L’Fbi indagò su Trump per capire se lavorasse per Moscaleonardo martinelli
2019/01/12
https://www.lastampa.it/2019/01/12/este ... agina.html L’Fbi aprì un’indagine su Donald Trump nei giorni successivi al siluramento di James Comey per accertare se il presidente lavorasse, volontariamente o inconsapevolmente, per la Russia. L’inchiesta, poi rilevata dal procuratore speciale Robert Mueller, riguardava non solo una possibile ostruzione alla giustizia per il licenziamento del capo dell’Fbi ma anche la ben più pesante ipotesi di un presidente a servizio di Mosca contro gli interessi americani, ovvero una minaccia alla sicurezza nazionale.
Le rivelazioni del New York Times, che scrive di un coinvolgimento degli agenti del controspionaggio nelle indagini, hanno scatenato la furia del tycoon. In una serie di tweet a catena oggi Trump non ha risparmiato nessuno: ha attaccato il «fallimentare New York Times», i «capi corrotti» dell’Fbi, Hillary Clinton e i democratici. «Un viscidume totale», ha tagliato corto, definendo il licenziamento di Comey «un grande giorno per l’America». Non è rimasto esente dalle critiche neanche il procuratore speciale per il Russiagate: «Comey è protetto dal suo migliore amico, Bob Mueller», ha twittato il presidente, ribadendo che le indagini sul Russiagate non sono altro che una gigantesca caccia alle streghe. Affidato a Twitter anche il commento di Comey, che ha scomodato Franklin Delano Roosevelt: «Giudicatemi dai nemici che mi sono fatto».
Secondo il New York Times, gli agenti dell’Fbi erano già sospettosi dei legami fra Trump e i russi durante la campagna del 2016. Nonostante questo decisero di non agire e di non aprire alcuna inchiesta, preoccupati per le conseguenze. Di fronte al licenziamento di Comey, alla condotta di Trump prima e dopo l’annuncio e soprattutto ai suoi riferimenti al legame fra il licenziamento di Comey e le indagini sulla Russia, l’Fbi decise però di intervenire e coinvolgere anche gli agenti del controspionaggio. Mueller ha rilevato l’indagine dell’Fbi quando è stato nominato, ovvero pochi giorni dopo che era stata avviata. Non è chiaro se l’inchiesta del procuratore speciale riguardi ancora aspetti relativi al controspionaggio.
La Casa Bianca ha comunque liquidato le rivelazioni del quotidiano come «assurde». Il segretario di Stato Mike Pompeo ha bollato come «ridicola» l’idea che Trump possa essere una minaccia alla sicurezza nazionale. Mentre il legale del presidente, Rudolph Giuliani, ha smorzato l’importanza dell’indagine: «Il fatto che sia datata un anno e mezzo fa e che nulla sia emerso vuol dire che non hanno trovato proprio nulla».
Ma la portata delle indiscrezioni apre un nuovo fronte per Trump. Finora infatti tutto sembrava convergere intorno ad una potenziale ostruzione alla giustizia del presidente. Il New York Times disegna invece uno scenario quasi da fantascienza, un inquilino della Casa Bianca colluso con la Russia contro gli interessi americani. Un fronte dalle implicazioni ancora maggiori e che emerge in attesa della conclusione delle indagini di Mueller, in previsione della quale Trump avrebbe già assunto altri 17 avvocati per difenderlo.
I tre personaggi chiave che smontano il RussiagateFulvio Scaglione
21 gennaio 2019
http://www.occhidellaguerra.it/67224-2 L’ultima dal Russiagate è la topica clamorosa di Buzzfeed, il sito americano abituato agli scoop. La notizia che avrebbe dovuto sconvolgere i lettori era questa: Donald Trump ha costretto il proprio avvocato, Mike Cohen, a mentire durante l’inchiesta del Congresso sulle trattative per costruire una Trump Tower a Mosca. Peccato che Buzzfeed si sia preso sui denti la smentita non di Trump ma addirittura di Robert Mueller, il procuratore che indaga sul Russiagate. Proprio lo sbirro taciturno che sta cercando di incastrare Trump.
Un epic fail, quello di Buzzfeed, che però la dice lunga sul clima che si respira negli Usa e non solo. Il presunto scoop su Cohen era fatto di voci e fonti anonime, nella migliore tradizione del Russiagate. Ma Buzzfeed si è lanciato perché sta crescendo l’ansia sugli esiti di un’indagine che ha, tra le altre, una caratteristica: non finisce mai. Tanto che di recente il mandato di Mueller è stato prolungato di altri sei mesi. Un bel po’, visto e considerato che, secondo la maggior parte dei media, le prove della colpevolezza di Trump si raccolgono a carrettate.
Sulle presunte interferenze del Cremlino nelle elezioni americane del 2016, e in particolare sugli eventuali maneggi dei russi per far eleggere Trump, lavorano dall’estate del 2016 (cioè da quando Barack Obama, il presidente che faceva spiare mezzo mondo, compresi i telefonini della Merkel e di Hollande, denunciò l’affare russo, rovesciando abilmente la frittata) i servizi segreti e lo stesso governo americano, attraverso il Dipartimento di Giustizia che ha nominato, appunto, il procuratore Mueller.
Due anni e mezzo di indagini per approdare a nulla. Nessuno ha saputo spiegare, finora, in che modo i tweet e i post dei presunti hacker russi avrebbero fatto cambiare idea agli elettori americani, spostandoli dalla Clinton a Trump. Nessuno ha finora prodotto uno straccio di prova sui presunti rapporti illeciti di Trump con il Cremlino. Lo stesso si può dire dei personaggi collaterali dell’inchiesta. Bisogna citarne almeno tre.
La prima è Maria Butina, russa, 31 anni. Arrestata nel luglio del 2018 e tenuta sempre in prigione, il 13 dicembre scorso ha raggiunto un accordo con l’accusa e si è dichiarata colpevole di “conspiracy to act as an illegal foreign agent“, che potremmo tradurre con “associazione a delinquere per spionaggio”. In sostanza, la ragazza avrebbe cercato di intortare un po’ di politici repubblicani per avere notizie e retroscena che avrebbe poi girato ad Aleksandr Torshin, già senatore di Russia Unita (il partito di Vladimir Putin) e vice governatore della Banca Centrale di Russia, suo mentore. Per esserci una conspiracy, però, bisogna che al reato abbiano partecipato altre persone. Nessun altro, al momento, è incriminato con la Butina che, in caso di condanna, rischia cinque anni di carcere che non sconterà mai. Tutti infatti prevedono la sua espulsione dagli Usa subito dopo la sentenza. Da notare che questa super-spia per ben due volte, nel 2016, si era vantata con i compagni di college di avere relazioni in alto loco a Mosca, e le sue vanterie erano state subito riportate alla polizia, che la teneva d’occhio. Non si capisce quale relazione potrebbe aver avuto la Butina con Trump o con la sua vittoria elettorale.
Secondo: il lobbysta Paul Manafort. Tutti lo chiamano “direttore della campagna elettorale” di Trump, perché fa effetto. Ma lui occupò quella posizione solo per due mesi e mezzo (giugno-agosto) nel 2016. Manafort è stato processato due volte. La prima in Virginia, con 18 imputazioni. Dieci sono cadute, per le altre otto è stato giudicato colpevole ma si tratta di reati finanziari, dall’evasione fiscale alla frode. La seconda nel Distretto di Columbia, con cinque imputazioni. Dopo un accordo con l’accusa, si è riconosciuto colpevole di frode ai danni degli Usa e subornazione di testimone. Che cosa c’entra con l’elezione del 2016?
Terzo: Mike Cohen, l’avvocato personale di Donald Trump. Arrestato il 21 agosto del 2018, si è dichiarato colpevole di otto capi d’accusa: cinque per evasione fiscale, uno per falsa testimonianza davanti a un’istituzione finanziaria, uno per aver ottenuto un contributo elettorale aziendale in modo illegale e infine per aver fatto una donazione eccessiva durante la campagna elettorale “allo scopo di influenzarne l’esito”. È questo il riferimento a Trump: sono i soldi dati alla pornostar Stormy Daniels perché tacesse sui suoi rapporti con Trump. Fa rumore ma ci sono numerosi precedenti, nella storia politica americana, che autorizzano a dire che Trump non sarebbe mai condannato per questo. Cohen, però, ha anche ammesso (21 novembre 2018) di aver mentito al Senato e alla Camera avendo dichiarato sotto giuramento che le trattative per la Trump Tower di Mosca, da lui condotte nel 2015 e 2016, si erano chiuse nel gennaio del 2016, mentre lo stop era arrivato nel giugno del 2016.
Ed è qui che arriva il finto scoop di Buzzfeed. Il sito sosteneva che era stato Trump a ordinare a Cohen di mentire, mentre Cohen ha sempre detto di averlo fatto di propria spontanea volontà. La smentita del procuratore Mueller fa capire quale sia la verità. Due anni e mezzo di lavoro dei servizi segreti e del governo per questo? Senza contare l’indagine su Trump che l’Fbi avrebbe aperto, e a quanto pare anche chiuso, nel 2017 per verificare se il presidente stesse o no lavorando per i russi. Immaginate che cosa succederebbe in Italia se saltasse fuori che i servizi segreti hanno indagato sul presidente Mattarella, sospettandolo, si fa per dire, di lavorare per la Ue ai danni dell’Italia? Non vorremmo saperne di più? Non vorremmo che il capo dei servizi ci desse, e desse a Mattarella, delle buone spiegazioni? Invece tutti gridarono allo scandalo quando Trump licenziò James Comey, il direttore dell’Fbi che aveva ordinato appunto quell’indagine. Ma se chiamiamo complottisti quelli che credono alle scie chimiche, come vogliamo chiamare quelli che credono al Russiagate e sono convinti che il presidente degli Usa lo abbia scelto Putin? Eppure non c’è dato di fatto o evidenza politica che faccia ragionare chi non vuole ragionare. Gli ultimi, per restare negli Usa, sono quelli della rivista Wired, che in un recente numero hanno pubblicato un articolo intitolato “Trump deve essere un agente russo, perché l’alternativa sarebbe troppo imbarazzante”. Uno pensa: finalmente un po’ di buon senso. E invece no. L’editorialista dice: Trump deve essere al servizio dei russi altrimenti, viste le cose che ha fatto, sarebbe un completo imbecille. Cioè: Trump è colpevole comunque. Mentre ciò che certi media dovrebbero cominciare a pensare, arrivati a questo punto, è: speriamo che Trump sia davvero un agente segreto del Cremlino, altrimenti salterà fuori che tutti noi siamo stati dei completi imbecilli.