Le falsità del mito fascista dei nazionalisti italo-fascisti

Le falsità del mito fascista dei nazionalisti italo-fascisti

Messaggioda Berto » lun lug 17, 2017 2:15 pm

La demenzialità antisemita e filoislamica della stupida ideologia nazional-fascista


https://it.wikipedia.org/wiki/Fascismo_ ... ne_ebraica

http://www.italia-liberazione.it/novece ... lotti.html



Benito Mussolini, in un libro l'amicizia tra il Duce e l'islam
23 Aprile 2017

http://www.liberoquotidiano.it/news/per ... lmani.html

E' un tema poco esplorato, quello del rapporto tra Fascismo e nazismo da una parte e musulmani dall'altra. Ma negli ultimissimi tempi, due libri hanno fatto luce su questi rapporti, evidenziando come fossero forti e strutturali, in una chiave sopratutto anti-ebraica. "Bambini in fuga" di Mirella Serri racconta sopratutto del forte legame non solo ideologico tra Adolf Hitler e il Gran Muftì di Gerusalemme. In "Mussolini e i musulmani", invece, Giancarlo Mazzucca e Gianmarco Walch si concentrano sul fascino che islam e mondo arabo ebbero sul Duce.

Un interesse che, scrivono i due autori, ebbe origine da un misto di ragioni di carattere personale e di politica estera. Nel primo caso si trattò di una affettuosa amicizia che Mussolini intrattenne con la giornalista Leda Rafanelli, detta l'odalisca, di fede musulmana, negli anni Dieci del Novecento. Nel secondo caso, negli anni Trenta, fu l'antisemitismo a spingere il capo del governo italiano e gli islamici dalla stessa parte della barricata. In quegli anni il Duce guardò con sempre maggiore attenzione ai paesi islamici, imponendo nel 1934 a Radio Bari di trasmettere programmi in lingua araba e curando i rapporti commerciali con quei Paesi, da cui, come scrive il quotidiano Il Messaggero, venne ricambiato con fervore: là nacquero infatti diversi movimenti come le Falangi Libanesi, le Camicie Verdi, il Partito Giovane Egitto e le Camicie Azzurre che seguivano il fascismo come esempio tramite il quale nazionalizzare le masse per via autoritaria.

Il feeling proseguì negli anni di guerra con il progetto di costruire in Italia una legione araba fedele alle forze dell'Asse, con la benedizione del Gran Muftì di Gerusalemme, al quale Mussolini nel '36 diede la disponibilità a fornire uomini e materiale per mettere in atto l'avvelenamento dell'acquedotto di Tel Aviv, città nella quale avevano trovato rifugio gran parte degli Ebrei in fuga dalle leggi razziali in Europa. Il piano fu poi abbandonato, ma al Gran Muftì arrivarono dal governo italiano 138mila sterline, che allora erano una cifra davvero cospicua.



Mezza lira per i lavori forzati così il duce umiliava gli ebrei
Elena Loewenthal

http://www.lastampa.it/2017/04/07/cultu ... agina.html

Un assegno di una mezza lira. Erano pochi soldi, anche negli Anni 40, ma abbastanza per beffarsi degli ebrei ai lavori forzati. L’assegno è stato scoperto a Roma e rappresenta un documento storico unico. È stato emesso dalla Banca Nazionale del Lavoro ad Anselmo Pavoncello come retribuzione per il lavoro a cui il regime fascista lo costringeva, sulle sponde del Tevere, durante l’estate del 1942. Pavoncello era lo zio materno di Fortunata Di Segni, detta Ada, moglie di Pacifico Di Consiglio, ovvero «Moretto», la cui storia è raccontata nel libro Duello nel ghetto di Maurizio Molinari e Amedeo Osti Guerrazzi.

Alberto Di Consiglio, il figlio di Ada e Moretto, ha ritrovato l’assegno, mai incassato, testimonianza dell’ulteriore umiliazione a cui furono sottoposti gli ebrei italiani durante il fascismo. «Ho ricordi precisi di quando lo zio ricevette questo assegno», racconta Ada, 88 anni. «Durante la guerra, quando c’erano i bombardamenti, ci riunivamo in strada per parlare e passare il tempo. Un giorno, mentre eravamo tutti assieme, arrivò zio Anselmo con il volto turbato, ci disse che aveva ricevuto un assegno per il lavoro coatto, svolto per un’intera stagione, in mezzo alla sporcizia del fiume: ce lo mostrò, noi notammo la cifra irrisoria, e poi infuriato lo strappò. Mia madre gli disse che era importante conservarlo, e che un giorno sarebbe servito per raccontarne la storia. Per lui l’assegno fu una vera umiliazione».

Un’umiliazione quanto lo era stato il lavoro a cui venne costretto assieme agli altri ebrei romani, che se si fossero rifiutati di farlo sarebbero stati arrestati dai fascisti. «Quando lo zio era ai lavori forzati, mia nonna era talmente preoccupata per lui che un giorno mi chiese di accompagnarla a vedere cosa faceva», racconta Ada. «Andammo di nascosto, non volevamo farci vedere da lui, altrimenti si sarebbe sentito ancor più umiliato. Lo guardavamo da lontano, mentre spalava la terra e la gettava nel fiume. Faceva caldissimo, portava un fazzoletto in testa e una canottiera. Era assieme ad altri ebrei romani e c’era una guardia con un fucile a controllarli. Tornammo a casa, mia nonna era disperata e piangeva».

Era il periodo che precedeva la fine per gli ebrei, un periodo di totale precarietà in cui la pericolosità era palpabile. Per Anselmo, come per tutti gli ebrei romani, la situazione precipitò poi velocemente: «L’ambiente era pesante e la situazione paradossale: gli ebrei perseguitati agli occhi di molti sembravano dei privilegiati, perché non erano in guerra», spiega lo storico della Shoah Marcello Pezzetti. «Per questo il regime adotta il lavoro obbligatorio come una sorta di risarcimento per il presunto privilegio. Così facevano anche vedere ai tedeschi che il problema ebraico lo risolvevano in casa».

Quando Anselmo non poté più lavorare, si organizzò per portare qualche soldo a casa, facendo il venditore ambulante al Colosseo. «Un giorno venne a trovarci nel convento dove eravamo nascosti», continua Ada. «Avevo 14 anni, ci lasciò dei soldi, capiva che era a rischio, cominciava a essere diffidente. Fu l’ultima volta che lo vidi. Qualche giorno dopo mamma mi disse che lo avevano preso i fascisti. Lo portarono al carcere di Regina Coeli, assieme a suo fratello Angelo».

Anselmo fu deportato a Fossoli, poi ad Auschwitz, e fu ucciso a Dachau. «Non conoscevo il suo destino alla fine della guerra», dice Ada. «Con la Liberazione gli americani ci lanciavano sigarette, io le conservavo in una valigetta per lui. Lo amavo come un padre, era un uomo buono. Fu dopo un anno dalla fine della guerra che un sopravvissuto ci disse che lo aveva visto morire».

L’assegno è l’unico ricordo che Ada possiede di suo zio, e fu Moretto a ricomporne i pezzi dopo tanti anni: «Moretto, che aveva la passione di conservare tutto, lo prese e lo incorniciò. Temeva che andasse perduto e capì che era un documento importante, una testimonianza», chiude Ada. «Adesso lo regalerò a mio nipote Roberto, e spero che lui faccia lo stesso con i suoi nipoti. Aveva ragione mia madre a chiedere a zio Anselmo di conservarlo».


Le leggi razziali fasciste sono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi (leggi, ordinanze, circolari, ecc.) applicati in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni quaranta, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana.

https://it.wikipedia.org/wiki/Leggi_razziali_fasciste

Esse furono rivolte prevalentemente – ma non solo – contro le persone di religione ebraica. Furono lette per la prima volta il 18 settembre 1938 a Trieste da Benito Mussolini, dal balcone del Municipio in Piazza Unità d'Italia in occasione di una sua visita alla città. Furono abrogate con i regi decreti-legge nn. 25 e 26 del 20 gennaio 1944, emessi durante il Regno del Sud.
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Le falsità del mito fascista dei nazionalisti italo-fascisti

Messaggioda Berto » mar lug 18, 2017 7:30 am

???

VENETO SERENISSIMO GOVERNO

Ufficio di Presidenza

Vincere il referendum per l'autonomia anche per arginare l'invasione islamica

In questi giorni infuria una sterile polemica sul fascismo ed i suoi gadget che servono solo a mantenere qualche penoso nostalgico del regime, e far salire sul palcoscenico i detrattori o i favorevoli ad una proposta di legge che punirebbe appunto i nostalgici del ventennio fascista.

Ritengo questa polemica sterile, non per il fatto che il fascismo non sia da condannare sempre e comunque, ma perché queste diatribe sottostanno al classico relativismo culturale tipico della politica italiana.

Se si condanna il fascismo/nazismo è altresì necessario condannare, (attraverso leggi ad hoc) anche gli eredi del gran Mufti di Gerusalemme che era alleato al fascismo/nazismo durante il secondo conflitto mondiale, uniti dall'odio antiebraico, da una visione della società misogina e maschilista, e dalla volontà di assoggettare e ridurre in schiavitù chiunque non si piegasse alle loro criminali ideologie. Il fascismo con il nazismo sono stati sconfitti militarmente, ma il loro alleato (l'estremismo islamico) è nel frattempo cresciuto e sta continuando a dilagare nel mondo mostrando una volontà sempre più tenace alla diffusione di politiche di odio e di sottomissione verso i non islamici, attraverso un'evidente politica di invasione dell'europa (e degli Stati Uniti d’America) con la complicità dei governi e delle istituzioni europee.

Questi politici da operetta che si stanno dilungando su leggi contro il fascismo lo stanno evidentemente facendo per nascondere i veri problemi con cui dobbiamo confrontarci, e verso cui dobbiamo agire.

Il problema principale è l'invasione dei presunti profughi, che, non solo sono evidentemente per il 95% dei non-profughi, ma possiamo anche dire che non sono neppure migranti economici (perché questo vorrebbe dire che vogliono lavorare), sono evidentemente spinti dall’idea che l'europa sia il luogo dove poter vivere sulle spalle dei popoli europei, ovvero dove loro comandano e noi li manteniamo.

Nella penisola non possiamo più mantenere nessuno di questi presunti profughi, i quali è bene ricordarlo, non hanno nessuna intenzione di integrarsi né di accettare le nostre leggi, ma anzi sfruttano la nostra democrazia per così assoggettarci e ridurci in stato di schiavitù. Non sono esagerato quando affermo che ci stanno riducendo in schiavitù: li andiamo a prendere nelle loro terre, li manteniamo, i parlamenti emanano leggi che danno loro più diritti e meno doveri rispetto a quelli cui siamo tenuti noi, viene loro garantita assistenza sanitaria gratuita. Mi sembra utile rilevare anche che ai contribuenti della penisola (perché siamo solo contribuenti, non certo cittadini!) non è permessa la legittima difesa, ma a queste “risorse” viene permessa di contro totale impunità qualsiasi tipo di violenza commettano nei nostri confronti, perché “è la loro cultura a prevederlo”. Le organizzazioni “umanitarie” garantiscono loro prestiti a fondo perduto per aprire attività, il governo vuole una legge per garantire la cittadinanza senza che questi accettino, conoscano, né tanto meno condividano, la nostra cultura e le nostre tradizioni.... Se non facciamo qualcosa arriveremo sicuramente alla nostra eutanasia culturale e non solo.

Io ritengo che sia necessario dire basta a questo scempio, e che ogni popolo della penisola riprenda in mano il proprio destino. Non pretendo di parlare per tutti i popoli, ognuno deve autodeterminarsi e diventare padrone di sé stesso. Per quanto riguarda il Veneto ritengo che il tempo di delegare ad altri il nostro futuro sia ormai terminato, dobbiamo agire, cominciando con il referendum per l'autonomia del 22 ottobre; è necessario affermare con il nostro SI che non vogliamo più aver nulla a che fare con l'italia e con i suoi disastri. Dopo il 22 ottobre sarà il Popolo Veneto a decidere il grado di autonomia che desidera, non dobbiamo chiedere che ci venga “concesso” nulla all'occupante italiano, perché la storia oltre che il diritto internazionale ci insegnano che abbiamo il diritto di vivere da Popolo libero. Noi Veneti non siamo mai entrati legalmente in italia, abbiamo subito un'illegale occupazione dal 1866, ora è giunto il tempo di sanare questa ingiustizia....tutti uniti possiamo farlo!

Longarone, 16 luglio 2017

Il responsabile del Rifacimento del Referendum del 1866
Demetrio Shlomo Yisrael Serraglia

Veneto Serenissimo Governo

pepiva@libero.it- kancelliere@katamail.com
Tel. +39 328 7051773 - +39 349 1847544 - +39 340 6613027
http://www.serenissimogoverno.eu
http://www.radionazionaleveneta.org



Pento Alberto
Non è l'estremismo islamico che va comparato al fascismo e al nazismo ma l'Islam che altro non è se non il nazismo maomettano di cui l'estremismo islamico è la perfetta imitazione



Hitler e Maometto: chi è stato il peggior criminale?
viewtopic.php?f=188&t=2659

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... lIslam.jpg

Islam o nazismo maomettano è l'ideologia-culto politico-religiosa dell'odio.
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Messaggioda Berto » ven nov 03, 2017 4:49 am

Un prete fascista, nostalgico di Mussolini che lo esalta:
https://www.facebook.com/fabio.nicolett ... 5565728215
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Messaggioda Berto » dom nov 12, 2017 10:30 am

Utopie demenziali e criminali - falsi salvatori del mondo e dell'umanità
viewtopic.php?f=141&t=2593


Utopie che hanno fatto e fanno più male che bene e molto più male del male che pretenderebbero presuntuosamente e arrogantemente di curare.

Totalitarismi e imperialismi maomettano (mussulmano o islamista), comunista (internazicomunista), nazista (fascista e nazista), globalista, idolatria cattolico-ecumenista, ...
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Messaggioda Berto » dom gen 14, 2018 9:36 pm

Fascismo e Africa

L’impero e l’economia
«Africa Italiana», febbraio-marzo 1942.

https://storicamente.org/gagliardi_colo ... a_fascismo


Nelle dichiarazioni pubbliche, nei documenti ufficiali e nelle direttive emanate dal governo fascista dopo la proclamazione dell’impero, il 9 maggio 1936, non si rintraccia l’esistenza di alcun piano generale per la «valorizzazione» (termine anodino con cui si intendeva lo sfruttamento dei possedimenti) dei possedimenti africani. Anche la propaganda, a parte l’indicazione di alcuni specifici obiettivi, insistette su formule generiche, come quella dell’«impero del lavoro» o della colonia come spazio ideale per la formazione dell’«uomo nuovo» fascista, frugale, guerriero e consapevole della propria superiorità razziale [Mondaini 1937; Pes 2007][1]. Non si trattava solo di scelte retoriche. Al momento dell’avvio delle operazioni militari contro l’Etiopia non c’era alcun programma preciso su cosa l’economia della nuova colonia sarebbe dovuta diventare dopo la conquista, né una precisa quantificazione preventiva della sostenibilità dei costi e dei vantaggi attesi [Labanca 2002b, 279]. Ancora all’indomani della proclamazione dell’impero, Mussolini faceva affidamento sul volontarismo e sullo «spirito fascista» più che su una ponderata programmazione:

Il territorio dell’Etiopia – dichiarò nel luglio 1936 – è oggi così vasto e le sue risorse così poco note che sarebbe impossibile fare un calcolo realistico degli anni necessari perché renda. L’impresa certamente richiederà parecchi decenni. Tuttavia, noi marceremo, come sempre, rapidamente e, dopo pochi anni, i risultati della volontà e del lavoro italiano diventeranno visibili. In questo compito saremo animati dallo spirito e dal metodo fascista che hanno creato un ordine nuovo [Mussolini 1936b, 25].

Sarebbe tuttavia sbagliato confondere impreparazione, scarsa conoscenza e mancata pianificazione con un disinteresse per lo sfruttamento economico dei territori coloniali. Il regime fascista si mostrò infatti disponibile a mettere in campo interventi statali e investimenti pubblici nell’oltremare decisamente più elevati di quelli realizzati dai governi del passato.

Il presente contributo intende offrire una panoramica delle modalità di funzionamento e dei risultati conseguiti dalle politiche di valorizzazione del colonialismo fascista in relazione ai diversi obiettivi da questo perseguiti; obiettivi che sostanzialmente corrispondevano con quelli delle tradizionali politiche imperialiste. Ci si concentrerà sull’esperienza coloniale dell’Africa orientale italiana (Aoi) – che riuniva due vecchie colonie italiane in Africa, Somalia ed Eritrea, e la più recente conquista, l’Etiopia – e si prenderà in esame il funzionamento dell’economia italiana, lasciando quindi sullo sfondo i riflessi sulle attività economiche e sull’organizzazione sociale delle colonie.

Il colonialismo demografico

L’obiettivo indicato con maggiore enfasi fu la colonizzazione demografica, nella quale il regime vedeva una soluzione per il problema della disoccupazione, soprattutto agricola, e dell’assorbimento della crescita naturale della popolazione. Si trattava di un’aspirazione non nuova, che da Crispi in poi aveva occupato un posto rilevante nei circoli coloniali italiani: un’aspirazione, però, rimasta fino a quel momento sulla carta. Alla metà degli anni Trenta, in Somalia ed Eritrea, sotto il dominio italiano da oltre un quarantennio, gli insediamenti di coloni risultavano ancora estremamente modesti, nonostante i tentativi realizzati soprattutto in territorio eritreo [Negash 1987: 33-37]. La stessa Libia, oggetto di un ambizioso progetto di colonizzazione, non aveva visto realizzarsi le condizioni per divenire un punto di arrivo di grandi masse di italiani. Il colonialismo demografico annunciato dal fascismo intendeva quindi porsi in forte discontinuità con la reale situazione dei possedimenti acquisiti dai governi liberali.

Fu proprio Mussolini a insistere, al momento dell’inizio dell’aggressione all’Etiopia, sulla volontà di creare una nuova Italia oltremare, composta di centinaia di migliaia di coloni che avrebbero trovato lavoro e benessere senza sottrarre alla patria forze giovani e vitali. L’obiettivo della conquista, disse, era garantire «la possibilità di espandersi per un popolo prolifico, il quale, avendo coltivato il coltivabile sulla propria terra spesso ingrata, non si rassegna a morire di fame» [Mussolini 1935a, 138]. La guerra, dichiarò poi in un’intervista al «Paris soir», aveva l’obiettivo di garantire al popolo italiano «il riconoscimento del suo preciso diritto: quello di vivere»: «Al mio primo segnale i nostri soldati dell’Africa Orientale scambieranno di buon grado il fucile con la zappa. Essi non chiedono che di lavorare per poter sostenere le loro famiglie, alle quali inviano già, con un meraviglioso spirito di risparmio, le loro modeste economie» [Mussolini 1935b, 162]. E ancora, nell’agosto 1936, alcuni mesi dopo la proclamazione dell’impero: «hanno diritto all’impero i popoli fecondi, quelli che hanno l’orgoglio e la volontà di propagare la loro razza sulla faccia della terra, i popoli virili nel senso più stretto della parola» [Mussolini 1936c, 30].

L’obiettivo del colonialismo demografico era dirottare verso i possedimenti oltremare la più alta quota possibile di flussi migratori precedentemente diretti verso l’estero, per mettere fine, una volta per tutte, alla lunga storia degli italiani popolo di emigranti [Labanca 2002a, 194]. Con la conquista dell’Etiopia, secondo i teorici del colonialismo, si poteva realizzare il progetto, fallito in Libia, di un colonialismo marcatamente «popolare», e dare vita a un impero del lavoro» [Fossa 1938].

La colonizzazione demografica si legava strettamente, nei progetti del fascismo, alla valorizzazione agraria. In concreto, il progetto della «colonia di popolamento» ricalcava, nelle linee generali, quello di colonizzazione interna messo in atto con le grandi bonifiche degli anni Trenta. Esso prevedeva l’acquisizione da parte del governo dei terreni, il loro inserimento nel demanio pubblico e la successiva assegnazione agli apparati – come il Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione, l’Opera nazionale combattenti, l’Istituto nazionale fascista per la previdenza sociale e gli enti regionali di colonizzazione – cui era assegnato il compito della colonizzazione. Lo Stato avrebbe dovuto sostenere l’operazione fornendo incentivi, credito speciale, premi e sussidi per favorire la bonifica e la colonizzazione da parte delle famiglie assegnatarie dei terreni [Ipsen 1997, 164].

La realizzazione di questo programma iniziò presto. Già nell’ottobre 1935, al momento dello scoppio delle ostilità, migliaia di lavoratori – sotto il controllo del Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione interna – si trasferirono in Etiopia al seguito delle truppe, per iniziare la costruzione delle opere pubbliche con cui predisporre la colonizzazione [Gallo 2015: 142-145]. All’indomani della proclamazione dell’impero le autorità coloniali impressero una forte accelerazione, rifuggendo da approcci più graduali e calibrati sugli effettivi contesti locali[2]. L’afflusso di lavoratori italiani nei possedimenti da allora crebbe costantemente, anno dopo anno, a ritmi, però, sempre ben lontani da quelli previsti e sperati. Da subito infatti la colonizzazione demografica incontrò diversi ostacoli.

Innanzitutto, i progetti del fascismo si dovettero scontrare con la dura realtà della mancata pacificazione dell’Etiopia: in ampie porzioni del territorio rimase attiva una vasta e combattiva resistenza, che costrinse il governo italiano a proseguire le ostilità ben dopo la proclamazione dell’impero, con un minor spiegamento di forze ma con un ulteriore imbarbarimento dei combattimenti[3]. Ampie zone dei territori dell’Aoi sfuggivano quindi al pieno controllo delle autorità coloniali, e risultavano quindi di fatto indisponibili per i progetti di valorizzazione economica: gli italiani furono a lungo padroni soltanto dei centri abitati e delle linee di comunicazione, mentre nella campagna imperversavano, nonostante i continui rastrellamenti, i gruppi della resistenza etiope [Del Boca 1982, 126]. Il persistere della guerriglia e le dure azioni di contrasto e repressione praticate dalle forze armate italiane comportavano inoltre una militarizzazione dell’intera vita coloniale, che contribuiva a rendere più ardue le condizioni di vita degli italiani. Nel timore che l’arrivo di masse troppo ampie di coloni potessero rafforzare la ribellione, provocando l’adesione alla resistenza anticoloniale degli etiopi penalizzati dall’arrivo degli italiani, il governo italiano, su esplicita volontà di Mussolini, dal 1938 decise di rallentare il processo di colonizzazione [Podestà 2004, 292].

Lo stesso territorio etiopico, d’altra parte, presentava condizioni che certo non favorivano i progetti del regime: si trattava di una superficie molto vasta, che i geografi del tempo misuravano in circa 900.000 km quadrati (tre volte la superficie dell’Italia), sprovvisto di una rete adeguata di vie di comunicazione e con molte zone difficilmente raggiungibili [Labanca 2002b, 279]. La realizzazione della colonizzazione contadina fu frenata anche dai ritardi e dalle inefficienze con cui l’amministrazione coloniale procedette alla scelta delle aree adatte in cui intervenire e alle procedure di indemaniamento per portare le terre sotto il possesso degli enti incaricati dei progetti di colonizzazione. A determinare questi ritardi contribuirono anche le incertezze delle autorità italiane, e il dubbio, diffuso nelle élite politiche e amministrative del colonialismo fascista, che l’impiego di manodopera proveniente dalla madrepatria, remunerata molto di più di quella locale, avrebbe reso i prodotti più cari e quindi meno competitivi per l’esportazione [Brancatisano 1994; Larebo 1994].

I risultati conseguiti – pur considerando il poco tempo che il governo italiano ebbe a disposizione – furono alla fine estremamente modesti. Nel 1940 secondo i dati diffusi dal regime erano presenti in Aoi circa 300.000 italiani [Labanca 2002a, 199]. Si tratta di una stima non verificabile (il servizio statistico del ministero dell’Africa italiana indicava, solo per i quindici centri principali, un dato equivalente alla metà) [Ipsen 1997, 174], che indica un flusso di popolazione comunque non irrilevante ma ben lontano dagli impegni iniziali, che vagheggiavano un oltremare «popolato da milioni di italiani» [Astuto 1940, 430]. Erano numeri anche molto distanti da quelli che potevano vantare altri sistemi coloniali, in particolare quello francese: basti pensare che la sola Algeria alla metà degli anni Venti contava più di 830.000 bianchi. Inoltre, tra le migliaia di italiani trasferitisi in Aoi nella seconda metà degli anni Trenta, solo una minima percentuale era composta da lavoratori agricoli impiegati nei progetti di colonizzazione. Per la gran parte, infatti, si trattava di lavoratori impegnati nel settore edilizio e nella costruzione di infrastrutture, recatisi in Africa anche solo temporaneamente [Gallo 2015: 151, 201-202; Rosoni, Chelati Dirar 2012], cui si aggiungevano commercianti, professionisti, imprenditori, generalmente residenti nelle maggiori città, per non contare poi le tradizionali figure degli amministratori coloniali, funzionari e tecnici specializzati alle dipendenze dello Stato (agronomi, veterinari, ingegneri, tecnici minerari, tra gli altri). A costoro si sommavano infine i militari, presenti in numero massiccio in conseguenza delle modalità fortemente militarizzate adottate nei rapporti con le popolazioni locali e che trovava ulteriori giustificazioni nella difficoltà a raggiungere un pieno controllo del territorio.

La percentuale di coloni in senso stretto risultava alla fine particolarmente esigua: poche centinaia di famiglie arrivarono in Africa orientale nell’arco di quattro anni, con un picco nel 1938 cui seguì una nuova riduzione (cfr. tab. 1). Insomma, se l’afflusso nelle colonie italiane in Africa fu, nel complesso, deludente, i risultati della colonizzazione demografica e agricola appaiono addirittura irrisori. Le autorità italiane alla fine ne presero atto e tardivamente iniziarono a rivedere i programmi, prima rallentando e poi rimandandone l’attuazione integrale. Indicativo in questo senso è, tra gli altri, un documento del 1940 del vice governatore generale Enrico Cerulli, indirizzato al ministro dell’Africa italiana Attilio Teruzzi, nel quale si proponeva una gestione più «flessibile» dei territori, destinandone solo una parte alla colonizzazione demografica[4].
...




Quando il Duce in Africa sguainò la Spada dell'Islam
Giancarlo Mazzuca Gianmarco Walch - Dom, 12/03/2017
Giancarlo Mazzuca
con Gianmarco Walch

https://it.wikipedia.org/wiki/Africa_Orientale_Italiana


Nel marzo 1937 andò in onda l'apoteosi di Mussolini: il coronamento del suo sogno africano, musulmano e islamico. Tutto si consumò in pochi giorni con la missione del duce in Libia, organizzata minuto per minuto da Italo Balbo, il mitico trasvolatore nominato il 1º gennaio 1934 governatore a Tripoli, che allora si rivelò vincente sul piano politico e propagandistico.

Una vera e propria passerella che Benito concluse, in sella a un cavallo, sguainando la famosa Spada dell'Islam, simbolo dell'autoincoronazione come «protettore dei fedeli di Allah».

Sbarcato il 12 marzo a Tobruk dall'incrociatore Pola, il capo del fascismo percorse la Via Balbia, la litoranea dedicata a Italo Balbo e da lui voluta, che congiungeva Tripolitania e Cirenaica, fino ad allora sprovviste di proprie reti stradali. (...)

All'inizio della missione il capo del fascismo si mosse con prudenza. A un gruppo di giornalisti egiziani dichiarò: «Dite, dite ai vostri lettori che il Governo e il popolo italiano desiderano vivere con il popolo egiziano nei termini della più cordiale simpatia e amicizia». D'altronde, il viaggio in Libia aveva soprattutto lo scopo di consolidare il consenso attorno al regime, dopo la crisi, a cavallo del decennio, dovuta soprattutto alla riduzione dei salari. Raccontavano le cronache dettagliate dei cronisti al seguito, embedded si direbbe oggi, che il duce aveva visitato città, villaggi e concessioni, passato in rivista formazioni militari, regionali e indigene. Aveva sostato nelle Case del Fascio, nelle scuole. Si era interessato della vita dei coloni e delle aspirazioni dei locali. Al villaggio Luigi Razza, nelle vicinanze di Cirene, l'avevano accolto emigrati dall'Abruzzo e dalla Calabria, ottanta famiglie, seicentoventisette persone. Proseguendo lungo la litoranea, Mussolini aveva inaugurato l'Arco dei Fileni. Notte in tenda, gli ascari a fargli da guardia d'onore. All'alba, alle 5.30, rito dell'alzabandiera, poi in auto all'aerodromo «Arae Philaenorum», la gloriosa e furba reminiscenza dei due fratelli cartaginesi, i Fileni, che si erano scontrati, loro lealmente, in una gara di corsa contro avversari di Cirene: parola di Sallustio. A quel punto, Mussolini salì su un trimotore, rotta Sirte. Quindi Tauorga, Misurata, Tripoli. Vi arrivò poco dopo il tramonto. Alle mura, scese dall'auto e fece un ingresso scenografico a cavallo, primo di 2600 cavalieri. Trionfo. Ovazioni. Bagno di folla.

Il giorno dopo il duce aveva inaugurato la Fiera di Tripoli pronunciando il primo dei due discorsi politici di peso nel corso della missione. (...) «Nel 1926 io venni qui per dare quello che fu chiamato, e come tale rimase nelle cronache, uno scossone alla Colonia. I risultati sono visibili agli occhi di chiunque. Corona, questa opera di trasformazione, la Litoranea libica, impresa gigantesca, che soltanto ingegneri italiani e operai italiani potevano portare a compimento in termine di tempo rapidissimo». Agli altri, ai musulmani, riservò poche parole. E una sintetica assicurazione: «Le popolazioni musulmane sanno che, col tricolore italiano, avranno pace e benessere e che le loro usanze e, soprattutto, le loro religiose credenze saranno scrupolosamente rispettate».

Benito si doveva già barcamenare nelle sabbie mobili della guerra civile spagnola ed era costretto a replicare agli allarmismi «nevropatici» diffusi dalla stampa internazionale: «Questo viaggio è imperialista? Sì, nel senso che a questa parola hanno dato, danno e daranno i popoli virili. Ma non ha disegni reconditi e mire aggressive contro chicchessia. Ci armiamo sul mare, nel cielo e sulla terra, perché questo è il nostro imperioso dovere di fronte agli armamenti altrui». (...)

Il 18 marzo, Benito aveva assistito a un'azione tattica, ammirato una «fantasia» indigena, inaugurato scuole. Finalmente era arrivato all'oasi di Bùgara, dove lo attendevano duemila cavalieri arabi. Quando apparve sulla duna più alta, i tamburi cominciarono a rullare freneticamente al triplice grido di guerra «Uled!». Ed ecco, Mussolini, in sella a uno splendido cavallo, ricevere la Spada dell'Islam finemente decorata con fregi in oro massiccio. A consegnargliela Yusuf Cherbisc, un capo berbero grande sostenitore dell'alleanza con gli italiani, che si rivolse al duce con queste parole: «Vibrano accanto ai nostri animi in questo momento quelli dei musulmani di tutte le sponde del Mediterraneo che, pieni di ammirazione e di speranza, vedono in te il grande uomo di Stato, che guida con mano ferma il nostro destino».

Benito sguainò la spada puntandola verso il sole. E lanciò a sua volta il grido di guerra.

Con tutto il seguito, rientrò poi a Tripoli: in piazza Castello l'attendeva una folla immensa. Sempre a cavallo, la spada assicurata alla sella, Mussolini era salito su una piattaforma di terra pressata. «Saluto al duce!» ordinò Balbo, che aveva fatto proprio un recente ordine di servizio: il capo del fascismo viene prima del re. «Uled!» urlarono ancora, tre volte, i cavalieri arabi, ritti sulle staffe. Un imperioso cenno di silenzio. A quel punto, fece risuonare le parole tanto attese, anche dalle cancellerie europee: «Musulmani di Tripoli e della Libia! Giovani Arabi del Littorio! Il mio Augusto e Potente Sovrano, Sua Maestà Vittorio Emanuele III, Re d'Italia e Imperatore d'Etiopia, mi ha mandato, dopo undici anni, ancora una volta su questa terra dove sventola il tricolore per conoscere le vostre necessità e venire incontro ai vostri legittimi desideri». E la spada? «Voi mi avete offerto il più gradito dei doni: questa spada, simbolo della forza e della giustizia, spada che porterò e conserverò a Roma fra i ricordi più cari della mia vita. (...) L'Italia fascista intende assicurare alle popolazioni musulmane della Libia e dell'Etiopia la pace, la giustizia, il benessere, il rispetto alle leggi del Profeta e vuole inoltre dimostrare la sua simpatia all'Islam e ai Musulmani del mondo intero». Quindi, non solo Tripoli e Addis Abeba, ma anche Egitto, Palestina, Siria: dovunque i muezzin diffondevano la parola di Maometto. Chiusura con un ultimo punto esclamativo: «Voi sapete che io sono un uomo parco nelle promesse, ma quando prometto mantengo!». Con la spada brandita, il duce aveva lanciato il suo grande messaggio. (...)

A coronamento dell'operazione, l'anno successivo, nella stessa piazza Castello di Tripoli verrà eretto un monumento a Mussolini. L'iscrizione sul basamento di travertino era tutta un programma: «A Benito Mussolini/ pacificatore/ redentore della terra di Libia/ le popolazioni memori e fiere/ dove fiammeggiò la spada dell'Islam/ consacrano nel segno del Littorio/ una fedeltà che sfida il destino». Il dado era, ormai, tratto. (...)

Dalla sfida con il destino anche la Spada dell'Islam, non solo il fascismo, uscì sconfitta. La sua sorte la rivelò Rachele Mussolini: «Era conservata in una teca di vetro alla Rocca delle Caminate. Fu rubata nel 1943, quando la Rocca venne devastata dagli antifascisti». (...) Probabilmente neppure lei sapeva che il simbolico manufatto non era stato forgiato da abili artigiani berberi, come voleva la leggenda, ma era d'importazione toscana: prodotta dalla ditta Picchiani e Barlacchi made in Florence. E forse non sapeva neppure che la fotografia di Benito a cavallo che sguaina la spada era un falso. Be', non totalmente. Solo era stato cancellato il palafreniere che, per sicurezza, reggeva le redini al quadrupede. Vizio classico dei regimi, manipolare le foto... E non solo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Le falsità del mito fascista dei nazionalisti italo-fascisti

Messaggioda Berto » dom gen 14, 2018 10:09 pm

Le leggi razziali

https://it.wikipedia.org/wiki/Leggi_razziali_fasciste

Le leggi razziali fasciste sono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi (leggi, ordinanze, circolari, ecc.) applicati in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni quaranta, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana.
Esse furono rivolte prevalentemente – ma non solo – contro le persone di religione ebraica. Il loro contenuto fu annunciato per la prima volta il 18 settembre 1938 a Trieste da Benito Mussolini, da un palco posto davanti al Municipio in Piazza Unità d'Italia, in occasione di una sua visita alla città. Furono abrogate con i regi decreti-legge nn. 25 e 26 del 20 gennaio 1944, emanati durante il Regno del Sud.


???

MUSSOLINI , LE LEGGI RAZZIALI E LE VERITA’ CHE LA SINISTRA HA OMESSO DALLA STORIA
2014/03/20

https://dietrolequintee.wordpress.com/2 ... lla-storia

Per cominciare va detto che l’ebraismo italiano era “profondamente integrato nella società plasmata dal regime fascista! Gli ebrei fascisti non erano un corpo estraneo allo stato e i suoi più alti ed influenti esponenti proclamavano “l’assoluta fedeltà degli israeliti al fascismo e al suo duce”. Renzo De Felice, sul suo “Storia degli ebrei italiani”, scrive che gli ebrei furono fondatori, per esempio, dei fasci di combattimento di Milano, ebbero parte attiva nelle squadre di Italo Balbo e furono fra i protagonisti della “marcia su Roma”. I Caduti ebrei di quella epopea figurano nel “martirologio ufficiale della rivoluzione fascista”. Furono anche fra i finanziatori del partito fascista.
È noto che i provvedimenti a favore degli ebrei nel 1930, perfezionati nel 1931, risultarono tanto graditi alla comunità ebraica italiana che i rabbini innalzarono preghiere di ringraziamento nelle sinagoghe. È anche noto l’attacco lanciato dal Duce, contro le teorie nazionalsocialiste. Il 6 settembre 1934, dal palazzo del Governo di Bari Mussolini, dopo aver esaltato la civiltà mediterranea, disse: “Trenta secoli di storia ci permettono di guardare con sovrana pietà talune dottrine d’oltr’Alpe, sostenute da progenie di gente che ignorava la scrittura con la quale tramandare i documenti della propria vita, nel tempo in cui Roma aveva Cesare, Virgilio e Augusto”. Uno spietato attacco all’antiebraismo della Germania. Pertanto sino ad allora non esisteva alcuna pregiudiziale anti ebraica nell’animo di Mussolini. E allora, come si giunse alle leggi razziali?

Le Sanzioni
la politica fascista cambiò repentinamente con la conquista dell’Etiopia. Con questa azione di forza, non concordata, l’Italia si mise in conflitto con le potenze che detenevano il potere e le ricchezze del mondo e non consentivano ad altri di intervenire sulla scena geopolitica mondiale. L’Italia era una nazione di serie B e tale doveva rimanere.
Bernard Show, in una intervista al Manchester Guardian (13 ottobre 1937) profetizzò: “Le cose già fatte da Mussolini lo condurranno prima o poi ad un serio conflitto con il capitalismo”. Infatti le nuove idee, che partivano dall’Italia fascista, si stavano espandendo in tutto il mondo; dalla Francia agli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna all’Australia, dall’Argentina alla Norvegia, nascevano movimenti di ispirazione fascista. Sembrava che, una volta ancora, l’Italia fosse ispiratrice di un nuovo messaggio universale di sapore rinascimentale: il Rinascimento del lavoro. Queste nuove idee, portavano in sé un difetto: mettevano in pericolo il sistema capitalistico allora vigente e padrone.

La guerra d’Etiopia provocò, dunque, un inasprimento delle relazioni con Francia e Inghilterra, le nazioni imperialiste per antonomasia, che guidavano la Società delle Nazioni. Anche per il subdolo intervento di Roosevelt, furono imposte all’Italia le “sanzioni”: cioè l’embargo economico. La Germania si dissociò e continuò ad intrattenere rapporti con l’Italia. Nel 1936 scoppia la guerra civile spagnola; i Paesi capitalisti si schierano, con l’Unione Sovietica, contro l’Italia che collabora con Francisco Franco. Di nuovo la Germania è accanto all’Italia. In questa fase storica si formano due schieramenti: uno di carattere democratico-capitalistico, guidato principalmente da Gran Bretagna, da Francia e dagli Stati Uniti di Roosevelt; l’altro da Germania e Italia. Mussolini cercò di evitare in ogni modo questa alleanza con il Führer di cui osteggiava fortemente la politica. Il 22 giugno 1936 rilasciò una intervista all’ex ministro francese Malvy, nella quale ribadiva la propria disponibilità a collaborare con la Francia e con l’Inghilterra: “Disse Mussolini: “La situazione è tale che mi obbliga a cercare altrove la sicurezza che ho perduto dal lato della Francia e della Gran Bretagna. A chi indirizzarmi se non a Hitler? Vi ho fatto venire perché informiate il vostro Governo della situazione. Io attenderò ancora, ma se prossimamente l’atteggiamento del Governo francese nei confronti dell’Italia fascista non si modifica, se non mi si darà l’assicurazione di cui ho bisogno, l’Italia diventerà alleata della Germania”. Questa testimonianza viene riportata da E. Bonnifour nella “Histoire politique de la troisième republique”.
Furono i Paesi capitalisti a “gettare l’Italia in braccio” alla Germania per annientarle successivamente entrambe. Lo affermano anche Winston Churchill e lo storico inglese George Trevelyan. Il primo (La Seconda Guerra Mondiale”, Vol. 2°, pag. 209) scrive: “Ora che la politica inglese aveva forzato Mussolini a schierarsi dall’altra parte, la Germania non era più sola”. George Trevelyan nella sua “Storia d’Inghilterra”, a pag. 834, scrive: “E l’Italia che per la sua posizione geografica poteva impedire i nostri contatti con l’Austria e con i Paesi balcanici, fu gettata in braccio alla Germania”. Mussolini chiese ripetutamente alla Comunità israelitica italiana di intervenire, presso le Comunità israelitiche anglosassoni e francesi, per dirimere la vertenza; la risposta fu negativa. Fu allora che il Duce abbandonò la politica favorevole agli ebrei.

Le leggi razziali
La storia stava così trascinando l’Italia alla “ineluttabilità dell’alleanza con Hitler e quindi della necessità di eliminare tutti i motivi non solo di frizione, ma anche solo di disparità con la Germania” (R. De Felice, Storia degli ebrei sotto il fascismo, pag. 137). Mussolini era conscio che l’antisemitismo occupava uno spazio preminente nell’ideologia nazionalsocialista, di conseguenza se voleva giungere ad una reale alleanza, doveva adeguarsi alle circostanze. Fu così che si giunse al distacco di Mussolini e del fascismo dall’idillio che c’era stato con la Comunità ebraica e questo viene confermato dal maggior studioso del fascismo che osserva: “Una volta che Mussolini fu gettato nelle braccia della Germania di Hitler, era impensabile che anche l’Italia non avesse le sue leggi razziali”. Il Duce, tuttavia, per renderle il meno dolorose possibili, impose di discriminare non perseguire, oltre a lasciar aperte numerose scappatoie per cui si giunse a situazioni paradossali, come il caso denunciato dal giornalista Daniele Vicini su “L’Indipendente” del 20 luglio 1993: “Ebrei e comunisti sciamarono verso l’Italia attraverso il Brennero, frontiera che potevano varcare senza visto a differenza di altre (americana, sovietica, ecc.) apparentemente più congeniali alle loro esigenze”. “Erano tutti pazzi a rifugiarsi in un Paese dove vigevano le leggi razziali, oppure i fuggitivi ben sapevano che quelle leggi erano poco meno che una farsa”? Fu creato un organismo ad hoc – il comitato di assistenza agli ebrei in Italia – che permise a circa diecimila profughi provenienti da Germania, Polonia, Ungheria e Romania di trovare rifugio nel nostro Paese; altri 80 mila ebrei poterono emigrare in Palestina e in altre nazioni grazie alla collaborazione delle autorità italiane. Dal porto Trieste gli ebrei emigranti viaggiavano su navi del Lloyd triestino che concedeva loro sconti fortissimi, fino al 75%!.
Dalla applicazione delle leggi discriminatorie erano escluse le famiglie di Caduti, mutilati o feriti in guerra o chi si era battuto per la “causa fascista”. In realtà nessuno fu mai colpito dalle leggi razziali fasciste. La maggioranza di ebrei, piccoli negozianti, non fu toccata; a nessuno fu imposta la stella gialla di David, molti finsero di convertirsi al cristianesimo, ecc. La eterna farsa italiana fu pari alla sua fama. Si parlò di professori universitari licenziati, ma questi erano dodici in tutto e, a seconda dei casi,vengono utilizzati come vittime delle leggi razziali o perché antifascisti o filocomunisti e così via. Ma questo è ridicolo se si pensa alla “pulizia ideologica” attuata negli Stati Uniti da Mac Carty e, in ogni caso, non furono perseguitati i professori i fascisti che non si riciclarono come antifascisti nel dopoguerra?
Ricordo le parole di Vittorio Mussolini quando disse che le leggi razziali lo colpirono in quanto sia lui che il fratello Bruno avevano amici di religione ebraica. Si indignarono con il padre minacciando di portare i loro amici ebrei a dormire a Villa Torlonia. Mussolini paternamente e bonariamente li rassicurò dicendo: “dite ai vostri amici di stare tranquilli per due o tre mesi.. poi sarà tutto finito”. E così fu in realtà. Ricordo che i grandi negozi di ebrei cambiarono ragione sociale così Cohen diventò “Prima”, Galtrucco e altri seguirono con altri nomi ma nessun commerciante fu sequestrato o messo in difficoltà. Agli ebrei fu vietato il privilegio e l’onore di servire la Patria in armi per cui furono esentati dalla leva obbligatoria; si può immaginare con quanta sofferenza per i giovani ebrei … ! Da ragazzo conobbi un tenente pilota tedesco che si chiamava Karl Reyer. Era ebreo ed aveva lasciato la Germania per arruolarsi nella aeronautica italiana con la quale aveva partecipato alla campagna in Russia meritandosi il riconoscimento della Luftwaffe e portava il nastrino all’occhiello della divisa!

Le persecuzioni
La guerra imperversava e i tedeschi rastrellavano gli ebrei nelle zone occupate ma, per ordine di Mussolini, “Ovunque penetrassero le truppe italiane, uno schermo protettore si levava di fronte agli ebrei (…). Un aperto conflitto si determinò tra Roma e Berlino a proposito del problema ebraico (…). Appena giunte sui luoghi di loro giurisdizione, le autorità italiane annullavano le disposizioni decretate contro gli ebrei (…)” (Léon Poliakov, “Il nazismo e lo sterminio degli ebrei”, pagg. 219-220). Questo schermo si ergeva, quindi, non solo in Italia, ma in Croazia, in Grecia, in Egeo, in Tunisia, e ovunque fossero presenti le truppe italiane.
Scrive Rosa Paini (ebrea) (“Il Sentiero della Speranza”, pag. 22): “Quel colloquio lo aveva voluto Mussolini ancora più favorevole agli ebrei, in modo da essere indotto a concedere tremila visti speciali per tecnici e scienziati ebrei che desideravano stabilirsi nel nostro Paese”.
Mordechai Poldiel (israelita): “L’Amministrazione fascista e quella politica, quella militare e quella civile, si diedero da fare in ogni modo per difendere gli ebrei, per fare in modo che quelle leggi rimanessero lettera morta”.
Israel Kalk (“Gli ebrei in Italia durante il Fascismo”): “.. Siamo stati trattati con la massima umanità” e,: “Credo di non temere smentite affermando che con voi la sorte è stata benigna e che la vostra situazione di internati in Italia è migliore di quella dei nostri fratelli che si trovano in libertà in altri paesi europei”.
Anche Salim Diamand (Internment in Italy – 1940-1945), scrive. “Non ho mai trovato segni di razzismo in Italia. C’era del militarismo, è ovvio, ma io non ho mai trovato un italiano che si avvicinasse a me, ebreo, con l’idea di sterminare la mia razza (…). Anche quando apparvero le leggi razziali, le relazioni con gli amici italiani non cambiarono per nulla (…). Nel campo controllato dai carabinieri e dalle Camicie nere gli ebrei stavano come a casa loro”.
L’autorevole docente dell’Università ebraica di Gerusalemme, George L. Mosse, nel suo libro “Il razzismo in Europa”, a pag. 245 ha scritto: “Il principale alleato della Germania, l’Italia fascista, sabotò la politica ebraica nazista nei territori sotto il suo controllo (…). Come abbiamo già detto, era stato Mussolini stesso a enunciare il principio “discriminare non perseguire”. Tuttavia l’esercito italiano si spinse anche più in là, indubbiamente con il tacito consenso di Mussolini (…). Ovunque, nell’Europa occupata dai nazisti, le ambasciate italiane protessero gli ebrei in grado di chiedere la nazionalità italiana. Le deportazioni degli ebrei cominciarono solo dopo la caduta di Mussolini, quando i tedeschi occuparono l’Italia”.
Durante la guerra, nonostante le pressanti richieste da parte tedesca, Mussolini si rifiutò sempre di consegnare gli ebrei italiani ai nazisti e diede disposizioni per attuare nelle zone controllate dall’esercito italiano (Tunisia, Grecia, Balcani e sud della Francia) vere e proprie forme di boicottaggio per sottrarre gli ebrei ai tedeschi (era sufficiente avere un lontanissimo parente italiano, spesso inventato, per ottenere la cittadinanza italiana e sfuggire in questo modo alla deportazione).
Pochi della paludosa e mefitica giungla antifascista amano ricordare che nel 1940, quando già l’Italia era in guerra, la nave italiana Esperia, carica di profughi ebrei, salpò per l’Egitto. I bugiardi senza rimedio fanno risalire quel viaggio alla audacia del capitano, il Capitano Stagnaro, ma è fuor di dubbio che il governo fascista autorizzò tacitamente quel viaggio. In modo del tutto analogo, nel 1942, cioè in piena guerra, una altra nave carica di ebrei provenienti dalla Croazia e dai Balcani, circa 1500 persone, partì da Trieste in direzione Palestina. Il trasporto era stato organizzato dal governo italiano e concordato con i comandi inglesi. Inoltre è noto che Giorgio Perlasca, un ambasciatore italiano, fece miracoli per salvare perseguitati ebrei ma nessuno dice che Perlasca agiva per conto del governo fascista. Si è mai visto un ambasciatore agire contro le direttive del proprio governo? Perché non dare a Mussolini quantomeno il beneficio di aver deliberatamente chiuso ambedue gli occhi su queste vicende, dovendo egli costantemente affrontare la intransigenza germanica che si vedeva, ed era la verità, presa in giro?

Dopo l’8 settembre
Con la resa dell’Italia la situazione per gli ebrei peggiorò non essendoci più lo scudo alzato da Mussolini. Fu in quei giorni, ed esattamente il 16 ottobre 1943 che i tedeschi effettuarono un rastrellamento nel ghetto di Roma catturando più di mille ebrei. Finalmente i tedeschi ebbero la possibilità di mettere in atto quanto sino ad allora era stato proibito. Perché non intervennero i partigiani a difendere i deportati? I tedeschi furono ostacolati solo dal fascista Ferdinando Natoni che ospitò nella sua abitazione alcune ebree facendole passare per sue figlie. Altri nomi di fascisti meritano di essere citati accanto a quello di Natoni: Perlasca di cui si è già detto, salvò la vita ad alcuni migliaia di ebrei in Ungheria; Zamboni (fascista) riuscì a far fuggire da Salonicco centinaia di ebrei; Palatucci (fascista) ne salvò alcune migliaia a Fiume; Calisse (fascista) operò in Francia e fece fuggire diverse decine di ebrei. Non dimentichiamo Farinacci, che nascose una famiglia di ebrei nella sua tipografia e il futuro segretario del Msi, Almirante che ne nascose alcuni nel Ministero dove lavorava. Potremmo citare altri casi e nomi, ma non possiamo abusare oltre. Mentre si svolgevano questi fatti, gli antifascisti e i partigiani che facevano?
Renzo De Felice osserva (op. cit. pag. 447): “…. nei mesi successivi all’emanazione dell’ordine di polizia n° 5, la politica antisemita della Rsi fu in un certo senso abbastanza moderata (…). Il concentramento degli ebrei fu condotto dalle prefetture, in relazione al periodo in questione s’intende, con metodi e discriminazioni abbastanza umani ed esso non fu affatto totale, come lascerebbe credere l’ordine del 30 novembre 1943. ……”.

Mussolini sterminatore di ebrei?
L’ infamia più mostruosa, la menzogna più vergognosa per denigrare Benito Mussolini, é quella della complicità e connivenza nello sterminio di 5 milioni di ebrei. Non Roosevelt (che inviò la sua fleet per cannoneggiare un piroscafo carico di ebrei fuggiti nel 1939 da Amburgo), non Churchill che ordinò di silurare a Salinas un’altro carico di ebrei qualora non avesse invertito la rotta, non Stalin che lo storico russo Arkaly Vaksberg, (“Stalin against Jews”), dopo accurate ricerche in archivi riservati, accusa sostenendo che “il numero degli ebrei eliminati da Stalin è stato presumibilmente 5 milioni”, .. ma solo Mussolini… diventa complice delle nefandezze di Hitler. Ma allora, se la alleanza con la Germania implica la corresponsabilità dei crimini contro gli ebrei, per qual motivo gli alleati della Unione Sovietica non devono essere corresponsabili dei cento milioni di vittime del comunismo? E per qual motivo i crimini commessi da americani e inglesi, francesi, jugoslavi e truppe di ogni razza e colore non devono essere condivise in solido dagli altri alleati? E si tratta di crimini ben più gravi e distruttivi, dai bombardamenti agli eccidi, alle deportazioni, alle persecuzioni, dagli stupri agli assassini di gente inerme. Scrive Giorgio Pisanò (“Noi fascisti e gli ebrei”, pag. 19) “Si giunse così al 1939, vale a dire allo scoppio della guerra e fu allora che, all’insaputa di tutti, Mussolini diede inizio a quella grandiosa manovra, tuttora sconosciuta o faziosamente negata anche da molti di coloro che invece ne sono perfettamente a conoscenza, tendente a salvare la vita di quegli ebrei che lo sviluppo degli avvenimenti bellici aveva portato sotto il controllo delle forze armate tedesche”.

Conclusioni
Come già detto, le leggi razziali italiane del 1938 gettarono un’ ombra sul regime fascista e sulla splendida figura di Mussolini in particolare ma voler associare a Hitler la figura del Duce rendendo questi corresponsabile delle persecuzioni o dello sterminio di milioni di ebrei è un evidente oltraggio alla Verità storica, una falsità assoluta, una mostruosità dal punto di vista morale ed essa stessa una persecuzione della memoria e dell’operato di un grande Uomo, di un grande Italiano!
Francesco Paolo d’Auria
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Le falsità del mito fascista dei nazionalisti italo-fascisti

Messaggioda Berto » dom nov 18, 2018 7:52 pm

'Quando c'era Lui': le bufale sul fascismo a cui la gente continua a credere
Leonardo Bianchi
Jul 24 2017

https://www.vice.com/it/article/d3894m/ ... -terremoto

A partire dal caso della "spiaggia fascista" di Chioggia, per poi passare alla proposta di legge di Emanuele Fiano o alle dichiarazioni (fraintese) di Laura Boldrini sui monumenti del regime, questo luglio ci siamo confrontati praticamente ogni giorno sul fascismo e la sua eredità.

Per alcuni commentatori, l'Italia non ha mai fatto veramente i conti con il Ventennio e dunque è destinata a essere perennemente attraversata da pulsioni nostalgiche o antidemocratiche. Dall'altro lato episodi come quello di Playa Punta Canna sono definiti innocue "goliardate," e insieme a derubricazioni di questo tipo continuano a resistere le argomentazioni più o meno revisioniste—del tipo che nel Ventennio, comunque la si pensi, qualcosa di buono è stato fatto; o che comunque non era così malaccio come ci hanno sempre fatto credere.


Quest'ultimi sono dei refrain che si sentono da tempo immemore, ma che con l'avvento dei social stanno vivendo una sorta di seconda epoca d'oro.

In particolare, proprio in concomitanza con le polemiche delle ultime settimane, sul FascioFacebook (e non solo) hanno ricominciato a girare una serie di miti e leggende sulle grandi conquiste sociali ed economiche del fascismo—conquiste che sono contrapposte alla contemporaneità, e servono sostanzialmente a dire: "Vedete? Mentre i politici di adesso non fanno un cazzo, LVI le cose le faceva sul serio!"

Visto che tali bufale riaffiorano di continuo—e dimostrano un'incredibile persistenza proprio perché distorcono verità storiche e le mescolano con la disinformazione—ho pensato di mettere in fila quelle che hanno avuto più successo e risonanza.

IL DUCE HA CREATO LE PENSIONI

Quella di Mussolini che ha creato da zero il sistema pensionistico di cui godremmo tutt'ora è senza dubbio la bufala più persistente e di successo, al punto tale che un anno fa Matteo Salvini ha dichiarato: "Per i pensionati ha fatto sicuramente di più Mussolini che la Fornero. [...] La previdenza sociale l'ha portata Mussolini."

In realtà, non è proprio così. Come si può agevolmente verificare sul sito dell'INPS, la previdenza sociale nasce nel 1898 con la creazione della Cassa Nazionale di previdenza per l'invalidità e la vecchiaia degli operai. Si trattava di un'"assicurazione volontaria integrata da un contributo di incoraggiamento dello Stato e dal contributo anch'esso libero degli imprenditori."

Nel 1919 l'iscrizione alla Cassa diventa obbligatoria e interessa 12 milioni di lavoratori. Vent'anni dopo, il regime promuove varie misure previdenziali, tra cui le assicurazioni contro la disoccupazione, gli assegni familiari e la pensione di reversibilità. La pensione sociale, tuttavia, è istituita solo nel 1969—ossia a 24 anni dalla morte di Mussolini.

IL DUCE CI HA REGALATO LA TREDICESIMA

Un'altra leggenda che circola molto (soprattutto sotto Natale) è la seguente: se abbiamo un mese di stipendio in più è merito esclusivo della magnanimità di Mussolini. Anche in questo caso, tuttavia, la storia è diversa.

Nel Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro del 1937 venne effettivamente introdotta una "gratifica natalizia." La mensilità in più era tuttavia destinata ai soli impiegati del settore dell'industria; e non ad esempio agli operai dello stesso settore, che anzi si videro aumentare le ore di lavoro giornaliero fino a 10, e 12 con gli straordinari non rifiutabili.

Come scritto in questo post, insomma, si trattava di una misura "in piena linea con quelle che erano le normali politiche dell'epoca fascista, in una società [...] bloccata sul corporativismo basato non sul diritto per tutti, ma sul privilegio di pochi gruppi e settori."

La vera tredicesima è stata istituita prima con l'accordo interconfederale per l'industria del 27 ottobre 1946, e poi estesa a tutti i lavoratori con il decreto 1070/1960 del presidente della Repubblica.



SOLO CON IL FASCISMO L'ITALIA HA RAGGIUNTO IL PAREGGIO DI BILANCIO

Nell'immagine qui sopra, si ricorda enfaticamente che il "Governo Fascista" raggiunse il pareggio di bilancio nel 1924, praticamente grazie alla lotta contro gli sprechi e alla riduzione delle tasse. Morale della favola: con tutte le tasse che ci sono adesso, invece, i conti dello Stato non tornano mai. Ergo: la Casta è inetta, ci soffoca con la pressione fiscale, e dunque si stava meglio prima.

Ora, il pareggio di bilancio fu effettivamente raggiunto (nel 1925, e non nel 1924). Ma come tutte le disinformazioni che si rispettino, si evita accuratamente di dire cose successe prima e dopo il raggiungimento di quel traguardo.

L'artefice fu il ministro delle finanze e dell'economia, Alberto De Stefani. Dal 1922 in poi, l'economista spinse per la liberalizzazione dell'economia, cercò di contenere l'inflazione, ridusse la spesa pubblica e la disoccupazione. La sua politica di "neoliberismo autoritario" era però vista di cattivo occhio sia dalla parte più radicale del fascismo, che soprattutto da latifondisti, industriali e grandi capitalisti.

Non a caso, nel luglio del 1925 venne destituito dopo aver presentato ripetutamente le dimissioni; e da lì in poi iniziò ad assumere posizioni sempre più critiche (non in senso democratico o antifascista, ovviamente) nei confronti del regime e della sua nuova politica economica che—tra la Grande Depressione, l'autarchia e tutto il resto—portò il paese allo sfascio. Per citare un articolo che si è occupato di smontare il messaggio implicito di questo mito, "un modello che è crollato su se stesso non è il miglior modello."

IL DUCE HA RICOSTRUITO I PAESI TERREMOTATI IN UN BATTER D'OCCHIO

Anche la storia della prodigiosa ricostruzione del Duce dopo il terremoto del Vulture (in Lucania) del 23 luglio 1930 è piuttosto ricorrente.

La fonte primaria, ripresa dai siti di estrema destra e replicata in vari meme, è un articolo del Secolo d'Italia pubblicato dopo il terremoto che l'anno scorso ha colpito il centro Italia. In esso si sostiene che in appena tre mesi si costruirono 3.746 case e se ne ripararono 5.190, e si infila pure il commento agiografico "altri tempi, ma soprattutto altre tempre..."

Il dato è però parziale e decontestualizzato. Come si può verificare dal sito dell'INGV, nell'ottobre del 1930 furono ultimate "casette asismiche in muratura corrispondenti a 1705 alloggi" e "riparate dal genio Civile 2340 case." Solo nel settembre del 1931—a operazioni ultimate—si raggiunge la cifra indicata nell'articolo, che corrisponde a 3.746 alloggi in 961 casette. Insomma: i numeri sono comunque rilevanti per l'epoca, ma non è semplicemente vero che in appena tre mesi fu ricostruito tutto da zero.

IL FASCISMO HA RESO L'ITALIA UN FARO PER LE SCOPERTE SCIENTIFICHE

In questa immagine, rivolta a tutti quelli che "NON L'AMMETTERANNO MAI," si sostiene con la forza di una bella scritta in maiuscolo che il fascismo avesse reso l'Italia—tra le varie cose—"una nazione faro per scoperte scientifiche."

Nei primi anni del regime però, come ricostruisce dettagliatamente questo articolo sulla Treccani, il governo "aveva sostanzialmente ignorato tutte le questioni connesso con l'organizzazione della struttura di ricerca scientifica," che rimaneva quella dell'Italia liberale ed era carica di problemi. Nel 1923 venne avviato il CNR (Consiglio nazionale delle ricerche), la prima struttura deputata a svolgere ricerca "su temi di interesse generale." La sua attività fu subito caratterizzata dalla penuria dei finanziamenti, segno della "scarsa fiducia nel nuovo ente che ancora nutriva Mussolini."

Col passare degli anni, nonostante i proclami e la propaganda, il CNR non divenne mai incisivo e non produsse nulla di significativo, soprattutto perché la sua unica indicazione di ricerca era quella per l'autarchia—un'indicazione troppo generica. Lo scoppio della seconda guerra mondiale, poi, "allontanò in modo generalizzato i più giovani tra ricercatori, assistenti, tecnici di laboratorio e, in breve tempo, il lavoro scientifico rallentò fino alla quasi totale paralisi."

Nel 1938, a riprova di quanto al fascismo non fregasse nulla della scienza, l'ambiente scientifico italiano era stato travolto dal più infame e antiscientifico degli atti politici del regime: la promulgazione delle leggi razziali. Il che mi porta all'ultima leggenda che ho scelto per compilare questa lista.

IL DUCE NON ERA RAZZISTA, E NEMMENO IL FASCISMO ERA UN REGIME RAZZISTA

Con ogni probabilità questa è la mistificazione più odiosa, che fa leva sul radicato stereotipo del "bravo italiano" e del "cattivo tedesco."

Se è vero che in un primo momento i rapporti tra gli ebrei e il fascismo furono "normali," e lo stesso Mussolini—nel libro Colloqui con Mussolini—disse che "l'antisemitismo non esiste in Italia," le cose cambiarono progressivamente con la torsione totalitaria del regime e sfociarono infine nelle persecuzioni.

La maggior parte della storiografia è ormai concorde sul fatto che l'antisemitismo e le leggi razziali non furono introdotte per imposizione della Germania—il Manifesto della razza, ad esempio, pare che sia stato scritto dallo stesso Mussolini.

Piuttosto, come sostiene lo storico Enzo Collotti, la "spinta a una politica della razza nel fascismo italiano" da un lato era "iniziativa e prodotto autonomo" del regime—specialmente dopo il 1933 e l'affermazione del nazismo—e dall'altro era una scelta "connaturata allo stesso retaggio nazionalista, che esaltava la superiorità della stirpe come fatto biologico e non solo culturale."

Lo stesso discorso si può fare con la "civilizzazione" delle colonie, che si pone in perfetta continuità con quanto detto sopra. Secondo Collotti, la guerra d'aggressione contro l'Etiopia nel 1935 è stata "l'occasione per mettere a fuoco una politica razzista dell'Italia fascista"; e dopo la conquista del paese—mai completata fino in fondo—"fu instaurato un vero e proprio regime di separazione razziale, un vero e proprio prototipo di apartheid."

Dire che il fascismo non era un regime razzista è negare una delle sue caratteristiche fondamentali. Se si porta all'estremo questo ragionamento, si finisce col dire che il fascismo non era fascista. E non penso che al Duce farebbe molto piacere, no?
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Le falsità del mito fascista dei nazionalisti italo-fasc

Messaggioda Berto » gio mar 14, 2019 10:48 pm

Antonio Tajani, Presidente del Parlamento europeo

https://www.facebook.com/pietro.marinel ... ment_reply

«Mussolini ? Fino a quando non ha dichiarato guerra al mondo intero seguendo Hitler, fino a quando non s’è fatto promotore delle leggi razziali, a parte la vicenda drammatica di Matteotti, ha fatto delle cose positive per realizzare infrastrutture nel nostro Paese, poi le bonifiche. Da un punto di vista di fatti concreti realizzati, non si può dire che non abbia realizzato nulla. Io non sono fascista, non sono mai stato fascista e non condivido il suo pensiero politico. Però se bisogna essere onesti, Mussolini ha fatto strade, ponti, edifici, impianti sportivi, ha bonificato tante parti della nostra Italia, l'istituto per la ricostruzione industriale. Quando uno dà un giudizio storico deve essere obiettivo, poi non condivido le leggi razziali che sono folli, la dichiarazione di guerra è stata un suicidio"


Alberto Pento
Tutto ciò che produce male e morte è di per sè male o prevalentemente male anche se contiene per forza di cose elementi di bene come portato naturale e inerziale della storia e della complessità sociale e umana e dell'epoca. Il sistema e regime social fascista è stato un sistema che ha prodotto tanta sofferrenza, morte e distruzione e non può essere valutato in alcun modo come bene, così vale per il suo promotore e capo Mussolini.
Un'esperienza storica, umana, sociale, politica che non può certo costituire un buon modello per il futuro ma un esempio negativo assolutamente da non imitare e da non proporre come un'esperienza nel suo complesso benefica.
L'esperienza fascista italiana si associa ad altre di negative, quella nazista in Germania e quella comunista in Russia, tutte di matrice socialista che hanno prodotto disumanità, morte e distruzione e non per causa, colpa e responsabilità di forze esterne ma come portato della loro natura, ideologia, utopia, struttura malefica.




E Antonio Tajani elogia Benito Mussolini: "Ha fatto cose positive"
Così il presidente del Parlamento Europeo intervistato a La Zanzara su Radio 24
13 marzo 2019

https://www.repubblica.it/politica/2019 ... -221479884

ROMA - "Mussolini? Fino a quando non ha dichiarato guerra al mondo intero seguendo Hitler, fino a quando non s'è fatto promotore delle leggi razziali, a parte la vicenda drammatica di Matteotti, ha fatto delle cose positive per realizzare infrastrutture nel nostro paese, poi le bonifiche. Da un punto di vista di fatti concreti realizzati, non si può dire che non abbia realizzato nulla". Così il presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, a La Zanzara su Radio 24.

E ancora: "Poi si può non condividere il suo metodo. Io non sono fascista, non sono mai stato fascista e non condivido il suo pensiero politico. Però se bisogna essere onesti, Mussolini ha fatto strade, ponti, edifici, impianti sportivi, ha bonificato tante parti della nostra Italia, l'istituto per la ricostruzione industriale. Quando uno dà un giudizio storico deve essere obiettivo, poi non condivido le leggi razziali che sono folli, la dichiarazione di guerra è stata un suicidio". Qualcosa dunque va salvato del fascismo, è stato chiesto infine a Tajani: "Certamente sì, certamente non era un campione della democrazia. Alcune cose sono state fatte, bisogna sempre dire la verità. Non bisogna essere faziosi nel giudizio. Complessivamente non giudico positiva la sua azione di governo, però alcune cose sono state fatte. Le cose sbagliate sono gravissime, Matteotti, leggi razziali, guerra. Sono tutte cose inaccettabili".

Tra gli attacchi a Tajani, quello del leader dei Socialisti e democratici a Strasburgo: "Affermazioni incredibili da Tajani su Mussolini. Come può un presidente del Parlamento europeo non riconoscere la natura del fascismo? Abbiamo bisogno di chiarimenti rapidi". Lo scrive su Twitter Udo Bullmann dopo l'intervista di Tajani a La Zanzara su Radio 24.
"Due ore dopo la lode a Mussolini, Tajani incontra Salvini e Meloni, gli italiani di estrema destra - aggiunge Bullmann - Dopo Orban è questo il profilo futuro del Ppe?".


E così il presidente del Parlamento Europeo interviene poco dopo su twitter: "Si vergogni chi strumentalizza le mie parole sul fascismo. Sono da sempre un antifascista convinto. Non permetto a nessuno di insinuare il contrario. La dittatura fascista, le sue leggi razziali, i morti che ha causato sono la pagina più buia della storia italiana ed europee".

Cosa pensa Antonio Tajani di Benito Mussolini
"Ha fatto delle cose positive" ma "non era certamente un campione della democrazia", ha detto in un'intervista a Radio24
Antonio Tajani, Roma, 4 febbraio 2019)

https://www.ilpost.it/2019/03/13/antoni ... -mussolini

Nella puntata di oggi del programma La Zanzara su Radio 24 è stata mandata in onda parte di un’intervista fatta ieri al presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani. Fra le altre cose, a Tajani è stato chiesto cosa ne pensasse di Benito Mussolini:

«Ha fatto delle cose positive per realizzare infrastrutture nel nostro paese, poi le bonifiche…insomma da un punto di vista di fatti concreti realizzati, non si può dire che non abbia fatto nulla. Se bisogna essere onesti ha fatto strade, ponti, edifici, impianti sportivi, ha bonificato tante parti della nostra Italia… se uno dà un giudizio storico deve essere obiettivo»

Nell’intervista integrale, pubblicata da Il Fatto Quotidiano, Tajani aveva anche detto di non essere fascista («Non sono mai stato fascista»), di non condividere le leggi razziali («sono folli»), la «vicenda drammatica» dell’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti e la dichiarazione di guerra («è stata un suicidio»). Sollecitato dai conduttori che gli chiedevano se qualcosa del fascismo andasse «salvato», Tajani ha risposto che:

«Mussolini, fino a quando non ha dichiarato guerra al mondo intero seguendo Hitler, fino a quando non s’è fatto promotore delle leggi razziali, e a parte la vicenda drammatica di Matteotti, ha fatto delle cose positive»

E ancora:

«Certamente sì. Certamente non era un campione della democrazia. Però alcune cose sono state fatte, perché bisogna dire sempre la verità, altrimenti saremmo disonesti nel dire “no non ha fatto nulla”. Ha fatto le strade? Sì. Ha fatto le infrastrutture? Sì. Ha fatto l’istituto per la ricostruzione industriale? Sì. Ha fatto gli impianti sportivi? Sì, è vero».

Le parole di Tajani sono state molto criticate, perché considerate una specie di difesa di alcuni tratti del regime fascista. Udo Bullmann, europarlamentare tedesco e capo del principale di gruppo di centrosinistra al Parlamento Europeo, ha definito «incredibili» le dichiarazioni di Tajani e aggiunto che «il Presidente del Parlamento europeo non può disconoscere la natura del regime fascista».

Poco dopo la messa in onda dell’intervista, Tajani si è difeso su Twitter sostenendo che le sue parole siano state strumentalizzate.



Mussolini, il moderato Tajani lo assolve: "Fino alla guerra con Hitler ha fatto cose positive. Infrastrutture, ponti e strade"
13 Marzo 2019

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/0 ... solini-il-
moderato-tajani-lo-assolve-fino-alla-guerra-con-hitler-ha-fatto-cose-positive-infrastrutture-ponti-e-strade/5035294

Il presidente del Parlamento Ue e capo di fatto di Forza Italia assolve in parte il Duce. Un po’ come fece Berlusconi: “Non un campione di democrazia, ma fece strade”. “Unici” errori? Guerra, leggi razziali e delitto Matteotti. Il leader dei Socialisti e democratici al parlamento Ue lo attacca: "Chiarisca". Lui: "Si vergogni chi strumentalizza le mie parole "

Benito Mussolini ha fatto delle cose positive. Almeno fino alla guerra. Non è il pensiero di un neo fascista ma quello del presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani. Il quale, oltre a presiedere la massima istituzione parlamentare dell’Unione, è anche il leader di una partito che sostiene di essere moderato e unico argine agli estremismi: cioè Forza Italia. Eppure le dichiarazioni di Tajani a Radio 24 sono nette, seppur piene di distinguo: “Mussolini? Fino a quando non ha dichiarato guerra al mondo intero seguendo Hitler, fino a quando non s’è fatto promotore delle leggi razziali, a parte la vicenda drammatica di Matteotti, ha fatto delle cose positive per realizzare infrastrutture nel nostro paese, poi le bonifiche. Da un punto di vista di fatti concreti realizzati, non si può dire che non abbia realizzato nulla”, ha detto alla Zanzara il presidente del Parlamento europeo. Che poi si giustificherà sostenendo che le sue parole sono state “strumentalizzate”.

“Mussolini ha fatto strade, ponti, edifici, le bonifiche” – La vicenda drammatica di Matteotti è in pratica l’omicidio del deputato del Partito socialista unitario, ucciso dai fascisti nel 1924, quando alla dichiarazione di guerra mancavano ben 16 anni. Sarà per questo motivo – per queste amnesie ben prima dell’alleanza coi nazisti – che il leader di Forza Italia non salva proprio tutto di Mussolini. “Si può non condividere il suo metodo – concede Tajani – Io non sono fascista, non sono mai stato fascista e non condivido il suo pensiero politico. Però se bisogna essere onesti, Mussolini ha fatto strade, ponti, edifici, impianti sportivi, ha bonificato tante parti della nostra Italia, l’istituto per la ricostruzione industriale. Quando uno dà un giudizio storico deve essere obiettivo, poi non condivido le leggi razziali che sono folli, la dichiarazione di guerra è stata un suicidio”. Parole che ovviamente hanno sollevato numerose critiche su Tajani, attaccato dal leader dei Socialisti e democratici europei, Udo Bullmann, ma anche dal sottosegretario del M5s, Stefano Buffagni.

“Non era un campione della democrazia” – Il presidente del parlamento Europeo ci ha tenuto ad essere chiaro quando gli è stato chiesto: qualcosa va salvato del fascismo? “Certamente sì, certamente non era un campione della democrazia. Alcune cose sono state fatte, bisogna sempre dire la verità. Non bisogna essere faziosi nel giudizio. Complessivamente non giudico positiva la sua azione di governo, però alcune cose sono state fatte. Le cose sbagliate sono gravissime, Matteotti, leggi razziali, guerra. Sono tutte cose inaccettabili“. Insomma l’intervento di Tajani sembra proprio essere tra quelli citati da Sergio Mattarella un anno fa. Per la giornata della memoria del 2018, il presidente della Repubblica aveva detto: “Sostenere che il fascismo ebbe alcuni meriti, ma fece due gravi errori: le leggi razziali e l’entrata in guerra è un’affermazione gravemente sbagliata e inaccettabile, da respingere con determinazione”, perché “razzismo e guerra non furono deviazioni o episodi rispetto al suo modo di pensare, ma diretta e inevitabile conseguenza” del regime. D’altra parte non è la prima volta che personaggi politici di primo piano scivolano su dichiarazioni che tendono a riabilitare il fascismo e Mussolini. Primo tra tutti il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi. “Mussolini forse proprio un dittatore non lo era”, aveva detto solo nel dicembre del 2017. Poche settimane prima, ospite di Bruno Vespa, l’ex premier aveva detto che il suo motto preferito era “credere, obbedire, combattere”. Nel 2013 l’ex premier era andato oltre sostenendo che “per tanti versi Mussolini aveva fatto bene ma il fatto delle leggi razziali è stata la peggiore colpa”.

S&D: “Tajani chiarisca”. Lui: “Strumentalizzano”- Dichiarazioni, quelle di Tajani, che hanno provocato l’attacco di Udo Bullmann, leader dei Socialisti e democratici al Parlamento europeo. “Affermazioni incredibili da Tajani su Mussolini. Come può un presidente del Parlamento europeo non riconoscere la natura del fascismo? Abbiamo bisogno di chiarimenti rapidi. Due ore dopo la lode a Mussolini, Tajani incontra Salvini e Meloni, gli italiani di estrema destra. Dopo Orban è questo il profilo futuro del Ppe?”, dice il leader dei socialisti europei. Piccata la replica del leader di Forza Italia, che ha prima scritto su twitter: “Si vergogni chi strumentalizza le mie parole sul fascismo! Sono da sempre un antifascista convinto. Non permetto a nessuno di insinuare il contrario. La dittatura fascista, le sue leggi razziali, i morti che ha causato sono la pagina più buia della storia italiana ed europea”. Poi il presidente del parlamento europeo ha replicato direttamente a Bullmann: “È la seconda volta che Udo Bullmann insinua che sono fascista. Ora basta, esigo che si scusi. Se non lo farà, vuol dire che in maniera sleale ha volutamente distorto le mie parole”. Critica Tajani anche Buffagni, sottosegretario agli Affari regionali del M5s: “Tajani svela il suo volto; si vergogni per ciò che ha detto su Mussolini. Tra leggi razziali, omicidio Matteotti e gli anni bui della democrazia ricordo che la nostra Costituzione si basa su altri valori. Orgoglioso di essere diverso da loro”.
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Le falsità del mito fascista dei nazionalisti italo-fascisti

Messaggioda Berto » sab mar 23, 2019 10:52 pm

Il fascismo, mille anni fa
Marcello Veneziani
23 marzo 2019

http://www.marcelloveneziani.com/artico ... wOoKR7Y4ik

Come oggi, cent’anni fa, venne al mondo il Male Assoluto, il Fascismo Eterno. Curioso che la diabolica Eternità abbia un atto di nascita: il 23 marzo del 1919, a Piazza San Sepolcro, a Milano, nacquero i Fasci di Combattimento. Il Fascismo eterno ebbe due genitori senza i quali non sarebbe venuto al mondo: il socialismo e la guerra (o l’interventismo). Non capiremmo il fascismo senza risalire ai suoi genitori. Il fascismo è dentro la storia del socialismo, come un suo capitolo interno: il fascismo ne fu figlio e figliastro, eredità e reazione. Se è eterno il fascismo, eterno dovrebbero essere pure il socialismo da cui nacque e il conflitto da cui scaturì. In realtà i fenomeni storici sono parabole: hanno un’alba, un apice e un tramonto, di cui restano eredità, tracce e memorie. Il fascismo come il comunismo può a volte riaffiorare o riecheggiare ma non è eterno. Storicizzare il fascismo è l’unico modo per comprenderne il senso, la portata e gli effetti.

Il fascismo ebbe un destino circolare: nacque da una guerra, morì in una guerra, il suo ventennio è racchiuso tra due bienni rivoluzionari, quello iniziato a San Sepolcro nel ’19 e quello finale, sancito dalla Carta di Verona nel ’43. Il fascismo nasce come eresia nazionale del socialismo e finisce a Salò come eresia sociale del nazionalismo. Fu figlio di Padre Coraggio e Madre Paura: il coraggio degli arditi e reduci di guerra e la paura del comunismo esploso in Russia che minacciava di arrivare da noi.

Padre Coraggio era reduce da una guerra vinta, patita e tradita a Versailles. E Madre Paura chiamava a raccolta i suoi figli spaventati dalla minaccia bolscevica. La Vittoria mutilata e il biennio rosso di violenze giustificarono il fascismo; poi, una guerra disastrosa e un biennio di guerra civile lo affossarono. Dal connubio di coraggio e paura, il coraggio dei combattenti e la paura dei benpensanti, nacque il binomio Fascismo-Italia. Audacia rivoluzionaria, timore conservatore.

La parabola di Mussolini, dalla direzione de l’Avanti! al Popolo d’Italia e poi al fascismo, è scandita da tre riviste: nel 1913 fonda Utopia, rivista socialista; poi dalla guerra nasce Ardita, rivista combattentista, quindi fonderà Gerarchia. Tre testate riassumono il passaggio dall’utopia alla realtà, passando per il fronte.

Alle sue origini, il fascismo era un movimento radicale, rivoluzionario e repubblicano, anticlericale. Era sinistra nazionale e rivoluzionaria, vi confluirono pure i fasci d’azione internazionalista di Filippo Corridoni (morto in trincea), di Michele Bianchi (poi quadrumviro della Marcia su Roma) e Massimo Rocca. Nel programma dell’adunata del 23 marzo spiccava in primis il richiamo ai Caduti, il culto dei morti, la prosecuzione in pace dell’interventismo guerriero; poi il “sabotaggio” dei partiti neutralisti, la condanna del bolscevismo e la ripresa nazionale e patriottica del socialismo; quindi la preferenza repubblicana, la necessità di modernizzare il Paese con la rivoluzione sociale ma anche svecchiando l’industria, ritenuta ancora “retrograda”. Spiccava nel programma di San Sepolcro il ripudio di “ogni forma di dittatura”, il richiamo a una “democrazia economica” e l’idea di abolire il Senato (non riuscì nemmeno a Mussolini, figuriamoci se poteva riuscire a Renzi); sullo sfondo riverberava l’auspicio dei futuristi di “svaticanare l’Italia”. Dieci anni dopo sarà Mussolini a realizzare il Concordato tra Stato fascista e Chiesa… Il 3 luglio del ’19, per la prima volta Mussolini titolerà un articolo tra virgolette: Il “Fascismo”.

Di recente il fascismo è stato ridotto al razzismo che fu un corpo estraneo almeno fino alle infami leggi razziali legate alla contingenza di tempi e alleanze, dopo l’isolamento con le Sanzioni. L’originalità del fascismo fu la sintesi tra il sociale e il nazionale, popolo e gerarchia, stato e mercato, rivoluzione e tradizione. La sua dannazione fu imporre la volontà di potenza, attraverso la guerra, la violenza e la coercizione. Le sue opere invece restano, sfidano il tempo e la cecità rabbiosa di chi le nega.

Può rinascere oggi il fascismo? Se il fascismo nasce da una guerra, da una generazione di arditi che torna dal fronte, dal socialismo di cui eredita metodi ma non scopi, dal nazionalismo e dal sindacalismo rivoluzionario, dal pericolo bolscevico e dalla poesia futurista e dannunziana, non c’è alcuna possibilità di fascismo oggi. Un contesto mutato, un conflitto che si trasferisce in video e sui social, un mondo interdipendente, global, dominato dall’economia e un’Italia ingessata nelle regole europee. In quel tempo dilagava la nazionalizzazione delle masse, come la definì George Mosse; oggi prevale la globalizzazione delle masse, ridotte in folle solitarie. Cent’anni fa, nel ’19, l’America che con Wilson si poneva alla guida del mondo, la Russia bolscevica divenuta Urss e il nascente fascismo furono accomunati da un’espressione: Ordine nuovo. Dette il nome nel ’19 alla rivista di Gramsci e Togliatti, laboratorio dell’italo-comunismo, fu il proposito di Mussolini ma fu anche la locuzione stampata sul dollaro Usa.

E poi nel 1919 c’era lo slancio vitale di una società giovane e audace, di una società prolifica e ancora povera, c’era una generazione temprata dal fronte e affamata di futuro e c’era l’orrore di una guerra che aveva “rottamato” milioni di ragazzi, tra vittime, feriti e sbandati. Oggi c’è una società vecchia e sfiduciata, una democrazia di massa avvizzita nel benessere, nel malessere e nel malaffare, e c’è la lezione tragica del ‘900 che ci ricorda come sono andate a finire le rivoluzioni rosse e nere. Oggi non ci sono condottieri ma conducenti, la sovranità è tecno-finanziaria, il potere militare si è trasferito alla magistratura, l’ideologia cede al mercato; la devozione è passata dalla religione alla fiction o le pop-star, la storia si riduce al presente. Non si va in trincea ma on line. Quel 23 marzo di cent’anni fa è lontano anni luce.


Alberto Pento
Caro Marcello Veneziani
La Svizzera, l'Olanda, la Danimarca, la Norvegia, la Finlandia, ... sono tutti paesi che non hanno mai generato e avuto un dittatore come Mussolini e Hitler eppure talune pur avendo patito la guerra, sono tra i paesi più progrediti, civili e ricchi della terra in particolare la Svizzera che è tra i più democratici e felici.
L'umanità per fare le cose buone, giuste, utili che la rendono felice non hanno bisogno di dittatori, di uomini presuntuosamente e demenzialmente illuminati, di guide supreme, di personaggi da fiera come Mussolini.
A disdoro di Mussolini non vi sono state solo le leggi razziali antisemite, ma anche il totalitarismo antidemocratico, la campagna imperiale d'Africa, l'esaltazione del nazismo maomettano, l'entrata in guerra a fianco di Hitler con la distruzione dell'Italia, la sconfitta e la miseria.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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