduta del consiglio di Stato del 19 ottobre 1854. Importante il suggerimento di Carafa per insediare la stessa commissione duo siciliana avuta durante la mostra del 1853 ed elogiata dal Moniteur (adesso si capisce il perché della presenza della copia e la sua importanza)

- Foglio numero 1579 intestato ministero affari esteri dove si dibatte ancora sull’articolo 8 del regolamento.

- Nota del 14 dicembre 1854 del Real Istituto d’Incoraggiamento alle scienze naturali dove si delinea la composizione della commissione permanente per la esposizione con il compito di assistere gli eventuali partecipanti (ne fecero parte il cavaliere Felice Santangelo, il marchese don Gianmaria Puoti, il professor Giovanni Guarini, il professor Francesco Briganti, don Carlo Santangelo, il professor Domenico Presutti, Cavaliere Francesco Del Giudice e don Nicola Laurenzano)

- Foglio numero 958 lettera del 23 febbraio 1856 dove si cita l’opuscolo dello Stato Pontificio.

La ciliegina sulla torta si raggiunge con la lettera del 16 ottobre 1856 con l’elenco dei premiati alla fiera del 1855 che, per dovere di ricerca storica, riportiamo integralmente:

“Signor Direttore,

il regio diplomatico in Parigi mi ha fatto tenere due diplomi fra’regi sudditi che alla esposizione di quella metropoli hanno riportato dette ricompense. I due sopraddetti diplomi sono diretti l’uno al signor Bartolomeo pel pregio delle corde che ha esposte, e l’altro al signor Rieccio (nome di difficile comprensione dal documento ufficiale dunque potrebbe essere altro, nda) per la stamperia galvanoplastica applicata, che ha avuto gran successo. E io mi reco a premura trasmettergli a lei, signor Direttore, perché si compiaccia di farli tenere agli interessati. L’incaricato del portaglio del ministero degli Affari Esteri. Carafa”.

Infine, il primo aprile 1857 (foglio numero 1798) si registra la lettera nella quale il Carafa comunica al cavaliere Felice Santangeli, presidente della commissione permanente e dell’Istituto di incoraggiamento alle scienze naturali, l’arrivo di tre copie del rapporto del jurì internazionale con cui si motiva il premio.

Per chiudere questa spiacevole diatriba è necessario fare un bilancio e una analisi dei dati che sia seria. All’esposizione universale di Parigi del 1855 il Regno delle due Sicilie partecipa con stand espositivi nel settore delle Belle Arti. Dal rapporto ufficiale redatto in copia francese e anche in quella americana, non figurano nel settore dell’Industria. Due diplomi furono consegnati a due napoletani. Uno per corde armoniche e l’altro per una stamperia.

Ora questi due diplomi non sono un record né tantomeno un terzo posto. Ma, in fin dei conti non lo diciamo noi che la storia del terzo posto è falsa. Lo dice lo stesso professor De Crescenzo quando, nella sua perfetta e tempestiva precisazione, ci ha scritto: “Nella notizia riportata da varie fonti sul “terzo posto” a livello industriale europeo, è ovvio che si fa riferimento, semplificando e sintetizzando in maniera efficace, a studi successivi alla data della mostra e comparativi della produzione industriale oltre che per quantità, anche e soprattutto per qualità e varietà dei prodotti realizzati. Lo stesso dato, tra l’altro, è confermato dalla quantità dei prodotti esportati e verificabile sempre presso l’Archivio di Stato di Napoli (Fondo Ministero Finanze)”.

Insomma semplificando uno studio posteriore (a quanto risalente non è dato sapere così come non si conoscono gli autori e i criteri con cui lo studio è condotto) si può sostenere che, più per qualità che per quantità, le due Sicilie erano il terzo paese industrializzato d’Europa. Ci fa piacere che si semplifichi per aumentare la percepibilità del problema ma gli unitaristi a furia di semplificare sono arrivati a dire che i briganti erano sbandati mariuoli. Non ci pare che sia proprio così…

Secondo momento di questo nostro lungo e ci auguriamo proficuo dibattito riguarda la fiera dell’agricoltura del 1856. Si fanno storie per una medaglia ricevuta dalla città di Napoli per la produzione di pasta che resta un bel riconoscimento. Una sfogliata anche superficiale ai documenti del famoso e già citato fascio 246, traccia un quadro molto roseo che non è riportato da nessuna parte. Le paste del duca di Sant’Arpino (perché erano sue e non del Cito) sono importanti ma procediamo con ordine. Il segretario di legazione napoletana a Parigi, Luigi Cito dei Marchesi Cito, inviò la seguente lettera al Carafa:

“Eccellenza,

ho l’onore di trasmetterle il rapporto che il regio commissario alla esposizione agricola, duca di Sant’Arpino, in adempimento dell’onorevole incarico confidatogli, indirizza al Direttore del Reale Ministero dell’Interno Signor Commendatore Bianchini. Sua Eccellenza osserverà con soddisfazione che i pochi esponenti sudditi del Re N. S. hanno tutti, senza raccomandazioni né pratiche ottenuto un premio come anno a indicarle qui appresso. A don Ignazio Florio una medaglia d’oro per il vino di Marsala; Al barone Onca una d’oro, altra di bronzo per il vino, formaggi e cereali; ai signori Pavia e Rose due medaglie di bronzo per la seta e l’essenza di limone ed una simile al signor Brandaleone pel Sarmacco (o Sommacco ma non si capiva bene la grafia sul documento). Avendo rimarcate che nulla --- alla detta esposizione de regi domini al di qua del faro e trovandosi una cassetta con collezione delle paste napoletane per uso mio, pensai dovesse figurare in mezzo alle paste d’Italia e di Francia. Lungi dall’augurarmi queste eccellenti produzioni sono state con plauso ammirate ed alle altre preferite, di modo che si è dato la medaglia di bronzo à la ville de Naples pour une collection de pates. Chiamo la benigna attenzione di V. E. e del Real Governo sul zelo ed intelligenza che ha mostrato il regio commissario del quale debbo elogiare l’indicato rapporto. In generale poi sono state date agli esponenti di prodotti agricoli e d’instrumenti d’agricoltura dodici grandi medaglie di oro, settantotto pure di oro ma di ordinaria dimensione, 105 d’argento, 215 di bronzo, 95 menzioni onorevoli. Le aggiungo che S. E. il Ministro dell’Agricoltura mi ha trasmesso delle --- della ministeriale con che si organizza il concorso agricolo ministeriale che avrà luogo l’anno prossimo 1857 in questa capitale, pregandomi darle la più grande pubblicità possibile. Di queste copie ne avevo a oggi 4 riservandomi spedire tutte le altre nella cassa di libri che dirigerò alla Eccellenza Vostra. Le rimetto pure accluso un opuscolo sull’agricoltura itqaliana che il barone de Havelt, già commissario pontificio all’esposizione universale mi ha pregato di inviarle. Suo con alta considerazione di Vostra Eccellenza. Pel ministro impedito l’umile, Luigi dei Marchesi Cito”.

Tutto questo è quanto figura nell’Archivio di Stato di Napoli al fascio 246 del fondo Ministero Agricoltura Industria Commercio. Alcune riflessioni finali sono doverose:

1) Il Regno delle Due Sicilie non era il terzo paese industrializzato d’Europa. Dispiace prima a noi dirlo. L’archivio di stato di Napoli non dice nulla e insistere su questa strada è deleterio per due motivi. Innanzitutto si mette in difficoltà tutti i meridionalisti. In caso di dibattito pubblico la prima persona minimamente preparato sull’argomento rischia di umiliarci confutando il dato artificiosamente riportato. Seconda cosa, non si fa altro che gettare discredito sul nostro ambiente meridionalista. Notizie infondate di questo tipo, quando sono smentite da documenti di archivio di stato di Napoli, vanno soltanto cancellate. Solo in questo caso si riesce a far emergere la verità storica desunta dalle fonti.

2) Se alla esposizione industriale il Regno delle due Sicilie prende due diplomi (nell’industria) e due medaglie (nella pittura) mentre alla fiera agricola incassa 12 grandi medaglie d’oro, 78 d’oro piccole, 105 d’argento, 215 di bronzo e 95 menzioni onorevoli, signori cari, ci vuole molto coraggio a sostenere che era il terzo paese industrializzato d’Europa. Noi questo coraggio, capace di ignorare i fatti concreti, non ce l’abbiamo e ne andiamo fieri perché grazie alla verità storica non abbiamo rivali.

3) Il regno delle Due Sicilie era un regno ancora sostanzialmente agricolo. 4 premi contro 505 premi vorranno dire qualcosa? Altra cosa è dire che le Due Sicilie si stavano industrializzando e avevano avviato il percorso di formazione di una realtà industriale che si sarebbe potuta consolidare. Altra cosa è raccontare le nostre eccellenze come Pietrarsa, la fabbrica Egg, Mongiana, Ferdinandea, le industrie del Liri, quelle della seta di San Leucio. Atteniamoci scrupolosamente ai fatti.

4) A questo punto l’unica cosa che si può obiettare è che oltre al rapporto ufficiale hanno mentito anche i documenti dell’archivio di stato di Napoli. Per questo motivo invitiamo coloro che hanno riportato questo primato, anche in buona fede, a provvedere alle dovute correzioni.

Roberto Della Rocca
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » mar ago 15, 2017 10:04 am

???

Lo spirito anti nazionale grillino è tutto in una pazza idea neo-borbonica
di Guido Pescosolido
2017/08/13

http://www.ilfoglio.it/politica/2017/08 ... ica-148117

Bene ha fatto Antonio Gurrado a richiamare sul Foglio l’attenzione su quanto è accaduto nel consiglio regionale pugliese, dove, “sotto l’occhio benevolo di Michele Emiliano”, è stata approvata una mozione presentata dal Movimento 5 stelle a favore dell’istituzione di un giorno del Ricordo dei martiri dimenticati del Risorgimento. Un’approvazione quella pugliese, che si inserisce in una strategia politica grillina a largo raggio che si sta sviluppando dalla scorsa primavera, con la presentazione di mozioni analoghe alla pugliese in tutte le altre regioni del Sud e con l’intervento in Senato del senatore Sergio Puglia.

Intendiamoci: la polemica anti risorgimentale della storiografia neoborbonica (che non va confusa con la storiografia meridionalistica classica), la sua accusa di rimozione dalla memoria collettiva e dall’insegnamento scolastico di tutti i mirabolanti primati del Regno delle Due Sicilie, del vero e proprio genocidio compiuto “dai piemontesi” nella repressione del brigantaggio, del saccheggio delle “immense” ricchezze del Regno delle Due Sicilie, non sono né di questa estate né di quella passata. Le sue prime manifestazioni si ebbero sin dagli anni Ottanta del secolo scorso, molto provocate e alimentate dall’irruente e rozza ondata anti meridionale leghista, e culminarono nel 2010 nella pubblicazione del Terroni di Pino Aprile, accolto con un’apoteosi inversamente proporzionale alla solidità documentaria del suo impianto interpretativo basato su affermazioni del tipo: “il regno delle Due Sicilie era, fino al momento dell’aggressione, uno dei paesi più industrializzati del mondo (terzo dopo Inghilterra e Francia…” (pag. 9); “Il Piemonte era pieno di debiti; il Regno delle Due Sicilie pieno di soldi… L’impoverimento del Meridione per arricchire il Nord non fu la conseguenza, ma la ragione dell’Unità d’Italia” (pag. 94); la repressione del brigantaggio provocò, su una popolazione di 9 milioni di abitanti, da almeno ventimila a un milione di morti – che è la stima accettata dall’autore – (pag. 69).

Ovviamente nessun accenno ai caratteri di un regime politico come quello borbonico, assolutista, privo di Parlamento e di tutti i fondamentali diritti di una moderna democrazia, e che nel 1860 lasciava il Sud con l’imbarazzante primato dell’analfabetismo su scala peninsulare e quello dell’assenza completa di ferrovie dall’intero territorio meridionale, tranne il centinaio di chilometri della Campania cui si contrapponevano i circa 850 del Piemonte. Enti, fondazioni, istituzioni culturali varie, amministrazioni pubbliche di ogni livello (regionali, provinciali, comunali) e di ogni colore politico hanno promosso per anni nel Mezzogiorno una miriade di convegni, tavole rotonde, incontri, conferenze a sostegno delle tesi di Aprile. Ora però la proposta grillina segna un salto di qualità molto importante rispetto al passato perché per la prima volta il dibattito entra nelle aule parlamentari e dei consigli regionali meridionali con una finalità ben precisa e concreta: fare del 13 febbraio il giorno della memoria delle vittime “dimenticate” del Risorgimento, cosa che assume nei fatti un carattere antinazionale che è inconcepibile venga coltivato nell’ambito di istituzioni pubbliche come le regioni e il Senato. Quella data non è infatti equivalente a quella del Giorno della Memoria dell’olocausto, o al giorno del ricordo delle vittime delle foibe. Non è la ricorrenza di un qualche evento legato alla repressione del brigantaggio. E’ notoriamente e semplicemente il giorno della resa di Gaeta e del definitivo crollo del Regno delle Due Sicilie, senza di che il Regno d’Italia non sarebbe mai nato.

A ciò si aggiunge il carattere strumentale a fini elettoralistici di tutta l’operazione. Sinora tutti i dibattiti neoborbonici erano rimasti grosso modo sempre abbastanza trasversali nei loro riferimenti politici e partitici. Ora invece con la sua iniziativa il Movimento 5 stelle si propone al movimento neoborbonico come l’unica forza politica che, per di più da posizioni minoritarie, è in grado di ottenere qualcosa di concreto sul piano istituzionale e per di più di altamente significativo sul piano della simbologia storica. E’ una strategia che si lega strettamente a quella iniziata dal M5S all’indomani del referendum istituzionale attribuendosi in esclusiva la grande vittoria del No nel Mezzogiorno, e si realizza, sotto gli occhi non si sa se disattenti o compiacenti degli Emiliano di turno, i quali rincorrendo le rozze strumentalizzazioni storiche del M5S dimostrano di non avere ancora ben compreso che le regioni che essi governano fanno parte dello Stato italiano nato nel 1861 dalle ceneri degli Stati e dei regimi preunitari, e soprattutto che le battaglie politiche si decidono non con le rincorse demagogiche, ma con la difesa netta e senza infingimenti delle idee, della cultura e dei valori fondanti della propria storia nazionale.


Alberto Pento
E questo è il risultato delle idee, della cultura e dei valori fondanti della storia dello stato italiano che nazione non è che mai potrà naturalmente e amorevolmente essere.

I primati dello stato italiano e dell'Italia in Europa e nel mondo
viewtopic.php?f=22&t=2587
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » dom set 24, 2017 3:19 pm

Cieco totale ma andava sempre in palestra a tirare di boxe
di Gianluca Amadori
Domenica 24 Settembre 2017

http://www.ilgazzettino.it/nordest/vene ... 58893.html

FAVARO VENETO - È accusato di aver truffato l'Inps per più di 40 anni, ottenendo l'erogazione di una pensione di invalidità simulando una condizione di cecità assoluta che, secondo la Procura, non corrisponde a verità.

Un sessantasettenne originario di Campobasso, residente a Favaro Veneto, è stato citato a giudizio di fronte alla sezione penale monocratica di Venezia: nel capo d'imputazione gli viene contestato di aver procurato un danno complessivo di 209 mila euro, di cui l'Istituto di previdenza è intenzionato a chiedergli la restituzione. A rappresentare l'Inps al processo è l'avvocato Aldo Tagliente. Sono stati i carabinieri a denunciare Rovelli, dopo averlo seguito per parecchi giorni e aver scoperto che, nonostante percepisca una pensione di invalidità in qualità di cieco assoluto, l'uomo si recava in palestra a tirare di boxe, occupandosi giornalmente di numerosi adempimenti che, secondo gli inquirenti, non sono compatibili con lo stato di cecità
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » sab ott 21, 2017 6:57 am

"Così sprecava i soldi dei disabili" Condanna da 578 mila euro
Riccardo Lo Verso
2017/10/16

http://livesicilia.it/2017/10/16/disabi ... nti_897918

PALERMO - L'associazione sarebbe diventata il bancomat personale del presidente. Giorgio Di Rosa avrebbe speso 578 mila euro per “fini personali” invece di assistere disabili e portatori di handicap. La Corte dei Conti ha condannato Di Rosa, presidente dell'Aias (associazione italiana assistenza agli spastici) di Palermo a restituire il denaro utilizzato per comprare una macchina, pagare gli alberghi e il carburante per le trasferte, affidare consulenze ai parenti e pagare una parcella legale per una causa che nulla aveva a che fare con l'ente. L'Aias ha lavorato in convenzione con l'azienda sanitaria provinciale.

Di Rosa assieme al figlio Antonio è stato rinviato a giudizio per malversazione ai danni dello Stato e truffa aggravata su richiesta del pubblico ministero Roberto Tartaglia. Il materiale raccolto dai finanzieri del Gruppo Palermo e dal pm contabile Adriana La Porta è stato girato alla Procura della Repubblica. Da qui il processo che oggi arriva alla sentenza di primo grado e quello penale ancora in corso.

La fetta più consistente del denaro, 333 mila euro, Di Rosa padre li avrebbe intascati a titolo di rimborsi chilometrici per i viaggi quotidiani dalla sua casa di Modica alla sede dell'Aias, nonostante la legge - così sostengono alla Procura regionale della Corte dei Conti - consentisse il rimborso solo per gli spostamenti dalla presidenza dell'associazione ai centri dipendenti dalla sezione o per curare le pubbliche relazioni presso gli uffici amministrativi e istituzionali della città.

Anche i trasporti del figlio Antonio sarebbero stati rimborsati. Centocinquanta mila euro in tutto, compresi i trasferimenti da e per la sua abitazione privata - eseguiti anche di sabato e domenica, dunque in giorni non lavorativi - o quelli per aggiungere la sede dell'Aias di Palermo partendo da Catania, città dove svolgeva attività per conto proprio.

All'Aias Antonio Di Rosa avrebbe lavorato come consulente chiamato dal padre con uno stipendio di mille euro al mese per cinque anni. Un incarico assegnato, secondo l'accusa, “senza che ricorressero né reali esigenze da parte dell'associazione per ricorrere all'attività esterna, né specifiche conoscenze tecniche nel settore da parte del nominato”.

Altri 30 mila euro Di Rosa li avrebbe utilizzati, pagando in assegni intestati all'Aias o in contanti, per pernottare con moglie, figlio e nipoti all'hotel San Paolo di Palermo. Si faceva speso accompagnare dai parenti. Altre volte avrebbe anticipato i soldi e poi se li sarebbe fatti restituire. E poi ci sono i soldi utilizzati per pagare i propri difensori impegnati ad assisterlo in un procedimento a suo carico. Ed ancora Di Rosa avrebbe truffato il consiglio direttivo dell'Aias sostenendo che fosse necessario sostituire la macchina aziendale . una Nissan Xtrail - in quanto ormai vecchia, nonostante avesse solo un anno di vita. La macchina sarebbe stata data in permuta a una concessionaria per 14 mila euro e Di Rosa l'avrebbe poi ricomprata intestandola al figlio. Non è tutto, perché a quel punto l'Aias sarebbe stata costretta a comprare una macchina nuova, spendendo 43 mila euro.

Di Rosa ha cercato di difendersi sollevando un difetto di giurisdizione e invocando la prescrizione. Poi, ha anche sostenuto che si trattasse di rimborsi dovuti che non hanno fatto venire meno il servizio di assistenza regolarmente garantito. Di parere opposto il collegio presieduto da Luciana Savagnone. "Le indagini hanno rivelato, pertanto, un totale azzeramento della struttura associativa Aias - si legge nella motivazione della sentenza di primo grado e dunque non definitiva - con ciò smascherando quella che è stata negli anni la condotta tenuta dal Di Rosa finalizzata unicamente alla realizzazione di vantaggi personali, per sé e per amici e parenti, attraverso la distrazione e/o appropriazione di pubbliche risorse".


Palermo: soldi dei disabili per viaggi e cene, condanna per l'ex presidente Aias
La Procura regionale della Corte dei Conti ha chiesto e ottenuto la condanna di Giorgio Di Rosa, ex presidente dell’Aias, a risarcire all’Asp di Palermo 578.804 euro
di CLAUDIO REALE
16 ottobre 2017

http://palermo.repubblica.it/cronaca/20 ... -178464467

Avrebbe usato i soldi dell’assistenza ai disabili per viaggi e ristoranti. Per questo motivo, partendo da un articolo di Repubblica di due anni fa, la Procura regionale della Corte dei Conti ha chiesto e ottenuto la condanna di Giorgio Di Rosa, ex presidente dell’Aias, a risarcire all’Asp di Palermo 578.804 euro che sarebbero stati sottratti appunto all’assistenza ai portatori di handicap.

Di fronte al collegio presieduto da Luciana Savagnone ha retto in tutto e per tutto l'impianto accusatorio proposto dal pubblico ministero Adriana La Porta dopo le indagini del “Gruppo Palermo” della guardia di finanza: secondo l’accusa, confermata dalla condanna, Di Rosa fra il 2008 e il 2013 Di Rosa avrebbe percepito oltre 333mila euro di rimborsi chilometrici, ma si sarebbe fatto pagare anche «soggiorni per lui, il figlio, la moglie e i cognati» da oltre 30mila euro in un hotel di Palermo. All’elenco delle contestazioni si aggiungono anche alcune spese legali per procedimenti non riconducibili all’associazione e un incarico al figlio, Antonio Di Rosa, costato 152.371 euro inclusi i rimborsi spese.

La storia di Di Rosa inizia nel 2015. All’inizio dell’anno gli ispettori inviati all’Aias di Palermo dalla sede nazionale trovano la porta sbarrata: chiamando il 113, spiegano ai poliziotti che al presidente dell’associazione dev’essere notificato un provvedimento urgente di commissariamento, e così emerge che la guardia di finanza sta già indagando per malversazione ai danni dello Stato e truffa. I contenuti dell’indagine emergono pochi mesi dopo: l’inchiesta delle fiamme gialle, partite da una segnalazione anonima, portano alla luce l’uso – ritenuto improprio – di quasi seicentomila euro arrivati nelle casse dell’associazione da quelle pubbliche.Adesso quei fatti sono cristallizzati nero su bianco nella sentenza contabile.

Ad esempio sugli alberghi: «È stato dimostrato – annota il collegio, composto oltre che da Savagnone da Giuseppa Cernigliaro e Maria Rita Micci – e la difesa nulla ha contestato in merito, che ogni qual volta Di Rosa si fermasse a dormire a Palermo, senza tornare alla propria residenza di Modica
(per il cui viaggio percepiva il rimborso chilometrico), portasse con sé la moglie ed in figlio (Andrea e non Antonio, quest’ultimo consulente Aias) che consumavano pasti e dormivano a spese dell’associazione». Spese che «non possono non ritenersi illegittime, stante l’assoluta arbitrarietà delle stesse». Adesso quel conto è stato recapitato all’ex presidente dell’associazione. Ed è un conto che sfiora i 600mila euro.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » dom ott 22, 2017 7:58 am

"Duemila euro al mese per chi si trasferisce da noi", l'iniziativa di un sindaco per ripopolare il paese

https://www.ilgazzettino.it/italia/cron ... 16198.html

Duemila euro a chiunque voglia trasferirsi nel paese. Questa è l'offerta del primo citadino di Candela, un paese in provincia di Foggia. Nicola Gatta ha annunciato infatti che è disposto a dare un bonus economico per frenare il declino demografico che sta colpendo la sua cittadina.

«Voglio riportare la popolazione alle 8 mila unità degli anni Novanta, quando Candela veniva chiamata la 'Piccola Napoli' per le sue strade piene di turisti e venditori urlanti», ha dichiarato all CNN, spiegando come siano rimasti a popolarla appena 2700 abitanti, quasi tutte persone anziane. I giovani hanno lasciato la citttadina per motivi di lavoro e Candela, in questo senso, rappresenta la situazione di tutta la nazione.

Per avere il bonus è necessario rispondere ad alcuni requisiti: bisognerà prendere la residenza, avere una casa in affitto e un lavoro che frutti almeno 7500 euro annui: «Non vogliamo che la gente venga pensando di vivere alle spalle del comune. I nuovi residenti dovranno lavorare e avere un'entrata economica», ha specificato il primo cittadino.

L'iniziativa sembra essere andata a buon fine: 6 famiglie dal Nord Italia si sono trasferite a Candela e hanno ottenuto il bonus.


Alberto Pento
Ma chi paga questi 2mila al mese? L'INPS come ai falsi pensionati, l'INAIL come ai falsi invalidi, la Sacra Corona Unita ai falsi in generale, la feroce fiscalità generale dello stato italiano, ... ? La notizia mi pare del tutto demenziale.



Truffa all'Inps da oltre 11 milioni: denunciati 1.500 falsi braccianti
di Mario Meliadò
Venerdì 20 Ottobre 2017

https://www.ilgazzettino.it/italia/cron ... 16086.html

Già varie inchieste del passato nella Piana di Gioia Tauro ci hanno consegnato cronache su masse di calabresi intenzionate a raggirare l’Istituto nazionale di previdenza sociale quanto a sussidi e pensioni. Ma adesso, grazie ai carabinieri della Compagnia di Locri – coordinati dalla locale Procura –, emerge una megatruffa organizzata ad arte proprio ai danni dell’Inps sul versante jonico: 1.464 persone sono state denunciate a piede libero per truffa aggravata e continuata, peculato e falso ideologico in atto pubblico. Avrebbero ottenuto indebitamente prestazioni per un valore che supera gli 11 milioni 122mila euro.

Sotto la “lente” dei carabinieri è finita l’attività di 31 aziende agricole da sei anni a questa parte. Ineffabile la conclusione: quasi 1.500 rapporti di lavoro erano del tutto fasulli, messi in piedi solamente per drenare illecitamente fiumi di denaro in termini di fondi comunitari e soprattutto, in questo specifico caso, di prestazioni assistenziali e previdenziali non dovute.

Centinaia e centinaia di agricoltori “fantasma” avevano un duro lavoro da svolgere, ma solo sulla carta: quelli indicati come vigneti e uliveti ai fini delle provvidenze da spolpare in realtà erano terreni brulli e abbandonati; molti “teorici” braccianti in realtà davanti alle domande dei militari hanno dimostrato di non conoscere neppure il posizionamento di terreni sui quali stando agli incartamenti, evidentemente falsificati, avrebbero lavorato per lunghi anni; operai si sarebbero destreggiati tra pampini e grappoli spalla a spalla con decine di colleghi dei quali però, chissà perché, neanche ricordano il nome di battesimo.

Il tutto, ben condito da un’incresciosa, sistematica carenza di documentazione sulle effettive attività svolte dalle imprese oggetto del monitoraggio dell’Arma, costato due anni di verifiche sul campo, riscontri incrociati tra le "carte" e le dichiarazioni dei diretti interessati, vaglio certosino degli incartamenti.

Tra le persone indagate dalla Procura della Repubblica di Locri ci sono peraltro anche diversi “pesci piccoli” della ‘ndrangheta: le fasi successive dell’inchiesta tenteranno di mettere in chiaro quale portata abbiano avuto i condizionamenti della criminalità organizzata locale rispetto all’intera vicenda.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » dom ott 22, 2017 11:22 am

Così De Magistris ha portato Napoli a 60 giorni dal crack
22/10/2017

https://it.businessinsider.com/cosi-de- ... -dal-crack

Sessanta giorni per evitare il fallimento di Napoli, un comune totalmente incapace di riscuotere multe e crediti. La Corte dei Conti campana ha fatto partire il conto alla rovescia che porta alla dichiarazione di dissesto dell’ente partenopeo perché del risanamento promesso dal sindaco Luigi De Magistris non si vede neppure l’ombra. Il primo cittadino campano, però, fa orecchie da mercante e commentando il lavoro della magistratura contabile si limita a dire: “Non ho responsabilità politiche”. Dimenticando, forse, che il dissesto finanziario non ha colori o bandiere politiche, ma solo effetti drammatici sui cittadini. I numeri fallimentari della giunta arancione sono chiari come la luce del sole, ma De Magistris non si scompone: “La relazione non è una bocciatura, certifica una fotografia di preoccupazione che è la stessa preoccupazione nostra”.

Il sindaco, però, omette una serie di particolari importanti: a cominciare dal fatto che il Comune sopravviva solo grazie all’aiuto dello Stato. Dopo la dichiarazione di pre-dissesto del 2012, all’ombra del Vesuvio sono arrivati 235 milioni di euro di crediti a cui sono stati aggiunti altri 1.163 milioni di euro con i pagamenti della Pubblica amministrazione: poco meno di 1,4 miliardi di euro che hanno permesso a De Magistris di andare avanti nonostante previsioni di entrate completamente sballate.

Proprio per questo la Corte dei Conti chiede di “evitare che le entrate di dubbia esigibilità previste ed accertate nel corso dell’esercizio possano finanziare delle spese esigibili nel corso del medesimo esercizio”. In sostanza la magistratura contabile vuole che il comune smetta di mettere a bilancio dei crediti fittizi o comunque di difficile esigibilità a copertura di spese indifferibili. La Giunta, però, prosegue per la sua strada sforando puntualmente il patto di Stabilità interno.

Di fatto di conti del comune sono falsati da stime errate: “Le previsioni di entrata (e quindi di spesa) dovrebbero essere riviste alla luce di quelli che sono i ritmi delle riscossioni effettive, perché altrimenti su capitoli come le multe continueranno a verificarsi accumuli di residui attivi che in buona misura il Comune non riuscirà a riscuotere” spiega Riccardo Realfonzo, l’economista che per due volte è stato assessore al Bilancio del comune di Napoli. L’ultima esperienza, con De Magistris, è durata pochi mesi: “Fino alla delibera per la verifica dei residui con i quali – ricorda Realfonzo – nel 2012 fu scoperto che i crediti del comune erano carta straccia e che il buco di bilancio ammontava a 850 milioni di euro”. E fu proprio quella delibera che imponeva una ricognizione straordinaria dei residui a causare la rottura tra l’economista e il sindaco – che l’allora assessore aveva messo in guardia dal rischio dissesto – con la conseguente uscita dalla giunta nel 2012.

Da allora la situazione è precipitata: nonostante le promesse con cui ha vinto la battaglia elettorale, il sindaco non è riuscito – e forse non ha neppure voluto – affrontare la situazione di petto dichiarando guerra all’occupazione abusiva del suolo pubblico; affrontando il tema centrale della riscossione delle tasse; degli affitti e lavorando all’incremento delle entrate attraverso la vendita del patrimonio immobiliare. “Nel 2011 – prosegue l’ex assessore – la situazione era ancora recuperabile. C’era un piano di cessione di immobili da 80 milioni di euro l’anno che in 10 anni avrebbe rimesso in sesto la città: oggi le dismissioni immobiliari valgono pochi milioni di euro e sono fallite partecipate comunali come Bagnoli Futura per la quali i creditori chiedono 400 milioni di euro al comune”.

Tradotto: uscire dall’impasse è quasi impossibile. Anche perché alla fine dello scorso anno il disavanzo è esploso a 1,9 miliardi di euro compresi 2,3 miliardi di residui attivi che sono ancora peggiorati. Ed alla luce di questi numeri e della totale incertezza sull’effettiva capacità di recuperare i crediti a bilancio che la sezione campana della Corte dei conti giudica non veritiero il bilancio e non credibile il piano di rientro pluriennale.

D’altra parte come potrebbe essere credibile un Comune che riscuote meno del 50% della Tari e dei fitti attivi e meno del 20% delle multe? Peggio, da quando è salito in sella De Magistris, la capacità di riscossione del comune è persino peggiorata: la capacità di riscuotere multe da violazione del codice della strada è calata dal 4,45% del 2012 all’1,75%. Un dramma per una voce che vale 542 milioni di crediti. Così come pazzesca è la vicenda del patrimonio immobiliare: “Il comune – ricorda Realfonzo – si è fatto trovare impreparato, mentre scadeva il contratto con Romeo Immobiliare non ha organizzato la successione facendo poi un tardivo affidamento a Napoli Servizi che non aveva alcuna competenza nel settore. L’operazione è stata un flop clamoroso”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Il sud della penisola italica - i meridionali

Messaggioda Berto » dom nov 05, 2017 11:31 am

La Catalogna ha lo stesso destino del Nord: "Troppo ricca per essere libera"
30 Ottobre 2017

http://www.liberoquotidiano.it/news/pol ... 4.facebook

Quello che succede in Catalogna è deprimente. Dimostra che la Spagna non sa neanche cosa sia la democrazia, essendo rimasta con la mentalità ferma al franchismo, la dittatura fascista che non tollerava il voto popolare e pretendeva di dettare legge infischiandosene della gente.

Ogni altro discorso sulla vertenza in atto tra Barcellona e Madrid non ha senso. I catalani chiedono l' indipendenza e i madrileni la negano loro perché gli avversari sono ricchi e perderli significa rimetterci dei soldi.
Più o meno la stessa cosa succede in Italia. Lombardia e Veneto pretendono l' autonomia per amministrarsi meglio, e Roma non la concede per un semplice motivo: teme di non incassare più la bellezza di quasi 70 miliardi l' anno che le servono per finanziare le proprie porcherie. Il Nord è ricco e il Mezzogiorno è povero. Pertanto i quattrini dei settentrionali servono per compensare gli sprechi dei meridionali.

Tutto qui. Lo stesso succede in Spagna, dove la Catalogna si arrangia in proprio, mentre il resto del Paese tira a campare. Il potere centrale quindi non sopporta l' indipendenza non per ragioni patriottiche, che fanno parte della retorica, bensì per raccattare denaro. La battaglia tra la capitale e Barcellona rischia di finire in un bagno di sangue: i franchisti di risulta non hanno intenzione di mollare la presa, convinti di essere i padroni della Spagna, e i catalani non cederanno facilmente alle soperchierie centraliste dei fascisti.

Di conseguenza, assisteremo a lungo a una battaglia senza esclusione di colpi.
Noi italiani non comprendiamo l' essenza della crisi ispanica in quanto non conosciamo a fondo la storia iberica. I commenti dei media di casa nostra sono quasi tutti imbarazzati e non spiegano niente. L' opinione pubblica è stordita poiché è malamente informata. Non capisce nulla. Ma il fatto fondamentale dovrebbe essere chiaro: la Catalogna è condannata a subire l' arroganza di una monarchia rimasta identica ai tempi in cui dominava Franco.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

PrecedenteProssimo

Torna a Antropologia

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti

cron