Comounisti, nasicomounisti e de torno

Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » mer lug 26, 2017 8:05 pm

È definitivo: Carlo Giuliani non è un eroe. Il ricorso della famiglia rigettato a Strasburgo
20 aprile 2011

http://www.qelsi.it/2011/e-definitivo-c ... strasburgo

Non ci sono state lacune nelle indagini che portarono ad accertare le eventuali responsabilità del Governo e delle forze dell’ordine nell’uccisione di Carlo Giuliani, il ragazzo che con altri attaccò – durante i disordini di Genova – una camionetta dei Carabinieri , e che rimase ucciso a causa di un colpo di pistola sparato da Mario Placanica, uno dei carabinieri all’interno della camionetta.

Ricordiamo per chi se lo fosse dimenticato che secondo i giudici europei, l’Italia non ha avuto alcuna responsabilità nella morte di Giuliani, dando torto ai ricorrenti su tutti i punti del ricorso, e anche su quello relativo alla conduzione dell’inchiesta, che secondo la famiglia del ragazzo, fu lacunosa e imprecisa.

Ora, sicuramente non si doveva certo arrivare a Strasburgo per intuire la verità sulla vicenda; vicenda sulla quale la sinistra in primis ci ha marciato politicamente, sfruttando la morte di Giuliani per attaccare una parte politica – il centrodestra – che all’epoca dei fatti era al Governo del paese e che gestì i disordini come meglio poté.
Una strumentalizzazione che ancora oggi continua, e ancora oggi c’è chi definisce Giuliani un eroe. Ma un ragazzo che a volto coperto lancia un estintore verso una camionetta dei carabinieri non può e non deve essere definito un eroe. Gli eroi sono altra cosa.

E la Corte di Strasburgo ha detto questo: la vittima è stata il giovane carabiniere che aveva diritto a difendersi e non il ragazzo col passamontagna come alcuni vogliono farci credere.

Dopo che anche la vergognosa targa in memoria di Giuliani in Parlamento è stata rimossa, guardiamo avanti e cerchiamo altri modelli per i nostri giovani, modelli veri…non vandali.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » mer lug 26, 2017 9:00 pm

???

La favola del cristianesimo “sociale” e la realtà dei privilegi del clero – La Voce delle Lotte
2017/07/26
Di Salvatore Cappuccio

https://www.lavocedellelotte.it/it/2017 ... V.facebook

La sinistra borghese ed una parte della cosiddetta “sinistra antagonista” dei centri sociali, hanno da tempo intrapreso un percorso che li ha portati ad avere come riferimento politico e morale la figura del Papa, considerato a loro dire un simbolo dell’amore verso i poveri del mondo, verso i migranti, un baluardo contro la corruzione e la guerra nel mondo.

Tra questi moderni seguaci della filosofia del nuovo cristianesimo sociale – impersonificato nelle figura dell’attuale Papa – e di quelli che hanno voluto vedere nel cristianesimo un punto di incontro con i principi di un socialismo cristianeggiante e, così pure di tutti quelli che hanno ravvisato nella figura di Cristo il primo “socialista” della storia, emblematica è la storia politica degli ultimi anni del centro sociale “Leoncavallo” che nell’ottobre del 2014, insieme ad altre organizzazioni politiche, furono ricevute in Vaticano ottenendo la benedizione di Francesco. Ma, ad onor del vero, va chiarito che il centro sociale “Leoncavallo” non è stato il primo e, ne tantomeno sarà l’ultimo, dei seguaci di quella filosofia apertamente reazionaria, ben descritta da Marx nell’ultima parte del Manifesto del Partito Comunista, prima ancora ritroviamo tra questi nuovi “chierici” anche Fausto Bertinotti che fu uno dei più discussi segretari di Rifondazione Comunista, approdato poi definitivamente a Comunione e Liberazione.

E purtroppo si assiste, negli ultimi anni anche da parte di chi apertamente si dichiara comunista, alla ricerca di un appoggio morale da parte del Vaticano e del Papa, nelle questioni politico/sindacali e nelle controversie che riguardano il mondo del lavoro, in particolare nei casi di licenziamento e di discriminazione sul lavoro.

Una sottomissione ai vertici della Chiesa che dà il senso delle condizioni in cui è ridotta la cosiddetta sinistra antagonista, non solo in Italia ma nel mondo.

È bene qui ricordare – in particolare per coloro che hanno perso la memoria storica – che tutti i Papi ed i vari organi religiosi che si sono succeduti nei millenni ai vertici del Vaticano, sono stati e sono a tutt’ora i rappresentanti di quella religione che è un bastione contro la scienza e contro ogni forma di progresso sociale. La religione è il fortilizio feudale che si oppone da sempre all’emancipazione della donna, che ha protetto e protegge preti pedofili, che vive di privilegi e che per decenni attraverso lo IOR è stato un paradiso fiscale per speculatori ed affaristi di vario genere.

La Chiesa da sempre ha avversato il diritto all’aborto ed all’autodeterminazione della donna, ha considerato questa il simbolo del peccato, ha per secoli perseguito, condannato e messo al rogo centinaia di donne, ne ha osteggiato ed impedito l’emancipazione e ne ha ostacolato l’entrata nel mondo del lavoro. Si è opposta ai matrimoni che non fossero quelli tradizionali, ha perseguito gay, lesbiche, transessuali, ma ha difeso i suoi Cardinali che avevano abusato di bambini, coprendone i crimini.

Tra i privilegi della Chiesa, amorevolmente concessi dallo Stato, in cambio di quell’indottrinamento ideologico che mantiene i proletari in una condizione di sottomissione, annoveriamo non solo l’8 per 1000 che lo Stato italiano raccoglie per conto del Vaticano, utilizzato in gran parte per la ristrutturazione delle chiese e per il sostentamento del clero e solo in piccolissima parte per le cosiddette “opere di bene”, ma anche tutta una serie di favori economici che vanno dall’esonero del pagamento delle tasse sugli immobili – non solo quelli che sono adibiti a culto ma anche di quelli adibiti ad uso commerciale – al pagamento della fornitura di acqua, luce, gas, spazzatura ecc. per un importo che supera abbondantemente i 6 miliardi di euro. Questi importi sono pagati di conseguenza dalla collettività ed in grandissima parte quindi dai proletari che non hanno possibilità di evadere il fisco come invece fanno normalmente i grandi capitalisti.

Riportiamo qui di seguito una tabella delle agevolazioni ed i privilegi che da anni sono concessi alla Chiesa:
...

Già da solo questo basterebbe per rendersi conto di come le presunte dicerie di una Chiesa al servizio dei poveri e per i poveri, od anche del nuovo corso di Papa Francesco siano un falso eclatante. Non c’è nessuna Chiesa che sia mai stata al servizio dei poveri.

L’invito che il Papa, a suo tempo confezionò per la stampa, che ogni parrocchia diventasse luogo di accoglienza dei migranti è praticamente caduto nel vuoto, anzi molte famiglie che si sono rivolte ai parroci delle varie diocesi per una accoglienza si sono ritrovate di fronte ad un categorico rifiuto.

Ma non dobbiamo e non possiamo tra l’altro dimenticare le innumerevoli azioni di sfratto che il Vaticano ha compiuto nei confronti di inquilini indigenti impossibilitati a pagare qualche canone arretrato. Le lotte che hanno visto i poveri doversi difendere dall’arroganza della Chiesa, la quale ha utilizzato spesso anche le sue amicizie con Magistrati e politicanti per cancellare il diritto alla casa per le famiglie di proletari.

Come si potrebbe dimenticare le intromissioni del Vaticano nei programmi scolastici che hanno tentato di disconoscere le teorie evoluzionistiche, ma anche i sui capitali investiti nei peggiori traffici economici, gli scandali finanziari dell’allora Cardinale Marcinkus, dei rapporti con il finanziere Calvi e del Banco Ambrosiano ed anche quelli con la banda della Magliana e con il criminale Enrico De Pedis detto “Renatino” tumulato nella basilica di Sant’Apollinare in Roma e poi successivamente rimosso.

E che dire inoltre dell’appoggio del Vaticano e di Wojtyla al criminale Pinochet oppure agli Utascia croati ed ai regimi fascisti in Europa.

Tutto questo sembra essere passato invano e sembra essere stata sufficiente qualche dichiarazione di amore verso i poveri per far commuovere gran parte della sinistra italiana che non fa mistero di simpatie verso il Papa, una sinistra ormai genuflessa e prona verso una istituzione reazionaria e che è nemica dei lavoratori anche quando all’apparenza sembra sostenerne le lotte e commiserare i poveri per le loro disgrazie.

La religione invita i proletari a porgere l’altra guancia di fronte alle ingiustizie ed a pregare ed a sperare nel premio divino dopo la morte. Il proletariato in questo modo perde la propria dignità, si impoverisce e si degrada sempre più e la Chiesa così realizza il suo compito, cioè quello di tenere il proletariato in una condizione di sottomissione e di asservimento alle regole della Borghesia, ricevendone in cambio vantaggi e privilegi.

Il compito della classe dei proletari non è quello di inginocchiarsi al clero sperando in una improbabile grazia “divina”, ma quello di cancellarlo dalla Storia espropriando non solo i suoi beni ma anche quelli di tutta la Borghesia, mettendoli a disposizione della classe degli sfruttati, cancellando così ogni sottomissione sia economica che “spirituale”.
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » gio lug 27, 2017 8:56 am

Tensione alle stelle in Venezuela per l'elezione dell'Assemblea costituente, le opposizioni scioperano contro Maduro
Assunta De Rosa
26 luglio 2017

https://www.lospecialegiornale.it/tensi ... tro-maduro

Il Venezuela sta vivendo ore decisive per il futuro per il Paese e le opposizioni sono pronte a contrastare in ogni modo la dittatura del presidente Nicolas Maduro. Il 30 luglio è stata indetta dal Governo l’elezione di un’Assemblea costituente che prevede di apportare delle modifiche alla Costituzione venezuelana. Le opposizioni invitano a gran voce il popolo a boicottare il voto previsto per domenica prossima. Da mercoledì a venerdì si terranno scioperi e manifestazioni contro il governo di Maduro.
La tensione è alle stelle in Venezuela e le prossime ore saranno determinanti per stabilire il futuro del Paese. Nelle giornate di mercoledì 26 e di giovedì 27 luglio è previsto uno sciopero generale della durata di 48 ore indetto dall’opposizione al Governo di Maduro. Per venerdì 28 luglio, due giorni prima del voto per l’Assemblea costituente, è stata annunciata invece una marcia a Caracas. L’obiettivo è quello di convincere gli elettori a boicottare il voto di domenica e dunque l’intenzione di Maduro di mettere mano alla Costituzione del Venezuela dando più poteri alla presidenza. Il Presidente, con il benestare del Partito Socialista Unito del Venezuela di cui fa parte, vuole che la nuova Assemblea costituente abbia la facoltà di modificare la Costituzione del Paese così da poter effettuare anche lo scioglimento di alcune istituzioni. Questo comporterebbe di fatto una situazione dittatoriale alla quale si oppongono non solo i venezuelani, ma tra gli altri anche gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Colombia. Questi Paesi hanno chiesto al governo del Venezuela di cancellare il voto indetto per il prossimo 30 luglio, ma l’appello è stato respinto dal presidente Maduro.

La situazione è andata peggiorando sempre di più negli ultimi quattro mesi, periodo in cui le proteste contro Nicolas Maduro si sono intensificate. Ad oggi le vittime degli scontri con gli agenti di polizia in tutto il Venezuela sono circa 100, i feriti 1500 mentre a finire in manette sono state più di 500 persone. Nei giorni scorsi hanno avuto luogo ulteriori proteste finite nel sangue. Giovedì 20 luglio 2017, nel corso dello sciopero generale organizzato dalle opposizioni, sono avvenuti duri scontri tra la polizia e i manifestanti con un bilancio di circa 300 feriti e almeno tre morti, anche se ufficialmente ne sono stati accertati solo due dalle autorità senza che venissero specificate le cause dei decessi. La protesta è stata portata avanti principalmente presso la capitale Caracas, ma ha coinvolto anche altre città. Sono discordanti le opinioni sulla partecipazione della popolazione allo sciopero generale di qualche giorno fa. L’opposizione afferma una massiccia adesione vicina addirittura all’85%, mentre Maduro ha sostenuto che lo sciopero non sia stato altro che un fallimento. Il Presidente ha promesso l’arresto dei leader dello sciopero definendoli “fascio terroristi”. La protesta del 20 luglio è arrivata a seguito del referendum simbolico organizzato per contrastare le elezioni dell’Assemblea costituente, con il voto contrario del 98% dei partecipanti. Lo scopo era quello di consentire ai cittadini venezuelani di poter partecipare ad elezioni democratiche.

E’ da tempo che i venezuelani lamentano l’assenza di democrazia provocata dal Governo, e Maduro è sotto accusa per non aver risolto i problemi economici che affliggono il Venezuela. I cittadini lamentano la difficoltà di reperire generi di prima necessità. Questo ha portato a mobilitazioni anche attraverso i social network, con la condivisione di video e foto che mostrano le cruente immagini delle proteste in atto e che spiegano le motivazioni dell’opposizione. La polizia, dalla parte del governo di Maduro, reagisce duramente alle proteste reprimendole nel sangue. Qualche giorno fa è stato colpito al volto da una pallottola di gomma il violinista Wuilly Arteaga, simbolo delle proteste contro il governo già vittima della Guardia Nazionale Bolivariana poco tempo prima, quando il suo strumento musicale era stato distrutto. Il musicista è noto per aver mostrato il suo dissenso suonando il violino nel corso di scioperi e proteste. Nonostante le ferite ricevute Arteaga non si arrende e dall’ospedale ha già fatto sapere che continuerà a suonare in nome della democrazia, abbracciando il pensiero di tutti quei cittadini che non si arrendono ai metodi dittatoriali del Governo Maduro.


https://it.wikipedia.org/wiki/Venezuela
Sotto il governo di Maduro sono emersi gravi problemi economici, derivanti dalle politiche economiche di Chavez continuate da Maduro, che hanno portato a razionamenti e scarsità anche di generi di prima necessità. La situazione economica, unita ad accuse di corruzione e cattiva gestione del governo del paese, ha portato a forti proteste popolari nella seconda metà del 2013. Le proteste, che hanno causato diverse vittime, proseguono tuttora. Il 29 marzo 2017 Il Tribunale Supremo di Giustizia condanna il Parlamento per aver voluto convalidare l'elezione di alcuni deputati accusati di brogli elettorali e avoca a sè il potere legislativo, fatto interpretato dai media occidentali come una vera e propria deriva autoritaria del Paese, ispirata da Maduro. Si rivela fondamentale il sostegno nei confronti del regime di Maikel José Moreno Pérez, neoeletto presidente del Tribunale Supremo di Giustizia con alle spalle precedenti penali.. In seguito Maduro invita il tribunale a rivedere il suo verdetto.

https://it.wikipedia.org/wiki/Hugo_Ch%C3%A1vez
Chávez promosse la sua visione di socialismo democratico, integrazione dell'America Latina e anti-imperialismo. Fu inoltre un acceso critico della globalizzazione neoliberista e della politica estera statunitense. La sua particolare filosofia politica è stata denominata chavismo, e fondeva socialismo, marxismo, terzomondismo e nazionalismo di sinistra, che insieme al bolivarismo e al cosiddetto socialismo del XXI secolo hanno costituito l'asse portante dell'ideologia di Chávez e del suo partito.


Nicolás Maduro Moros (Caracas, 23 novembre 1962) è un politico e sindacalista venezuelano.
https://it.wikipedia.org/wiki/Nicol%C3%A1s_Maduro
È Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela dal 14 aprile 2013, dopo aver ricoperto il medesimo incarico dal 5 marzo 2013 al 14 aprile 2013 ad interim. È stato Ministro degli esteri dal 2006 al gennaio 2013 e vicepresidente del Venezuela dall'ottobre 2012 al 5 marzo 2013.
Nicolás Maduro nasce nel 1962 a Caracas, da madre colombiana e padre venezuelano di origini ebraiche sefardite. Ex militante della Lega Socialista, lavora come autista per la Metropolitana di Caracas, dove fa carriera sindacale e come sindacalista è membro del consiglio di amministrazione dell'azienda pubblica di trasporti di Caracas. Tra i fondatori del Sitrameca (Sindacato Metro de Caracas), si avvicina negli anni novanta alla figura carismatica di Hugo Chávez, in procinto di candidarsi alla guida del Venezuela. Maduro è di religione cattolica. Nel 2012 è stata riportata la notizia che sarebbe anche un seguace del guru indiano Sathya Sai Baba.


"Comunismo in costituzione". Maduro annienta il Venezuela
Paolo Manzo - Mer, 03/05/2017

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 92288.html

Il Venezuela ha imboccato una via senza ritorno. Il delfino di Chávez, Nicolás Maduro ha convocato per decreto un'Assemblea Costituente del popolo.

«Non una Costituente dei partiti - ha urlato dal palco del 1° maggio - ma femminista, giovanile, studentesca, indigena ma anzitutto operaia e che appartenga alle Comuni». Spiazzati gran parte dei media stranieri che, francesi a parte, ancora ieri si chiedevano cosa fossero le fantomatiche Comuni maduriste. Per l'opposizione il messaggio è stato chiarissimo, nonostante Maduro si sia ostinato a ripetere che suo unico obiettivo è «regalare la pace al Paese». Per Julio Borges, presidente del Parlamento, si tratta di «una costituente truffa inventata solo per sfuggire all'inesorabile verdetto delle elezioni» mentre Henrique Capriles, l'ultimo leader oppositore significativo ancora a piede libero, ha detto che preferisce «il carcere che accettare il comunismo per costituzione».

Secondo quanto rivelato da Maduro la Costituente sarà composta da 500 personalità, non elette però col voto popolare - in tal caso i chavisti non otterrebbero neanche un delegato - bensì da sedicenti «consigli comunali del popolo». Obiettivo del regime è fare una nuova costituzione «alla cubana» per chiudere l'Assemblea Nazionale così si chiama l'attuale Parlamento conquistato dall'opposizione nell'ultimo voto del 2015 - sostituendola con un'Assemblea «comunale» addomesticata.

Sia chiaro, tecnicamente Maduro può indire una Costituente appellandosi all'articolo 347 dell'attuale Magna Carta, ciò che non può fare è sottrarsi al suffragio universale ma la volontà espressa il 1° maggio - attribuendo «tutto il potere» di riforma alle Comuni - sembra essere quella dello scontro finale. Quando avverrà, il presidente più odiato della storia venezuelana sarà riuscito a inserire il comunismo in Costituzione, obiettivo fallito persino da Hugo Chávez, il cui «Plan de la Patria» fu sconfitto nel 2007 in un referendum che fu il primo indizio del chavismo in calo.

L'annuncio di Maduro è arrivato dopo un mese di tensione alle stelle in tutto il Venezuela, con manifestazioni dell'opposizione ogni giorno e finite in bagni di sangue. A oggi il bilancio è tragico: oltre 30 i morti, più di 600 i feriti e almeno 1.500 arresti immotivati, tra cui molti giornalisti. Nonostante la repressione, in seguito all'annuncio di Maduro la parola d'ordine per gli oppositori è bloccare il Paese sino a quando non verranno indette elezioni presidenziali, altro che Costituente delle Comuni.

Intanto gli stati latinoamericani seguono con timore gli eventi. Argentina, Cile, Colombia, Costa Rica, Perù, Paraguay, Uruguay e Brasile hanno già stilato un documento in cui pongono condizioni chiare in vista di un dialogo politico con Caracas, sottoscrivendo un appello nel quale si associano al Papa sulla necessità di ricercare presto «soluzioni negoziate» per evitare che la crisi degeneri ulteriormente. «Siamo d'accordo col Santo Padre, occorre fare di tutto per il Venezuela - hanno dichiarato - ma con le necessarie garanzie». Basterà a frenare Maduro?


Venesueła
viewtopic.php?f=144&t=598
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » mar ago 15, 2017 6:29 pm

CONTRO QUELLI CHE "VOI SIETE FASCISTI" MA SU VENEZUELA E ISRAELE BALBETTANO

di Claudio Cerasa, Il Foglio

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Da qualche tempo a questa parte il dibattito pubblico italiano, e in particolare il dibattito relativo alla questione della giusta politica da adottare per gestire nel modo più opportuno possibile il capitolo immigrazione, è caratterizzato da un salto logico e lessicale molto importante, che punta a trasformare in “negazionisti” tutti coloro che non accettano un parallelismo che per una parte del paese oggi sembra essere diventato innegabile: i migranti che oggi tentano di sopravvivere spostandosi dall’Africa all’Europa sono paragonabili agli ebrei che negli anni Quaranta tentarono di sopravvivere ai campi di concentramento di Auschwitz. In virtù di questo impegnativo salto logico, chiunque osi negare l’assunto appena descritto diventa, a seconda del livello di retorica scelto, o un collaborazionista dei nuovi nazismi o un complice dello sterminio di massa. E grazie a questa raffinata operazione lessicale e culturale, dire che governare l’immigrazione corrisponda grosso modo a essere complici di un nuovo Olocausto è dire qualcosa che una buona parte dell’opinione pubblica italiana considera perfettamente di buon senso.

Uno dei primi a descrivere come “un nuovo Olocausto” il passaggio dei migranti dall’Africa all’Europa è stato il regista italiano Gianfranco Rosi, autore di un commovente film sul tema, “Fuocoammare”. Gli ultimi, tra gli altri, a imporre nella discussione pubblica la categoria del nuovo Olocausto, relativamente al dossier legato alla gestione dei migranti, sono stati una serie di intellettuali italiani che la scorsa settimana, come ha ricordato sabato sul Foglio Giulio Meotti, hanno firmato un appello, molto duro, per difendere il diritto delle organizzazioni non governative (in primis Medici senza frontiere) a dire di no alle norme previste dal codice di regolamentazione voluto dal governo Gentiloni e dal ministro Minniti. Le motivazioni sono le seguenti e vale la pena leggerle bene per capire cosa c’è in ballo. L’incipit è di per sé molto evocativo: “E’ in corso un nuovo sterminio di massa”. Poi: “Il nostro governo non è indifferente a questa carneficina ma complice: invia navi militari per impedire ai migranti di lasciare le coste dell’Africa; si accorda con i dittatori dei paesi che perseguitano i profughi per bloccare ai confini chi tenta la fuga; perseguita le ong che – senza alcun fine di lucro – salvano i migranti in mare; impone loro condizioni che rendono impossibile o vano l’intervento, come il divieto di trasbordare i profughi su imbarcazioni più grandi o l’obbligo della presenza sulle navi di ufficiali militari armati, inaccettabile per le associazioni umanitarie che operano in terre di conflitto solo grazie alla loro neutralità”. Infine il colpo di biliardo: il paragone esplicito tra i professori universitari che l’8 ottobre del 1931 non firmarono il giuramento di fedeltà al fascismo e gli intellettuali che oggi chiedono di non rispettare il codice di auto regolamentazione del governo italiano, evidentemente considerato non meno fascista del giuramento di fedeltà firmato Benito Mussolini.

Il manifesto dei dodici professori ribelli venne rinominato “Io preferirei di no”. Il manifesto degli intellettuali ribelli è stato chiamato allo stesso modo: “Io preferirei di no”. Si dirà: e dov’è il problema? E’ solo un artificio retorico, no? Che cosa c’è da lamentarsi? Il problema purtroppo c’è e il dramma del problema è che in molti fingono di non vederlo.

La prima questione è semplice. Sostenere che chi cerca di governare i confini dell’Europa stia in realtà giocando a fare il nuovo Hitler non è solo un modo per delegittimare chiunque si occupi di ragionare sul fenomeno dell’immigrazione ma è un modo per affermare una verità che merita di essere esplicitata per quello che è: di fronte a un’ondata migratoria come quella che a poco a poco sta prendendo forma sulle coste africane, l’occidente non può fare altro che accogliere i fratelli che arrivano dall’Africa, senza mettersi a discutere troppo di dettagli inutili come, per esempio, la clandestinità, l’irregolarità, la differenza tra migrante in cerca di asilo politico o migrante in cerca di una migliore condizione economica.

Ragionamento semplice ed elementare: chi non apre le sue porte a chi chiede aiuto non è una persona che vuole governare i confini di un paese ma è in definitiva un fascista, o forse addirittura un nazista. Questo ragionamento è però viziato da una verità che viene detta in modo implicito e che forse meriterebbe di essere esplicitata in modo più sincero. Il fronte che sostiene la presenza di un nuovo Olocausto non vuole che nelle acque che separano la Libia dall’Italia ci siano delle regole ben definite perché semplicemente crede che le migrazioni siano un fenomeno naturale e crede che una persona che vuole spostarsi da un continente all’altro non debba essere ostacolata ma debba essere semplicemente aiutata a farlo. Per questo prova ad alzare l’asticella del dibattito su un piano sul quale è impossibile discutere. Per questo prova a silenziare con il bollino dell’infamia chiunque sostenga che sia giusto che un paese accolga i migranti non seguendo le leggi del cuore ma seguendo la leggi della natura. Per questo prova una certa indignazione nel leggere dati come quelli che sono arrivati ieri, che segnalano come a luglio il numero dei migranti sbarcati in Italia attraverso il Mediterraneo centrale (10.160) sia calato del 57 per cento rispetto a giugno, ovvero il livello più basso per il mese di luglio dal 2014 a oggi. Governare l’immigrazione, secondo questa logica, non significa gestire i confini ma significa essere portatori di valori diversi, come ha onestamente riconosciuto sabato scorso sul Corriere della Sera il portavoce italiano di Medici senza frontiere, ammettendo forse in modo involontario che il problema vero del Mediterraneo non è soltanto salvare le vite in mare ma è incentivare quanto più possibile i migranti a cercare in qualsiasi modo la via di fuga dalle terre da cui vogliono scappare: “Gli stati europei e le autorità libiche stanno attuando congiuntamente un blocco alla possibilità delle persone di cercar sicurezza”.

La questione di fronte alla quale si trova ancora una volta l’opinione pubblica italiana è dunque quella di scegliere non se essere nazisti o non essere nazisti – se il fronte del nuovo Olocausto mostrasse la stessa sensibilità messa in campo contro i Fake Olocausto anche in riferimento ai veri nuovi nazismi, a tutti coloro che per esempio ogni giorno minacciano l’esistenza di Israele, avremmo certamente una classe dirigente migliore – e neppure se salvare o no le vite in mare. Si tratta di una questione più delicata e più sofisticata, sulla quale ci permettiamo di insistere e sulla quale sarebbe bello che anche il portavoce dell’Italia alternativa all’Italia che sta prendendo forma attorno al ministro Minniti (l’Italia dei Saviano) dicesse davvero cosa pensa rispetto a una domanda semplice: un buon governo deve incentivare o disincentivare l’immigrazione di massa? E infine, se un governo che disincentiva gli arrivi fa crollare le morti in mare, è un governo che ha agito bene o è un governo che ha agito male? Accanto a questo problema, infine, c’è un tema ulteriore che riguarda la difficoltà con cui la nostra opinione pubblica denuncia alcune truffe lessicali come quelle messe in campo dal fronte del “Nuovo Olocausto”.

È un problema che abbiamo visto e osservato anche durante i mesi che hanno preceduto il voto sulla riforma costituzionale: l’abuso dell’allarme sul rischio di una deriva autoritaria. E non è un caso che molti dei firmatari che oggi paragonano al fascismo le formule del codice Minniti siano gli stessi ma proprio gli stessi che si erano ritrovati insieme un anno fa per segnare il fascismo contenuto tra le righe della riforma Renzi-Boschi. Si potrebbe segnalare il paradosso che coloro che più o meno una volta al mese provano a delegittimare gli avversari con il bollino dell’infamia del fascismo sono gli stessi che spesso balbettano quando parlano di Venezuela, sono gli stessi che spesso balbettano quando parlano di Israele, sono gli stessi che spesso balbettano quando un qualche regime minaccia di cancellare Israele dalla mappa geografica, sono gli stessi che spesso balbettano quando un qualche politico dice esplicitamente di voler cancellare la democrazia rappresentativa per sostituirla con una democrazia diretta da un clown eterodiretto da un’azienda privata.

Si potrebbe ricamare a lungo su tutto questo ma l’abuso della terminologia anti fascista è parte di un problema molto più grande ben affrontato in un bel libro firmato qualche mese fa da Mark Thompson, ceo del New York Times. Il libro si chiama “La fine del dibattito pubblico” e in un passaggio del saggio Thompson ricorda un episodio che se rievocato in questi giorni non può che far riflettere. “Nel libro terzo della sua Guerra del Peloponneso – ricorda Thompson – Tucidide sostiene che un fattore importante del declino di Atene da democrazia disfunzionale fino a tirannide e anarchia passando attraverso la demagogia è stato una mutazione nel linguaggio: la gente iniziava a definire le cose come le pareva, secondo l’autore, e andava perso ‘il significato normale e accettato delle parole’”. Il ragionamento di Thompson è chiaro. Una classe dirigente che non si ribella alle parole usate in un modo assurdo è una classe dirigente pronta a farsi imbrogliare. Più che una deriva autoritaria, forse, l’unica deriva che andrebbe denunciata con forza è un’altra forma di dittatura: non quella dell’uomo solo al comando del paese ma quella del cialtronismo al comando della nostra opinione pubblica.


Dragor Alph
Negli anni 90 ho aiutato a emigrare molti membri della mia famiglia rwandese, soprattutto in Danimarca, Svezia, Paesi Bassi, Svizzera e Canada. Abbiamo dovuto presentare tonnellate di documenti, prese a carico, qualifiche, visite mediche, coperture finanziarie e per alcuni l'immigrazione è stata rifiutata. Gli altri sono diventati ottimi cittadini, hanno eccellenti posti di lavoro, splendide case, si sono sposati e crescono i figli nell'amore e nel rispetto per la loro nuova patria. Mentre i clandestini, che per la maggior parte arrivano pieni di odio e di pregiudizi , hanno subito diritto a tutto, senza nessuna pratica legale. In Danimarca e' difficilissimo trovare casa per gli indigeni ma ho visto irakeni alloggiati in sontuose dimore di Gentofte, quartiere borghese di Copenaghen. Gli stessi che poi sfilano brandendo cartelli con scritto "no democracy, we want only islam".
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » sab ago 26, 2017 7:13 am

??? Parassiti delle utupoie demenziali che tanto male hanno fatto e fanno ???


Bertinotti: «Parlo da comunista ma a Rimini si dialoga come un tempo si faceva alle Feste dell’Unità»
Cesare Zapperi
19 agosto 2017

http://www.corriere.it/politica/17_agos ... 7363.shtml

«Io e Carrón siamo molto diversi ma come lui penso che siano morti i valori del 900». «La sinistra? In Italia ha smarrito il suo popolo Gentiloni è persona perbene ma interpreta il ruolo dato dalle oligarchie economiche»
Fausto Bertinotti

Fausto Bertinotti, poco più di un anno fa lei scatenò un vespaio dichiarando di guardare con molto interesse a Cl. Per chi ha una storia di sinistra è un’affermazione apparentemente sorprendente. È ancora di quest’idea?
«Intanto, lasciamo perdere la sinistra che o è evaporata o è poco significativa — spiega l’ex presidente della Camera che venerdì sarà ospite del Meeting —. Parlo da comunista e come tale, pur partendo da un punto di vista culturale e politico molto diverso, condivido l’analisi di Julián Carrón quando sostiene che sono venuti meno i valori (la giustizia sociale, l’eguaglianza) che hanno caratterizzato il Novecento. Ciò ha determinato la distruzione dell’umano».

Cl che risposta offre?
«Il comune denominatore tra chi muove dall’esperienza cristiana e chi affonda le sue radici nella storia del movimento operaio è il dialogo. Oggi il grande tema è proprio il confronto tra coloro che hanno fedi anche molto diverse».

A dispetto da chi la dipinge come un convertito, lei rivendica quindi la sua storia di comunista?
«Certo, la diversità è il sale e il nutrimento del dialogo che deve spingerci a trovare le risposte nel percorso di rinascita dell’uomo. Nessuno nega che tra noi ci siamo marcate differenze nell’analisi delle cause della crisi odierna. Ma proprio questo rende più vivo il confronto».

Il Meeting è solo un grande evento mediatico o è davvero il luogo in cui avviare il dialogo?
«È sicuramente un grande fenomeno di popolo. Vi rintraccio qualcosa che ho conosciuto nelle feste dell’Unità di un tempo. Come allora, non conta tanto quello che si dice nei dibattiti, ma il trovarsi insieme come momento costituente di un popolo».

Consiglia di andare al Meeting?
«Sì, e non solo per i dibattiti, di per sé molto interessanti, ma per quello spirito di condivisione che non si ritrova più da nessun altra parte».

Nemmeno a sinistra?
«La sinistra politica ha smarrito il suo popolo. Soprattutto in Italia. Non a caso qualche giorno fa Le Monde ha dedicato il titolo di prima pagina e due pagine interne alla crescita della sinistra radicale parlando di mezza Europa ma trascurando completamente il nostro Paese».

La «nuova» Cl sembra aver staccato il cordone ombelicale con la politica.
«E ha fatto benissimo. Per loro è stato salvifico. Cl è passata dentro il tormento del rapporto con il potere e ne sta traendo un insegnamento: meglio starne alla larga. Specie quando, come oggi, il potere istituzionale è corruttore».

Il Meeting si apre con l’intervento di Gentiloni. Come giudica la sua esperienza di governo?
«Gli abiti dei governi di oggi sono delle camicie di forza che ne determinano i comportamenti. Gentiloni è una persona perbene ma il ruolo che è costretto a interpretare è quello che gli assegnano le leggi dell’oligarchia economica. Come si dice, i mercati sono sovrani».

Uno scenario drammatico.
«Abbiamo di fronte a noi un’impresa terribile: ricostruire la democrazia. Il dialogo tra diversi può essere la base di partenza».



"La sinistra si è disfatta della storia, CL no". Bertinotti infiamma la platea del Meeting di Rimini
Per l'ex Rifondazione Comunista gli applausi più convinti. Citazioni di Bergoglio, Carron, Dossetti e l'esaltazione della "formazione del popolo" ciellino
25/08/2017
Gabriella Cerami

http://www.huffingtonpost.it/2017/08/25 ... a_23185793

La prima volta era stato osservato con un po' di diffidenza, ma a distanza di due anni Fausto Bertinotti, ex leader di Rifondazione comunista, torna davanti al popolo di Comunione e liberazione e per lui fioccano applausi convinti. Ad ascoltarlo, durante il convegno "Futuro della tradizione" ci sono almeno 1500 persone e Bertinotti si lascia coinvolgere e coinvolge il pubblico criticando la sinistra e ciò che è diventata: "Sarà significativo che la mostra sul 1917 la faccia il Meeting di Cl e non una forza politica di sinistra... Questo perché nella storia di Comunione e Liberazione la tradizione è viva, mentre certa sinistra se ne è disfatta diventando colpevole di una damnatio memoriae". Applauso facile. Colui che un tempo dai ciellini era guardato come il nemico, oggi considera un valore il suo rapporto personale con il 'capo' del movimento di don Giussani, monsignor Julian Carron e non si tira indietro dicendo che "dobbiamo porci il tema della fede".

Bertinotti cita anche Papa Francesco, lo stesso don Carron, ma anche Giuseppe Dossetti ed il subcomandante Marcos, senza però dimenticare di essere uno "che ha ancora in tarda età l'ambizione di dirsi comunista". Sostiene che la cosa che di più gli interessa di Cl "è la formazione di un popolo. A me ricorda la storia migliore, quella delle feste dell'Unità, dell'organizzazione comunitaria e degli scioperi". Il riferimento è ai tempi passati, perché parlando del presente osserva che dentro la sinistra italiana, quella rappresentata nelle istituzioni, ci sono "nomi che non dicono più nulla di emozionante". È avvenuta una "mutazione genetica" e ora apparse come una "nebulosa" che "non riesce più a rinnovarsi".

L'ex leader di Rifondazione comunista si dice esterno alla "dialettica politica del Paese" ("se ne parliamo ancora posso uscire..."); ma attacca ancora una la politica di oggi "che non indica una meta, che risente della progressiva 'cosificazione' dell'umanità" ed è caratterizzata da "un pensiero debole che produce persone deboli e popoli disarmati". Un messaggio che piace ai ciellini, che lo ascoltano e con il comunista interloquiscono in una critica del presente e nella condivisione che "la fede è il problema di sapere dove andare". Quindi, "dobbiamo porci il tema della fede, del senso della vita umana rispetto a una meta. Per chi ha l'ambizione, a questa tarda età, di dirsi ancora comunista, l'imprevisto è tutto ciò che ci può salvare". E il popolo di Cl fa un'ovazione a chi si definisce comunista.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » sab set 23, 2017 9:28 pm

LEGGETE CHI E' VAURO ...
...Sono un papà di un bimbo disabile e mi capita spesso di andare d'urgenza al bambin gesù di Roma, una sera il comunista Vauro ha parcheggiato il suo lurido Piaggio SI su posto riservato ai disabili, al mio invito a spostare in catorcio lui mi ha risposto seccato, ovviamente sono sceso dall'auto e lui da laido comunista qual è, con in testa un casco non omologato, con la falce ed il martello disegnato con il bianchetto, ha subito preso il cellulare per, a suo dire chiamare la polizia perché lo stavo minacciando.
Il miserabile avendomi visto grosso ed incazzato ha immediatamente rimosso il catorcio e faceva il gesto di scrivere il numero della mia targa al fine di denunciarmi per gli insulti che gli avevo urlato ad un centimetro dal naso.
Appena mi sono riavvicinato minaccioso, pronto a qual punto a percuoterlo pesantemente le guardie all'ingresso dell'ospedale mi hanno bloccato dicendomi che non ne valeva la pena.
Un miserabile comunista maleodorante che si è cagato addosso alla prima avvisaglia di conflitto...(postato su fb da L. Presotto)


PiazzaPulita, Vittorio Sgarbi e Vauro: rissa sul comunismo e legge Fiano
22 Settembre 2017

http://www.liberoquotidiano.it/news/sfo ... fiano.html

Nello studio di PiazzaPulita, su La7, si parla della legge Fiano sull'inasprimento delle sanzioni per apologia e propaganda di fascismo. In studio, tra gli altri c'è proprio il piddino Emanuele Fiano. Ma lo scontro totale, e violentissimo, si sviluppa tra Vittorio Sgarbi e Vauro. Il critico d'arte, criticando la legge Fiano, ricorda gli orrori del comunismo. Si parte dalla Corea del Nord e dalle testate atomiche, che "non sono idee ma armi che partono. Non capisco perché contro quel mondo non c'è la stessa intransigenza". "Te lo spiego io perché...", provoca Vauro. E il critico d'arte parte in quinta: "Comunista. E Cuba? Cuba? Cuba? Voi comunisti contenti e orgogliosi di una storia criminale". E ancora, Sgarbi, afferma che la legge Fiano "è retorica". Dunque il vignettista comunista: "Parli di retorica e citi la Corea del Nord?". "Il comunismo è molto più pericoloso", ricorda Sgarbi. Ma è quando Vauro afferma "sono orgoglioso di essere un comunista esplode il finimondo". Sgarbi lo disintegra: "Io sono orgoglioso di essere anti-comunista, contro te, Fidel Castro, contro tutto questa gente che ha ucciso, ucciso continuamente, manda bombe atomiche. Vergognati, tu comunista". Ma Vauro non molla: "Sono ancora più orgoglioso di essere comunista quando faccio sbavare gente come te". La parola fine? La mette sempre Sgarbi, con un'altra bomba contro il vignettista: "Sei orgoglioso di essere un criminale, dei criminale, degli assassini, di loro sei orgoglioso".


Il vignettista nemico dei padroni che vive in un superattico
Stefano Filippi - Lun, 31/08/2015

http://www.ilgiornale.it/news/vignettis ... 64703.html

È un lutto lungo da elaborare, quello di Vauro Senesi. Rimasto orfano di Michele Santoro e delle fortunate apparizioni televisive sulla Rai e poi su La7, il vignettista più corrosivo e blasfemo d'Italia cerca a fatica nuove strade per non scomparire.

Certo, gli manca quel gettone dorato ottenuto tramite «Michele chi»: mille euro lordi a puntata quand'era in Rai, che a fine anno facevano sui 35mila. Un gruzzolo mica male, roba che tanti operai non vedono nemmeno con il binocolo ma che al compagno Vauro possono servire, ad esempio, per mantenere la modesta dimora romana: un attico di 200 metri quadrati su due piani (quinto e sesto) in via del Viminale, tra il ministero dell'Interno e il Teatro dell'Opera.

Sì, sono soldi quelli di «Annozero» e «Servizio pubblico», ma alla matita più velenosa d'Italia non sono venuti meno gli altri introiti: le vignette sul Fatto quotidiano e il Corriere della Sera , i reportage da Africa e Ucraina, e soprattutto i libri. Vauro ne ha pubblicati una quarantina con diverse case, da Aliberti a Chiarelettere. Francesco Aliberti, fondatore dell'editrice che porta il suo nome e che è stata messa in liquidazione nel 2013 (tre milioni di debiti), è socio del Fatto e qualche anno fa ha tentato di rilanciare il Male , giornale satirico dove Vauro esordì; Chiarelettere è un altro dei principali azionisti del Fatto .

Tutto in casa, sembrerebbe, nel circuito chiuso che comprende il quotidiano di Travaglio, i suoi editori, Santoro. Errore. Perché i libri cui Vauro tiene di più, cioè non le raccolte di vignette ma i suoi romanzi, escono per i tipi di un'altra casa. Opere come «Storia di una professoressa», «Toscani innamorati», «Kualid che non riusciva a sognare» e i lavori scritti a quattro mani con l'inseparabile don Andrea Gallo, testi che magari non entreranno nella storia della letteratura mondiale ma hanno un certo successo di vendite, escono con Piemme. Gruppo Mondadori. Galassia Fininvest. Insomma, il Cavaliere è l'editore di Vauro, come di Roberto Saviano e Fabio Fazio. Un vero imbavagliatore, questo Berlusconi.

Non è dunque la grana che manca a Vauro, anche se Santoro è stato il suo Sant'Euro. È la visibilità, la ribalta televisiva, il far parlare di sé. Privo di Santoro, Vauro è un disegnatore senza carta, e per lui riciclarsi in tv è più difficile che per gli altri santorini come Sandro Ruotolo, Corrado Formigli e Giulia Innocenzi. Il teletribuno era uno scudo formidabile, parava i colpi come nessun altro. Attorno a Vauro aveva eretto una rete di protezione a maglie impenetrabili. Il vignettista satanico poteva dire e scrivere tutto ciò che voleva, poi provvedeva il soccorso rosso a tutelarlo. «La satira è partigiana, l'ho sempre rivendicato»: parole sue. Soprattutto quando puoi insultare e beffeggiare chiunque, dal Padreterno in giù, coperto dall'immunità televisiva.

La squadra di Santoro era fatta di intoccabili e chi provava a infrangere questo muro ne usciva a pezzi, come l'ex direttore generale della Rai Mauro Masi. Nel 2010 il dg tardava a firmare i contratti per Travaglio e Vauro ad «Annozero» (si mercanteggiava sulle cifre): così Santoro lo mandò a «vaffan...bicchiere» in diretta. Un'altra volta Masi tentò di bloccare la messa in onda del programma di Santoro: invano. E quando la Rai sospese Vauro per una puntata dopo una vergognosa vignetta sui morti nel terremoto in Abruzzo, il vignettista passò come una vittima innocente della libertà di stampa.

Il caso più clamoroso fu un'infamante vignetta contro Fiamma Nirenstein, oggi ambasciatrice di Israele in Italia ma al tempo (marzo 2008) candidata al Parlamento con il centrodestra. Vauro la raffigurò con il naso adunco, il fascio, il simbolo del Pdl, la stella di Davide cucita sul petto come nell'epoca nazista e la scritta Fiamma Frankenstein. Una caricatura antisemita che scatenò il finimondo. Con un corsivo sul Riformista Peppino Caldarola rispose ironizzando su una fantasiosa puntata di «Annozero» in cui immaginava che Vauro potesse uscirsene con uno «sporca ebrea».

Apriti cielo. Vauro querelò Caldarola e ne ottenne la condanna a un risarcimento di 25mila euro contro il parere del pm che aveva chiesto l'assoluzione. Sergio Staino, altro fumettista di sinistra e pure lui toscano, l'inventore di Bobo, definì «forcaiole» le vignette di Vauro. Il quale se ne compiace: «Sono felice quando il mio modo di fare satira viene criticato, troppo apprezzamento significa che qualcosa non va». Balle. Vauro in realtà s'imbufalisce. E alza i toni delle polemiche in modo che s'accorgano di lui pure quanti vivono sereni anche senza i suoi scarabocchi né «Servizio pubblico».

Negli ultimi mesi è stato un crescendo. Vauro ha moltiplicato le ospitate nei talk show, dove ha dato libero sfogo alle sue provocazioni caustiche cosciente che la lunga avventura all'ombra di Santoro era avviata verso un rapido epilogo. E sapendo bene che in Italia per la sinistra vale la libertà di insulto. Ad «Agorà» (Raitre) ha dato del razzista, fascista e istigatore all'odio a Matteo Salvini, che ha lasciato lo studio e annunciato querela: chissà come si troverà il disegnatore vestendo per una volta i panni della vittima anziché del carnefice.

A «L'aria che tira» (La7) si è scagliato contro Giorgia Meloni: «Se lei fosse messa in una caserma nuda con vicino delle guardie...». Ad «Announo» (La7) ha inquadrato nell'obiettivo Francesco Storace mentre si discuteva degli anni di piombo. «A me hanno sparato – ha detto l'ex governatore del Lazio – e ho avuto la fortuna che i tuoi compagni non m'hanno ammazzato». E Vauro: «La prossima volta gli dirò di mirare meglio». Risata in studio e poi il passo indietro inutile e tardivo: «Questa è ovviamente una battuta».

La retromarcia intempestiva è una delle specialità del disegnatore pistoiese. Vauro puntò l'indice contro le vignette danesi su Maometto perché «messaggi violenti provocano reazioni violente» salvo poi indossare davanti alle telecamere la maglietta «JeSuisCharlie» considerando martiri del terrore (ma guai ad affiancargli l'aggettivo «islamico») i colleghi che un tempo bollava come irresponsabili agitatori. Si pentì, a scoppio ritardato, anche di aver sottoscritto l'appello che nel 2004 chiedeva alla Francia la liberazione di Cesare Battisti, terrorista rosso. Allora Vauro era ancora al Manifesto .

«Quell'appello non l'ho firmato – ha detto sette anni dopo al Fatto , il giornale che l'aveva indotto ad abbandonare il foglio comunista -. Un amico appose la mia firma, che io poi non ritirai per rispetto dell'amico». Firmò a sua insaputa. Vauro come Scajola: chi l'avrebbe detto. A quando un passo indietro anche dagli estremisti No-Tav?
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » dom set 24, 2017 9:20 am

Nord Corea, parla figlia di un colonnello: "Schiave sessuali per soddisfare Kim Jong-un"
20 Settembre 2017

http://www.liberoquotidiano.it/news/est ... Q.facebook

"A scuola, le mie compagne più carine venivano selezionate per lavorare per il leader, per fargli massaggi o diventare sue schiave sessuali". È agghiacciante il racconto che Hee Yeon Lim, figlia di un colonnello del regime nordocreano ora fuggita in Corea del Sud, fa al Mirror, rompendo il silenzio sulle atrocità commesse dal dittatore e dagli alti esponenti del governo. Hee, 26 anni, racconta di aver assistito al massacro di undici registi, condannati a morte, con l'accusa di fare film pornografici. "Li hanno portati legati, incappucciati, imbavagliati così da non poter chiedere pietà né urlare. Li hanno messi davanti alle mitragliatrici e ogni volta che sparavano, i loro corpi venivano fatti a pezzi, sangue e arti volavano dappertutto". Dopo è seguito lo scempio dei cadaveri. "I carri armati passavano sopra i resti umani. E noi tutti siamo stati costretti a vedere. Mi viene da vomitare" aggiunge la ragazza. E poi le schiave sessuali, nascoste in bunker e sottratte alle famiglie. "Gli servono cibo di lusso, tipo caviale e altre rarità. Se obiettano, si rifiutano di fare qualcosa o restano incinte, vengono fatte sparire". Quando Kim Jong-un, sposato con tre figli, è sazio di una ragazza, questa viene offerta in sposa a qualche alto ufficiale dell'esercito o del partito.

Secondo Hee il popolo coreano lo sostiene perché ha paura di lui, dalla gente comune agli alti ranghi del partito e dell'amministrazione. Le esecuzioni sommarie colpiscono anche i membri della sua cerchia e della sua famiglia. Il padre di Hee era all'apice della struttura burocratico-militare del regime di Pyongyang. Un situazione privilegiata, che ha consentito a lei una maggiore libertà di movimento e di riuscire a scappare a Seul. Tuttavia, nonostante la sua posizione di prestigio, doveva sottostare anche lui alle assurde direttive di Kim, come dormire con l'uniforme. Soprattutto non riceveva stipendio. Le sue entrate derivavano dalle tangenti che la sua posizione gli consentiva di incassare.
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » sab set 30, 2017 5:08 am

Un comune emiliano mette al bando il comunismo: vale il principio del ddl Fiano
Venerdì 29 Settembre 2017

http://www.ilmessaggero.it/primopiano/p ... 70255.html

Il consiglio comunale di Soragna, nel Parmense, ha approvato, nei giorni scorsi, una mozione per la messa al bando dell'ideologia comunista. Ora due deputati Pd interrogano sul tema il presidente del Consiglio e il ministro dell'Interno. Il documento, proposto dalla consigliera Maria Pia Piroli del gruppo "Soragna ci Legaa", è passato con sei voti favorevoli, quattro contrari e due astenuti: impegna il sindaco civico Salvatore Iaconi Farina ad «avanzare al Governo la richiesta di perseguire penalmente con pene severe chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito Comunista».

Il testo richiama la legge Fiano, provvedimento approvato dalla Camera per contrastare la propaganda di immagini e contenuti legati all'ideologia fascista, applicandola però al comunismo. «Ancora oggi - si dice nella mozione - il Partito comunista in molti paesi del mondo è sinonimo di feroci dittature o deboli democrazie, tra le più note: Corea del Nord e Venezuela». Sulla vicenda hanno preso posizione due deputati Pd, Patrizia Maestri e Giuseppe Romanini, presentando un'interrogazione a Paolo Gentiloni e Marco Minniti. «Opporsi ad ogni totalitarismo non significa ignorare la storia d'Italia», sostengono. E chiedono se premier e ministro «non ritengano opportuno ribadire la ferma opposizione del nostro Paese ad ogni forma di totalitarismo ed autoritarismo, ricordando altresì all'Amministrazione comunale di Soragna l'importante contributo offerto all'Italia, alla libertà nazionale e alla democrazia dagli aderenti al Partito Comunista Italiano».
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » gio nov 09, 2017 6:46 am

La gita dei nostalgici comunisti Tutti a Mosca per la Rivoluzione
Tony Damascelli
Mer, 08/11/2017

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 60719.html

I compagni si sono ritrovati tutti come quel giorno di cento anni fa. Cantando e marciando con il pugno chiuso verso la Cattedrale del Salvatore sul Sangue Versato a San Pietroburgo, la chiesa che venne eretta nel luogo dove venne ammazzato lo zar Alessandro II e ancora il treno di Lenin e la stazione ferroviaria Finlyandsky, dove Lenin tornò dopo l'esilio, e la fermata della metropolitana Gorkouskaya, dedicata allo scrittore Gorky, il palazzo museo della politica Kshesinskayaj e poi a Mosca, il Cremlino, la piazza Rossa, siti di nostalgia e di fede, falce e martello, la barba di Lenin e il suo copricapo agitato nell'aria gelida di novembre, poi i baffoni di Stalin e, ancora a San Pietroburgo, il museo galleggiante dell'incrociatore Aurora dal quale partì il colpo di cannone che segnò la conquista del Palazzo d'Inverno.


Fedeli nel secolo, i comunisti di ogni dove, si sono visti, rivisti, conosciuti e riconosciuti, infine radunati, venendo da Cuba e dal Vietnam, dalla Corea del Nord e dalla Cina, Paesi dove la rivoluzione ha lasciato segni e sogni, eroi e vittime ma nel silenzio e con la propaganda che si deve ai regimi, tutti ma quelli di estrema sinistra con il privilegio particolare. Vladimir Putin si è tenuto alla larga da bandiere e icone, lontano dai cortei, dagli altri siti delle celebrazioni, niente falce e martello, fine di un'epoca, non della storia, la nuova Russia non dimentica ma evita il ricordo drammatico. I morti si contano, non si cancellano con la propaganda ma la memoria cerca di onorarli diversamente. In contemporanea ai cortei nostalgici, l'altra Mosca ha celebrato, con la consueta parata, i 76 anni della marcia dell'Armata Rossa che, il 7 novembre del '41, partiva verso il fronte per opporre resistenza al nemico. Sul fronte russo contemporaneo si sono presentati i nostalgici comunisti nostrani, di ogni sezione e cellula, Rifondazione, Pci, Pc dei lavoratori, con a capo, si fa per dire, Marco Rizzo e con lui Maurizio Acerbo, Marco Consolo, Mauro Alboresi, ultimi bolscevichi, in verità menscevichi, non più maggioranza ma ormai minoranza, coda di un tempo che fu, festival malinconico dell'Unità, smarrita non soltanto nelle edicole.

Il compagno Lenin è sempre presente fra loro e nei manifesti, nei quadri, nei fogli d'epoca, ovviamente nel mausoleo, sotto una teca di cristallo, cadavere imbalsamato, monumento di se stesso, cioè di una filosofia e di un'azione politica poi devastata dai suoi successori come testimonia un sondaggio effettuato dal Levada center, un centro studi non governativo, anzi marchiato come «agente straniero». Secondo il 23% degli intervistati, Lenin ha portato il Paese sulla via del progresso e della giustizia, il 21% pensa che i successori, Stalin basta e avanza, abbiano distrutto il sogno e il 15% ritiene che Lenin abbia invece portato alla Russia morti e disgrazie. Lenin non si tocca ma c'è chi vorrebbe seppellirlo, portarlo via dalla Piazza Rossa, togliere quel macabro sito e trasformarlo in un museo perché la gente di Russia è ormai stanca delle tragedie. I nostri combattenti della falce e del martello, stimolati dal tovarisch Gennady Zjuganov, primo segretario dell'unione dei partiti comunisti, non la pensano così, sono imbalsamati, come il compagno Vladimir Ilic, sventolano idee, drappi e parole impolverate e polverose, residuati dell'altro secolo, non c'è più l'albergo Lux, dove i rivoluzionari si radunarono per l'assalto, oggi il viaggio tutto compreso, prevedeva albergo a tre stelle, escursioni con pranzo, trasferimento aeroporto-hotel-stazione, viaggio in treno Sapsan (collega ad alta velocità Mosca a San Pietroburgo, Sapsan significa «Falco» ed è la Freccia Rossa, guarda un po' le combinazioni cromatiche, delle ferrovie russe), tutto per euro 700, volo dall'Italia escluso. Non si resta più in coda per tre ore al controllo passaporti, scomparse le Zighuli si viaggia su vetture lussuose, le lampadine cimiteriali sono state sostituite con luci a cento watt, gli alberghi sono carichi di euro e dollari, il cambio al mercato nero è una barzelletta antica, così le calze di nylon e le penne bic, la mafia domina, la classe operaia spera nel paradiso in terra.

Cento anni dopo, la Russia è ancora viva, da Lenin a Putin, sempre cinque lettere in testa a tutti, il Paese rivoluzionario è rivoluzionato. Il gruppo vacanze nostalgia dei comunisti nostrani rientra ai rispettivi domicili, con il selfie di un Paese che non è più quello dei loro sogni. Sabato prossimo il Partito Comunista dei Lavoratori terrà una conferenza per il centenario della Rivoluzione di Ottobre. Il sito: Reggio Calabria. Boia chi molla.



Il comunismo vive sotto falso nome
Marcello Veneziani
8 novembre 2017

http://www.marcelloveneziani.com/artico ... falso-nome

Il 7 novembre di cent’anni fa il comunismo andò al potere a Mosca. E la storia del mondo cambiò, in peggio. Tutti celebrano da giorni la rivoluzione bolscevica, raccontano il clima e gli accadimenti di quei giorni ma nessuno ha osato fare un bilancio storico dei frutti tragici di quella Rivoluzione.

Eppure il costo umano del comunismo supera quello di ogni altro regime, movimento, evento storico e perfino delle guerre mondiali.

Ricordando giorni fa la Marcia su Roma i media si sono spinti fino alla Shoah che storicamente c’entra poco con l’Italia fascista del ’22; parlando della Rivoluzione d’ottobre invece hanno osservato l’omertà totale sui gulag, le repressioni, i massacri, il regime totalitario e tutta la storia che seguì a quella presa del potere.

Di questo e di altri Tramonti, ho dialogato ieri a Roma con Fausto Bertinotti, comunista non pentito ma mente onesta e appassionata.

Della rivoluzione bolscevica si sono registrate in questi giorni due significative rivendicazioni nostalgiche.

Da una parte Mario Tronti, lucido teorico dell’operaismo, ha elogiato in Parlamento la rivoluzione leninista mentre i suoi colleghi erano presi dalla legge elettorale e lo vedevano come un marziano. La sua nota così vistosamente stonata, così fuori luogo e fuori tempo, ha acquisito perlomeno la nobiltà della sconfitta e il valore di una testimonianza decisamente fuori moda.

Ancor peggio, sfidando la parodia, ha fatto Marco Rizzo, esponente dell’ultimo comunismo, che ha marciato su Mosca in una replica virtuale dell’assalto al Palazzo d’Inverno per onorare la memoria della rivoluzione russa.

C’è qualcosa di grottesco, di patetico ma anche di rispettabile in questi ultimi “conati sovietici” in pieno nichilismo globale. Anche se è l’esatta applicazione di una celebre massima di Marx secondo cui la storia si presenta la prima volta come tragedia e poi si ripete come farsa.

Ma come ricordare oggi il comunismo, a cent’anni dalla nascita e dopo il suo tramonto, più qualche grosso residuo come il comunismo tecno-capitalista in versione cinese? A parte la tragica contabilità delle vittime, qual è il suo bilancio storico?

Quando il comunismo va al potere e in ogni parte del mondo fallisce, si fa apparato poliziesco e regime repressivo, ovunque genera vittime e profughi: questo vuol dire che il difetto non è nelle singole realizzazioni o nei singoli artefici ma è proprio nell’essenza stessa del comunismo.

Qual è allora il vizio d’origine del comunismo che lo ha destinato a produrre ovunque catastrofi e atroci fallimenti? È la pretesa di cambiare la natura umana, il mondo, l’umanità, di sacrificare l’uomo reale all’uomo futuro che non verrà. È la contrapposizione radicale tra la società imperfetta ma reale in cui viviamo e la società perfetta dell’utopia comunista. È l’abolizione del mondo reale per far posto al mondo migliore e venturo.

Finita l’utopia e l’attesa messianica della rivoluzione salvifica, è rimasta un’eredità del comunismo: la pretesa di correggere l’umanità si è fatta politicamente corretto.

Dal PC al PC, dal partito comunista al politically correct. Quello è il viaggio di ritorno del comunismo, a cui ho dedicato un’ampia parte del mio libro Tramonti, uscito il mese scorso.

Dopo il comunismo, è venuto fuori questo canone ideologico ed etico, questo codice progressista dell’ipocrisia che risponde a una nuova lotta di classe dal sapore razzista: noi siamo i custodi, missionari e portatori del Politicamente corretto e chi non si conforma è fuori dalla modernità e dalla democrazia, dal progresso e dal consesso civile, merita disprezzo ed esclusione.

Chi non fa parte della razza illuminata del nuovo PC merita l’infamia, va cancellato o demonizzato, e se va al potere, anche democraticamente, va processato e poi scacciato.

Questa è l’eredità primaria del comunismo, della lotta di classe, della guerra finale tra il mondo migliore e il mondo reale.

Nel politicamente corretto spicca il tema dell’accoglienza. Il nuovo proletariato sono i migranti, accoglierli è la missione del comunismo prossimo venturo. O, se preferite, del catto-comunismo.

Bisogna abbattere ogni frontiera, espiantare ogni legame territoriale, non porre limiti a nessun diritto, come a nessun desiderio. È il diritto di avere diritti, separato da ogni dovere. Il rigurgito dell’utopia calpesta la realtà, la natura, i legami comunitari, l’appartenenza a una civiltà, a una nazione, a una città.

Il comunismo è morto ma le sue eredità sono molto pesanti.

Ma dove confluiscono oggi le speranze del comunismo, i miti di Gramsci, Berlinguer e Che Guevara? Convergono sulla figura di Papa Bergoglio, visto come una specie di misericordioso vendicatore del comunismo, di don Milani giunto al pontificato, di paladino dei migranti, dei poveri e come demitizzatore, se non demolitore della tradizione cattolica. Lui visto come l’antiTrump, l’anti-Curia, lui, leader delle Ong.

Su Bergoglio converge la simpatia sia dei fautori del Politically correct che i reduci del comunismo, sia gli Eugenio Scalfari che i Bertinotti. Atei sì ma papisti… I sorprendenti voltafaccia della storia.




Trump, schiaffo ai rossi: istituisce il "giorno per le vittime del comunismo"
Luca Romano - Mer, 08/11/2017

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/tru ... 60845.html

Donald Trump istituisce la giornata in ricordo delle vittime del comunismo proprio nel giorno dell'anniversario della rivoluzione bolscevica

Più chiaro di così non poteva essere: il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di istituire una giornata nazionale in ricordo delle vittime del comunismo. E come data ha scelto proprio il 7 novembre, giorno in cui, nel 1917, i bolscevichi hanno dato il via alla rivoluzione russa.

Per rimarcare ulteriormente il valore simbolico del proprio gesto, l'inquilino della Casa Bianca ha scelto di farlo proprio nel centesimo anniversario di quell'avvenimento storico foriero di sviluppi così decisivi per la storia della Russia e di tutto il mondo. Storia di lutti e di morte, come dovunque il comunismo è andato al potere con la violenza.

Durante il viaggio in Asia - e precisamente alla vigilia della visita in Cina - Trump ha dichiarato che "durante il secolo scorso, i regimi totalitari comunisti nel mondo hanno ucciso più di 100 milioni di persone e ne hanno sottomesse molte di più a sfruttamento, violenza e devastazione indicibile".

"Oggi noi ricordiamo quanti sono morti e quelli che continuano a soffrire sotto il comunismo - ha aggiunto il presidente senza timore di conseguenze diplomatiche con gli strategici interlocutori cinesi - Dobbiamo far brillare la luce della libertà per tutti quelli che aspirano a un futuro più libero e più radioso".
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » gio nov 09, 2017 7:07 am

La nuova fuffa di Avraham Yehoshua
Niram Ferretti
11 settembre 2017

http://www.linformale.eu/stadio-termina ... m-yehoshua

Avraham Yehosuha, di cui ci siamo già occupati, costituisce insieme ad Amos Oz e David Grossman la più celebre trimurti de-occupazionista israeliana. Per Yehoshua e gli altri due celebri scrittori israeliani il grande peccato di Israele è “l’occupazione” della Giudea e Samaria (Cisgiordania-West Bank) da parte dell’esercito israeliano dopo la guerra dei Sei Giorni del 1967. Certo, Yehoshua è consapevole di una certa animosità araba e islamica nei confronti di ebrei e israeliani, tuttavia l’”occupazione” trafigge e fa sanguinare il suo cuore di illuminista progressista. Una volta rimossa, le cose andranno bene.

In una recente e lunga intervista concessa a Wlodek Goldkorn dell’Espresso, Yehoshua tesse la sua narrazione sul conflitto alternando menzogne e whisful thinkings che purtroppo si scontrano con il solito inscalfibile scoglio rappresentato dalla pietra dura dei fatti, che, nella fantasia del romanziere, diventa molle come plastilina e plasmabile in molti modi.

Ma occorre ascoltarlo.

“Il fatto è che i palestinesi ripetutamente hanno rifiutato le vane offerte dei vari premier israeliani; da Rabin a Barak a Olmert. La loro leadership non è mai stata in grado di prendere decisioni difficili. E così oggi gli stessi palestinesi sono consci del fatto che, nel quadro di una ipotetica spartizione della Palestina storica (Israele più Cisgiordania) il massimo che possono ottenere è un territorio frammentato, discontinuo. Ho detto che sono consci, ma talvolta ho invece l’impressione che la leadership palestinese speri in un miracolo, un qualcosa di prepolitico che risolva i problemi. Ma poi, al di là delle mie critiche e della sua narrazione della quotidianità (e vorrei ricordarle che ci sono interi strati della popolazione che soffrono) va detto che la realtà dell’occupazione militare è disgustosa e perversa. E non se ne vede la fine. Il numero dei coloni è in crescita e loro sono sempre più arroganti. Ogni tanto mi viene la voglia di dire ai palestinesi: ma vi rendete conto che più dura l’occupazione e più terra vi viene confiscata, rubata? Mi permetta di aggiungere un altro elemento: i palestinesi cittadini israeliani. Sono quasi due milioni, potrebbero avere 25 deputati sui 120 in Parlamento e cambiare fin dalle fondamenta la stessa struttura della nostra politica. Invece ci sono solo 13 deputati palestinesi che litigano tra di loro. Prendiamo il caso dell’Irlanda ai primi del Novecento: i deputati Irlandesi al parlamento di Londra hanno saputo lavorare dentro le istituzioni inglesi per favorire la nascita di una repubblica nel Sud della loro isola. I palestinesi nostri non ne sono capaci e mi dispiace”.

Su una cosa Yehoshua ha ragione. Va detto subito. È quando afferma che “la leadership palestinese spera in un miracolo”. Si tratta infatti della sparizione di Israele. Intento perseguito fin dalla fondazione dell’OLP nel ’64, non a caso la “l” e la “P” nell’acronimo stanno per “liberazione” della “Palestina” dal Giordano al Mediterraneo. Ma è un miracolo che non è occorso, al suo posto, invece c’è stato l’altro miracolo, quello della persistente esistenza di Israele, circondato com’è da nemici che hanno tentato a più riprese di farlo fuori. Al di là di questa breve considerazione tocca soffermarsi sulla rappresentazione nera dei “coloni”, veri e propri villain che così tanto appassionano Yehoshua e i suoi sodali letterari (e non solo loro, naturalmente). Essi “confischerebbero” e “ruberebbero” la terra ai palestinesi. Curioso. Perché una proprietà venga confiscata e rubata essa deve avere un legittimo proprietario. Tuttavia i territori della Giudea e Samaria, assegnati senza limitazioni dal Mandato Britannico per la Palestina del 1923 agli ebrei per potervisi insediare e successivamente annessi illegalmente dalla Giordania nel 1951 fino al 1967, non hanno un legittimo assegnatario, anche se, con ottime ragioni, (la Conferenza di San Remo del 1922 e appunto e il Mandato Britannico del 1923), Israele potrebbe rivendicarne piena e legittima sovranità. Ma questo a Yehoshua non interessa. A lui, romanziere di successo interessa la fiction dei coloni espropriatori, perfettamente funzionale alla narrativa dei palestinesi vittime espropriate. Ma non si ferma qui. Come da estratto, si auspica un incremento della presenza araba alla Knesset. 13 deputati sono pochi. Dovrebbero essere almeno il doppio e fare come i deputati irlandesi. Favorire la nascita di una repubblica palestinese. Invece litigano. Peccato. Soprattutto continuano a chiamare i terroristi “resistenti” e ad appoggiare la propaganda antiebraica e antisionista dell’Autorità Palestinese. Andrebbe fatto notare allo scrittore che tra gli irlandesi e i palestinesi c’è la stessa differenza che sussiste tra i cinesi e gli svedesi. Basta paragonare l’Accordo di Good Friday del 1998 raggiunto in Irlanda e che ha messo fine ad anni di sanguinosa lotta civile con gli Accordi di Oslo del 1993, dopo i quali Arafat, diversamente dall’IRA, diede vita con la Seconda Intifada, al più sanguinoso periodo di terrorismo che Israele ricordi.

Ma proseguiamo.

“Al netto delle sue analisi: oggi una soluzione di due Stati non è più possibile. Dobbiamo cambiare il paradigma se non vogliamo diventare una società e uno Stato di apartheid. Mi spiego: nel 2005 siamo fuggiti da Gaza. I palestinesi ci hanno sconfitti. Il nostro esercito aveva perso. E cosa è successo? Ci hanno sparato addosso i razzi. Il precedente di Gaza ha fatto sì che molti israeliani hanno paura di un possibile ritiro dalla Cisgiordania. E questo, ripeto, mentre continua l’espansione degli insediamenti. Ecco, non è più possibile sradicare i coloni. Non c’è oggi un’autorità in grado di costringerli a lasciare le terre che hanno rubato. Ora come ora la situazione (prendendo in considerazione Israele più la Cisgiordania) è complessa. Potrei descriverla cosi: gli arabi israeliani hanno quasi tutti i diritti; quelli di Gerusalemme Est, qualche diritto, quelli dell’Autorità nazionale palestinese (che controlla il 40 per cento della Cisgiordania) un pezzettino di sovranità. Resta la realtà dell’occupazione militare. Ci sono palestinesi privi di qualunque diritto. Ed è una situazione insopportabile per qualunque persona voglia definirsi un democratico”.

Occorre domandarsi a quale “fuga” da Gaza da parte israeliana Yehoshua si riferisca, ma non è dato saperlo, e l’intervistatore non gli pone la domanda. Non ci fu alcuna sconfitta dell’esercito israeliano se non nella fervida immaginazione dell’anziano romanziere. Ariel Sharon decise la smobilitazione di Israele da Gaza per blindare la Giudea e la Samaria e concedersi a seguito di questa concessione, l’annessione di due rilevanti insediamenti come Ma’ale Adumim e Ariel (cosa che non avvenne). Altro che fuga, si trattò di una mossa politica precisa. Quanto alla “continua espansione degli insediamenti”, anche qui ci troviamo al cospetto di un’altra fabula. Dal 2004 è in vigore l’accordo che Ariel Sharon fece con l’Amministrazione Bush il quale permette l’espansione degli insediamenti in esistenza all’interno del confine di costruzione degli edifici già in essere e non oltre di esso. Quasi tutte le costruzioni che sono state autorizzate dal governo Netanyahu si trovano o a Gerusalemme o nell’ambito degli insediamenti autorizzati dagli americani. Veniamo ai “palestinesi privi di qualsiasi diritto”. Bisognerebbe capire chi siano e dove sono localizzati. Yehoshua intende riferirsi ai palestinesi che in Cisgiordania si trovano nell’Area A interamente amministrata dall’Autorità Palestinese, nell’Area B, ad amministrazione congiunta, o nell’Area C, a sovraintendenza israeliana? Non è dato saperlo. Ma la frase che indica una casta di palestinesi paria non manca di esercitare il suo effetto affabulatorio sulla mente del lettore sprovveduto. Anche qui l’intervistatore glissa.

Il canovaccio prosegue. Occorre vederlo fino in fondo perché ci riserverà ulteriori sorprese.

“Oggi, da democratico, da persona razionale e illuminista, voglio l’uguaglianza dei palestinesi di fronte alla Legge. Israele deve offrire ai palestinesi della Cisgiordania la cittadinanza; con tutti I vantaggi: dal servizio sanitario al sistema pensionistico. Ma, ripeto: la cosa più importante è l’assoluta uguaglianza davanti alla Legge. Non sono un ingenuo. E probabile che molti non vorranno prendere la cittadinanza israeliana. Molti diranno: accettarla significa approvare l’annessione della Cisgiordania a Israele. Ed è ovvio che io non posso imporre loro la cittadinanza. Ma l’importante è il gesto, l’intenzione: per me voi siete cittadini con pari dignità e uguali”.

E qui assistiamo al pieno divorzio con i fatti. L’illuminismo, ci mancherebbe, va benissimo, solo che per essere davvero tale dovrebbe spandere più luce sulla realtà e non avvolgerla di bei pensierini con la messa in piega, perché purtroppo sarà poi la realtà a incaricarsi brutalmente di spettinarli. In un recente sondaggio, Daniel Polisar, del Jerusalem Shalom College ha rilevato che in una proporzione di 3 a 1, i palestinesi rifiutano uno stato palestinese a fianco di uno stato israeliano. Tuttavia per lo Yehoshua, “razionale e illuminista”, Israele dovrebbe offrire ai palestinesi della Cisgiordania, indottrinati fin da bambini che tutta la Palestina appartiene di fatto ai palestinesi, che gli israeliani sono degli usurpatori omicidi, che i terroristi sono martiri da onorare con piazze e strade in loro nome, la cittadinanza. Come quella già data a una buona parte dei terroristi arabi-israeliani che si sono distinti dal 2015 a oggi in uccisioni di civili e militari israeliani. L’ultimo episodio registrato quello del luglio scorso al Monte del Tempio, quando due poliziotti di guardia vennero ammazzati da un commando di terroristi arabo-israeliani. Ma a Yehoshua la realtà non interessa. Come tutti gli allucinati di astrazioni valgono solo i principii, non i fatti.

Non possiamo congedarci se non giungendo fino in fondo, o meglio, toccando il fondo di questa devastante débâcle cognitiva. Per Yehoshua l’odio nei confronti degli arabi, che egli vede crescere nella società israeliana è dovuto a

“Due motivi: perché loro sono deboli e perché noi ci sentiamo in colpa. Si odiano i deboli e le vittime, è un meccanismo universale”.

Dunque ecco fissato il paradigma. L’odio, o l’avversione da parte israeliana, non è dovuta alla consapevolezza che da parte araba sussiste un rigetto permanente di Israele e degli ebrei che si è manifestato negli anni con tre guerre nate da una intenzionalità genocida e successivamente da un terrorismo continuativo che raggiunse l’apice con la Seconda Intifada. No. Tutto questo scompare dalla scena. Al suo posto c’è la colpevolezza ebraica, il senso di colpa ebraico, nei confronti delle “vittime”, i palestinesi.

Quando si giunti ad invertire a tal punto la realtà si può solo affermare che si è arrivati a uno stato terminale. Lo stesso che pervade ormai l’Occidente meaculpista e schiere di intellettuali i quali, come scriveva Leszek Kolakowski, scartano “ostentatamente i valori della loro civiltà per umiliarsi di fronte allo splendore di una inequivocabile barbarie”.


Ari Gardener
Sai, ci fu un momento, negli anni '50, in cui l'Est Europa rischiò seriamente un robusto antiebraismo di massa. E questo, per due ragioni. La prima, particolarmente dolorosa, dovuta al fatto che, nell'apparato sovietico di invasione, c'erano anche degli alti dirigenti ebrei. Che, oltre a imporre con gli ordini di ferro, ogni tanto facevano una visita nelle carceri del regime per torturare di persona. Il loro zelo era devastante, e pochi trovarono come spiegazione l'istinto di sopravvivenza per eccesso, teso a evitare la Siberia.
La seconda, invece, fu più sottile, inaspettata e desolante. Sotto l'impressione del nazismo, il meglio del meglio dell'élite culturale ebraica cadde nella trappola della proclamata "uguaglianza senza discriminazione per razza, etnia o religione". Persone a dir poco intelligenti e a dir poco colte - di enorme talento e, perciò, amatissime - pensarono, purtroppo, che la soluzione di un estremo fosse l'estremo opposto. Senza capire che i due sistemi avevano lo stesso DNA - almeno, per quanto riguardasse l'annientamento dell'individuo. Con assoluta ingenuità, tanto da avere un'idea molto... come dire... "romantica" del socialismo-comunismo, avrebbero sostenuto il regime - convintamente, pubblicamente e con entusiasmo - per altri due decenni.
Ci sono stati, così come ci sono stati i Kapò.
Dopo la caduta del Muro, furono in molti a chiedere che queste persone fossero rintracciate e processate. Ma alcuni erano morti, altri erano già scappati altrove, le estradizioni non funzionarono - principalmente, per paura di una Nemesi di massa - e non si fece niente. Quello che rimase fu il senso profondo di ingiustizia nei confronti di un numero di vittime che, ancora oggi, non si riesce a quantificare e nei confronti delle vite profondamente devastate dei figli resi prigionieri nella mente e nell'anima. Così, il seme dell'odio per gli Ebrei fu inghiottito e assimilato da qualcosa di più grande e potente: la xenofobia. Perché, quando la lista è lunga e comprende invasioni varie, secoli di Impero Ottomano, dominazioni tedesche e russe nonché serissime colpe inglesi e francesi, se prima potevi non volere qualcuno, dopo non vuoi più nessuno.
Non vorrei semplificare troppo parlandoti della campana di Gauss, ma credo che ci saranno sempre degli individui come quelli della "trimurti de-occupazionista israeliana". Auguriamoci e assicuriamoci che rimangano marginali e residuali.


Niram Ferretti
Grazie Ari per il tuo commento così vero. L'intossicazione dell'anima e della mente è terribile. In nome dei "diritti universali" e della "giustizia per gli oppressi" sono state falcidiate molte più vite di quante ne ha soppresse il nazismo. E' un mero computo oggettivo che nulla sottrae alla spaventosa demonicità del nazionalsocialismo. La sconfitta del nazismo e l'alleanza con l'Unione Sovietica ha concesso per più di settanta anni credito al totalitarismo più sanguinario e dispotico del Novecento, di cui vediamo ancora epigoni in circolazione, vedi Maduro.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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