I veneti copà ente ła I goera mondial par colpa de ła Tałia


Re: I veneti copà ente ła I goera mondial par colpa de ła Ta

Messaggioda Berto » lun mag 25, 2015 6:46 am

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Ła barbarie tałiana de ła prima goera mondial
viewtopic.php?f=139&t=528

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On line l’archivio della memoria della Grande Guerra

http://www.archiviomemoriagrandeguerra.it

Il più grande archivio on line d’italia: storia, reperti e vicende umane sulla rete. i caduti veneti furono 48.374
???

Se garia da xontarghe i furlani ke lora łi fea parte del Veneto e i morti çeviłi.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I veneti copà ente ła I goera mondial par colpa de ła Ta

Messaggioda Berto » lun mag 25, 2015 6:47 am

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24 Maggio 1915 – 2015 : LUTTO, non Festa

Lettera Aperta da Veneto Łión a tutti i Sindaci della “Regione del Veneto”
http://vivereveneto.com/2015/05/24/24-m ... -non-festa


Caro Sindaco,

questo anno di grazia 2015, che ci riporta, per i 100 anni trascorsi, agli orrori ed ai lutti della Prima Guerra Mondiale, dovremmo tutti raccoglierci in meditazione e, per chi ha la fortuna di credere, in preghiera.

Molti milioni di uomini sono morti in quella che Papa Benedetto XV ha riconosciuto e denunciato essere l’inutile strage. Pregare per la nostra anima, per alleviare l’eterno soffrire di quei giovani che con vesti diverse sono atrocemente morti chiedendo aiuto allo stesso Dio. Riflettere per capire, per conoscere e maturare una seria cultura di pace e di rispetto, di lealtà e di verità.

Ritornare con la mente al 1915 ed alle terrificanti conseguenze della dichiarazione di guerra lanciata dal Regno d’Italia contro l’Impero Austro-Ungarico è doveroso, e va fatto con quella compostezza che ci pervade quando andiamo a trovare i nostri cari in cimitero.

Tutti i popoli del mondo hanno elaborato delle simbologie per manifestare e quindi esternare, condizioni interiori, sia individuali che collettive, ritenute meritevoli di rispetto, il lutto fra tutte. La bandiera a mezz’asta, i balconi socchiusi, il nastro nero al braccio sono segni di sofferenza che sicuramente ben si addicono a commemorare degnamente quei giovani infelici privati della vita a seguito di quella sciagurata “dichiarazione di guerra” di 100 anni fa, e per ricordare altrettanto degnamente i lutti e le immense sofferenze patite dalle popolazioni.

Poco conta se qualcuno ritiene che l’inizio di una guerra sia positivo per i lauti guadagni goduti da alcuni. UNA GUERRA NON E’ MAI UNA BUONA COSA! Una guerra è immorale per definizione, in se stessa. Non si celebra l’inizio di una guerra. Non si festeggia l’inizio di una guerra di aggressione. Si può celebrare la vittoria di una guerra perché è l’inizio di una pace, ma mai l’inizio di una guerra.

Lo Stato Italiano nel 2015 ha dato ordine agli Enti territoriali, – e quindi anche ai Comuni veneti – ed a quant’altri sotto diretto gerarchico controllo di esporre il tricolore il 24 maggio 2015, giorno di entrata in guerra. L’esposizione della bandiera dello Stato Italiano, ritta sul pennone, rientra fra i segni esteriori attraverso i quali lo Stato Italiano vuole manifestare ed attestare gioia ed orgoglio per un determinato fatto del quale il giorno dell’ostentazione vi è ricorrenza. Tale disposizione dell’attuale Governo dello Stato Italiano ci lascia sbigottiti ed offesi, quasi increduli. La schizofrenia ridanciana dello Stato Italiano con l’ottimismo ad oltranza e l’incosciente nazionalismo da “curva sud” insulta la storia, insulta i lutti ed il dolore ed insulta i ricordi ed insulta ed indigna noi Veneti assieme a tutti i popoli che finalmente affratellati formano l’Europa.

Come può vivere un Austriaco, uno Slovacco, un Ceko, un Bavarese, uno Sloveno, un Tirolese, un Veneto, un Polacco, un Friulano, un Siciliano, un Toscano, un Bosniaco, un Sardo, un Ligure, un Galiziano, un Croato, un Ungherese il “festeggiamento” dell’inizio di una guerra fratricida dichiarata a tradimento? Quei popoli che spesso erano già allora fratelli, e che sono stati per scelta non loro nemici in trincea, ora sono fratelli, e vogliono costruire la pace. Il fallimentare Stato Italiano, invece, vuole rinverdire lo spirito della retorica di quella guerra nel puerile progetto di creare e consolidare un triste nazionalismo che non appartiene, e mai è appartenuto, ai popoli della Penisola.

In altri tempi, o forse con altri soggetti, tanto scellerata disposizione del Governo dello Stato Italiano avrebbe generato serie conseguenze internazionali. Se ciò non accadrà sarà solo a ragione del fatto che le Cancellerie degli Stati offesi dall’agire del Governo Italiano avranno la maturità di capire che tali manifestazioni di irresponsabile infantilismo sono una malattia cronica dello Stato Italiano.

Il Popolo Veneto ha una lunghissima tradizione di pace e convivenza con gli altri popoli d’Europa e della Penisola, il Popolo Veneto NON PUO’ FESTEGGIARE L’INIZIO DELLA GUERRA DI AGGRESSIONE che tanto lo ha dissanguato e devastato.

Invitiamo tutti i Sindaci e gli Amministratori locali del Veneto a non esporre il tricolore il giorno 24 maggio 2015 o, quantomeno, qualora loro temessero ritorsioni da parte dello Stato Italiano, ad esporre la bandiera veneta, il gonfalone veneto, listata a lutto.

Invitiamo gli uomini e le donne Veneti ad esporre il gonfalone veneto, la bandiera veneta, listata a lutto, ed a vestire il segno del lutto a memoria dei nostri morti e di tutti quelli che dal 1915 al 1918 hanno lasciato la vita in una guerra che si poteva tranquillamente evitare, che si doveva evitare. Valga questo anche come atto di solidarietà e di scuse formali da parte del Popolo Veneto nei confronti di tutti i popoli d’Europa coinvolti nell’inutile massacro della guerra ed offesi dall’insipiente agire del Governo dello Stato Italiano.

Veneto Łión – 22 Maggio 2015

Si fa presente che gli autori ed i referenti di questa Lettera Aperta firmata da Veneto Łión sono Andrea Arman, Patrizio Miatello, Franco Rocchetta.

Si comunica inoltre che prima ancora della diffusione di questo testo, già molti Sindaci, rappresentanti di coalizioni politiche tra loro anche assai diverse, da Isola Rizza a Quarto d’Altino, venuti a conoscenza dell’essere questa Lettera Aperta in cantiere hanno aderito all’invito da essa veicolato condividendone i valori e le finalità.



A cento anni dall'inutile strage !
https://www.facebook.com/cecconce?fref=nf
Un pensiero va ai nostri poveri parenti morti, per le becere mire espansionistiche dei monarchi savoiardi e di qualche massone che inneggiava all'interventismo.

La foto ritrae il cappellano MIlitare Ortner che da l'estrema unzione ad un "nemico" italiano. L'inutile assalto degli italiani del Col Basson dove morirono in un solo giorno 500 uomini del 115° reg Treviso.
Dal diario del cappellano, durante l'assalto del 115 Treviso°, mandati diritti in bocca al nemico.
I soldati austriaci mietevano vittime con le loro schwarzlose, non ne potevano più e si alzarono per dire basta all'inutile massacro del nemico che stavano perpetuando, urlavano: Bravi soldati italiani, basta ! non si può uccidere così!
Lo stesso Cappellano ci racconta che cercava di allontanarli agitando un bastone.



Quel 24 maggio in cui facemmo la guerra raccontando la favola dei bravi italiani
http://www.glistatigenerali.com/storia- ... a-mondiale

23 maggio 2015

Radioso neanche tanto, quel maggio del 1915: le truppe italiane che varcano i confini con la monarchia austro-ungarica si aspettano di essere accolte dalla popolazione festante. Invece non accade, ed è subito delusione. Quasi immediatamente i servizi d’informazione del Regio esercito si danno da fare per individuare gli «austriacanti» (termine che al tempo veniva usato con aperto disprezzo) da internare lontano dai luoghi d’origine. Capitolo tristissimo, questo, che ha il suo contraltare nei presunti irredentisti internati dall’Austria. Ma accadono anche fatti ben più gravi: fucilazioni sommarie, per esempio, e addirittura un massacro, a Villesse, in provincia di Gorizia. Va subito detto che le violenze ai danni dei civili sono episodiche e saltuarie, non certo sistematiche, com’era accaduto un paio d’anni prima in Libia. Va aggiunto che il riconoscimento del massacro di Villesse viene da fonte al di sopra di ogni sospetto: la Corte dei Conti italiana. Il supremo tribunale contabile nel 1930 sancisce l’insussistenza della accuse a carico dei morti e concede le pensioni alle vedove, queste ultime tutelate da un legale, Rodolfo Caprara, che era stato federale fascista di Gorizia. L’annotazione che viene spontaneo fare è che anche quando i treni arrivavano in orario la giustizia procedeva assai lenta, visto che il suggello del tribunale giunge a quindici anni di distanza dagli avvenimenti.

Quando l’Italia entra in guerra, il 24 maggio 1915, gli austriaci si ritirano su linee più facili da difendere, in sostanza sulle alture, sgomberando le posizioni in pianura che vengono subito occupate dagli italiani. Nei primissimi giorni di guerra il Regio esercito entra a Cervignano, in Friuli, arrivando ai primi rilievi che circondano Gorizia (il monte Calvario, Podgora in sloveno, diventerà tristemente noto), a Cortina d’Ampezzo, a Riva del Garda e Ala, nel Trentino. Gli ufficiali italiani che entrano in territorio nemico si dividono grosso modo in due categorie, gli entusiasti e i sospettosi. I primi, imbevuti di propaganda irredentista, si aspettano di essere accolti con lanci di fiori e ragazze che sventolano fazzoletti entusiaste perché viene finalmente messa fine al secolare giogo asburgico. Quando si rendono conto che nulla di tutto ciò accade, la delusione è cocente. Valga per tutti il caso del generale Antonio Cantore che, occupata Ala, fa internare tutti i componenti della banda cittadina perché non avevano accolto le truppe italiane suonando i loro strumenti. Anzi – sorpresa somma – i nemici vengono presi a fucilate (l’episodio è narrato dallo storico alense Massimiliano Baroni).

I sospettosi invece sono quelli convinti che il territorio occupato sia infestato da tiratori scelti, appostati ovunque e in attesa di sparare sui soldati italiani. La storia dei franchi tiratori era nata nel 1914 in Belgio, dove i tedeschi si erano fatti prendere da una vera e propria paranoia collettiva. Gli ufficiali del Regio esercito pensano che il presunto scenario possa replicarsi in Friuli e in Trentino, tanto che la parola italiana utilizzata per designare i tiratori scelti, ovvero «cecchino», viene coniata proprio sul soprannome con cui gli italiani indicavano l’imperatore d’Austria, ovvero Cecco Beppe. Particolarmente sospettoso è il maggiore Domenico Citarella, al comando del 3° battaglione del 13° fanteria (Brigata Pinerolo) che occupa Villesse il 27 maggio. La cittadina friulana era stata raggiunta già il 25 maggio da una pattuglia di cavalleria che viene accolta da sindaco e segretario comunale stappando una bottiglia di spumante. Tutto tranquillo, e i cavalieri passano oltre. I problemi, davvero seri, sarebbero arrivati un paio di giorni dopo.

Citarella, decritto come un cinquantenne meridionale piuttosto tarchiato, è reduce della guerra di Libia, nonché sicuro che tra nordafricani e friulani le differenze non siano troppe, e che in ogni caso sia meglio non fidarsi. Pure lui viene accolto a casa del segretario comunale, lo lascia però di stucco dicendogli che lo riterrà personalmente responsabile di quanto potrebbe accadere ai suoi soldati. Accanto a Villesse scorre un torrente, il Torre: l’altra sponda è in mano austriaca, ogni tanto qualche pattuglia si spinge al di qua, ogni tanto qualche soldato esplode colpi di fucile. Niente di strano, si direbbe, visto che si è in guerra. Citarella, però, si autoconvince che a sparare siano gli abitanti di Villesse e non le pattuglie di soldati austriaci. Convizione rafforzata dal fatto che gli uomini abili sono – ma guarda un po’ – assenti dal paese in quanto arruolati nell’imperiale e regio esercito (con ogni probabilità mandati a morire in Galizia).

Citarella impone il coprifuoco, ordina che tutte le case rimangano con porte e finestre aperte in modo che i soldati possano sempre rendersi conto di quanto accade all’interno, e ordina pure che nessuno si allontani dal paese. Il 29 maggio accade un fatto per lui inaudito: il torrente Torre si gonfia in una piena. Il maggiore è certo che a provocarla siano stati gli austriaci, aprendo presunte dighe a monte. Naturalmente non è così, ma l’ufficiale teme che si tratti del preludio di un attacco a sopresa. Fa allestire cinque barricate nelle vie del paese utilizzando fascine di legno e mobilio prelevato dalle case, raduna in piazza tutti gli abitanti, qualche fonte sostiene che fossero 149. Divide i civili in cinque gruppi e le mette dietro alle barricate, sorvegliati alle spalle dai soldati italiani con le baionette inastate; una sorta di scudi umani volti a far desistere l’eventuale attacco austriaco. Di notte scoppia un violento temporale e verso mezzanotte si odono i colpi di un’intensa sparatoria. Può essere che qualche austriaco abbia aperto il fuoco e gli italiani abbiano pensato di trovarsi sotto attacco, può essere che il rumore dei tuoni sia stato scambiato per le detonazioni di armi; resta comunque il fatto che tutti i bossoli recuperati sul terreno sono italiani, nella fattispecie fabbricati a Bologna.

Rimangono uccisi cinque civili e un soldato italiano, con ogni probabilità vittima di fuoco amico. E allora ricordiamoli questi poveracci morti innocenti: Giulio Portelli (50 anni), Danilo Montanar (60), Giuseppe Capello (63), Antonio Marega (49); i quattro muoiono subito, mentre la quinta vittima, Francesco Zampar (60), spira il giorno dopo a causa di una ferita alla gola. Si registrano anche alcuni feriti gravi, mentre non si conosce il nome del soldato italiano.

Giulio Portelli è il segretario comunale e contro di lui il maggiore Citarella aveva sviluppato un’autentica ossessione, ritenendolo un austriacante (mentre in realtà pare fosse iscritto al partito liberalnazionale, quindi irredentista). Il giorno dopo, il 30, ne fa fucilare anche il figlio, Severino, accusandolo di spionaggio. Il ragazzo, esentato dalla leva perché applicato nel municipio della vicina Sagrado, aveva in tasca tremila corone austriache e alcuni appunti. Tanto basta per farlo mettere al muro. Un’inchiesta degli anni Venti (quindi italiana) appura che la somma era il ricavato della vendita di due manzi avvenuta pochi giorni prima dell’arrivo delle truppe italiane – la quasi totalità dei paesani ne era al corrente – e l’annotazione, pure questa precedente l’arrivo degli italiani, riguardava il prelevamento della farina del comune di Sagrado per l’approvvigionamento del reparto bosniaco schierato in zona.

A far desistere Citarella è il comandante di un reparto di bersaglieri. Passato casualmente per Villesse, fa ritornare alle proprie case gli abitanti che il maggiore aveva fatto radunare nella golena del Torre perché i suoi uomini li sorvegliassero. Successivamente Citarella sarà trasferito. Lo ritroviamo nel 1917 sul Piave, con il grado di colonnello e decorato con medaglia di bronzo al valor militare. Questo è il più grave, ma non l’unico, episodio di violenza da parte delle truppe italiane nel Friuli occupato. Nella vicina Lucinico, paese alle porte di Gorizia, il 3 giugno vengono fucilate senza processo tre persone, Giovanni Vidoz (52 anni), Michele Bressan (73), Francesco Bressan (non se ne conosce l’età). Erano stati accusati di aver sparato sugli italiani, mentre in realtà il fuoco proveniva dagli austriaci appostati sul Calvario.

Il giorno successivo, il 4 giugno, si registra un altro episodio molto grave, non più in Friuli, ma sul Monte Nero, o Krn, dove gli italiani erano stati bloccati dalle difese austriache. John Schindler nel suo “Isonzo” (pubblicato in italiano dalla Leg) scrive che alcune unità italiane sfogano la loro frustrazione sui civili sloveni. I soldati del IV corpo distruggono sei paesi nei pressi del Monte Nero, asserendo che i civili avevano aperto il fuoco contro le unità italiane. Un incidente simile coinvolge il 42° reggimento in fase di avanzata, con l’accusa ai civili sloveni di aver ucciso i feriti italiani. I carabinieri per rappresaglia prelevano 61 uomini dei villaggi, li allineano e fanno fuoco; quelli che sopravvivono, assieme a donne e bambini, vengono radunati e mandati nei campi di internamento italiani.

Certo, poca, pochissima, cosa di fronte alle centinaia di migliaia di morti che sarebbero costate le dodici battaglie dell’Isonzo (la dodicesima noi italiani la conosciamo come Caporetto, oggi Kobarid, in Slovenia). Ma si tratta di episodi significativi di un clima che non era per nulla entusiastico e idillico come la propaganda nazionalista avrebbe con successo tramandato.


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SOLDÂT EUGENIO SANDRIGO, DI AQUILEIA, COGO DAL ESERCIT AUSTRIAC, PRIN FURLAN MUART SUL FRONT AUSTRO-TALIAN.

http://www.lavosdalfriul.eu/?q=article% ... o-sandrigo

No je vere che il prin muart fo, daspò da jentrade in vuere taliane, l'alpin udinês Riccardo Giusto (colpît sul Kolòvrat aes 4 di matine dal 24.05.2015)...onôr al pùar alpin Giusto, ma un altri furlan "cun la monture di un altri colôr" (cit.) MURÌ PLUI O MANCUL UN'ORE PRIN...
La prime canonade dal esercit talian rivà dal distrutôr (=cacciatorpediniere) Zeffiro pôc dopo des 3:00 vie pe gnot dal 24 di Mai 1915 (secont cualchidun altri aes oris 23:15 dal 23, prin da declarazion di vuere): jentrât tal canâl Porto Buso, secolâr cunfin maritim da l'Austrie, la nâf di vuere sbarà prin une silurade che fasè crofe (=cilecca) e po dopo une schirie di 169 canonadis cuintri da la caserme di cunfin austriache.
Ta caserme austriache stavin in dut 82 personis (71 fra soldâts e marinârs e 11 finanziots) erin furlans, slovens, triestins e todescs: 4 muririn subit sot dal fûc nemì (fra chescj ancje Eugenio Sandrigo, che ere al cogo da caserme), 7 innearin po che un schif (=scialuppa) si ribaltà ta aghe, 6 (scuasit ducj furlans) rivarin a scjampâ traviarsant a pît la lagune rivant daspò 11 oris di cjamìn (!) ducj impantânts a Gravo, 17 erin dislogâts di vuardie ta svariâts ponts da lagune e si meterin ducj in salf, i restants 48 invezit (cul comandant Magher) forin fats presonîrs dai talians.
Cheste une part da la letare dal cjapitani Stieger, diret superior dal tenent Magher, inviade al comant da 5. Armade austrongjarese, po clamade 'Isonzo-Armee':
«Duin, 6.6.1915.
Si riferìs che ai 24 di Mai 1915, il repart di difese costiere di Portobuso, che d'in chê volte ere ai miei ordins, viodût c'o comandavi il repart di difese costiere di Gravo, aes 3 a.m. fo tacât di doi distrutôrs talians, che lu colpirin tirant granadi e shrapnells e lo distruzerin scuasit dal dut.
Daûr des declarazions dai pôcs soldâts riparâts a Jamian, che si à proviodût a interogâ cun la massime curie, i events si sono davuelts in cheste maniere: la sentinele dae finanze Amandus Humar, viers lis 3 a.m., viodè une colone di fum fasi dongje besvelte da la fôs dal Tiliment e lu riferì al comandant, il siôr tenent dae riserve Yohn Mareth che, adun al comandant da la guardie di finance Giovanni Gaspari osservà col binocul lis nâfs che si svicinavin e po dè l'ordin di la sû sui schifs. Intant, i doi distrutôrs erin rivâts sot tîr e vierzerin il fûc. Une imbarcazion a benzine, cun 20 oms, fo centrade in plen, un schif si capotà e dai 10 oms sù si salvarin dome 3.
Il tenent Mareth fo viodût par l'ultime volte daprûf dal mûr di cente da l'isule, intant che incitave i soldâts a montâ sù su lis barcjis. (...)»
Chest l'elenc dai oms che mancjavin ae clamade:
MUARTS: sotenent contabil Kaucic Franz; zugsfhürer Wimberger Andreas; fants Bohine Alois, Sandrigo Eugenio.
DISPIERDÛTS: tenent Mareth; sergjent Pizzin; caporâi Furlanut, Sgubin, Corazza, Deinsi, Comar; fants Gergolet, Tognon, Ambroz, Boemo, Bevilacqua, Calligaris, Cecot, Colautti, Cechet, Devetag, Fragiacomo, Fabris, Fumis, Faustmann, Hrovatin, Jaki, Ipavez, Malaroda, Medeot, Maurig, Noni, Ockerls, Omerzu, Sandrigo (Dullio), Trevisan, Verzegnassi, Zrimsek, Zein, Canarutto, Cusma, Corbatto, Froglia, Rubinich, Sirotgnak, Prettner; finanziots Gaspari, Verzier, Scaramuzza, Cosulich, Rasatti, Mandal, Skodnik, Wonka, Faidiga.
Di chescj dispierdûts la plui part erin fra chei fats presonîrs dai talians.
Chest al è ce c'al sucedè la gnot di 100 ains fa esats...à di fâ rifleti che forin DOI FURLANS (Sandrigo e Giusto) I PRINS MUARTS seial di une bande che di chê altre dai schiriaments, ta la maladete vuere che sclopà un secul fa fra Italie e Austrie pal control di chestis nestris pùaris tieris di cunfin.

Di Blanc Luche

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Re: I veneti copà ente ła I goera mondial par colpa de ła Ta

Messaggioda Berto » lun mag 25, 2015 6:55 am

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