Trump Donald

Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » mer giu 27, 2018 6:28 am

Lo storico Ferguson:Trump fa schifo agli intellettuali, eppure trionfa. ecco perché'
18 giugno 2018

http://m.dagospia.com/lo-storico-fergus ... che-176533

Articolo di Niall Ferguson, storico e professore all'Università di Stanford (già Harvard), pubblicato su

http://www.niallferguson.com/journalism ... ldus-trump

e tradotto da www.ilfoglio.it


Per le persone più istruite che conosco, Donald Trump è un presidente terribile, orribile, non buono, molto cattivo. Ma potrebbe avere la stoffa di un imperatore piuttosto efficace?”. Se lo chiede lo storico di Stanford Niall Ferguson. “La morte della repubblica non è qualcosa cui io, da futuro cittadino, darei il benvenuto. Eppure è una possibilità che deve essere presa in considerazione, proprio perché così tante persone intelligenti continuano a sottovalutare Trump.

Da due anni le persone con almeno due lauree universitarie hanno digrignato i denti per ogni affermazione e mossa di Trump. Per gli esperti di politica estera è un toro in un negozio di porcellane e calpesta ‘l’ordine internazionale basato sulle regole’. Per l’establishment economico è una palla da demolizione che distrugge più di mezzo secolo di consenso sul fatto che il libero scambio funzioni meglio del protezionismo.

‘Non turbare i tuoi alleati europei. Non uscire dall’accordo sul clima di Parigi. Non minacciare la Corea del Nord. Non sono d’accordo per un vertice con Kim Jong-un. Non rottamare l’accordo con l’Iran’. Tutto questo finirà in un disastro: o la terza guerra mondiale o una tranquilla conquista cinese del mondo. O un’acquisizione russa dell’Europa. O qualcosa di terribile, orribile, non buono, molto cattivo. ‘Fermati, fermati, fermati’, piangono gli economisti. ‘Non imporre tariffe a nessuno, specialmente ai tuoi alleati. Non chiedere riduzioni nel deficit commerciale tra Stati Uniti e Cina. Non fare enormi tagli alle tasse’. Tutto questo finirà in un disastro – o una Grande depressione o un’inflazione galoppante. O qualcosa di terribile, orribile, non buono, molto cattivo.

Una caratteristica sorprendente di questi terribili commenti è quanto siano stati sbagliati finora. Nonostante tutti i discorsi da Cassandra, l’America potrebbe ancora raggiungere l’obiettivo di Parigi di ridurre le emissioni di biossido di carbonio. Gli europei hanno ampiamente accettato di dover spendere di più per la propria difesa. Kim ha interrotto i suoi test missilistici e si è presentato al tavolo dei negoziati. E l’Iran sta vacillando per la reimposizione delle sanzioni e una spinta militare statunitense-israeliana-araba concertata.

Nonostante tutte le chiacchiere sulla guerra commerciale, l’economia americana è in piena occupazione, il dollaro si sta facendo sentire, il mercato azionario è salito del 30 per cento dall’elezione di Trump e gli unici paesi in difficoltà sono i soliti sospetti con i loro soliti problemi (come la Turchia). Non è che Trump sia un genio sottovalutato, o un idiota savant.

È solo che il suo modo intuitivo, istintivo, impulsivo di operare, familiare a coloro che hanno fatto affari con lui, sta esponendo alcuni difetti fondamentali nella struttura concettuale di quelli con la doppia laurea. Sì, c’è molto da dire in linea di principio a favore di un ordine internazionale basato su regole esplicite; e, sì, quelle regole dovrebbero favorire il libero scambio rispetto al protezionismo.

Ma se, in pratica, il tuo ordine liberale internazionale consente alla Cina di raggiungerti, prima economicamente e poi strategicamente, probabilmente c’è qualcosa di sbagliato in esso. La chiave per la presidenza Trump è che è probabilmente l’ultima opportunità che l’America ha per fermare o almeno rallentare l’ascesa della Cina. E anche se potrebbe non essere intellettualmente molto soddisfacente, l’approccio di Trump al problema, che è quello di affermare il potere degli Stati Uniti in modi imprevedibili e dirompenti, potrebbe in effetti essere l’unica opzione valida rimasta. Pensa al mondo come a un sistema a tre imperi.

Dimenticate la Coppa del mondo e la fantasia per cui i Davide possono a volte uccidere Golia. Nella vera Coppa del mondo, i Golia dominano. Come in Tucidide, gli Ateniesi dissero ai meliani: ‘I forti fanno ciò che possono e i deboli soffrono ciò che devono’. I forti nel mondo di oggi sono gli Stati Uniti, la Cina e l’Europa, in questo ordine. Ogni impero si evolve in una direzione diversa.

L’impero americano, avendo sperimentato la sovraestensione in Afghanistan e Iraq, non si è ritirato in un isolamento ma continua a esercitare una forza letale e domina ancora gli oceani. Il suo ultimo passo lungo la strada verso l’impero è interno: Trump sfida le regole formali e informali della repubblica. Il momento della verità si avvicina rapidamente quando il rapporto di Robert Mueller esporrà tutti i tipi di crimini e reati minori, alcuni dei quali molto probabilmente giustificherebbero l’impeachment.

Probabilmente i Democratici riconquisteranno la Camera dei rappresentanti a novembre e procederanno a mettere sotto accusa Trump. Ma cosa accadrà se la sua percentuale di approvazione reggesse, forse addirittura migliorasse? E se li sfidasse semplicemente come non aveva fatto Richard Nixon? Quello sarebbe il ‘momento romano’.

Sono visibili tutti i sintomi che accompagnano il passaggio dalla repubblica all’impero. La plebe disprezza le élite. Un vecchio e nobile ordine senatoriale personificato da John McCain sta morendo. Una guerra civile culturale infuria sui social media, il forum dei giorni nostri. Il presidente-imperatore domina il discorso pubblico emettendo editti a 280 caratteri.

Nel frattempo, l’impero cinese diventa sempre più centralizzato, sempre più invasivo della privacy dei suoi cittadini e sempre più esplicito nella sua espansione oltreoceano. Il mondo occidentale considera Xi Jinping un potentato onnipotente. Il più debole dei tre imperi è l’Europa. È vero, le sue istituzioni a Bruxelles hanno il potere di imporre regole, multe e tasse alle maggiori corporazioni statunitensi e cinesi. Ma l’Europa non ha giganti tecnologici. Le sue flotte, eserciti e forze aeree si sono sciolte. E il consenso politico su cui si è basato negli ultimi sessant’anni – tra socialdemocratici e moderati conservatori in ogni stato membro – si sta sgretolando sotto un assalto nazionalista-populista.

La logica del trumpismo è semplicemente quella di spaccare gli altri imperi, sfruttando il fatto che sono entrambi più deboli degli Stati Uniti, al fine di ottenere concessioni e rivendicare vittorie. Per quelli con la doppia laurea tutto ciò è incomprensibile. Continueranno a trovare da ridire sui successi di Trump. Anche Ottaviano è stato terribile, orribile, non buono, molto cattivo agli occhi di molti dei suoi contemporanei romani. Ma come Augusto, tuttavia, ha trionfato. È una delle lezioni più inquietanti della storia”.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » gio giu 28, 2018 7:20 pm

Immigrazione, la vittoria politica di Donald Trump: la Corte Suprema gli dà definitivamente ragione sul muslim ban
di Roberto Festa | 26 giugno 2018

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... an/4453082

È un’importante vittoria politica quella che la Corte Suprema offre a Donald Trump in tema di immigrazione. Con una sentenza decisa a stretta maggioranza – i cinque giudici conservatori contro i quattro liberal – la Corte ha stabilito che il presidente ha agito nel rispetto della Costituzione, ponendo dei limiti all’arrivo di persone da Paesi musulmani. La decisione della Corte arriva in un momento particolarmente difficile per l’amministrazione, al centro di molte polemiche e difficoltà per la gestione dei migranti al confine.
Trump ha immediatamente colto il valore politico della sentenza, twittando, “LA CORTE SUPREMA HA CONFERMATO IL BANDO ALL’IMMIGRAZIONE DI TRUMP. Wow!”.

La storia del bando agli arrivi di cittadini dai Paesi a maggioranza musulmana è particolarmente tortuosa. Una settimana dopo essere stato eletto alla Casa Bianca, Trump impone il suo primo bando, provocando il caos in molti aeroporti statunitensi e una serie di ricorsi dei gruppi per i diritti civili, in generale accolti da molti tribunali in giro per il Paese. Un secondo bando viene introdotto due mesi dopo, tra nuove polemiche e ricorsi legali. Si arriva dunque allo scorso settembre, quando Trump firma il terzo bando, sotto forma di “proclama presidenziale”. Nel nuovo testo, il divieto agli arrivi riguarda sei Paesi a maggioranza musulmana – Iran, Libia, Siria, Yemen, Somalia, Ciad – cui vengono aggiunti Venezuela e Corea del Nord (il Ciad è più tardi cancellato dalla lista di proscrizione). Ai cittadini di questi Paesi viene proibito di viaggiare, studiare, lavorare negli Stati Uniti, oltre che emigrarci in modo definitivo. Aggiungendo Venezuela e Corea del Nord, l’amministrazione cerca ovviamente di aggirare l’accusa di pregiudizio anti-Islam. Anche questo terzo bando è però soggetto a diversi ricorsi: da singoli cittadini, gruppi per i diritti civili, lo Stato delle Hawaii, che mettono in discussione proprio la parte relativa al bando sulla base dell’appartenenza religiosa. Un chiaro segnale, secondo i critici, delle intenzioni discriminatorie dell’amministrazione americana.

In un primo tempo i tribunali hanno dato torto a Trump. Il Nono Circuito delle Corti di Appello di San Francisco ha stabilito che l’amministrazione ha ecceduto nei poteri attribuitigli dal Congresso in tema di visti di ingresso negli Stati Uniti. Il Quarto Circuito di Richmond, Virginia, ha bocciato il bando sulla base del divieto costituzionale di discriminare sulla base della religione. Arrivato davanti al massimo organo giuridico americano, la Corte Suprema, il bando è però stato giudicato costituzionale. Il presidente ha l’autorità “di sospendere l’entrata degli stranieri negli Stati Uniti”, scrive la maggioranza dei giudici della Corte.
Nonostante il via libera, il presidente della Corte, John Roberts, coglie comunque l’occasione per ricordare a Trump l’importanza del principio di non-discriminazione. “Il presidente degli Stati Uniti possiede il potere straordinario di parlare ai suoi concittadini e a loro nome – scrive Roberts -. I nostri presidenti hanno spesso usato questo potere per esporre i principi della libertà religiosa e della tolleranza su cui questa nazione è stata fondata”. Roberts ricorda anche come lo stesso George W. Bush, dopo gli eventi tragici dell’11 settembre, difese comunque “la vera fede dell’Islam”.

Il rispetto dei principi della tolleranza e della libertà religiosa, secondo i cinque giudici della Corte, non è però in questione nel caso specifico di questo bando. In esso, spiegano i giudici, Trump ha agito nell’ambito della Costituzione, che dà al presidente il potere di fissare i principi della sicurezza nazionale. Nessun peso hanno quindi avuto gli argomenti che gli oppositori del bando hanno portato davanti alla Corte: soprattutto, i numerosi commenti anti-musulmani che Trump ha fatto in campagna elettorale e durante i primi mesi della sua presidenza. Secondo l’opinione di diversi studiosi, in questo caso ha comunque avuto molto peso la sostanziale riluttanza da parte di almeno due giudici conservatori, John Roberts e Anthony Kennedy, a sfidare l’autorità presidenziale in tema di sicurezza nazionale.

La sentenza della Corte offre comunque a Trump uno strumento importante per riaffermare le sue politiche in tema di immigrazione. Il presidente era in evidente difficoltà. Il recente ordine esecutivo, in cui ordina il ricongiungimento delle famiglie alla frontiera, incontra molte difficoltà di attuazione. Non si sa come trattare i casi degli adulti che entrano negli Stati Uniti accompagnati da minori (che secondo la legge americana, non possono essere detenuti per più di trenta giorni). È comunque il sistema giudiziario americano nel suo complesso che fatica, di fronte all’impatto di migliaia di migranti che arrivano dal Centro America. Il presidente, nelle scorse ore, ha cercato di superare accuse e critiche con una proposta shock: deportare i migranti senza garantirgli un processo e subito dopo il loro arrivo negli Stati Uniti. La decisione della Corte, su un tema così significativo come il bando agli arrivi dai Paesi musulmani, è quindi una boccata d’ossigeno politico di cui Trump aveva assoluto bisogno in questo momento.


Alberto Pento
???Demenziale???
Roberts ricorda anche come lo stesso George W. Bush, dopo gli eventi tragici dell’11 settembre, difese comunque “la vera fede dell’Islam”.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » gio giu 28, 2018 7:25 pm

Usa, Kennedy lascia la Corte Suprema. Trump può spingerla ancora più a destra: nel mirino aborto, diritti gay e ambiente
di Roberto Festa | 28 giugno 2018

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... te/4456789

Scelto da Ronald Reagan nel 1988, è stato per anni l'ago della bilancia fra giudici conservatori e liberal. Ha difeso il diritto all'aborto e i diritti gay, ma ha anche dato il via libera allo sfruttamento più intenso del suolo e alle intercettazioni da parte del governo federale. Con le sue dimissioni, il capo della Casa Bianca può scegliere un giudice conservatore e condizionare per decenni la società americana

“È stato l’onore più grande e un privilegio servire la nostra Nazione nella giustizia federale per 43 anni, 30 dei quali alla Corte Suprema”. Così Anthony Kennedy annuncia la sua decisione di dimettersi dal massimo organo della giustizia americana. Donald Trump ha già annunciato di aver iniziato la ricerca per il sostituto di Kennedy. Parte a questo punto la battaglia politica forse più epica e importante di una presidenza già segnata da molti scontri e polemiche. Trump ha la possibilità di scegliere un giudice solidamente conservatore e di spingere ancora più a destra l’asse della politica e della società americane per le prossime generazioni.

Le dimissioni di Kennedy erano nell’aria già da tempo ma la loro formalizzazione ha gettato lo scompiglio nel campo democratico e in molti gruppi liberal. Gira un audio, registrato a un incontro del Democratic National Committee, in cui si sentono i democratici esclamare “Oh My God” all’arrivo della notizia. Nancy Pelosi, la leader democratica della Camera, ha subito spiegato: “È in gioco il futuro della nostra democrazia”. E una email partita da un gruppo progressista, il Center for American Progress Action Fund, diceva in serata: “Voi pensate che l’attuale Corte sia stata terribile? Se Donald Trump riesce a nominare il prossimo giudice, ci aspettano dai trenta ai quaranta anni di attacchi viziosi e illimitati ai nostri diritti”.

Kennedy, 81 anni, è stato dalla sua nomina il centro ideologico della Corte, il voto che “ballava” tra conservatori e liberal. Lo scelse Ronald Reagan, nel 1988, come sua terza scelta, dopo aver cercato di imporre al Senato un giudice troppo conservatore, Robert Bork, e un altro, Douglas Ginsburg, che si fece da parte dopo aver ammesso l’uso della marijuana da giovane. Per Reagan, Anthony Kennedy fu l’uomo giusto per uscire dall’impasse. Un uomo di legge moderato, conservatore ma non troppo, cattolico in una Corte allora prevalentemente protestante, con una storia legale di rispetto del potere politico e della Costituzione come è stata scritta, più di come deve essere interpretata. La sua nomina, nel febbraio 1988, fu sostenuta dal Senato degli Stati Uniti, che votò all’unanimità.

In questi trent’anni, Kennedy è stato esattamente quello che molti avevano previsto. L’uomo che in una Corte profondamente divisa tra quattro giudici conservatori e quattro liberal, ha offerto lo “swing vote”, il voto che dava la vittoria ora a un blocco ora all’altro. Kennedy si è schierato con i conservatori in sentenze chiave: la “Citizen United”, che ha dato a imprese e corporations la possibilità di finanziare liberamente la politica; il “District of Columbia v Heller”, che appoggiava il diritto di portare un’arma e aboliva il bando ad armi e fucili di Washington D.C.; e ancora sentenze che davano il via libera allo sfruttamento più intenso del suolo, alle intercettazioni da parte del governo federale, a minori garanzie nella protezione del voto delle minoranze. Ma Kennedy è stato anche il giudice che ha difeso il diritto all’aborto (riconosciuto dalla celebre sentenza, la “Roe v Wade” del 1973); che ha limitato per quanto possibile le condanne capitali; che ha difeso e allargato i diritti gay. Portano la sua firma almeno quattro sentenze decisive nella storia della libertà omosessuale; soprattutto l’ultima, del 2015, che riconosceva i matrimoni omosessuali con la frase, diventata celebre, secondo cui “nel formare un’unione matrimoniale, due persone diventano qualcosa di più grande”.

È vero che negli ultimi tempi Kennedy ha votato sempre più in linea con i conservatori. Per esempio in un caso, deciso dalla Corte alcuni giorni fa, in cui si è deciso che i sindacati non possono più raccogliere quote dai lavoratori federali senza il loro consenso (un duro colpo per le unions americane). Ma è anche vero che Kennedy, per anni, ha offerto un tono e una visione di moderazione rispetto agli slanci conservatori e in alcuni casi apertamente autoritari di altri giudici. Per esempio, alcuni giorni fa, pur sostenendo il bando di Trump agli arrivi da alcuni Paesi a maggioranza musulmana, Kennedy ha aggiunto una clausola in cui si dice chiaramente che il “primo emendamento… promette il libero esercizio della religione”. Un modo per porre chiari paletti a nuove prese di posizione anti-Islam di questo presidente.

Proprio a Trump tocca ora di scegliere il successore di Kennedy. La posta in gioco è chiara a tutti. Un giudice della Corte Suprema, soprattutto se scelto piuttosto giovane, ha la possibilità di modellare con le sue sentenze la vita americana per anni. Sin dalla sua prima riunione, nel 1790, la Corte è l’organo che offre essenziali checks and balances, che valuta la costituzionalità delle leggi approvate dal Congresso, che riconosce diritti e libertà o blocca presunte fughe in avanti. È stata la Corte, con una sua sentenza, la “Brown v Board of Education”, a mettere fine alla segregazione razziale negli Stati Uniti; è stata la Corte a riconoscere, appunto, il diritto all’aborto, alle protezioni sindacali, ai matrimoni gay. È stata la Corte, nel 2000, a bloccare la riconta in Florida e a dare a George W. Bush la vittoria contro Al Gore. Per questo, secondo molti, il potere di un giudice della Corte, nominato a vita, è persino superiore a quello di un presidente degli Stati Uniti.

Ecco perché la scelta di Trump è fondamentale. Ecco perché i repubblicani appaiono galvanizzati e i democratici terrorizzati. Scegliere un giudice conservatore, come Trump sembra orientato a fare, significa fissare (e probabilmente limitare) i diritti e le libertà americane per i futuri cinquant’anni. A rischio, soprattutto, il diritto all’aborto, le leggi sull’affirmative action, le protezioni sui luoghi di lavoro per gli omosessuali, le tutele sindacali, le garanzie riconosciute dal “Voting Rights Act”, i diritti degli arrestati e dei condannati alla pena di morte. Trump ha già fatto sapere di voler scegliere il successore di Kennedy nella rosa di 21 nomi presentata alcuni mesi fa, quando si trattò di trovare un successore al defunto Antonin Scalia. Allora Trump scelse un candidato, Neil Gorsuch, che in tutte le ultime sentenze ha appoggiato le richieste del presidente. Il prossimo giudice – già si fanno alcuni nomi: Brett Kavanaugh, Raymond Kethledge, Amy Coney Barrett – sarà probabilmente sulla stessa lunghezza d’onda: un “originalista”, come amano dire i conservatori, un uomo di legge che “legge la Costituzione per come è stata scritta e non per come alcuni pensano di interpretarla”.

Il nuovo giudice, nominato dal Presidente, deve però essere confermato dal voto del Senato. Di qui la fretta che i repubblicani già mostrano. A novembre ci sono le elezioni di midterm. Poco probabile che i democratici riescano a conquistare il Senato (in questo modo potrebbero bloccare la nomina), ma comunque meglio non rischiare. Mitch McConnell, leader repubblicano del Senato, ha cancellato parte delle vacanze dei senatori, ad agosto, per valutare le nomine giudiziarie di Trump. Una norma, introdotta proprio da McConnell per la conferma di Gorsuch, permette di far passare il nuovo giudice con una maggioranza semplice e non più con una maggioranza qualificata di sessanta voti. La cosa sembra alla portata dei repubblicani, che insieme al movimento conservatore esultano per la possibilità di rimodellare la Corte Suprema.

Palpabile è invece lo scoramento e le paure dei progressisti. Si teme soprattutto per il diritto all’aborto – Trump in campagna elettorale promise di cancellare la “Roe v Wade” – ma è l’intero orizzonte di diritti che sembravano garantiti una volta per tutte a vacillare. “Siamo all’allarme rosso per il popolo americano – ha detto il senatore del Connecticut Chris Murphy -. Dobbiamo far in modo che la Corte non prenda una strada viziosa, anti-lavoratori, anti-donne, anti-Lgbt, anti-diritti civili”. I democratici, al momento, non sembrano però avere grandi chances. La realtà è che Trump con la sua scelta può condizionare la società americana per i prossimi decenni. Allacciamo le cinture, verrebbe da dire, sta per iniziare la battaglia forse più importante e decisiva per una presidenza che sta davvero cambiando e sconvolgendo l’America.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » mer ago 08, 2018 8:55 pm

Trump, primarie, elezioni speciali, manafort, mueller e quel furbo di alan friedman
Maria Giovanna Maglie per Dagospia

http://m.dagospia.com/maglie-trump-prim ... man-180522

Donald Trump gioca a golf in New Jersey. Aspetta i risultati delle primarie repubblicane in Missouri, Michigan, Kansas e Washington, e di una elezione speciale in Ohio. Le prime devono verificare la presa dei suoi candidati sul partito repubblicano, la seconda invece, in un distretto di media borghesia nel quale hanno sempre vinto i repubblicani, viene considerata un test attendibile delle elezioni di midterm il prossimo novembre. Il risultato di quelle elezioni, se favorevole ai repubblicani, probabilmente segnerà anche la fine dell'inchiesta Russiagate

Trump ha percorso gli Stati in lungo in largo, ha tenuto rally con bagni di folla, conta sulla condizione stellare dell'economia e sulla sua percentuale di popolarità, che ha superato il 50%. Dall'altra parte incombe il Russiagate, che non trova prove dirette su di lui ma non si ferma, e lo stillicidio quotidiano di rivelazioni della stampa, che poi si sgonfiano, ma intanto spargono il veleno d'ordinanza.

A Los Angeles il consiglio comunale ha deciso di togliergli la stella sulla Walk of Fame, che gli avevano dato nel 2007 per I risultati eccezionali del programma TV The Apprentice, ed è sicuramente una porcata, ma tanto vale, visto che gliela prendevano a martellate una volta a settimana.

In Virginia si sta celebrando un processo molto strombazzato a Paul Manafort, faccendiere truffaldino che però ha lavorato soltanto due mesi con Trump nella primavera del 2016, e che prima ha lavorato con molti politici. Il cerchio sui suoi imbrogli di lobbista al servizio di governi stranieri, in questo caso l'ucraino Yanukovich deposto nel 2014, si stringe facilmente, ed è una storia di attività non dichiarate, tasse non pagate, conti esteri e pressioni indebite, ma che cosa c'entri Donald Trump proprio non si riesce a capire, più facile mettere in mezzo politici di nome europei, come Romano Prodi, o giornalisti che in Italia vivono, come Alan Friedman, tutti e due in collaborazione con Yanukovich, e Friedman in società con Manafort

Tanto non si vede il legame con Donald Trump e col Russia gate, che, cosa che non vi racconteranno mai, il vero spettacolo del processo è un giudice che sbuffa, si incazza, bastona il procuratore distrettuale, gli intima di non fare propaganda, di non limitarsi ad accuse moralistiche, lo interrompe, battibecca con lui, e ha l'aria di chiedersi “che cosa stiamo a fare qua”.

Andiamo per ordine.
Il socio di Manafort, Rick Gates, ha appena ammesso di aver commesso reati fiscali per lui,e che parte del denaro finito nei conti bancari esteri non dichiarati di Manafort veniva dagli oligarchi del circolo di Viktor Yanukovych, l’ex presidente ucraino, appoggiato dalla Russia, per conto del quale loro lavoravano senza dichiararlo mai negli Stati Uniti e violando quindi la legge sul conflitto di interessi. Da persone vicine al Cremlino avrebbero ricevuto oltre diciannove milioni di dollari.

Gates va a ruota libera perché ha raggiunto un accordo con Mueller: confessione per riduzione di pena.
Gates ha anche ammesso di aver mentito all’Fbi nelle sue prime deposizioni su richiesta di Manafort.

Questa era la parte dell'accusa. Ora Gates dovrà affrontare il controinterrogatorio della difesa di Manafort, che sostiene che Gates avrebbe agito a insaputa del suo capo,che gli avrebbe rubato milioni di dollari e ora, sotto la pressione e in conseguenza dell'accordo con il procuratore speciale Mueller, avrebbe elaborato accuse completamente false. Manafort si è sempre dichiarato non colpevole e la sua strategia di difesa non dovrebbe cambiare.

Il punto sta proprio qui. L’accusa, diretta emanazione di Robert Mueller, sostiene che Manafort non ha dichiarato buona parte dei sessanta milioni ricevuti dagli oligarchi ucraini e che i conti bancari non notificati al governo americano sono trenta . Di qui una vita di lusso da miliardario che l’accusa in apertura dei processo ha illustrato a lungo, parlando di macchine fuoriserie e di una giacca di struzzo da $15000.

Di qui lo scontro con il giudice, il quale ha detto che a lui del tenore di vita della gente non importa assolutamente nulla, che questo in sé non costituisce reato. Da allora gli scazzi col procuratore sono continui, perché è evidente che il giudice Ellis intende stare al processo e non usare il processo per un'altra incriminazione.

Mi spiego meglio. È evidente che il processo a Gates e Manafort non è legato direttamente all’inchiesta che Robert Mueller sta conducendo sui presunti legami tra la campagna di Trump e la Russia. Oltretutto, come ha twittato Trump,

“Paul Manafort worked for Ronald Reagan, Bob Dole and many other highly prominent and respected political leaders. He worked for me for a very short time. Why didn’t government tell me that he was under investigation. These old charges have nothing to do with Collusion - a Hoax”.

“ Paul Manafort ha lavorato per Ronald Reagan, per Bob Dole, e molti altri leader politici importanti e rispettati. Per me ha lavorato per un periodo di tempo brevissimo . Perché il governo non mi ha detto che era sotto indagine? Queste vecchie accuse non hanno niente a che vedere con la collusione, è un imbroglio”.

Quel che il procuratore speciale vorrebbe dimostrare e’ che Manafort è stato legato non solo a Yanukovych, ma anche ad alcuni oligarchi russi,come Oleg Deripaska, ricco e molto vicino al Cremlino, che avrebbero continuato a foraggiarlo fino ai tempi della campagna elettorale.

Tirato per i capelli? Certo che sì, ma la speranza è che Manafort, proprio come Gates, decida di collaborare, e racconti quel che si vuole che racconti in cambio di una forte riduzione di pena. Un'operazione ambigua che il giudice Ellis fa sapere di non essere disposto ad appoggiare.

Che c'entrano Romano Prodi, ex premier e leader della sinistra italiana, e Alan Friedman, giornalista economico americano trapiantato in italia, grande critico di Donald Trump, a proposito della cui presidenza ha scritto un libro dissacrante che si chiama “Questa non è l'America”?

Friedman ha fondato una lobby di nome ’“Hapsburg Group” nel 2011 insieme a Manafort, per agevolare gli affari e risollevare la fama, siamo sempre là, del presidente ucraino ed amico di Vladimir Putin, Viktor Yanukovych. Anche lui, stando al New York Times, avrebbe commesso un reato per gli Stati Uniti, perché al pari di Manafort non si sarebbe registrato come lobbista.

Del gruppo Hapsburg facevano parte alcuni politici europei,ed anche l’ex premier italiano, Romano Prodi. A febbraio del 2014, infatti sarebbe stato Friedman a scrivere, e Romano Prodi a firmare, un articolo per il New York Times nel quale l'ex premier italiano sosteneva le buone ragioni di Yanukovich, uomo che stava salvando dal disastro l'economia ucraina, e quindi sollecitava perlomeno una riduzione delle sanzioni dell'Unione Europea.

Prodi conferma di aver scritto l'articolo e di essere stato regolarmente retribuito, ma non da Friedman, bensì dall'ex cancelliere austriaco Gusenbauer, e conferma di non avere mai avuto il minimo sospetto che l'operazione fosse finanziata da ucraini e russi, ma di aver pensato a un gruppo europeo di pressione.

Tutto lecito, tutto legittimo, per carità, e saranno tutti vittime degli sforzi disperati del procuratore speciale americano Mueller di incriminare in qualche modo Trump, che, come ricorda il grande avvocato penalista Alan Dershowitz, Mueller e tutti i suoi collaboratori, insieme a mezzo Fbi, odiano e vogliono abbattere a ogni costo.

Restano le caratteristiche umane, che pure contano, e un articolo prezioso di Atlantico Quotidiano mi ha ricordato che nel web circola un video di Alan Friedman del luglio del 2017, nel quale parla dell’incontro tra Donald Trump Jr., Paul Manafort ed un avvocato russo, e dichiara: “Quando accetti l’aiuto da un governo straniero ed ostile agli Stati Uniti in una campagna politica, è un crimine.” Ipocrita? Neanche un po', che vi viene in mente.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom ago 12, 2018 2:15 am

Senza infingimenti. Il volto franco del potere
Niram Ferretti

http://caratteriliberi.eu/2018/08/10/pa ... del-potere

“Li uomini hanno meno respetto ad offendere uno che si facci amare che uno che si facci temere; perché l’amore è tenuto da uno vincolo di obbligo, il quale, per essere gli uomini tristi, da ogni occasione di propria utilità è rotto: ma il timore è tenuto da una paura di pena che non abbandona mai.”

Niccolo Machiavelli, Il Principe

Bisognerebbe rileggersi il libro V della “Guerra del Peloponneso” di Tucidide, quello in cui si svolge il celebre dialogo tra gli Ateniesi, all’apogeo del loro potere e i Meli. Nulla è cambiato in questo senso da allora a oggi per quanto riguarda i rapporti di forza e il determinarsi della storia.

Davanti ai Meli, in evidente posizione di inferiorità Tucidide mette in bocca queste parole agli ateniesi:

“Da parte nostra, non faremo ricorso a frasi altisonanti; non diremo fino alla noia che è giusta la nostra posizione di predominio perché abbiamo debellato i Persiani e che ora marciamo contro di voi per rintuzzare offese ricevute: discorsi lunghi, che non fanno che suscitare diffidenze. Però riteniamo che nemmeno voi vi dobbiate illudere di convincerci col dire che non vi siete schierati al nostro fianco perché eravate coloni di Sparta e che, infine, non ci avete fatto torto alcuno. Bisogna che da una parte e dall’altra si faccia risolutamente ciò che è nella possibilità di ciascuno e che risulta da un’esatta valutazione della realtà. Poiché voi sapete tanto bene quanto noi che, nei ragionamenti umani, si tiene conto della giustizia quando la forza incombe con parità da ambo le parti; in caso diverso, i più forti esercitano il loro potere e i più deboli vi si adattano”

I trattati, diceva Otto Von Bismarck, poi seguito da Georges Clemenceau, sono solo “pezzi di carta”.

Chi ha la forza la usa, sia militarmente sia economicamente. La diplomazia, senza avere alle spalle la forza, non ha alcun reale potere di persuasione. Lo sa assai bene John Bolton, impenitente realista hobbesiano e Consigliere per la Sicurezza Nazionale alla Casa Bianca, per il quale essa “E’ uno strumento, non è una politica. E’ una tecnica, non un fine in se stesso. Premere, per quanto onestamente, affinché possiamo confrontarci con i nostri nemici, non ci dice nulla di quello che accadrà dopo le cortesie iniziali”.

Maometto, nel 628, stipulò, nel piccolo villaggio di Hudaybiyyah, una pace con i meccani che sarebbe dovuta durare dieci anni. Lo fece perché sapeva che all’epoca disponevano di un esercito più forte del suo. Quando fu lui a essere più forte di loro, interruppe la tregua, stracciò il trattato di pace, li attaccò e li massacrò tutti.

Molti altri esempi possono essere citati per giungere alla cruda brutalità di Adolf Hitler il quale sosteneva che l’unico diritto che contasse in politica era quello della forza. In questo senso non faceva che ripetere in forma estrema quello che Tucidide fa dire agli ateniesi. Ciò che, con modalità espresse e praticate meno crudelmente e terribilmente, è sempre stato fatto sotto il sole da tutti i grandi imperi.

L’Europa che cerca di ribellarsi al fatto che il paese più potente del mondo, gli Stati Uniti, abbia deciso di imporre sanzioni economiche severissime all’Iran, fa sorridere. Gli Stati Uniti sono infatti come gli ateniesi a Melo, e gli europei che vorrebbero tenere in piedi i loro affari con l’Iran, sono come i Meli.

Donald Trump, per chi non lo avesse ancora capito, ed è forse giunta infine l’ora di capirlo, è il più cesarista dei presidenti americani sedutosi finora nello Studio Ovale. Ha finalmente sgombrato il campo dal grande equivoco che poi altro non era se non pura ipocrisia, che gli Stati Uniti fossero primus inter pares, non lo sono da cento anni a questa parte con sommo dispetto dell’Europa che fin dal 1776 ha sempre coltivato con gli Stati Uniti un rapporto contrastato di amore e odio come evidenzia bene Andrei S. Markovits nel suo La nazione più odiata, l’antiamericanismo degli europei.

Trump è plasticamente l’arroganza e l’irruenza del potere in modo franco e brusco, senza infingimenti, è quello che il potere è sempre stato e deve essere, l’esercizio del dominio e del governo, l’agglomerato in cui si condensa la forza, militare, economica, tecnologica, riducendo gli altri al loro ruolo di subalterni, di indispettiti, di impotenti. Aristotele lo vedeva bene, il governo può essere duraturo solo quando chi comanda è superiore agli altri. Gli Stati Uniti governano se stessi e impongono, dove sono in gioco i loro interessi, le loro condizioni agli altri. Solo i bambini potrebbero scandalizzarsi.

Bisognerà farci il callo a questa autenticità, dovranno farlo coloro che nel passato esercitavano lo stesso piglio senza mai chiedere il permesso, Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna, imperi sui quali da tempo è tramontato il sole, come è tramontato sull’Europa unita, il Golem che non ha mai preso vita.

“I più forti esercitano il loro potere, e i più deboli vi si adattano”.

In questa frase, scritta da un greco quattrocentotrent’anni prima di Cristo, è riassunto, a ciglia asciutte, il farsi della storia.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom ago 12, 2018 5:03 pm

Trump ci libera di erdogan? primarie, boom economico, inchiesta sui russi: leggete qui...
Maria Giovanna Maglie per Dagospia

http://m.dagospia.com/maglie-trump-ci-l ... qui-180755

Vuoi vedere che, complice la stupidità economica del tiranno e la sua vanagloria ed arroganza, Donald Trump ci libera anche di Erdogan, meglio, libera il popolo turco, senza sparare un colpo, altro che lo spettacolo deplorevole del golpe fallito organizzato da Barack Obama?

Certo è che la rielezione del Cinghialone nel 2020, con buona pace dei nemici nazionali e internazionali accaniti e con la bava alla bocca, viene data altamente probabile, quasi certa, dai broker della City

A tre mesi dalle elezioni di Midterm e due anni dalle prossime elezioni, la riconferma del Presidente è quotata addirittura poco sopra al 2, puntando un euro se ne vincono appena più di due, per l’esattezza la riconferma di Trump viene pagata 2.35 volte la posta giocata e il più vicino degli sfidanti, Elizabeth Warren, 9 volte.

Troppo presto? Può darsi, ma è significativo del clima, soprattutto stride come un unghia su una lavagna col racconto mondiale dei media che a Trump attribuiscono un guaio catastrofico al giorno, pubblico e privato, che soprattutto dipingono il Presidente come un uomo volgare, goffo, inadeguato alla carica, insomma un infortunio della storia.

Prendiamo tre storie recenti e tre narrazioni: le primarie e le elezioni speciali che si sono tenute martedì scorso, il boom economico, le spie russe.

Ma rileggiamo anche una interessantissima intervista al Financial Times passata sotto silenzio, guarda un po’, del mitologico Henry Kissinger, 95 anni e un cervello giovane, che ha resistito eroicamente a un intervistatore radical chic che tentava disperatamente di fargli dire qualcosa di brutto sul presidente, e che così si conclude, fulminante.

“I think Trump may be one of figures in history who appears from time to time to mark the end of an era and to force it to give up its old pretences. It doesn’t necessarily mean that he knows this, or that he is considering any great alternative. It could just be an accident”.

Penso che Trump possa essere una di quelle figure che compaiono nella storia di tanto in tanto per segnare la fine di un'era e obbligarla a rinunciare alle sue vecchie ipocrisie. Non vuol dire necessariamente che ne sia consapevole o che abbia di pensato di costituire una grande alternativa. Potrebbe anche essere un accidente della storia”.

Le primarie e le elezioni speciali, ovvero anticipate perché l’eletto si ritira o ha cambiato incarico, sono state raccontate con dovizia di particolari e giustamente come un'anteprima delle tendenze dal prossimo novembre, quando si rinnovano l'intero Congresso, Camera bassa, un terzo del Senato, ben 36 governatori. In ballo da una parte la sfida dei democratici per riprendersi la maggioranza alla Camera, data da tutti per ipotesi probabile, dall'altra nelle primarie del partito repubblicano l'influenza del presidente nella scelta dei candidati suoi contro la nomenclatura a lui avversa, e finalmente con in mano lo strumento per rintuzzarne il potere.

Non è andata così, i repubblicani vincono finora le elezioni speciali e ovunque si affermano nelle primarie i candidati voluti da Donald Trump.

Dice il candidato a governatore della Georgia, Brian Kemp, che l'investitura del presidente, il suo endorsement, e’ come mettere benzina su un fuoco.

Lo conferma Newt Gingrich, che del partito è stato presidente e speaker della Camera negli anni di Clinton, un grande repubblicano, il cui parere viene considerato come quello di un guru, e che ora si può incontrare per le strade del centro di Roma dove trascorre lunghi periodi per stare con la moglie Calista, ambasciatore di Trump presso la Santa Sede.

Scrive Gingrich che il messaggio più importante da ricavare dalle primarie di martedì e dalla elezione speciale in Ohio è che il partito repubblicano sta diventando il partito del presidente Trump. Spiega nell'ordine che insieme al leader della maggioranza al Senato.

Mitch McConnell, ha nominato e insediato un numero record di giudici federali conservatori e attenti alla Costituzione; ha portato via da Washington una buona parte del potere è liberato le imprese con una deregulation senza precedenti; ha dato la precedenza a un taglio massiccio delle tasse che ha creato una quantità enorme di posto di lavoro e fatto crescere l'economia molto più rapidamente di quel che le élites credevano possibile; ha cominciato a ricostruire l'esercito americano dopo che in 8 anni di amministrazione Obama gli sforzi erano stati tutti volti a ridimensionarlo; ora si sta occupando del partito repubblicano, e nelle primarie trionfano i suoi candidati.

Questo significa che di qui a pochi mesi Trump disporrà di un partito completamente d'accordo con le sue iniziative politiche, che non gli farà perdere più tempo, e significa anche che le voci dei “neverTrumpers” i repubblicani che lo odiano, alla McCain e alla Bill Kristol, diventeranno del tutto irrilevanti.

Anche perché nelle elezioni anticipate, come quella dell'Ohio di martedì Trump dimostra la stessa capacità di cambiare il corso delle cose. Sabato mattina Infatti il riconteggio è finito, il vincitore è il candidato repubblicano, con un margine di 1200 voti di differenza.

Ora, alla vigilia del voto l'affermazione del democratico veniva data per altamente probabile, oggi che ha vinto il repubblicano, sia pur dopo un riconteggio, come mai giornali italiani piccoli e grandi, uniti nell'unico corrispondente collettivo, ci dicono che il voto mostra la debolezza del partito repubblicano, che I democratici ora sperano, che alla Casa Bianca tremano, eccetera eccetera?

Le elezioni di midTerm sono sempre terribili per il partito che governa, storicamente gli americani preferiscono dare una chance all'opposizione con la maggioranza in Parlamento, ma una cosa è certa, che l'avviso e’ indirizzato ai democratici, oltre che ai giornali ;dice che se Trump passa i prossimi due mesi in giro per il Paese a tenere comizi e assemblee, ha fondate probabilità di tenersi la maggioranza al Congresso e Senato contro l'opinione dominante che vuole la rimonta democratica per certa.

Il boom economico.

Avete fatto caso che sui giornali italiani se ne parla veramente poco? Quelli americani non commettono lo stesso errore, non potrebbero, ma tentano insistentemente di attribuire il merito dei successi di oggi a Barack Obama. Lo fanno insistentemente Washington Post e New York Times.

La teoria è sempre la stessa. È indubitabile che l'economia vada alla grande ma e’ perché, nonostante Trump, segue la via maestra indicata dal Presidente Obama.

Ma nel 2016 lo stesso Times scriveva che l'economia era avviata alla stagnazione, e più in generale tutti affermavano che la ripresa era lentissima dopo la recessione, la più lenta dei tempi della Grande Depressione. Stiamo parlando di 0,8 /0,9, non dell'attuale 4,1. Nei tre quadrimestri del 2016 la crescita del prodotto interno lordo diminuì gradualmente, e valutando la situazione degli otto anni di presidenza Obama, ci si spinge a parlare di stagnazione secolare.

Tanto che nell'agosto del 2016 a 3 mesi dalle elezioni presidenziali, lo stesso New York Times, che ora attribuisce a Obama i risultati di Trump, scriveva così “ la realtà strisciante della crescita lenta perseguiterà chiunque vinca la Casa Bianca”.

Previsione confermata da tutti, come CBS news che in settembre dichiarava che “ poiché la crescita economica americana tende al basso ormai da molti anni, molti autorevoli economisti si preoccupano che il Paese sia entrato in una spirale lunga nella quale qualsiasi ipotesi di espansione sarà più debole di quelle del passato”.

Ci vuole quindi una bella faccia tosta per sostenere oggi in pieno boom economico – crescita ancora più alta prevista anche per il prossimo trimestre, disoccupazione al minimo per donne, neri, ispanici, offerta di lavoro superiore alla domanda – che si tratta di un successo che viene da lontano. È il frutto di scelte drastiche di deregulation, tagli delle tasse, investimento nella spesa produttiva. Gli americani, anche quelli che non votano repubblicano e non hanno votato Trump, lo sanno, i media si sono incartati.

Le spie russe e la collusione durante la campagna elettorale e le elezioni del 2016.

Qui si potrebbe aprire un capitolo infinito, perché infinita sembra la fase istruttoria dell'indagine dello Special Counsel, e finora nessuna prova di coinvolgimento diretto del presidente è venuta fuori, solo incriminazioni e al momento un processo per un ex collaboratore del presidente, Paul Manafort, che ha lavorato alla campagna tre mesi in tutto, e i cui crimini sarebbero stati commessi entro il 2014, cioè nella preistoria rispetto alla candidatura.

Dall'altra parte ci sono illustri penalisti e costituzionalisti come Alan Dershowitz, ma anche un bel pezzo di partito repubblicano scatenato, che sostengono tanto che le prerogative del presidente non si possono toccare, e che per esempio licenziando un ex direttore dell'Fbi, Trump ha esercitato fino in fondo il proprio ruolo, quanto che all'interno dell'Fbi e del dipartimento di Giustizia ci sono state e in parte ci sono trame e imbrogli e falsi dossier messi insieme per portare con l'inganno a una incriminazione del presidente.

Solo che i giornali americani e tanto più quelli italiani non la raccontano così, raccontano una confusione terribile di dati, persone, sospetti, lasciando intendere che l'incriminazione e l'impeachment di Trump siano sempre e da un momento all'altro un evento possibile, anzi probabile, magari proprio alla vigilia delle elezioni di midterm.

Prendiamo allora un atto ufficiale, quello che fu annunciato proprio alla vigilia del vertice di Helsinki tra Trump e Putin e che rischio’ di mandarlo in malora.

Lo scorso 13 Luglio un Grand Jury statunitense ha depositato l’accusa formale richiesta dal procuratore speciale Muelle, in cui il GRU, l’agenzia di intelligence militare russa, viene accusata di aver attaccato il sistema e la campagna elettorale statunitense.

Solo russi, badate bene, tutti fuori dagli Stati Uniti, nessun americano, e vi ricordo anche che in precedenza è stata dal dipartimento di Giustizia e dal Congresso scartata l'ipotesi che le ingerenze abbiano alterato il risultato delle elezioni.

Prima considerazione. Se nessun americano è coinvolto, se i russi non sono nel Paese, dunque non sono perseguibili, quale valore ha, se non quello di una provocazione politica, l'atto formale?

I fatti sono noti perché vennero fuori all'epoca della Convention democratica, quando un hacker di nome Guccifer 2.0 riusci’ a entrare nei computer del comitato Nazionale Democratico e pubblico’ contenuti che avrebbero dovuto restare riservati e scambi di mail nel sito DCleaks.com.

Gli inquirenti dicono di essere riusciti a risalire all'identità di Guccifer, che sarebbe un agente russo, lui ha sempre negato di esserlo nelle dichiarazioni rilasciate in quei mesi, nelle quali tra l'altro prendeva molto in giro la fragilità del sistema di sicurezza del Comitato Democratico.

Fragilità confermata nell'indictment americano. Si tratta di una banale spearphishing email. una di quelle che ci chiedono di cambiare la password di un nostro account. Si inserisce a quel punto un malware che trasmette tutti i dati di accesso.

Tutto qui? Tutto qui, una bella figuraccia della cyber sicurezza USA.

Segue nell'atto di accusa il tipo di pagamento, sarebbero stati bitcoins, e si affermano i rapporti con WikiLeaks che però nega di aver avuto a che fare con russi.

Si tratta dunque di accesso abusivo a sistema informatico, e bene hanno fatto coloro che hanno ricordato che questo tipo di sorveglianza e spionaggio la NSA americana e la Cia li esercitano abitualmente anche con i propri alleati, anche con noi italiani, anche il presidente Obama, anzi massicciamente con lui.

In questa occasione di spionaggio dell'hacker Guccifer che cosa è venuto fuori? Che il clan di Hillary Clinton comandava sul Partito Democratico e sui responsabili del Comitato elettorale nazionale, i quali la detestavano e la definivano nelle mails una psicopatica, ma le obbedivano ciecamente, danneggiando l'altro aspirante candidato, Bernie Sanders. Fini’ che dovettero dimettersi, facendo una figuraccia, alla vigilia della convention.

Un prezzo basso rispetto alla illegalità dell'intera gestione della campagna elettorale, che la Clinton si era comprata pagando i debiti lasciati nella campagna del 2012 da Barack Obama, come poi documenterà in un libro boicottato dai mainstream media la guru democratica pentita, Donna Brazle.

Eppure, vai con le fake news!
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom set 02, 2018 4:50 pm

???

L’America dà l’addio a McCain. Tre presidenti ai funerali, mentre Trump gioca a golf
Riccardo Barlaam

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/20 ... d=AEEb6RiF

NEW YORK - «Ho visto l’America diventare un paese più giusto. Ho visto l’America organizzare e guidare un ordine internazionale basato sulla libertà, la mutua sicurezza, i liberi mercati e lo stato di diritto. Credo negli americani. Siamo in grado di migliorare. L’ho visto. Siamo fiduciosi, persone compassionevoli. E abbiamo ancora leader che sosterranno i valori che hanno reso grande l’America e un faro per gli oppressi. Ma non lo do per scontato. Dobbiamo combattere. Dobbiamo combattere contro teorie cospirative di propaganda. Dobbiamo combattere l’isolazionismo, il protezionismo. Dobbiamo ricordare ai nostri figli che siamo diventati la nazione più potente sulla terra abbattendo muri, non costruendoli».

In queste parole di John McCain, pronunciate nel suo ultimo discorso tenuto davanti ai cadetti dell’Accademia navale di Annapolis nel 2017, c’è il testamento morale di un grande americano. Uomo simbolo dei valori di questa nazione.
John Sidney McCain, scomparso il 25 agosto a 81 anni dopo una lunga battaglia contro un tumore al cervello, eroe di guerra in Vietnam, senatore repubblicano, ex candidato alla Casa Bianca è stato salutato ieri con tutti gli onori, in un funerale nella Cattedrale di Washington davanti a migliaia di persone. È stato un tributo bipartisan e di forte unità in un momento in cui il paese è diviso dalla politica. C’erano tre ex presidenti a rendergli omaggio, in prima fila con le first lady, nei banchi della Cattedrale: Bill Clinton, George W. Bush, Barack Obama. Accanto, dall’altro lato dei banchi, la moglie Cindy McCain e i sette figli.
Addio a John McCain, eroe di guerra, senatore e grande nemesi di Trump

L’omaggio di due presidenti
Gli elogi funebri a McCain sono stati pronunciati, tra le altre persone, dai due uomini che gli hanno causato le più grandi sconfitte politiche: George W. Bush che nel 2000 lo aveva battuto alle nomination repubblicane, e Barack Obama che ebbe la meglio alle elezioni presidenziali del 2008. Non era mai successo prima.
L’unico precedente di due elogi funebri presidenziali risale ai funerali di Ronald Reagan, nel 2004, quando a parlare furono Bush senior e George W. McCain non è mai stato presidente. Ma è come se lo fosse stato a giudicare dagli onori che gli sono stati tributati.

Trump al campo di golf
Unico assente, perché ospite non gradito, Donald Trump. Il presidente ha fatto sapere di aver trascorso la mattina nel campo di golf della sua tenuta in Virginia, tra un tweet e l’altro. McCain, pur militando nello stesso partito, è stato tra i più strenui oppositore di Trump. Conservatore vecchia maniera, indipendente, coerente con i suoi principi, fino all’ultimo, nonostante la malattia. A rappresentare la Casa Bianca il vice presidente Mike Pence. Nella chiesa parenti, amici, deputati, senatori di entrambi gli schieramenti, suoi collaboratori e leader politici. L’attore Warren Beatty, l’amico ed ex senatore democratico Russ Feingold, Michael Bloomberg. L’ex vice presidente democraticoJoe Bidenera tra i portatori della bara.

Usa: McCain, cerimonia funebre in Campidoglio senza Trump

L’omaggio del Capitolo e ai caduti del Vietnam
Nella giornata di venerdì migliaia di persone hanno reso omaggio alla salma di McCain esposta in Campidoglio. Si sono create lunghe code all’esterno, sulla scalinata, con tante persone costrette a ripararsi sotto gli ombrelli per proteggersi dal sole.
McCain è il 35esimo americano nella storia degli Stati Uniti ad avere l’onore di essere esposto nella sala Rotunda del palazzo del Congresso, quella sovrastata dall’enorme cupola e con la statua di George Washigton. Le persone hanno atteso pazienti di rendere omaggio a questo uomo libero, irascibile, mai domo, coerente fino all’osso, che perse le presidenziali nel 2008, senatore dell’Arizona, coraggioso eroe di guerra. Stamane, prima di arrivare alla Cattedrale, la salma dell’ex pilota di elicottero della Marina accompagnata da un lungo corteo di auto, si è fermata a salutare per l’ultima volta i caduti della guerra al Memoriale delle Vittime del Vietnam. La moglie Cindy McCain ha deposto una corona in onore del marito, che fu prigioniero di guerra per cinque anni e mezzo.

Gli elogi funebri
La prima a parlare è stata la figlia Meghan McCain, tra le lacrime: «L’America di John McCain non ha bisogno di essere resa di nuovo grande, perché l’America è sempre stata grande», ha detto. «Siamo qui a piangere la scomparsa di una grandezza americana, quella autentica, non la facile retorica di uomini che non arriveranno mai vicino al sacrificio che lui ha offerto a questo paese».
L’ex segretario di Stato Henry Kissinger, 94 anni, era a capo della diplomazia ai tempi di Nixon, tra gli artefici delle decisioni sfortunate nella guerra in Vietnam. Kissinger ha detto che gli Stati Uniti «hanno avuto la fortuna che in tempi di cruciali sono emerse alcune grandi personalità. John McCain è stata una di queste grandi personalità, un dono del destino».

GUARDA IL VIDEO / Stati Uniti, interrotte le cure per John McCain

Il ricordo di Barack Obama e Bush
Barack Obama con trasporto ha descritto «un uomo straordinario, un combattente, uno statista, un patriota che ha incarnato il meglio dell’America». Non ha poi mancato di sottolineare i valori del senatore repubblicano. Il fatto che pur da conservatore riconosceva come «alcuni principi trascendono la politica, alcuni valori trascendono i partiti».

Riferendosi alle attuali vicende politiche, Obama ha ricordato che il suo ex avversario comprendesse che la sicurezza e l’influenza dell’America non derivano «dalla nostra abilità di piegare gli altri al nostro volere, bensì da valori universali, dal rispetto della legge e dei diritti umani». McCain già malato, contro le indicazioni della Casa Bianca e del suo partito, andò a votare al Senato in difesa della riforma sanitaria approvata da Obama. Quella attuale, ha detto l’ex presidente, «è una politica che intende mostrarsi coraggiosa e dura, ma nei fatti nasce dalla paura. John ci ha esortato ad essere superiori a questo, ci ha esortati a essere migliori di così».

George W. Bush nel suo tributo ha sottolineato le numerose virtù del senatore repubblicano: «Era un uomo onorevole. Riconosceva sempre che i suoi oppositori erano patrioti e esseri umani. Amava la libertà con la passione di chi ne aveva conosciuto l’assenza». Su tutte le parole spicca il saluto di Obama. Parole di onore a un combattente, che sarebbero piaciuta a McCain: «Con John abbiamo avuto spesso visioni profondamente diverse sulla politica del nostro paese e sulla politica estera, ma entrambi abbiamo sempre creduto di far parte della stessa squadra».
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » ven set 07, 2018 7:00 am

Forza Trump, sei una speranza per il mondo intero.


Forza Trump, sei una speranza per il mondo intero, per tutti gli uomini di buona volontà, schiaccia la testa mostruosa della viscida casta che alberga ovunque, persino nella tua Casa Bianca dove la volontà della maggioranza dei cittadini ti ha posto per ben servirli.
Anche noi in Europa confidiamo in te come confidano Israele, il Giappone, l'India, l'Australia, tanti altri paesi del Mondo e tutti i buoni uomini della terra.


https://www.facebook.com/permalink.php? ... 7003387674




L'articolo anonimo contro Trump sul New York Times
mercoledì 5 settembre 2018

https://www.ilpost.it/2018/09/05/artico ... york-times

Lo ha scritto un membro dell'amministrazione, per raccontare che ci sono "persone coraggiose" alla Casa Bianca che cercano di impedire al presidente di fare danni

Il New York Times ha pubblicato mercoledì sera nello spazio Editoriali e commenti sul suo sito un eccezionale “articolo anonimo”, introdotto e spiegato così:

Il New York Times compie oggi il raro passo di pubblicare un articolo di commento anonimo. Lo facciamo su richiesta dell’autore, un importante esponente dell’amministrazione Trump la cui identità ci è nota e il cui ruolo sarebbe minacciato se fosse svelata. Crediamo che pubblicare questo articolo anonimamente sia l’unico modo per diffondere una lettura importante presso i nostri lettori. Vi invitiamo a inviare domande sull’articolo o sui nostri criteri di pubblicazione.

Le cautele del New York Times nello spiegare la delicata scelta di pubblicare l’articolo pur nascondendone la fonte hanno a che fare con il suo contenuto e le accuse molto forti che espone. L’autore vuole contemporaneamente descrivere la grande incompetenza e inaffidabilità del presidente Trump – soprattutto nell’allontanarsi da quelli che sono citati come i principi della politica Repubblicana e nel cambiare frequentemente avviso su molte decisioni e approcci importanti – e anche il valore dei suoi collaboratori che alla Casa Bianca cercano di attenuare le conseguenze di una presidenza descritta come disastrosa e pericolosa: “[Per Trump] Il problema – che non riesce a realizzare del tutto – è che molti dei principali responsabili nella sua stessa amministrazione lavorano assiduamente dall’interno per opporsi a parti del suo programma e alle sue peggiori inclinazioni. Io lo so, sono uno di loro”.

L’imprevedibile comportamento [del Presidente] sarebbe più preoccupante se non fosse per gli oscuri eroi dentro e intorno alla Casa Bianca. Alcuni dei suoi collaboratori sono stati descritti dai media come “cattivi”, ma in privato si sono spinti molto in là per trattenere all’interno della West Wing le decisioni sbagliate, anche se non ci sono evidentemente sempre riusciti.
Può suonare come una magra consolazione in quest’era confusa, ma gli americani devono sapere che ci sono degli adulti in queste stanze. Ci rendiamo conto esattamente di cosa sta succedendo. E cerchiamo di fare ciò che è giusto anche quando Donald Trump non lo fa.

Le critiche contro Trump – che verranno di certo citate e ripetute infinite volte nelle prossime settimane – sono chiarissime e per niente sfumate.

La radice del problema è l’amoralità del Presidente. Chiunque lavori con lui sa che non è ancorato a nessun comprensibile principio che guidi i suoi processi decisionali.
Malgrado sia stato eletto come Repubblicano, il Presidente mostra pochissime affinità con gli ideali storici dei conservatori: libero pensiero, libero mercato e liberi individui. Nel migliore dei casi, li ha citati in situazioni preconfezionate. Nel peggiore, li ha palesemente attaccati.
In aggiunta alla sua propaganda del concetto che la stampa sia “nemica del popolo”, gli istinti del Presidente Trump sono generalmente anti-mercato e anti-democratici.
Non equivocatemi. Ci sono elementi positivi che l’incessante narrazione negativa sull’amministrazione manca di afferrare: una riuscita deregulation, riforme fiscali storiche, un rafforzamento militare e altro.
Ma questi successi si sono ottenuti non per merito ma malgrado lo stile di leadership del Presidente, che è impulsivo, aggressivo, piccino e inefficace.

L’autore dell’articolo dice di condividere con diversi altri suoi colleghi nella Casa Bianca le sue opinioni.

Dalla Casa Bianca ai dipartimenti e alle agenzie dell’esecutivo, i maggiori dirigenti confessano in privato la loro quotidiana incredulità nei confronti dei commenti e delle azioni del comandante in capo. La maggior parte cerca di tenere separate le proprie operazioni dai suoi capricci. Le riunioni con lui vanno fuori tema ed escono dal seminato, si dedica a ripetute invettive, e la sua impulsività si traduce in decisioni a metà, male informate e a volte spericolate su cui bisogna tornare indietro.
“Non c’è letteralmente modo di prevedere se cambierà idea da un minuto all’altro”, un importante ufficiale dell’amministrazione si è lamentato con me di recente, esasperato da una riunione nell’Ufficio Ovale in cui il Presidente ha ribaltato una grossa decisione che aveva preso solo una settimana prima.

L’articolo sul New York Times – che segue rivelazioni dello stesso tenore diffuse nelle anticipazioni del libro del giornalista Bob Woodward – è stato subito ripreso da tutti i maggiori siti di news e programmi televisivi statunitensi. Tre ore dopo la sua pubblicazione Donald Trump ha risposto pubblicamente durante un evento alla Casa Bianca:

C’è qualcuno su quello che io chiamo il morente New York Times che racconta che lui apparterrebbe a una resistenza all’interno dell’amministrazione Trump. Questo è quello con cui abbiamo a che fare.

Trump ha continuato definendo l’articolo “un editoriale anonimo, ovvero inconsistente”. La sua portavoce Sarah Huckabee Sanders ha poi diffuso un comunicato ufficiale:

L’individuo dietro questo articolo ha scelto di tradire, invece che sostenere, il Presidente degli Stati Uniti regolarmente eletto. Non sta scegliendo il Paese, ma mettendo se stesso e il suo ego prima della volontà del popolo americano. Questo codardo dovrebbe fare la cosa giusta e dare le dimissioni.

Sanders ha aggiunto che “siamo delusi ma non sorpresi che il giornale abbia scelto di pubblicare questo patetico, scriteriato ed egoista commento. È un nuovo punto più basso per il cosiddetto paper of record, che dovrebbe pubblicare delle scuse come fece dopo le elezioni rispetto alla sua disastrosa copertura della campagna Trump. È solo un altro esempio dello sforzo congiunto della stampa liberal per screditare il Presidente”. Il New York Times ha risposto puntualizzando di non avere mai pubblicato scuse, ma solo una lettera ai lettori ammettendo di avere sottovalutato il consenso per Trump.




Trump furioso: "Resistenza dentro la Casa Bianca è una disgrazia"
Il presidente se la prende con il funzionario che ha raccontato al Nyt come all'interno dell'amministrazione ci siano funzionati che sabotano l'azione del tycoon. La portavoce Sanders: "È solo un traditore"
05 settembre 2018

https://www.repubblica.it/esteri/2018/0 ... -205705047

La "resistenza" in seno alla Casa Bianca "è una disgrazia". Così il presidente Donald Trump ha commentato l'editoriale anonimo di un funzionario della sua amministrazione sul New York Times. Il dirigente dichiara di lavorare, come molti altri funzionari della Casa Bianca, per boicottare l'agenda del presidente che sta mettendo a repentaglio "la salute della repubblica".


L'anonimo editorialista, "sta probabilmente fallendo" proprio come il New York Times, ha proseguito Trump. "Se io non fossi qui - ha rimarcato - il New York Times probabilmente non esisterebbe" più. Trump ha dunque tirato fuori un documento dalla tasca sottolineando tutti i successi della sua amministrazione. "Nessuno ha fatto quello che è riuscita a fare questa amministrazione dal punto di vista dei provvedimenti approvati e nell'ottenere risultati", ha insistito il presidente citando il bilancio, la deregulation, i tagli alle tasse e la bassa disoccupazione.


In nottata è arrivato puntuale il tweet di Trump: "Tradimento?, mentre sui media, e probabilmente non solo, è scattata la 'caccia' all'autore della lettera, per cercare di individuare chi possa essere e se addirittura, si spinge a dire qualcuno, sia un responsabile all'interno del governo o della Casa Bianca.

"Vigliacco e senza spina dorsale": non ha usato mezzi termini la portavoce della casa Bianca, Sarah Sanders, per bollare l'alto funzionario dell'amministrazione.

"Circa 62 milioni di persone hanno votato il presidente Trump e nessuno di loro ha votato per una fonte del fallimentare New York Times senza spina dorsale e anonima". "L'individuo dietro la lettera - prosegue Sanders - ha scelto di tradire invece di sostenere il presidente eletto degli Stati Uniti. Al primo poso non ha messo il paese ma se stesso e il suo ego. Questo codardo dovrebbe fare la cosa giusta e dimettersi".



Cosa c'è nel libro di Bob Woodward sulla Casa Bianca di Trump
2018/09/05

https://www.ilpost.it/2018/09/05/libro- ... b-woodward


Un nuovo libro sta facendo discutere negli Stati Uniti e sta agitando la politica americana: l’ha scritto Bob Woodward, il famoso e rispettato giornalista del Washington Post che negli anni Settanta indagò sul caso Watergate insieme a Carl Bernstein, e racconta il primo anno e mezzo dell’amministrazione di Donald Trump con una serie di aneddoti e storie al limite dell’incredibile. Il libro si chiama Fear e deve ancora uscire, ma il Washington Post ha pubblicato alcuni dei passaggi più notevoli, che descrivono una Casa Bianca alla deriva e uno staff presidenziale impegnato quotidianamente a contenere l’impulsività di Trump, descritto da molti ex dipendenti della sua amministrazione come poco interessato agli affari esteri e inconsapevole di come funzioni un governo.

Woodward descrive una serie di macchinazioni quotidiane dello staff di Trump per evitare disastri e crisi internazionali, e che sono descritte come una sorta di «colpo di stato amministrativo»: si parla di collaboratori che disobbediscono a ordini particolarmente assurdi o pericolosi, o rubano i documenti dalla scrivania di Trump per evitare che li legga o non farglieli firmare, per capirci.

Woodward ha scritto il libro basandosi su centinaia di ore di interviste con fonti di prima mano, soprattutto ex funzionari e consiglieri della Casa Bianca che hanno assistito direttamente agli aneddoti raccontati, e consultando diari personali e documenti riservati. Il Washington Post ha pubblicato l’audio di una telefonata avvenuta lo scorso 14 agosto tra Woodward e Trump, che si è lamentato di non aver potuto replicare alle accuse contenute nel libro. Nella telefonata, Woodward spiega al presidente di aver chiesto a sei diverse persone vicine a lui di fissare un appuntamento, senza riuscirci. Dopo le anticipazioni pubblicate dal Washington Post, Trump ha immediatamente negato le accuse del libro, e lo stesso hanno fatto diversi membri dell’amministrazione protagonisti delle storie.

La testimonianza sull’inchiesta sulla Russia
Una delle storie anticipate dal Washington Post riguarda l’indagine sulla Russia condotta dal procuratore speciale Robert Mueller. Trump ha sempre rifiutato di testimoniare (potrebbe essere costretto da un mandato di comparizione) ma Woodward racconta che è stato il capo dei suoi avvocati John Dowd – che si è dimesso lo scorso marzo – a convincerlo a rifiutare, convinto che Trump avrebbe commesso il reato di falsa testimonianza se sottoposto a un interrogatorio.

Per convincere Trump a non farsi interrogare, Dowd simulò una deposizione, facendogli domande incalzanti e portandolo a contraddirsi. Trump si infuriò e all’inizio sembrò convinto di non farsi interrogare, salvo poi decidere di nuovo di voler testimoniare. Woodward racconta anche che Dowd raccontò a Mueller com’era andata la preparazione alla deposizione, spiegandogli che non voleva che Trump testimoniasse per paura che la trascrizione uscisse sui giornali e portasse le potenze straniere a prendere meno sul serio il presidente. «John, capisco», gli disse Mueller, secondo Woodward. «Non testimoni. O fa così, o finisce in una tuta arancione», disse alla fine Dowd a Trump alludendo all’uniforme dei detenuti. Trump ciononostante si impuntò: «Sarei un buon testimone». Dowd disse a Trump che non era così, aggiungendo: «Ho paura di non poterla aiutare più di così», e si dimise il giorno successivo.

Woodward descrive l’inchiesta sulla Russia come un tasto molto dolente per Trump, e un motivo di imbarazzo. In una telefonata ufficiale, il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi gli disse: «Sono preoccupato per quest’indagine, Donald. Continuerai a esserci?». Fu come “un calcio nelle palle”, disse Trump ai suoi collaboratori.

I documenti rubati
Ma Woodward racconta di altri ex collaboratori di Trump che hanno lasciato la Casa Bianca per esasperazione dopo aver tentato a lungo di contenere il comportamento di Trump. Uno di questi è Gary Cohn, ex capo consigliere economico di Trump, che a sua volta se ne andò lo scorso marzo. Cohn, un ex finanziere di Wall Street, provò a lungo a limitare l’isolazionismo economico di Trump, anche adottando soluzioni estreme: in un caso, tolse dalla scrivania del presidente un documento che voleva firmare per ritirare gli Stati Uniti da un importante accordo economico con la Corea del Sud. Spiegò a un suo assistente che lo aveva fatto per proteggere la sicurezza nazionale, e che Trump non se n’era accorto.

In un’altra occasione, lo staff di Trump dovette preparare un documento per ritirarsi dal NAFTA, l’importante accordo commerciale con Canada e Messico. Ma i suoi consiglieri erano preoccupati che potesse avere gravi conseguenze diplomatiche ed economiche, quindi Cohn disse: «Posso fermarlo. Tolgo il foglio dalla sua scrivania». E lo fece. Gli Stati Uniti sono tuttora dentro al NAFTA.

Donald Trump con l’ex consigliere economico Gary Cohn (a destra) e il consigliere per la sicurezza nazionale H. R. McMaster (secondo da destra) nello Studio Ovale. (Alex Wong/Getty Images)

Il rapporto con i militari
Woodward ha raccolto anche i racconti e le lamentele degli ufficiali dell’esercito al lavoro alla Casa Bianca, che nell’amministrazione Trump sono notoriamente ignorati e maltrattati come non era mai successo in passato. Woodward racconta di una riunione del Consiglio per la Sicurezza Nazionale dello scorso gennaio, in cui Trump chiese perché gli Stati Uniti mantenessero una presenza militare così massiccia nella penisola coreana, e perché portassero avanti l’operazione di intelligence che consente di rilevare in pochi secondi i lanci missilistici nordcoreani. «Lo stiamo facendo per prevenire la Terza guerra mondiale», gli rispose disarmato il segretario per la Difesa John Mattis. Dopo la riunione, prosegue Woodward, Mattis era preoccupato e esasperato, e disse ai suoi collaboratori che Trump si era comportato come – e aveva le capacità di comprensione di – «un bambino di 11 o 12 anni».

Da sinistra: il consigliere per la sicurezza nazionale H.R. McMaster, il chief of staff della Casa Bianca John Kelly, Donald Trump e il segretario della Difesa Jim Mattis. (Andrew Harrer-Pool/Getty Images)

Un aspetto che emerge dai racconti di Woodward sembra essere il fatto che diversi membri dell’amministrazione vivano il loro lavoro come un sacrificio per il bene del paese. «I segretari della Difesa non scelgono sempre il presidente per cui lavorano», avrebbe detto Mattis ad alcuni amici secondo il resoconto di Woodward. Il libro riporta anche uno sfogo di John Kelly, capo dello staff della Casa Bianca ed ex rispettato generale dei Marine, che avrebbe detto di Trump durante una riunione ristretta: «È un idiota. È inutile provare a convincerlo di qualsiasi cosa. È andato fuori dai binari. Siamo nella Città dei matti. Non so nemmeno perché siamo qui. È il peggiore lavoro che abbia mai avuto». Kelly ha minacciato più volte di licenziarsi, secondo i giornali americani, ma è sempre rimasto alla Casa Bianca. Dopo le anticipazioni sul libro di Woodward, Kelly ha smentito di aver dato dell’idiota a Trump.

Durante una cena con diverse persone, tra cui Mattis e il capo delle forze armate statunitensi Joseph F. Dunford Jr., Trump si mise a insultare il senatore Repubblicano John McCain, considerato negli Stati Uniti un eroe di guerra e morto lo scorso 25 agosto. Trump lo descrisse come un codardo, accusandolo di aver sfruttato il fatto di essere figlio di un importante generale per essere liberato in anticipo quando fu fatto prigioniero in Vietnam. «No signor presidente, credo che abbiate invertito le cose», gli rispose Mattis, spiegando che McCain fece esattamente il contrario, rifiutando di ottenere un trattamento privilegiato e rimanendo prigioniero più di cinque anni. «Oh, okay» rispose Trump.

Dopo il bombardamento chimico del regime siriano nella provincia di Idlib dell’aprile del 2017, Trump chiamò Mattis per dirgli che voleva assassinare Assad. «Uccidiamolo cazzo. Andiamo lì, uccidiamone molti». Mattis disse a Trump che se ne sarebbe occupato, ma una volta messo giù il telefono disse ai suoi collaboratori: «Saremo molto più cauti di così». Alla fine lo convinse a ripiegare sui bombardamenti mirati che ebbero effettivamente luogo. Mattis ha smentito tutti i virgolettati che gli sono attribuiti nel libro.

Nel periodo di massima tensione con la Corea del Nord, quando Trump definì Kim Jong-un «piccolo Rocket Man» all’ONU, i consiglieri militari erano preoccupati che Trump potesse provocare il dittatore nordcoreano. Trump disse a Rob Porter, avvocato che lavorò nello staff di Trump fino allo scorso febbraio e una delle principali fonti del libro, che «È tutta una questione di leader contro leader. Uomo contro uomo. Io contro Kim».

I maltrattamenti allo staff
Non è un segreto che Trump non nasconda il suo disprezzo per alcuni suoi collaboratori, e anche per figure di prima importanza nell’amministrazione. Un caso famoso è quello di Jeff Sessions, il segretario della Giustizia che delegò la supervisione sull’inchiesta sulla Russia per non cadere in un conflitto di interessi, provocando l’ira di Trump, che continua a insultarlo e criticarlo su Twitter ogni settimana. Il presidente, scrive Woodward, lo definì un “traditore”, dandogli del “ritardato mentale” e imitandone l’accento meridionale, insinuando che in Alabama non potrebbe essere nemmeno un avvocato di campagna.

Trump aveva un pessimo rapporto anche con Reince Priebus, ex capo dello staff della Casa Bianca. Una volta, scrive Woodward, disse a Porter di ignorare Priebus, nonostante rispondesse direttamente a lui come tutto lo staff della Casa Bianca. Trump paragonò Priebus «a un piccolo ratto, che scorrazza soltanto in giro». Trump, racconta Woodward, prendeva spesso in giro anche H.R. McMaster, ex consigliere per la sicurezza nazionale, imitandone il modo di respirare e accusandolo di vestirsi con completi scadenti, come «un rappresentante di birre».

«Non era più una presidenza»
Porter ha detto a Woodward che quella in cui lavorava «Non era più una presidenza. Non era più una Casa Bianca. Era solo un uomo, che era se stesso». Dopo la protesta di Charlottesville, in cui un neonazista investì e uccise una manifestante, Trump fece il famoso e criticato discorso in cui condannava «entrambe le parti» per le violenze. I suoi consiglieri lo convinsero a fare un nuovo discorso per condannare esplicitamente il suprematismo bianco, ma subito dopo averlo pronunciato disse al suo staff: «È il peggiore errore che abbia mai fatto. Il peggior discorso che ho mai fatto».

Il capo dello staff della Casa Bianca John Kelly con Ivanka Trump e Jared Kushner. (AP Photo/Evan Vucci)

A essere particolarmente scosso dal comportamento di Trump fu Cohn, che è ebreo, che infatti subito dopo presentò una prima lettera di dimissioni, salvo essere convinto da Trump a rimanere. Anche Kelly confidò a Cohn di essersi infuriato per il comportamento di Trump su Charlottesville: «Avrei preso quella lettera di dimissioni e gliel’avrei messa nel culo sei volte», disse secondo Woodward a Cohn.

I familiari
Nel libro di Woodward i familiari di Trump alla Casa Bianca – principalmente la figlia Ivanka Trump e suo marito Jared Kushner, entrambi con un ruolo ufficiale di consiglieri del presidente – hanno un ruolo marginale. Si racconta però di un episodio in cui l’ex consigliere di Trump Stephen Bannon si infuriò con Ivanka intimandole di fare riferimento a Priebus, il capo dello staff, e non direttamente a suo padre: «Sei una cazzo di dipendente! Entri qui come se comandassi tu, ma non è così! Sei una dipendente!». «Non sono una dipendente, non lo sarò mai. Sono la First Daughter!», gli rispose Ivanka Trump.

Conseguenze
Secondo Politico, la posizione già traballante di Kelly potrebbe subire il colpo decisivo dal libro di Woodward. Si sa che Trump era già arrabbiato con Kelly per una vicenda legata al funerale di McCain. Secondo diverse fonti, infatti, Kelly aveva comunicato lo scorso luglio che avrebbe mantenuto il suo incarico fino alla fine del mandato di Trump, per mettere a tacere le continue voci che ipotizzavano le sue dimissioni, ma il suo annuncio venne accolto con scetticismo nella Casa Bianca. Secondo un ex funzionario dell’amministrazione contattato da Politico «ora possiamo contare i granelli di sabbia rimasti nella clessidra».

Trump ha detto in un’intervista al Daily Caller che è soltanto «un altro brutto libro», aggiungendo che Woodward ha avuto problemi di credibilità, e che avrebbe preferito poter replicare. Politico dice invece che Woodward è un giornalista che Trump rispetta personalmente, tanto da averlo difeso quando fu criticato dall’amministrazione Obama per altri retroscena.

Con ogni probabilità non ci saranno conseguenze nei rapporti tra Trump e l’opinione pubblica, che è ormai abituata ad assistere a scene particolarmente caotiche alla Casa Bianca e tra Trump e i suoi collaboratori, ma potrebbero esserci conseguenze all’interno della Casa Bianca, visti i giudizi e gli aneddoti che contiene il libro. Woodward è considerato un giornalista serio, e gli standard giornalistici delle grandi testate e case editrici statunitensi richiedono spesso appunti e registrazioni anche quando poi le fonti delle informazioni non vengono rivelate: è difficile naturalmente dire quanto ci sia di vero e quanto no nel libro di Woodward, ma il caso di Jeff Sessions, la nota impulsività di Trump, le frequentissime dimissioni dei suoi collaboratori e la loro litigiosità in pubblico contribuiscono a rendere quanto meno credibili, verosimili, i racconti come quelli contenuti nel libro di Woodward.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » ven set 07, 2018 7:01 am

Io boicotto la multinazionale Nike, non mi sono mai piaciute le sue scarpe e non mi piace il nuovo testimonial Colin Kaepernick che sparge odio verso Trump; come non mi piacciono i vestiti Benetton e il suo sinistro testimonial Oliviero Toscani.


Trump critica Nike per scelta Kaepernick
Presidente Usa critica giocatore football 'ribelle' testimonial
07 settembre 2018

http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews ... 60245.html

(ANSA) - NEW YORK, 7 SET - ''Non mi piace quello che ha fatto la Nike. Non penso che sia appropriato''. Lo afferma il presidente americano Donald Trump in un'intervista a Fox, tornando a criticare il colosso dell'abbigliamento sportivo.
''Io onoro la nostra bandiera, onore l'inno nazionale e molte persone in questo paese pensano la stessa cosa'', aggiunge Trump.
Nike ha scelto come suo nuovo testimonial Colin Kaepernick, l'atleta 'ribelle' che ha dato il via alla protesta dei giocatori di football americano in ginocchio durante l'esecuzione dell'inno nazionale per manifestare contro il razzismo e la violenza della polizia contro i neri d'America.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » mer set 26, 2018 7:39 am

Arriva l'editorialone anonimo del 'new york times' contro Trump, una massa di contraddizioni
Maria Giovanna Maglie per Dagospia

http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 182385.htm

La caccia al partigiano coraggioso è partita alla Casa Bianca, questione di ore, ma forse se avesse fatto un vero spoils system, se non si fosse fidato della gente che gli proponeva la vecchia guardia repubblicana, ora tanti nemici in casa il presidente non li avrebbe. Lezione che vale in tutto il mondo, anche in Italia.

Negli Stati Uniti, passato Labor Day finita l'estate, è partita la grande caccia non solo per le prossime elezioni di midterm, ma per la composizione della Corte Suprema e perfino già per le elezioni presidenziali del 2020. Ci si gioca la pelle.

Fino a che punto è pronta la stampa in armi contro Donald Trump a disconoscere la propria storia e tradizioni, infangandosi a forza di fonti anonime non verificate e persino editoriali in bottiglia, pur di sconfiggerlo? Fatto. Fino a che punto quella élite di burocrati e tecnocrati in armi contro Trump indipendentemente dal partito di appartenenza, anzi entusiasticamente trasversale, è pronta a svelarsi - il deep state - rischiando l'accusa naturale e legittima di alto tradimento e il definitivo allontanamento dall'opinione popolare? Fatto.

Un bell'editoriale del New York Times nel quale un funzionario di alto grado dello staff della Casa Bianca rivela non solo fastidio e avversione per il suo presidente, nonostante lavori per lui, ma l'esistenza di un'attività organizzata per contrastarne le decisioni o almeno neutralizzarne gli effetti. Boicottaggio alla Casa Bianca, roba da far tremare le capitali di tutto il mondo.

Chi è il coraggioso e audace funzionario? Qui la patacca si rivela in tutto il suo sbrilluccichio, perché l'editoriale è anonimo, il New York Times si è deciso a pubblicarlo ugualmente in deroga alla propria tradizione e soprattutto all'etica del giornalismo, perché è necessario preservare la sicurezza del partigiano.

Seguono stupore generale, un certo qual imbarazzo anche tra gli altri giornali resistenti, che però seguono e cavalcano l'emergenza nazionale. Segue legittima incazzatura del presidente e richiesta che il sedizioso venga allo scoperto e riveli la propria identità, cosa sulla quale la Casa Bianca sta attivamente investigando.

Il presidente parla di sicurezza del Paese e di alto tradimento, con piena ragione. Dello scetticismo anche in campo democratico e’ buon esempio il sondaggista e analista di fenomeni politici, Nate Silver, che pure con il Times collabora, e che liquida l’ anonimo personaggio con un Tweet sprezzante “L'obiettivo vero dell'autore sembrerebbe quello di essere riconosciuto, così da assicurarsi un bell'anticipo su un libro da scrivere [sui segreti della Casa Bianca]"

E proprio un libro, quello in uscita di Bob Woodward, l'altro braccio del Watergate insieme a Carl Bernstein, tutti e due resuscitati in odio a Donald Trump, è al lancio in questi giorni, ed è tutto composto di voci dal sen fuggite della Casa Bianca e di dichiarazioni di odio, disprezzo, insulto all'indirizzo del presidente da parte di membri del suo governo, tutte apparentemente senza una prova, tutte smentite dai coinvolti, tra i quali John Mattis e John Kelly, che parlano di pura invenzione.

Gliene importa qualcosa agli americani? Non avranno fabbricato un boomerang quelli che tramano contro la presidenza? Di sicuro non si parla d'altro a Washington e magari in qualche altra capitale liberal, a New York, a Los Angeles, a Boston. A Chicago no, hanno altri problemi, devono tentare di salvare la città dal degrado, dalla violenza e dalla criminalità in cui la lascia il sindaco obamiano Rahm Emanuel, che ha annunciato che non intende più candidarsi.

L'idea è quella di dipingere una capitale del Paese e una sede della Presidenza in completo sfascio. Da una parte un Comandante in Capo iracondo, autoritario, privo di valori morali, a tratti in preda a demenza senile, infatuato di tutti i dittatori del mondo; dall'altra un gruppo di responsabili ed eroici funzionari che si provano in tutti i modi leciti e non leciti anche a costo di nasconderli documenti e notizie a contrastarne la follia.

Lavorano “to stop”, per fermare il presidente. Ecco a voi il “deep state” con buona pace dei giornalisti che in questi anni hanno detto che si trattava di un'invenzione della destra. Ecco la burocrazia che dalla elezione di Barack Obama in avanti aveva creduto di aver vinto per sempre e che ritiene Donald Trump un corpo estraneo.

Prendiamo brani dell'editoriale anonimo, che in certi punti sembra scritto da una persona a dir poco ingenua, con contraddizioni marchiane.

“Non è solo che il procuratore speciale incomba. O che il paese sia aspramente diviso sulla guida di Trump, o nemmeno che il suo partito possa perdere la Camera a favore dell'opposizione. Il dilemma che lui non comprende è che molti dei funzionari nella sua amministrazione stanno lavorando accuratamente dall'interno per fermare parte della sua agenda e le sue peggiori inclinazioni. Io lo so perché sono uno di loro”.

Qui cominciano le palesi contraddizioni di cui vi parlavo:

“ Per essere chiari la nostra non è la popolare resistenza della sinistra. Noi vogliamo che l'amministrazione abbia successo e pensiamo che molte delle sue politiche abbiano già reso l'America più sicura e più prospera”.

E allora di che stiamo parlando?

“La radice del problema è la immoralità del presidente, chiunque lavori con lui sa che non è legato a nessuno principio che guidi le sue decisioni. Sebbene sia stato eletto come repubblicano il presidente mostra scarsa affinità agli ideali da sempre coltivati dai conservatori: libertà di pensiero, libertà di mercato, libertà dei popoli. Aggiungete la continua affermazione che la stampa sia nemica del popolo. Gli impulsi del presidente Trump sono contro il commercio e antidemocratici”.

I buoni risultati dell'economia e della politica estera, la fiducia degli elettori, come si spiegano?

“Non equivocate, ci sono elementi brillanti che la copertura negativa quasi incessante di questa Amministrazione dimentica di sottolineare: la deregulation riuscita, una storica riforma delle tasse, una difesa di nuovo forte, e molte altre cose”.

Di nuovo, di che stiamo parlando?

“Ma questi successi sono arrivati nonostante, non per merito dello stile di comando del presidente che è improvvisato, aggressivo, inefficace”.

Segue l'elenco noto della presunta debolezza di Donald Trump nei confronti dei comportamenti dei russi, ai quali non avrebbe voluto comminare sanzioni, né cacciare le spie; l'inutilità’ dell'incontro con il dittatore della Corea del Nord. E il carattere insopportabile, il disprezzo ostentato per i collaboratori, i dossier che non vengono mai letti, gli improvvisi scoppi d ‘ira, Insomma tutto l'armamentario che porterebbe invocare il venticinquesimo emendamento della costituzione, ovvero la rimozione d'autorità di un presidente fuori di testa.

L'anonimo funzionario rassicura gli americani a questo punto: non è quello che vogliamo, vogliamo solo contenere i danni e dimostrare agli elettori che ci sono degli adulti alla Casa Bianca. L'editoriale si conclude con una lunga citazione delle virtù del da poco defunto John McCain, e una sorta di appello agli americani a ribellarsi allo stato delle cose.

Ma a che cosa dovrebbero ribellarsi gli americani? Donald Trump ha provveduto a far stilare un elenco puntiglioso quanto veritiero.

Quasi 4 milioni di posti di lavoro creati negli ultimi due anni. 400.000 solo nel manifatturiero, che è tornato a crescere alla velocità di 30 anni fa. Nell'ultimo quadrimestre crescita economica + 4,2% disoccupazione al minimo storico dopo 49 anni, così per la disoccupazione di afroamericani, di ispanici, di donne, di giovane; “lowest rate ever recorded” per i primi due, più basso in 65 anni per le donne, in 100 anni per i giovani’.

3 milioni e 900mila americani nel giro di due anni sono fuori dall'assistenza con i buoni pasto, vuol dire che hanno di che sostentarsi. Vendite al dettaglio più 6% nell'ultimo anno. Firmato il più corposo pacchetto di tagli e riforme delle tasse della storia, in seguito ai quali sono tornati negli Stati Uniti 300 miliardi di dollari. Le piccole aziende hanno pagato le tasse più basse degli ultimi 80 anni. Il mese scorso la FDA ha approvato un numero record di medicinali generici, quindi a costo molto più basso, bloccando così anche gli aumenti delle case farmaceutiche.

Mi fermo qui, all'indice di fiducia degli americani al livello più alto dal 2000, quando finì la presidenza Clinton, in un periodo di tale benessere economico da impedire a furor di popolo l'impeachment del presidente.

Poi gli elettori americani si comportano con grande libertà di pensiero, e ancora una volta si sentiranno liberi, come in un periodo normale, di non confermare la maggioranza repubblicana totale, Camera e Senato oltre che presidenza, alle elezioni di midterm del prossimo novembre, scegliendo per la Camera candidati democratici. Non è detto ma. succede pressoché regolarmente, e solo la scarsa memoria dell'opinionista partigiano anonimo del New York Times può dipingere questa libera opzione come la conseguenza eccezionale di un cattivo presidente.

Magari avere la maggioranza alla Camera potrebbe costringere il Partito Democratico a tirare fuori una qualche agenda e a decidere che cosa vuole fare da grande.

Per ora l'opposizione dei democratici e della palude SWAMP fanno solo un grande circo. Come ai funerali del senatore repubblicano ed eroe di guerra John McCain, che nel 2016 voto’ per Hillary Clinton. Non ha voluto Donald Trump alla cerimonia di addio ma i massimi onori ai quali aspirava glieli ha concessi proprio il presidente.

La figlia, che fa ora la opinionista televisiva anti Trump, ha tenuto una specie di comizio sui valori perduti dell'America che fu grande, e si commuovevano in prima fila Michelle e Barack Obama, che insultò e umiliò elettoralmente il defunto nel 2008, insieme ai coniugi Bush jr, che sempre nel 2008 lasciò una nazione così disorientata da consegnarsi agli Obama. Più o meno nelle stesse ore i Clinton salutavano Aretha Franklin in un altro funerale comizio anti Trump, nel quale l'ex presidente e la sua consorte aspirante presidente stavano accanto al razzista e fascista nero Louis Farrakhan.

A Washington alle audizioni di conferma del giudice della Corte Suprema Brett Kavanaugh, i senatori democratici consentono una cagnara di dimostranti, con scontri e arresti che impediscono qualsiasi dibattito serio. All’esterno giovanotti vengono ripresi mentre tirano fuori da borse piene di dollari il compenso per gli indignati attivisti; dentro non c'è niente da fare, non solo perché il giudice è, al pari dell'altro già indicato da Trump, Neil Gorsuch, un giurista di alta qualità, ma anche perché il senatore John Kyl, indicato dal governatore dell'Arizona per sostituire il defunto Mc Cain, è un leale sostenitore del presidente, voterà per il giudice, e la maggioranza è assicurata. E allora la cagnara a che serve?

Poi dicono che il circo lo fa Donald Trump alla Casa Bianca. Chiosa Jaime Manca Graziadei arguto osservatore su Facebook da Miami delle cose americane: “Ne manca solo una: che il NYTimes pubblichi una lettera di Barron Trump nella quale accusa il Padre di picchiare lui e la Madre, e poi le abbiamo viste tutte”. Chissà…
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