La conversione di una cristiana all'ebraismo
Silvia, convertita all'ebraismo: mollo tutto e mi trasferisco in Israele
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Pierluigi Dallapina
Il più delle volte chi se ne va da Parma e dall’Italia lo fa per motivi di lavoro o di studio, per questioni familiari o affettive. Pochi, anzi, pochissimi, partono per ragioni legate alla religione. Silvia Elisheva Bassi, 53 anni, fa parte di questa ristrettissima cerchia di persone, come racconta lei stessa ripercorrendo le tappe della sua conversione, dal cristianesimo all’ebraismo, che l’hanno portata a maturare l’idea di lasciare per sempre la sua città natale. Elisheva è partita domenica da Malpensa con un volo della El Al, la compagnia aerea israeliana, diretto all’aeroporto di Tel Aviv. Ha accettato di raccontare la sua conversione, a patto che l’intervista uscisse dopo il suo decollo. «Così non devo sorbirmi tutti i commenti della gente».
La spaventa lasciare la città in cui è cresciuta per trasferirsi in un posto che non conosce?
«Per niente. Mi sono licenziata da un impiego stabile e da uno stipendio sicuro, lavoravo ad Infomobility, ed ho messo in affitto la mia casa per andarmene in Israele. Sono una persona che sa adattarsi. Quindi appena arrivata cercherò un’occupazione per poter vivere nel Paese che ho scelto. Qui ormai mi sentivo in prestito, infatti non ho la sensazione di abbandonare la mia nazione per trasferirmi all’estero, perché è come se fossi stata all’estero fino ad ora».
Dove andrà a vivere?
«Ho scelto di vivere a Netanya, una bellissima città affacciata sul mare. Quando arriverò mi sposerò con un uomo che ho già conosciuto, cercherò un lavoro e poi potrò finalmente vivere da ebrea osservante. Va però specificato che in Israele non sei abbandonato a te stesso, perché il governo ti aiuta ad inserirti nella società. Ad esempio, appena arrivata avrò già la mia nuova carta d’identità in quanto cittadina israeliana. Questo è un effetto dell’aliya, la Legge del Ritorno, che prevede il diritto, per ogni ebreo, di tornare in Israele e diventare cittadino israeliano».
Non ha paura di vivere in una nazione spesso bersaglio di attacchi terroristici?
«Sono già stata in Israele, e là la vita non è come te la dipingono i telegiornali. Israele è un miracolo, è un Paese nato nel deserto e trasformato in un giardino dagli ebrei. E’ una nazione con una fortissima spiritualità e religiosità, ma è anche un luogo innovativo, tecnologico, con tanta cultura. Parlando invece di terrorismo, anche le città italiane sono ormai blindate per il timore di attacchi».
È molto religiosa?
«Sì e col tempo mi sono resa conto che a Parma è impossibile condurre una vita da ebrea ortodossa. Non c’è vita comunitaria, non è possibile pregare il sabato così come non è possibile uscire per andare a mangiare qualcosa al ristorante, dato che nessuno propone piatti kasher, cioè idonei da un punto di vista religioso. Infatti, anche un alimento idoneo come un piatto di spaghetti, potrebbe essere stato cucinato in una pentola che è entrata in contatto con cibi non idonei, cioè non kasher».
È difficile vivere da ebrea osservante?
«Un ebreo osservante deve rispettare 613 mitzvot o precetti, ma ci sono anche altre normative paragonate ad una siepe costruita nel corso dei secoli attorno alla Torah. Questo insieme di regole non è limitante, anzi, offre un grande senso alla vita. Vengono rispettate con convinzione perché si sa che è stato Dio a stabilirle. E’ un insieme normativo che viene dall’alto e non dal basso. Dio stesso ha detto, “siate santi perché io sono santo”».
Quando ha deciso di convertirsi?
«Le vicende del popolo ebraico mi hanno affascinata fin da quando studiavo storia all’università, tanto che già allora desideravo diventare ebrea. Poi nel 2004 la morte di mio fratello ha segnato un prima e un dopo nella mia vita, ed in seguito ad un viaggio ad Auschwitz ho deciso di iniziare il percorso di conversione. Ho preso contatto con Luciano Meir Caro, l’allora rabbino capo di Ferrara, competente anche su Parma, per convincerlo della serietà della mia intenzione, dato che l’ebraismo non fa proselitismo. Ho studiato la religione e l’ebraico e poi il 28 novembre 2007 sono andata a Roma a fare l’esame finale con il rabbino capo Riccardo Di Segni. A quel punto mi sono potuta immergere nel mikvè, un bagno rituale, e poi ho scelto il nome di Elisheva, che era la moglie di Aronne, fratello di Mosè. Da lei discese la dinastia sacerdotale».