Trump Donald

Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » sab gen 05, 2019 5:20 am

Trump fa volare l'economia Usa: creati 2,6 milioni di posti di lavoro
Renato Zuccheri - Ven, 04/01/2019

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/tru ... meElUYPyJQ

Dati molto positivi nel 2018 secondo il Dipartimento del Lavoro. Per gli Stati Uniti di Trump, arrivano nuovi record

Donald Trump può esultare. Nel 2018 l'economia degli Stati Uniti ha creato 2,64 milioni di posti di lavoro.

Un risultato eccellente: il terzo miglior risultato dalla recessione del 2008. A rendere noti i dati dell'economia americana, il Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti che ricorda come a dicembre 2018, le aziende Usa hanno assunto più del previsto. Come scrive Tgcom24, "sono stati infatti creati 312.000 posti di lavoro mentre gli analisti ne attendevano 176.000".

Nel mese di dicembre, il settore privato ha creato 301.000 posti di lavoro, mentre il pubblico ne ha creati 11mila. Numeri estremamente positivi dimostrati anche dai risultati del settore delle costruzioni che, nonostante le difficoltà del mercato immobiliare, fanno registrare 38.000 posti di lavoro. Questo fa sì che il settore abbia creato 280.000 posti nel 2018, con un aumento del 12% rispetto al 2017. 32.000 posti sono stati quelli creati dal settore manifatturiero, mentre le vendite al dettaglio fanno registrato un aumento di 24mila posti.

Secondo Tgcom24, "il rialzo di dicembre segna il 99esimo mese di fila in cui i datori di lavoro hanno reclutato personale, un nuovo record. Inoltre, si tratta del maggior aumento da febbraio". Dati cui si aggiungono anche quelli dei salari, che aumentano a dicembre dello 0,4% rispetto al mese precedente, facendo registrare un +3,2% rispetto al 2017.

Donald Trump non può fare altro che esprimere la sua soddisfazione. Su Twitter, il presidente afferma: "Ottimi numeri quelli sul mercato del lavoro appena annunciati".




Una demente nazi-maomettana

La deputata islamica contro Trump: "Impeachment per quel figlio di ..."
Andrea Riva - Ven, 04/01/2019

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/dep ... 24301.html

La deputata dem Rashida Tlaib: "Non vincono, perché noi entreremo lì e metteremo quel figlio di p... sotto impeachment"

Stanno facendo parecchio discutere le parole pronunciate da Rashida Tlaib, deputata democratica del Michigan, durante un comizio improvvisato allo State Room Bar.

Dopo aver giurato su una copia del Corano appartenuta a Thomas Jefferson, la donna ha detto, come riporta l'AdnKronos: "Non lasciate che nessuno mai, mai vi tolga le vostre radici, la vostra cultura, la vostra identità... E quando vostro figlio mi ha guardata e mi ha detto 'Mamma, guarda. Hai vinto, i bulli non vincono'... Io ho detto 'Non vincono, perché noi entreremo lì e metteremo quel figlio di p... sotto impeachment". Ovviamente la deputata non ha nominato Trump, ma il riferimento al presidente è più che evidente.

Sarah Sanders, portavoce alla Casa bianca, però detto a Fox News: "Non si metterà in stato d'accusa questo presidente, che ha avuto due anni di successo, più di quanto abbia avuto ogni altro presidente della storia moderna. L'unico motivo per cui attaccano questo presidente -ha aggiunto- è perché sanno che non possono batterlo".

In una serie di tweet, inoltre, la Tlaib non ha fatto alcuna marcia indietro. "Dirò sempre la verità davanti al potere. Questo non riguarda solo Donald Trump -ha aggiunto-. Riguarda tutti noi. Davanti a questa crisi costituzionale, dobbiamo alzarci".
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » lun gen 07, 2019 8:13 pm

La Fed resuscita le Borse mondiali
Maddalena Camera - Sab, 05/01/2019

http://www.ilgiornale.it/news/economia/ ... 24412.html

Parla il presidente Powell: "Pronti a cambiare la rotta della politica monetaria"

Torna il sereno sulle Borse mondiali. Wall Street si è lasciata alle spalle il tonfo legato ad Apple e anche le piazze europee ieri hanno cominciato a correre dopo le parole di Jerome Powell.

Il governatore della Federal Reserve «resiste» agli attacchi di Donald Trump: «non mi dimetterei se lo chiedesse». E assicura: la Fed sarà «paziente» e «flessibile» nella sua politica monetaria. Powell ha promesso di ricorrere a «tutti gli strumenti a disposizione», compresa la riduzione del bilancio della Fed che solo un mese fa sembrava intoccabile. Immediata la reazione dei mercati, già in forte rialzo grazie alla decisione della Cina di tagliare le riserve per le banche in modo da stimolare l'economia, al nuovo round di trattative commerciali fra Washington e Pechino e ai dati sopra le attese dell'occupazione americana.

Nonostante il calo dell'inflazione dell'Eurozona all'1,6%, Londra è salita del 2,18%, Parigi è rimbalzata del 2,72% mentre a Francoforte il Dax è cresciuto del 3,37%. Bene anche Milano: +3,37 per cento. Mentre il Dow (alle ore 20) saliva del 3,2% e il Nasdaq del 4,4%. A Wall Street, dopo la scossa provocata giovedì dal taglio delle previsioni di fatturato di Apple, la situazione sembra migliorata anche per Cupertino, che aveva bruciato il 10% del valore delle sue azioni in Borsa in un solo giorno, in progresso del 3,8 per cento. Una psinta è arrivata dai numeri del mercato del lavoro: l'Azienda America ha creato in dicembre 312.000 posti di lavoro, decisamente più dei 184.000 attesi dagli analisti. Il tasso di disoccupazione è salito al 3,9% dal 3,7% di novembre: si tratta di un aumento positivo perchè innescato dal maggior numero di americani usciti dalla retrovie per cercare un'occupazione.

Ma sono state le parole di Powell a fare la differenza per i mercati. Il presidente della Fed è intervenuto a una tavola rotonda con i suoi predecessori Janet Yellen e Ben Bernanke in occasione dell'assemblea annuale dell'American Economic Association, ad Atlanta. Powell, che nei giorni scorsi era stato criticato dal presidente Trump, per aver alzato i tassi di interesse Usa, ieri ha spiegato che la banca centrale «ascolta attentamente» il messaggio lanciato dagli investitori ed è pronta a cambiare strada. Se le condizioni finanziarie dovessero diventare troppo restrittive - e quindi, se la Borsa dovesse scendere ancora - la politica monetaria potrebbe cambiare. L'economia americana, ha spiegato Powell, continua a segnalare «una crescita moderata». I mercati però, ha aggiunto, stanno scontando qualcosa di più rispetto a quanto è possibile ricavare dai dati economici.

Eventuali interventi rapidi e flessibili potrebbero essere comunque realizzati come nel 2016 quando la politica monetaria sembrava destinata a una stretta graduale che fu invece sospesa, perché le condizioni finanziarie, ossia l'andamento del dollaro, dei tassi di mercato e delle quotazioni azionarie, peggiorarono.

Alla tavola rotonda ha partecipato anche Ben Bernanke, ex governatore della Fed che portò i tassi di interesse al minimo storico pari allo 0-0,25% nel dicembre 2008, nel pieno della peggiore crisi finanziaria dalla Grande Depressione. Ma, dalla fine del 2015, la banca centrale Usa ha alzato i tassi a breve dei Fed Funds ben nove volte fino al 2,25-2,50% attuale. Ora le probabilità di nuovi aumenti, che a novembre erano dati al 90%, sono bruscamente scesi. Anzi, ci potrebbe essere una nuova stretta. Powell ha anche specificato che se Trump chiedesse le sue dimissioni risponderebbe di no, ribadendo così l'autonomia del suo incarico. Il presidente Usa ha più volte sottolineato come fosse un errore aumentare i tassi di interesse e ne aveva auspicato il congelamento.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » lun gen 07, 2019 8:14 pm

Trump vuole un muro in acciaio: ed è pronto a trattare con i dem
Matteo Carnieletto

http://www.occhidellaguerra.it/trump-muro-shutdown

È sempre stato il suo pallino. Donald Trump ha sempre fatto del muro al confine con il Messico il suo cavallo di battaglia, soprattutto in campagna elettorale. Ma come realizzarlo? E, soprattutto, chi lo pagherà? Per il presidente americano l’ampliamento della barriera – iniziata sotto la presidenza di George H. W. Bush e proseguita sotto quella di Bill Clinton – è fondamentale, tanto da bloccare qualsiasi attività amministrativa negli Stati Uniti fino a quando non verranno inseriti nella finanziaria i fondi necessari per la sua realizzazione.

Proprio ieri, il presidente americano ha scritto su Twitter, dopo un incontro con il suo vice, Mike Pence, e i leader democratici al Congresso, Nancy Pelosi e Chuck Schumer: “Stiamo pianificando ora una barriera d’acciaio piuttosto che un muro di cemento. È una soluzione sia più forte sia meno invadente. Una buona soluzione e made in Usa”.

Ieri, come riporta il Washington Post, la Casa Bianca ha inviato una lettera ai leader del Congresso in cui si stabilisce la “centralità in ogni strategia” del muro al confine con il Messico e si rilancia il suo ampliamento per oltre 234 miglia. Inoltre, Trump sarebbe pronto a stanziare 800 milioni di dollari “per far fronte alle urgenti necessità umanitarie” e cambiamenti per i minori non accompagnati che arrivano alla frontiera.

Ed è proprio quest’ultimo punto a interessare maggiormente i democratici in quanto il presidente americano sarebbe disposto a ripristinare – scrive sempre il Washington Post – “un programma dell’era Obama che consentiva ai bambini in Guatemala, Honduras e El Salvador di richiedere lo status di rifugiati negli Stati Uniti”.

Nei giorni scorsi, inoltre, Trump aveva minacciato: “O finiamo di costruire il muro o chiudiamo il confine meridionale. In Honduras dicono si stia formando una nuova carovana. Taglieremo tutti gli aiuti a Honduras, Guatemala e El Salvador che non fanno nulla per gli Stati Uniti”.

Per il presidente americano chiudere il confine è sia una questione di sicurezza che economica: “Gli Stati Uniti perdono così tanti soldi nei rapporti commerciali con il Messico regolati dal Nafta, oltre 75 miliardi di dollari all’anno (senza contare il denaro prodotto dalla droga che ammonta a molto più di quella cifra) che io considererei la chiusura del confine meridionale un’operazione per generare profitti. Costruiamo il muro o chiudiamo il confine meridionale”.

Per il tycoon infatti il muro è legato a doppio filo con il Nafta – ovvero l’Accordo nordamericano per il libero scambio siglato da Stati Uniti, Canada e Messico – che, secondo l’amministrazione Trump danneggerebbe l’economia Usa. “O finiamo di costruire il muro o chiudiamo il confine”, ha ribadito Trump.

I media americani, inoltre, hanno fatto sapere che una nuova carovana si starebbe muovendo verso gli Stati Uniti.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » ven gen 11, 2019 10:45 pm

Muro, Trump pronto a dichiarare emergenza nazionale e usare i soldi delle zone colpite dagli uragani
11 Gen. 2019

https://www.tpi.it/2019/01/11/trump-mur ... -nazionale

Trump avrebbe intenzione di dichiarare l’emergenza nazionale, per bypassare l’opposizione del Congresso, e ottenere così i soldi necessari alla costruzione del muro al confine tra Messico e Stati Uniti.

La questione sta creando enorme scompiglio negli Stati Uniti. Due giorni fa il presidente Donal Trump aveva lanciato un accorato appello alla nazione, e al Congresso, per trovare i 5,7 miliardi di dollari necessari per la barriera, fondamentale per arginare “criminali, gang, trafficanti di esseri umani”.

Trump da 20 giorni si sta rifiutando di firmare la legge di bilancio se questa non conterrà i finanziamenti per il muro al confine meridionale. L’Amministrazione degli Stati Uniti da oltre 2 settimane è paralizzata a causa di quello che viene definito Shutdown, il blocco delle attività amministrative negli Stati Uniti.

Trump potrebbe decidere di dirottare i fondi che erano stati stanziati per gli aiuti al Texas e a Porto Rico colpiti dai recenti uragani.

Se il presidente dichiarasse l’emergenza nazionale, potrebbe autonomamente riallocare risorse del governo senza chiedere l’approvazione del Congresso, come stabilisce il National Emergency Act del 1976.

Come spiega il Brennan Center for Justice, se Trump decidesse di dichiarare l’emergenza nazionale dovrebbe spiegare di quali speciali poteri intende avvalersi.

Trump parla di emergenza nazionale dell’immigrazione, ma i dati vanno in un’altra direzione: il 2018 è stato l’anno con il minor numero di ingressi dal confine messicano negli ultimi anni.

I democratici si sono subito scagliati contro l’ipotesi, dicendo che non è legale dichiarare l’emergenza nazionale per finanziare la costruzione del muro. Trump, per avvalersi del potere straordinario, deve dimostrare che c’è effettivamente una crisi alla frontiera.

Anche alcuni repubblicani si sono detti contro l’ipotesi di dichiarare l’emergenza nazionale per trovare i fondi per il muro. Con una risoluzione il Congresso potrebbe bloccare la dichiarazione dell’emergenza nazionale del presidente.

Come riferisce il quotidiano la Repubblica, ci sono attualmente 30 emergenze nazionali ancora in atto negli Stati Uniti. Tra cui quella risalente al 2001 dopo gli attentati delle Torri Gemelle o quella del 2009 per la febbre suina.


https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/0 ... mi/4889767


Alberto Pento
Forza Trump, gli uomini di buona volontà di tutta la terra sono con te e con il tuo paese,
alza il muro e difendi la tua terra e i tuoi concittadini dall'invasione criminale dei clandestini che porterebbero alla morte l'America senza la quale il resto del mondo sarebbe in balia del male.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » lun gen 14, 2019 9:43 pm

L’Fbi indagò su Trump per capire se lavorasse per Mosca
leonardo martinelli
2019/01/12

https://www.lastampa.it/2019/01/12/este ... agina.html

L’Fbi aprì un’indagine su Donald Trump nei giorni successivi al siluramento di James Comey per accertare se il presidente lavorasse, volontariamente o inconsapevolmente, per la Russia. L’inchiesta, poi rilevata dal procuratore speciale Robert Mueller, riguardava non solo una possibile ostruzione alla giustizia per il licenziamento del capo dell’Fbi ma anche la ben più pesante ipotesi di un presidente a servizio di Mosca contro gli interessi americani, ovvero una minaccia alla sicurezza nazionale.

Le rivelazioni del New York Times, che scrive di un coinvolgimento degli agenti del controspionaggio nelle indagini, hanno scatenato la furia del tycoon. In una serie di tweet a catena oggi Trump non ha risparmiato nessuno: ha attaccato il «fallimentare New York Times», i «capi corrotti» dell’Fbi, Hillary Clinton e i democratici. «Un viscidume totale», ha tagliato corto, definendo il licenziamento di Comey «un grande giorno per l’America». Non è rimasto esente dalle critiche neanche il procuratore speciale per il Russiagate: «Comey è protetto dal suo migliore amico, Bob Mueller», ha twittato il presidente, ribadendo che le indagini sul Russiagate non sono altro che una gigantesca caccia alle streghe. Affidato a Twitter anche il commento di Comey, che ha scomodato Franklin Delano Roosevelt: «Giudicatemi dai nemici che mi sono fatto».

Secondo il New York Times, gli agenti dell’Fbi erano già sospettosi dei legami fra Trump e i russi durante la campagna del 2016. Nonostante questo decisero di non agire e di non aprire alcuna inchiesta, preoccupati per le conseguenze. Di fronte al licenziamento di Comey, alla condotta di Trump prima e dopo l’annuncio e soprattutto ai suoi riferimenti al legame fra il licenziamento di Comey e le indagini sulla Russia, l’Fbi decise però di intervenire e coinvolgere anche gli agenti del controspionaggio. Mueller ha rilevato l’indagine dell’Fbi quando è stato nominato, ovvero pochi giorni dopo che era stata avviata. Non è chiaro se l’inchiesta del procuratore speciale riguardi ancora aspetti relativi al controspionaggio.

La Casa Bianca ha comunque liquidato le rivelazioni del quotidiano come «assurde». Il segretario di Stato Mike Pompeo ha bollato come «ridicola» l’idea che Trump possa essere una minaccia alla sicurezza nazionale. Mentre il legale del presidente, Rudolph Giuliani, ha smorzato l’importanza dell’indagine: «Il fatto che sia datata un anno e mezzo fa e che nulla sia emerso vuol dire che non hanno trovato proprio nulla».

Ma la portata delle indiscrezioni apre un nuovo fronte per Trump. Finora infatti tutto sembrava convergere intorno ad una potenziale ostruzione alla giustizia del presidente. Il New York Times disegna invece uno scenario quasi da fantascienza, un inquilino della Casa Bianca colluso con la Russia contro gli interessi americani. Un fronte dalle implicazioni ancora maggiori e che emerge in attesa della conclusione delle indagini di Mueller, in previsione della quale Trump avrebbe già assunto altri 17 avvocati per difenderlo.


I tre personaggi chiave che smontano il Russiagate
Fulvio Scaglione
21 gennaio 2019

http://www.occhidellaguerra.it/67224-2

L’ultima dal Russiagate è la topica clamorosa di Buzzfeed, il sito americano abituato agli scoop. La notizia che avrebbe dovuto sconvolgere i lettori era questa: Donald Trump ha costretto il proprio avvocato, Mike Cohen, a mentire durante l’inchiesta del Congresso sulle trattative per costruire una Trump Tower a Mosca. Peccato che Buzzfeed si sia preso sui denti la smentita non di Trump ma addirittura di Robert Mueller, il procuratore che indaga sul Russiagate. Proprio lo sbirro taciturno che sta cercando di incastrare Trump.

Un epic fail, quello di Buzzfeed, che però la dice lunga sul clima che si respira negli Usa e non solo. Il presunto scoop su Cohen era fatto di voci e fonti anonime, nella migliore tradizione del Russiagate. Ma Buzzfeed si è lanciato perché sta crescendo l’ansia sugli esiti di un’indagine che ha, tra le altre, una caratteristica: non finisce mai. Tanto che di recente il mandato di Mueller è stato prolungato di altri sei mesi. Un bel po’, visto e considerato che, secondo la maggior parte dei media, le prove della colpevolezza di Trump si raccolgono a carrettate.

Sulle presunte interferenze del Cremlino nelle elezioni americane del 2016, e in particolare sugli eventuali maneggi dei russi per far eleggere Trump, lavorano dall’estate del 2016 (cioè da quando Barack Obama, il presidente che faceva spiare mezzo mondo, compresi i telefonini della Merkel e di Hollande, denunciò l’affare russo, rovesciando abilmente la frittata) i servizi segreti e lo stesso governo americano, attraverso il Dipartimento di Giustizia che ha nominato, appunto, il procuratore Mueller.

Due anni e mezzo di indagini per approdare a nulla. Nessuno ha saputo spiegare, finora, in che modo i tweet e i post dei presunti hacker russi avrebbero fatto cambiare idea agli elettori americani, spostandoli dalla Clinton a Trump. Nessuno ha finora prodotto uno straccio di prova sui presunti rapporti illeciti di Trump con il Cremlino. Lo stesso si può dire dei personaggi collaterali dell’inchiesta. Bisogna citarne almeno tre.

La prima è Maria Butina, russa, 31 anni. Arrestata nel luglio del 2018 e tenuta sempre in prigione, il 13 dicembre scorso ha raggiunto un accordo con l’accusa e si è dichiarata colpevole di “conspiracy to act as an illegal foreign agent“, che potremmo tradurre con “associazione a delinquere per spionaggio”. In sostanza, la ragazza avrebbe cercato di intortare un po’ di politici repubblicani per avere notizie e retroscena che avrebbe poi girato ad Aleksandr Torshin, già senatore di Russia Unita (il partito di Vladimir Putin) e vice governatore della Banca Centrale di Russia, suo mentore. Per esserci una conspiracy, però, bisogna che al reato abbiano partecipato altre persone. Nessun altro, al momento, è incriminato con la Butina che, in caso di condanna, rischia cinque anni di carcere che non sconterà mai. Tutti infatti prevedono la sua espulsione dagli Usa subito dopo la sentenza. Da notare che questa super-spia per ben due volte, nel 2016, si era vantata con i compagni di college di avere relazioni in alto loco a Mosca, e le sue vanterie erano state subito riportate alla polizia, che la teneva d’occhio. Non si capisce quale relazione potrebbe aver avuto la Butina con Trump o con la sua vittoria elettorale.

Secondo: il lobbysta Paul Manafort. Tutti lo chiamano “direttore della campagna elettorale” di Trump, perché fa effetto. Ma lui occupò quella posizione solo per due mesi e mezzo (giugno-agosto) nel 2016. Manafort è stato processato due volte. La prima in Virginia, con 18 imputazioni. Dieci sono cadute, per le altre otto è stato giudicato colpevole ma si tratta di reati finanziari, dall’evasione fiscale alla frode. La seconda nel Distretto di Columbia, con cinque imputazioni. Dopo un accordo con l’accusa, si è riconosciuto colpevole di frode ai danni degli Usa e subornazione di testimone. Che cosa c’entra con l’elezione del 2016?

Terzo: Mike Cohen, l’avvocato personale di Donald Trump. Arrestato il 21 agosto del 2018, si è dichiarato colpevole di otto capi d’accusa: cinque per evasione fiscale, uno per falsa testimonianza davanti a un’istituzione finanziaria, uno per aver ottenuto un contributo elettorale aziendale in modo illegale e infine per aver fatto una donazione eccessiva durante la campagna elettorale “allo scopo di influenzarne l’esito”. È questo il riferimento a Trump: sono i soldi dati alla pornostar Stormy Daniels perché tacesse sui suoi rapporti con Trump. Fa rumore ma ci sono numerosi precedenti, nella storia politica americana, che autorizzano a dire che Trump non sarebbe mai condannato per questo. Cohen, però, ha anche ammesso (21 novembre 2018) di aver mentito al Senato e alla Camera avendo dichiarato sotto giuramento che le trattative per la Trump Tower di Mosca, da lui condotte nel 2015 e 2016, si erano chiuse nel gennaio del 2016, mentre lo stop era arrivato nel giugno del 2016.

Ed è qui che arriva il finto scoop di Buzzfeed. Il sito sosteneva che era stato Trump a ordinare a Cohen di mentire, mentre Cohen ha sempre detto di averlo fatto di propria spontanea volontà. La smentita del procuratore Mueller fa capire quale sia la verità. Due anni e mezzo di lavoro dei servizi segreti e del governo per questo? Senza contare l’indagine su Trump che l’Fbi avrebbe aperto, e a quanto pare anche chiuso, nel 2017 per verificare se il presidente stesse o no lavorando per i russi. Immaginate che cosa succederebbe in Italia se saltasse fuori che i servizi segreti hanno indagato sul presidente Mattarella, sospettandolo, si fa per dire, di lavorare per la Ue ai danni dell’Italia? Non vorremmo saperne di più? Non vorremmo che il capo dei servizi ci desse, e desse a Mattarella, delle buone spiegazioni? Invece tutti gridarono allo scandalo quando Trump licenziò James Comey, il direttore dell’Fbi che aveva ordinato appunto quell’indagine. Ma se chiamiamo complottisti quelli che credono alle scie chimiche, come vogliamo chiamare quelli che credono al Russiagate e sono convinti che il presidente degli Usa lo abbia scelto Putin? Eppure non c’è dato di fatto o evidenza politica che faccia ragionare chi non vuole ragionare. Gli ultimi, per restare negli Usa, sono quelli della rivista Wired, che in un recente numero hanno pubblicato un articolo intitolato “Trump deve essere un agente russo, perché l’alternativa sarebbe troppo imbarazzante”. Uno pensa: finalmente un po’ di buon senso. E invece no. L’editorialista dice: Trump deve essere al servizio dei russi altrimenti, viste le cose che ha fatto, sarebbe un completo imbecille. Cioè: Trump è colpevole comunque. Mentre ciò che certi media dovrebbero cominciare a pensare, arrivati a questo punto, è: speriamo che Trump sia davvero un agente segreto del Cremlino, altrimenti salterà fuori che tutti noi siamo stati dei completi imbecilli.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » lun gen 14, 2019 9:43 pm

AVVERTIMENTO alla Turchia
Niram Ferretti
14 gennaio 2019

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Il Trump che mi piace è quello non solo che minaccia ma che dalle minacce passa ai fatti.

Sentirlo dire che se la Turchia attacherà gli alleati curdi in Siria verrà devastata economicamente fa piacere.

Ian Bremmer, presidente del think tank Eurasia Group, l'ha definita "la più straordinaria minaccia diretta che io abbia mai visto da un Presidente contro un alleato della Nato".

Il ritiro americano dalla Siria, deciso soprattutto per motivi di consenso elettorale più che di vera e propria necessità geopolitica, aveva suscitato una forte levata di scudi soprattutto in campo repubblicano.

Era un segreto di Pulcinella che John Bolton, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale, desiderava che le truppe americane restassero in Siria per vigilare nei confronti delle mire espansionistiche iraniane. Lo aveva dichiarato pubblicamente durante un incontro con la stampa, avvenuto all'ONU un mese. Di tutto questo Trump ne ha dovuto tenere conto.

Il durissimo discorso di Mike Pompeo al Cairo, vera e propria pietra tombale sulla dottrina Obama di appesament con l'Iran, la ribadita rassicurazione a Israele di una vicinanza inossidabile e ora l'avvertimento perentorio alla Turchia, raddrizzano in parte la barra, nonostante continui, personalmente, a ritenere la decisione di lasciare la Siria un errore.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » lun gen 14, 2019 9:44 pm

Ferrara attacca Meotti. Che succede al Foglio?
Michele Arnese

https://www.michelearnese.net/ferrara-a ... -al-foglio

Oggi ennesimo tweet urticante di Giuliano Ferrara a un fogliante…

Che cosa sta succedendo al Foglio? Non ci sono soltanto le tensioni tra l’azionista di maggioranza, Valter Mainetti, che vorrebbe buoni rapporti con il governo Conte, e il fondatore Giuliano Ferrara che con il direttore Claudio Cerasa stanno connotando il Foglio come il vero giornale di opposizione alla maggioranza M5s-Lega, con posizioni sorprendenti rispetto al passato anche su Vaticano e immigrazione.

Sul Foglio del 9 giugno 2018, in prima pagina, apparve una lettera di Mainetti, presidente di Sorgente Group e proprietario della testata, nella quale criticava la linea editoriale ostile nei confronti del governo Conte tenuta dal giornale fondato da Ferrara. Insomma, editore contro redazione e direzione. Strano precedente.

Pochi giorni fa, come rimarcato dal notista politico Francesco Damato su Start Magazine, Ferrara che sballotta pesantemente Mainetti.

Adesso il fondatore si è messo ad attaccare anche uno dei giornalisti del Foglio con cui ha lavorato per tanti anni, Giulio Meotti. Incredibile ma vero.

Ferrara aveva iniziato per la verità subito dopo la vittoria di Donald Trump, il 12 novembre 2016, quando aveva pubblicato un articolo dal titolo: “Mi spiace, ma non capisco certo trumpismo. Rozza circolare elefantesca (che spero non avrà effetto)”. Nell’articolo, l’elefantino attaccava così: “Giulio Meotti deve stare attento a un’arte di cui nel tempo divenne padrone assoluto, e maestro perfino per me: l’antintellettualismo”.

Da allora, Ferrara aveva proseguito su Twitter l’11 giugno 2018 (“Spero che Giulio Meotti, custode del cattiverio…”) e poi direttamente sulla prima pagina del Foglio del 29 dicembre: “Sono sicuro che il mio amico Giulio Meotti prenderà nota”. Poi, oggi, di nuovo su Twitter Ferrara ha cinguettato così a un tweet di Meotti sulle idee di Alain Finkielkraut critiche dell’immigrazione: “Le inquietudini di Finkie mi hanno rotto i coglioni”.

Non si era mai visto il fondatore di un giornale, per giunta presidente della cooperativa del Foglio, prendere così di mira in pubblico un proprio giornalista. Certo, qualcuno ricorda la scomparsa di un blog di un vecchio giornalista del Foglio dal sito del Foglio, ma queste sono quisquilie e pinzillacchere.

Invece le reprimende pubbliche di Ferrara a Meotti stanno facendo rumore nel ristretto circolo dei giornalisti italiani.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » ven gen 25, 2019 9:51 pm

Il Senato Usa boccia la legge anti shutdown. Contromossa di Trump: emergenza nazionale e 7 miliardi per il muro
Il presidente, secondo la Cnn, ha già pronta la bozza che gli consentirebbe di porre fine alla paralisi scavalcando il Congresso
dalla nostra inviata ANNA LOMBARDI
24 gennaio 2019

https://www.repubblica.it/esteri/2019/0 ... -217393006

NEW YORK - Doppia bocciatura in Senato per i disegni di legge rivali, uno presentato dai repubblicani l’altro dai democratici, che dovevano servire a tirar fuori il Paese dall’incubo di uno shutdown che dura da ormai 34 giorni. Ma secondo gli analisti proprio l’aver testato la compattezza dei due schieramenti costringerà ora democratici e repubblicani a sedersi al tavolo delle trattative e cercare al più presto una via d’uscita. Che la questione non si possa più rimandare lo sa bene anche il presidente Donald Trump pressato da ogni lato e con il suo gradimento personale in picchiata, sceso ormai al 34 per cento. Tanto che avrebbe già dato appuntamento ai leader dei due partiti per domani alla Casa Bianca.

La doppia bocciatura era ampiamente prevista. Prima è caduta la mozione repubblicana, che ha incassato appena 50 voti, addirittura 2 meno del previsto, contrari anche i rep Tom Cotton dell’Arkansas e Mike Lee dell’Utah che evidentemente hanno ascoltato l’appello rivolto la sera prima dalla leader dem Nancy Pelosi: "Ribellatevi, smettetela di essere ostaggio di Donald Trump". Bocciato dunque il testo sull’ipotesi di Donald Trump di dare tre anni di sollievo ai 700 mila dreamers, i figli di clandestini, in cambio dei 5,7 miliardi per finanziare il muro al confine col Messico. Pochi minuti dopo anche la mozione dem non riesce a raggiunge i 60 voti necessari. Cavandosela appena un po’ meglio, con 52 voti a favore della proposta di riaprire il governo per due settimane, fino all’8 febbraio che la mattina era già passata alla Camera e che avrebbe dato almeno modo di pagare gli stipendi degli 800 mila lavoratori federali ormai in bolletta e riprendere le trattative senza il ricatto dello shutdown.

Ora dunque non resta che parlarsi. Tanto più dopo l’ipotesi che inorridisce tutti profilata dal Washington Post, che ha rivelato come il capo dello staff presidenziale Mick Mulvaney abbia commissionato un report sull’impatto di uno shutdwon che arriva a fine marzo. Intanto il gradimento del presidente crolla di 10 punti, al 34 per cento. Il ministero del Tesoro teme ripercussioni sul dollaro e il numero uno di Bank of America parla di gravi ripercussioni sull’economia. Il caos insomma. Evocato perfino dai controllori di volo che ieri hanno avvertito: “Lo shutdown sta mettendo la sicurezza dei cieli sempre più a rischio”. L’America non ne può più. E i suoi leader lo sanno.

Ma questo non distoglie Trump dalla sua ossessione, il muro lungo il confine con il Messico. La Casa Bianca sta preparando una bozza di proclamazione dello stato di emergenza nazionale al confine col Messico ed ha individuato oltre 7 miliardi di dollari da destinare alla costruzione del muro. Lo riporta la Cnn citando alcuni documenti venuti in suo possesso e spiegando che nessuna decisione è stata ancora presa. Il piano servirebbe a porre fine allo shutdown scavalcando il Congresso.

"Il massiccio afflusso di stranieri che entrano illegalmente negli Stati Uniti ogni giorno è una minaccia diretta alla sicurezza del nostro Paese e costituisce una emergenza nazionale", si legge nella bozza ottenuta dalla Cnn che sarebbe stata aggiornata l'ultima volta la scorsa settimana. "Perciò - prosegue il testo - io Donald J. Trump, vista l'autorità di cui sono investito dalla costituzione e dalle leggi degli Stati Uniti, dichiaro che esiste una emergenza nazionale al confine sud degli Usa".

Per quel che riguarda i 7 miliardi di dollari per il muro, 681 milioni verrebbero dai fondi non spesi del Tesoro, 3,6 miliardi da fondi per le costruzioni militari, 3 miliardi dai fondi del Pentagono per le opere pubbliche, 200 milioni dai fondi del dipartimento per la sicurezza nazionale. Se la dichiarazione sarà proclamata saranno dispiegati al confine con il Messico gli uomini del genio militare per la costruzione del muro.



Usa, nuova tregua Trump-Pelosi: il 5 febbraio il discorso sullo Stato dell'Unione
29 gennaio 2019

https://www.repubblica.it/esteri/2019/0 ... -217717515

Intesa raggiunta sul discorso sullo Stato dell'Unione tra Donald Trump e la lader democratica Nancy Pelosi. l presidente degli Stati Uniti terrà il suodiscorso sullo Stato dell'Unione il 5 febbraio ai membri del Congresso a Washington, con una settimana di ritardo rispetto alla data originale di "chiusura". Ad annunciarlo la presidente democratica della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi.

Questa nuova data è stata accettata "reciprocamente" durante una conversazione tra i due politici, ha detto in una lettera Nancy Pelosi. "È un grande onore accettare", ha subito dettoTrump. "Abbiamo una grande storia da scrivere e sempre grandi obiettivi da raggiungere", ha continuato.

Questo scambio tra i due leader segna un nuovo armistrizio nei loro rapporti. Il discorso sullo stato dell'Unione, in cui i presidenti degli Stati Uniti espongono annualmente la loro agenda e la visione del futuro del paese, ha portato a una resa dei conti tra il miliardario repubblicano e il suo avversario democratico.

Trump è stato costretto a posticipare il discorso, previsto per il 29 gennaio, a causa dello "shutdown ", la chiusura parziale delle amministrazioni federali, che si è conclusa venerdì dopo oltre un mese di paralisi che ha coinvolto oltre 800.000 dipendenti pubblici e più un milione di subappaltatori. Nancy Pelosi aveva chiesto al presidente di posticipare il suo intervento con il pretesto che sarebbe stato troppo difficile garantire la sicurezza al Congresso a causa dello "shutdown".

Donald Trump è emerso indebolito da questa battaglia, che aveva provocato, dopo aver temporaneamente rinunciato al finanziamento del muro che sta rivendicando al confine con il Messico, per uscire dalla più lunga "chiusura" della storia degli Stati Uniti. Trump ha accettato inoltre di riaprire le agenzie federali fino a quando una commissione parlamentare concorderà nuove misure per controllare l'immigrazione clandestina.
Tuttavia, ha minacciato ulteriori paralisi fiscali dal 15 febbraio se non sarà stato raggiunto un consenso sul suo muro di confine. Ha anche sollevato la minaccia di dichiarare il paese in una situazione di "emergenza", mossa che gli avrebbe permesso di attivare poteri straordinari per aggirare il Congresso.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » mar gen 29, 2019 10:02 pm

"L'ordine mondiale Usa è finito e i democratici non lo accettano"
Roberto Vivaldelli
28 gennaio 2019

http://www.occhidellaguerra.it/lordine- ... j-bacevich

Andrew J. Bacevich è uno dei maggiori esperti di relazioni internazionali viventi. Il suo curriculum parla chiaro: professore emerito di relazioni internazionali e storia presso l’Università di Boston, si è laureato presso l’Accademia militare degli Stati Uniti a West Point. Successivamente, ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia diplomatica americana presso la Princeton University.


Firma prestigiosa di The American Conservative e autore di diversi saggi sulla politica internazionale, Bacevich è uno che la guerra l’ha conosciuta anche sul campo di battaglia e non soltanto sui libri: tra il 1970 e il 1971, infatti, ha combattuto come ufficiale dell’esercito nella guerra del Vietnam, per poi servire il suo Paese in Germania nell’11esimo Reggimento di Cavalleria Motorizzata e nel Golfo Persico. Si è ritirato con il grado di colonnello.

Da sempre contrario all’interventismo sponsorizzato dai neoconservatori e dai liberali, il professore antimilitarista originario dell’Illinois è stato uno dei più celebri critici dell’intervento americano in Iraq nel 2003: una guerra nel quale il colonnello perse un figlio, militare anche lui. Con Andrew J. Bacevich abbiamo discusso della politica estera dell’amministrazione Trump e del futuro dell’America.
L’annunciato ritiro dalla Siria e il Medio Oriente: “L’élite non ha imparato nulla”


Il 18 dicembre scorso, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump annunciava la sconfitta dell’Isis e l’imminente ritiro dei circa 2mila soldati delle truppe speciali Usa ora stanziate in Siria. Dichiarazioni che hanno scatenato un coro di critiche e polemiche: “L’establishment criticherà Trump su qualsiasi cosa” commenta Bacevich.

“La reazione al ritiro annunciato dalla Siria ne è un esempio. Sarebbe fuorviante dire che oggi c’è un ‘partito della guerra’ negli Stati Uniti. È più corretto affermare che abbiamo un’élite di politica estera che rimane devota a un concetto di ‘leadership globale’ che è obsoleto”. I membri di questa élite , prosegue, “non hanno imparato nulla dai fallimenti della politica statunitense dall’11 settembre”.
“I liberali non capiscono che l’ordine mondiale a guida americana è finito”


I maggiori critici del paventato ritiro dalla Siria sono proprio i democratici. Come ha documentato Gleen Greenwald in un articolo pubblicato su The Intercept, la maggioranza dei repubblicani è a favore del disimpegno americano dai teatri di guerra, al contrario degli elettori liberal-democratici, i quali, invece, vorrebbero che gli Stati Uniti continuassero a essere “il gendarme del mondo”.

“I liberali – spiega il professore – non possono comprendere il fatto che l’ordine mondiale che è esistito tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’inizio della guerra globale al terrore non esiste più. Rifiutano di accettare il fatto che viviamo in un periodo in cui gli Stati Uniti non sono più la sola superpotenza”.

Le diverse anime dell’amministrazione Trump e l’Afghanistan


L’annunciato ritiro, però, ha mostrato anche una certa confusione nell’amministrazione Trump. Il Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton ha subito precisato che avverrà solo se saranno soddisfatte determinate condizioni mentre il Segretario di stato Mike Pompeo, poco prima di recarsi in Medio Oriente, ha spiegato che il ritiro rappresenta un “cambio tattico” ma non mutua l’impegno americano contro “il Califfato dell’Isis a livello globale” e soprattutto non cambia a strategia statunitense nei confronti dell’Iran.


“Nell’amministrazione Trump – osserva Bacevich – non esiste una posizione politica coerente. Il presidente cambia spesso idea o si contraddice. I suoi subordinati obbediscono solo in modo selettivo e in disaccordo tra loro. La Siria offre un buon esempio di questo”. Quanto alla guerra statunitense in Afghanistan, il colonnello di Normal, Illinois, osserva: “Gli Stati Uniti hanno fallito in Afghanistan, ma la sicurezza nazionale è alla ricerca di modi per mascherare quel fallimento. In definitiva, sarà lasciato al popolo afghano decidere il proprio destino. I risultati immediati saranno probabilmente brutti”.

La Russia e l’Europa: “Errore espansione della Nato a est”


La posizione di Bacevich sulla Federazione russa è simile a quella di altri illustri accademici americani come John J. Mearsheimer e Stephen M. Walt. Anche per il professore, che si definisce un “cattolico conservatore”, l’Occidente è sprofondato in un antagonismo ingiustificato verso il Cremlino. A cominciare dalla militarizzazione dei confini orientali dell’Alleanza Atlantica: “Espandere la Nato fino ai confini della Russia è stato un enorme errore” spiega. “Ora ne stiamo pagando le conseguenze. L’Ucraina deve essere neutralizzata. Non sarà facile. Ma l’obiettivo politico più ampio deve essere evitare l’inutile antagonismo con la Russia”.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » mar gen 29, 2019 10:02 pm

LETTERA APERTA A GIULIANO FERRARA SUL COMMANDER IN CHIEF
Niram Ferretti
28 gennaio 2017

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Facendo subito ammenda per avere considerato Donald Trump solo un gran cialtrone quando si è presentato sulla scena, devo dire che Giuliano Ferrara, di cui assai spesso apprezzo il lucido e irriverente gusto per le verità antagoniste in un mondo che applaude solo ciò che appare vero, di Trump ha capito ben poco.

Capisco il vecchio e inossidabile amore per l’avventuriero arcoriano che l’ex direttore del Foglio nella sua galoppante fantasia aveva trasformato in grande statista liberale, ma pseudo palindromi come, “Berlusconi ha portato Trump alla Nato e Trump la Nato a Putin” evaporano subito nella loro scontata lepidezza. Se poi si aggiunge che il nuovo presidente americano è “un leader totalitario nell’intima fibra della sua colossale ignoranza di storia e lingua” ci si sente abbattuti quanto mai. Scivolare nella rappresentazione fascistizzante di Trump abbinandogli ignoranza sopraffina, significa avvicinarsi pericolosamente alla puzza sotto al naso della sinistra salottiera, al sussiego scalfariano o rischiare di trovarsi in compagnia di Gino Strada e la Guzzanti.

Sì, Trump è stato cialtronesco in campagna elettorale ed è indubbiamente un uomo dal piglio autoritario, non ci piove, ma non è entrato in politica per fare i propri affari orfano di guarentigie politiche improvvisamente dissolte. È entrato in politica per la sua smisurata ambizione di vincitore (anche se con incidenti di percorso), di collezionista di trofei.

Trump è un archetipo. È il Timoniere, il Vendicatore, il Redentore. È l’accorpamento di miti e fantasie generato dal paese del più grande impero dell’immaginario collettivo occidentale. Trump è la Storia che si muove, non alla periferia del mondo nel paese dei “tengo famiglia” e dei governicchi balneari, ma dentro uno dei sui centri propellenti. Ciò non significa che sia o sarà grande per davvero. Nessuna garanzia. Ma è epocale, nel senso che intercetta l’epoca con le sue incertezze e paure che ipotecano il futuro. Hegel lo avrebbe probabilmente visto da lontano sorgere non come l’Assoluto, ma come figlio predilettto dello Zeitgeist. Non mi sembra poco. Ed è americanamente, bigger than life, come solo un Citizen Kane kitsch e fumettistico può esserlo in una nazione dove ogni evento è ipertroficamente ingigantito.

È la luce, per non pochi mistica, o la tenebra, per non pochi demoniaca, di un riplasmarsi delle cose. È una nuova parola d’ordine, che trombeggia, nomen omen e dice forte e chiaro quello che non si sentiva dire più forte e chiaro in una America narcotizzata dalla grande impostura liberal obamiana. “Siete nella merda, per molti versi, e io vi tirerò fuori”, ha detto quello che Ferrara definisce con sberleffo “il cialtrone in chief”, perché di cialtrone ne amava un altro ormai consegnato alla panchina.

Il ritratto apocalittico di un paesaggio distopico, dipinto durante il discorso di insediamento e che tanto ha scandalizzato i benpensanti , è parte integrante di quella riscossa promessa, vera o fasulla, che sarà o non sarà. Ed è una riscossa annunciata aggressivamente, ma allo stesso tempo con sollecitudine paterna. America First è il protervo amore di uno Zio Sam narciso ma intensamente patriottico, virtù completamente assente nell’altro, l’imbellettato cavaliere. Questo non per colpa sua, naturalmente, non essendo mai stata l’Italia una nazione se non quando entra in campo nelle partite di pallone.

Il gigantismo di Trump vedremo se sarà come quello della rana di Fedro, oppure invece avrà sostanza piena, densa, cazzuta, declinata in senso alpha male. E Ferrara che si definisce maschio beta, ma ha sempre avuto un debole per gli alpha male, quelli veri (Craxi) e le loro caricature (Berlusconi), non dovrebbe essere così sdegnoso nei confronti di questo womanizer impenitente con moglie turrita e splendente e nel coraçon un alternarsi di tough and sweet love, per il suo paese prima di tutto, e poi, spero, per altri a lui vicini, Israele tra questi in virtù di intrecci familiari, e forse di una genuina simpatia.
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