Monachesimo/Monakexemo

Re: Monachesimo/Monakexemo

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2014 10:06 pm

Monasti e mumie orientałi

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... betane.jpg


http://www.corriere.it/Primo_Piano/Scie ... mmia.shtml

MEDITAZIONE - Studi precedenti hanno dimostrato che alcuni monaci tibetani sono in grado, attraverso la meditazione, di rallentare il loro metabolismo fino al 64% e persino di aumentare considerevolmente la propria temperatura corporea. Secondo Mair, l'uomo di Ghuen sarebbe stato un profondo conoscitore di queste tecniche e con ogni probabilità un seguace degli insegnamenti di un mistico giapponese di nome Kukai. Gli insegnamenti di Kukai sono stati messi in pratica fino al 18/esimo secolo da una setta buddista chiamata Shingon e consistono nello spingere il corpo fino ai limiti della resistenza tramite una disciplina di austerità e meditazione. I seguaci di Kukai cominciavano a nutrirsi di noci e bacche e dopo quasi tre anni passavano a cibarsi solo della corteccie e delle radici di alcuni pini. Dopo cinque anni e mezzo, ormai ridotti a scheletri ambulanti, i monaci smettevano pressoché di muoversi e passavano la giornata a meditare. Ormai prossimi alla morte, bevevano un'infuso di una pianta chiamata Urishi che li faceva sudare, vomitare ed urinare in modo da eliminare tutti i liquidi. Una volta terminata questa fase, i monaci si avvelenavano con l'arsenico.
LA PRESERVAZIONE DEL CORPO - La tecnica di Kukai - che i suoi seguaci credevano servisse a raggiungere l'illuminazione in una sola vita - può spiegare, secondo Mair, come il corpo dell'uomo si sia conservato fino ad oggi senza rimuovere gli organi interni, come facevano gli egizi per evitare la putrefazione. «Il lento digiuno riduceva i grassi, insieme a parti del corpo che sarebbero poi potute andare in putrefazione e soprattutto distruggeva i batteri intestinali», ha spiegato Mair che ha anche sottolineato che, privandosi d'acqua e disidratandosi con la bevanda, il monaco avrebbe ulteriormente contribuito a preservare il suo corpo dalla putrefazione

http://politicainrete.it/forum/religion ... tti-3.html
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Monachesimo/Monakexemo

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2014 10:07 pm

On livro par la xente, so Cristo e el crestieanexemo:

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... xadura.jpg
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Monachesimo/Monakexemo

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2014 10:07 pm

Sant'Antonio de Pava

http://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_di_Padova
Sant'Antonio di Padova, in portoghese Santo António de Lisboa, al secolo Fernando Martim de Bulhões e Taveira Azevedo (Lisbona, 15 agosto 1195 – Padova, 13 giugno 1231), fu un religioso portoghese canonizzato dalla Chiesa cattolica e proclamato nel 1946 Dottore della Chiesa. Da principio monaco agostiniano a Coimbra dal 1210, poi dal 1220 frate francescano. Viaggiò molto, vivendo prima in Portogallo quindi in Italia ed in Francia. Nel 1221 si recò al Capitolo Generale ad Assisi, dove vide e ascoltò di persona san Francesco d'Assisi. Dotato di grande umiltà ma anche di grande sapienza e cultura, per le sue valenti doti di predicatore, mostrate per la prima volta a Forlì nel 1222, fu incaricato dell'insegnamento della teologia e inviato per questo dallo stesso san Francesco a contrastare la diffusione dell'eresia catara in Francia. Fu poi trasferito a Bologna e quindi a Padova. Morì all'età di 36 anni. È notoriamente e popolarmente considerato un grande santo, anche perché di lui si narrano grandi prodigi miracolosi, sin dai primissimi tempi dalla sua morte e fino ai nostri giorni. Tali eventi prodigiosi furono di tale intensità e natura che facilitarono la sua rapida canonizzazione, inferiore ad un anno (è il Santo canonizzato più rapidamente nella storia della Chiesa) e la diffusione mondiale della sua devozione, che lo rendono il santo più venerato al mondo.

« La verità genera odio; per questo alcuni, per non incorrere nell'odio degli ascoltatori, velano la bocca con il manto del silenzio. Se predicassero la verità, come verità stessa esige e la divina Scrittura apertamente impone, essi incorrerebbero nell'odio delle persone mondane, che finirebbero per estrometterli dai loro ambienti. Ma siccome camminano secondo la mentalità dei mondani, temono di scandalizzarli, mentre non si deve mai venir meno alla verità, neppure a costo di scandalo »



https://www.google.it/search?sourceid=n ... dei+catari
Comincia a predicare nella Romagna, prosegue nell'Italia settentrionale, usa la sua parola per combattere l'eresia (è chiamato anche il martello degli eretici), catara in Italia e albigese in Francia, dove arriverà nel 1225. Tra il 1223 e quest'ultima data pone le basi della scuolateologica francescana, insegnando nel convento bolognese di Santa Maria della Pugliola. Quando è in Francia, tra il 1225 e il 1227, assume un incarico di governo come custode di Limoges. Mentre si trova in visita ad Arles, si racconta gli sia apparso Francesco che aveva appena ricevuto le stigmate. Come custode partecipa nel 1227 al Capitolo generale di Assisi dove il nuovo ministro dell'Ordine, Francesco nel frattempo è morto, è Giovanni Parenti, quel provinciale di Spagna che lo accolse anni prima fra i Minori e che lo nomina provinciale dell'Italia settentrionale. Antonio apre nuove case, visita i conventi per conoscere personalmente tutti i frati, controlla le Clarisse e il Terz'ordine, va a Firenze, finché fissa la residenza a Padova e in due mesi scrive i Sermoni domenicali. A Padova ottiene la riforma del Codice statutario repubblicano grazie alla quale un debitore insolvente ma senza colpa, dopo averceduto tutti i beni non può essere anche incarcerato. Non solo, tiene testa ad Ezzelino da Romano, che era soprannominato il Feroce e che in un solo giorno fece massacrare undicimila padovani (???) che gli erano ostili, perché liberi i capi guelfi incarcerati. Intanto scrive i Sermoni per le feste dei Santi, i suoi temi preferiti sono i precetti della fede, della morale e della virtù, l'amore di Dio e la pietà verso i poveri, la preghiera e l'umiltà, la mortificazione e si scaglia contro l'orgoglio e la lussuria, l'avarizia e l'usura di cui è acerrimo nemico.


http://it.wikipedia.org/wiki/Catarismo
http://it.wikipedia.org/wiki/Crociata_albigese

La straje dexomana de li catari
http://www.youtube.com/watch?v=25WSQQV7pvA
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Monachesimo/Monakexemo

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2014 10:08 pm

Boudixmo Xen

http://it.wikipedia.org/wiki/Buddhismo_Zen
Con il termine Zen (禅) ci si riferisce a un insieme di scuole buddhiste giapponesi che derivano per dottrine e lignaggi dalle scuole cinesi del Buddhismo Chán a loro volta fondate, secondo la tradizione, dal leggendario monaco indiano Bodhidharma. Per questa ragione talvolta si definisce Zen anche la tradizione cinese Chán, ma anche le tradizioni Sòn coreana e Thiền vietnamita.

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... udixmo.jpg

http://it.wikipedia.org/wiki/Tendai
http://it.wikipedia.org/wiki/Buddhismo_Ch%C3%A1n
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Monachesimo/Monakexemo

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2014 10:08 pm

Derviso

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... vishes.jpg

http://it.wikipedia.org/wiki/Derviscio
Col termine derviscio (in persiano e arabo darwīsh, lett. "povero", la cui etimologia resta sostanzialmente sconosciuta) si indicano i discepoli di alcune confraternite islamiche (turuq) che, per il loro difficile cammino di ascesi e di salvazione, sono chiamati a distaccarsi nell'animo dalle passioni mondane e, per conseguenza, dai beni e dalle lusinghe del mondo. Si tratta di un termine afferente a molte generiche confraternite islamiche sufi, anche se tendenzialmente ci si riferisce alla ṭarīqa della Mawlawiyya/Mevleviyè.
I dervisci sono asceti che vivono in mistica povertà, simili ai frati mendicanti cristiani.

Darwīsh in lingua farsi significa letteralmente "cercatore di porte". In campo mistico il termine, più ancora che "mendicante" ha acquistato il significato di colui che cerca il passaggio che porta da questo mondo materiale ad un paradisiaco mondo celestiale. Il termine generalmente si riferisce a un asceta mendicante oppure ad un temperamento ascetico di colui che è indifferente alle cose materiali.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Monachesimo/Monakexemo

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2014 10:10 pm

L’agricoltura ente l’Ouropa pricristiana e xermana:

- come ke se pol trar fora da sti fati ła xera xa progredia e sensa de łi romani e sensa de łi frati de łi monasteri cristiani -

IV secolo dopo Cristo, deportazione di colonni alemanni in area padana, precedentemente parzialmente colonizzata e centuriata (?):

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... adania.jpg

http://it.wikipedia.org/wiki/Cremona

L'origine del toponimo è incerta, ma sembra preromano, forse gallico (i Cenomani) o celtico, e legato alla variante prelatina "carm" del termine "carra", cioè sasso, roccia, e dal comune suffisso pure prelatino -ona[3]. Dal libro di Mario Monteverdi La Storia Di Cremona edito nel 1955 dal giornale locale La Provincia, secondo Sicardo un certo Brimonio, troiano, scappò dalla patria distrutta e fondò Brimonia che, col tempo, trasformò il suo nome appunto, in Cremona. Per qualcun altro il fondatore fu il presunto compagno di Paride, Cremone.

Fortificata (ma non fondata) dai Romani nel 218 a.C. da 6.000 coloni come castrum avanzato in riva al Po.
La leggenda più conosciuta vuole che la città sia stata fondata da Ercole; in realtà fu da sempre un importante e vitale centro dell'area padana durante tutto il periodo repubblicano, con un anfiteatro per giochi ludici, un foro e monumentali bagni termali. Nel 69 d.C. fu assediata e distrutta dalle truppe di Vespasiano e successivamente riedificata con l'aiuto dello stesso imperatore. Per un lungo periodo la città scompare dalle cronache della storia, citata solo in pochi documenti, o nominata per la provenienza di qualche personaggio storico.
La città era sede di porto fluviale e attraversata dalla via Postumia che collegava Aquileia a Genova attraversando il Po nei pressi dell'antico insediamento.
La via nel periodo tardo romano perde progressivamente importanza ma la città mantiene un importante porto fluviale attestato sino al periodo tardo antico.

http://books.google.it/books?id=NjL2KGs ... ni&f=false

Le centuriazioni di Cremona furono 2: una probabilmente ???) nel 218 a.C. (6000 coloni) e un’altra nel 40-41 a.C. con i coloni di Ottaviano.
La colonia del 218 a.C. (assieme a quella coeva di Piacenza (altri 6000 coloni) sopravvisse a stento per decenni fino a che non furono sconfitti gli galli indigeni e verso il 190 a.C vi si aggiunsero altri 3000 coloni a sollevare le sorti di questa trista colonia. Tacito racconta che la prosperità di Cremona fu data, poi, dalla possibilità di matrimoni con le popolazioni locali.


Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... talica.jpg


Cinque (circa 5/6) secoli più tardi il generale romano Teodosio (di etnia iberica)

http://it.wikipedia.org/wiki/Conte_Teodosio
Flavio Teodosio (latino: Flavius Theodosius; ... – Cartagine, 376) fu un importante generale romano, che raggiunse il rango di Comes Britanniarum e che per questo è anche noto come Conte Teodosio. In quanto padre dell'imperatore Teodosio I, è considerato il capostipite della casata di Teodosio; per distinguerlo dal figlio, gli storici lo chiamano talvolta Teodosio il Vecchio o Teodosio Seniore

http://cronologia.leonardo.it/storia/anno371.htm

Parliamo però ora di TEODOSIO il Vecchio, cioè del valoroso generale, padre del futuro imperatore che ha ora poco più di vent'anni e ha seguito (anche lui come Graziano) fin dall'adolescenza il padre nelle numerose campagne militari in varie province.

Teodosio padre, aveva combattuto nel 367-368 in Britannia contro i Pitti e gli Scoti ristabilendo l'ordine a Londra, poi chiamato in Italia da Valentiniano, era sceso in suo soccorso partendo dalla Rezia.

Da Stoccarda era sceso sul Reno, poi l'aveva risalito. Lungo il percorso, oltre le grandi distruzioni e i saccheggi che abbiamo già narrato, prendendo alle spalle gli Alamanni, fece numerosi prigionieri.

Non solo soldati, ma anche 30.000 pacifici pionieristici coloni che - come abbiamo già accennato negli scorsi anni - avevano trasformato il territorio in un Eden. Sia al di qua sia al di là del Danubio, della Mosella, del Neckar, del Reno, e del Marne. Avevano disboscato, aperto canali irrigui in questi grandi fiumi, drenato terreni, create piantagioni e pascoli e soprattutto messo a dimora i vitigni che ancora oggi sono il vanto della Renania, del Palatinato, della Bassa Giura, e dello Champagne. Avevano coltivato il luppolo pregiato, la materia prima per la birra, una bevanda che i romani disprezzavano chiamandola "urina dei barbari".

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... enania.jpg

Padre e figlio rimasero impressionati. Loro spagnoli di Segovia avevano visto, attraversandole, già le colture della Spagna, della Francia, e quelle italiane molto misere ai lati del Po lungo la Pianura Padana, ancora dominata da immense foreste.
Non avevano mai visto nulla di simile, un territorio così bene organizzato, coltivato, e reso così produttivi i terreni.

Teodosio requisì tutti quei bravi coltivatori, smembrò famiglie, distrusse parentadi, incolonnò i 30.000 uomini migliori, e nel senso inverso deportandoli li fece scendere, attraverso il Passo Resia, nella Val Venosta a Bolzano, poi Trento, Verona, fino al Po.
Distribuì così sulle sue sponde 60.000 braccia, per sradicare boschi, arare campi, aprire canali, fare argini al fiume; come aveva visto fare lassù nel Nord.
Ed eccoli questi deportati nella pianura Padana, a Cremona, Guastalla, Ostiglia, Occhiobello, ospiti forzati; a integrarsi poi col tempo, e a trasferire poi nel bagaglio genetico degli indigeni anche quello di Goti, Alamanni, Germani.

Dove son finiti tutti gli agri centuriati di quest’area padana, anche attorno alle colonie romane come quella di Cremona, dedotte varie secoli prima durante l’espansione dello stato romano nella pianura padano-etrusco-gallica ???

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... padana.jpg

Ammiano 28,5,15 (Valentiniano, coloni allemanni in padania IV secolo)

Ammiano Marcellino (in latino Ammianus Marcellinus; Antiochia, 330 circa – Roma, post 391) è stato uno storico romano di età tardo-imperiale. Sebbene nato in Siria nel seno di una famiglia ellenofona scrisse la sua opera interamente in latino. È il maggiore degli storici romani del IV secolo la cui opera sia stata preservata, seppure mutilata. La sua Res gestae libri XXXI, descrive gli anni 96 - 378, continuando l'opera del grande storico Cornelio Tacito.

http://it.wikipedia.org/wiki/Teodosio_I

http://it.wikipedia.org/wiki/Ammiano_Marcellino

http://la.wikisource.org/wiki/Res_Gesta ... iber_XXIII


Dove erano finite le centuriazioni e i relativi coloni dei primi secoli dell’era padano-romana se nel IV secolo d.C. l’area era prevalentemente boscosa, paludosa e incolta?

Nell’area germanica i romani pagano tributi agli alemanni per i danni arrecati con le precedenti invasioni

http://cronologia.leonardo.it/storia/anno372.htm

L'imperatore VALENTIANO dopo la pace con gli Alamanni in Gallia (o meglio dire resa condizionata con pagamento dei danni causati nelle città renane e della Mosella - che lui nel versare il denaro chiamava donativo, ma i germani quando si presentavano a riscuotere le rate chiamavano invece tributo) continua ad essere impegnato in Gallia, sempre occupato ad elaborare progetti e a edificare castelli per mantenere sicure le frontiere.

http://viaggincamper.altervista.org/renania.htm
http://viaggincamper.altervista.org/renania.JPG
La Renania
Per i romantici Brentano, Kleinst o Arrim la valle del Reno con il suo paesaggio calmo e tranquillo punteggiato da boschi, borghi e castelli era un "giardino della natura", nemmeno Goethe riuscì a sfuggire all'incanto di questa regione fluviale.

Che fine hanno fatto questi 30 mila coloni alemanni, dopo la pace forzata tra i romani (sconfitti e tributari) e gli alemanni (vittoriosi), sono tornati in Renania o sono rimasti in area padana e se sono rimasti quanto della toponomastica locale è a loro attribuibile ?
E come mai l’area padana occupata da questi deportati alemanni era incolta, coperta da fitte foreste e paludi, dove erano finite le ipotetiche centuriazioni di secoli prima?

Cologni alemani en Padania
http://picasaweb.google.it/pilpotis/Col ... iInPadania
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Monachesimo/Monakexemo

Messaggioda Berto » dom mar 23, 2014 8:20 am

Arnaldo da Brèsa

Immagine

http://it.wikipedia.org/wiki/Arnaldo_da_Brescia
Arnaldo da Brescia (Brescia, 1090 – Roma, 18 giugno 1155) è stato un religioso bresciano.
Fu un riformatore religioso caratterizzato da notevole eloquenza e forte avversione per l'istituzione tradizionale ecclesiastica. I punti fondamentali del suo radicale programma di riforma, da collegarsi alle idee del movimento milanese dei Patarini, erano: la rinuncia della Chiesa alla ricchezza e il suo ritorno alla povertà evangelica, l'abbandono del potere temporale, la predicazione estesa ai laici, la non validità dei sacramenti amministrati da un clero non degno, la confessione praticata tra fedeli e non ai sacerdoti.

A venticinque anni, Arnaldo divenne canonico agostiniano e si trasferì a Parigi, dove ebbe come maestro Pietro Abelardo e dove lesse avidamente tutte le opere dei Padri della Chiesa. Al suo ritorno a Brescia, nel 1119, iniziò una serrata propaganda anticlericale, decisamente innovativa per i tempi: Arnaldo accusava il clero ed in particolare il vescovo di Brescia Manfredo, di possedere terre, di interessarsi di vicende politiche e di praticare usura, predicando il ritorno alla povertà evangelica, all'elemosina e alla solidarietà.
Nel 1139 le sue idee e quelle di Abelardo vennero giudicate eretiche dal Concilio Lateranense II e per tale motivo egli decise di lasciare l'Italia ed andare in Francia dall'amico Abelardo. Qui partecipò al Concilio di Sens del 1140, teatro della disputa tra Abelardo e Bernardo di Chiaravalle. Quest'ultimo prevalse ed ottenne dal re Luigi VII l'espulsione dalla Francia di Arnaldo. Questi allora si recò prima a Zurigo e poi in Boemia nel 1143, accolto dal legato pontificio Guido di Castello, futuro papa Celestino II.
Chiesto ed ottenuto il perdono da papa Eugenio III, Arnaldo tornò poi a Roma nel 1145 dove, con la cacciata del pontefice seguita alla rivolta del 1143, era stato istituito un libero comune retto da un senato oligarchico e da un patricius.

In tale situazione Arnaldo si gettò completamente nell'agone politico giungendo a fomentare con accalorati comizi le sue tesi anti-papali e rivoluzionarie, tese a fare di Roma un'entità politica nuova e sganciata dalla Chiesa; questo comportò la scomunica da parte del papa nel 1148, ma godendo del favore popolare, non fu mai perseguitato.
Fallita l'esperienza del libero comune, Arnaldo ed i suoi numerosi seguaci, detti arnaldisti, mossi dallo spirito antipapale, pensarono quindi di far rinascere uno stato imperiale a Roma e si rivolsero a Federico Barbarossa per convincerlo a scendere su Roma ed instaurarvi un potere laico opposto a quello del papa. Nel 1152 il papa Eugenio III riconobbe il Comune come entità politica, ma non poté godere a lungo della pace perché morì di lì a poco.

Dopo il brevissimo pontificato di papa Anastasio IV, divenne papa nel dicembre 1154 Adriano IV. Nel 1155 Adriano IV colpì d'interdetto Roma, in seguito all'assassinio di un cardinale, con la promessa di revocare la decisione solo se Arnaldo fosse stato esiliato dalla città. A questo punto la città si schierò contro Arnaldo e si sollevò contro il Senato. Arnaldo fu quindi costretto a fuggire da Roma e vagare come ospite di alcune potenti famiglie della campagna romana, tra cui il Visconte di Campagnano. Era qui ospite quando l'Imperatore Federico I Barbarossa, in Italia per essere incoronato, ordinò al Visconte la consegna di Arnaldo che fu quindi tradotto a Roma.

Probabilmente intorno al giugno 1155, ma non è certa la data esatta, Arnaldo venne condannato dal tribunale ecclesiastico all'impiccagione, ed il suo corpo fu arso al rogo mentre le sue ceneri furono sparse nel Tevere, per impedire che se ne recuperassero i resti mortali. Il reale capo d'accusa non fu la predicazione contro l'abuso delle ricchezze da parte del clero, contro il quale aveva combattuto ferocemente anche il suo nemico Bernardo di Chiaravalle, bensì il rifiuto assoluto del potere temporale del Papa e della Chiesa, che San Bernardo e gli altri avversari di Arnaldo consideravano «eresia».

La figura di Arnaldo da Brescia fu riscoperta dai giansenisti lombardi nel settecento e fu celebrata da Giovanni Battista Niccolini, nella tragedia a lui dedicata, come quella di un eroe anticlericale vittima di un imperatore tedesco. La cultura laica dell'Ottocento lo esaltò come un martire del libero pensiero, mentre la Riforma Protestante ne fa un suo antesignano.

Un suo mezzobusto si trova a Villa Borghese, accanto all'orologio.

Ad Arnaldo è dedicato il Liceo Ginnasio Statale Arnaldo, liceo classico bresciano e il vicino Piazzale Arnaldo, dominato dal monumento a lui dedicato, opera di Odoardo Tabacchi nonché, a Roma, una porzione di Lungotevere, tra ponte Nenni e ponte Regina Margherita.

Immagine


Il nome della rosa.
https://www.youtube.com/watch?v=nbAbTSLsn7I

Immagine
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Monachesimo/Monakexemo

Messaggioda Berto » dom ago 14, 2016 11:39 am

Il falso mito che i monaci salvarono e migliorarono l'agricoltura in Europa, ponendo le basi per la rinascita medievale del continente

???

Come i monaci salvarono la civiltà
Cap. 3° Estratto da: Thomas E. WOODS, Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale,
Ed. Cantagalli, Siena 2007

http://ora-et-labora.net/monachesimocivilta.html

I monaci ebbero un ruolo determinante nello sviluppo della civiltà occidentale; eppure, a considerare la pratica più antica del monachesimo, difficilmente si sarebbe potuta immaginare l'enorme influenza che esso avrebbe esercitato sul mondo esterno. Tale influenza risulta meno sorprendente se si richiamano a mente le parole di Cristo: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste altre cose vi saranno date in sovrappiù» [Matteo 6, 33; NdT]. La storia dei monaci è racchiusa in queste semplici parole.
[...]
Benché lo scopo di un monaco nel ritirarsi in un monastero fosse quello di coltivare una vita spirituale più disciplinata e, per meglio dire, di lavorare per la propria salvezza in un ambiente e sotto un regime che favorisse questo scopo, il suo ruolo nella civiltà occidentale si sarebbe dimostrato fondamentale. Sebbene i monaci non intendessero compiere azioni memorabili per la civiltà occidentale, tuttavia con il passare del tempo essi seppero apprezzare la missione a cui i tempi sembravano chiamarli.
[...]

Le arti pratiche
Le persone più istruite pensano che il maggior contributo dato dai benedettini alla civiltà occidentale sia l'attività di studio e culturale in senso lato. In verità, i benedettini coltivarono in modo notevole un altro aspetto della civiltà occidentale, ossia ciò che potremmo definire "le arti pratiche". L'agricoltura è un esempio particolarmente significativo. Nel primo Novecento Henry Goodell, presidente di quel che sarebbe poi diventato il Massachusetts Agricultural College, celebrò «l'opera che questi grandiosi monaci svolsero lungo un arco di millecinquecento anni. I benedettini salvarono l'agricoltura quando nessun altro avrebbe potuto salvarla; la esercitarono nell'ambito di un nuovo stile di vita e di nuove condizioni di vita, in un tempo in cui nessun altro osava cimentarsi con l'agricoltura» . Le fonti documentarie su questo punto sono considerevoli: «Dobbiamo ai monaci la ricostruzione agraria di gran parte dell'Europa», sostiene uno studioso. «Ovunque andassero», sottolinea un altro studioso, i benedettini «trasformarono terra desolata in terra coltivata. Intraprendevano la coltivazione del bestiame e della terra, lavoravano con le proprie mani, prosciugavano paludi e abbattevano foreste. Furono i benedettini a trasformare la Germania in una terra fruttifera». Un altro storico ricorda che «ogni monastero benedettino era una sorta di «college» agrario per l'intera regione in cui era situato». Persino lo statista e storico francese del Novecento François Guizot, che non nutriva particolari simpatie per la Chiesa Cattolica, osservò: «I monaci benedettini furono gli agricoltori d'Europa. La pulirono su larga scala, associando agricoltura e predicazione».

Nella vita monastica svolse un ruolo importante il lavoro manuale, al quale la Regola benedettina si richiamava espressamente. Sebbene la Regola fosse nota per la sua moderazione e la sua avversione per le punizioni eccessivamente severe, cogliamo spesso i monaci nell'atto di farsi carico di un lavoro difficile e poco attraente, dal momento che per loro tali opere erano canali di grazia e opportunità di mortificazione della carne. Ciò fu certamente vero riguardo all'opera da loro svolta nel disboscamento e nella bonifica delle terre. L'opinione prevalente sugli acquitrini era che fossero fonti di pestilenza di nessun valore. Ma i monaci prosperarono in tali luoghi e abbracciarono le sfide che essi presentavano. In breve tempo riuscirono a costruire argini e a prosciugare la zona paludosa e a trasformare in fertile terra agricola ciò che era stato fonte di malattia e sporcizia .
[...]
Ovunque andassero, i monaci portavano raccolti, industrie o metodi di produzione che nessuno aveva mai visto prima. Introducevano qui l'allevamento del bestiame e dei cavalli, lì la fabbricazione della birra, o l'apicoltura, o la frutticoltura. Dovettero ai monaci la propria esistenza il commercio del grano in Svezia, la fabbricazione del formaggio a Parma, i vivai di salmone in Irlanda e, in moltissimi luoghi, le vigne più amene. I monaci facevano scorta di acque provenienti dalle sorgenti, al fine di distribuirle durante le siccità. I monaci dei monasteri di Saint Laurent e di Saint Martin, visto che le acque delle sorgenti si disperdevano inutilmente nelle pianure di Saint Gervais e Belleville, decisero di deviarle su Parigi. In Lombardia i contadini appresero dai monaci l'arte dell'irrigazione, che contribuì in modo determinante a render celebre quella regione in tutta Europa per la sua fertilità e le sue ricchezze. Inoltre, i monaci furono i primi a lavorare per il miglioramento delle razze di bestiame, sottraendo quest'opera al caso .

In molte occasioni il buon esempio dei monaci servì da ispirazione e modello, grazie soprattutto al grande rispetto e alla grande reverenza da loro portati al lavoro manuale in generale e all'agricoltura in particolare. «L'agricoltura era caduta in una fase di declino», secondo uno studioso; «le paludi avevano preso il posto di campi un tempo fertili, e gli uomini che avrebbero dovuto lavorare la terra disprezzavano l'aratro considerandolo degradante». Ma quando i monaci emersero dalle loro celle per andare a scavare canali di scolo e arare i campi, «la loro fatica ebbe un effetto magico, e si tornò alla nobile, a lungo disprezzata, industriosità» . Papa san Gregorio Magno (590-604) ci racconta una storia rivelatrice a proposito dell'abate Equizio, un missionario del VI secolo famoso per la sua eloquenza: un messo del Papa giunse al suo monastero in cerca di Equizio, andò di filato allo scriptorium, aspettandosi di trovarlo tra i copisti, ma non lo trovò: i calligrafisti spiegarono semplicemente: «È laggiù nella valle, che falcia l'avena» .

I monaci furono pionieri anche nella produzione del vino, che usavano sia per la celebrazione della Santa Messa sia per il loro consumo quotidiano, che la Regola di san Benedetto espressamente permetteva. La stessa scoperta dello champagne si può far risalire a un monaco benedettino, Dom Perignon, dell'abbazia di Saint Pierre a Hautvillers sulla Marna.
[...]
I monaci furono anche importanti inventori e sperimentatori. I cistercensi, un ordine benedettino tendenzialmente riformista stabilitosi a Citeaux nel 1098, sono particolarmente famosi per la loro abilità tecnologica. Grazie alla grande rete di comunicazione esistente tra i vari monasteri, la competenza tecnologica poté diffondersi rapidamente, ragione per cui troviamo sistemi idraulici molto simili in monasteri molto distanti l'uno dall'altro, anche migliaia di chilometri. «Questi monasteri», scrive uno storico, «furono le unità economicamente più efficaci mai esistite in Europa, e forse nel mondo» .

Il monastero cistercense di Chiaravalle, in Francia, ci ha lasciato un resoconto del XII secolo riguardante l'uso che in quel luogo si faceva dell'energia idraulica, che rivela in quale misura sorprendente le macchine fossero diventate essenziali alla vita europea. Generalmente la comunità monastica cistercense dirigeva la propria fabbrica. I monaci usavano l'energia idraulica per battere il frumento, setacciare la farina, follare i panni, e per la conciatura. Come sottolinea Jean Gimpel nel suo libro «The Medieval Machine» («La macchina medievale»), il resoconto in oggetto si sarebbe potuto scrivere settecentoquarantadue volte, ovvero il numero dei monasteri cistercensi presenti in Europa nel XII secolo. Lo stesso livello di perizia e successi tecnologici si sarebbe potuto osservare in pressoché tutti i monasteri cistercensi .

Il mondo dell'antichità classica non aveva adottato in alcun grado significativo la meccanizzazione per uso industriale. Ciò avvenne, in misura enorme, nel mondo medievale; un fatto simboleggiato e rispecchiato dall'uso che i cistercensi fecero dell'energia idraulica [...].
[...]


I monaci consiglieri tecnici

I cistercensi furono noti anche per la loro abilità metallurgica. «Nella loro rapida espansione in tutta Europa», scrive Jean Gimpel, i cistercensi devono aver «giocato un ruolo nella diffusione di nuove tecniche, poiché l'alto livello della loro tecnologia agraria era pari alla loro tecnologia industriale. Ogni monastero possedeva una fabbrica modello, spesso ampia come la chiesa, da cui distava appena pochi passi, e l'energia idraulica guidava le macchine delle varie industrie situate al primo piano» . Talvolta i monaci ricevevano in dono depositi di minerale di ferro, quasi sempre con le forge che servivano per estrarre il ferro, talaltra acquistavano depositi e forge. Sebbene avessero necessità di ferro, col tempo i monasteri cistercensi avrebbero cominciato a vendere le eccedenze di questo minerale; addirittura, dalla metà del Duecento fino a tutto il Seicento i cistercensi furono i principali produttori di ferro della regione della Champagne. Sempre desiderosi di aumentare l'efficienza dei propri monasteri, i cistercensi usavano come fertilizzante le scorie prodotte dalle fornaci, giacché la loro concentrazione di fosfati le rendeva particolarmente utili a questo scopo .

Tali opere furono parte di un più ampio fenomeno di impegno tecnologico da parte dei monaci. Come osserva Gimpel, «Il Medioevo introdusse in Europa le macchine in una misura fino ad allora sconosciuta anche ad altre civiltà» (26). Secondo un'altra fonte, i monaci furono «gli esperti e non pagati consiglieri tecnici del terzo mondo del loro tempo, vale a dire l'Europa dopo l'invasione dei barbari (...). In effetti, che fosse la macinatura del sale, del piombo, del ferro, dell'allume o del gesso, o la metallurgia, l'escavazione del marmo, il tener bottega di coltellinaio o una fabbrica di vetro, o il forgiare piastre di metallo, note anche come "piastre del focolare", non vi era alcuna attività in cui i monaci non dessero prova di creatività e di uno spirito di ricerca fecondo. I benedettini sapevano incanalare il proprio lavoro verso la perfezione. La perizia coltivata nei monasteri si sarebbe diffusa per tutta l'Europa .

Le attività dei monaci spaziavano da curiosità interessanti al decisamente pratico. All'inizio dell'XI secolo, per esempio, un monaco di nome Eilmer volò con un aliante per più di 180 metri; la sua impresa fu ricordata per i successivi tre secoli . Secoli dopo, il bresciano Francesco Lana Terzi (1631-87), non un monaco ma un padre gesuita, proseguì in modo più sistematico lo studio del volo, guadagnandosi l'onore di essere chiamato il padre dell'aviazione. Il suo libro «Prodromo alla arte maestra», del 1670, fu il primo a descrivere la geometria e la fisica di un vascello volante.

I monaci annoverarono anche abili orologiai. Il primo orologio di cui abbiamo notizia fu costruito dal futuro Papa Silvestro II per la città tedesca di Magdeburgo intorno all'anno 996. Orologi molto più sofisticati furono fabbricati in seguito da altri monaci. Nel Trecento un monaco di Glastonbury, Peter Lightfoot, costruì uno degli orologi più antichi ancora esistenti, che oggi è conservato, in eccellente stato, nel Museo della Scienza di Londra.

Sempre nel Trecento, Riccardo di Wallingford, abate dell'abbazia benedettina di Saint Albans - nonché uno degli iniziatori della trigonometria occidentale - si distinse per il grande orologio astronomico che disegnò per quel monastero. Qualcuno ha osservato che un orologio che lo eguagliasse in finezza tecnologica non si sarebbe visto per almeno due secoli. Il magnifico orologio, una meraviglia del suo tempo, non è sopravvissuto, distrutto, forse, durante le confische di monasteri effettuate nel Cinquecento per volontà di Enrico VIII. Tuttavia, gli appunti di Richard sul disegno dell'orologio hanno permesso agli studiosi di riprodurne un modello e persino una ricostruzione a grandezza naturale. Oltre a registrare il passare del tempo, l'orologio poteva prevedere con accuratezza le eclissi lunari.

Gli archeologi stanno ancora scoprendo l'estensione delle competenze e dell'abilità tecnologica dei benedettini. Nei tardi anni Novanta del Novecento, l'archeometallurgo Gerry McDonnell dell'Università di Bradford, in Inghilterra, ha scoperto le prove, vicino all'abbazia di Rievaulx, nello Yorkshire settentrionale, di un grado di raffinatezza tecnologica che va nella direzione delle grandi macchine della Rivoluzione industriale del Settecento. (L'abbazia di Rievaulx fu uno dei monasteri che Enrico VIII fece chiudere negli anni Trenta del Cinquecento nell'ambito del suo piano di confisca dei beni della Chiesa). Esplorando i frammenti di Rievaulx e Laskill (sede decentrata a circa sessanta chilometri dal monastero), McDonnell ha scoperto che i monaci avevano costruito una fornace per estrarre ferro dal minerale di ferro.
[...]
McDonnell è certo che i monaci fossero vicinissimi a costruire fornaci per la produzione, su larga scala, di ferro battuto - forse l'ingrediente chiave che inaugurò l'era industriale - e che la fornace di Laskill fosse servita da prototipo. «Gli elementi chiave sono che ogni anno si teneva un raduno di abati e che i cistercensi avevano i mezzi per far circolare da un capo all'altro dell'Europa i progressi tecnologici», ha dichiarato McDonnell. «La disgregazione dei monasteri spezzò questa rete di "trasferimento di tecnologia"». I monaci «avevano il potenziale per passare ad altiforni che non producessero nient'altro che ferro battuto. Erano pronti per farlo su grande scala. Spezzando quel monopolio virtuale, Enrico VIII ne spezzò il potenziale» .

Sembra insomma che fu solo la soppressione dei monasteri per volere di un re avido a impedire ai monaci di inaugurare l'era industriale e dare così inizio all'esplosione economica e demografica, nonché all'innalzamento dell'aspettativa di vita. Perché ciò avvenisse dovettero passare due secoli e mezzo.

La parola scritta

Per quanto onorato, il lavoro dei copisti era difficile e impegnativo. Su un codice monastico sono annotate queste parole: «Colui che non sa scrivere immagina che ciò non sia una fatica, ma sebbene soltanto tre dita tengano la penna, è il corpo intero a stancarsi». I monaci si trovavano spesso a lavorare nel freddo più inclemente. Un monaco copista, implorando la nostra simpatia mentre completava una copia del commentario di san Girolamo al «Libro di Daniele», scrisse: «Buoni lettori che usate quest'opera, vi prego, non dimenticate colui che la copiò: era un povero fratello di nome Luigi, che, mentre trascriveva questo volume, portato da un paese straniero, sopportò il freddo e fu obbligato a portare a termine di notte quel che non era capace di scrivere alla luce del giorno. Ma Tu, Signore, concedi, ti prego, piena ricompensa alle sue fatiche» (35).

Nel VI secolo un senatore romano in pensione [senatore dell'Impero Romano d'Oriente; NdT], di nome Cassiodoro, ebbe una precoce visione del ruolo culturale che avrebbe avuto il monastero. Intorno alla metà del secolo, Cassiodoro fondò nell'odierna Calabria il monastero di Vivarium e lo fornì di una bella biblioteca - la sola biblioteca del VI secolo che gli studiosi conoscano anche solo per sentito dire - ponendo in primo piano l'importanza della copiatura dei codici. Alcuni importanti codici cristiani trascritti a Vivarium sembra siano giunti sin nella Biblioteca Lateranense e nelle mani dei papi .

Sorprende, però, che non sia a Vivarium, ma ad altre biblioteche e ad altri «scriptoria» monastici che dobbiamo la sopravvivenza della letteratura latina antica nella sua quasi totalità. Quando non furono salvate e trascritte dai monaci, le opere dell'antichità latina furono conservate dalle biblioteche e dalle scuole associate alle grandi cattedrali del Medioevo (37). Così, anche quando non dava un contributo originale suo proprio, la Chiesa conservava libri e documenti che si sarebbero rivelati di importanza cruciale per la civiltà che avrebbe salvato.
[...]

La Chiesa, in effetti, curò, preservò, studiò e insegnò le opere degli antichi, che altrimenti sarebbero andate perdute.

Alcuni monasteri furono conosciuti per la loro perizia in particolari rami del sapere. Così, per esempio, i monaci di San Benigno, a Digione, impartivano lezioni di medicina; il monastero di San Gallo, nell'odierna Svizzera, aveva una scuola di pittura e incisione, e in certi monasteri tedeschi si poteva assistere a lezioni di greco antico, ebraico e arabo .

Spesso i monaci arricchivano la propria istruzione frequentando una o più di una delle scuole monastiche fondate durante la rinascita carolingia e oltre.
[...]
L'ammirazione che la civiltà occidentale nutre per la parola scritta e per i classici viene dalla Chiesa Cattolica, che durante le invasioni barbariche preservò l'una e gli altri. [...]



Rinascita dell'anno Mille

https://it.wikipedia.org/wiki/Rinascita ... anno_Mille

L'aspetto più sensazionale di questa espansione dell'Occidente[24] è, a detta degli storici, l'aumento della popolazione che però non si può calcolare in modo certo per l'assenza di documenti anagrafici ma che risulta evidente da una serie di prove indirette come ad esempio l'aumento dell'estensione delle terre messe a coltura. Tra XI e XII secolo ci sono documenti che testimoniano il dissodamento estensivo di terre vergini: lo provano le carte contrattuali con cui i feudatari concedono vantaggiose opportunità per coloro che si insedino e coltivino le terre incolte. Nei catasti si trovano piante a scacchiera o a spina di pesce dei terreni coltivati. Ulteriore prova l'aumento delle decime che la Chiesa riscuote dai contadini: il prevosto della cattedrale di Mantova alla fine del XII secolo annota che in meno di un secolo le terre di proprietà della Chiesa sono state «truncatae et aratae et de nemoribus et paludibus tractae et ad usum panis reductae.» (dissodate ed arate risanate dai boschi e dalle paludi e riutilizzate per trarne pane.)

Quando si parla di estensione delle superfici coltivabili si pensa in genere alle terre strappate alla foresta ma si dimentica che questa era una fonte di sopravvivenza per i villaggi contadini che in essa trovavano gli animali da cacciare, la legna per scaldarsi, le ghiande per i loro animali, spesso un ruscello dove pescare e integrare la loro povera dieta: la foresta spesso è tanto preziosa quanto la terra coltivabile. Dalle foto aeree e dall'esame dei pollini risulta indubbio che la foresta sia arretrata in quest'epoca, ma è piuttosto il suo margine che viene intaccato: il sottobosco che offre meno resistenza al diboscamento spesso praticato con il fuoco o con mezzi primitivi.

Vengono ora messe a coltura anche le terre meno fertili, le terre fredde. Si realizzano veri e propri dissodamenti collettivi di grandi dimensioni, di cui il più vistoso è quello che si verificò nei Paesi Bassi dai "contadini delle paludi", gli agricoltori fiamminghi che faranno sorgere dal mare i "villaggi di diga". Il conte di Fiandra Roberto II donerà all'incirca nell'anno 1090 all'abbazia di Bourbourg lo scorre (terra strappata al mare) e tutto quello che i monaci riusciranno a togliere al mare (quicquid ibi accreverit per iactum maris)[26]

È questa l'epoca in cui con sforzi giganteschi viene bonificata dalle paludi e dagli acquitrini la pianura padana e in cui i versanti degli Appennini vengono dai signori feudali divisi in lotti e assegnati a quei contadini che s'impegnino a liberarli dalla vegetazione e a coltivarli.

Secondo recenti calcoli questo fu l'andamento della crescita di una popolazione contraddistinta dalla brevità di vita e dall'elevata mortalità infantile ma anche dalle numerose nascite e formazioni di gruppi familiari caratterizzate dalla giovane età: verso il 1050 la popolazione europea è stata stimata in 46 milioni nel 1100 era di 48 milioni, 50 verso il 1150 e 61 verso il 1200.

Questo imponente aumento della popolazione dell'Occidente cristiano fece crescere di conseguenza i corpi da nutrire, vestire, alloggiare e le anime da salvare.



La rivoluzione agricola

Lo sviluppo agricolo già iniziato nell'età carolingia è causa ed effetto della rivoluzione demografica. L'aumento della produzione di prodotti agricoli è dimostrato non solo dalla quantità delle terre messe a coltura ma anche dalla qualità delle pratiche agricole che si avvantaggiano di progressi tecnici. La prima di queste innovazioni tecnologiche fu l'uso dell'aratro pesante a ruote e a versoio, che permetteva di incidere la terra più a fondo rispetto al più primitivo aratro di legno a chiodo, che scalfiva appena il terreno.

Si è detto che questa dell'XI secolo fu la vera "età del ferro", sempre più utilizzato a partire dal Mille, anche se ancora parzialmente negli strumenti, soprattutto agricoli, che conservano manici in legno. Tuttavia gli attrezzi in ferro erano molto costosi, e ancora alla fine del Trecento un contadino abitante della montagna bolognese doveva lavorare quattro giorni per potersene permettere uno. Richiama l'uso del ferro la diffusione nei paesi anglosassoni del cognome Smith (fabbro). È questa innovazione che segna un'inversione di tendenza rispetto alla più evoluta civiltà orientale e pone le premesse delle moderne innovazioni tecnologiche.

Questo nuovo tipo di aratro, essendo infatti in ferro e più pesante, permetteva l'aratura anche di terreni freddi e duri: essendo poi il solco più profondo, si dava maggiore protezione e nutrimento ai semi che attecchivano meglio e producevano di più.

Insieme con l'aratro si adottò un nuovo modo di attaccare gli animali, migliorandone l'efficacia della trazione. Sino ad allora si era utilizzato il cosiddetto pettorale, una cinghia in cuoio che attraversava trasversalmente il petto degli animali attaccati, che ne venivano quasi soffocati. In seguito si passò al collare di spalla, (giogo) chiamato anche collare rigido o collare imbottito, per il cavallo, e giogo frontale per il bue.
Calendario (l'aratura), 1000 circa, miniatura, Cotton ms. Tiberius B. V., f. 3r., Londra, British Library

Gli animali con il collo così libero, respiravano liberamente e ne veniva sfruttata tutta la forza esercitata dal collare o dal giogo che faceva pressione sulle spalle. Si è calcolato che la trazione in questo modo aumentasse di quattro, cinque volte. La ferratura degli zoccoli del cavallo permetteva poi di utilizzare questo animale finora escluso per l'aratura perché meno potente del bue, conferendogli un'andatura più spedita e sicura. Certo il cavallo era meno forte del bue, ma più veloce e soprattutto meno costoso, e inoltre, con gli anni, era stato migliorato per fini bellici. per cui il suo rendimento alla fine si rivelò superiore del cinquanta per cento rispetto ai buoi. Il cavallo era più resistente e poteva prolungare la giornata di lavoro di almeno un paio d'ore, quando ad esempio si doveva profittare in fretta delle condizioni climatiche favorevoli per l'aratura e la semina. Inoltre si cibava di avena, che veniva coltivata con la rotazione triennale e svolgeva anche la funzione di arricchimento del suolo. Per i contadini che avevano il loro campo lontano il cavallo era un comodo mezzo di trasporto che permetteva, inoltre, la formazione di popolose borgate rurali al posto dei piccoli e sperduti villaggi, permettendo uno stile di vita semiurbano con i vantaggi sociali conseguenti.

Un altro grande cambiamento in agricoltura fu l'adozione di una forma di avvicendamento triennale delle colture che consentiva uno sfruttamento più intensivo dei terreni. In assenza di concimi chimici i campi in passato, dopo il raccolto, venivano lasciati a riposo perché recuperassero le sostanze nutritive: era la parte della terra non coltivata, chiamata maggese, che riguardava all'incirca la metà del campo coltivabile. L'anno successivo si operava all'inverso, attuando quello che si definisce avvicendamento biennale. In seguito si introdusse invece la rotazione triennale: il terreno veniva diviso in tre parti all'incirca uguali e solo un terzo è lasciato a riposo: in questo modo la produzione saliva dalla metà all'incirca ai due terzi della produzione possibile con un aumento di un sesto della produzione su tutta la terra coltivabile e di un terzo rispetto al metodo biennale. Ma non si tratta solo di un miglioramento quantitativo: cambia anche la qualità delle colture. Una parte del terreno, infatti, viene seminata in autunno per i raccolti invernali (ad esempio frumento e segale) l'altra è seminata in primavera ad avena orzo o legumi per i raccolti estivi. Solo un terzo del campo viene lasciato a riposo e nell'anno seguente si alternano le colture. Da questo nuovo metodo deriva un triplice vantaggio: con i raccolti d'avena si nutrono le bestie e gli uomini; in caso di carestie in una stagione si può sperare nell'altro raccolto della stagione successiva, ma soprattutto si ottiene una variazione della dieta e l'introduzione in essa dei legumi, fondamentali per il loro apporto di proteine.
« La coppia cereali legumi diventa normale al punto che il cronista Orderico Vitale, parlando della siccità che nel 1094 ha colpito la Normandia e la Francia, dice che essa ha distrutto segetes et legumina, messi e legumi. »
(Le Goff, Basso medioevo.)

Nel corso del X secolo si era poi rotto l'equilibrio tra le terre che il signore amministrava direttamente servendosi delle prestazioni d'opera gratuite dei servi (pars dominica) e quelle affittate ai coloni, di solito le più difficili da coltivare, (pars massaricia). Ora l'antica suddivisione della proprietà in pars massaricia e in pars dominica finisce per scomparire. Anche la pars dominica viene divisa in lotti poiché ormai i contadini riservano il più possibile del loro lavoro ai loro campi e diminuiscono sempre più i servi obbligati a lavorare per il signore. Finisce l'economia curtense e con essa il modo di pensare e di sentire «anche se gli usus non hanno perso il loro valore. All'antico torpido adagiarsi negli schemi della consuetudine orale subentra una smania di mettere per iscritto, di fissare canoni, di precisare posizioni reciproche. Non è soltanto riscossa di ceti bassi. È una nuova mentalità che si fa strada, tanto in alto che in basso.»


Si aggiunga che l'agricoltura non è un'arte inventata dai romani, mal praticata di germani in epoca preistorica e precristiana (germani considerati a torto barbari incivili ma che presero in carico l'Europa alla fine dell'impero romano) in reltà i germani erano maestri anche in agricoltura e non hanno dovuto aspettare i monaci cristiano romani per imparare l'agricoltura; si tenga conto che lo sviluppo del monachesimo in Europa coincide con l'Europa a egemonia germana e che buona parte dei monasteri erano promossi e gestiti dai germani cristianizzati re, imperatori, duchi, abati, monaci, servi della gleba e uomini liberi.


Già nel IV° secolo d.C. i germani danno prova di essere dei maestri sopraffini in agricoltura, senza l'ausilio di alcun monaco cristiano:

Teodosio
http://it.wikipedia.org/wiki/Conte_Teodosio
Flavio Teodosio (latino: Flavius Theodosius; ... – Cartagine, 376) fu un importante generale romano, che raggiunse il rango di Comes Britanniarum e che per questo è anche noto come Conte Teodosio. In quanto padre dell'imperatore Teodosio I, è considerato il capostipite della casata di Teodosio; per distinguerlo dal figlio, gli storici lo chiamano talvolta Teodosio il Vecchio o Teodosio Seniore


Non solo soldati, ma anche 30.000 pacifici pionieristici coloni che - come abbiamo già accennato negli scorsi anni - avevano trasformato il territorio in un Eden. Sia al di qua sia al di là del Danubio, della Mosella, del Neckar, del Reno, e del Marne. Avevano disboscato, aperto canali irrigui in questi grandi fiumi, drenato terreni, create piantagioni e pascoli e soprattutto messo a dimora i vitigni che ancora oggi sono il vanto della Renania, del Palatinato, della Bassa Giura, e dello Champagne. Avevano coltivato il luppolo pregiato, la materia prima per la birra, una bevanda che i romani disprezzavano chiamandola "urina dei barbari".
...
Teodosio requisì tutti quei bravi coltivatori, smembrò famiglie, distrusse parentadi, incolonnò i 30.000 uomini migliori, e nel senso inverso deportandoli li fece scendere, attraverso il Passo Resia, nella Val Venosta a Bolzano, poi Trento, Verona, fino al Po.
Distribuì così sulle sue sponde 60.000 braccia, per sradicare boschi, arare campi, aprire canali, fare argini al fiume; come aveva visto fare lassù nel Nord.
Ed eccoli questi deportati nella pianura Padana, a Cremona, Guastalla, Ostiglia, Occhiobello, ospiti forzati; a integrarsi poi col tempo, e a trasferire poi nel bagaglio genetico degli indigeni anche quello di Goti, Alamanni, Germani.


http://cronologia.leonardo.it/storia/anno371.htm
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Monachesimo/Monakexemo

Messaggioda Berto » dom ago 14, 2016 12:09 pm

Monastero
https://it.wikipedia.org/wiki/Monastero

In effetti le funzioni sociali di un'abbazia nel Medioevo erano molteplici, fino alla comparsa dello stato modernamente inteso. Da una parte esse avevano una funzione spirituale per il bene della società, nei fabbricati conventuali (per la vita monastica), organizzate attorno al chiostro o alla chiesa abbaziale. Ma vi erano altri fabbricati di ospitalità per il pubblico esterno: scuole, infermerie, ostelli per pellegrini, alloggi per i conversi (i fratelli laici dell'abbazia), "porte della carità".

Vi si aggiungano ancora i fabbricati detti Fabbricerie ove venivano soddisfatte le necessità logistiche immediate dell'abbazia (laboratori vari, panifici, scuderie, stalle, pollai, ecc.) Più lontano ancora, nei villaggi, l'abbazia erigeva croci, particolarmente per i pellegrini. Questa varietà di funzioni si ritrova nei principali "uffici" (responsabilità, incarichi) delle monache: badessa (dirigenza), cantori (musica sacra), cellerari (affari di giustizia), economi, ciambellani (relazioni esterne), infermieri, elemosinieri (assistenza ai poveri), bibliotecari, pietanzieri (cibi per i giorni di magro), ipotecari (farmacia), madri delle converse, vicari (celebrazioni delle Messe nella chiesa parrocchiale), maniscalchi (ferratura dei quadrupedi), refettorieri (per i refettori), giardinieri, camerieri (per l'abbigliamento), ecc.

Gli insediamenti conventuali di tipo benedettino, con il loro principio del lavoro manuale per i monaci, ebbero nel Medioevo un ruolo di sviluppo economico e tecnologico locale: è il caso, ad esempio, della diffusione in Francia della carpa e soprattutto del coniglio domestico, dovuta a motivi religiosi ed economici.

I prodotti agricoli ed artigianali delle abbazie benedettine (come nel sud-est i liquori di Lérins o il liquore verde detto Bénédictine, non più prodotto dai monaci dopo la Rivoluzione francese) sono oggi visibili al grande pubblico sui siti Internet delle abbazie.



Giardino dei semplici (orto officinale e orto botanico)

Inizialmente aveva il nome di orto dei semplici. La parola semplici deriva dal latino medioevale medicamentum o medicina simplex usata per definire le erbe medicinali. È un orto per la coltivazione delle erbe e delle piante medicinali, spesso posto nei pressi dell'infermeria.

I "semplici", ossia le piante officinali, furono nei secoli e lo sono ancora oggi, attraverso i loro principi attivi, il fondamento della terapia che è antica quanto l'umanità. Verso la fine del sec. VI il dottissimo Vescovo di Siviglia, Isidoro, consigliava di coltivare le piante medicinali in un "Orto botanico" (botanicum herbarium). Nel silenzio delle abbazie anche i monaci si dedicarono alla ricerca delle erbe e alla loro coltivazione nei giardini claustrali. Ma gli "orti dei semplici" veri e propri sorsero e si svilupparono nel Rinascimento: secondo alcuni autori, pare che sia stato Nicolò V, per primo, a realizzare la prima collezione di piante rare nei giardini vaticani "in modo da formare un orto dei semplici".

Secondo altri, si deve a Leone X e a Leonardo da Vinci la fondazione dell'orto dei semplici in Vaticano poiché proprio per l'interessamento di Leone X fu istituita a Roma nel 1513 la cattedra di Botanica e, l'anno successivo, vi fu chiamato come Lettore Giuliano da Foligno.

A Casamari troviamo ancora oggi dietro la Basilica, attualmente denominato "giardino dei novizi", l'ubicazione del piccolo "orto dei semplici" di un tempo, incorporato nell'antico viridarium, e questo serve a documentare che ab antiquo anche i monaci di Casamari si dedicavano all'ars medicandi. Per la conservazione, dopo l'essiccazione in ambiente ben aerato esisteva primitivamente nel monastero il cosiddetto armarium pigmentariorum, che era un armadio di legno massiccio, senza battenti a vetri, perché le piante rimanessero nella oscurità più completa. Oltre che con l'essiccazione i monaci conservavano i "semplici" con la preparazione di sciroppi, tinture, macerazioni nell'alcol, etc.

Fino al 1970, nei giardini e nel recinto della clausura dell'abbazia di Casamari, i monaci curavano la coltivazione di piante e di erbe aromatiche e medicinali, mentre alcune piante, ancora oggi vi crescono spontaneamente, quasi a testimoniare l'antica coltura che si faceva di esse.

In verità l'interesse per le piante medicinali fu sempre vivo nei monaci di Casamari e ne abbiamo la prova in alcuni manoscritti, ingialliti dal tempo, che ancora oggi si conservano in archivio. I vari saccheggi subiti dall'abbazia hanno causato la distruzione delle documentazioni più antiche dell'opera silenziosa dei monaci di Casamari nella ricerca dei mezzi più idonei per la cura delle malattie, ma il carteggio giunto fino a noi è sufficiente per testimoniare una tradizione plurisecolare.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Monachesimo/Monakexemo

Messaggioda Berto » dom ago 14, 2016 2:20 pm

Coante ensemense ke łi scrive sti kì! Poveri i giovani che crescono con questi insegnamenti.

http://www.studiarapido.it/monasteri-pr ... 7BfPq3V9Xk

Nel X secolo, quattrocento anni dopo la loro fondazione, i monasteri benedettini erano diventati centinaia ed erano sparsi in tutta l’Europa occidentale. La loro presenza rivestì un’importanza vitale nei primi secoli del Medioevo.

Innanzitutto essi svolsero un’importante funzione economica. Infatti erano dei veri e propri centri di produzione in grado di nutrire non solo i monaci, ma anche una grande quantità di bisognosi in fuga da città in rovina e quasi prive di approvvigionamento, campagne inselvatichite, scorribande di popoli in cerca di bottino. Non mancavano quindi nei monasteri i locali adibiti alle attività agricole: il granaio, il mulino, il frantoio, le fucine dove lavorare i metalli, le cantine, gli orti, le stalle e le abitazioni per i coloni e i servi che lavoravano per il monastero.
La loro perfetta organizzazione fondata sulla formula della Regola di Benedetto da Norcia “Ora et labora”, “Prega e lavora”, faceva sì che i loro campi e i loro allevamenti rendessero molto, tanto che una piccola parte poteva essere destinata al commercio. Pian piano assunsero la fisionomia di importanti aziende agricole.

I monasteri svolgevano anche una funzione sociale: soccorrevano i poveri, ospitavano i viandanti, curavano i malati. Non mancavano infatti la farmacia e l’infermeria destinata sia ai monaci sia ai forestieri.

I monasteri furono i principali centri culturali del Medioevo, svolgendo un ruolo fondamentale nella salvaguardia della cultura classica: nello scriptorium (sala di studio e di scrittura), i monaci amanuensi ricopiavano, ornandoli da splendide miniature, i codici della Bibbia e i testi sacri, nonché gli antichi testi greci e latini, molti dei quali sono giunti fino a noi grazie a questo paziente lavoro di trascrizione.

Nei monasteri furono aperti anche scuole monastiche dove i novizi potevano imparare a leggere e a scrivere (essere istruiti era una condizione indispensabile per potere leggere e comprendere le Sacre Scritture).

All’interno del monastero sorgeva poi un piccolo cimitero perché i monaci non lasciavano il monastero neppure dopo la morte.

I monasteri erano quindi delle città in miniatura, dei luoghi sicuri e attivi nel caos dell’Europa dei primi secoli del Medioevo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

PrecedenteProssimo

Torna a Mexoevo - ani o secołi veneto-xermani (suxo 900 ani) e naseda o sorxensa dei comouni

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti

cron