Eroi łi xe i dixertori e i rivoltoxi, no łe vitime

Eroi łi xe i dixertori e i rivoltoxi, no łe vitime

Messaggioda Berto » ven feb 14, 2014 9:49 pm

Eroi łi xe i dixertori e i rivoltoxi e no coełi ke łi se ga fato copar come bestie; coesti no łi xe eroi łi xe vitime.
viewtopic.php?f=132&t=583

Kive no ghe xe osi de eroi ma coełi de łe vitime de ła goera vołesta dal stado tałian e ke ła ga desfà el Veneto!

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -osari.jpg

Mi me vargognaria a farme vanto del sangoe de tute ste vitime e me pararia de coparle n'altra volta a cantarle come eroi ke łi se ga vołontariamente sagrefati par ła Pàrea (Patria), coando ke anvençe łi xe sta fati copar da ła falba Pàrea (Patria) tałiana.
N’eroe nol se fa copar par gnente ma el da ła so vita par on ben pì grande come ła łebartà e ła vita de ła so xente. N’eroe nol se fa copar par desfar ła so tera e stermenar ła so xente.

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... nelo-1.jpg
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Re: Eroi łi xe i dixertori e i rivoltoxi, no łe vitime

Messaggioda Berto » sab feb 15, 2014 10:16 pm

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Re: Eroi łi xe i dixertori e i rivoltoxi, no łe vitime

Messaggioda Berto » mer feb 19, 2014 7:44 am

Fabrizio de Andrè - Maria nella bottega del falegname

http://www.youtube.com/watch?v=g9FB11hp ... autoplay=1

http://www.testitradotti.it/canzoni/fab ... -falegname

MARIA NELLA BOTTEGA DEL FALEGNAME di FABRIZIO DE ANDRÉ

"Falegname col martello
perché fai den den?
Con la pialla su quel legno
perché fai fren fren?
Costruisci le stampelle
per chi in guerra andò?
Dalla Nubia sulle mani
a casa ritornò?"

"Mio martello non colpisce,
pialla mia non taglia
per foggiare gambe nuove
a chi le offrì in battaglia,
ma tre croci, due per chi
disertò per rubare,
la più grande per chi guerra
insegnò a disertare."


"Alle tempie addormentate
di questa città
pulsa il cuore d'un martello,
quando smetterà?
Falegname, su quel legno,
quanti colpi ormai,
quanto ancora con la pialla
lo assottiglierai ?"

"Alle piaghe, alle ferite
che sul legno fai,
falegname, su quei tagli
manca il sangue, ormai,
perché spieghino da soli,
con le loro voci,
quali volti sbiancheranno
sopra le tue croci?"

"Questi ceppi che han portato
perché il mio sudore
li trasformi nell'immagine
di tre dolori
vedran lacrime di Dimaco
e di Tito al ciglio
il più grande che tu guardi
abbraccerà tuo figlio."

"Dalla strada alla montagna
sale il tuo den den
ogni valle di Giordania
impara il tuo fren fren.
Qualche gruppo di dolore
muove il passo inquieto,
altri aspettan di far bere
a quelle seti aceto."
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Re: Eroi łi xe i dixertori e i rivoltoxi, no łe vitime

Messaggioda Sixara » mer feb 19, 2014 12:50 pm

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Re: Eroi łi xe i dixertori e i rivoltoxi, no łe vitime

Messaggioda Berto » sab mar 15, 2014 1:15 pm

El rejsta veneto Olmi lè drio far on film so la prima goera mondial:

el ga dito ke no ghè gnente de "Grande" ente la goera e sto film el trata de on reparto ke se ge rebelà e revoltà contro.

'Torneranno i prati', Olmi in trincea per raccontare la "Grande Guerra" (no ghè gnente de grande el ga dito Olmi)

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Asiago (Vicenza), 14 mar. (Adnkronos/Cinematografo.it) - Torneranno i prati, e torna la Prima Guerra Mondiale: è il nuovo film di Ermanno Olmi. Nel centenario del primo conflitto mondiale, riprese sull'Altopiano dei Sette Comuni, nel cast Claudio Santamaria, Andrea Di Maria, Francesco Formichetti, Camillo Grassi e Niccolò Senni, soggetto e sceneggiatura dello stesso Olmi, produzione Cinema Undici e Ipotesi Cinema con Rai Cinema, siamo sul fronte Nord-Est, dopo gli ultimi sanguinosi scontri del 1917 sugli Altipiani, e, promette il regista 83enne, ''la pace della montagna diventa un luogo dove si muore: tutto ciò che si narra in questo film è realmente accaduto, e poiché il passato appartiene alla memoria, ciascuno lo può evocare secondo il proprio sentimento''.


Otto settimane di riprese, due trincee ricostruite a Val Formica e Val Giardini, tre milioni e 200mila euro di budget. ''Il miglior modo di celebrare il centenario - dice Olmi - è capire perché è successo: noi oggi siamo a una vigilia che rischia di assomigliare molto a quella della Prima Guerra Mondiale con conseguenze devastanti: la celebrazione deve essere 'voglio capire perché', perché non succeda un'altra volta''.
''Negli anni '80 storici austriaci e italiani sono stati incaricati di raccontare la Prima Guerra Mondiale, ma viene buono che quel scriveva Raymond Chandler 'Sapeva veramente tutto, ma solamente quello', perché non conoscono direttamente la realtà di cui vanno parlando. Io ho letto, riletto libri di testimoni diretti della guerra, come il mio amico Mario Rigoni Stern, Gadda, Lussu, Weber e altri: pagine di straordinaria sensibilità percettiva nel cogliere quelle sfumature che lo storico di professione non può avere. Ma oltre a questi autori, che hanno vissuto ma anche metabolizzato quegli eventi nello scrivere i loro romanzi, ho letto pagine di anonimi: c'era il nome in fondo, ma era quello di chi non ha nome. La verità l'ho trovata lì. Allora, chi scrive la storia? Quella ufficiale gli intellettuali, quella reale coloro che non hanno parola''.
Tra le testimonianze dirette, lo stesso padre di Olmi e Toni il Matto, un pastore che combatté sull'Altopiano: ''Nel '14-'15 in Italia sono successe cose vergognose, si sono mercanteggiate le condizioni di convenienza: se entrare o meno in conflitto, se schierarsi con gli austriaci o non belligerare, ma casa Savoia, sempre distratta nei confronti della storia, ha ritenuto più conveniente legarsi alle nazioni che avevano bisogno di mercati in Europa, l'Austria-Ungheria, un po' come oggi la Merkel. Fate questo lavoro, storici, e vedrete - tuona il regista - quanti fatti vergognosi di cui dobbiamo arrossire e abbassare il capo''.
Dunque, l'urgenza di questo film, 'Torneranno i prati', ambientato nell'autunno del 1917, ''il preludio di Caporetto, il preludio della disfatta: racconto di come dagli alti comandi vien l'ordine di trovare un posizionamento per spiare la trincea avversa: si finisce accoppati, ma l'ordine è arrivare là''. Probabilmente lo vedremo alla Mostra di Venezia, per ora Olmi rivela una battuta sintomatica del film che definisce 'onirico': ''Dopo una disfatta, tutti tornano a casa loro e dopo un po' tornerà l'erba sui prati''. La trincea è un avamposto, un caposaldo italiano sull'Altopiano e, continua il regista, ci sono ''due personaggi che fanno prevalere la propria coscienza sulle esigenze militari dei comandi superiori: disobbediscono, e la disobbedienza è un atto morale che diventa eroicità quando la paghi con la morte. Uno è un alto ufficiale, l'altro il solito anonimo soldatino il cui nome non significa nulla: entrambi hanno la coscienza di disobbedire. Nel processo, Eichmann sosteneva 'Abbiamo obbedito a un ordine', ma no: non ci sono ordini, quando un ordine è un crimine''.
E Olmi affonda: ''Sui monumenti che ancora oggi ritraggono gli alti comandanti, bisognerebbe scrivere sotto criminale di guerra''.
'Torneranno i prati' è profondamente radicato nella cittadina di Asiago che il maestro Ermanno Olmi ha scelto per vivere e si inserisce a buon diritto tra le iniziative promosse dalla presidenza del Consiglio per il centenario della I Guerra Mondiale. Il film, che nel cast annovera Alessandro Sperduti e Claudio Santamaria, dovrebbe arrivare nelle sale nel prossimo autunno.

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Re: Eroi łi xe i dixertori e i rivoltoxi, no łe vitime

Messaggioda Berto » dom mag 04, 2014 8:28 am

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Re: Eroi łi xe i dixertori e i rivoltoxi, no łe vitime

Messaggioda Berto » mer ott 08, 2014 8:53 pm

Alpini friulani fucilati come disertori, ma in realtà quei ragazzi erano eroi

http://www.gazzettino.it/articolo.php?p ... &id=937601

di Alvise Fontanella

Lassù a Cercivento, in Carnia, neanche 700 anime, sta un cippo che della Grande Guerra dice la verità. Ed è forse per questo che lassù non si fanno vedere le alte autorità della Repubblica. Perché lassù a Cercivento, dietro il piccolo cimitero, sta l’unico monumento al mondo che onora un disertore.

Tra poco fanno cent’anni: l’alpino Ortis Silvio Gaetano, da Paluzza, venne fucilato proprio lì, dietro al piccolo cimitero, dopo un processo sommario celebrato nella chiesetta, dalla quale il parroco, sfidando i militari, aveva portato via il Santissimo. Con lui caddero nella polvere di quel 1° luglio 1916 Corradazzi Giovanni Battista, da Forni di Sopra, Matiz Basilio, da Timau, e Massaro Angelo, da Maniago. Tutti alpini dell’8° Reggimento, 109.ma Compagnia. Tutti condannati a morte per rivolta e diserzione. E al disonore per l’eternità: decenni dopo, ai discendenti è respinta la domanda di assunzione nei corpi statali, e quando, in anni recenti, la famiglia chiede di poter seppellire degnamente i resti di Silvio, le autorità militari proibiscono che suonino le campane e vietano la cerimonia ai non familiari. Ma quando il feretro si avvicina alla chiesa, ancora una volta un parroco di montagna sfida l’ordine ingiusto: tre rintocchi di campana accolgono come si deve la bara di Ortis.

Erano lassù, i ragazzi della 109.ma Compagnia. Quota 2000, sulle montagne di casa. Pochi parlavano l’italiano, ma tutti conoscevano bene il Cellon, la montagna lì davanti, l’immensa schiena nuda e scoperta sulla cui cima, a quota 2200, stavano le mitragliatrici austriache, a guardia del passo di Monte Croce Carnico. Nei loro paesi, lì sotto, pochi parlavano l’italiano e molti lavoravano in Austria. Quando dissero loro che l’Austria era il nemico, non capirono.
Tuttavia alla patria obbedivano: Ortis s’era già meritato due medaglie al valore.

Ma quando al plotone giunse l’ordine di attaccare le postazioni austriache in pieno giorno, uscendo allo scoperto per un lento e difficile tragitto sotto il tiro delle mitragliatrici, Ortis si fece portavoce dei suoi ragazzi e pronunciò il suo Signornò.
Era un suicidio, Ortis lo ripetè al capitano: bastava attendere la notte, spiegò, e le nebbie che in quelle sere salivano ad abbracciare la montagna avrebbero protetto gli attaccanti.

Ma il capitano non parlava furlàn.
Lui veniva dalla Calabria e si chiamava Cioffi. E il suo mito era il Cadorna, il grande macellaio.
E così Ortis e gli altri alpini furono tradotti giù, in paese, e fucilati «per dare l’esempio». La cima del Cellon fu espugnata da un’altra compagnia, ma l’attacco avvenne di notte, protetti dalle nebbie, proprio come suggerivano i disertori fucilati.

Nella Grande Guerra furono mobilitati 5.900.000 italiani. Morirono in 650mila.
Fu l’Italia ad attaccare l’Austria, benché Kaiser Franz Joseph avesse offerto al Re d’Italia Trento e Trieste in cambio della pace.
«È un’inutile strage» fu il grido di papa Benedetto XV.
Ma don Giuseppe Lozer, friulano di Budoia, parroco di Torre, che osò ripetere quel grido, fu processato e deportato. Nell’Italia di allora prevalse chi voleva la guerra, per conquistare le terre "irredente" col sangue che sarebbe poi diventato, con la propaganda sabauda, cemento dell’unità di un Paese mal conquistato dal regno di Piemonte.

Li chiamavano «attacchi Cadorna»: al grido «Savoia!» la truppa usciva allo scoperto, sotto il tiro nemico. Gli eroi, la bella morte, il mito dannunziano. Chi esitava, sparargli alle spalle, questo era l’ordine. Nelle 12 battaglie sull’Isonzo furono macellati a centinaia di migliaia, il fronte si spostò pochi metri. Senatori del Regno denunciarono «lo sciupìo di vite, la carne umana opposta ai mezzi meccanici, il regime di terrore, l’autocrazia fatua e superba, le fucilazioni senza processo».

Quanto la truppa fosse d’accordo, lo dicono i numeri dei denunciati alla giustizia militare:

850mila soldati in quattro anni di guerra.
I processi per renitenza alla leva sfiorarono il mezzo milione,
quelli per diserzione furono 162mila,
duemila quelli per passaggio al nemico.
Le condanne a morte furono più di quattromila.
E poi le esecuzioni sommarie, senza numeri certi.


Nel marzo 1990 il pronipote dell’alpino Ortis inoltrò alla Corte militare d’appello istanza di riabilitazione del suo parente, fucilato 74 anni prima, allegando documenti raccolti in un lavoro ventennale. La risposta, da Roma, fu sublime: «Istanza inammissibile, manca la firma dell’interessato». Ci riprovò il ministro della Difesa Ignazio La Russa nel 2010, ma la giustizia militare, 94 anni dopo i fatti, bastonò anche il ministro: «Le testimonianze non sono verbalizzate dall’autorità giudiziaria». I protagonisti devono risorgere dai morti per firmare il verbale.

Ma in Carnia sono testardi come i muli degli alpini. A Cercivento s’è costituito un comitato per la riabilitazione di Ortis e degli altri alpini. La Provincia di Udine indirizza un appello direttamente al presidente Napolitano. E chissà mai che nel centenario della fucilazione dei quattro eroi della Carnia, che disobbedirono a un ordine folle nel vero interesse del loro Paese, salvando da morte certa ed inutile la loro Compagnia, chissà che laggiù a Roma qualcuno non senta il dovere, tra le mille occasioni di memoria e di retorica sulla Prima guerra mondiale, di venire quassù a Cercivento a chiedere perdono a nome dell’Italia.
Sabato 4 Ottobre 2014


Stelutis Alpinis
viewtopic.php?f=106&t=641

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Re: Eroi łi xe i dixertori e i rivoltoxi, no łe vitime

Messaggioda Berto » dom mag 31, 2015 12:33 pm

???

Giovedì 4 Novembre 2004 Dal Jornałàso de Viçensa

Padri e figli nella Grande guerra - Meglio morti che disertori di Pietro Nonis

Gli venne quasi un colpo a Nonis Luigi fu Giacomo, classe 1870, quella mattina dei primi di novembre 1917 mentre usciva dalla stalla dove aveva governato, con l’aiuto delle due figliole più grandi (cinque ne aveva, tutte minorenni), le poche mucche rimaste, allorché vide comparire il suo maschio più anziano, Nonis Emilio classe 1894, che doveva far il bersagliere sul Carso o da quelle parti là.
L’altro era prigioniero in Germania.
A capo scoperto, le giberne vuote, via il fucile i vestiti bagnati e malandati, il soldato - solitamente fiero dei suoi baffetti a manubrio, delle piume che portava sul cappello - si aspettava forse un saluto festevole: ma il padre si accorse subito che quella non era una lieta vacanza, con ciò che si vedeva e sentiva da ogni parte negli ultimi giorni.
«Dov’è il tuo schioppo? E il tuo cappello? Come puoi andare in giro conciato così?», gli chiese il padre con nella voce un filo che era insieme di rabbia e di tenerezza.
Il bersagliere appiedato confessò amaramente che per lui la guerra era finita; tutti scappavano; gli ufficiali non sapevano che ordini dare; piombavano bombe e fischiavano pallottole da ogni parte.

A casa! A casa! Il padre, più avvilito che stupefatto, fece chiamare le cinque figlie, e la madre che vestiva sempre di nero.
«Guardami bene», disse al figlio umiliato e sudicio, «e ascolta bene quello che ti dico: in questa casa, meglio morti che disertori.
Raccogli il fucile e il cappello, saluta tua madre che ti darà qualcosa da mangiare, e fila via, raggiungi i tuoi compagni: ma qui non farti vedere fin che la guerra non sarà finita». «E vinta», avrebbe forse voluto aggiungere: ma non era il caso, con le notizie dell’esercito fatto a pezzi e le notizie dei tedeschi e di quegli ungheresi - i quali passavano con mazze ferrate a spaccare la testa dei tramortiti dai gas - che scendevano giù dal Nord, da destra, da sinistra, da ogni parte.

Nonis Emilio, che visse gran parte della restante vita esaltando la Prima guerra mondiale, e parlava come se metà dei nemici caduti li avesse uccisi lui - poveretto, aveva compassione anche di una lucertola, persino d’una mosca - non raccontò mai ai figli fieri di lui quell’episodio, che io stesso venni a conoscere dopo la sua morte, quando avevo avuto modo di farmi sulla guerra, sulle vittorie, sulle sconfitte, sui vivi e sui morti alcune idee diverse da quelle bevute sui banchi della scuola al tempo del Duce.

Mi aiutarono, ad aprire gli occhi, gli elenchi lunghissimi dei Caduti incisi in nero sui monumenti, al centro delle piazze. Più di tutti riuscì eloquente, impressionante, il cimitero di Redipuglia, che continua purtroppo a fare da serbatoio d’una retorica periodica di cui il Paese non ha proprio bisogno: centomila morti, che messi all’impiedi, uno ad un metro dall’altro, fanno una fila di cento chilometri. Molti di loro provenivano da regioni lontane e dalle isole. Non si può immaginare, oggi, che cosa fosse allora l’interno della Sicilia, della Sardegna, del profondo Sud, segnato ancor più di noi da una miseria secolare.
Seicentosettantamila furono i morti, più di un milione i feriti e gli invalidi: quasi due milioni di famiglie - mogli figli genitori compaesani - in un lutto duro da consolare. Dall’altra parte, dove stavano i nemici a volte odiati a volte no, non andò meglio. Ancora oggi l’Alto Adige (o Sud Tirolo) è punteggiato di cimiteri nei quali i caduti, uccisi dai «nostri», erano così numerosi da venir sepolti, talvolta, a strati.
Solo più tardi la letteratura seria, il cinema drammatico, riuscirono a dare, a livello europeo anzi mondiale, idee vicine al vero, su ciò che era stata di fatto quella che il piccolo papa Benedetto XV, preso in giro dai belligeranti dell’una e dell’altra parte, aveva chiamato «Un’inutile strage».
Ecco, fra le ragioni che inducono a celebrare con festa civile il 4 Novembre c’è, sicuramente, la riconoscenza per coloro che si sacrificarono, la compassione per chi tanto soffrì, ma anche il bisogno, che tutti abbiamo, di convincerci con serie ragioni della bellezza della pace (non del pacifismo rissoso o arrendevole), e dell’orrore comportato da ogni guerra, la quale si rivela prima o poi per ciò che veramente è: la più grande alleata della morte.

Mama mia ke oror sto pare de vescovi!
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Re: Eroi łi xe i dixertori e i rivoltoxi, no łe vitime

Messaggioda Berto » ven apr 15, 2016 8:04 am

On bon somexo de goeriero de ła łebartà:

È morto Pietro Pinna, primo obiettore di coscienza italiano
Chiamato alle armi nel 1948, rifiutò di prestare il servizio di leva. La scelta gli costò 18 mesi di carcere per disobbedienza
14 aprile 2016

http://www.repubblica.it/politica/2016/ ... -137641957

FIRENZE - È morto ieri a Firenze, a 89 anni, Pietro Pinna, primo obiettore di coscienza al servizio militare per motivi politici e fondatore, con Aldo Capitini, del Movimento Nonviolento.
Nato nel 1927 a Finale Ligure (Savona), fu chiamato alle armi nel 1948 ma, influenzato dal pensiero del pacifista Capitini, rifiutò di prestare il servizio di leva.
Processato per disobbedienza, fu condannato al carcere una prima volta per dieci mesi e successivamente per altri otto. Venne infine riformato per "nevrosi cardiaca", ma nel corso della vita, più volte è finito in carcere per le sue scelte nonviolente.
Diventato uno dei più stretti collaboratori di Capitini, organizzò con lui la prima Marcia per la Pace Perugia-Assisi nel 1961 e le tre successive.
Non smise mai di operare nel Movimento Nonviolento, diventandone segretario nazionale dal 1968 al 1976. Nel 2008 è stato insignito del Premio Nazionale Nonviolenza e nel 2012 la facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Pisa gli ha conferito la laurea honoris causa in Scienze per la Pace. In una nota, il Movimento Nonviolento ricorda che "Pietro Pinna - Piero, per tutti – ha avuto sempre chiaro che non si può sconfiggere la guerra senza eliminarne lo strumento che la rende possibile, gli eserciti.
E in questo impegno per la nonviolenza specifica – fatto di disobbedienze civili, marce antimilitariste, azioni dirette nonviolente per il disarmo unilaterale – ha speso ogni momento della sua esistenza, coerente e rigoroso soprattutto con se stesso, sempre aperto all’incontro con l’ altro nella tensione e familiarità della ricerca della verità. Oggi, i giovani, che tanto a cuore stavano a Piero, che si affacciano all’esperienza del servizio civile, sanno – o dovrebbe sapere – che la loro esperienza di difesa civile non armata e nonviolenta è possibile soprattutto grazie all’impegno di una vita di Pietro Pinna. Ciao Piero”, conclude la nota.
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