http://www.life.itDigiuno e AlpiniPubblicato 10 maggio 2014 | Da daniele
Cari amici,
vi invio i files aggiornati sulla situazione attuale della Fraja Veneta. statistiche digiunatori al 9 maggio
Vedete se potete coinvolgere un amico: un giorno di astensione dal cibo fa bene: alla causa Veneta, all’anima, al corpo.
Una piccola riflessione sull’intasamento dei tricolori da giovedì scorso su strade e autostrade.
Se avete avuto l’occasione di venire da Milano in autostrada, già da Giovedì 8/5, era tutto un flusso tricolore: auto, camion attrezzati, pullman, caravan, roulotte.
Tutti pieni di goderecci alpini bardati dei tre colori in tutti gli accessori.
Ne ho visti diversi gruppi anche Venerdì fare i turisti, con tanto di guide,in giro per Conegliano.
Oggi e domani impossibile recarsi verso Pordenone: 500.000 entusiasti veneti, lombardi, friulani, piemontesi, cioè gente di questo nostro Nord messo in ginocchio dall’Italia, sono lì a sventolare la bandiera causa della nostra rovina, di tanti suicidi.
Come è possibile?
Gli alpini sono brave persone, hanno il nostro comune denominatore: sono seri, lavoratori, sanno “fare”, e sanno anche essere goliardici quando la coscienza è a posto perchè hanno fatto il proprio dovere per tutta la settimana.
E però stanno lì allineati, col petto gonfio d’orgoglio, dietro al simbolo sbagliato: il tricolore.
Per tradizione, abitudine, cameratismo e forse anche un pò di paura di uscire dalle righe. Di essere “stonati” rispetto alla massa.
Mah!, credono ancora che Cadorna Luigi sia stato un grande generale e magari addirittura una brava persona.
Dobbiamo rispettarli e aspettare che il tempo galantuomo rimetta i tasselli della verità al loro posto.
Intanto: NON guardate la televisione oggi e domani e lunedì. NON osate avvicinarvi a Pordenone (raggio di sicurezza dall’epicentro tricolorato almeno 50 km).
Vi allego la lettera che ho scritto al Sindaco di Conegliano il 28 Marzo scorso a proposito del criminale macello noto con l’epitaffio di “Grande guerra”. lettera a sindaco su cadorna (2)
Viva San Marco
Fabio Padovan
http://www.life.it/wp-content/uploads/2 ... orna-2.pdfLETTERA APERTA AL SINDACO DI CONEGLIANO
Egr. Sig.
Sindaco
Del Comune di Conegliano. Conegliano, 25/03/14
Caro Sindaco ti scomodo un’altra volta per inoltrarti la seguente richiesta confortata da alcune riflessioni e dati storici.
Credo sia giunto il momento di cambiare nella toponomastica di Conegliano il nome di alcune vie non più di attualità, ed anzi controproducenti.
Ve ne sono alcune che rivestono lo stesso negativo significato sia per chi vi abita sia per chi, transitando, ne legge i nomi sulle tabelle indicative.
Cominciamo da quella più eclatante, ma che ho notato solo ultimamente.
Mi riferisco a Via “Luigi Cadorna”, lo sciagurato generale, “Comandante in Capo”, che ha portato al macello centinaia di migliaia di giovani innocenti durante la tragica Prima Guerra Mondiale.
Una guerra che verrebbe voglia di dichiarare futile, per i motivi che l’hanno scatenata, se non fosse che è stata una tragedia immane, che ha causato un dolore incontenibile sul globo terrestre.
Via Luigi Cadorna incombe perpendicolare verso la facciata della Chiesetta dei Frati Cappuccini, alle pendici del Parco Rocca.
Sai, percorrere una via intitolata ad un feroce assassino, non fa certo piacere a chi ha un minimo di dimestichezza con la Storia, che non sia quella roboante delle versioni patriottiche ufficiali.
Una guerra voluta da una sparuta minoranza di esaltati e di fanatici nazionalisti che però l’hanno fatta subire ad una stragrande maggioranza di connazionali che non ne erano minimamente interessati e che in larga parte neanche sapevano dove stavano Trento e Trieste. Pochi industriali e pochissimi politici avevano deciso che l’Italia doveva imbarcarsi in quell’avventura bellica. Così furono le masse operaie e contadine ad essere strappate dalle loro case e lavori per essere avviate al fronte a sopportare, completamente impreparate e non equipaggiate, tribolazioni, malattie e devastazioni. Mica quei quattro fanatici che parlavano di albe radiose e di morte col sole in fronte nei campi gialli di grano.
La povera ubbidiente massa a morire nelle trincee e rincitrulliti generali caporioni a comandare inflessibili da postazioni sicure ben lontane dai rischi. Generali che erano rimasti alle tattiche del secolo precedente, col mito dei grandi assalti frontali di Napoleone.
Il presuntuoso Generale Luigi Cadorna riuscì a trasformare il fronte in un lager dove i “suoi” ragazzi potevano solo obbedire, uscire ripetutamente in assalti suicidi, dannarsi e farsi fucilare dai Carabinieri Italici perché non riuscivano a conquistare quattro sassi, ritenuti “strategici” dalle teste d’uovo dei comandanti.
Cadorna fece piazzare le mitragliatrici dei carabinieri dietro le file destinate agli assalti e fece aprire il fuoco sulla schiene dei soldati se avessero esitato a lanciarsi con ardore (magari cantando “Avanti Savoia”) fuori delle trincee verso le mitragliatrici austriache.
Scrive Lorenzo Del Boca nel suo “Grande guerra, piccoli generali”, da cui ho attinto molto della presente: “Le corti marziali lavorarono a pieno ritmo e i magistrati, seduti sulle stufe arroventate dal fuoco per paura di prendersi un raffreddore, spedirono davanti al plotone d’esecuzione una quantità di poveracci analfabeti che il fango delle trincee aveva mutilato”.
I nostri soldati combattevano come leoni, ma ufficiali ignoranti di qualsiasi strategia, addossavano sempre le colpe alla povera truppa, descritta nei loro roboanti dispacci come un’accozzaglia di cacasotto, i cui superstiti, se pur sfiniti, feriti e mutilati dovevano con urgenza essere spediti prontamente davanti al muro di un qualche cimitero di paese per essere fucilati.
Mandati a morte per mano italiana da tromboni in divisa per nulla tagliati per i combattimenti veri. Buoni solo a pavoneggiarsi ai bordelli.
I nostri fanti non avevano i tronchesini per tagliare i fili spinati? Dovettero talvolta arrangiarsi requisendo le forbici che i contadini usavano per tagliare i tralci delle viti.
Gli eroici ufficiali se ne stavano ben lontani durante le battaglie e poi, a batoste terminate, comparivano per sentenziare: “I reticolati si sfondano con i petti!”, naturalmente degli altri.
Quei cialtroni di comandanti pretendevano con continui nuovi massicci arruolamenti di avere a disposizione più soldati dei proiettili delle mitragliatici nemiche, tanto quei poveri soldatini non erano mica i loro figlioli.
E così sui reticolati si ammucchiava il carnaio italiano, con pochissime perdite per gli austroungarici, come negli assalti del Giugno 1915 nella prima criminale battaglia dell’Isonzo.
Gli austriaci a volte, sparando comodante da seduti, si alzavano a urlare: “Basta, basta morte.
Italiano torna indietro”, perché “Tirare su quegli uomini era più facile che mirare al bersaglio”.
Nella terza battaglia dell’Isonzo i comandanti diedero l’infame ordine di attaccare.
In poche decine di metri quadrati i poveri fantaccini furono maciullati. Impregnarono di rosso le zolle, i cadaveri si ammonticchiavano uno sull’altro. La truppa fu decimata ma il comandante della brigata ordinò agli increduli, esausti, feriti sopravvissuti alla carneficina di tornare fuori a farsi maciullare.
Perbacco!, c’era qualche sopravvissuto ancora da utilizzare!
In pochi giorni, per la vanagloria di qualche “putinot coa divisa” rimasero sul terreno 67.000 (SESSANTASETTEMILA) poveri giovani, le cui mamme attendevano con ansia nella casa che avevano controvoglia lasciata.
Quelli che si salvavano dagli attacchi erano lasciati per giorni sotto la pioggia, nel fango e negli escrementi delle trincee, col rancio freddo e immangiabile, mentre naturalmente gli ufficiali (qualcuno per la verità faceva eccezione) discettavano da lontano, guardando col cannocchiale, di quanto fosse vigliacca la soldataglia incapace.
Ma perché a fine guerra non abbiamo ripagato Cadorna con la stessa moneta con cui aveva pagato i ragazzi terrorizzati che spediva davanti al plotone d’esecuzione?, fucilato anche Cadorna, magari da qualcuno dei “suoi” ragazzi che si fosse offerto volontario.
Il principale responsabile di una carneficina cui sottopose soldatini inconsapevoli, possiamo ben dire, oggi, a distanza di cento anni, è stato uno subdolo, spietato, vigliacco assassino.
Luigi Cadorna, un nome simbolo di vigliaccheria e grettezza che, appena nominato Capo di Stato Maggiore, corse a comprarsi le azioni dell’Ansaldo, azienda che, tra le tante, finanziava i guerrafondai perché le sue acciaierie avrebbero lavorato a pieno ritmo per rifornire di armi i magazzini militari. E lui era ben certo di potersi godere i frutti delle azioni Ansaldo, perché, a differenza dei suoi uomini, lui era sicuro di non cadere perché la prima linea l’avrebbe vista col
binocolo, da lontano, ben riparato.
Questo indecente macellaio scrive alla famiglia: “Ho approvato che alcuni colpevoli o non fossero passati per le armi”. I poveri fantaccini NON colpevoli ringraziano!
Ecco cosa scrisse alla fidanzata un aspirante ufficiale di 26 anni giunto pieno di entusiasmo patriottico da Avellino al “112° Fanteria”: “Avevo un alto concetto della vita militare. Invece qui c’è la feccia. Un giorno dovranno piangere lacrime di sangue per tutto quello che fanno soffrire. La mano divina si farà sentire sul colpevole, sull’infame, sull’ingiusto. Maledetta la guerra, maledetta chi la pensò, maledetto il primo che la nominò”.
Non ci sembra di udire il grido di tutti quei morti ammazzati che chiedono giustizia attraverso la nostra riconoscenza? E’ un dovere, un lascito immenso cui non possiamo sottrarci per servilismo.
Cadorna, che obbliga i suoi sottoposti ad applicare continuamente la DECIMAZIONE.
Il Grande Comandante Supremo emana una circolare datata 1 Novembre 1916: “Resta diritto e dovere dei comandanti estrarre a sorte tra i maggiormente indiziati e punirli con la pena di morte. A codesto ordine nessuno può sottrarsi e io ne faccio obbligo assoluto e indeclinabile a tutti i comandanti”. Ed ecco quindi che lo stesso scrive: “Presso il 75° Fanteria si verificarono casi di indisciplina. Il Comando, con azione pronta ed energica di cui dò ampia e
incondizionata lode, ordinò che due soldati fossero passati per le armi”.
Ed ecco l’ordine del giorno del 23 Ottobre 1916: “ Qualora l’istruttoria del tribunale non conduca all’accertamento del colpevole esigo che un militare sorteggiato per ogni compagnia sia condannato alla fucilazione”.
E così finirono fucilati migliaia di poveretti, rei magari soltanto di aver fatto presente condizioni quotidiane invivibili in trincea o impossibilità tecniche ad eseguire ordini strampalati provenienti da lontano. Come capitò all’alpino Silvio Ortis e ai suoi tre amici.
Oppure vennero decimati interi plotoni colpevoli di non essersi fatti ammazzare tutti quanti nei ripetuti inutili tentativi di prendere una vetta austriaca imprendibile.
Finirono fucilati alpini bendati, eroi delle guerre d’Africa, volontari, padri di famiglia e semplici ragazzi che non capivano cosa gli stesse succedendo finchè il plotone non sparò loro addosso.
Anche Conegliano ha avuto famiglie che hanno perso molti componenti sulle trincee della grande guerra:
i fratelli Barazza, Giocondo e Giovanni; i fratelli Basso, Giulio, vent’anni, e Luigi, venticinque, di Costa; i fratelli Biral, Francesco e Matteo; i fratelli Bottega, Antonio e Francesco; i tre fratelli Calderolla, Augusto, Giacomo e Luigi, di Collalbrigo; i fratelli Ceschin, Giuseppe e Giusto (“secondo figlio offerto alla patria dai vecchi genitori” recita l’epitaffio retorico!; ma i vecchi genitori avrebbero dato la loro vita per tenerseli a casa invece!); i fratelli Dal Bianco, Arcangelo e
Tranquillo, nati a Santa Lucia di Piave, ma residenti a Conegliano; i fratelli Dal Bò, Giovanni e Girolamo; i due fratelli Dal Cin, Antonio e Pietro di Collalbrigo; i fratelli Dottor, Domenico, morto sul Monte Piana e dopo pochi mesi Pietro; i fratelli Gatti, Antonio e Giuseppe; i fratelli Moret, Antonio e Tiziano; i fratelli Nardo, Domenico e Vittorio, originari di Mareno di P.; i fratelli Pagotto, Antonio e Giovanni; i fratelli Piai, Angelo e Gerardo; i fratelli Rosada, Giovanni e Luigi; i fratelli Silvestrin, Vittorio e Antonio; i fratelli Spinazzè, Giuseppe e Natale; i fratelli Stringher, Giuseppe e Luigi; i fratelli Tonon, Giovanni e Vittorio da Ogliano; i fratelli Vazzoler, Bonaventura e Ruggero.
Figli unici, come Benvenuti Giuseppe, 26 anni, perduti per la follia dei pazzi e assassini. Padri, come Pasqualotti Angelo del 1882, morto a 34 anni, che ha lasciato moglie e cinque figli.
Tutti mancati cittadini della nostra città. Tanti, troppi giovani che lasciano genitori, vedove e orfani.
E’ tempo di rimuovere dalla nostra vista quel nome ignobile di un eroe da strapazzo e dedicare la stessa via magari a qualche vero eroe veneto, che ha messo in gioco coscientemente la propria vita per il bene di un comune ideale, come il grande Marcantonio Bragadin o uno dei Serenissimi del 9 Maggio 1997.
Oppure dedichiamola a qualcuno di quei ragazzi coneglianesi che hanno lasciato, senza un perché, le loro giovani vite lontano dalle carezze della mamma. Magari potrebbe andare bene proprio “Via Fratelli Calderolla”.
Caro Sindaco,
è ora nostro sacrosanto dovere cancellare dalla toponomastica nomi vergognosi che infangano la civiltà e il decoro.
Fabio Padovan