Comounisti, nasicomounisti e de torno

Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » lun mar 12, 2018 8:35 am

I dieci danni che ci lasciò il '68
Marcello Veneziani - Dom, 25/02/2018

http://www.ilgiornale.it/news/cultura/i ... 98199.html

Sono passati cinquant'anni dal '68 ma gli effetti di quella nube tossica così mitizzata si vedono ancora. Li riassumo in dieci eredità che sono poi il referto del nostro oggi.

SFASCISTA Per cominciare, il '68 lasciò una formidabile carica distruttiva: l'ebbrezza di demolire o cupio dissolvi, il pensiero negativo, il desiderio di decostruire, il Gran Rifiuto.

Basta, No, fuori, via, anti, rabbia, contro, furono le parole chiave, esclamative dell'epoca. Il potere destituente. Non a caso si chiamò Contestazione globale perché fu la globalizzazione destruens, l'affermazione di sé tramite la negazione del contesto, del sistema, delle istituzioni, dell'arte e della storia. Lo sfascismo diventò poi il nuovo collante sociale in forma di protesta, imprecazione, invettiva, e infine di antipolitica. Viviamo tra le macerie dello sfascismo.

PARRICIDA La rivolta del '68 ebbe un Nemico Assoluto, il Padre. Inteso come pater familias, come patriarcato, come patria, come Santo Padre, come Padrone, come docente, come autorità. Il '68 fu il movimento del parricidio gioioso, la festa per l'uccisione simbolica del padre e di chi ne fa le veci. Ogni autorità perse autorevolezza e credibilità, l'educazione fu rigettata come costrizione, la tradizione fu respinta come mistificazione, la vecchiaia fu ridicolizzata come rancida e retrò, il vecchio perse aura e rispetto e si fece ingombro, intralcio, ramo secco. Grottesca eredità se si considera che oggi viviamo in una società di vecchi. Il giovanilismo di allora era comprensibile, il giovanilismo in una società anziana è ridicolo e penoso nel suo autolesionismo e nei suoi camuffamenti.

INFANTILE Di contro, il '68 scatenò la sindrome del Bambino Perenne, giocoso e irresponsabile. Che nel nome della sua creatività e del suo genio, decretato per autoacclamazione, rifiuta le responsabilità del futuro, oltre che quelle del passato. La società senza padre diventò società senza figli; ecco la generazione dei figli permanenti, autocreati e autogestiti che non abdicano alla loro adolescenza per far spazio ai bambini veri. Peter Pan si fa egocentrico e narcisista. Il collettivismo originario del '68 diventò soggettivismo puerile, emozionale con relativo culto dell'Io. La denatalità, l'aborto e l'oltraggio alla vecchiaia trovano qui il loro alibi.

ARROGANTE che fa rima con ignorante. Ognuno in virtù della sua età e del suo ruolo di Contestatore si sentiva in diritto di giudicare il mondo e il sapere, nel nome di un'ignoranza costituente, rivoluzionaria. Il '68 sciolse il nesso tra diritti e doveri, tra desideri e sacrifici, tra libertà e limiti, tra meriti e risultati, tra responsabilità e potere, oltre che tra giovani e vecchi, tra sesso e procreazione, tra storia e natura, tra l'ebbrezza effimera della rottura e la gioia delle cose durevoli.

ESTREMISTA Dopo il '68 vennero gli anni di piombo, le violenze, il terrorismo. Non fu uno sbocco automatico e globale del '68 ma uno dei suoi esiti più significativi. L'arroganza di quel clima si cristallizzò in prevaricazione e aggressione verso chi non si conformava al nuovo conformismo radicale. Dal '68 derivò l'onda estremista che si abbeverò di modelli esotici: la Cina di Mao, il Vietnam di Ho-Chi-Minh, la Cuba di Castro e Che Guevara, l'Africa e il Black power. Il '68 fu la scuola dell'obbligo della rivolta; poi i più decisi scelsero i licei della violenza, fino al master in terrorismo. Il '68 non lasciò eventi memorabili ma avvelenò il clima, non produsse rivoluzioni politiche o economiche ma mutazioni di costume e di mentalità.

TOSSICO Un altro versante del '68 preferì alle canne fumanti delle P38 le canne fumate e anche peggio. Ai carnivori della violenza politica si affiancarono così gli erbivori della droga. Il filone hippy e la cultura radical, preesistenti al '68, si incontrarono con l'onda permissiva e trasgressiva del Movimento e prese fuoco con l'hashish, l'lsd e altri allucinogeni. Lasciò una lunga scia di disadattati, dipendenti, disperati. L'ideologia notturna del '68 fu dionisiaca, fondata sulla libertà sfrenata, sulla trasgressione illimitata, sul bere, fumare, bucarsi, far notte e sesso libero. Anche questo non fu l'esito principale del '68 ma una diramazione minore o uscita laterale.

CONFORMISTA L'esito principale del '68, la sua eredità maggiore, fu l'affermazione dello spirito radical, cinico e neoborghese. Il '68 si era presentato come rivoluzione antiborghese e anticapitalista ma alla fine lavorò al servizio della nuova borghesia, non più familista, cristiana e patriottica, e del nuovo capitale globale, finanziario. Attaccarono la tradizione che non era alleata del potere capitalistico ma era l'ultimo argine al suo dilagare. Così i credenti, i connazionali, i cittadini furono ridotti a consumatori, gaudenti e single. Il '68 spostò la rivoluzione sul privato, nella sfera sessuale e famigliare, nei rapporti tra le generazioni, nel lessico e nei costumi.

RIDUTTIVO Il '68 trascinò ogni storia, religione, scienza e pensiero nel tribunale del presente. Tutto venne ridotto all'attualità, perfino i classici venivano rigettati o accettati se attualizzabili, se parlavano al presente in modo adeguato. Era l'unico criterio di valore. Questa gigantesca riduzione all'attualità, alterata dalle lenti ideologiche, ha generato il presentismo, la rimozione della storia, la dimenticanza del passato; e poi la perdita del futuro, nel culto immediato dell'odierno, tribunale supremo per giudicare ogni tempo, ogni evento e ogni storia.

NEOBIGOTTO Conseguenza diretta fu la nascita e lo sviluppo del Politically correct, il bigottismo radical e progressista a tutela dei nuovi totem e dei nuovi tabù. Antifascismo, antirazzismo, antisessismo, tutela di gay, neri, svantaggiati. Il '68 era nato come rivolta contro l'ipocrisia parruccona dei benpensanti per un linguaggio franco e sboccato; ma col lessico politicamente corretto trionfò la nuova ipocrisia. Fallita la rivoluzione sociale, il '68 ripiegò sulla rivoluzione lessicale: non potendo cambiare la realtà e la natura ne cambiò i nomi, occultò la realtà o la vide sotto un altro punto di vista. Fallita l'etica si rivalsero sull'etichetta. Il p.c. è il rococò del '68.

SMISURATO Cosa lascia infine il '68? L'apologia dello sconfinamento in ogni campo. Sconfinano i popoli, i sessi, i luoghi. Si rompono gli argini, si perdono i limiti e le frontiere, il senso della misura e della norma, unica garanzia che la libertà non sconfini nel caos, la mia sfera invade la tua. Lo sconfinamento, che i greci temevano come hybris, la passione per l'illimitato, per la mutazione incessante; la natura soggiace ai desideri, la realtà stuprata dall'utopia, il sogno e la fantasia che pretendono di cancellare la vita vera e le sue imperfezioni... Questi sono i danni (e altri ce ne sarebbero), ma non ci sono pregi, eredità positive del '68? Certo, le conquiste femminili, i diritti civili e del lavoro, la sensibilità ambientale, l'effervescenza del clima e altro... Ma i pregi ve li diranno in tanti. Io vi ho raccontato l'altra faccia in ombra del '68. Noi, per dirla con un autore che piaceva ai sessantottini, Bertolt Brecht, ci sedemmo dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano occupati. Alla fine, i trasgressivi siamo noi.
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » gio mar 29, 2018 6:45 pm

LA “SINISTRA” ACCOGLIENZA - Lo Straniero
Antonio Socci
27 novembre 2017

https://www.antoniosocci.com/la-sinistra-accoglienza

È curioso lo slancio umanitario che ha colto d’improvviso la Sinistra italiana di fronte all’inedita marea migratoria di questi mesi. Perché storicamente non ha proprio le carte in regola in tema di “accoglienza”.

Su queste colonne più volte è stato ricordato l’atteggiamento comunista nei confronti dei profughi di Istria e Dalmazia, nel dopoguerra.

La vicenda – quasi assente dalla storiografia ufficiale – riguarda 300 mila profughi italiani che dovettero fuggire dalle loro case, dalla terra dei loro padri, perdendo tutto.

Verso di loro – che scappavano dal comunismo titino – avevamo un doppio dovere di accoglienza e di solidarietà perché erano italiani e pagavano loro per tutti noi, per la guerra persa.

Eppure la sinistra comunista non accolse questi nostri connazionali come fratelli, ma come avversari, con manifestazioni ostili, insulti e sputi. Una vergogna.

C’è poi un’altra vicenda, più vicina nel tempo, che io stesso ricordo di aver vissuto personalmente: la tragedia dei cosiddetti “boat people” vietnamiti e cambogiani che scappavano dal “paradiso comunista” fra il 1975 e il 1980.

La Sinistra italiana, dal ’68, per anni aveva manifestato nelle piazze in favore dei Vietcong e della guerriglia comunista indocinese. Quando costoro trionfarono in Vietnam e in Cambogia, imponendo la loro disumana tirannia, centinaia di migliaia di disperati scapparono dai “liberatori” comunisti o via terra o sulle barche. Molti finirono annegati, ammazzati dai pirati o mangiati dagli squali. Ci furono anche tanti bambini tra le vittime.

Secondo il professor Le Van Mao (d’origine vietnamita, docente alla Concordia University di Montreall e responsabile del canadese ’Programma di patronato dei rifugiati vietnamiti’) i profughi morti in mare furono “almeno trecentomila”.

Alcuni dei fuggitivi furono salvati, fra l’altro, anche da tre navi della Marina militare italiana spedite là dal governo Andreotti: in Italia furono assistiti e ospitati dal volontariato cattolico circa 3.500 profughi.

Non erano migranti economici, come la gran parte di quelli di oggi, ma erano profughi che fuggivano da dittature sanguinarie e dalla morte, quindi avevano uno status internazionale che dava loro il diritto di essere accolti. Inoltre erano anche un numero molto esiguo e non creavano alcun rischio. Il costo economico per l’Italia era trascurabile, perlopiù sostenuto dalla Chiesa. Ma ciò non bastò per attirare su di loro la simpatia e l’accoglienza della Sinistra che – di fronte alla loro tragedia – avrebbe dovuto fare un’autocritica troppo spietata e devastante.

Io, che a quel tempo ero un giovane studente cattolico e mi impegnavo nell’opera di accoglienza coordinata dalla Caritas, ricordo ancora bene gli insulti e gli sputi che – nelle piazze – ci prendevamo dai compagni, quando distribuivamo volantini in quelle stesse piazze dove per anni si era manifestato a sostegno dei tiranni comunisti (indocinesi e non solo).

A quel tempo, a far conoscere gli orrori del comunismo indocinese – come ricorda padre Piero Gheddo – “si veniva bollati, come minimo, da provocatori ‘finanziati dalla Cia’ ”.

Sugli esuli intellettuali stessa storia. Nel 1974 era uscito “Arcipelago Gulag” di Solzenicyn (che venne subito esiliato dal regime). Fu una bomba in tutto il mondo, ma da noi la cultura, ovviamente allineata a Sinistra, accolse quel libro “con freddezza, magari” ha scritto Pigi Battista “accompagnando la gelida accoglienza con la divulgazione (come è accaduto) della leggenda nera di un Solzenicyn nientemeno che al soldo del dittatore Pinochet”.

In seguito al caso Solzenicyn nel 1977 Carlo Ripa di Meana – in armonia col nuovo Psi di Craxi – organizzò a Venezia la “Biennale del dissenso” dove furono invitati gli intellettuali perseguitati dei paesi comunisti che vivevano esuli.

Successe il finimondo (la Cgil arrivò a organizzare uno sciopero contro la Biennale). Hanno rievocato quei fatti Gabriella Mecucci e Ripa di Meana nel libro “L’ordine di Mosca: fermate la Biennale del dissenso”.

Eppure c’era il Pci di Berlinguer e si parlava di eurocomunismo. Ma gli esuli dell’Est, gli intellettuali perseguitati, erano molto sgraditi. Accoglienza, questa sconosciuta.
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » lun apr 09, 2018 7:56 am

Lula in carcere, l'ex presidente del Brasile si è consegnato. Fuochi d'artificio degli avversari politici
8 aprile 2018

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... ci/4279080

Da sabato 7 aprile Luiz Inacio Lula da Silva, è di fatto il primo ex-presidente del Brasile in carcere per un crimine comune. Lula, che ha trascorso la sua prima notte in cella, dovrà scontare una condanna a 12 anni. Sebbene i presidenti brasiliani della storia recente siano regolarmente finiti nei guai – imputati, fatti crollare da un colpo di stato e persino da un solo suicidio – Lula è stato il primo a essere condannato per corruzione e incarcerato. La sua nuova casa è una cella di circa 15 metri quadrati nella sede della polizia federale a Curitiba.

L’ex presidente brasiliano è arrivato alle 22.30 circa di sabato 7 aprile ora locale (le 3.30 italiane) alla Soprintendenza della polizia federale a Curitiba. Gli oppositori del partito del lavoratori hanno accolto il suo arrivo con i fuochi di artificio. Lula è arrivato all’aeroporto di Afonso Pena su un aereo monomotore della polizia federale da San Paolo. Da qui, è stato trasferito alla Sovrintendenza. Davanti ai locali della polizia si sono riuniti sia gli oppositori che i sostenitori del leader del Partito dei Lavoratori.

La resa è arrivata dopo una giornata convulsa, a tratti drammatica, quando l’ex presidente brasiliano ha scelto di non infiammare ulteriormente gli animi e ha lasciato la sede del sindacato a San Paolo dove era barricato da giorni. In precedenza aveva dato l’ultimo colpo di coda, arringando la folla dei suoi sostenitori. Annunciando sì che si sarebbe consegnato, ma continuando a gridare la sua innocenza. E quando è salito su un’auto per andarsi a consegnare, la folla lo ha bloccato, costringendolo a rientrare nell’edificio.

La tensione era alle stelle, con i dirigenti del sindacato e del partito dei lavoratori che hanno tentato di calmare i manifestanti, invitandoli a sgomberare. Lula, per tutta la giornata, ha continuato a tergiversare, forse facendosi forte della protezione dei suoi. Prima a chiesto di consegnarsi solo dopo la messa in memoria della moglie. Poi dopo un pranzo con i familiari, infine ha chiesto un’ulteriore proroga per poter vedere domenica sera una partita di calcio tra Palmeiras e Corinthians.

Rintanato da giorni nella sede del sindacato Abc, alla fine Lula ha deciso di cedere e piegarsi al mandato d’arresto emesso giovedì dal giudice Sergio Moro. Il termine massimo perché si costituisse, fissato dal magistrato simbolo delle inchieste anticorruzione, era scaduto venerdì pomeriggio ma il leader politico era rimasto rinchiuso nella sede sindacale, circondato da migliaia di simpatizzanti. Una situazione esplosiva, che rendeva di fatto impossibile alla polizia federale arrestarlo con un’azione di forza, senza correre l’altissimo rischio di scontri.
Nel giorno in cui anche l’ultima richiesta di sospendere l’arresto è stata respinta dal Tribunale federale supremo, a sbloccare apparentemente l’impasse è stato un accordo tra gli avvocati e la polizia: Lula, hanno assicurato i legali, si sarebbe consegnato spontaneamente alle forze dell’ordine dopo una messa per la seconda moglie Marisa Leticia, morta a febbraio dell’anno scorso e che avrebbe compiuto 67 anni proprio il 7 aprile.

La cerimonia si è trasformata in un comizio politico accanto alla sede del sindacato. A più riprese i sostenitori hanno inneggiato alla “resistenza” e hanno incitato Lula a non consegnarsi. Lui, vestito con una semplice t-shirt scura, ha risposto con gesti e saluti, scambiando abbracci e gesti d’intesa con gli altri politici sul palco. Al suo fianco anche la fedelissima ex presidente brasiliana Dilma Roussef. Alla fine della celebrazione Lula si è lanciato in una lunghissima arringa. Polizia federale e pubblico ministero, ha attaccato, “hanno mentito” sulla sua vicenda giudiziaria. “Non li perdono per aver trasmesso alla società l’idea che io sia un ladro. Io non mi nascondo, non ho paura di loro e non abbasserò il capo. Chi mi accusa non ha la coscienza a posto come me”.
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » gio mag 17, 2018 2:58 am

LA PATOLOGIA del comunista Massimo D'Alema
Niram Ferretti
16/05/2018

https://www.facebook.com/permalink.php? ... ment_reply

"La politica israeliana ha spazzato via ogni possibilità di uno Stato Palestinese. Mi domando se non bisogna anche smettere di ripetere ipocritamente la formula "Due Popoli, Due Stati". Lo Stato Palestinese non c'è più, è stato occupato, colonizzato. I territori palestinesi sono ormai come riserve indiane. Il vero problema che si pone è quello dei diritti umani e civili della popolazione. Uno Stato Palestinese non c'è più, c'è solo uno scenario sudafricano, in cui i palestinesi vivono una forma di apartheid.
L'Europa pare non voler capire che questa situazione rappresenta una minaccia diretta: l'odio che Israele e Usa attirano verso tutto l'Occidente potrà portare a nuove reclute per il terrorismo, a nuove ondate di rifugiati, e saremo noi europei a pagare il prezzo di questa ferita aperta".

Queste parole febbricitanti e intessute di menzogna sono state pronunciate in una intervista rilasciata al Fatto Quotidiano, poi ripresa dall'Huffington Post, fatta da Massimo D'Alema, l'uomo che è stato sia Presidente del Consiglio che Ministro degli Esteri di questo paese.

L'odio di D'Alema per Israele è di vecchio conio. Appartiene al latte materno con cui è stato svezzato. Latte pastorizzato a Botteghe Oscure dove si serviva anche l'altro latte, quello dell'antiamericanismo.
In merito ai recenti fatti accaduti al confine tra Israele e Gaza il giudizio è chiaro. Il colpevole, nel romanzo criminale di D'Alema, non può che essere Israele.
Nelle sue parole triviamo condensati tutti i feticci classici della demonizzazione persistente della sinistra (che non a caso parla lo stesso linguaggio dell'Islam militante,) contro lo Stato ebraico.

"Occupazione", "colonizzazione", "Sud Africa".

L'accusa di razzismo è sottointesa, quella di violenza indiscriminata non appare qui ma si trova precedentemente, quando l'ex titolare della Farnesina, l'amico di Tariq Ramadan e di Davide Piccardo, dice, che quello che è accaduto ai confini tra Israele e Gaza sarebbe stato un "barbaro eccidio di ragazzi disarmati". Certo c'è anche la stoccatina per "l'imperdonabile cinismo di Hamas che manda ragazzi al massacro", ampiamente superata però dall'orrore dei "soldati israeliani che prendono di mira anche i bambini e poi festeggiano postando su Facebook i video dei colpi andati a segno".

Siamo qui dentro al rigurgito abbietto da cui tracimano i topoi classici dell'antisemitismo così in voga nel mondo islamico a cui D'Alema ha sempre guardato con malcelato affetto.

Gli israeliani uccisori di bambini a cui si aggiungerebbe il loro gaudio su Facebook. Mancano gli accenni all'espiantazione degli organi dei palestinesi, l'avvelenamento delle falde acquifere, le sevizie agli infanti. D'Alema non si risparmia nulla nel suo furore.

Peccato che al di là dell'apparato delirante, sia lo stesso Hamas a smentirlo a proposito dei "ragazzi disarmati".

Salah Bardawil, uno degli ufficiali di Hamas ha appena dichiarato che "50 delle 62 persone martirizzate, appartenevano a Hamas".
Sì, sarebbero "martiri", ma erano dei nostri, non poveri ragazzi inermi, vittime innocenti della crudeltà ebraica.
L'IDF ne aveva identificati 24. Le loro immagini in assetto militare sono state fatte circolare nelle ultime ore. Otto di loro erano riusciti a introdursi in Israele aprendosi un varco nella barriera di confine dove avevano aperto il fuoco contro un reparto speciale dell'IDF, l'unita Maglan, per essere prontamente uccisi tutti quanti.

Ma il capolavoro della livida espettorazione dalemiana è quella sull'odio che si riverserebbe in Occidente a causa di Israele e, ovviamente, degli Stati Uniti. Saranno loro la causa del terrorismo futuro che si avrà in Europa, ci viene detto, così come sono, è sottointeso, gli artefici di quello presente.

Non è Israele da lodare perchè combatte dalla sua esistenza contro il fondamentalismo islamico e il terrorismo che esso ha generato in buona parte del pianeta, no, sarebbe, lui il responsabile.

Il capovolgimento della realtà e della verità tocca qui vertici parodistici, ma non c'è niente di comico nel livore di questo ex protagonista della politica italiana ormai destinato stabilmente alla sua periferia. Egli non fa che esibire tutto l'apparato demonizzante nei confronti di Israele, e come corollario, degli Stati Uniti, che la sinistra europea (e non solo europea) ha sviluppato negli ultimi cinquanta anni.

Dobbiamo ad essa e solo ad essa se l'Europa e la stessa idea di Occidente che essa incarnava è andata progressivamente inabissandosi. Dobbiamo ad essa e al sempre più viscerale antisionismo e antiamericanismo che l'ha ossessivamente nutrita e che ancora la nutre, se il jihadismo islamico ha potuto trovare qui il suo ventre molle, la mancanza di anticorpi, le diagnosi furvianti ad esso favorevole. Dobbiamo ad essa se oggi l'Europa abbraccia il palestinismo e si rifiuta di dichiarare che l'Islam ha al proprio interno una piaga purulenta. Dobbiamo ad essa, infine, se questa Europa non è più capace di difendersi e trasforma i terroristi in "ragazzi inermi" e chi invece difende la propria sicurezza e i suoi confini, in "assasino".

D'Alema è soltanto un epifenomeno, e sicuramente non tra i più rilevanti, della grave patologia da cui siamo da troppo tempo affetti.



Idiozie e odio contro Israele e gli ebrei
viewtopic.php?f=197&t=2662
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » mar mag 22, 2018 6:08 am

???


DA MARX A MARCUSE AL POLITICAMENTE CORRETTO: LA VIA VERSO IL COLLASSO
di GERARDO COCO

https://www.miglioverde.eu/da-marx-a-ma ... l-collasso

La fortuna e la longevità di Marx sta, crediamo, nel fatto di aver compenetrato storia (lotta di classe), sociologia (modi di produzione condizionanti la vita), ed economia (plusvalore) al punto di averne fatto una cosa sola in modo che tutti i concetti e le proposizioni importanti della sua dottrina si potessero interpretare da questi tre punti di vista presi insieme. Poco importa se, analizzati separatamente, sono insostenibili senza speranza, l’importante è aver accreditato il tutto con una base morale: la redistribuzione della ricchezza e la giustizia sociale.

Una dottrina che interpretava la storia dal punto di vista delle vittime non poteva che essere accolta come una religione ma il suo piano di salvazione che prometteva, il paradiso nell’al di qua, doveva risolversi in catastrofi storiche come leninismo, stalinismo, castrismo, maoismo et similia, incluso il radicalismo islamico dove però è il clero religioso a guidare il governo a confiscare i beni dei ricchi e nazionalizzare le risorse, sempre per… creare giustizia sociale, la parola d’ordine delle le dittature e dei governi interventisti.

Ma facciamo un passo indietro. Siccome la rivoluzione comunista del 1917 non riuscì a innescare l’internazionalismo proletario come previsto, i teorici marxisti, lungi dal dichiarare fallimento, sottoposero la dottrina a revisione posizionandola dal punto di vista della cultura piuttosto che da quello dell’economia: per diffondere il marxismo bisognava innanzi tutto distruggere la cultura occidentale e la religione cristiana. Fra gli autori più significativi di questa operazione culturale bisogna ricordare quelli della cosiddetta Scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer), l’italiano Antonio Gramsci (1891 –1937) e l’ungherese György Lukács (1885 –1971).
I teorici della scuola di Francoforte resisi conto che il condizionamento psicologico offriva uno strumento più potente della filosofia, cercarono di fondere la lotta di classe con la psicoanalisi. Sia Marx che Freud avevano sostenuto che l’uomo è determinato da forze nascoste rappresentate, per il primo, dalle forze produttive, per il secondo, dall’inconscio. Poiché entrambe danno un’immagine illusoria e contraffatta della realtà, la coscienza dell’uomo è “falsa coscienza”che per Marx genera alienazione, per Freud, nevrosi. Ora come il capitalismo opprimeva la classe operaia, la cultura occidentale reprimeva psicologicamente la borghesia. “Liberare” tutti da queste oppressioni è stato uno dei principali obiettivi del marxismo tradotto in termini “culturali”.
Gramsci, avendo anche lui capito che la rivoluzione non sarebbe mai partita dal proletariato elaborò la strategia della “lunga marcia attraverso le istituzioni” con l’obiettivo di sovvertire dall’interno la cultura e la morale individualistica giudaico-cristiana responsabile di reprimere il desiderio di rivolta delle classi oppresse. Gramsci contribuì non poco a dare il potere agli intellettuali marxisti permettendo loro di prendere il controllo delle università, dei media, del sistema legale, della scuola.
Georg Lukacs, ex-vice commissario per la cultura del regime bolscevico in Ungheria, affrontò il problema chiedendosi: “chi ci salverà dalla civiltà occidentale?” e la sua risposta fu: il “terrorismo culturale” (la politica di sopprimere i valori socialmente riconosciuti, ripresa ai nostri tempi dall’Isis) che doveva iniziare introducendo nelle scuole l’istruzione sessuale come primo passo per distruggere la morale tradizionale e il credo cristiano.

L’ultimo, influente “guru” del revisionismo marxista fu Herbert Marcuse (1898–1979) sociologo di Harward e legato alla Scuola di Francoforte. Secondo questo socialista-freudiano padre della controcultura e della contestazione che scrisse libri di grande successo (L’uomo a una dimensione, Eros e Civiltà), oggi terribilmente datati, la storia non è determinata, come afferma il marxismo classico, da chi possiede i mezzi di produzione ma da gruppi, definiti come uomini, donne, razze, religioni, ecc. con il potere e il dominio su altri gruppi. Alcuni di questi, in particolare i maschi bianchi, erano etichettati come “oppressori”, mentre altri gruppi venivano definiti “vittime” automaticamente buone, indipendentemente dal comportamento e responsabilità individuale. Quindi, alla domanda chi doveva fare la rivoluzione? Marcuse rispose: gruppi di studenti, uomini di colore, donne femministe e omosessuali e così via. Marcuse e i predecessori avevano covato il “politicamente corretto”.
Nei primi anni ’60 la protesta contro la guerra del Vietnam e contro la segregazione razziale diede a Marcuse l’opportunità storica di iniettare la sua dottrina nella generazione dei baby boomers (i nati tra il 1945 al 1964) per liberarli dai meccanismi della repressione sociale sopratutto con un arsenale di slogan tra cui i più famosifurono: “L’immaginazione al potere”, e “Fate l’amore non la guerra”.
Tali furono le premesse del Sessantotto, il movimento di protesta globale di cui, insieme al bicentenario di Marx, ricorre il 50esimo e che diventò un’escalation mondiale di conflitti sociali e ribellioni popolari contro le elite militari e politiche. Il movimento si esaurì pochi anni dopo quando scoppiò la prima grande crisi energetica e il marxismo ortodosso, sulla via del tramonto definitivo, diventava un’ ideologia terzomondista. In occidente, invece, stava maturando la nuova variante ideologica.

All’inizio pareva un’innocua ipocrisia verbale tesa a dare, a tutti i costi, sul piano formale, dignità alle diversità sociali ed etniche esistenti ma si trattava di una vera e propria ideologia totalitaria. Si trattava del “politicamente corretto” (PC). Perché è marxismo? Innanzi tutto “corretto” nel vocabolario marxista-leninista indica la linea ideologica “giusta” e questa linea nel PC è l’imposizione di una visione di una “società senza classi”, una società non solo di pari opportunità, ma egualitaria. Insomma secondo il PC devono sparire tutte le differenze e a tal fine, cerca di modificare tutte le regole, formali e informali, che guidano i rapporti tra persone e istituzioni. Il PC definisce tutte le minoranze come vittime virtuose: musulmani, donne femministe, omosessuali, mentre i cristiani di varie etnie come malvagi. Come il marxismo è espropriazione attraverso tasse sempre crescenti per risarcire e mantenere le “vittime”. Il PC vuole cambiare il comportamento, il pensiero e sopratutto le parole che usiamo affinché si possa cambiare la realtà. Infatti mentre per il marxismo classico, l’analisi è economica per il nuovo marxismo l’analisi è linguistica cioè“decostruzione”. La decostruzione “dimostra” che qualsiasi “testo”, passato o presente, illustra l’oppressione di gruppi: musulmani, donne, omosessuali, ecc.
Il politicamente corretto è la sopraffazione della parola sulla realtà e pertanto serve a sopprimere immediatamente, punti di vista diversi. Nulla poteva servire meglio ai nuovi marxisti odierni, politici e intellettuali, per imporre la propria visione della società e, ai governi, per imporre un modo di pensare unico e far sentire i dissidenti dei reprobi. Chiunque si allontana dai dettami di questa ideologia cessa di essere membro dell’establishment.
I commentatori per i quali ogni crisi economica, seguendo Marx, è crisi del capitalismo, si sbagliano di grosso. Perché l’economia non è affatto dominata dal capitalismo industriale, il regime di cui il filosofo prevedeva la fine, ma è dominata dal capitalismo politico-finanziario-assistenzialistico che origina dal nuovo marxismo. Quello classico è morto da un pezzo e il politicamente corretto ha riempito i suoi panni. Il medium è cambiato, ma il messaggio è lo stesso: una società di egualitarismo radicale imposto dal potere dello stato. È questo il sistema che sta per collassare.



PIETRO AGRIESTI
Per un po’ l’anima del movimento studentesco, almeno in America, fu contesa fra Marcuse e Paul Goodman, quest’ultimo, finito nel dimenticatoio, era molto diverso da Marcuse. Pur non essendo un anarco-capitalista, era un anarchico individualista, che vedeva l’anarchia come proseguimento naturale del liberalismo, favorevole al decentramento, si rifaceva volentieri al pensiero federalista dei padri americani e fu oggetto di apprezzamenti anche da Rothbard.. e criticava aspramente Marcuse. Pur mantenendo un sostanziale scetticismo sul libero mercato rappresenta un momento di avvicinamento e quasi comprensione fra anarchismo tradizionale e anarco-capitalismo. Si trova oggi nel catalogo della Eleuthera, casa editrice anarchica di sinistra, ma in quel catalogo si distingue insieme a pochi altri, per degli aspetti interessanti anche per chi ha in mente un altro tipo di anarchia..

LEONARDO
grazie per l’ottimo appunto

GUGLIELMO
Su Trame d’oro c’è un’ottima sintesi del libro di Paul Goodman “Individuo e comunità” scritta da Pietro Agriesti:
http://tramedoro.eu/?p=4833
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » gio mag 24, 2018 1:48 am

Pipes, lo storico che svelò la natura del comunismo
Stefano Magni
19-05-2018

http://www.lanuovabq.it/it/pipes-lo-sto ... s.facebook

Richard Pipes, storico della Russia, è morto all'età di 94 lasciando una ricchissima eredità. I suoi studi sulla rivoluzione russa e il regime bolscevico hanno aperto gli occhi dei presidenti Ford e Reagan sulla vera natura dell'Unione Sovietica. Con Proprietà e Libertà individuò nella proprietà privata la base della società libera occidentale.
Lenin arringa le truppe dell'Armata Rossa

Giovedì sera, a Cambridge (Massachusetts), è morto lo storico Richard Pipes, all’età di 94 anni. Il suo nome può dir poco a un pubblico italiano, ma il suo ruolo è stato fondamentale nella storiografia del Novecento. Prima ancora del crollo del muro di Berlino, ha infatti aperto gli occhi del mondo sulla vera natura del comunismo, seppellendo, sotto una mole di documenti originali, i pregiudizi e le fiabe create dalla storiografia marxista.

Nato a Cieszyn, Polonia, da una ricca famiglia di ebrei, quando non era ancora maggiorenne dovette fuggire dall’invasione nazista. Si rifugiò prima in Italia, poi subito dopo negli Usa, nel luglio del 1940. E conquistò la cittadinanza servendo sotto le armi, come aviere, nella Seconda Guerra Mondiale. In Polonia, in quel periodo, non sarebbe sopravvissuto alle purghe delle due potenze totalitarie occupanti. Se fosse rimasto sotto i sovietici, sarebbe stato ucciso perché figlio di un imprenditore. Se fosse rimasto sotto i nazisti, sarebbe stato ucciso perché ebreo. Con un vissuto così, non si può non aprire gli occhi sulla natura mostruosa del totalitarismo novecentesco. Dal 1950, divenendo professore ad Harvard, insegnò la storia della Russia a una generazione di americani che dovette affrontare la guerra fredda, un conflitto che non scoppiò mai, ma che venne ugualmente combattuto soprattutto con le armi della cultura, oltre che dell’ideologia.

Giocò il suo ruolo strategico sotto l’amministrazione Ford, nel 1976. Il presidente repubblicano, succeduto a Nixon dopo lo scandalo del Watergate, riunì una squadra di esperti per capire quali potessero essere le prossime mosse dell’Unione Sovietica. Deluso dalle analisi della Cia, che per tutti gli anni della Guerra del Vietnam aveva sottostimato le capacità militari dell’Urss, Ford incoraggiò la costituzione di un gruppo di esperti non inquadrati nella Cia e più liberi dai suoi schemi, chiamato President's Foreign Intelligence Advisory Board (Consiglio per la consulenza al presidente negli affari esteri, Pfiab). Pipes fu convocato per guidare il gruppo di analisi, chiamato Team B, del Pfiab, che produsse un rapporto molto diverso dalle stime fino a quel momento prodotte dagli analisti dei servizi segreti. Lo storico di Harvard spese tutta la sua conoscenza della storia russa e sovietica per veicolare un messaggio fondamentale: la politica estera di Lenin, Stalin, Chrushev e Brezhnev non è mai stata reattiva, ma attiva. Non può essere letta come una reazione ad aggressioni esterne, ma come una dinamica e bellicosa promozione della rivoluzione comunista in tutto il mondo. Il modo migliore per affrontare una potenza rivoluzionaria non è tanto (e non è solo) il contenimento militare, ma la guerra ideologica. Ad una rivoluzione si doveva rispondere con una contro-rivoluzione. Questi consigli vennero recepiti in pieno dalla successiva amministrazione repubblicana, guidata da Ronald Reagan, che lo cooptò nel nuovo Consiglio per la sicurezza nazionale.

L’aspetto più interessante di tutta l’opera di Pipes è, appunto, la comprensione del fenomeno rivoluzionario. Nel suo monumentale La rivoluzione russa (Mondadori 1994), Pipes, sulla base di documenti originali, riuscì a dimostrare come una esigua minoranza di intellettuali-rivoluzionari di professione si fosse impossessata del più grande paese del mondo per farne l’oggetto del loro sogno: il trampolino di lancio di una rivoluzione mondiale. Lenin andò contro le masse russe, contro gli stessi Soviet, contro gli interessi nazionali russi (accettando anche l’amputazione di ampie parti del suo territorio) per conquistare militarmente il potere, conservarlo a tutti i costi ed esportare il comunismo. In questa ottica, tutto ciò che pare insensato, come il trattato di Brest Litovsk (1917), il patto Ribbentrop-Molotov (1939), l’evidente doppiezza della diplomazia sovietica in tutte le circostanze successive, trovano una loro logica collocazione in un’unica strategia di lungo periodo: la diplomazia, i trattati, le relazioni commerciali sono espedienti temporanei dettati dalle circostanze, pace e distensione sono tregue temporanee, ma il fine da perseguire è la rivoluzione mondiale. Un obiettivo che è stato in gran parte raggiunto, conquistando ampie fette di mondo, pazientemente, pezzo dopo pezzo. Mentre Pipes lavorava al Team B, consiglieri sovietici erano all’opera in Vietnam (appena caduto), Laos, Etiopia, Angola, Mozambico. Mentre scriveva la storia della Rivoluzione, i comunisti sovietici erano arrivati anche alle porte degli Usa, in Nicaragua e a Grenada.

La stessa logica vale anche per la politica interna dei regimi comunisti e spiega sia la loro irriformabilità che la loro crudeltà estrema nei confronti dei propri cittadini. Pipes, nel suo Il regime bolscevico (Mondadori, 2000) dimostra la perfetta continuità fra il sistema messo in piedi da Lenin e quello ereditato e perfezionato da Stalin. Non c’è uno "stalinismo" contro un "leninismo" (mito adottato dai comunisti per difendersi dalle accuse di genocidio): è sempre stata la stessa cosa. Fu Lenin a introdurre la polizia politica, i gulag, il terrore di massa, il controllo totale delle coscienze dei cittadini. Stalin vi aggiunse solo il proprio culto della personalità e perfezionò quel che c’era già. L’obiettivo, anche qui, era la rivoluzione: cambiare i connotati della società per fare l’uomo nuovo. Sbaglia anche chi legge la storia del regime sovietico in continuità con il vecchio regime zarista. Per Pipes, la cesura è netta: l’Urss non era più Russia, era un esperimento completamente nuovo. Mirava al mondo, non ad allargare i propri confini.

Non tutta l’opera di Pipes si riduce alla critica del sistema comunista. Il cuore della sua idea di società si trova in Proprietà e libertà (Lindau, 2008) dove lo storico spiega che, in tutta la storia umana, dall’era classica ad oggi, è la proprietà privata il primo baluardo della libertà e dei diritti. Solo laddove la proprietà privata viene tutelata, cresce una cultura dei diritti umani che limita il potere arbitrario del sovrano e dello Stato. E sono queste le basi di quella contro-rivoluzione che, sotto le amministrazioni Reagan, spazzò via l’impero rosso, senza combattere, in appena otto anni.
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » sab mag 26, 2018 9:19 pm

Richard Pipes e Bernard Lewis: il vero volto dei nemici dell’Occidente, Urss e Islam radicale, attraverso i loro occhi
Stefano Magni
26 Mag 2018

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... cale-occhi

Per una brutta ironia della sorte, sono morti nella stessa scorsa settimana, due fra i migliori storici contemporanei di fama mondiale: Richard Pipes e Bernard Lewis. Entrambi in tardissima età, il primo a 94 anni, il secondo aveva appena passato il traguardo dei 101, hanno contribuito fino all’ultimo giorno ad arricchire la nostra conoscenza sui due fenomeni politici e religiosi più importanti del nostro tempo. Richard Pipes ha svelato il volto del comunismo, attraverso lo studio di documenti originali, libero da ogni incrostazione ideologica. Bernard Lewis ha invece introdotto un pubblico internazionale allo studio della storia ultra-millenaria dell’Islam e delle sue numerose evoluzioni e frammentazioni. Parrebbero due campi di studi completamente differenti e non paragonabili. Eppure, sia Pipes che Lewis hanno molto in comune.

In primo luogo si tratta di due storici importanti per la politica conservatrice anglo-sassone.
Richard Pipes venne cooptato nel Pfiab (President’s Intelligence Advisory Board), organismo di analisi di dati di intelligence formato da studiosi non inquadrati nei servizi segreti, dunque civili a tutti gli effetti e liberi dagli schemi tipici della burocrazia di Washington. Questo gruppo di consiglieri esterni era voluto dall’amministrazione Ford, a metà degli anni ’70, dopo che, nel precedente decennio di guerra del Vietnam, la Cia aveva costantemente sotto-stimato la minaccia dell’Unione Sovietica. Pipes, attraverso la sua lunga esperienza di studi sulla Russia e sulla rivoluzione, ribaltò la prospettiva classica: l’Urss non “reagisce” ad attacchi e provocazioni esterne, ma “agisce” per diffondere il comunismo nel mondo. Il regime sovietico, secondo Pipes, non era classificabile neppure come un regime “russo”, né la sua azione poteva essere letta come la continuazione della classica politica imperiale zarista sotto altre bandiere. La classe dirigente sovietica, infatti, era internazionalista. Il suo scopo era quello di esportare la rivoluzione comunista nel mondo. E il modo migliore per affrontare una potenza rivoluzionaria non è tanto (e non è solo) il contenimento militare, ma la guerra ideologica. Ad una rivoluzione si doveva rispondere con una contro-rivoluzione. Fu essenzialmente questa la strategia poi adottata da Ronald Reagan, dal 1981, che cooptò Pipes nel nuovo Consiglio per la sicurezza nazionale.

Anche Bernard Lewis “nasce” nell’intelligence militare britannica, nel corso della Seconda Guerra Mondiale ed esordisce come analista del Ministero degli Esteri. La sua nemesi principale, Edward Said, che non era neppure uno storico, lo sfidava sostenendo che Lewis avesse pur sempre una visione colonialista del mondo, che il suo “orientalismo” (inteso come studio della civiltà orientale) fosse solo strumentale agli interessi dell’imperialismo. Eppure Lewis non ha fatto altro che scrostare la storia dell’Islam dalle categorie ideologiche tipiche europee di destra e sinistra. Non è caduto nella trappola di chi vede ogni fenomeno mediorientale come una reazione al colonialismo occidentale e alla politica di Israele, ma si è concentrato sulle dinamiche interne al vasto mondo musulmano e alla sua storia più che millenaria. Dal 1979 (anno della rivoluzione in Iran) ha visto nel “risveglio dell’Islam” un movimento politico e rivoluzionario nato da una reazione alla decadenza dell’Islam. La stessa crisi che nel corso del Novecento aveva indotto i leader musulmani ad abbracciare la “modernizzazione”, importando idee europee quali il nazionalismo e il socialismo, dalla fine degli anni ’70 provocò una reazione di ritorno alla purezza dell’Islam, alla sua antica legge coranica, alla sua espansione imperiale attraverso la spada.

Dall’appiattimento, fallito, sulla modernità, insomma, il mondo islamico stava passando alla reazione contro la modernità. Ed è lo stesso fenomeno che, quindici anni dopo la rivoluzione iraniana, anche nel mondo sunnita ha dato origine a un movimento terrorista e rivoluzionario quale è Al Qaeda. Lo stesso che motiva i Fratelli Musulmani e tutte le loro numerose ramificazioni in Asia, Africa, Europa e America. Lo stesso che ha causato l’impazzimento del radicalismo islamico nell’Isis in Iraq e in Siria. L’amministrazione Bush, subito dopo lo shock dell’11 settembre ha iniziato a studiare i libri di Lewis e ad ascoltare i suoi pareri, se non altro per cercare di capire le cause dell’odio islamico per l’Occidente.

Pipes e Lewis ci hanno insegnato soprattutto questo: capire i nemici dell’Occidente guardando attraverso i loro occhi, parlando la loro lingua, leggendo i loro testi. Lungi dall’essere sciovinisti, ci hanno insegnato l’umiltà: non dobbiamo vedere tutto quel che accade nel mondo come una reazione alle nostre politiche occidentali, ma come un prodotto interno alle dinamiche di altre ideologie e civiltà. La seconda grande lezione è: sii libero di giudicare. Perché, una volta che si è capito cosa sia il comunismo o il risveglio islamico, una volta analizzati i fatti, si può passare al giudizio di valore. Sia Pipes che Lewis giudicavano i fatti. Un regime che mette in piedi un arcipelago di gulag ed esporta la sua ideologia col terrore, è oggettivamente criminale. Un risveglio islamico che vuole esportare la sua legge medievale col terrore, è oggettivamente pericoloso. Pericoloso per tutti, non solo per chi subisce l’aggressione. La loro è una lezione inaccettabile per i relativisti, secondo cui tutti i fatti sono filtrati attraverso i punti di vista di chi li osserva e, soprattutto, tutti i valori sono soggettivi, dunque il giudizio è impossibile.



Gino Quarelo
Due grandi per la loro semplicità nell'applicare il buon senso e la logica.
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » mer giu 13, 2018 7:57 pm

Torino, licenziata la maestra Lavinia Flavia Cassaro che insultò i poliziotti durante un corteo
Chiara Sandrucci
18 giugno 2018

https://torino.corriere.it/cronaca/18_g ... 0dad.shtml

TORINO - La lettera di licenziamento è arrivata 5 giorni fa ma l’ha letta solo ieri, martedì. Lavinia Flavia Cassaro, la maestra che insultò i poliziotti durante un corteo antifascista a Torino lo scorso 22 febbraio è stata licenziata in tronco dall’Ufficio Scolastico Regionale. Il massimo della pena. Un licenziamento a far data già dal 1 marzo, il giorno in cui venne sospesa a mezzo stipendio in attesa di giudizio. Durante la manifestazione antifascista contro CasaPound, augurò la morte agli agenti («Maledetti, dovete morire»), ma venne ripresa dalla trasmissione Matrix. Da quel momento il “caso Cassaro” diventò così nazionale, anche perché sia era in piena campagna elettorale e Matteo Renzi, presente nello studio tv, criticò aspramente il comportamento della donna. La prima a muoversi fu l’allora ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli avviando un procedimento disciplinare.


Torino, la prof anti poliziotti al corteo dell’8 Marzo
Il sindacato: non meritava una sanzione così dura

«Ricorreremo al Tribunale del Lavoro», ha detto Cosimo Sarinzi, rappresentante Cub Scuola, «Non meritava la sanzione massima e definitiva, la pena deve essere sempre proporzionale ai fatti commessi». Il sindacato ricorda che la maestra, di ruolo nella scuola primaria dell’Istituto Comprensivo Leonardo da Vinci di Torino, non era in servizio al momento dei fatti e che la sua unica colpa è quella di «esprimere le sue opinioni politiche con eccessiva vivacità». E promette battaglia - sia in sede legale che sindacale - contro un provvedimento che definisce una «sentenza già scritta».

La motivazione dell’Ufficio scolastico

Di opinione opposta l’Ufficio Scolastico Regionale che in una nota scriveva che «la condotta tenuta dalla docente, seppure non avvenuta all’interno dell’istituzione scolastica, contrasta in maniera evidente con i doveri inerenti la funzione educativa e arreca grave pregiudizio alla scuola, agli alunni, alle famiglie e all’immagine stessa della pubblica amministrazione».

Vicina ai centri sociali

La lettera di licenziamento era nella sua casella mail già da venerdì scorso. Ma Lavinia Flavia Cassaro l’ha letta soltanto ieri. Da sempre antagonista, vicina ai centri sociali, la donna è stata contestata anche alla scuola primaria del quartiere Falchera dove era di ruolo. Secondo il dirigente scolastico, avrebbe manifestato «problemi nella relazione con i colleghi e con gli alunni: senza sfociare in fatti richiamabili, resta persona che genera tensione e disagio». Il sindacato Cub Scuola, che la difende, fa però notare che quindi la maestra «non ha mai fatto nulla meritevole di una pur lieve sanzione disciplinare».


Torino, scontri al corteo antifascista contro Casapound
L’intervista al Corriere: «Sono antifascista, fiera di esserlo»

Alcuni giorni dopo la manifestazione in centro a Torino rilasciò un’intervista al Corriere Torino: «A centinaia augurano la morte sui social a me e alla mia famiglia... - disse - l’ho fatto anch’io coi poliziotti? Non scherziamo, non è per niente la stessa cosa. Io non rinnego niente di quello che ho detto. Ho augurato la morte all’ideologia che rappresentano, non a loro singolarmente. L’ideologia che protegge i fascisti. Non ce l’ho con il poliziotto. Cosa mi cambia se lui muore? Io vorrei che il poliziotto esistesse per tutelare i cittadini, non per reprimere».


Il lungo sfogo su Facebook durante la bufera mediatica

A caldo, nei giorni della bufera sui media, l’insegnante scrisse un lungo post su Facebook rivolgendosi direttamente a Renzi: «E lei caro Matteo, ancora si affanna per cercare di sembrare un sincero democratico di sinistra? Licenziamento immediato per una maestra (antifascista) giustamente delusa dal proprio sistema statale, per il vilipendio quotidiano che viene praticato, ogni giorno, nei confronti della nostra Costituzione e per le connivenze, tra la politica istituzionale e l’incalzare dell’ideologia, ma soprattutto delle pratiche fasciste in questo paese... E non solo». In quel post non trapelava segno di pentimento: «Un’insegnante deve essere valutata per la passione, l’amore e la cura che mette nel proprio lavoro e verso i propri studenti e studentesse. A me queste cose, di certo, non mancano. Non mi vergogno della sana rabbia (...) è la mia etica che m’impedisce di stare ferma a guardare lo sfacelo culturale ed umano che cresce smisuratamente intorno a me».


Çentri soçałi łi fasisti rosi vargogne del Veneto come i fasisti neri - nasirasisti
viewtopic.php?f=25&t=653
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » lun giu 18, 2018 8:26 pm

Un disastro chiamato Mogherini
17 giugno 2018
Fausto Carioti

http://www.italiaisraeletoday.it/un-dis ... -mogherini

Sta crollando la Ue e Federica Mogherini non ha nulla da indossare. La crisi dell’immigrazione finalmente esplosa, la frattura delle relazioni con gli Stati Uniti,i tavoli internazionali dove il «continente di pace», come lo chiama lei, o è scomparso o è rimasto per fare da stampella ai tiranni: chi verrà dopo dovrà ricostruire dalle macerie, ma tutto questo pare scivolare addosso alla quarantaquattrenne piddina che Matteo Renzi, forte del successo alle elezioni europee del 2014, impose come Alto rappresentante per gli Affari esteri e la Sicurezza.
L’altro giorno ha provato a risvegliarla dal letargo il corrispondente di Radio Radicale David Carretta: «La Francia e la Spagna hanno accusato l’Italia di aver compiuto qualcosa di illegale nella vicenda dell’Aquarius. Vorrei sapere qual è la sua opinione», le ha chiesto durante una conferenza stampa a Strasburgo.

Ottenendo in risposta silenzio e uno sguardo di sfida, che l’ex ministro degli Esteri ha pagato con l’uscita dalla stanza di tutti i giornalisti presenti, in segno di protesta. Persino lì, nei palazzi del potere europeo, la Mogherini è un filo di perle appeso al nulla.
Quando fu scelta, Paola Subacchi, direttrice di ricerca alla inglese Chatham House, il pensatoio più importante al mondo in materia di geopolitica, scrisse che la decisione di Renzi aveva smascherato due finzioni: «La prima è che gli Stati membri della Ue abbiano a cuore la politica estera comune; la seconda è che l’Italia abbia un governo forte e credibile».

E ancora: «È a dir poco inquietante che, con l’Ucraina in guerra con la Russia e il Medio Oriente nella spirale del fanatismo, i leader europei non abbiano cercato un candidato con la comprovata capacità di creare una politica estera efficace. La politica estera dell’Ue viene ora guidata da un’apprendista».

Giudizio durissimo, che alla Mogherini calza come un guanto. Pessimo il modo in cui ha gestito il rapporto con gli Stati Uniti. Orfana del democratico John Kerry, segretario di Stato ai tempi di Barack Obama, anziché cercare un modus vivendi con l’amministrazione di Donald Trump ha scelto di essere molle come un budino nei confronti di tutti i dittatori, riservando la propria rigidità per il capo della più grande democrazia del mondo, nonché primo alleato dell’Europa.

Lo ha fatto quando Trump si è messo in testa di ottenere da Teheran un accordo sul nucleare migliore di quello sottoscritto dal suo predecessore. Pur di non indebolire il regime è stata zitta (lei, presunta idealista progressista) dinanzi alla durissima repressione dei dimostranti da parte della milizia Basij, gli sgherri degli ayatollah, usando solo parole di amicizia per il governo iraniano. È volata all’Avana per rassicurare Raúl Castro che la Ue non avrebbe imitato il giro di vite sull’embargo deciso da Trump: «È un blocco obsoleto e illegale, non siete soli». (E anche in quell’occasione, omertoso silenzio sulle violazioni dei diritti umani).

Ha persino fiancheggiato Kim Jong-un contro Trump, dopo che il nordcoreano aveva sperimentato missili e bombe atomiche, violando ogni accordo preso con le Nazioni Unite. Con la Mogherini, le relazioni europee verso Israele hanno toccato il minimo storico. Il premier Benyamin Netanyahu si rifiuta di incontrarla da quando ha contestato la scelta di Trump di riconoscere Gerusalemme capitale, lei si consola con Abu Mazen, leader dell’autorità palestinese.
«Se non ci fosse, gli autocrati del mondo dovrebbero inventarla», ha scritto la rivista Bloomberg. Ma nemmeno il motivo per cui tanti difensori dell’atlantismo la criticavano, la presunta smania di cercare l’«appeasement» con la Russia di Vladimir Putin, ha portato qualcosa di buono: le sanzioni Ue ai danni di Mosca e delle aziende che esportavano al di là del Baltico sono ancora lì.
Alla fine, ovviamente, ciò che paga non è prostrarsi in nome del dialogo, bensì la linea dura di Trump. È con lui che Kim Jong-un ha scelto di sedersi al tavolo, quando ha capito che quello ha i missili più grossi dei suoi e non teme di usarli.

Così oggi c’è un presidente americano che duella e tratta a tutto campo col dittatore di Pyongyang, col presidente russo e col leader cinese Xi Jinping; un Trump che può dire di essere l’unico vero amico occidentale rimasto a Israele.
E c’è un’Unione europea ignorata a est come a ovest, sempre più fantasma del palcoscenico internazionale. In parte, questo è causato delle divisioni tra i singoli Stati, oltreche da un progetto fondato sulla presunzione balzana di costruire un popolo e un’unione politica partendo da una moneta. Ma il resto della colpa ricade sulla Mogherini, che ha confermato le previsioni di chi la dipingeva inadatta al ruolo e priva dileadership, e su chi ce l’ha messa.
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » ven giu 22, 2018 11:26 am

A difesa dei diritti umani e civili dei cittadini italiani ed europei
Contro l'invasione che viola e calpesta i diritti umani e civili e la sovranità dei cittadini italiani ed europei
viewtopic.php?f=194&t=2778


La mia terra non è la tua terra. Chiudere i porti e presidiare ogni metro di costa.
viewtopic.php?f=194&t=2784
La terra è di tutti ma ognuno ha la sua terra e la deve difendere. Chiudere i porti e presidiare ogni metro di costa e di confine.
Prima del proprio diritto a emigrare, esiste il dovere di chiedere agli altri il permesso di essere accolti e il loro diritto di negarlo.


Ebrei, zingari, clandestini: accostamenti immondi e impossibili
viewtopic.php?f=205&t=2780




La realtà negata
Niram Ferretti
2018/06/19

http://caratteriliberi.eu/2018/06/19/cu ... lta-negata


Certo sì, i rom. Certo sì, Salvini che viene ritratto in pose ducesche da Repubblica. Magari sì, il neo ministro dell’Interno poteva aspettare un attimo e trovare un’altra modalità di comunicazione più ponderata ed efficace riguardo alla questione degli zingari, invece di fare sempre appello alla pancia, agli istinti bassi delle tricoteuses, ma continuare ad evocare il fascismo nella forma delle leggi razziali del 1938, sarebbe ora di finirla. Capiamo l’onorevole Emanuele Fiano, appartiene al PD, al partito della teologia dell’immigrazione, ma Salvini non procederà a deportazioni di sinti e non applicherà su i loro vestiti, distintivi gialli.

Sarebbe ora di finirla con questa retorica demonizzante, con l’Uomo Nero, il babau barbuto o non barbuto, con “se non sei di sinistra e uno dei nostri sei un fascista o forse peggio, un nazifascista”. Ma non finirà, ovviamente, perché siamo in Italia, e comunque succede anche altrove, basta vedere gli Stati Uniti, e la mostrificazione di Trump.

Abbiamo qui e là, nelle file degli Alfieri del Progresso, straordinari esempi di umanisti a tutto campo, gente che sa sempre da che parte è la giustizia e il bene, non sbaglia mai, non può, come Roberto Saviano, il Sathya Sai Baba laico che non materializza oggetti, ma pensieri sempre impeccabili e perfetti. Ce ne sono altri, naturalmente, come Michele Serra o Mario Calabresi.

In un articolo di oggi su Il Foglio, Michele Serra ci dice che “La sinistra nasce dentro un linguaggio, quello della complessità, che in questo momento storico è totalmente soccombente. Nessuno ha il tempo di sopportarla, la complessità: se bastano pochi secondi per ottenere una risposta, nel giochino mondiale del web, perché diamine devo rompermi la testa in qualche maledetta analisi o ragionamento?”. Splendido. La sinistra che nasce dentro il “linguaggio della complessità” (e vediamo e vedremo ulteriormente come sa essere complesso questo linguaggio), è già di per sé rivendicazione di superiorità, di primazia intellettuale. Dunque, per contrasto, la destra dove nascerà? Ma chiaro, sotto il portico della semplificazione, degli slogan urlati, della koine pubblicitaria. Noi, siamo qui nella complessità (e basta leggere l’Amaca per rendersene conto) e voi siete là nel mondo fatto a caselle e quadri. Serra, come Saviano sopporta da molto tempo la complessità. È il peso oneroso della complessità che li rende così aggrottati.

Repubblica, bisogna dirlo, gli accorpa bene, è un convivio di intelligenze ontologicamente predisposte alla complessità e, immancabilmente, alla Virtù. Lo vediamo d’altronde con L’Espresso settimanale del gruppo dell’Illuminato De Benedetti, che diede a Salvini dell’antisemita, e pubblica una copertina dallo straordinario e illuminatissimo spessore antropologico. Da una parte c’è un uomo di colore, dall’altra il leader della Lega, con il titolo, UOMINI E NO, dove il sostantivo al plurale è sotto la faccia dell’uomo di colore mentre la parola olofrastica è sotto quella di Salvini. Il riferimento al libro di Vittorini è esplicito, così come il discrimine. Ubermensch e Untermensch in versione aggiornata. Perché lo sappiamo, sono loro i tolleranti, dall’altra parte ci sono solo gli squadristi. Lo stesso Espresso che recentemente ha pubblicato un reportage su Gaza, sulle vittime “innocenti” di Hamas, corredato da uno scritto di Curzio Maltese che, se lo ha letto, deve avere fatto venire un orgasmo multiplo a Maurizio Blondet.

Ma torniamo allo specifico. A sinistra non hanno ancora capito, ma proprio non gli entra nella cabeza, che se al governo oggi ci sono i 5Stelle e la Lega, e c’è il babau fasista è perché hanno fallito, perché non hanno compreso che il loro “illuminismo” fondato sulle magnifiche sorti e progressive della società aperta e multiculturale dove tutti vissero felici e contenti e integrati, ha fatto patatrac. Non funziona. Non funzionerà. È, come tutte le utopie, un sueño, o meglio una costruzione ideologica, una astrazione. La realtà si ribella e ti sbatte in faccia i fatti, se ne fotte delle tue allucinazioni. È sempre stato così. E i fatti continueranno a essergli sbattuti in faccia senza sosta, quelli che, in un esemplare articolo sul Messaggero del 18 giugno, ricorda Luca Ricolfi, sottolineando:

“Ho l’impressione che, a differenza del passato, non vi sia facile trovare una spiegazione che vi rassicuri. Fino a ieri una spiegazione l’avevate: l’Italia cattiva, xenofoba e razzista, era l’Italia della destra, guidata dal cattivo per antonomasia, l’odiato Cavaliere. Ma oggi? Oggi che la destra si è ridotta a rappresentare poco più di un terzo del paese, mentre gli altri due terzi o guardano a sinistra o guardano al Movimento Cinque Stelle? Oggi che un terzo degli elettori di sinistra sta con quello che per voi è il simbolo stesso del male, anzi della non-umanità?”.

Non servirà alla sinistra continuare a spostare tutto sulla meta-narrazione, dei brutti, degli sporchi e dei cattivi, non ha più presa, soprattutto qui, dove quelli che loro considerano tali sono al governo del paese, e ci resteranno sempre di più in virtù di questa fabula. Ma si sa, è più facile costruire caricature e mostri, come hanno fatto i liberals negli Stati Uniti difronte alla vittoria di Donald Trump, piuttosto che confrontarsi con le ragioni strutturali del proprio fallimento.



IL PICCONE DI SALVINI E LA HUBRIS DI SAVIANO
Niram Ferretti
21/06/2018

https://www.facebook.com/ector.davila.3 ... 1048283777

Con l'arroganza del guappo unita alla convinzione di essere intoccabile e ormai simbolo intangibile delle magnifiche sorti e progressive, Roberto Saviano, preda di quello che è ormai un vero e proprio delirio di onnipotenza, chiama Matteo Salvini, "Ministro della mafia", in un video apparso su Facebook e subito rilanciato dal giornale italiano che più lo sostiene, La Repubblica.

In un articolo pubblicato ieri su Il Guardian, ha affermato, testuale, con tono perentorio e ultimativo, che a questo governo "non può essere concesso sopravvivere". Oggi ha reiterato affermando che a Matteo Salvini "Non può essere permesso di armare letteralmente le forze dell'intolleranza".

Saviano parla sempre ex cathedra. Non conosce altre modalità.

Ma lo fa usando i toni perentori e ultimativi tipici dei personaggi della criminalità organizzata di cui tratta nei suoi scritti.

Accusa Matteo Salvini di minacciarlo in stile mafioso, lui che usa toni da coscaro, dopo che il neoministro dell'Interno ha parlato di rivedere i criteri in base ai quali l'autore di Gomorra, gode della scorta. Saviano è da tempo che si è completamente montato la testa. È convinto di essere la Coscienza Civile di questo paese, di supplire alla mancanza di ben altre coscienze, come quella di Leonardo Sciascia, di Pier Paolo Pasolini, di Gaetano Salvemini.

È diventato un merchandising, una filiera ininterrotta di programmi tv, serie televisive, apparizioni, libri. È stato trasformato in una liturgia, in un sacerdozio, in una Chiesa.
Non accetta che gli italiani abbiano votato Lega insieme ai 5stelle, non gli piace.

Chiama in correo tutti, sempre sulla tribuna del Guardian"Quelli che restano in silenzio ora saranno colpevoli per sempre".

Nemmeno Isaia, nemmeno Mosè o Gesù.

Tutto ciò è intollerabile, ma su una cosa Saviano ha ragione, non si può restare in silenzio davanti a tanta protervia, a un tale straripante narcisismo, a simili toni intimidatori e antidemocratici.

È questo bullo sarebbe l'anima alta dell'illuminismo di sinistra? Il movimento che dà del fascista a chiunque non appartenga alla propria consorteria, che spinge nelle tenebre e nel trogloditismo chi osa obbiettare sull'immigrazione clandestina, sulla bontà ontologica del migrante?

Bene ha fatto il segretario della Lega e Ministro dell'Interno ha iniziare politicamente a picconarne il piedistallo dove Saviano è stato posto dalla sinistra salonniere che ne ha fatto uno dei suoi intoccabili santini.

Bene ha fatto, e bene farà a continuare a farlo, senza lasciarsi intimidire.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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