Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » dom gen 07, 2018 10:53 pm

Usa, dietrofront di Bannon: "Il figlio di Trump è un patriota"
07 gennaio 2018

http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... 78186.html

Clamorosa marcia indietro dell'ex stratega della Casa Bianca, Steve Bannon, dopo essere stato ripudiato da Donald Trump per le sue dichiarazioni nel libro 'Fire and fury": in un comunicato pubblicato da Axios, Bannon ribadisce il suo "incrollabile" sostegno per il presidente e la sua agenda, definisce il Russiagate una "caccia alle streghe" e il primogenito di Trump "un patriota e un buon uomo", sostenendo che i suoi commenti sull'incontro "sovversivo" con i russi erano rivolti all'allora capo della campagna, Paul Manafort.

"Donald Trump jr è sia un patriota che una brava persona. È stato inarrestabile nel sostegno di suo padre e dell'agenda che ha contribuito a rivoltare il nostro Paese", esordisce Bannon, "rammaricandosi" che "il ritardo nel rispondere al resoconto inaccurato (del libro) riguardante Don Jr abbia distratto l'attenzione dagli storici traguardi del presidente nel suo primo anno di presidenza".

"I miei commenti sull'incontro con i russi - spiega - provenivano dalla mia esperienza di vita come ufficiale della Marina di stanza a bordo di un cacciatorpediniere la cui principale missione era dare la caccia ai sottomarini sovietici ai miei tempi al Pentagono durante gli anni di Reagan, quando il nostro focus era sconfiggere 'l'impero del male e fare film sulla guerra di Reagan contro i sovietici e dal coinvolgimento di Hillary Clinton nella vendita dell'uranio" ai russi. Riferendosi allo stesso incontro, che aveva definito "sovversivo" e "anti patriottico" sostiene poi che i suoi commenti "era rivolti a Paul Manafort, un professionista di lungo corso di campagne elettorali con esperienza e conoscenza di come operano i russi. Avrebbe dovuto sapere che sono sleali, furbi e non amici nostri". Bannon ribadisce quindi che "non c'è stata alcuna collusione" con i russi e che "l'indagine è una caccia alle streghe". L'ex stratega tenta di ricucire anche il suo rapporto personale con Trump, definendo il tycoon "l'unico candidato che avrebbe potuto sfidare e sconfiggere l'apparato della Clinton" e se stesso come "l'unica persona finora che ha condotto uno sforzo globale per predicare il messaggio di Trump e del Trumpismo". Bannon quindi si dice pronto a sostenere il presidente nei suoi sforzi per "rendere l'America di nuovo grande".

Trump e il libro della discordia

Intanto, il presidente torna sul libro delle polemiche. "Ho dovuto stanare le fake news fin dal primo giorno in cui ho annunciato di voler correre per la presidenza. Adesso ho a che fare con un fake book, scritto da un autore completamente screditato. Ronald Reagan ebbe lo stesso problema e lo affrontò nel modo giusto. Io farò lo stesso!". Lo scrive su twitter il presidente Usa, Donald Trump, attaccando il libro 'Fire and fury'.



Steve Bannon lascia Breitbart. Così l'ex consigliere ha perso la sfida con il clan Trump
di Mattia Ferraresi
2018/01/10

https://www.ilfoglio.it/esteri/2018/01/ ... ump-172347

Umiliato con tanto di nomignolo (“sloppy Steve”) da Donald Trump, scaricato dalla famiglia Mercer, reso piccino dal buco nell’acqua elettorale in Alabama, bocciato nel progetto di trasformarsi nell’aiuto esterno del presidente e messo sulla graticola da un giornalista, Michael Wolff, che spartisce molto con la corte trumpiana che velenosamente motteggia, alla fine Steve Bannon ha perso anche il feudo di Breitbart. Il consigliere più romanzato di questa criptica fase politica non ha più un orecchio nel quale sussurrare.

Ieri ha annunciato le dimissioni dal ruolo di executive chairman che ricopriva dal 2012 con una dichiarazione senza accenno di spiegazioni: “Sono fiero di quello che il team di Breitbart ha ottenuto in un periodo così breve, costruendo una piattaforma giornalistica di primo livello”. Bannon ha perso la sfida con il clan di Trump e con la storia. Il presidente non gli ha perdonato le dichiarazioni a proposito dell’incontro “treasonous” combinato dal figlio Don Jr. con certi emissari russi alla Trump Tower e nelle disastrose elezioni in Alabama ha avuto la prova che la trovata dell’avanguardia bannoniana che guida la carica del trumpismo fuori dalla palude di Washington era un pessimo affare.

La base, forza costantemente invocata per giustificare l’esistenza di imbonitori al seguito del presidente, ha scelto di stare con Trump, e così hanno scelto anche i Mercer, che due mesi fa hanno dato un segnale chiaro a Bannon e dopo l’uscita di “Fire and Fury” hanno affondato la lama nel corpaccione esausto di questo “nazionalista economico” e cacciatore di globalisti allevato a Goldman Sachs e nato con la doppia camicia. Che l’annuncio della sua ultima diminutio sia arrivato nel giorno in cui Trump ha detto che andrà al World Economic Forum di Davos ha l’aria di una grande beffa ideologica per Bannon. Nel dibattito interno alla Casa Bianca la frangia nazionalista sta uscendo malconcia, la coppia Kelly-McMaster ha dato un po’ di ordine e struttura alle operazioni, la riforma fiscale d’impronta reaganiana ha rinvigorito i rapporti con i leader repubblicani al Congresso, il presidente negozia sull’immigrazione, mostra il suo lato pragmatico e teme maledettamente di perdere la maggioranza alle elezioni di midterm, quelle in cui Bannon aveva promesso una lotta senza quartiere a tutti i candidati dell’establishment.

Se si ignora per un po’ Twitter, il volto ideologico che emerge dalle operazioni della Casa Bianca è più simile a quello di un repubblicano tradizionale che a quello di Bannon. Non è un caso, poi, che il suo tramonto coincida con l’allineamento dei pianeti di Murdoch e Trump. Il magnate australiano da mesi sta rimodellando in senso trumpiano il messaggio che viene non solo da Fox News ma anche dal Wall Street Journal. In confronto all’impero di Newscorp, Breitbart è un pesce minuscolo, ma l’idea che potesse farsi portavoce esclusivo del brand nazionalista di un presidente che, alla prova dei fatti, è invece capace di scelte di buonsenso conservatore, gli dava il mal di pancia. Allo Squalo non piace avere altri predatori intorno. Ieri la dichiarazione ufficiale più voluttuosa è stata quella di Fox News: “Fox non assumerà Steve Bannon”.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » lun gen 08, 2018 7:18 am

Quando il genio è un idiota per i più idioti
Alessandro Sallusti - Dom, 07/01/2018

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 80316.html

Donald Trump è un geniale imprevisto della storia americana così come Silvio Berlusconi lo fu di quella italiana

Quando Berlusconi vinse le sue prime elezioni, Massimo D'Alema, che si ritiene un genio, sentenziò: «È un idiota, tra poco lo troveremo sui sagrati delle chiese a chiedere l'elemosina».

Venticinque anni dopo ditemi voi chi dei due era il genio e chi l'idiota. Mi viene in mente questo aneddoto leggendo le cronache che arrivano dagli Stati Uniti sullo stato mentale di Donald Trump. Michael Wolff, ex collaboratore del presidente durante la campagna elettorale, ha scritto un libro (Fire end Fury) che sta facendo molto discutere: sostiene di aver raccolto confidenze nel mondo che gravita attorno alla Casa Bianca che parlano di un «Trump idiota». Il presidente ha ribattuto: «Io non sono un idiota, io sono un genio», elencando i suoi numerosi successi professionali.

Sembra un dibattito surreale, eppure non lo è. «Idiota» è parola che indica, cito i dizionari, «chi non ha capacità cognitive». Il che vale sia per chi davvero non le ha, sia per chi ne ha talmente tante, i geni appunto, da risultare invisibili alle persone normali. Se Trump fosse catalogabile nella prima categoria (privo di capacità) verrebbe da chiedersi quale sia il quoziente intellettivo delle persone (la Clinton e i democratici americani, per semplificare) che lo hanno sfidato e hanno perso. Come si potrebbe definire uno che si fa mettere nel sacco da un «idiota»? Mi viene in mente «demente», ma non sono un esperto. Stando in Italia, penserei alle facce di Bersani ed Alfano, quelli cioè che pensavano di essere dei «geni» e che Berlusconi fosse appunto un «idiota».

Se invece Trump fosse davvero un «genio», allora si spiegherebbero tante cose. «Quando un genio appare in questo mondo lo si capisce dal fatto che tutti i mediocri si coalizzano contro di lui», diceva un filosofo. Ed è quello che sta succedendo a Donald Trump, un geniale imprevisto della storia americana così come Berlusconi lo fu di quella italiana. Io capisco che uno normale scambi un genio per un idiota. E quando dico «normale» mi riferisco anche a quelli bravi che sanno colpire un bersaglio che nessun altro sa colpire. È che i geni vedono un bersaglio che nessun altro sa vedere. Non è differenza da poco. Fidiamoci dell'intuizione di Cesare Lombroso: «La comparsa di un singolo grande genio vale più della nascita di centinaia di mediocri».
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » lun gen 08, 2018 8:42 am

Trump e la salute mentale L’ossessione per il 25° emendamento
Giuseppe Sarcina, corrispondente a Washington
LA POLEMICA IN AMERICA
6 gennaio 2018

http://www.corriere.it/esteri/18_gennai ... 081a.shtml

Gli attacchi contro il presidente Usa e il tabù. Se il presidente è «mentalmente instabile», come pensano molti dei suoi collaboratori, stando al racconto di Michael Wolff, allora si potrebbe applicare il venticinquesimo emendamento della Costituzione americana. Una misura di emergenza mai utilizzata nella storia del Paese

All’inizio erano solo battute. Jeb Bush, effimero candidato alle primarie repubblicane, in un comizio nel New Hampshire, il 6 febbraio 2016, se ne uscì con questa frase: «Non sono uno psicologo, ma penso che Donald dovrebbe farsi curare». Quasi due anni dopo quel colpo basso da campagna elettorale è diventato il tema che agita e, ancora una volta, divide l’America. Se il presidente è «mentalmente instabile», come pensano molti dei suoi collaboratori, stando al racconto di Michael Wolff, allora si potrebbe applicare il venticinquesimo emendamento della Costituzione americana. Una misura di emergenza mai utilizzata nella storia del Paese: il vicepresidente, in accordo con la maggioranza dei ministri, può dichiarare il presidente «incapace» di assolvere i doveri del suo ufficio e, quindi, destituirlo. Ma il numero uno della Casa Bianca può riprendersi il potere, informando il Congresso di essere, invece, perfettamente in grado di governare. Se il suo vice insiste, tocca alla Camera e al Senato decidere sull'’«idoneità» del presidente, con una maggioranza dei due terzi.

La presunta pazzia di Trump ha già alimentato un cospicuo filone di saggistica. Il volume più noto è forse quello di Bandy X Lee: «Il pericoloso caso di Donald Trump: 27 psichiatri ed esperti di malattie mentali esaminano un presidente». La professoressa Lee insegna Psichiatria all’Università di Yale ed è specializzata nello studio dei comportamenti violenti. Il 5 dicembre scorso fu invitata da un gruppo di parlamentari democratici al Congresso di Washington. L’incontro durò 16 ore, distribuite su due giorni. La dottoressa Lee mise in guardia i suoi interlocutori: «Attenzione, Trump rappresenta una minaccia per la sicurezza pubblica». Erano le parole attese da una frazione del partito democratico, che praticamente da un anno sta cercando una via legale per detronizzare «The Donald». Il libro di Michael Wolff non ha fatto altro che accelerare e dare visibilità a un movimento finora un po’ carbonaro. All’inizio di dicembre erano 58 i deputati democratici pronti a mettere sotto accusa il presidente. Finora sulla base di motivazioni politiche. Il più esposto è Al Green, un parlamentare texano, che aveva anche preparato una mozione, poi bloccata da Nancy Pelosi, leader del partito alla Camera.

Adesso i nuovi dettagli sulla vita nascosta del presidente, i suoi scatti d’ira, le sue amnesie hanno rilanciato la discussione, spostandola sul piano medico-scientifico. Ogni frase di Trump assume un colore diverso: il «bottone nucleare più grande»? È la prova della sua pericolosa megalomania. Il suo linguaggio è sempre più incerto, incoerente, sincopato? Forse ha l’Alzheimer. E così via.

Ieri Trump ha reagito con rabbia a queste insinuazioni. Molto probabilmente la sua furia verrà usata dai suoi avversari contro di lui: visto? Abbiamo ragione, non si controlla più, è un pericolo pubblico. Il presidente avrebbe un modo semplice per troncare le voci: mantenere l’impegno annunciato dalla Casa Bianca l’8 dicembre scorso, subito dopo uno dei suoi discorsi più sconnessi. Trump verrà visitato tra qualche giorno dai medici del Walter Reed National Military Medical Center. I suoi portavoce hanno promesso che i risultati saranno resi pubblici.


Gino Quarelo
Questi del Corriere sono tra i peggiori, brutto giornalaccio questo del Corriere. A suo tempo ha sostenuto la I guerra mondiale che ha distrutto la mia terra veneto-furlana, per far lavorare l'industria pesante di Milano e Torino. Giornalaccio schifoso!
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Sixara » mer gen 10, 2018 1:36 pm

I'm a stable genius - el dixe Donaldón...
sì, pròpio. :lol:

(el zògo de paròle el se fà co stable adj. 'stabile' e stable n. 'stalla' e horse shit a vòe dire ... )
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » gio gen 11, 2018 2:56 pm

Il crollo della reputazione dei media americani, trump a davos, oprah 'la batterò'
Maria Giovanna Maglie per Dagospia

http://m.dagospia.com/maglie-il-crollo- ... ero-164463

Andrà a Davos, convegno evitato dai presidenti politically correct, perché puzza troppo di ricchezza. Dichiara che quella sull'immigrazione, uno degli argomenti più controversi della sua Amministrazione, sarà alla fine una legge d'amore, bill of love. Oprah Winfrey, Incoronata ai Golden Globe non solo regina di Hollywood ma anche futura presidente, la liquida in poche parole: non crede che alla fine si candiderà per il 2020, ma se fosse, lui la batterà. Vediamo come le racconteranno queste ultime notizie. Sembrano semplici, l'equivoco appare difficile, eppure meglio non fidarsi, l'informazione dall'America è ormai avvelenata.

Chi va contromano sull'autostrada, il presidente che comunica con 1000 tweet la sua verità sui mezzi di informazione, e definisce i giornalisti nemici del popolo, o i giornalisti che, pur di attaccarlo e sminuirlo, non mostrano alcun rispetto per le istituzioni che rappresenta, per gli americani che lo hanno mandato alla Casa Bianca, ignorano allegramente gli strepitosi successi economici, raccontano a modo loro la politica estera, tacciono o sottovalutano che dall'inchiesta sul cosiddetto Russia Gate non venga fuori niente, continuano a sminuire le prove che incriminano i Clinton, enfatizzano al contrario qualunque gigantesca cavolata che coinvolga sia pur di striscio la famiglia Trump?

E by the way chi ha cominciato per primo, chi trattando il candidato Trump come un buffone, un clown, gli ha fornito carburante per attaccare efficacemente agli occhi degli americani la swamp, la palude di Washington nella quale sguazzano politici corrotti, burocrati inetti e giornalisti loro amici?

L'ultimo episodio è il libro di Michael Wolff, Fire and Fury, del quale tutti conoscono spregiudicatezza dello scrittore e inesattezze, clamorosi errori e bufale dello scritto, eppure da giorni lo usano come se fosse Vangelo. Non mi stancherò mai abbastanza di ripetere che non è solo perduta oggi la straordinaria reputazione della quale anche nei momenti più difficili i media americani hanno sempre goduto, sarà anche difficile se non impossibile recuperarla in futuro.

Lasciamo perdere gli imitatori europei, il patetico Guardian o la BBC, che a prosopopea non scherzano, gli italiani immarcescibili che continuano da giorni a ripetere che il presidente degli Stati Uniti è un idiota, o che Ivanka Trump in un incontro di mezzo minuto in ascensore ha tramato tradimenti con i russi e che si stringe il cerchio intorno a lei. Ve l’immaginate la Barbie bionda in versione Mata Hari che sussurra “dobre vecer”, che mica vuol dire solamente buonasera, c'è tutto un significato criptico sotto, e il russo che uscendo dall’ascensore risponde “dasvidania”, e tutti abbiamo capito che è un arrivederci a Mosca.

Non fosse che sono tutti impazziti, con quale faccia tosta un pomposo Committee to Protect Journalists, comitato per proteggere i giornalisti, riunito in un summit che dovrebbe essere serio nel definire coloro che opprimono la libertà di stampa nel mondo, assegna a Donald Trump il primo premio, ovvero “Overall Achievement in Undermining Global Press Freedom”?

Non che queste iniziative preoccupino più di tanto quel burlone temerario del presidente, il quale si appresta ad assegnare a sua volta il 17 di gennaio una serie di premi alle fake news, le notizie farlocche, addirittura dalla Casa Bianca. Insomma, alla fine sarà uno pari e palla al centro, Trump è un irriducibile.

Ma i giornalisti del premio lo hanno scelto tra personaggi come i dittatori della Cina, Iran, Corea del Nord, Cuba, Turchia, hanno con questo gesto proclamato di soffrire della stessa non libertà di stampa negli Stati Uniti di quei disgraziati che finiscono in galera torturati, hanno decretato, senza vergogna, che Trump è peggio ed è più pericoloso di Recep Tayyip Erdogan, che ha imprigionato il più alto numero di giornalisti del mondo nel 2017, o del venezuelano Maduro, che le televisioni che non gli piacciono semplicemente le ha chiuse .

Invece uno studio di Harvard dell'estate scorsa ha documentato che nei primi 100 giorni di presidenza la copertura riservata alla presidenza è stata quasi del tutto negativa,cita per esempio la CNN con un 93% critico. Non risulta che ci sia qualcuno in galera, e tra quelli licenziati in giro per giornali e TV la colpa va attribuita o al fatto che sono tanto moralisti quanto maiali, o che il veleno del politically correct gli si sta rovesciando contro e dietro l'angolo c'è un sexual harassment per tutti o quasi.

Quel che una volta era il cane da guardia del sistema In nome del popolo americano è così malridotto e fazioso che la NBC ha prima entusiasticamente vergato, poi cancellato, un Tweet che definiva Oprah Winfrey “OUR future president”, il nostro futuro presidente.

Solo l'attuale stato miserevole delle cose ha potuto consentire la pubblicazione di un libro come quello di Wolf e ha permesso l'accoglienza acritica ed entusiastica della quale continua ancora l’eco.

Negli anni di Obama qualunque cosa uscisse contro il presidente veniva considerata spazzatura, oggi accade l'esatto contrario. Ma la spazzatura tale resta, Wolf è uno furbissimo, la cui etica professionale si sintetizza in parole da lui stesso pronunciate l'altro giorno in TV: "If it rings true, it is true.", se suona vero, è vero.

Cominciano però le voci contrarie. L’editorialista di Bloomberg Joy Nocera scrive “mi domando quanti nello staff della Casa Bianca abbiano raccontato delle cose a Wolff off the record e lui invece le ha usate direttamente. Non ha mai esitato a bruciare le sue fonti”.

Steve Rattner, un finanziere che è stato lo zar di Obama nel mercato di automobili e che scrive editoriali per il New York Times, attacca durissimo che “Wolff è uno scrittore di fantasia privo di principi, uno stronzo totale". Pare che una volta abbia trovato in un parco il figlio di 7 anni di Rattner e lo abbia terrorizzato di domande.

Poi comincia a venire fuori anche l'elenco di errori marchiani contenuti nel libro: il reporter che non è mai stato in quel ristorante, i luoghi sbagliati, gli incarichi sbagliati, le età sbagliate, fino addirittura all’ex primo ministro inglese Tony Blair che risponde non aver mai avuto un incontro descritto per filo e per segno nel libro con Jared Kushner, e Murdoch che pure non ha detto mai idiota, e così via, in un elenco sterminato di inesattezze e bugie.

Lui stesso, lo scrittore del giorno, ammette, intervistato dalla CBS, candidamente o meglio spudoratamente, perché sa di godere di un trattamento di favore, che non ha mai incontrato e intervistato il vicepresidente Mike Pence, né alcun membro del governo, sebbene proprio a loro vengano attribuite le dichiarazioni più incendiarie e scomode. A chi lo ha detto allora Steve Mnuchin che Trump è un idiota? A chi lo ha detto Gary Cohn, che è ‘dumb as shit.’ ?

Sentito dire di terza mano. E l'intervista millantata e lunghissima proprio col presidente Trump? Lo scrittore si arrampica sugli specchi. Abbiamo chiacchierato come se fossimo due amici, lui non aveva idea che fosse una intervista.

Wolff ha fatto il suo mestiere, si inventò a suo tempo in modo analogo un libro verità su Murdoch. Il punto è un altro, che a questa operazione commerciale sia stato attribuito ormai da giorni e giorni un valore politico divinatorio di rivelazione, niente meno che sulle capacità intellettuali e sull'equilibrio del presidente, un infame battage pubblicitario combinato con l'incoronazione di Oprah Winfrey durante un premio cinematografico, e col Premio di oppressore in capo della libera Stampa durante un convegno di giornalisti comunisti a Washington. In queste condizioni, che il gradimento del presidente sia al 43% appartiene alla categoria del miracolo.

Copertina del libro Overhaul di Steven Rattner Copertina del libro Overhaul di Steven Rattner tony blair tony blair donald trump con rupert murdoch e jerry hall donald trump con rupert murdoch e jerry hall l abbraccio di donald trump e rupert murdoch l abbraccio di donald trump e rupert murdoch
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » gio gen 11, 2018 7:16 pm

Dementi comunisti antiamericani, antisraeliani e filoislamici


Trump ha reso il Medio Oriente ancora più instabile - Rami Khouri
Rami Khouri
2018/01/11

https://www.internazionale.it/opinione/ ... -instabile

Dei tanti racconti interessanti contenuti nel libro di Michael Wolff, Fire and fury, dedicato alla Casa Bianca ai tempi di Trump, il più inquietante per gli statunitensi e il resto del mondo sta forse nelle nuove rivelazioni sul modo in cui oggi gli Stati Uniti stabiliscono le loro politiche in Medio Oriente.

Dopo aver trascorso gli ultimi tre mesi negli Stati Uniti, interagendo con tante persone e organizzazioni che si occupano di questioni mediorientali, ho individuato alcune categorie di problemi nell’operato di Trump nella regione.

Queste sono le principali. I funzionari più importanti dell’amministrazione si rapportano ai leader del Medio Oriente in modo immaturo, fondato più sull’intesa personale che sulla conoscenze delle strategie nazionali; Washington prosegue nel tentativo di cambiare i dirigenti arabi come se giocasse a Monopoli; i donatori sionisti americani estremisti e ultranazionalisti hanno tuttora un’immensa influenza nella Casa Bianca; Trump e i suoi collaboratori sembrano provare disprezzo per i paesi e i leader arabi; l’esagerata e onnipresente paura dell’Iran determina le politiche statunitensi; infine vengono prese decisioni unilaterali, presuntuose e perlopiù frutto d’ignoranza su questioni critiche come lo status di Gerusalemme.

La spiegazione del caos
Ovviamente le citazioni presenti nel libro non offrono uno sguardo completo sulle politiche degli Stati Uniti nella regione o nel mondo, ma la coerenza e il tono dei sentimenti espressi dai funzionari della Casa Bianca – in particolare da parte dell’ex capo della strategia e ultranazionalista bianco Stephen Bannon – riflettono un modus operandi, per la principale carica al mondo, che dovrebbe spaventarci molto (i passaggi più significativi del libro sono contenuti in quest’articolo di Middle East Eye).

Il punto principale, a mio avviso, è che decisioni importanti su questioni cruciali che influenzano la vita di seicento milioni di persone in tutto il Medio Oriente vengono prese sulla base delle preferenze politiche dei leader israeliani e sauditi, e sono poi mediate da funzionari statunitensi parecchio ignoranti e spesso molto giovani e inesperti, come il genero di Trump, Jared Kushner.

La rivelazione che lo scorso anno la Casa Bianca di Trump ha gestito le questioni mediorientali soprattutto tramite i leader d’Israele, Arabia Saudita ed Egitto, mossa da un desiderio irrefrenabile di limitare l’influenza dell’Iran nella regione, contribuisce a spiegare perché gli Stati Uniti si trovino coinvolti in situazioni caotiche in tutto il Medio Oriente.

Mai prima d’ora, il mondo arabo è stato così diviso, violento, instabile e vulnerabile

Tuttavia, i dirigenti di questi quattro paesi sembrano totalmente ciechi di fronte alla condizione, i diritti, i sentimenti e le aspirazioni dei 400 milioni di persone che vivono nei paesi arabi, e degli altri 200 milioni di cittadini dei paesi vicini. I decisi tentativi, da parte di questi quattro stati, di mantenere la “sicurezza e la stabilità” usando contingenti militari e di polizia, oltre all’imposizione di limitazioni ai diritti economici, sociali e politici dei cittadini, ha ottenuto il risultato contrario a quello desiderato.

Mai prima d’ora il mondo arabo è stato così diviso, violento, instabile e vulnerabile, alla mercé di persone disperate, potenti autocrati, traditori, terroristi di lungo corso ed eserciti stranieri. Eppure, l’influenza dell’Iran nella regione continua a crescere, come anche quella della Turchia e della Russia, il che rende ridicolo l’approccio degli Stati Uniti alle questioni mediorientali.

Un campanello d’allarme
La decisione di Washington di riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele sintetizza tutto quanto c’è di sbagliato e distruttivo nell’approccio di Trump. Ignora il diritto internazionale e le risoluzioni dell’Onu che riflettono un chiaro consenso globale; non prendono in considerazione i sentimenti di centinaia di milioni di musulmani e cristiani in Medio Oriente che considerano l’araba Gerusalemme Est come legittima capitale di uno stato palestinese che in futuro convivrà con Israele; infine è una decisione unilaterale, dovuta soprattutto impegni politici interni presi con le lobby filosioniste e con donatori politici di destra.

A mio avviso la più folgorante rivelazione del libro è una frase di Steve Bannon, il quale avrebbe dichiarato che la Giordania dovrebbe prendere il controllo della Cisgiordania e l’Egitto della Striscia di Gaza, aggiungendo che gli Stati Uniti dovrebbero “lasciare che siano loro a occuparsene, o che affondino provandoci”.

Un simile disprezzo nei confronti di due alleati arabi di lungo corso degli Stati Uniti come la Giordania e l’Egitto dovrebbe convincere tutti i leader della regione dell’impossibilità, per Washington, di essere un partner affidale. Oggi appare più chiaro che il sistema di governo instaurato da Trump negli Stati Uniti è più propenso ad accontentare i donatori politici americani filoisraeliani che non a considerare gli interessi dei suoi altri amici e alleati, oppure i dettami del diritto internazionale o le risoluzioni dell’Onu. Si tratta di una ricetta sicura per creare, in Medio Oriente, ulteriori conflitti e sofferenze in grado di diffondersi pericolosamente in altre parti del mondo.

Dovrebbe essere anche un campanello d’allarme per i leader arabi, che dovrebbero svegliarsi e ingegnarsi per recuperare ed esercitare la loro sovranità, al fine di garantire il benessere dei loro stessi cittadini. Altrimenti, ben presto si renderanno conto di essere diventati poco più che delle proprietà sul tabellone di un Monopoli che gli incapaci e immaturi inquilini della Casa Bianca comprano, vendono e buttano via a seconda dei capricci di anziani statunitensi senza scrupoli, ma capaci di sventolare sostanziosi contributi alle campagne elettorali.

(Traduzione di Federico Ferrone)
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » gio gen 11, 2018 10:17 pm

???

Schiaffo a Trump, L'Authority per l'energia boccia il piano per il rilancio del carbone e del nucleare
2018/01/09

http://www.repubblica.it/ambiente/2018/ ... -186107510

La Ferc ha preso la decisione all'unanimità dopo che il presidente Usa aveva annunciato in ottobre la proposta per rovesciare le politiche di Obama sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici

Schiaffo a Trump dall'Authority per l'energia (Ferc), che all'unanimità ha bocciato il piano per il salvataggio delle miniere di carbone. "La guerra al carbone è finita", aveva detto il presidente Usa in ottobre, annunciando una proposta per rovesciare le politiche Obama sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici. Ma la Ferc, agenzia indipendente e bipartisan composta da 5 commissari di cui 3 nominati dal tycoon, ha detto no. "Vittoria per consumatori, libero mercato e aria pulita", esulta Bloomberg, inviato speciale Onu per il clima.

L'authority Usa per l'energia, composta da commissari bipartisan nominati dal presidente e confermati dal Senato, ha così respinto all'unanimità il piano di sussidi alle centrali elettriche, come quelle a carbone o nucleari, che mantengono scorte di carburante sul sito per 90 giorni. La proposta presentata dal ministro Usa dell'Energia, Rick Perry, è stata letta come il tentativo dell'amministrazione Trump di sostenere in particolar modo l'industria del carbone in crisi negli ultimi anni per il crescente ricorso alle energie più pulite, dal gas naturale al solare.

Tra il 2010 e il 2015 gli impianti a carbone hanno rappresentato il 52% di quelli chiusi negli Stati Uniti, secondo le statistiche governative. Festeggiano gli attivisti per il clima. "L'annuncio odierno della Ferc
è un ritorno alla realtà dopo mesi di pressioni degli executive miliardari del carbone e del nucleare...per il salvataggio illegale dei loro impianti non economici", ha osservato in una nota Mary Anne Hitt, direttore della campagna "oltre il carbone" di Sierra Club.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » ven gen 12, 2018 8:01 am

???

«Stop ai profughi da El Salvador, Haiti e Africa, sono un cesso di paesi»
12/01/2018

http://www.ilmessaggero.it/primopiano/e ... 77982.html

Donald Trump choc. Il presidente americano, in un incontro nello Studio Ovale con alcuni membri del Congresso, usa parole dure contro gli immigrati. A parlamentari e senatori che gli chiedevano di riconsiderare la decisione di togliere lo status di protezione a migliaia di immigrati da Haiti, El Salvador e da alcuni Paesi africani, il tycoon ha risposto: «Perché gli Stati Uniti dovrebbero avere tutta questa gente che arriva da questo cesso di Paesi?».

Un'espressione volgare quella di 'shithole countries' usata dal presidente e che subito ha scatenato polemiche. Trump si sarebbe spinto anche oltre: gli Stati Uniti dovrebbero attirare più immigrati da paesi come la Norvegia. I presenti all'incontro - secondo indiscrezioni riportate dai media americani - sarebbero rimasti spiazzati dal duro attacco del presidente.

Il senatore repubblicano Lindsay Graham e quello democratico Richard Durbin sono rimasti gelati: solo pochi minuti prima, avevano proposto di tagliare del 50% la lotteria per i visti di ingresso negli Usa continuando a tutelare gli immigrati già residenti nel Paese con lo status di protezione. Status accordatogli in quanto costretti a lasciare i loro Paesi di origine per sfuggire alle conseguenze di catastrofi come i devastanti terremoti che negli anni passati hanno colpito El Salvador o Haiti. La Casa Bianca non smentisce le ricostruzioni, limitando a dire: «Alcuni politici a Washington scelgono di combattere per paesi stranieri, ma il presidente combatterà sempre per gli americani», afferma il vice portavoce della Casa Bianca, Raj Shah.

«Come altri paesi che hanno un sistema dell'immigrazione basato sul merito, il presidente si batte per una soluzione permanente che rafforzi il paese dando il benvenuto a coloro che possono contribuire alla nostra società e far crescere la nostra economia». Le parole pronunciate da Trump incontrando alcuni membri del Congresso nell'ambito delle trattative per sciogliere il nodo dei Dreamer fanno eco a quelle che il presidente avrebbe pronunciato nei mesi scorsi. Lo scorso giugno avrebbe infatti detto che i 15.000 haitiani arrivati negli Stati Uniti nel 2017 «hanno tutti l'Aids».

Non se la sono cavata meglio i 40.000 nigeriani giunti negli Usa lo scorso anno: «Non torneranno più nelle loro capanne». Ma Trump stupisce anche su un altro fronte: la Corea del Nord. A sorpresa in un'intervista al Wall Street Journal afferma di «avere probabilmente un rapporto molto buono con Kim Jong Un». Il presidente non entra nel dettaglio e non chiarisce se ci siano stati contatti diretti. Alla domanda su possibili colloqui fra Trump e Kim, il presidente risponde: «Non commento. Non voglio dire se l'ho fatto o meno. Non voglio commentare».



Trump attacca gli immigrati: "Basta gente da posti di m..."
Sergio Rame - Ven, 12/01/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/tru ... 82325.html

Durante un meeting nello studio ovale, Trump se la prende con gli immigrati da Haiti e dall'Africa: "Perché dobbiamo tenerceli?"

"Ma perchè abbiamo tutte queste persone che vengono qui da Paesi di merda?". Un nuovo, durissimo attacco del presidente americano Donald Trump agli immigrati torna ad alimentare aspre polemiche in tutti gli Stati Uniti.

Secondo le indiscrezioni raccolte dal Washington Post, il tycoon si sarebbe così durante un meeting nello studio ovale riferendosi agli stranieri che provengono da Haiti e dall'Africa e aggiungendo, poi, che l'America dovrebbe piuttosto avere immigrati che arrivano da nazioni come la Norvegia.

The Donald non è certo nuovo a questo tipo di dichiarazioni tese ad attaccare soprattutto gli immigrati e i rifugiati. È lo stesso quotidiano della capitale a mettere in fila i commenti collezionati dal primo inquilino della Casa Bianca. La prima è l'oramai celebre anatema rivolto ai messicani in occasione dell'inaugurazione della sua campagna elettorale nel 2016. "Non sono nostri amici - aveva detto in quell'occasione - portano droghe e crimine. Sono stupratori". Non meno forti le opinioni che aveva espresso sui rifugiati siriani. Li aveva definiti uomini forti e giovani che potrebbero avere legami con i tagliagole dello Stato islamico. In un'altra occasione, poi, nel mirino di Trump era finito anche il "Diversity Visa program", ovvero la "lotteria" che ogni anno mette in palio circa 50mila visti. "Ci mandano la gente peggiore - aveva tuonato - il peggio del peggio".

In un meeting dello scorso giugno, secondo il New York Times, il presidente avrebbe poi sostenuto che "i 15mila arrivati da Haiti hanno tutti l'Aids" e che "i 40mila dalla Nigeria non torneranno più nei loro tuguri dopo aver visto l'America". Entrambe dichiarazioni, però, che erano state sonoramente smentite dalla Casa Bianca. In questo caso Trump non ha smentito di aver preso una posizione dura, ma ha corretto l'espressione shithole usata nello studio ovale. "Il linguaggio è stato rude, ma non ho usato quelle parole - ha scritto poi su Twitter - ma ciò che è stato veramente rude è la bizzarra proposta che mi è stata fatta". Ed è tornato a bocciare boccia quindi l'accordo bipartisan sul "Deferred Action for Childhood Arrivals" (Daca) che gli è stato proposto ieri, definendolo un "grosso passo indietro". Se così fosse il muro con il Messico non avrebbe finanziamenti "adeguati", il sistema di lotteria per i permessi di soggiorno sarebbe "peggiorato" e gli Stati Uniti "sarebbero costretti a prendersi grosse quantità di persone da Paesi con un alto tasso di criminalità e che sono messi male".

Sin dalle primissime battute della campagna elettorale, Trump ha proposto "un sistema basato sul merito". Un sistema, insomma, che permetta di far entrare "persone che ci aiutino a portare il nostro Paese a un livello più alto". "Voglio sicurezza per la nostra gente - ha quindi concluso il presidente americano - voglio fermare il massiccio ingresso di droga. Voglio fondi per le nostre forze armate, non un de-finanziamento alla democratica".
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » sab gen 13, 2018 11:06 am

Unione Africana, Trump si scusi
Gruppo condanna frase shock, esprime indignazione per linguaggio

http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews ... d6c9f.html

(ANSA) - ROMA, 13 GEN - Non si placa l'ondata di indignazione nel mondo dopo i commenti shock di Donald Trump su alcuni Paesi da cui partono gli immigrati. In una dichiarazione diffusa ieri sera, l'Unione Africana, l'organizzazione internazionale comprendente tutti gli Stati africani, ha chiesto che il presidente Usa si scusi dopo aver definito alcuni Paesi 'cessi' (shithole countries) da dove provengono gli immigrati. "La missione dell'Unione Africana desidera esprimere la sua irritazione, delusione e indignazione per lo spiacevole commento fatto da Donald Trump, presidente degli Stati Uniti, che sottolinea il disonore per il famoso credo americano e il rispetto per la diversità e la dignità umana", si legge nel comunicato. Nel condannare fermamente il linguaggio, il gruppo chiede che Trump ritragga le frasi e che si scusi "non solo con gli africani, ma con tutte le persone di discendenza africana nel mondo".



Che differenza c'è tra dire "paesi canaglia" e "cessi di paese"?
Per dire paesi incivili, disumani, dove non si rispettano i diritti umani, dove si pratica il genocidio, lo sterminio, la rapina, lo stupro, dove vige la dittatura violenta e oppressiva, dove si pratica lo stupro, l'uccisone dei bianchi e di ogni deversamente religioso e pensante.

Stati canaglia
https://it.wikipedia.org/wiki/Stato_canaglia
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » sab gen 13, 2018 10:17 pm

PANE AL PANE, CESSO AL CESSO
13/01/2016

https://www.facebook.com/mariagiovannam ... 7368926142

Facciamo che lo ha detto veramente, che ha detto "perché ci dobbiamo prendere tutta la gente che arriva da quei cessi di Paesi", riferendosi a Nazioni nelle quali non c'è alcun controllo sociale, proliferano regimi illiberali, dalle quali sbarcano in continuazione persone che chiedono di avere privilegi e status di rifugiati per una ventina d'anni negli Stati Uniti.
Fate uno sforzo contro il politically correct che ci si mangia tutti vivi e provate a pensare la stessa cosa detta da un leader politico italiano in un incontro ufficiale ma non pubblico in cui si discuta di come rimodulare il programma di immigrazione , e lui dica "perché ci dobbiamo prendere tutta questa gente noi da questo cesso di paesi, non possono andare anche che ne so in Francia, che ha rimesso le frontiere senza alcuna autorizzazione, o in Spagna, dove ai barconi gli sparano con la mitraglietta della Guardia civile"? Tana libera tutti, vero?
Lui, il razzista, il cattivo, ieri si godeva i primi risultati straordinari della sua riforma delle tasse, con le grandi aziende che decidevano aumenti ai dipendenti e bonus per tutti, l'intera nazione americana festeggiava una disoccupazione sotto il 4%, quella dei neri a livello record di 6,9%. Pure il suo nemico giurato padrone del Washington Post e di Amazon, Jeff Bezos, gli deve di essere, grazie alla Borsa trionfante, l'uomo più ricco del mondo con 106 miliardi di dollari. E a Gerusalemme non è successo niente della guerra civile paventata, la Corea del Nord si sta calmina, le inchieste sui Russi ristagnano nel nulla.
E allora che cosa ci inventiamo per poterne parlare male invece che bene? Che ha detto "cesso di paese" a proposito di paesi che sono dei cessi, sennò la gente mica scapperebbe ci starebbe molto volentieri e ci tornerebbe altrettanto volentieri.
Trump risponde:"Ho utilizzato dei termini rudi ma non quelle parole, che sono un'invenzione dei democratici, anzi la prossima volta registro visto che non è possibile fidarsi di nessuno, ma ciò che è stato veramente rude è la bizzarra proposta che mi è stata fatta".
Qual era la proposta da lui bocciata?Era un accordo bipartisan sul "Deferred Action for Childhood Arrivals" (Daca) che non prevede stanziamenti adeguati per il muro con il Messico, non migliora il sistema di lotteria per i permessi di soggiorno, e seguendo il quale, gli Stati Uniti "sarebbero costretti a prendersi grosse quantità di persone da Paesi con un alto tasso di criminalità e che sono in pessime condizioni".
Non c'è niente di nuovo nell'atteggiamento del presidente americano perché fin dall'inizio della campagna elettorale, Trump ha proposto "un sistema basato sul merito",che permetta di far entrare "persone che ci aiutino a portare il nostro Paese a un livello più alto". "Voglio sicurezza per la nostra gente, voglio fermare il massiccio ingresso di droga".
Trump fa Trump, grazie a Dio, ipocriti e rosiconi se ne facciano una ragione.
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