Giulio Regeni(Il Giornale, 16 febbraio 2016) -
Il giornalista egiziano Mohammed El Gheit ha scoperto e rivelato in diretta televisiva il mandante dell'assassinio di Giulio Regeni. Si tratta di un egiziano diventato una spia di Israele, un apostata che ha abbandonato l'islam e si è convertito al cristianesimo, un losco individuo prezzolato che ora è diventato ateo e comunista per denaro. Si chiama Magdi Allam. Che sarei io.https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 8270734428http://www.magdicristianoallam.it/edito ... egeni.htmlDomenica 14 febbraio, alle ore 22,45 locali, il sito del settimanale El Fagr, che dovrebbe essere laico e liberale, all'indirizzo
http://www.elfagr.org/2030782 , ha pubblicato la mia foto in grande come notizia di apertura con il seguente titolo: “Video. El Gheit rivela: una spia di Israele in Egitto dietro all'assassinio del giovane italiano”.
Nel video El Gheit, conduttore del programma “Sveglia”, trasmesso dalla televisione satellitare LTC, sostiene con tono perentorio: “Ieri c'erano i funerali del giovane italiano Giulio Regeni. Voglio dirvi che c'è un uomo, una spia segreta, che ho scoperto, che sta montando una campagna contro l'Egitto, sta istigando il mondo contro l'Egitto dopo l'assassinio di Giulio Regeni. Quest'uomo, forse siamo la prima trasmissione che ne parla, è un egiziano, purtroppo, ha studiato in Egitto, si chiama Magdi Allam. La storia di Magdi Allam è una storia che andrebbe bene per un film come “Sprofondare nell'abisso”. Perché ora lui è una spia di Israele. Ha lasciato l'Egitto, è partito per l'Italia, non ha trovato lavoro, voleva lavorare nel giornalismo. All'improvviso, lui che era chiaramente nato musulmano, è diventato cristiano. Ha annunciato il suo ingresso nel cristianesimo cattolico e osservate che la sua conversione è avvenuta da parte del vertice della Chiesa cattolica, all'epoca di Benedetto XVI. Magdi ha iniziato a lavorare nel quotidiano comunista l'Unità. Ha sposato prima un'ebrea e poi un'israeliana, io ovviamente distinguo tra gli ebrei e gli israeliani sionisti. Dopo averla sposata, ha scritto un libro dal titolo “Io amo Israele”, che gli ha fruttato un milione di dollari. Questo libro ogni anno viene ristampato in Israele e lui continua a guadagnarci. Ho domandato ad un amico: è ancora cristiano? Mi ha detto che non è più né cristiano né niente altro, al punto che due anni fa ha annunciato l'abbandono del cristianesimo e la sua adesione agli atei o ai comunisti sempre per interessi materiali”.
Ovviamente io ho sporto denuncia. Ci mancava pure El Gheit! Non bastavano le condanne a morte degli islamici fuori e dentro l'Italia. Trattandosi di una trasmissione popolare e di un sito giornalistico che conta circa 500 mila seguaci, gli egiziani e gli arabofoni si sentiranno ancor più legittimati a uccidere la spia d'Israele, l'apostata e il mandante dell'assassinio di Giulio Regeni. E non pensiate che visto che si tratta di un'assoluta idiozia, allora si può stare sereni. Purtroppo nessuno di noi può sentirsi al sicuro con coloro che hanno messo in soffitta la ragione e il cuore, ottemperando letteralmente e integralmente a ciò che Allah prescrive nel Corano, a ciò che ha detto e ha fatto Maometto o, anche, all'odio cieco nei confronti di Israele da posizioni nazionaliste.
Per vedere il video in arabohttps://www.youtube.com/watch?v=QpE5fft7TBA Nella tragedia mondiale, non è più l’Ora del DilettanteMaurizio Blondet 6 febbraio 2016
http://www.maurizioblondet.it/in-italia ... dilettanteGiulio Regeni, il ricercatore ammazzato al Cairo, giudicava il Manifesto “il mio giornale di riferimento”. Ieri la direttrice del ‘quotidiano comunista,, Norma Rangeri, se l’è presa nell’editoriale con “quegli avvoltoi che vivono nella Rete e che hanno arruolato Giulio nei servizi segreti italiani coprendo la sua vita di fango, come a giustificare la sua morte”. L’allusione non può che essere al sito del bravo Marco Gregoretti, il quale – in evidente contatto con alcuni informatori ben informati – ha scritto appunto che il giovane “ era un agente dell’Aise (Agenzia informazione sicurezza esterna), il servizio segreto italiano che si occupa di “minacce provenienti dall’estero”. In pratica l’intelligence che ha preso il posto del vecchio Sismi”.
“Regeni – continua Gregoretti – era stato arruolato qualche anno fa quando i servizi segreti italiani cominciarono a fare campagna pubblica per arruolare nuovi operatori chiedendo il curriculum. Quello di Regeni, a quanto pare, sarebbe stato in linea con le aspettative. Era stato inviato in Usa prima e a Londra dopo. Poi, con la scusa della tesi di laurea, da sei mesi si trovava in Egitto”.
Non c’è nulla di infangante né insultante in questo. Io stesso, quand’ero inviato, sono andato spesso all’Istituto Culturale Francese del Cairo dove si poteva fare una chiacchierata con giovani e brillanti “borsisti” molto informati di tutti gli aspetti della società egiziana, capaci di acute valutazioni intelligenti, che facevano evidentemente parte dei servizi informativi di Parigi, almeno come ausiliari stipendiati, con borsa di studio; niente di più naturale che mandassero dei rapporti al competente ministero. Lavoravano su quelle che si direbbero “fonti aperte”, radio, giornali tv; se facessero anche cose clandestine non so, ma non credo. Ovviamente anche i servizi egiziani sapevano e sanno che cosa fanno certi borsisti stranieri al Cairo; fà parte del gioco.
Il punto non è quello, ma proprio la collaborazione di Regeni al Manifesto: collaborazione da lui richiesta e sollecitata, perché – lo ha scritto lui considerava il Manifesto “il mio giornale di riferimento”. Volleva collaborare “con pseudonimo”, particolare patetico, perché si sentiva in pericolo.
Un agente, ammesso che Regeni lo fosse, agisce su mandato. I suoi dirigenti gli dicono cosa deve fare. Ora, aveva ricevuto dal nostro Ministero degli Esteri il mandato di ficcarsi tra le organizzazioni anti-Al Sisi, il presidente egiziano che ha eliminato il regime dei Fratelli Musulmani e governa una società lacerata e dove ha per avversari dei fanatici che ricorrono al terrorismo e alle stragi di militari, pronti alla guerra civile e per questo ferocemente repressi? Per quanto bassa sia la stima che si può avere del corpo diplomatico e del ministro Gentiloni, propenderei a credere di no: Al-Sisi è una figura chiave della (speriamo) stabilizzazione dell’area, un alleato di fatto contro il terrorismo jihadista, ISIS e simili, e di cui si ha bisogno per future azioni o negoziati in Libia. Il nostro governo – a meno che non sia diventato folle – non ha alcun interesse un “regime change” in Egitto, né quindi interesse a “fomentare l’opposizione”, come (secondo Gregoretti) i servizi egiziani ritenevano facesse Regeni.
Glielo ha detto il ministero di andare a “vibranti incontri” dei “sindacati indipendenti” ribelli al regime? Di scrivere su l Manifesto (l’ultimo articolo) che “Sfidare lo stato di emergenza e gli appelli alla stabilità e alla pace sociale giustificati dalla ‘guerra al terrorismo‘, significa oggi, pur se indirettamente, mettere in discussione alla base la retorica su cui il regime giustifica la sua stessa esistenza e la repressione della società civile”.
Serve al nostro interesse nazionale? Direi di no ( e forse non serve nemmeno al Manifesto). Forse il punto è questo, che Regeni non aveva ricevuto una istruzione su quale sia il nostro interesse nazionale; o forse inseguiva un’idea di interesse nazionale tutta sua, nutrita dall’appassionata lettura de Il Manifesto. Non è una rarità, dopotutto. Nel 1998 un deputato di Rifondazione comunista, tale Mantovani, fece la politica estera italiana andando a prendere e portando in Italia il capo del partito comunista turco, ricercato dai turchi per terrorismo; creò un grosso problema al governo (che era D’Alema: aveva appena fatto le scarpe a Prodi).
Anche le due pirlette autonominatesi “cooperanti”, le note Greta & Vanessa, a suo tempo andarono in Siria a schierarsi contro il regime d Assad e a favore dei jihadisti, si fecero rapire e i loro protettori (volevo dire: rapitori) hanno chiesto ed ottenuto dal governo italiano un riscatto di (si dice) 7 o 12 milioni di euro: di fatto l’Italia ha riccamente finanziato Al Nusra e il Califfato esattamente come sognavano Greta & Vanessa, che quindi hanno “fatto” la nostra politica estera al posto di Roma (o con l’accordo e collusione? Speriamo di no).
A proposito di tale riscatto, fra l’altro, il succitato Gregoretti dice: “Si è parlato di dodici milioni di euro. In realtà sarebbero stati 13, ma uno sarebbe rimasto attaccato a qualche manina italica. Chi si è fregato un milione di euro? Questa situazione poco chiara ha provocato anche un terremoto all’interno dei servizi segreti italiani: 86 operatori, compresi alcuni in posizioni apicali, sono stati “licenziati”. Alla luce di tutto ciò quella telefonata di Al Sisi al Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi :”Perseguiremo ogni sforzo per togliere ogni ambiguità e svelare tutte le circostanze”, non fa dormire sonni tranquilli ai nostri governanti. Qualcuno dall’interno dice: “Si sono mossi Mattarella e Renzi. Sono tutti con il pepe al culo”.
Ecco un inciso da cui si intuisce che cosa sia l’ interesse nazionale non è chiarissimo nemmeno alle “figure apicali” dell’italica repubblica. Il che può rendere indulgenti verso il povero Regeni, che ha pagato con la propria vita l’aver scambiato il “Manifesto, suo punto di riferimento”, con la patria e i suoi duri doveri, e aver voluto fare uno scoop in un posto incendiario, chiacchierando contro un regime che sta giocando una partita mortale con avversari, che abbiamo tutto l’interesse restino schiacciati.
Ora la chiacchiera giornalistica italiota strilla: “Vogliamo la verità! Chi ha ucciso il nostro ragazzo?”. Il governo egiziano ha immediatamente fermato due: criminali comuni, è stato un delitto comune, assicura. Un avviso a contentarsi: loro, hanno una visione precisa dell’interesse nazionale: il loro e persino il nostro. Ma no. “E’ stato ucciso per le sue idee”, lasciano filtrare a Repubblica “i detectives italiani” mandati in Egitto per indagare (che chiacchierano con i giornalisti amici). Addirittura, l’AISE smentisce ufficialmente che Regeni fosse un suo agente, con lettera ai giornali: cosa che nessun servizio segreto ha mai fatto nell’intera storia. I media incitano a “gelare le relazioni con l’Egitto”. La magistratura ha aperto un fascicolo. Il regime egiziano ha rilasciato i due fermati delinquenti comuni: brutto segnale.
Se Frontex ci ordina di sparare
I tempi sono d’acciaio e di fuoco, sarebbe auspicabile che in Italia si riducesse l’ora del dilettante in politica estera. La durezza dei tempi è rivelata da una forte critica che il capo operativo di Frontex, Klaus Rosner, ha elevato al responsabile del Viminale Giovanni Pinto: gli interventi di salvataggio dei gommoni o carrette non devono estendersi oltre le 30 miglia marine dalle coste italiane; non è necessario e conveniente sotto il profilo dei costi l’uso di pattugliatori offshore; andare sotto le coste libiche su chiamate di satellitari non si deve più fare. Frontex ha protestato ““ contro ripetuti interventi fuori area, oltre le 30 miglia dalle coste italiane: non sono coerenti col piano operativo e non saranno prese in considerazione in futuro; i soccorritori devono “limitare l’uso della lingua italiana” quando comunicano gli uni con gli altri, vogliono sentire quel che ci diciamo. Non si fidano. Non sono lontani dal pensare (come il sottoscritto) che il nostro buon cuore sia un aiuto, un incitamento e forse una collusione con la peggiore malavita internazionale, quella che sfrutta in questo modo le masse del mondo.
“Frontex ci critica perché salviamo troppe vite umane!”, sbalordiva sabato un conduttore di Radio Radicale che si occupa degli immigrati nel dare la notizia. Radio Radicale è la più occidentalista, americanista, neocon, e quindi la più filo-Ue che ci sia. L’Unione Europea è per loro il paradiso dei diritti umani, delle libertà progressiste: nozze gay, uteri in affitto, eutanasia, step-child adoption; ed ovviamente della “accoglienza” senza limiti.
Non hanno ancora preso atto di come Angela Merkel abbia cominciato a predicare agli immigrati che, appena torna la pace in Siria, loro devono andarsene. Di colpo, la Germania ha scoperto che la maggior parte non fuggono da guerre, non sono nemmeno siriani, non hanno diritto d’asilo. In certe città tedesche c’è un’aria che qualche capo della polizia ha definito “da pogrom”, con la caccia ai profughi. Il Belgio raccomanda di “Non dar da mangiare ai profughi, se no ne vengono altri”, e alcuni iracheni che ci sono arrivati sono trattati in modo tale, che tornano volontariamente: “Piuttosto morire in Irak che vivere il Belgio” (qualcuno gli aveva fatto credere che avrebbero 3 mila euro e il ricongiungimento immediato coi familiari, e si sono trovati in una branda da campo in una caserma). Il presidente della Finlandia: “L’immigrazione è una minaccia ai valori occidentali” (ma tu guarda…). La Svezia si propone di espellerne 60 mila; la Danimarca, di sequestrare i soldi e i gioielli di quelli che entrano,come contributo alle spese di mantenimento: tutti d’accordo, i socialdemocratici svedesi con la destra populista. E l’Austria sta proponendo il dispiegamento militare di forze della UE nei Balcani, onde intercettare i profughi alla frontiera esterna della UE e rimandarli in Turchia; e chiede alla UE di tagliare gli aiuti alla Tunisia, perché si rifiuta di riprendersi i profughi. Insomma i nordici, che per anni si sono infischiati dell’invasione quando arrivava sulle coste italiane e greche, adesso che gli invasi sono loro, chiudono le frontiere; e – senza ovviamente riconoscere minimamente che aveva ragione Orban e loro torto – ordinano anche a noi di chiudere. E siccome comandano loro, queste saranno le “normative” nuove sull’immigrazione che diverranno regola pan-europea.
Quando Frontex “ consiglierà” alle navi italiane di sparare, altrimenti ci chiude fuori da Schengen e ci lascia tutti i profughi a centinaia di migliaia, sarà interessante vedere i commenti progressisti. Quelli che “siamo l’ultimo paese in Europa che non riconosce il matrimonio gay” o “le adozioni dei figli del compagno”, adesso cominciano a vedere l’altra faccia della libertà di un’Europa che s’è liberata dalle radici cristiane: “diritti” ai gay e respingimenti sono la faccia della stessa medaglia. Il buon cuore è inadeguato, nei tempi d’acciaio che ci sovrastano. Fuori i dilettanti e i provinciali, per favore.
Per Regeni, chiedere i danni ai britannici.Maurizio Blondet 16 febbraio 2016
http://www.maurizioblondet.it/per-regen ... britanniciLa cosa è ormai così evidente che anche i media ufficiosi lo fanno capire: era un agente. Britannico. Incaricato di inserirsi nei gruppi sindacali anti-regime. Mandato allo sbaraglio, approfittando della sua ingenuità?
Ricapitoliamo: Regeni, 28 anni, era dottorando alla American University del Cairo.
Che la American University sia uno strumento della Cia, è persino superfluo dirlo. Basta ricordare che John Brennan, l’attuale capo dell’Agenzia, è stato mandato a studiarvi nel 1975-76. Un corso di perfezionamento per quelle carriere. Vi si sono formate generazioni di agenti detti “gli arabisti della Cia”, un bel gruppo di competenti che, per essere filo-palestinesi più che filo-sionisti, sono stati epurati dai neocon perché, dopo l’11 settembre, cercarono di opporsi alle inutili e criminali guerre per Sion, e alla demonizzazione di Saddam e dei regimi baathisti. Ma questa è storia vecchia. Adesso la visione del Medio Oriente che domina i servizi Usa è quella israeliana: smembrare i paesi islamici istigandone gli odii etnico-religiosi.
L’American University del Cairo, ovviamente, non è solo un centro di perfezionamento per funzionari della Cia. Prestigiosa università, frequentata da figli di famiglie danarose, è il centro di raccolta ideale per identificare, promuovere, selezionare, profilare “amici degli Stati Uniti” che saranno destinati a diventare in futuro esponenti di governi, ministri, direttori di giornali, insomma membri della classe dirigente locale con lo stampino di “amici dell’America”. Oppure anche agenti informatori, infiltrati; o anche agitatori di piazza per rivoluzioni colorate o fiorite, secondo i casi. Tutti i paesi sottosviluppati o soggetti all’impero hanno qualche centro così: in Italia è la John Hopkins University; ci sono borse di studio per corsi negli Usa, eccetera.
Al Cairo, basta entrare alla American University per capire dentro quale sistema si viene cooptati; figurarsi poi se ci si segue un dottorato di ricerca. Nei giornali appare il nome del professor Khaled Fahmi: i giornali inglesi e americani erano pieni di sue interviste ai tempi della rivoluzione di piazza Tahrir, dove inneggiava alla caduta di Mubarak. Adesso è visiting professor ad Harvard (tipico) e in interviste sostiene: Al Sisi è più pericoloso dei Fratelli Musulmani.
Ancor più interessanti i rapporti del povero Regeni con Cambridge. Dai media si ricava che la sua “tutor” a Cambridge, Maha Abdelrahman, “è molto impegnata nello studio delle opposizioni politiche in Medio Oriente”. Secondo Repubblica, sarebbe stata costei, che, dopo la partecipazione del giovanotto all’assemblea dei sindacati clandestini egiziani (di cui aveva mandato un resoconto al Manifesto, pubblicato postumo…) “aveva cambiato il format (sic) del lavoro di ricerca di Regeni: “Non più una semplice ricognizione analitica e su “fonti aperte” dei movimenti sindacali, ma una “ricerca partecipata”, embedded. Che prevedeva, dunque, una partecipazione diretta alla vita e alle dinamiche interne delle organizzazioni da studiare”.
Si può essere più chiari?
Giulio Regeni aveva un altro referente accademico a Cambridge. La professoressa Anne Alexander”. Una giovin signora che nel suo profilo dichiara che le sue “ricerche accademiche” vertono sulla “disseminazione di nuove tecniche mediatiche” per “la mobilitazione per il cambiamento politico in Medio oriente”, con cui “attivisti politici” creano “reti, o sfere di dissidenza e generano nuove culture di attivismo”.
Non sembra esagerato concludere che ci troviamo qui di fronte ad una di quelle centrali dell’impero britannico (che è “un impero della mente”, come disse Huxley) volte a creare gli “états d’esprit” collettivi che servono a maturare in una società delle rivoluzioni culturali, o (secondo un dizione britannica tipica), il “salto di paradigma”.
Una specialità dell’Istituto Tavistock di Londra, strana scuola superiore di psichiatria e sociologia, fondati negli anni ’30 dall’ebreo tedesco Kurt Lewin. Come ha spesso ripetuto lo EIR, Executive Intelligence Review, “L’oggetto degli studi più del Tavistock è la creazione di “salti di paradigma” (paradigm shifts), ossia del mezzo per indurre nelle società valori “nuovi”, attraverso eventi traumatici collettivi (turbulent environments). Ad esempio, un ciclo di conferenze tenute al Tavistock nel 1989 aveva come tema il seguente: Il ruolo delle Organizzazioni non Governative nell’indebolire gli Stati Nazionali. Oggi l’Istituto Tavistock compie ricerche su come reagirà la gente, a livello individuale e collettivo, di fronte ad eventi, cambiamenti e parole-chiave”. La “liberazione sessuale”, l’accettazione della omosessualità, la teoria del “gender”, o la “accoglienza agli immigrati”, sono altrettanti “salti di paradigma” già attuati o in corso di imposizione nelle masse europee.
La professoressa Alexander è molto interessata – scientificamente, disinteressatamente – a come gli oppositori di Al Sisi generano “sfere di dissidenza e culture di attivismo”. La tutor di Regeni ad Oxford, Maha Abdelrahman, interessatissima per motivi squisitamente scientifici “allo studio delle opposioni politiche in Medio Oriente”, gli dice di partecipare ai sindacati clandestini egiziani. Lui, entusiasta di fare qualcosa di sinistra (ne scriverà al Manifesto) si butta. Embedded, come gli dicono da Oxford. Loro stanno ad Oxford, è lui che si ficca nei guai al Cairo – al Cairo della guerra civile tenuta a freno col ferro e col fuoco. Morto lui, se ne occupa il New York Times, cosa alquanto insolita: fa’ la sua inchiesta, trova le anonime fonti dei servizi egiziani che dicono “sono stati i servizi egiziani”…insomma, la famiglia, o lo Stato italiano, dovrebbero chiedere i danni ai servizi britannici.
Del resto è quel che sostiene Paz Zàrate, esperta di diritto internazionale a Oxford, amica fraterna di Giulio Regeni nonché sua ex collega al think tank Oxford Analytica, dove lui lavorò tra il 2012 e il 2014: “Dato che Giulio stava facendo ricerca all’università britannica e ha abitato e lavorato nel Regno Unito praticamente tutta la sua vita adulta, crediamo sia compito del governo inglese di unire le forze con l’Italia”.
Il povero Regeni era un agente di Sua Maestà. Forse, perfino senza saperlo – come accade alla gente di sinistra.