Falsi cittadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Falsi cittadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » mar mar 29, 2016 4:48 am

???

Caso Regeni, un egiziano alla famiglia: 'Pretendete la verità, fatelo per tutti noi'
Migliaia di condivisioni per l' accorato messaggio su Facebook di un giovane attivista, indirizzato ai genitori del ricercatore ucciso: «Il sangue di Regeni è il messaggero al mondo di tutte le vittime della tirannia. Svelare chi è il suo assassino è per noi un importante passo verso la libertà»
di Brahim Maarad
28 marzo 2016

http://espresso.repubblica.it/attualita ... i-1.255870

È quasi un urlo di disperazione quella lettera che il giovane egiziano Mahmoud Mohamed Hegazy ha indirizzato alla famiglia Regeni. E' un attivista per i diritti umani che esprime ai genitori del ricercatore italiano ucciso in Egitto le condoglianze e chiede loro di aggrapparsi alla verità. Perché vede nel caso Regeni la possibilità di dare voce anche alle migliaia di persone che hanno subito lo stesso trattamento da parte del regime ma che non sono mai state ascoltate da nessuno.

Il post in poche ore ha avuto migliaia di condivisioni e decine di migliaia di apprezzamenti. E' un segnale di come sia sentito il caso Regeni da parte di chi è ormai abituat a subire i soprusi della tirannia. Nella sua lettera, Hegazy ricorda il caso di un avvocato ucciso, torturato, un anno fa e di come la famiglia sia stata chiamata a portare via il suo corpo.


“Alla famiglia Regeni le nostre più sentite condoglianze.
Non vi chiediamo altro se non di continuare a pretendere tutta la verità su chi ha ucciso Regeni. Il caso non è solo vostro. È diventato il caso di centinaia di vittime uccise dalle torture degli apparati di sicurezza. È il caso di migliaia di detenuti e scomparsi forzatamente. Trasformati in nient’altro che un numero che il regime toglierà dalla lista e non saranno ricordati se non dai familiari che vivranno in lutto il dolore dell'ingiustizia e della perdita dei propri cari senza alcuna speranza o possibilità di perseguire i loro assassini.

L’omicidio di Regeni ha posto noi egiziani davanti a una unica triste verità: “Le nostre vite valgono molto poco”. Il regime crede che ucciderci sia un diritto acquisito che nessun gli può contestare e crede inoltre che non sia obbligato a giustificare perché ci uccide. È immerso nelle teorie complottistiche fino a diventarne ossessionato. Ormai la follia è l’unica voce accettata al Cairo oggi.

Un anno fa è morto a causa di feroci torture, in un commissariato di polizia nella periferia del Cairo, l’avvocato 28enne Kareem Hamdy. È stato ucciso dalle scariche elettriche ricevute in diversi punti sensibili del corpo. È stato sfigurato in una maniera inconcepibile. Il giorno dopo, i suoi familiari sono stati chiamati dalla polizia: “Venga qualcuno a portare via il corpo di vostro figlio”. Sì, con questa semplicità. Il regime sa che non valiamo nulla e che non c’è nessuno che lo possa giudicare per i suoi crimini. Il caso di Kareem è semplicemente un numero nell’elenco delle vittime del regime che solo a novembre 2015 era arrivato a 340 uccisioni. Un lungo elenco che non sconvolge nessuno all’infuori delle famiglie delle vittime, che vivono il loro lutto senza poterlo nemmeno rendere pubblico. Esatto, non possono nemmeno ricevere le condoglianze. Perché così vogliono gli organi di sicurezza.

Nemmeno la comunità internazionale sembra accorgersi di noi. E non crede che 40mila detenuti, e oltre 2mila sparizioni, siano un motivo sufficiente per chiedere al governo egiziano di fermare questo massacro. Sembra che altre considerazioni politiche siano più importanti delle nostre anime e delle nostre libertà.

Tuttavia, la nostra sofferenza, la nostra lotta e le nostre voci erano destinate a non essere perse invano. Sembra che Dio abbia voluto fare ascoltare le nostre sofferenze attraverso l’omicidio di Regeni. È diventato la nostra unica voce per tutta la comunità internazionale, in modo che possa conoscere la follia praticata da questo regime che ci troviamo di fronte.

Il sangue di Regeni è il messaggero al mondo di tutte le vittime egiziane della tirannia. È la loro voce all'umanità. Svelare chi è l’assassino di Regeni è per noi un importante passo verso la libertà. Una liberà che potremo davvero raggiungere.

Quindi aggrappatevi a questa verità per Regeni e per le centinaia di altri Regeni la cui voce non arriva al mondo”.
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Re: Falbi çitadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » mar mar 29, 2016 4:52 am

Regeni, che cosa c’è dietro il muro di gomma dell’Egitto
Maurizio Molinari
27/03/2016

http://www.lastampa.it/2016/03/27/cultu ... agina.html

Caro Direttore, credo sia ora che l’Italia smetta di far finta di aver fiducia nelle istituzioni egiziane. Sembra evidente che il rifiuto dell’Egitto di cercare la verità sull’uccisione di Giulio Regeni la dice lunga sulle responsabilità del suo governo. A questo punto dobbiamo cavarcela da soli. Mettere a disposizione un premio molto significativo a chi porterà informazioni adeguate per trovare gli assassini e contemporaneamente attivare, in loco, i nostri 007 per cercare di scoprire cosa è successo.

Roberto Nuara, Monza

Caro Nuara, possono esserci pochi dubbi sulla perdurante carenza di capacità, o volontà, delle autorità egiziane di fare piena luce sull’omicidio del connazionale Giulio Regeni.

L’impressione è che alle ripetute, pressanti, richieste di collaborazione da parte dell’Italia, l’Egitto abbia dato ogni risposta possibile tranne quella necessaria sull’accertamento delle responsabilità per l’orrendo delitto commesso. L’ultima versione degli inquirenti egiziani sull’omicidio che sarebbe stato causato da un sequestro a fini di rapina - con l’avvenuta eliminazione dei cinque rapitori - ha aggiunto la beffa alle precedenti offese. L’impressione prevalente, fra i diplomatici europei al Cairo, è che il presidente Al Sisi sia in difficoltà nell’appurare la verità perché l’uccisione di Regeni sarebbe frutto di cellule deviate dei servizi di sicurezza, intenzionate a indebolirlo su mandato di potenze musulmane rivali intenzionate a rovesciarlo.

Secondo tale interpretazione, Regeni sarebbe stato ucciso per colpire i legami con l’Italia ovvero il più stretto partner europeo di Al Sisi. È impossibile accertare la veridicità di questa ricostruzione ma se Al Sisi ritiene davvero di essere nel mirino di un complotto arabo contro di lui dovrebbe essere anzitutto nel suo interesse svelarlo. Mentire all’Italia contribuisce solo a far apparire il Raiss sempre più debole, vulnerabile, traballante.
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Re: Falbi çitadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » mer mar 30, 2016 11:02 pm

Ma con chi se la faceva in Egitto, questo individuo sinistro? Mi assomiglia tanto a quelle due stronzette Vanessa e Greta che sono andate in Siria ad appoggiare i ribelli ad Assad e senza capirci nulla sono finite per aiutare di fatto l'IS e i Fratelli Mussulmani contro Assad la cui dittatura laica protegge le minoranze curda, cristiana, alawita, yazida dalla dittatura assassina islamica degli integralisti dell'IS e dei Fratelli Mussulmani. Ma con chi se la faceva questo sinistro Regeni? Con i Fratelli Mussulmani contro al Sisi?


Le cattive maestre di Giulio Regeni
Carlo Panella
17/02/2016

http://www.huffingtonpost.it/carlo-pane ... 52098.html

Una sola cosa è chiara nell'angosciante caso di Giulio Regeni: la corresponsabilità morale di due inquietanti e ciniche professoresse di Cambridge e dell'American University del Cairo che, ben al riparo delle mura universitarie l'hanno usato ed esposto per le loro mire accademiche e anche politiche.

Stranamente nessuno rileva questo aspetto più che inquietante della vicenda, che sarebbe evidente se solo si facesse un parallelo. Cosa si penserebbe di due professori che avessero assegnato a uno specializzando una ricerca sull'opposizione al regime di Pinochet, o di Videla nel periodo della loro massima ferocia repressiva? La risposta è scontata: che esponevano il loro sottoposto (perché c'è una gerarchia tra professore e specializzando) a pericoli gravissimi e non giustificabili sotto nessun profilo. Bene, il regime di al Sisi è dieci volte più autoritario e pericoloso di quelli di Pinochet e Videla, anche perché combatte concretissimi e attivissimi jihadisti islamici. Ma Maha Abdelrahman dell'Universitá di Cambridge e Rabab El Mahdi dell'American University del Cairo, non si sono fatte scrupoli a spingere Giulio Regeni ad esporsi frequentando riunioni sindacali in cui si progettavano scioperi illegali e lo hanno incitato a prendere contatti con esponenti dell'opposizione. L'hanno usato cinicamente e irresponsabilmente per potere poi pubblicare, apponendo i loro nomi accanto al suo, i loro bei pamphlet accademici di denuncia tanto tanto politically correct e tanto utili per le loro carriere accademiche.

Una prassi vergognosa, inaccettabile per chi minimamente conosca il contesto repressivo egiziano che le due professoresse sono tenute a conoscere perfettamente. L'Egitto infatti è un paese in cui pendono più di 1.000 condanne a morte già pronunciate per gli oppositori, in cui agiscono squadre della morte, in cui i desaparecidos denunciati dalle organizzazioni umanitarie sono ben più di 200.

Nessun inviato oggi si lancerebbe in un'inchiesta in Egitto come quella in cui è stato spinto Giulio Regeni da queste due "cattive maestre" senza una serie di accorgimenti d'obbligo. Innanzitutto e in maniera tassativa: mai muoversi da solo, ma sempre accompagnato da un minimo di due colleghi. Poi: segnalare a un fiduciario ora per ora, anzi minuto per minuto, gli spostamenti del gruppo e fissare continui appuntamenti telefonici di tutela. Infine, eccezionale copertura assicurativa disponibile solo da pochi anni, munirsi di un Gps (dal costo di poche centinaia di euro) ben nascosto nell'abbigliamento, che segnali a un fiduciario al Cairo la propria posizione nel caso di inconvenienti e ancor più di scomparsa. Norme elementari e obbligatorie per chi intenda fare inchieste sull'opposizione in paesi ad altissima repressione e dalle forze di sicurezza scatenate e barbare come sono notoriamente quelle egiziane. Norme che nessuno ha suggerito a Giulio, mandato allo sbaraglio da due ciniche "cattive maestre" che incredibilmente e colpevolmente non sono state neanche sfiorate dal dubbio che la loro brama di denuncia e di carriera accademica potesse avere un prezzo umano insopportabile.
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Re: Falbi çitadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » mar apr 05, 2016 6:33 am

I Fratelli Musulmani schierano Regeni nella guerra a Sisi
di Giulio Meotti | 01 Aprile 2016

http://www.ilfoglio.it/esteri/2016/04/0 ... e_c277.htm

Gli islamisti brandiscono la morte del ricercatore contro il “regime fascista” che sta con “l’assassino sionista Netanyahu”

Roma. Sul caso di Giulio Regeni sono in corso due partite: la legittima richiesta della famiglia del ricercatore italiano per ottenere giustizia e verità sulla fine atroce del figlio (ieri si è parlato di un dossier su Regeni che era presente al ministero dell’Interno del Cairo) e la campagna, molto meno legittima, che i Fratelli Musulmani stanno conducendo in Egitto brandendo il nome del ragazzo italiano. Proprio ieri, l’Alleanza in sostegno alla legalità, una sigla di opposizione egiziana creata dai Fratelli Musulmani, ha organizzato una manifestazione contro il governo del presidente Abdel Fatah al Sisi. Con una nota diffusa tramite i social network, l’opposizione egiziana sostiene che oggi inizierà una nuova settimana di proteste sotto lo slogan “salvate l’Egitto rapito”.

Nell’appello si chiede di organizzare al Cairo e in altre città del paese le manifestazioni dopo la preghiera del venerdì islamico contro il governo definito “golpista” e per chiedere la cacciata di al Sisi. Da settimane, i mezzi di comunicazione della Fratellanza islamica hanno impugnato la bandiera di Regeni per attaccare il governo Sisi. La campagna inizia il 13 febbraio, quando i Fratelli Musulmani dichiarano: “L’Egitto è un cimitero per gli avversari, i poveri e i turisti. L’arresto, la sparizione forzata e l’uccisione dello studente e ricercatore italiano Giulio Regeni è un metodo ‘standard’ usato da parte del regime attualmente al potere e dei suoi apparati di sicurezza contro migliaia di egiziani, in mezzo a un vergognoso silenzio internazionale”. Si continua il 19 febbraio: “Il regime golpista che recentemente ha ucciso il giovane studente italiano Giulio Regeni è lo stesso regime che ha ucciso i turisti messicani e sta uccidendo egiziani nelle carceri e nelle strade. Lo stesso regime repressivo è anche in possesso di due giovani turchi che potrebbero fare a loro quello che ha fatto a Regeni”.

Il 7 marzo il Muslim Brotherhood Supreme Administrative Committee, l’organo di governo della Fratellanza, chiede “un’indagine internazionale indipendente per proteggere i detenuti da persecuzioni, torture, restrizioni assurde e maltrattamenti utilizzate da parte delle autorità del colpo di stato per costringerli a firmare false confessioni di crimini di cui sono innocenti. L’uccisione orribile dello studente italiano Giulio Regeni ne è una testimonianza”.

L’11 marzo, Abdul Mawgood Dardery, portavoce del Partito della Giustizia e della Libertà, la sigla con cui la Fratellanza si è presentata alle elezioni, chiede un giro di vita al ministero dell’Interno egiziano: “Il ministero dell’Interno del regime golpista è determinato a continuare a demonizzare i Fratelli Musulmani con false accuse e bugie. Stanno cercando di coprire i propri crimini, in particolare l’uccisione di centinaia di buoni giovani egiziani e dello studente italiano Giulio Regeni”. Nello stesso giorno, l’Anti-Coup Pro-Legitimacy National Alliance, una delle organizzazioni chiave con cui si esprime oggi la Fratellanza fuori legge, dichiara: “Il regime assassino che ha ucciso lo studente italiano Giulio Regeni è lo stesso che ha ucciso migliaia di egiziani. L’assassino Sisi si è unito alla Russia criminale per distruggere la Siria e sta spingendo un sionista come candidato per la presidenza della Lega araba”. Molto attivo su Regeni è anche il portale a favore dell’ex presidente Mohammed Morsi, “Democracy on trial”: “Lungi dall’essere un ‘incidente isolato’, il caso Regeni dipinge il quadro di uno stato in cui sparizioni, torture e disprezzo per i diritti civili e la libertà di stampa sono diventati la norma”. E ancora: “E’ lo stesso regime fascista che si coordina con l’entità sionista per eliminare il popolo palestinese e che elogia l’assassino sionista Netanyahu…”. Nel catalogo di definizioni usate anche in Italia contro Sisi manca soltanto quest’ultima.



Scariche elettriche e torture: così hanno massacrato Giulio
Sergio Rame - Mer, 06/04/2016

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/sca ... 42822.html

Il racconto delle ore che hanno portato alla morte di Giulio Regeni è drammatico. Ricostruire quanto è successo tra il 25 gennaio e il 3 febbraio tira in ballo gli apparati di sicurezza egiziani, civili e militari, la polizia di Giza, il ministero dell'Interno e la presidenza.

Come racconta Repubblica, che raccoglie le informazioni da un anonimo della polizia segreta egiziana, i vertici egiziani vengono incastrati da tre macabri dettagli confermati dalla autopsia.

"L'ordine di sequestrare Giulio Regeni - scrive l'Anonimo - è stato impartito dal generale Khaled Shalabi, capo della Polizia criminale e del Dipartimento investigativo di Giza". È il distretto in cui Regeni scompare il 25 gennaio. Subito dopo il ritrovamento del cadavere, Shalabi si spende prima per far passare la tesi dell'incidente stradale, poi per far creadere a un delitto a sfondo omosessuale. "Fu Shalabi, prima del sequestro, a mettere sotto controllo la casa e i movimenti di Regeni e a chiedere di perquisire il suo appartamento insieme ad ufficiali della Sicurezza Nazionale - continua - e fu Shalabi, il 25 gennaio, subito dopo il sequestro, a trattenere Regeni nella sede del distretto di sicurezza di Giza per ventiquattro ore". Ma cosa succede nella caserma di Giza? L'anonimo lo racconta nei minimi particolari. Dopo essere stato "privato del cellulare e dei documenti e, di fronte al rifiuto di rispondere ad alcuna domanda in assenza di un traduttore e di un rappresentante dell'Ambasciata italiana", arriva il primo violentissimo pestaggio. Da Regeni vogliono sapere "la rete dei suoi contatti con i leader dei lavoratori egiziani e quali iniziative stessero preparando".

Passano i giorni. Tra il 26 e il 27 gennaio, su "ordine del Ministero dell'Interno Magdy Abdel Ghaffar", Regeni viene trasferito "in una sede della Sicurezza Nazionale a Nasr City". In questo frangente interviene anche il capo della Sicurezza Nazionale, Mohamed Sharawy, che "chiede e ottiene direttive dal ministro dell'Interno su come sciogliergli la lingua. E così cominciano 48 ore di torture progressive". Regeni viene "picchiato al volto", "bastonato sotto la pianta dei piedi", "appeso a una porta" e "sottoposto a scariche elettriche in parti delicate", "privato di acqua, cibo, sonno", "lasciato nudo in piedi in una stanza dal pavimento coperto di acqua, che viene elettrificata ogni trenta minuti per alcuni secondi". I carcerieri non riescono a trovare quello che cercano. Tanto che interviene "il consigliere del Presidente, il generale Ahmad Jamal ad-Din, che, informato Al Sisi, dispone l'ordine di trasferimento dello studente in una sede dei Servizi segreti militari, anche questa a Nasr city, perché venga interrogato da loro". Secondo l'anonimo sentito da Repubblica, "i Servizi militari vogliono dimostrare al Presidente che sono più forti e duri della Sicurezza Nazionale".

Finito in mano ai Servizi militari Regeni "viene colpito con una sorta di baionetta" e pestato a ripetizione tanto che gli stati di incoscienza diventano sempre più lunghi. "I medici militari visitano il ragazzo e sostengono che sta fingendo di star male e che la tortura può continuare - continua l'anonimo - questa volta con lo spegnimento di mozziconi di sigaretta sul collo e le orecchie". Regeni non resiste oltre e crolla. "A nulla valgono i tentativi dei medici militari di rianimarlo - racconta ancora - viene messo in una cella frigorifera dell'ospedale militare di Kobri al Qubba, sotto stretta sorveglianza e in attesa che si decida che farne". Durante una riunione in cui sono presenti "Al Sisi, il ministro dell'Interno, i capi dei due Servizi segreti, il capo di gabinetto della Presidenza e la consigliera per la sicurezza nazionale Fayza Abu al Naja", viene deciso di "far apparire la questione come un reato a scopo di rapina a sfondo omosessuale e di gettare il corpo sul ciglio di una strada denudandone la parte inferiore". Il cadavere viene, quindi, "trasferito di notte dall'ospedale militare di Kobri a bordo di un'ambulanza scortata dai Servizi segreti e lasciato lungo la strada Cairo-Alessandria".


Se l se ła feva co łi Fradełi Musulmani, i nasisti xlameghi, ła ghe sta ben parké el se ła garia çercà; e forse el jera on nemigo de l'Ouropa e dei creistiani.
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Re: Falbi çitadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » lun apr 11, 2016 7:09 am

Crisi Italia-Egitto: spunta il ruolo della fidanzata di Regeni
Paolo Signorelli
09/04/2016 Luca Cirimbilla

http://www.lultimaribattuta.it/45061_cr ... ata-regeni


L’Italia ha richiamato a Roma il suo ambasciatore in Egitto, ma è probabile che nella crisi siano coinvolti anche l’intelligence di altri Paesi. Lei si chiama Valeriia Vitynska, ha 27 anni ed è una ricercatrice, contrattista a termine per il World food programme dell’Onu a Kiev. Ma Valeriia, fidanzata da due anni con Giulio Regeni, è anche altro: la ragazza, infatti, risulta essere “project manager” specializzata in sistemi giudiziari e affari interni nella squadra della InCompass ltd.

Come ha spiegato Libero, questa è una società di consulenza registrata in Gran Bretagna con sedi a Londra e Atene: una di quelle agenzie internazionali che assomigliano molto a “stanze di compensazione” tra servizi segreti o emanazione diretta di qualche servizio.

Le attività svolte dalla società prevedono una serie di rapporti con governi e ministri vari: insomma, tutte attività adatte a monitorare e penetrare aree di crisi. A destare altri sospetti, inoltre, c’è anche il fatto che la relazione tra Giulio e Valeriia è stata tenuta nascosta al capo della ragazza, responsabile del World food programme a Kiev, l’italiano Giancarlo Stopponi anche nei giorni successivi alla scomparsa di Regeni.

Che c’entrano i servizi segreti di Sua Maestà? La InCompass è una società inglese e ai suoi vertici risultano personaggi come Peter Jones, alto ufficiale del rango di Brigadiere Generale della polizia britannica. Tra gli altri ci sono anche Marion Bialek, ex dirigente in pensione dei servizi canadesi o John Markey con un passato nei rapporti con il Tesoro, i dipartimenti di Stato e della Sicurezza interna americani.

Come abbiamo raccontato pochi giorni fa appare sempre più probabile il coinvolgimento di Giulio Regeni in qualche operazione che coinvolge – direttamente o indirettamente – i servizi segreti. Ma quali? Se sono stati quelli egiziani a causarne la morte secondo il racconto contenuto nella mail inviata a Repubblica, è possibile che altri servizi – magari quelli con cui collaborava Regeni – abbiano voluto la sua scomparsa?

Oltre a collaborare con il Manifesto, aveva rapporti con la sua “tutor” a Cambridge, Maha Abdelrahman, “molto impegnata nello studio delle opposizioni politiche in Medio Oriente”. Secondo Repubblica, sarebbe stata lei che, dopo la partecipazione di Regeni all’assemblea dei sindacati clandestini egiziani (di cui aveva mandato un resoconto al Manifesto, pubblicato postumo) “aveva cambiato le modalità di lavoro di ricerca dello studente italiano: “Non più una semplice ricognizione analitica e su “fonti aperte” dei movimenti sindacali, ma una “ricerca partecipata”, embedded. Che prevedeva, dunque, una partecipazione diretta alla vita e alle dinamiche interne delle organizzazioni da studiare”.

Gli ex colleghi e amici di Regeni presso la Oxford Analytica, agenzia di intelligence, sono stati tra i promotori di una petizione che chiede al governo britannico di fare pressione sulle autorità egiziane che indagano sulla vicenda. Dottorando all’American University del Cairo, con esperienze in Gran Bretagna, forse Giulio Regeni è entrato in un gioco più grande di lui che nella crisi tra Italia ed Egitto aveva proprio il suo scopo.
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Re: Falbi çitadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » sab apr 16, 2016 8:35 am

Perché tanto putiferio per Regeni e tanto silenzio per i Marò?
Scritto da Sonia M.
16/04/2016

http://www.rightsreporter.org/perche-ta ... per-i-maro

Si trattengano i maniaci della battuta, di destra e di sinistra, non intendiamo formulare la fatidica frase “..e i Marò?” posta a corollario di ogni discussione di politica estera su qualsiasi social media o forum. No, intendiamo porre un quesito serio sul perché la tragica morte di un povero ricercatore venga così vergognosamente strumentalizzata politicamente dalla estrema sinistra mentre su un caso che diplomaticamente è addirittura peggiore, come quello appunto dei Marò, c’è un silenzio che sfiora il vergognoso.

Perché parliamo di “strumentalizzazione politica” da parte della estrema sinistra della morte di Giulio Regeni? Semplice, perché se il povero Giulio fosse morto in Venezuela, a Cuba o addirittura in quell’isola che non c’è chiamata Palestina nessuno avrebbe chiesto al Governo Italiano il ritiro dell’ambasciatore e la rottura di ogni rapporto commerciale e diplomatico. Avete forse sentito qualcuno lamentarsi quando Hamas ha liberato gli assassini di Vittorio Arrigoni? Avete sentito qualcuno a sinistra che per questo abbia chiesto di interrompere le generose donazioni ai palestinesi? No. E avete per caso mai sentito qualcuno a sinistra protestare per le torture quotidiane che i detenuti italiani subiscono in Venezuela? No eh? E perché dovrebbero? In Venezuela c’è un certo Maduro, un assassino in giacca e cravatta successore di quel Ugo Chavez che sebbene abbia messo in ginocchio il Venezuela trasformandolo in una dittatura comunista amica di ogni terrorista del mondo viene ancora oggi idolatrato dalla sinistra de noantri italiana. Ma in Egitto c’è un certo Al Sisi, nemico giurato dei Fratelli Musulmani e del terrorismo islamico, mica c’è Maduro o Kaled Meshaal, mica c’è Hezbollah in Egitto. Che cavolo, è insopportabile questa cosa . E allora giù tutti a chiedere la fine dei rapporti tra Italia ed Egitto, avanti a tutta birra a raccontare di come l’Italia venga umiliata e presa in giro dagli egiziani, che magari è pure vero, così come è vero che molto più che con Regeni e con l’Egitto l’Italia venga presa in giro e umiliata dall’India con il caso dei due Marò. Però di questo stranamente nessuno ne parla anche se proprio oggi il Tribunale Internazionale dovrà prendere decisioni importanti in merito alla giurisdizione del caso e nonostante il fatto che più si va avanti e più emergono con chiarezza tutte le porcate fatte dall’India nei confronti dei due Marò e dell’Italia.

Ecco, il punto è proprio questo: del povero Regeni e di come è morto non frega nulla a nessuno, il vero obiettivo è danneggiare Al Sisi ad ogni costo. Non è l’onore dell’Italia buttato ampiamente al vento con il caso dei Marò senza che nessuno si indignasse per questo. Non è nemmeno la ricerca della giustizia perché sin dal primo momento per certi “giornalisti” i colpevoli erano i servizi segreti egiziani e quindi Al Sisi e ogni altra ipotesi è una menzogna. Tutti investigatori questi giornalisti. Che poi l’Egitto ci abbia messo del suo è fuori discussione, ma da qui a risolvere il caso da dietro la tastiera di un computer ce ne passa. Come è assurdo non considerare la situazione che sta vivendo l’Egitto e il lavoro che Regeni stava facendo in quel contesto, un operato ancora tutto da chiarire, senza guardare tutto quello stesso contesto quanto meno come una concausa.

Non c’è nessuna giustificazione all’atteggiamento dell’Egitto nei confronti dell’Italia, così come non c’è nulla che possa giustificare la tortura e il brutale omicidio di un giovane ragazzo italiano, ma per favore, la si smetta di strumentalizzare politicamente il caso Regeni perché poi la fatidica domanda “…e i Marò?” sorge davvero spontanea.
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Re: Falbi çitadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » sab apr 16, 2016 7:56 pm

La verità? Sì ma quale?
aprile 16, 2016

https://bugiedallegambelunghe.wordpress ... i-ma-quale

L’omicidio di Giulio Regeni ha scatenato, nei media occidentali, un attacco al governo egiziano mai visto prima. Mai visto durante i lunghi anni di “reggenza” Mubarak, mai visto durante il breve, ma intenso, periodo di governo Morsi, l’uomo dei Fratelli Musulmani. Perché? Fin dalle prime ore dal ritrovamento del cadavere la stampa si è schierata nell’accusare il governo, senza esitazioni e senza avere uno straccio di prova per poterlo fare. Perché? Eppure particolari, in questa vicenda, che avrebbero potuto sollevare dubbi ce ne sono a iosa e sono apparsi immediatamente; il più eclatante riguarda il tempismo: il cadavere di Regeni è stato fatto ritrovare proprio mentre il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, accompagnata da una folta rappresentanza di imprenditori italiani, era in visita di affari al Cairo. Affari sostanziosi (si parla di miliardi di dollari) che avrebbero fatto la differenza per entrambi i paesi. In particolare in merito allo sfruttamento dell’enorme giacimento di gas rinvenuto nelle acque adiacenti il Paese, ed al quale sono interessati Eni, Technip, Ansaldo, Edison tanto per fare i nomi più conosciuti e rappresentativi.

La prima domanda che si porrebbe anche il più sprovveduto tra quelli che seguono gli avvenimenti internazionali è: Che convenienza avrebbe avuto il governo egiziano, proprio mentre discuteva di affari così importanti, a “guastare” l’idillio facendo ritrovare il corpo di un cittadino italiano, connazionale della delegazione di imprenditori? Perché gettarlo sul ciglio di una strada super-trafficata come quella che collega Il Cairo ad Alessandria, se non per avere la certezza che sarebbe stato ritrovato, quando invece potevano “sbarazzarsene” agevolmente in mille modi diversi? E perché proprio nel giorno nel quale ricorreva l’anniversario della cacciata del governo Morsi? Eppure queste domande ovvie non devono aver sfiorato la mente dei giornalisti nazionali ed europei. Ciò che a tutti i media è sembrato interessante rimarcare è stata la violazione dei diritti umani ed il carattere dittatoriale del governo di Abd El Fattah Al Sisi. Lasciando un attimo da parte la questione “diritti umani”, questa banderuola che dovrebbe coprire e giustificare le scelte geopolitiche più mirabolanti, ripulendole dai loro reali connotati e rivestendole del manto virtuoso della “difesa”; questo feticcio da esibire quando e come fa comodo, riponendolo nelle più nascoste pieghe della politica quando invece sarebbe d’intralcio; questa bugia che ha accettato fossero Gheddafi e Assad i rappresentanti della sua legittimità, quando sono stati eletti proprio alla Commissione Diritti dell’Uomo dell’Onu; questa ipocrisia che fa “passare sopra” alle violazioni delle più fondamentali libertà quando è il caso (vedi affari con Libia e Iran), lasciamola da parte un attimo e invece occupiamoci del “carattere dittatoriale” del governo di Al Sisi.

Nel 2014 il generale al Sisi si presenta come candidato alla presidenza dell’Egitto, dopo che una sollevazione popolare aveva chiesto la cacciata del presidente Morsi, rappresentante dei Fratelli Musulmani, gruppo islamista avversato da ogni amministrazione politica avvicendatesi nel Paese da oltre settant’anni: da Nasser a Sadat a Mubarak, l’accusa è sempre stata la stessa: i Fratelli musulmani vogliono imporre il loro clerico-fascismo all’Egitto.

E dopo oltre settant’anni i progetti politici dei Fratelli non sono cambiati. Gli egiziani, dopo aver dato la vittoria ai Fratelli, con elezioni a dir poco controverse e sull’onda dell’emozione per la caduta del governo Mubarak, davanti al progetto di Morsi di accentrarsi tutti i poteri, cambiare la costituzione e governare il Paese tramite la shari’a (stessi identici progetti che già Nasser sbeffeggiava) si ribellarono e chiesero, come da tradizione, l’aiuto dell’esercito. In Egitto, dalla dissoluzione della monarchia, hanno sempre governato militari. Dall’inizio di quella che fu definita “primavera araba” sono morti 924 egiziani durante gli scontri.

Alla fine degli scontri furono indette elezioni, il 26 maggio 2014, dopo un periodo di governo ad interim di Adly Mansour, capo della Suprema Corte Costituzionale egiziana. Le elezioni furono monitorate da 80 organizzazioni egiziane e 6 internazionali. Fra queste ultime c’erano rappresentanti dell’Unione Europea, dell’Unione Africana, dell’Organizzazione internazionale per la Francofonia i quali dichiararono: “l’impressione generale degli osservatori UE EOM è stata che il personale militare e di polizia abbia rispettato le linee guida PEC”. Il 94,5% degli egiziani espatriati votò a favore del governo Al Sisi e quasi il 97% degli egiziani residenti nel Paese espresse le stesse preferenze.

Eppure per i media occidentali Al Sisi è il nuovo Hitler, l’incarnazione del dittatore, il più atroce violentatore dei diritti umani. Se per l’Italia è valso il “caso Regeni” a riscaldare gli animi, la paternità di questa demonizzazione non sembra sia da attribuire al Bel Paese che semmai si è per così dire “allineato” ad una certa politica americana.

25 marzo: il New York Times pubblica un editoriale che è una vera e propria richiesta al presidente degli Stati Uniti Barack Obama di abbandonare l’alleanza degli Stati Uniti con l’Egitto. Perché? Un gruppo “bipartisan” di “esperti di politica estera” che si definiscono il “Gruppo di lavoro sull’ Egitto” denuncia le violazioni dei diritti umani (eccolo qua il feticcio sempre utile!) da parte del governo del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi; il gruppo di lavoro esorta Obama a legare l’assistenza finanziaria e militare destinata all’Egitto alla “protezione delle ONG che operano in Egitto”, vale a dire: se dai i soldi a lui dalli almeno anche a noi.

L’autoproclamato gruppo di esperti è co-presieduto da Robert Kagan della Brookings Institution e Michele Dunne della Carnegie Endowment for International Peace. Tra i suoi esponenti di spicco ci sono Elliott Abrams, Ellen Bork, Reuel Gerecht, Brian Katulis, Neil Hicks e Sarah Margon.

Chi sono? Che storia ha il gruppo? Questo gruppo fu quello che nel gennaio 2011 sollecitò Obama a forzare l’allora presidente egiziano Hosni Mubarak a dimettersi dalla carica. Obama li ascoltò ed ebbe il loro endorsement, tagliando i legami con uno dei paesi più strategici in Medio Oriente e favorendo la risorgenza della Fratellanza Musulmana da anni costretta, da tutti i governi egiziani che si erano succeduti, alla clandestinità e all’esilio. Anche allora la motivazione ufficiale fu la difesa dei diritti umani. Già nel 2011 Israele fece presente che la caduta di Mubarak avrebbe comportato l’ovvia ascesa dei Fratelli Musulmani, furono completamente d’accordo su questo sia la destra che la sinistra israeliana.

Perché l’amministrazione Obama appoggiò così decisamente il ritorno dei Fratelli? La motivazione ufficiale fu che avrebbero potuto fare da argine a gruppi islamisti “peggiori”, come per esempio Al Qaeda e Daesh. La politica di sostegno ai Fratelli Musulmani fu delineata in una direttiva segreta chiamata direttiva-11 Presidential Study, o PSD-11. La direttiva fu prodotta nel 2011 e delineava il supporto amministrativo per le riforme politiche in Medio Oriente e Nord Africa, secondo i funzionari che hanno familiarità con lo studio classificato. Così mentre Arabia Saudita, Egitto e UAE classificavano la Fratellanza come organizzazione terroristica, per l’amministrazione Obama era al contrario una risorsa. Patrick Poole, analista dell’anti-terrorismo, dichiarò: “La fallimentare Dottrina Obama secondo la quale i così detti “islamisti moderati” avrebbero inaugurato una gloriosa epoca di pace e democrazia in Medio Oriente è stata adottata dal governo perché è ciò che vuole la politica estera risalente all’amministrazione Bush, presa a Vangelo.”

“E adesso vediamo come risultato l’Egitto combattere una campagna di terrore da parte dei ‘moderati’ Fratelli Musulmani… Questa politica estera pericolosa è stata lanciata dal PSD-11 ed ha abbracciato apertamente l’amministrazione dei Fratelli Musulmani, e ora possiamo vedere il suo effetto catastrofico“, ha aggiunto Poole.

Scrive Caroline B. Glick sul Jerusalem Post:

Gli avvertimenti israeliani furono ignorati in nome della magnifica democrazia che sarebbe emersa nel dopo-Mubarak. I sermoni di Al Qaradawi che poco tempo dopo si sentivano nelle strade del Cairo confermarono che non era propriamente la democrazia l’obiettivo dei Fratelli.

Gli americani ci guadagnarono come prima cosa la richiesta della scarcerazione di Omar Abdel Rahman, il cosiddetto Sceicco Cieco che ideò gli attentati del 1993 al World Trade Center . Dall’elezione di Morsi il governo egiziano ospitò l’allora presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad al Cairo, lasciò che navi da guerra iraniane attraversassero il Canale di Suez e divenne un alleato strategico di Hamas. Permise il flusso di armi libiche attraverso l’Egitto dirette in Siria, trasformando la guerra in Siria da una controversia locale nell’ incubatrice per lo Stato islamico – il Sinai diventò il loro campo di addestramento, in collaborazione con Hamas. Ma gli americani non si ricredettero, non tornarono indietro sulle loro decisioni.

Morsi si dette da fare, nel breve tempo della sua carica, anche a distruggere la già debole economia egiziana, portando il paese alla fame.”

No, nei cinque anni post-Mubarak l’Egitto non era diventato quella splendida democrazia che aveva previsto il gruppo di “esperti”.

Al Sisi, nominato inizialmente da Morsi, per la prima volta nella storia dell’Egitto non scarica la colpa all’esterno ma dice agli imam de l’Azhar: Noi, ci dobbiamo pensare noi. Ed è la prima volta. Nasser, Sadat, Mubarak avevano combattuto i Fratelli Musulmani, li avevano sbeffeggiati, incarcerati, esiliati ma non avevano mai detto: NOI, dobbiamo metterci una pezza noi:
“Abbiamo bisogno di una rivoluzione religiosa. Rispettabili Imam siete responsabili di fronte a Dio. Il mondo intero si aspetta da voi la vostra parola
perché questa Umma (nazione) è a brandelli. La nazione è in fase di distruzione.
La nazione sta perdendo la sua strada e questa perdizione è fatta con le nostre mani, la stiamo perdendo…”

Gli “esperti” che avevano consigliato di rovesciare Mubarak ora consigliano di abbandonare al Sisi. E vediamoli questi esperti. Chi sono? Caroline Glick fa un nome: “Working Group on Egypt.” Il gruppo afferisce al Carnegie Endowment for International Peace; è sulla pagina del CEIP che appare il testo della lettera scritta a Obama per convincerlo a tagliare fondi e sostegno politico a Al Sisi; nella lettera la parola “diritti umani” appare 13 volte, a scanso di equivoci in merito alla motivazione.

Uno degli esperti del gruppo è Cornelius Adebahr, un giovane analista politico che vanta già una prestigiosa carriera. Relaziona alla Commissione Europea in merito a difesa e politica estera; lettore dal 2011 alla Willy Brandt School of Public Policy alla Erfurt University e membro del team della Commissione Europea. Grande sostenitore dell’accordo con l’Iran: “L’ Iran è molto di più che un controverso programma nucleare, ed è per questo che l’Unione Europea dovrebbe cercare il profilo generale di impegno.” Adebahr ancora una volta vuol far credere che sia la difesa dei “diritti umani” il vero scopo dei rapporti con gli ayatollah e che gli affari sarebbero solo la “carota” da agitare loro davanti per indurli ad “aprire” le loro politiche. Il colmo dell’ipocrisia! Non sono i mullah ad avere bisogno di questi “affari” più di quanto ne abbiano bisogno gli occidentali che non hanno la forza per imporre assolutamente nulla.

James M. Acton, anche lui nel gruppo CEIP è uno scienziato, co-direttore del Nuclear Policy Program, quindi lui la “questione Iran” l’affronta dal punto di vista della minaccia nucleare. E’ uno di quelli che sostiene che concordare con l’Iran i limiti della loro ricerca nucleare, cioè permettere agli ayatollah di proseguire nel programma nucleare, sia senz’altro meglio che non lasciarli costruire la bomba “en cachette”, senza controlli. Sostiene la sua tesi citando sei paesi che hanno reagito alle sanzioni sul nucleare costruendosi di nascosto i loro armamenti. Sì, esatto, sono le tesi che poi sentiamo riproporre dal Presidente degli Stati Uniti.

Andiamo avanti; altra esperta è Michele Dunne, anche lei del CEIP, esperta di Medio Oriente. Che dice?

“Molte persone parlano di Sisi come un nuovo regime di Hosni Mubarak, ma questo è molto più brutale. Questo regime è salito al potere attraverso un colpo di stato militare. E’ diverso da Mubarak, che ha affrontato l’opposizione, ma non con una tale ferocia. Qualunque siano i loro errori e le azioni antidemocratiche, i Fratelli Musulmani, sono un movimento significativo. La deposizione di Morsi ha causato la resistenza dei suoi elettori negli ultimi due anni. E ai servizi di sicurezza è stato dato molto più margine di manovra per perseguire gli oppositori del regime.”

“Deponendo il presidente Morsi e dichiarando la Fratellanza Musulmana un movimento terrorista, l’Egitto ha complicato la sua capacità di mediare con Hamas, perché è affiliato con la Fratellanza. In Libia e in Siria, l’Egitto avrebbe potuto svolgere un ruolo di mediazione, ma non avrà nulla a che fare con alcuni attori politici significativi perché sono islamisti.”

La Dunne sembra decisa: se un movimento islamista cerca di imporsi nel suo paese introducendo la shari’a, accentrandosi tutti i poteri, favorendo tutti i gruppi terroristi della regione va comunque tenuto da conto perchè “significativo”. Per chi? Quando nel 2014 cercò di entrare senza visa in Egitto e fu respinta, strumentalizzò l’episodio raccontando che le era stato impedito l’ingresso “senza spiegare perché” nonostante le dichiarazioni abbastanza precise del Ministero degli Esteri egiziano.

Sul blog di Daniel Pipes un lettore commenta così il mancato ingresso in Egitto della Dunne: “Gli egiziani si fanno domande legittime: Ben sapendo che lavora come “studiosa” presso il Carnegie Endowment for International Peace, chi sta pagando il conto per il suo lavoro? Forse gli emiri del Qatar?”

La Dunne ha molto utilizzato questa sua esclusione ma non ha mai risposto a questa domanda. Dunne è caldeggiata da David Kirkpatrick, chi è? E’ quello che martella i suoi lettori del NYT con il mantra che i Fratelli Musulmani non c’entrano nulla né con il terrorismo interno né con quello esterno. Uno dei giornalisti più odiati in Egitto.

Intervistata dalla CNN in merito all’uso di scudo umani da parte di Hamas, la Dunne coerentemente con la sua difesa a spada tratta dei Fratelli e delle loro emanazioni rispose: “E’ impossibile a questo punto dire quanta verità ci sia in questa tesi”.

Anche la referente accademica di Giulio Regeni sembra essere della stessa opinione della Dunne in merito a terrorismo e Fratellanza Musulmana: Il 4 novembre 2015, due giorni prima dell’arrivo di Abd al-Fattāḥ Al Sisi a Londra, Anne Alexander prende la parola sul palco di una manifestazione che vuole boicottare la visita del presidente egiziano. La referente accademica di Giulio Regeni attacca senza mezzi termini il capo di stato bollandolo come “assassino”.

In piazza i manifestanti esultano e sventolano le bandiere gialle con la mano nera dei Fratelli musulmani. Il comizio della docente di Cambridge viene ripreso da un telefonino e postato su YouTube.

Nella veste di attivista, la professoressa spiega che “abbiamo fatto campagna per i prigionieri politici in Egitto, per i diritti dei sindacati, contro gli attacchi alla libertà degli accademici e continueremo a farlo fino a quando al-Sisi se ne andrà a casa”. Regeni è al Cairo da due mesi a portare avanti la sua ricerca proprio sui sindacati, che si oppongono al governo egiziano con i contatti forniti da Alexander. La Alexander è una che quando parla di terrorismo islamista lo mette sempre fra virgolette e più o meno le sue tesi sono quelle della Dunne:

“Ogni passo verso la frantumazione della Fratellanza restringe lo spazio politico per tutti e apre la strada per la repressione di tutti. Si tratta di un errore strategico di tacere sulla repressione nei confronti della Fratellanza, o non riuscire a dire che la loro difesa a fronte della dittatura brutale è parte integrante della lotta per la democrazia e per il ritorno della rivoluzione egiziana “. Per la Alexander i nemici sono Mubarak prima e Al Sisi dopo, non di certo la Fratellanza. Sogna una rivolta socialista medio orientale in contrapposizione all’imperialismo occidentale e considera l’Intifada palestinese paradigma di questa lotta araba:

“In Medio Oriente nel corso degli ultimi dieci anni, due grandi correnti hanno tentato di dare una sorta di leadership politica alle lotte dei popoli della regione. In primo luogo, la crisi in Palestina rappresenta il lavoro incompiuto dai movimenti di liberazione nazionale degli anni 1950 e 1960. L’intifada rinnovata, e il ruolo chiave svolto da Fatah, il più grande blocco nazionalista dell’OLP, dimostrano la risonanza persistente di idee nazionaliste. In secondo luogo, il movimento islamista ha risposto alla crisi dell’imperialismo con una sorta di internazionalismo islamico, che contrappone gli attivisti islamici direttamente alle forze ‘crociate’ dell’imperialismo.

Di tutti i conflitti in Medio Oriente, nessuno simboleggia la lotta impari contro l’imperialismo meglio che l’intifada palestinese. L’immaginario della intifada – bambini contro carri armati, gli scontri nelle strade di Gaza e della Cisgiordania, i funerali e le manifestazioni di massa – è stato bruciato nei ricordi di una generazione in tutto il Medio Oriente. Per un gran numero di gente comune, l’impotenza dei regimi arabi di fronte l’aumento dei livelli di brutalità da parte delle forze israeliane di occupazione è solo uno specchio della propria umiliazione.

Capire come l’intifada si collega alla lotta più ampia in Medio Oriente è una parte vitale per cogliere il vero potenziale di resistenza all’imperialismo occidentale e la repressione in casa propria. La debolezza della borghesia palestinese, e la superiorità militare ed economica completamente schiacciante di Israele hanno fatto sì che il movimento di liberazione nazionale palestinese non sia ancora riuscito a creare uno stato a sé stante. In molti modi l’esperienza della lotta palestinese è una testimonianza della capacità di recupero dei movimenti di liberazione nazionale, in quanto è il coraggio e la creatività del popolo palestinese comune. Eppure il corso dell’intifada dell’ultimo anno dimostra anche l’impotenza finale della lotta nazionale.”

Questa è stata la referente di Giulio Regeni, quella che gli ha facilitato i contatti in Egitto.

Fra i nomi fatti dalla Glick figura anche quello di Brian Katulis del Center for American Progress. Anche lui sostiene la tesi che Obama ha fatto sua: meglio i Fratelli che altri, combattere i Fratelli potrebbe creare problemi ancora maggiori di quelli che l’organizzazione potrebbe provocare:
Alla lunga, la sconfitta della violenza terroristica non arriverà solo attraverso punizioni più severe ma anche attraverso una strategia politica che offra spazio per altri tipi di dissenso. Contrastare il fascino delle ideologie estremiste violente richiede un dibattito più aperto della guerra di idee che esiste in Egitto come parte di una strategia globale antiterrorismo.
L’Italia non ha inventato nulla, ha solo recepito (in ritardo) delle direttive ed ha aspettato a farlo quando ha dovuto sotterrare un proprio cittadino. Verità per Giulio Regeni, ovviamente, ma che sia la verità vera, anche se dovesse dispiacere a qualcuno.
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Re: Falbi çitadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » ven giu 10, 2016 12:18 pm

Caso Regeni, l’inspiegabile silenzio dei docenti di Cambridge
Ugo Tramballi
2016-06-08

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti ... id=ADgkocY

Dalla teoria cospirativa dei servizi segreti al “guai a chi tocca l’Accademia”. Il no dei professori di Cambridge alla richiesta degli inquirenti italiani di avere informazioni sulla loro corrispondenza con Giulio Regeni, ha sollevato molte reazioni. Forse la più chiara è quella costernata, di fronte a un silenzio inspiegabile, del rettore di Trieste, Maurizio Fermeglia, che ogni anno manda all’estero decine di studenti.
Regeni, l’Università di Cambridge non risponde agli investigatori italiani: «I suoi studi sono segreti»

Perché il silenzio? Perché non contribuire concretamente a quella richiesta che non è solo uno slogan, invocata dagli stessi professori di Cambridge: verità per Giulio Regeni. Mandanti e assassini sono nascosti nel regime egiziano, quello sì omertoso. Ma chiunque sappia qualcosa di possibilmente utile ha il dovere di aiutare. «Quando mandiamo all’estero un nostro dottorando in ricerca abbiamo sempre una procedura da rispettare: ci deve essere un accordo fra il supervisore che ha mandato lo studente e quello che lo ospita», dice il professor Maurizio Fermeglia, dal 2013 Magnifico rettore dell’Università di Trieste. «Io ancora non ho ben capito se per Giulio ci fosse un riferimento scientifico che si occupasse di lui all’American University del Cairo».
La verità negata anche dal tempio del sapere

Fermeglia è un ingegnere chimico e insegna nanotecnologia. Ma da rettore ha mandato centinaia di studenti di discipline diverse in giro per il mondo. E comunque la disciplina non fa differenza. «Se mando in Germania uno studente in nanotecnologie – spiega Fermeglia – mi aspetto che in laboratorio il supervisor di quel paese gli spieghi dov’è la nitroglicerina e gli chiarisca i casi estremi in cui può essere usata. Il laboratorio di Giulio era il Cairo: gli è stato spiegato con cura dov’era la nitroglicerina al Cairo? Se non lo hanno fatto, perché?»
Maurizio Fermeglia

Lei ha una risposta?
Forse a qualcuno conveniva che Giulio sapesse poco dei pericoli della sua indagine. Hanno cercato di utilizzare la curiosità che ha sempre uno studente di quell’età sul campo. Hanno abusato dell’esuberanza giovanile. Conosco bene questa esuberanza fra i miei studenti: Giulio era di questi luoghi e aveva fatto il Liceo a Trieste.

Forse nessuno poteva immaginare che Giulio potesse fare quella fine
No, ma era noto che il Cairo fosse un luogo pericoloso. Non sono tornato in Egitto nell’epoca del presidente al Sisi, ma ci sono stato negli anni di Mubarak e dei Fratelli musulmani. Tutti mi dicevano di stare attento con chi parlavo per strada perché la città era piena d’informatori. Il compito di Giulio era proprio di andare a intervistare la gente per strada, ovunque.

Secondo lei per quale ragione un’università prestigiosa come Cambridge si è rifiutata di aiutare i nostri inquirenti?
Non c’è nessuna ragione plausibile nel non rispondere al procuratore di un paese amico che chiede informazioni su un caso di questo tipo. Io come rettore non avrei esitazioni. A meno che non sia il mio ministro degli Interni che mi chiede di non farlo, invocando il segreto di Stato. Ma non mi sembra questo il caso.

I dinieghi dei professori inglesi di Giulio sollevano fatalmente inquietanti sospetti. È possibile che Giulio conducesse indagini segrete?
Per quella che è la mia competenza no: i dottorandi hanno bisogno dell’evidenza pubblica della loro ricerca, questo è fondamentale. A meno che non ci siano di mezzo segreti industriali. Ma Giulio non si occupava di nanotecnologia.

E dunque?
Torniamo alla leggerezza dei supervisori inglesi di Giulio. L’aveva un interlocutore al Cairo come prevede ogni parametro universitario o era abbandonato a se stesso? È questo che non ho ancora capito dopo tanti mesi. Temo che in modo molto opportunistico sia stata creata una zona grigia per utilizzare le curiosità di Giulio.

Dopo la morte di Giulio le due docenti che lo seguivano da Cambridge avevano diffuso una petizione. Lei l’ha firmata?
No, come tanti altri docenti italiani.

Perché?
C’erano solo cinque o sei righe dedicate a Giulio. Tutto il resto era un documento politico contro al Sisi. Personalmente lo condividevo anche, ma mi è sembrato che non fosse quello il caso, che occorresse concentrarsi su ciò che era accaduto a Giulio. Anche in quell’occasione avevano pensato più alla loro causa politica che alla tragedia del loro studente.
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Re: Falbi çitadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » sab giu 18, 2016 6:42 pm

Egitto, l’ex presidente Morsi condannato all’ ergastolo per spionaggio
2016-06-18

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/20 ... id=ADJkBfe

Ergastolo all'ex presidente egiziano Mohamed Morsi, espressione dei Fratelli musulmani, nel processo per spionaggio ai danni dell’Egitto e a benficio del Qatar. Lo ha deciso oggi un tribunale del Cairo. Morsi è accusato di aver passato segreti militari a Doha. In Egitto la pena dell'ergastolo è pari a 25 anni di reclusione. Esponente di spicco del movimento islamista dei Fratelli musulmani, Morsi era già stato condannato in precedenza a morte per il suo ruolo nell'evasione di massa dal carcere di Wadi el Natroun, all'ergastolo per aver complottato con un'organizzazione terroristica straniera (nella fattispecie, il movimento palestinese Hamas) e a 20 anni di carcere per aver ordinato l'uccisione di manifestanti dell'opposizione nell'inverno del 2012.

Nello stesso processo sono state condannate a morte sei persone, di cui due giornalisti di Al-Jazeera, per aver passato documenti riguardo la sicurezza nazionale al Qatar e alla tv di Doha durante la presidenza dell’islamista Morsi.
Egitto, ergastolo a ex presidente Morsi per spionaggio

Le sentenze di oggi sono appellabili. I due dipendenti di Al Jazeera sono stati condannati in contumacia. Quella di oggi non è la prima condanna nei confronti del deposto presidente. Nei cinque procedimenti a suo carico Morsi ha già presentato ricorso. C'è poi un quarto processo per oltraggio alla magistratura, ed infine quello odierno sullo spionaggio a Doha, in cui ha ottenuto complessivamente 40 anni, sommando l'ergastolo e una seconda condanna a 15 anni.

Morsi è stato il primo presidente egiziano eletto dopo la caduta del rais Hosni Mubarak nel 2011 a seguito della Primavera araba. Dopo circa un anno di governo e per impedire un'islamizzazione delle istituzioni egiziane, il presidente venne destituito a seguito di una rivoluzione popolar-militare guidata dall'attuale presidente Abdel Fattah al Sisi.
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Re: Falbi çitadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » mer gen 25, 2017 9:11 pm

???

Il capo degli ambulanti su Giulio Regeni: "Era una spia, l'ho registrato di nascosto per spirito patriottico"
Pubblicato: 24/01/2017
http://www.huffingtonpost.it/2017/01/24 ... 57650.html

Mohamed Abdallah, il capo del sindacato dei venditori ambulanti del Cairo, nell'ammettere di aver girato il video che mostra un proprio colloquio con Giulio Regeni ha ribadito di considerare una "spia" il ricercatore friulano. In dichiarazioni pubblicate oggi dal sito del quotidiano egiziano Al Shorouk, il sindacalista inoltre ha teorizzato che Regeni sia stato ucciso da "parti straniere dopo che era stato scoperto" per addossare la colpa "all'Egitto".

"Era una spia e l'ho fatto parlare e registrato con spirito patriottico", ha detto Abdallah che già il mese scorso aveva ammesso pubblicamente di aver denunciato Regeni. "Le sue domande avevano destato sospetti nei cinque precedenti incontri in cui abbiamo parlato. Parlava della rivoluzione, della persecuzione dei venditori ambulanti da parte della polizia, della natura del loro lavoro e delle loro condizioni sociali", ha detto ancora il sindacalista. "Quando ho constatato che, prima ancora che mi fossi candidato, parlava di denaro in un concorso che avrei vinto, e soprattutto che tale concorso proveniva da un'istituzione britannica e non italiana, allora ho avuto dubbi" e "ho avvertito la polizia", ha sostenuto ancora Abdallah riferendosi al noto stanziamento di 10mila sterline.

La famiglia: "Abbiamo visto e stiamo vedendo proprio tutto il male del mondo". "Questo male continua a svelarsi pian piano": così la famiglia di Giulio Regeni nel primo anniversario della morte del ragazzo, mentre continua a chiedere verità per il figlio.

"È stato un anno intenso, terribile - dice la famiglia Regeni - un viaggio nell'orrore che diventa sempre più profondo man mano che ci addentriamo nei particolari: si è vero, abbiamo visto e stiamo vedendo proprio tutto il male del mondo".

"Questo male - prosegue la famiglia - continua a svelarsi pian piano, come un gomitolo di lana, ma questo oltre ad essere il frutto di un costante lavoro di chi segue le indagini è anche il risultato della vicinanza di tutte le persone che in Italia e nel mondo chiedono con noi 'verità per Giulio Regeni'. Un fiume d'affetto, un fiume in piena che domani speriamo si riversi nelle piazze con fiaccole accese per Giulio per la giustizia di coloro che non sono rispettati nei loro diritti umani. "Grazie ancora - conclude la famiglia - la solidarietà è qualcosa di tangibile, di umano, è tutto il bene del mondo!".

"Dalle indagini emerge competenza e onestà". "È ancora prematuro affrontare nel profondo quest'aspetto, ci sono le indagini in corso. Quanto è emerso nel tempo, grazie alla biografia di Giulio, è la sua forza e disponibilità umana verso gli altri. La sua costante e incessante ricerca di dialogo e confronto, con se stesso e con gli altri. La sua competenza e onestà", affermano i genitori di Giulio Regeni, Claudio e Paola, in un'intervista pubblicata oggi su Il Piccolo, a un anno dalla scomparsa del giovane ricercatore friulano al Cairo.

"Noi da parte nostra - proseguono i coniugi Regeni - non ci siamo mai sottratti a nulla, pur di ottenere la verità e dunque giustizia. Sappiamo essere pazienti ma siamo inarrestabili: vogliamo la verità e la vogliamo tutta", e sottolineano che "è stato necessario, doveroso, importante e fruttuoso il richiamo dell'ambasciatore dall'Egitto".

Annunciando la partecipazione al momento di raccoglimento e alla fiaccolata in programma domani a Fiumicello, con un saluto all'iniziativa di Amnesty a Roma, i Regeni concludono affermando di attendere dalle indagini "più che serenità, giustizia verso Giulio per la persona che rappresentava. Non possiamo sapere ancora, non abbiamo mai esplorato nelle nostre vite la relazione emotiva tra verità e serenità, anche perché ora siamo ancora immersi nella ricerca della verità. Di certo non c'è alcuna azione di distanziamento fra quelle due parole. Perché - concludono - non è possibile".



Amr, l’amico egiziano di Regeni:
«Giulio mi parlò di Abdallah»
Ciò che ha fatto il capo dei venditori ambulanti è ciò che fanno ogni giorno migliaia di persone plagiate dal sistema, solo che stavolta gli avvenimenti sono sfuggiti di mano
di Amr Asaad
http://www.corriere.it/esteri/17_gennai ... 90ae.shtml

Ieri un giornalista italiano mi ha chiesto se pensavo che Giulio fosse una spia, la stessa domanda che mi era stata posta, durante le indagini successive alla sua scomparsa, da un funzionario di polizia che non riusciva a capire come mai uno straniero si interessasse a questioni egiziane. In quell’occasione provai molta rabbia nel sentirmi fare quella domanda, e dopo avergli elencato una lunga lista di importanti lavori scientifici portati a termine da «stranieri», chiesi al poliziotto di rintracciare Giulio, innanzitutto, per poi cercare di scoprire se fosse una spia o altro. La medesima domanda è stata riproposta a più riprese nell’arco della triste vicenda del mio amico Giulio, sia da parte degli investigatori che dei media. Ogni volta, ho dato una risposta diversa, ma l’essenza ruotava sempre attorno alla natura genuina dei suoi studi e alla sincera passione che animava il giovane ricercatore. Non ho mancato mai di aggiungere anche un particolare che mi era molto chiaro: non è questo il trattamento che si riserva alle spie. Le spie vengono tenute d’occhio con discrezione e spesso scambiate, per poi spartire tra tutte le parti in causa i vantaggi derivanti dai negoziati. Sembrava quasi che il numero di spie fosse in aumento in Egitto, di pari passo con i casi di sparizioni e di torture. Tuttavia, non si riesce ancora ad ottenere risposta alla domanda di che cosa abbia spinto qualche entità, tanto feroce quanto impreparata, a fare quello che gli hanno fatto.

Parlavamo dell’Udinese e di Pasolini

Giulio è stato vittima dello stesso sistema che è unicamente addestrato a salvaguardare se stesso, pur macchiandosi di crimini efferati, senza dover pagare il prezzo dei suoi «sbagli», come dimostra il numero crescente di egiziani innocenti che restano stritolati dal medesimo meccanismo. Giulio era un ragazzo in gamba, coraggioso, meticoloso e appassionato, che è rimasto invischiato nella vita dei comuni egiziani, che lottano per migliorare le loro condizioni di vita in un momento molto delicato nella storia del loro paese. Ci siamo incontrati per la prima volta in un tardo pomeriggio di ottobre, e quando ci siamo scambiati i nostri contatti Giulio si è assicurato che io sapessi pronunciare e scrivere correttamente il suo nome, nell’appuntare il suo numero di telefono. Successivamente ci siamo visti diverse volte per discutere di argomenti attinenti ai suoi studi, commentando su come in Egitto, in Italia, in Europa e nel mondo intero si stanno sviluppando quelle forze che determineranno il loro sviluppo. Avevamo fatto un percorso di studi parallelo e pertanto si discuteva di economia, società e politica, ma ben presto abbiamo cominciato a spaziare su una vasta gamma di argomenti, dall’Udinese, la squadra del cuore di suo padre, alle vittorie sportive di sua sorella, dal lavoro e le passioni di sua madre alla sua fidanzata, che contava di andare presto a trovare in Ucraina, e ovviamente parlava anche dei suoi studi, dalla scuola in Italia e in New Mexico fino al lavoro svolto a Cambridge e Londra. C’era stata anche una sua precedente visita in Egitto, nel 2012, in veste di stagista UNIDO, quando, ironia della sorte, aveva deciso improvvisamente di tornarsene a casa perché, «allora», non si sentiva sicuro. Giulio aveva il dono speciale di cogliere e tratteggiare le analogie tra le varie società che aveva conosciuto, e di inserirle in un contesto storico.

Le lunghe chiacchierate al telefono

Durante la settimana precedente il 25 gennaio, avevamo preso l’abitudine di scambiarci lunghe telefonate, dato che non potevamo vederci a causa di una mia scadenza di lavoro assai urgente. Perciò si chiacchierava al telefono e si parlava delle sue impressioni personali e professionali, confrontando i nostri punti di vista. Quella settimana Giulio era stato a vedere il documentario «Out in the Streets» al cinema Zawya, nel centro del Cairo. Il film parla di un gruppo di lavoratori che lottano per salvare il posto di lavoro, mettendo a luce la corruzione che dilaga nella loro fabbrica gestita dallo stato. Giulio mi aveva parlato a lungo del film e anche dei numerosi giovani spettatori che aveva notato, segno evidente dei cambiamenti che “lentamente” si fanno strada in Egitto. Un paio di giorni dopo si è recato all’inaugurazione di una retrospettiva di Hassan Soliman, il celebre artista egiziano. Quella sera abbiamo avuto una lunga discussione sulla mostra e ci siamo scambiati pareri sulle arti figurative. Giulio mi ha parlato dei suoi artisti preferiti, accennando anche ad alcuni artisti italiani moderni che non conoscevo. Mi ha parlato in particolare di Ivan Bidoli, tratteggiando analogie tra le sue creazioni e quelle di Hassan Soliman e altri artisti egiziani. Mi ha anche spiegato come le affiliazioni politiche di alcuni artisti possono rivelarsi vantaggiose, o al contrario nocive alla loro popolarità. Poi Giulio, ben conoscendo il mio interesse per gli ambienti artistici in Egitto e in Europa, mi ha chiesto di aiutarlo a introdurre le opere di Bidoli in questo e altri paesi.

La promesse di una vacanza e di un tiramisù

La mattina del 23 gennaio è intercorsa tra noi un’altra lunga chiacchierata telefonica. Cominciava a preoccuparsi dell’avanzamento della sua ricerca. Non sapeva se aveva raccolto dati sufficienti per la sua tesi. Giulio intendeva ripartire a marzo e per allora voleva aver terminato tutto il lavoro, perché non era sicuro di poter far ritorno in Egitto ancora una volta, visto l’aggravarsi della situazione politica. Mi ha spiegato che aveva cominciato ad avvertire il ritorno di una certa atmosfera tradizionalista che non accoglieva le diversità, e si preoccupava per le mie condizioni di vita (e quelle dei miei amici e colleghi), sperando di poter tornare nuovamente in Egitto quando si sarebbero potuti raccogliere i frutti dei sollevamenti popolari del 2011. Giulio mi ha confidato inoltre, per la prima volta, alcune sue preoccupazioni per la sua ricerca. Mi ha detto quello che oggi si è saputo tramite il filmato diffuso dalla polizia, riguardo il «capo» dei venditori ambulanti e le sue richieste di denaro a scopo personale. Quando gli ho suggerito i nomi di altri sindacalisti da contattare, Giulio mi ha detto che avrebbe posticipato questo incontro a dopo il 25 gennaio, a causa dell’alto livello di tensione che si percepiva nelle strade intorno a quella data. Nella nostra ultima telefonata abbiamo discusso della possibilità di incontrarci in Europa l’estate seguente, quando sarei andato a trovare mia figlia. Io volevo vederlo in Inghilterra, ma lui insisteva per farmi visitare il nord Italia, e perché no allungare fino all’Ucraina, se ci fosse stato tempo e denaro per farlo. Mi ha raccontato un paio di aneddoti su Pasolini e Oriana Fallaci e ci siamo dati appuntamento per venerdì, 29 gennaio. Mi ha anche promesso che mi avrebbe fatto il tiramisù, perché si era portato dietro il mascarpone dall’Italia. Per ultimo, mi ha rassicurato che non si sarebbe mosso di casa il giorno 25.

L’ultimo SMS

Verso le 19.45 del 25 gennaio ho notato un SMS inviato da Giulio alle 18.52 in cui mi chiedeva se avevo intenzione di uscire quel giorno. L’ho richiamato alle 19.51, ma il suo telefono era spento. Forse aveva la batteria scarica o si trovava in metropolitana, dove non c’è segnale, e così ho atteso la comunicazione di rete che il suo telefono era di nuovo attivo. La mattina seguente ho capito che era scomparso e abbiamo cominciato a mobilitarci, contattando l’ambasciata e alcuni amici avvocati per cercare di rintracciarlo, ma quello era solo l’inizio di una tragedia personale che avrebbe avuto un enorme impatto sulla vita di questa e altre società. La sensazione che fosse capitato il peggio cresceva in me, assieme al terrore che chiunque avesse attentato alla vita di Giulio aveva nel mirino anche la cerchia dei suoi amici più stretti. Una paura sempre crescente fino alla mezzanotte del 3 febbraio, quando ho ricevuto un messaggio che diceva «notizie tragiche non confermate».

Le responsabilità delle agenzie di sicurezza

Ho ancora registrati tutti i messaggi scambiati con Giulio e non riuscirò mai a perdonarmi di non essere stato accanto a lui quell’ultima settimana, e di non averlo chiamato in tempo per impedirgli di uscire quella sera. Ma dagli ultimi sviluppi e da quanto si è appreso riguardo il sindacalista e gli apparati di sicurezza che lo pedinavano, credo che la data non sia stata altro che una coincidenza, un giorno come un altro in cui gli assassini sono passati all’azione. Ultimamente abbiamo tutti visto il video del sindacalista/informatore della polizia, il quale ha ammesso – secondo alcune fonti – di aver consegnato Giulio ai suoi «superiori». A prescindere dalla mia rabbia rivolta verso quell’uomo e dall’assoluta immoralità delle sue azioni, è difficile giudicare la parte effettiva delle sue responsabilità, sganciata da coloro che gli hanno affidato quell’incarico, le stesse agenzie di personale di sicurezza ben addestrato che dovrebbe proteggere e stabilizzare, non accusare, imprigionare, giustiziare e incoraggiare il linciaggio pubblico, diffondendo odio e xenofobia in un paese storicamente rinomato per le sue porte spalancate e dove gente di ogni estrazione e provenienza è vissuta e si è «integrata» per anni, sentendosi protetta e sicura. Ciò che ha fatto l’informatore Abdallah è ciò che fanno ogni giorno migliaia di persone plagiate dal sistema, solo che questa volta gli avvenimenti sono sfuggiti di mano agli istigatori e non si fermeranno qui. Come ha detto giustamente sua madre, Giulio è stato ucciso come un egiziano e sono in tanti ad essere uccisi, torturati, messi sotto sorveglianza ogni giorno e di questi reati e abusi nessuno osa parlare. Giulio era venuto in Egitto nella speranza di scrivere una tesi dalla quale tutti avremmo potuto trarre beneficio, ma ciò che ha fatto è stato molto di più, ha pagato con la sua giovane vita, così ricca di promesse, per attirare l’attenzione del mondo su quanto sta accadendo in questo Paese.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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