Trump vuole arrestare l'ex direttore dell'FBI Comey e dagli States sono sicuri, a breve ci sarà il più grande scandalo della storia americana La Nuova Padania
30 Aprile 2020
Riccardo Rocchesso
https://www.lanuovapadania.it/cronaca/t ... americana/ Sembra che stia per scoppiare uno scandalo in America, ma non uno normale, il più grande della storia secondo molte fonti americane.
Donald Trump, è un po’ che vuole far arrestare l’ex direttore dell’FBI, James Comey, che è stato in carica sia con Obama che con lui un anno.
Il presidente lo aveva già allontanato nel 2017 dal suo incarico e, notizia di poco fa, apparsa direttamente sul suo profilo Facebook e Twitter, Donald annuncia che è stato “preso”.
Che sia solo un anticipo del mega scandalo che sconvolgerà gli Stati Uniti?
Trump, in sordina, secondo alcune agenzie di stampa come Fox News, CNBC e Wall Street Journal, sta facendo una lotta interna verso alcuni elementi, secondo lui corrotti, dello Stato Americano. E Trump, con i suoi tweet, non fa altro che mandare messaggi in codice che precedono, spesso indagini e arresti.
Nel 2016, secondo i repubblicani, ci sono state delle interferenze nelle votazioni americane a favore dei democratici e ci sarebbe in corso una vera e propria caccia alle email e alle prove di tutto ciò.
Ma questa sembrerebbe solo la punta dell’iceberg.
Sono molti i fronti aperti di Trump, a livello di “pulizia” dell’apparato statale americano ed infiltrazioni estere, come nella sanità, e sono molte le persone che sono state prese di mira. Per citarne alcune: Anthony Fauci, sotto indagine per conflitto di interessi e finanziamenti, forse illeciti all’OMS, Hillary Clinton sotto mirino per le elezioni del 2016 e lo scandalo PizzaGate e Bill Gates, che ha ricevuto su una petizione a suo carico 500.000 firme poco dopo che Trump ha tolto i fondi all’OMS.
Sta per scoppiare qualcosa di grande, di mai visto, negli States?
Che conseguenze ci saranno per l’Europa e per l’Italia?
Trump e Putin annunciano un piano di disarmo e cooperazione Russia-USA-CinaAlterLab
Di Umberto Pascali
Washington, 8 Maggio 2020
https://www.alterlab.info/2020/05/08/tr ... -usa-cina/Nel giorno in cui il tentato golpe del Deep State contro Donald Trump viene ufficialmente sconfitto, con il proscioglimento del Gen Michael Flynn (l’ex consigliere di Trump vittima di una montatura legale che lo dipingeva come agente russo) , Vladimir Putin e Trump discutono amichevolmente al telefono il lancio di una collaborazione tripartita tra USA, Russia e Cina per il disarmo e la cooperazione. Il Deep State, le agenzie di intelligence e i loro burattinai a Wall Street e Silicon valley, gli autori di quattro anni di provocazioni e false accuse di interferenza Russa nelle elezioni americane, sono adesso in preda al panico.
Putin e Trump “partners contro il comune nemico”
La ragione della telefonata, come pure di un precedente comunicato congiunto, era la celebrazione del 75mo anniversario della vittoria Russo-americana contro il nazismo. L’enfasi era tutta sulla cooperazione e la vittoria contro il “nemico comune”, il nazismo, come e’ adesso “nemico comune” il Coronavirus.
In un comunicato pubblicato dal Cremlino si legge “I due presidenti hanno sottolineato l’importanza storica delle relazioni alleate che collegavano le due nazioni durante la Seconda guerra mondiale e hanno permesso a entrambi i paesi di porre fine a una minaccia comune. I leader hanno sottolineato che sulla base di queste tradizioni, la Russia e gli Stati Uniti possono ottenere molto nel risolvere i problemi urgenti del nostro tempo, compreso il mantenimento della stabilità strategica, la lotta antiterroristica, la risoluzione dei conflitti regionali e il controllo dell’epidemia.“
“Discutendo sulla pandemia di coronavirus, i presidenti sono stati positivi riguardo alla cooperazione bilaterale e hanno convenuto di continuare a rafforzare il coordinamento in questo settore. In particolare, il presidente degli Stati Uniti si è offerto di inviare una spedizione di attrezzature mediche in Russia…”
Trump ha fatto eco in uno scambio coi giornalisti mentre si trovava in Texas per coordinare la risposta alla crisi del Coronavirus. “E’ stata una bella telefonata… “La Russia sta attraversando un periodo difficile con lo stesso COVID-19. Sono stati colpiti come tutti gli altri sono stati colpiti. E abbiamo parlato a lungo.
E anche, questo è il 75 ° anno – e sapete cosa significa il 75° anniversario! Mi ha chiamato perché eravamo partners in una guerra che abbiamo vinto. Ed è stato molto bello. Ha chiamato – e’ stata una chiamata di congratulazioni, una chiamata di celebrazione, perché era il 75 ° anniversario. Inoltre, ho suggerito se ne hanno bisogno di ventilatori, perché abbiamo molti ventilatori, ci piacerebbe inviarne alcuni e lo faremo al momento opportuno. Invieremo loro alcuni ventilatori.”
“È stata una bella telefonata. E ricordatevi questo: la frode dell’interferenza Russa ha reso molto difficile per la Russia e gli Stati Uniti confrontarsi. La Russia è una nazione molto importante. Perché non dovremmo avere a che fare l’uno con l’altro… Ma è stata la montatura dell’interferenza Russa – una frode assoluta, disonesta. Ha reso molto difficile per il nostro paese collaborare con il loro paese. E ne abbiamo discusso. Ho detto: “Sai, è un momento molto appropriato”. Perché ora le cose stanno aggiustandosi, si stanno mettendo a posto, con la prova che è stata una bufala tutta questa indagine. È stata una vergogna totale.“
Trump ha aggiunto una frase che sta facendo impazzire i giornalisti (“ma cosa vuole dire? E’ una minaccia?) e sta gelando il sangue ai capetti dello Stato Profondo: “Non sarei sorpreso se vedessi accadere molte cose nelle prossime settimane. Questo è solo un pezzo di un puzzle molto disonesto.”
E ha messo l’accento sul negoziato per il disarmo, finora congelato o buttato a mare tra le tante provocazioni della Quinta Colonna washingtoniana. Un giornalista ha chiesto a Trump: “Lei ha cercato di organizzare un vertice sul controllo degli armamenti con il presidente Putin e il presidente Xi. Sta avendo nessun risultato?”
Trump: “Stiamo parlando del controllo degli armamenti con la Russia e andremo avanti con questo. E ne stiamo parlando molto seriamente: avere il controllo degli armamenti. Hanno molte armi nucleari, e anche noi. E stiamo parlando di un controllo degli armamenti con la Russia. Si. Vorrebbero farlo. Ci piacerebbe farlo.”
Si torna all’accordo Cina-USA fatto saltare dal COVID?
E Trump non è stato timido sulla questione Cina. È noto che molti dei neoconservatori accampati nel partito Repubblicano vorrebbero cogliere l’occasione del coronavirus per provocare una guerra aperta con la Cina. Finora Trump aveva dato l’impressione di volere una linea dura fino allo scontro con la Cina, accusata di aver lasciato arrivare l’infezione negli USA. Questa viene vista a Washington come la linea del segretario di Stato, Mike Pompeo. Ma stavolta Trump ha fatto una delle sue giravolte destinate a confondere gli avversari e, ancor più, i suoi alleati non fidati. In una comunicazione scritta passata dalla Casa Bianca alla stampa accreditata sui legge che “Trump ha ribadito che gli Stati Uniti sono impegnati in un efficace controllo degli armamenti che include non solo la Russia, ma anche la Cina, e attende con impazienza discussioni future per evitare una costosa corsa agli armamenti“.
Il 4 maggio scorso in un’intervista al New York Post, Trump aveva insistito che sebbene il virus fosse venuto dalla Cina, La leadership cinese (cioe Xi Jinping) “non l’aveva fatto apposta”. E quindi il coronavirus non poteva diventare un casus belli in nessun caso. “Non voglio parlare di guerra, non parliamo di guerra! E’ una cosa triste, Avevamo abbiamo appena concluso un accordo commerciale con la Cina qualche mese fa. Prima di questo [la crisi del Coronavirus] avevamo appena concluso un accordo commerciale, c’era un grande ottimismo. E poi succede una cosa del genere… e diventa la cosa predominante su tytto.”
Trump si riferiva all’accordo commerciale raggiunto il 12 dicembre scorso e firmato alla Casa Bianca il 15 Gennaio dal vice premiere cinese Liu He e Trump. Proprio prima che il Coronavirus sconvolgesse tutto e portasse Cina e USA sull’orlo di una guerra calda. Trump aveva lavorato per lungo tempo per arrivare ad un accordo, lo stesso, apparentemente aveva fatto il presidente Xi. Nell’aprile del 2019, in una delle tappe negoziali alla Casa Bianca, Trump aveva teatralmente chiesto a Liu He cosa pensasse del “ridicolo” ammontare speso in armamenti dai due paesi. “Stanno producendo tante armi, armi tremende. Anche noi. Avevamo appena approvato $ 716 miliardi per l’esercito l’anno scorso, e ora probabilmente faremo di più quest’anno”, aveva esclamato Trump ai giornalisti alla Casa Bianca . “Tra Russia e Cina e noi, stiamo tutti spendendo centinaia di miliardi di dollari di armi, compreso il nucleare, il che è ridicolo”. Un accordo commerciale sarebbe seguito da un accordo sul disarmo, che ne pensa il vicepremier? E, pronto, Liu He aveva risposto a gran voce: “Penso che sarebbe un’ottima idea!” Uno scambio pubblico che aveva gelato il sangue ai grandi predatori del Complesso Militare Industriale. Avevano visto in faccia la fine del loro enorme potere.
Poi era arrivato il Coronavirus…
Ritorno alla realtà?
Ma la sconfitta del Deep State nel momento più pericoloso riapre la possibilità di tornare al dialogo Russia-Cina-USA. Riusciranno i grandi oligarchi a sabotare anche questo accordo? Anche gli osservatori più cinici, non pensano che sarà possibile.
Nessuna rete di sicurezza sembra ora in grado di salvare gli spioni professionisti che hanno veduto la loro anima ai grandi oligarchi finanziari. La leadership dell’FBI, che con il direttore James Comey (licenziato da Trump) aveva inventato il Russiagate e aveva spalleggiato il partito democratico nel tentativo di impeachment del presidente, è stata completamente epurata.
Ed ora sembra arrivato il momento dell’uscita di scena, con le buone o con le cattive, anche per il successore di Comey, l’attuale direttore Christopher Wray, anche lui complice nell’operazione ma in posizione piu subdola e fumata. Il grande complice di Comey, il fautore della tortura e del terrorismo come arma di guerra, il direttore della CIA, John Brennan, anche lui cacciato in disgrazia, sta abbandonando ogni speranza di tornare a ordire le sue trame grazie al “materiale” accumulato in anni di spionaggio. Brennan, che conservava il sostegno ben pagato dei media, sta perdendo le sue pedine corrotte e ricattate non solo nel Congresso ma persino nella stampa.
Il 7 maggio 2020 rimarrà nella storia come il giorno in cui l’insurrezione contro lo stato e la Costituzione americana sono state sconfitte. Il Dipartimento di Giustizia ha ufficialmente scagionato da ogni accusa la prima grande vittima del tentato golpe, il consigliere presidenziale per la sicurezza nazionale, il generale Michael Flynn, intrappolato illegalmente con accuse visibilmente false per ordine di Comey.
Flynn, ex direttore del Defense Intelligence Agency (DIA) era ed e l’uomo che sa dove sono sepolti gli scheletri a Washington. Flynn era rimasto in carica solo tre settimane. Si preparava a ripulire le stalle di Augia del Deep State. Ma i suoi nemici sapevano bene che non avrebbero avuto scampo contro un uomo che conosceva tutti i loro più inconfessabili traffici.
Perciò era stato preso in una trappola dell’FBI scattata pochi giorni dopo l’inaugurazione di Trump. Dopodiché era stata scatenata l’Operazione Impeachment diretta da un altro ex direttore dell’FBI, James Mueller.
Da quel momento è stato un susseguirsi di trucchi sporchi attuati col sostegno totale dei media. Tutto è stato tentato per impedire il consolidarsi dell’amministrazione Trump e, in particolare, per impedire una collaborazione tra Trump e Putin entrambi colpevoli di non essere al servizio dei grandi oligarchi finanziari.
Una collaborazione tra i due presidenti e col presidente cinese Xi Jinping come rappresentanti degli interessi e aspirazioni dei rispettivi popoli sarebbe stata una campana a morto per gli interessi finanziari che avevano dominato gli Stati Uniti e gran parte del mondo per parecchi decenni. Erano state questi predatori finanziari che avevano distrutto la grande opportunità emersa nel 1989 con la caduta del muro di Berlino.
Erano state queste forze che avevano impedito la dissoluzione della NATO (ormai inutile dopo la fine dell’Unione Sovietica) e l’avevano trasformata nelle legioni dell’impero mondiale usando come base la cosiddetta superpotenza americana che nel frattempo veniva saccheggiata economicamente.
Questa era stata la ragione per cui gli americani avevano votato Trump il cui programma era fine delle guerre senza fine (le legioni della NATO) e fine del saccheggio dell’economia reale.
Cadono le accuse contro Flynn, crolla un altro pilastro del Russiagate. E ora si mette male per ComeyAtlantico Quotidiano
8 Mag 2020
http://www.atlanticoquotidiano.it/rubri ... per-comey/ Il caso Flynn è andato, chiuso. Ma non finisce qui, lo Spygate è solo all’inizio. Ieri sera il Dipartimento di Giustizia ha presentato una mozione al giudice federale Sullivan in cui ritira le accuse contro il generale Flynn, a seguito delle rivelazioni contenute nei documenti rilasciati nei giorni scorsi su richiesta della difesa, di cui abbiamo già parlato su Atlantico. Documenti da cui emerge uno schema meticolosamente pianificato per indurre il generale a dire qualcosa di sbagliato o di impreciso, per poterlo perseguire per falsa testimonianza o almeno farlo licenziare. In una parola: per incastrarlo.
L’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump va dunque verso il proscioglimento e la completa riabilitazione, mentre la posizione dell’allora direttore dell’FBI James Comey, come vedremo, si aggrava. Potrebbe presto essere chiamato a rispondere della sua condotta nel Russiagate.
Pesanti come macigni le frasi che si leggono nella mozione, che suonano come altrettanti capi d’accusa nei confronti degli ex vertici dell’FBI e del DOJ. “Dopo una ponderata revisione di tutti i fatti e le circostanze del caso, comprese le informazioni di recente scoperte e divulgate… il governo ha concluso che l’interrogatorio del signor Flynn era non collegato a, e non giustificato dall’indagine di controintelligence dell’FBI nei confronti del signor Flynn”. Una indagine che, si ricorda nella mozione, l’FBI era pronta a chiudere già il 4 gennaio perché, nelle sue stesse parole, non aveva portato ad alcuna informazione di illecito. “Il governo non è persuaso che l’interrogatorio del 24 gennaio 2017 fu condotto su basi investigative legittime e, quindi, non crede che le dichiarazioni di Flynn, anche se non vere, potessero valere come prova”.
Ma c’è di più. Non solo il DOJ dice che l’FBI non aveva una legittima ragione legale per interrogare Flynn, ma anche che non ci sono prove sufficienti che il generale abbia davvero mentito agli agenti durante l’interrogatorio illegale di quel 24 gennaio: “Inoltre, non crediamo che il governo possa provare oltre ogni ragionevole dubbio le false dichiarazioni”. L’intera indagine su Flynn era basata “unicamente sulle sue telefonate con Kislyak”, l’ambasciatore russo a Washington. E le chiamate erano “del tutto appropriate”.
Poco prima della presentazione della mozione, si è dimesso dal caso il procuratore Brandon Van Grack, che aveva fatto parte del team Mueller e aveva ottenuto l’ammissione di colpevolezza di Flynn, minacciando di perseguire il figlio se non avesse firmato e nascondendo numerose prove a discolpa, quelle che stanno venendo fuori nelle ultime settimane.
Ma la decisione del DOJ di ritirarsi non chiama in causa solo Van Grack. I passaggi della mozione che vi abbiamo riportato, i documenti già declassificati e quelli usciti ieri, che vedremo tra breve, indicano che dall’allora Attorney General ad interim Sally Yates, al direttore dell’FBI Comey e al vice McCabe, fino agli agenti Strzok e Page, hanno tutti inventato una ragione fasulla per interrogare Flynn e mentito sulle sue risposte per incastrarlo.
Testimoniando al Congresso il direttore Comey ricordò che nonostante non avessero notato i segnali tipici di chi sta mentendo, “la conclusione degli investigatori era che lui stava chiaramente mentendo”. “Non c’è dubbio che stava mentendo”. E confermava che con “mentire” intendeva proprio l’intento di ingannare: “Sicuro”.
Nella mozione del DOJ questa versione viene smentita: “Dopo l’interrogatorio – si legge – gli agenti espressero incertezza sul fatto che Flynn avesse mentito. Gli agenti riportarono alla loro leadership che Flynn aveva mostrato ‘un atteggiamento molto sicuro’ e ‘nessun indicatore di inganno’. Entrambi gli agenti avevano l’impressione in quel momento che Flynn non avesse mentito o che non ritenesse di dichiarare il falso”. E quando al direttore Comey fu chiesto se Flynn avesse mentito, riporta il DOJ, lui rispose: “I think there is an argument to be made he lied. It is a close one”.
Sempre Comey ha confermato al Congresso l’esistenza di un rapporto degli agenti FBI sull’interrogatorio di Flynn del 24 gennaio, ma non è mai stato fornito fino ad oggi da FBI o DOJ, che anzi hanno affermato che non esiste.
Da un altro documento declassificato ieri, emerge che la vice AG Sally Yates dichiarò all’FBI di aver appreso delle telefonate di dicembre tra Flynn e Kislyak, e che avevano riguardato anche le sanzioni, dal presidente Obama in persona, al termine di una riunione nello Studio Ovale il 5 gennaio, sullo scadere quindi della transizione tra le due amministrazioni, e di esserne rimasta sorpresa. Il presidente chiese se bisognava trattare Flynn diversamente e il direttore Comey, anche lui presente come il vicepresidente Biden, fece riferimento al Logan Act ma non ad una indagine su Flynn, sempre secondo la versione della Yates, non smentita.
Il 6 gennaio Comey, come ricorderà lui stesso, aggiornò Sally Yates e da quel giorno “niente, per quanto ricordi, accade fino al 13 gennaio”, quando David Ignatius pubblica sul Washington Post un pezzo in cui riporta delle telefonate Flynn-Kislyak e parla della possibile violazione del Logan Act.
Ricapitoliamo: del 4 gennaio è il rapporto dell’FBI che chiude l’indagine su Flynn perché non aveva prodotto nulla. Almeno dal 5 gennaio il presidente Obama sa delle telefonate e del loro contenuto (le sanzioni), anche se come l’FBI stessa scriveva nel rapporto conclusivo non c’era nulla di illecito o inappropriato. Del 24 gennaio l’interrogatorio alla Casa Bianca in cui Flynn viene incastrato – e dello stesso giorno le note in cui l’agente Priestap si chiede se lo scopo è farlo confessare o indurlo a mentire per poterlo perseguire o almeno farlo licenziare.
Il 4 gennaio, con il coinvolgimento del “7° piano” (dove sono gli uffici di Comey e McCabe), l’agente Strzok aveva ottenuto di tenere aperta un’indagine praticamente chiusa, ma da quel giorno non succede niente fino al 13 gennaio, cioè fino al leak (illegale) a Ignatius, che a questo punto appare evidente sia servito, facendo esplodere pubblicamente il caso, a “giustificare” la prosecuzione dell’indagine e l’interrogatorio.
Dai documenti declassificati ieri, sappiamo anche che le trascrizioni delle telefonate Flynn-Kislyak furono opera dell’FBI, che per Comey “erano tenute molto strette”, e che della stessa FBI fu la decisione di rivelare il nome di Flynn in esse. Il che restringe di molto il cerchio per quanto riguarda il nome di chi può averle passate a Ignatius.
I motivi per cui l’FBI aveva deciso, fin dall’agosto 2016, di aprire un’indagine di controintelligence su Flynn emergono da un altro documento e appaiono davvero debolucci: Flynn viene “nominato consigliere del team Trump su questioni di politica estera nel febbraio 2016; ha legami con varie entità affiliate allo stato russo, come riportato da informazioni pubbliche; ed è stato in Russia nel dicembre 2015, come riportato da informazioni pubbliche”.
Va ricordato anche che nel 2014 il presidente Obama aveva licenziato Flynn, allora a capo della Defense Intelligence Agency. All’epoca il generale sosteneva che non si combattesse abbastanza il terrorismo islamico e aveva prodotto un rapporto in cui si avvertiva come il caos in Siria avrebbe favorito la nascita dell’Isis. Denunciava incompetenze e fallimenti dell’intelligence, sostenendo la necessità di una sua riforma di sistema. Note anche le sue posizioni intransigenti sull’Iran, in particolare la sua totale contrarietà all’accordo sul programma nucleare. Da consigliere per la sicurezza nazionale di Trump avrebbe potuto contribuire a spazzare via la principale eredità di politica estera di Obama – cosa che è comunque avvenuta.
Ieri sera, intervistato dalla CBS, l’Attorney General William Barr ha spiagato la decisione del Dipartimento di ritirare le accuse contro Flynn: “Voglio assicurarmi di ripristinare la fiducia nel sistema. C’è un solo standard di giustizia. E credo che… la giustizia in questo caso richieda di respingere le accuse contro il generale Flynn”. A dimostrazione della condotta non in buona fede degli investigatori, “una cosa che le persone vedranno quando guarderanno i documenti, è come il direttore Comey abbia volutamente aggirato il Dipartimento di Giustizia e ignorato il vice procuratore generale Yates”. Barr ha ribadito comunque che sulle origini del Russiagate, sia prima che dopo le elezioni, sta indagando il procuratore Durham e se emergeranno comportamenti penalmente rilevanti, gli autori verranno perseguiti.
Molto più duro il presidente Trump sul caso Flynn:
“È stato preso di mira dall’amministrazione Obama. E fu preso di mira per cercare di abbattere un presidente. Quello che hanno fatto è una vergogna e spero che verrà pagato un prezzo alto. Un alto prezzo dovrebbe essere pagato. Non c’è mai stato niente di simile nella storia del nostro Paese. Ciò che hanno fatto, ciò che l’amministrazione Obama ha fatto è senza precedenti. Non è mai successo. Mai. Una cosa del genere non è mai accaduta prima nella storia del nostro Paese e spero che molte persone pagheranno un prezzo enorme. Perché sono persone disoneste, corrotte… Sono feccia. Feccia umana. Il Dipartimento di Giustizia dell’amministrazione Obama è stato una vergogna e sono stati beccati… È tradimento, è tradimento”.
Insomma, il caso Flynn è stato montato sulla base di un interrogatorio illegittimo e le telefonate incriminate erano “del tutto appropriate”.
Non c’era fondato motivo nemmeno per mettere sotto sorveglianza Carter Page e, tramite lui, la Campagna Trump.
Furono nascoste alla Corte FISA prove a discolpa sia di Page che di Papadopoulos.
Il falso dossier Steele, pagato dai Democratici e dalla Clinton, pieno di disinformazione russa.
Cosa resta del Russiagate? Zero. Ma non leggerete nulla di tutto questo sui giornali italiani che nel 2017 fecero da megafono alla più grande bufala della storia americana, mentre in realtà si consumava il più grande scandalo politico dai tempi del Watergate.
Obamagate peggio del Watergate: tutte le impronte di Obama nella campagna per sabotare la presidenza Trump Atlantico Quotidiano
13 maggio 2020
http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... nza-trump/“Obamagate makes Watergate look small time!”, il Watergate è poca cosa in confronto all’Obamagate. “Il più grande crimine politico della storia americana”, un crimine “molto grave”. I roboanti tweet del presidente Trump di ieri e dei giorni scorsi aprono di fatto quello che lui stesso ha ribattezzato “Obamagate” e sembrano suggerire che l’inchiesta del procuratore Durham sulle origini dell’indagine di controintelligence sulla presunta collusione con la Russia stia puntando al bersaglio più grosso: l’ex presidente Obama.
Sui media italiani, gli stessi che per mesi hanno cavalcato e fatto da megafono alla bufala del Russiagate, è probabile che non leggerete e non sentirete nulla di quanto sta accadendo in questi giorni a Washington.
Ma come si è arrivati al coinvolgimento dell’ex presidente Obama in quello che l’Attorney General William Barr ha di recente definito “un intero schema di eventi per sabotare la presidenza Trump”?
Da un passaggio della testimonianza declassificata dell’ex vice procuratore generale Sally Yates, che abbiamo riportato già la scorsa settimana. La vice AG dichiarò al team del procuratore speciale Mueller di aver appreso delle telefonate di dicembre tra il generale Flynn (consigliere per la sicurezza nazionale entrante) e Kislyak (l’ambasciatore russo a Washington), e del loro contenuto, sanzioni comprese, dal presidente Obama in persona, al termine di una riunione nello Studio Ovale il 5 gennaio 2017, sullo scadere quindi della transizione tra le due amministrazioni, e di esserne rimasta “sorpresa”.
Presenti anche il vicepresidente Biden, il direttore dell’FBI Comey e il consigliere per la sicurezza nazionale Susan Rice. L’incontro seguiva una riunione più allargata con tutti i vertici della comunità di intelligence Usa (Brennan della CIA e il DNI Clapper) che aveva come oggetto la valutazione sulle interferenze della Russia nelle elezioni presidenziali appena tenutesi con l’esito che sappiamo. Dell’indagine su Flynn e delle sue telefonate con Kislyak si parlò anche nella riunione allargata precedente?
Dalle audizioni a porte chiuse della Commissione Intelligence della Camera declassificate la scorsa settimana (57 in tutto tra 2017 e 2018, 6.000 pagine) sappiamo che l’allora direttore dell’Intelligence Nazionale, James Clapper, testimoniò a luglio del 2017 di non aver mai informato il presidente Obama dell’oggetto di quelle conversazioni. Ma durante la sua audizione del 2 marzo, il direttore dell’FBI Comey aveva dichiarato che fu proprio Clapper ad informare il presidente prima dell’incontro nello Studio Ovale con Rice, Comey e Sally Yates.
Le identità dei funzionari dell’amministrazione Obama che erano a conoscenza delle chiamate tra Flynn e Kislyak sono diventate uno snodo chiave nell’indagine del procuratore Durham. Il nome di Flynn e i contenuti dei suoi colloqui con Kislyak erano informazioni classificate ai massimi livelli, eppure furono passate al Washington Post all’inizio di gennaio per creare un pretesto affinché l’FBI interrogasse Flynn. Un grave illecito. Di ieri la notizia che l’attuale direttore dell’Intelligence Nazionale, Richard Grenell, ha autorizzato la declassificazione dei nomi dei funzionari che autorizzarono l’identificazione di Flynn nelle trascrizioni delle intercettazioni.
Ora sappiamo, dalle note del capo della controintelligence Bill Priestap, che abbiamo già riportato, dagli altri documenti di recente declassificati e dalla richiesta del Dipartimento di Giustizia di lasciar cadere le accuse contro Flynn, che in quelle conversazioni telefoniche non c’era nulla di inappropriato, che l’FBI già il 4 gennaio era pronta a chiudere l’indagine, ma che al 7° piano dell’agenzia (direttore e vice) decisero di tenerla aperta e di interrogare, pur senza basi investigative legittime, il primo consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, per indurlo in errore così da poterlo incriminare o farlo licenziare. In una parola, una trappola, che avrebbe letteralmente fatto esplodere il Russiagate.
Due giorni dopo l’interrogatorio del 24 gennaio, Sally Yates, in quel momento procuratore generale ad interim, utilizzò quelle trascrizioni per cercare di far licenziare Flynn, avvertendo la Casa Bianca che il neo consigliere si era “compromesso” con una falsa dichiarazione ed era “vulnerabile” ai ricatti russi. Cosa che sapeva benissimo essere falsa.
Ma la versione della Yates, non smentita, indica che almeno dal 5 gennaio il presidente Obama era a conoscenza dell’indagine e del contenuto delle telefonate, e mostra come il direttore Comey abbia volutamente aggirato il Dipartimento di Giustizia e ignorato la vice procuratore generale. Il team Durham starebbe indagando per verificare i sospetti dei legali di Flynn, secondo i quali fu proprio Obama a ordinare a Comey e alla Yates di continuare l’indagine sul generale, sul presupposto della violazione del Logan Act, proprio durante l’incontro del 5 gennaio. Sulla base evidentemente di una motivazione politica, dato che elementi a suo carico non erano emersi, nemmeno nelle telefonate con Kislyak, e l’indagine era già praticamente chiusa dal giorno prima. Insomma, sarebbe stato Obama il vero architetto del Russiagate.
C’è anche una prova “logica”. Nelle dichiarazioni del vice direttore McCabe e del capo della controintelligence Priestap, la decisione dell’FBI di non procedere con un “briefing difensivo” al candidato Trump sul rischio che qualcuno della sua squadra stesse colludendo con la Russia viene sempre motivata con il fatto che all’epoca non sapevano esattamente chi della Campagna fosse coinvolto con i russi e non volevano pregiudicare l’indagine influenzando il comportamento dei sospettati. Ci sta. La motivazione però non regge più all’indomani dell’elezione di Trump, dal momento che l’FBI aveva ormai individuato quattro persone, tra cui il generale Flynn, su cui concentrare le proprie indagini in altrettanti filoni dell’inchiesta Crossfire Hurricane. Eppure, ancora nessun “briefing difensivo” a colui che era nel frattempo diventato il presidente eletto.
Quindi arriva l’incontro del 5 gennaio. Nei suoi appunti, l’allora consigliere per la sicurezza nazionale Susan Rice ricorda che “dal punto di vista della sicurezza nazionale, il presidente Obama ha affermato di voler essere sicuro che, mentre ci impegniamo con la squadra entrante, stiamo attenti nell’accertare se c’è qualche motivo per cui non possiamo condividere completamente le informazioni per quanto riguarda la Russia”. Inoltre, scrive la Rice, “il presidente ha chiesto a Comey di informarlo di qualsiasi sviluppo nelle prossime settimane che dovrebbe influenzare il modo in cui condividiamo informazioni classificate con la squadra entrante”. E il direttore dell’FBI eseguirà l’ordine.
Obama sapeva che il presidente Trump avrebbe nominato Flynn consigliere per la sicurezza nazionale. E sapeva che era in corso un’indagine dell’FBI su Flynn, sull’ipotesi che collaborasse con la Russia. Eppure, ordinò ai suoi di non metterne al corrente il presidente eletto.
Anche dopo l’insediamento della nuova amministrazione, Comey ha continuato a seguire il suggerimento di Obama non informando Trump e, anzi, violando prassi e protocolli il 24 gennaio ha mandato i suoi agenti alla Casa Bianca per interrogare Flynn.
Delle due l’una, come ha osservato Margot Cleveland di The Federalist, o il presidente Obama voleva lasciare un sospetto “agente russo” alla Casa Bianca, o sapeva che l’intera indagine era una bufala, una montatura.
In effetti, le impronte di Obama sulla campagna di sabotaggio (e spionaggio) ai danni del team del presidente eletto erano già evidenti nel marzo 2017, quando scrissi questo articolo.
Solo sette giorni prima di andarsene, come riportava Usa Today, l’allora presidente modificò la linea di successione al Dipartimento di Giustizia in modo che un suo uomo si trovasse a supervisionare l’indagine sui legami Trump-Russia nel caso il nuovo Attorney General Sessions fosse stato costretto a ricusarsi (come poi è avvenuto). E come riportato dal New York Times, solo 14 giorni prima di lasciare, Obama aveva esteso i poteri della NSA (Executive Order 12333) per consentirle di condividere le trascrizioni delle “comunicazioni personali intercettate” con altre 16 agenzie federali (tra cui l’FBI) prima di applicare le restrizioni previste dalla tutela della privacy, in modo che funzionari a lui fedeli ovunque nell’amministrazione potessero più facilmente avere accesso, utilizzare, ed eventualmente passare alla stampa amica, passaggi attentamente selezionati. Lo stesso NYT riportava che negli ultimissimi giorni di presidenza Obama, alcuni funzionari della Casa Bianca si sono fatti in quattro per assicurarsi che le informazioni fossero preservate e diffuse il più possibile tra le agenzie governative, ad uso e consumo di eventuali ulteriori indagini e della stampa.
Ma nei giorni scorsi sono emersi ulteriori elementi rilevanti rispetto all’incontro del 5 gennaio nello Studio Ovale che chiama in causa l’ex presidente Obama.
Cosa è emerso dalle audizioni a porte chiuse dalla Commissione Intelligence della Camera? È emerso che proprio mentre era in corso l’inchiesta del procuratore speciale Mueller, e mentre i Democratici e la stampa liberal (e di mezzo mondo) alimentavano la narrazione del Russiagate fino alla procedura di impeachment, gli alti funzionari dell’amministrazione Obama, nel chiuso delle stanze della Commissione presieduta dal Democratico Adam Schiff, ammettevano di non aver visto “prove empiriche” di una collusione tra la Campagna Trump e la Russia. A cominciare dall’ex DNI James Clapper: “Non ho mai visto alcuna prova empirica diretta che la Campagna Trump o qualche suo associato stesse complottando o cospirando con i russi per interferire nelle elezioni”. Preoccupazioni sì, “prove aneddotiche”, ma niente di più. In questi termini anche l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Susan Rice, l’ex vice consigliere Ben Rhodes (“non ho visto prove specifiche”) e l’ex ambasciatrice all’Onu Samantha Power. Persino l’ex Attorney General Loretta Lynch, alle cui dipendenze era l’FBI, che indagava sulla Campagna Trump almeno dal 31 luglio 2016, se non da prima.
L’allora direttore ad interim dell’FBI, Andrew McCabe, ammetteva che il dossier Steele non era stato verificato. E oggi sappiamo dal rapporto Horowitz che fu l’elemento “essenziale” per ottenere, ingannando la Corte FISA, l’autorizzazione a sorvegliare Carter Page.
Ma c’è di più. Sempre in una di queste audizioni, John Podesta, il presidente della Campagna Clinton, ha ammesso che sia lui che la candidata Dem sapevano di aver commissionato la ricerca di materiale compromettente sui legami di Trump con la Russia. E ha ammesso che tramite lo studio legale Perkins Coie, il Comitato nazionale democratico e la Campagna Clinton si sono divisi fifty-fifty i costi della Fusion GPS e del dossier Steele, anche se ha precisato di averlo saputo dopo le elezioni e la sua prima testimonianza al Senato. Il legale della Campagna Clinton Marc Elias ha testimoniato di aver spedito il conto della Fusion al manager della Campagna, Robby Mook.
Importanti rivelazioni anche nella testimonianza declassificata di Michael Gaeta, l’agente dell’FBI che dall’ambasciata di Via Veneto, a Roma, gestiva la fonte Christopher Steele. Gaeta ha dichiarato di aver chiesto a Steele nel luglio 2016 “se il dossier non era verificato. Disse che non aveva alcuna conferma indipendente da altre fonti”. Eppure, Gaeta inoltrò il dossier ai piani alti dell’FBI. Tra luglio e ottobre 2016, furono sei i rapporti riguardanti Trump e la Russia che come informatore retribuito Steele ha passato all’FBI. Gaeta ha inoltre testimoniato di aver annotato in rapporti FD-1023 il suo primo incontro con Steele il 5 luglio 2016 (a Roma) e l’ultima conversazione, a novembre, ma l’ispettore generale Horowitz non ne ha menzionato alcuno nel suo rapporto. All’ex agente britannico la sede centrale dell’FBI accordò un lauto compenso, che gli fu offerto durante un altro incontro, il 3 ottobre, anche questo a Roma, con tre agenti del team che indagava sulla Campagna Trump. Circa un mese dopo, la chiusura formale del rapporto con Steele, dopo aver scoperto che stava diffondendo parti del dossier alla stampa e a mezza Washington.
Insomma, da prima dell’insediamento del presidente Trump alla Casa Bianca, l’FBI, il Dipartimento di Giustizia e i funzionari apicali dell’amministrazione Obama, sapevano tutti che non c’era alcun elemento concreto che provasse una collusione del team Trump con la Russia. Nulla era emerso su Flynn. Il dossier Steele era una bufala, che l’FBI sapeva – come accertato dall’ispettore Horowitz – essere non verificato, pagato dal Comitato nazionale democratico e dalla Campagna Clinton, nonché pieno di disinformazione russa. Anche il contatto Papadopoulos-Mifsud, usato per giustificare l’apertura dell’indagine Crossfire Hurricane il 31 luglio 2016, non aveva portato a nulla, come mostra il colloquio di fine ottobre 2016 con un informatore di recente declassificato. Eppure, i funzionari – ex o ancora in carica – fedeli a Obama inondavano di leaks la stampa liberal per alimentare la narrazione del Russiagate e delegittimare la presidenza, facendo credere che dalle indagini stavano emergendo tonnellate di prove, pur sapendo che era vero il contrario. Sulla base di questa montatura è stato nominato il procuratore speciale Mueller, il cui scopo era di porre le basi per l’impeachment, nel caso di maggioranza Dem anche al Senato, e il cover-up dell’indifendibile indagine di controintelligence condotta dall’FBI. “La vittoria di Donald Trump – sentenzia il board del Wall Street Journal – ha aumentato le possibilità che questo spionaggio senza precedenti su un avversario politico venisse scoperto, il che sarebbe stato per lo meno imbarazzante”. “Prendere di mira Flynn, e vendere lo screditato dossier Steele”, ha consentito di mantenere “bollente” il Russiagate e di aprire l’indagine Mueller, che dopo due anni “non ha prodotto prove di collusione”.