Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Re: Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Messaggioda Berto » dom mag 13, 2018 7:56 am

Trent'anni dopo, ecco la rivincita di Netanyahu
L'ambasciata Usa a Gerusalemme s'inaugura con il premier all'apice del successo politico
Fiamma Nirenstein - Sab, 12/05/2018

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 25547.html

G erusalemme vibra di gioia in queste ore, e anche Netanyahu.

Si preparano fuochi d'artificio sulla città di David, le strade sono ornate di fiori, il consolato americano si sta trasformando in ambasciata. Benjamin Netanyahu oltre al fragore della solita battaglia che lo accompagna da quando nel 1967 tornò dagli Stati Uniti a 18 anni per arruolarsi nelle unità speciali in una guerra di difesa da cui non si è mai più, in un modo o nell'altro, riposato, sente però adesso anche il respiro dell'apprezzamento, del pensiero positivo, del sorriso che il mondo nega al suo Paese anche quando ha ragione da vendere nella difesa dei suoi cittadini. Adesso non è così: persino l'Ue, dopo che Israele ha risposto all'incursione iraniana, ha riconosciuto il suo diritto a difendersi. Trump ha strappato il patto con l'Iran contro cui Netanyahu si è battuto solo contro tutti per trent'anni; l'Europa non vuole, ma dà molti segni nei discorsi di Macron e Merkel di cominciare a capire che non bastano i proventi degli affari per renderlo potabile. Il viaggio di Netanyahu a Mosca lo ha visto accanto a Putin mentre l'orchestra dell'Armata rossa suonava Ha tikva, l'inno nazionale israeliano. Il fatto che la stessa notte di martedì, al ritorno, Bibi abbia colpito 50 postazioni militari iraniane sul territorio di Assad protetto dai russi, significa che le ragioni di Israele non vengono ignorate, e che Putin forse capisce che il suo alleato iraniano in questa fase porta più problemi che vantaggi.

Netanyahu in questi mesi è stato addentato dai giudici e dalla polizia fino a trovare tre «testimoni di giustizia» nel suo stesso ufficio, sua moglie Sara è a sua volte interrogata per supposte malefatte. Bibi certamente è un personaggio assertivo, anche brusco. La sua fantasia è colorata, molto espressiva, e nutrita di letture. Il ministro degli Esteri della Tanzania Augustine Philip Mahiga dice che l'intelligente lettura dell'Africa post-ideologica che esce dalla Guerra Fredda ha portato Bibi nei primi posti dell'interesse africano. Così con l'India e con la Cina, col Sud America: Netanyahu ha stretto buoni rapporti col mondo, tanto che una delle solite mozioni presentate all'Unesco con la sicurezza che una votazione automatica avrebbe di nuovo sottratto Gerusalemme al retaggio ebraico, è stata bloccata. Netanyahu ha spostato l'accento da un'affannosa ricerca di accordo coi palestinesi che dicono sempre «no» alla ricerca di comuni interessi con i Paesi arabi sunniti moderati. E così i sauditi hanno aperto i cieli agli aerei israeliani che ora possono volare in India dalla via breve; l'Egitto condivide la lotta contro il terrorismo, il Bahrain dichiara che Israele fa bene a difendersi. I voti per Bibi e il suo Likud toccano ora i 42 seggi. L'economia va forte, Netanyahu ha vinto anche la sua battaglia economica (è un economista laureato) per il libero mercato e ha portato il Pil a essere più alto di quelli europei.

È logico che un primo ministro eletto quattro volte sia coperto d'accuse: la più sbagliata è che odi i palestinesi. Il suo atteggiamento non è guerrafondaio. C'è da aspettarsi che cerchi l'occasione di lasciare anche qui un segno positivo. A Bibi è stato riconosciuto di aver capito, come Churchill con Hitler, il vero pericolo mentre tutti lo negavano. Una scelta che può salvare il mondo. È la festa dell'ambasciata a Gerusalemme, la festa di Netanyahu.




THERE WILL BE BLOOD
Niram Ferretti

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

La settimana entrante sarà per Israele una settimana impegnativa. L'allerta sicurezza è molto alta in vista dell'inaugurazione lunedì dell'ambasciata americana a Gerusalemme.

Reparti speciali di marines sono stati inviati di rinforzo alle ambasciate americane in varie citta arabe. Tre brigate di supporto dell'IDF sono state invece inviate ai confini con Gaza, altre in Cisgiordania. Si aspetta un incremento di disordini da parte dei jihadisti di Hamas che utilizzano la manifestazione al di qua della barriera di protezione tra Gaza e Israele per tentare di infiltrarsi all'interno dello Stato ebraico.

Uno dei cofondatori di Hamas, Mahmoud al-Zahar ha dichiarato enfaticamente che Hamas è pronto a immolare un milone di martiri per "liberare" la Palestina. Mentre il capo di Hamas a Gaza, Yihya Sinwar ha invece sottolineato che nonostante l'indifferenza del mondo arabo (l'ha notata anche lui), spera di vedere migliaia di gazawi infragere la barriera di sicurezza.

Quello che hanno ottenuto finora, a parte cinquanta morti e centinaia di feriti, e, ovviamente, l'appoggio di buona parte della stampa europea, è stato un bello zero tondo.

In compenso vanno sottolineati i danni enormi che hanno causato al valico di Kerem Shalom, bruciando il gasdotto, le infrastrutture elettriche è la cintura di trasmissione usata per trasferire gli approvvigionamenti che ogni giorno passano di lì per giungere all'interno della Striscia. Il valico è stato momentaneante chiuso da Israele. Si calcola che i danni ammontino a circa otto milioni di euro.

Questo è Hamas. Tiene in ostaggio da dieci anni due milioni di persone, sotto l'imperio dell'integralismo islamico, sottoponendole a un regime di terrore, deprivandole delle risorse economiche per migliorare la loro vita, utilizzandole per costruire tunnel finalizzati a infiltrare i terroristi in Israele, e infine depredandole per arricchimenti personali. Ora vandalizza anche le infrastrutture di Kerem Shalom, da cui ogni giorno passano gli approvvigionamenti, arrecando ulteriore disagio alla popolazione.

“Si tratta di un'azione cinica che danneggia il benessere degli abitanti di Gaza e gli aiuti umanitari dati da Israele e molti altri paesi", ha commentato l'IDF.

È infatti, esattamente il loro scopo. L'obbiettivo da raggiungere è unicamente quello di fomentare l'odio verso Israele, un odio cieco e senza sbocco, autoinfliggendo sofferenza a una popolazione di cui non gli interessa assolutamente nulla.

Gaza avrebbe dovuto essere la "Singapore del Medioriente" prima che Hamas prendesse il controllo della Striscia e la trasformasse nell'incubo che è oggi.


Gerusalemme capitale storica sacra e santa di Israele, terra degli ebrei da almeno 3 mila anni.
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Re: Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Messaggioda Berto » dom mag 13, 2018 7:57 am

I dementi contro Israele e i suoi ebrei:
ebrei "progressisti" come Moni Ovadia, non più ebrei come Soros, italiani comunisti-cristiani e fascisti, europei nazisti e nazi-maomettani di ogni dove.



Israele, il demone La pantomima di Torino
7 maggio 2018
Apartheid in Israele slogan o realtà l'evento nell'Aula Magna del Campus Luigi Einaudi
di Niram Ferretti e Emanuel Segre Amar

http://www.italiaisraeletoday.it/israel ... -di-torino

Abbiamo già dato conto di come all’Università di Torino, il Dipartimento di Giurisprudenza, abbia aperto le porte, nel contesto dell’ennesimo convegno contro Israele, (ormai si tratta di una vera e propria catena di montaggio) a Richard Falk. Falk, professore di legge internazionale all’Università di Princeton, e per sei anni relatore speciale alle Nazioni Unite per la “situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967” (definizione ONU che assegna di fatto i territori contesi della Cisgiordania ai palestinesi in assoluto spregio del loro effettivo statuto), è anche un attivista di estrema sinistra che non ha mai fatto mistero della sua persuasione che il principale agente del male nel mondo siano gli USA, seguiti a ruota da Israele. In questo, gode della compagnia di un altro e più celebre accademico, Noam Chomsky.

Come Chomsky, anche Falk ha un debole per le figure sinistre e i regimi antidemocratici. Si ricorda ancora ciò che scrisse di Khomeini nel 1979, in un pezzo apparso sul New York Times in cui incoraggiava l’allora presidente Jimmy Carter ad abbracciare la rivoluzione islamica.

“Il ritratto di Khomeini come un fanatico reazionario portatore di grossolani pregiudizi è sicuramente falso”, scriveva all’epoca. Sempre nello stesso articolo aggiungeva che “I suoi consiglieri più stretti sono individui moderati e progressisti…i quali condividono un rilevante storia di dedizione ai diritti umani”.

Più recentemente, Falk ebbe a definire gli attentati islamici di Boston una diretta conseguenza del “progetto di dominazione globale americano”. Non c’è dunque da meravigliarsi se lo si trova a fare parte della setta dei cospirazionisti, i quali vedono nell’11 settembre una messinscena orchestrata dagli Stati Uniti con la complicità del Mossad.

Ed è Israele, la seconda grande bestia nera di questo estremista, che Steven Plaut in un suo memorabile pezzo su Frontpage Magazine del 2009, definì “Il maestro americano dell’inversione orwelliana”.

Per Falk, se è possibile, Israele è anche peggio degli Stati Uniti. Non ha avuto infatti alcuna remora ad accusare lo Stato ebraico di praticare politiche naziste nei confronti dei palestinesi riproponendo uno degli stigmi più ferocemente antiebraici contro gli israeliani, quello di associarli ai loro carnefici. “E’ una esagerazione irresponsabile associare il trattamento dei palestinesi con la storia dei crimini collettivi nazisti? Io non penso”, scrisse.

L’esaltazione estremistica di Falk non gli ha impedito di affermare che Israele coltivi tendenze genocidiarie e che “l’indifferenza della comunità internazionale” alla situazione di emergenza a Gaza sia peggiore a quella che essa ebbe nei confronti del Ruwanda. Naturalmente, Israele ha preso le contromisure nei suoi confronti. Dal 2008 gli è stato revocato l’ingresso nel paese.

Il radicalismo di Falk è tale che nel 2017, persino l’ONU fece rimuovere dal proprio sito il rapporto per l’ESCWA (Commissione delle Nazioni Unite per gli affari Economici e Sociali dell’Asia Occidentale) a cui aveva collaborato e in cui Israele veniva definito uno Stato in cui si praticherebbe l’apartheid. Questo essendo il cavallo di battaglia di Falk, o meglio, la sua ossessione.

All’Università di Torino, tutte queste sono ottime credenziali per invitarlo a parlare davanti agli studenti. Il rapporto per l’ESCWA è stato persino tradotto in italiano a cura del collettivo Progetto Palestina, con amorevole prefazione del menestrello ebreo del palestinismo italiano, l’attore Moni Ovadi.

Già nel marzo del 2017 nell’Università di Torino si “dibatté”, o meglio si accusò Israele di apartheid, e di nuovo nel gennaio di quest’anno (con l’intervento, tra gli altri, di due sudafricani di cui uno attivista del BDS).

Ma giovedì 3 maggio, per Richard Falk e sua moglie Hilal Elver insieme a una serie di docenti “esperti” si è addirittura concessa l’aula magna, attirando gli studenti di Giurisprudenza con la possibilità di ottenere 3 nuovi crediti (senza che vi fosse nemmeno un minimo controllo sulla loro effettiva presenza) .

Falk ha così potuto raccontare che ebrei e palestinesi appartengono a diversi “gruppi razziali”, e i secondi non avrebbero il “diritto di nazionalità” (ci sono 1,600,000 arabi israeliani in Israele), che i palestinesi di Gerusalemme Est sono “discriminati” (sono tutti residenti permanenti dotati di passaporto giordano a cui pochissimi sono disposti a riunciare) mentre i 460,000 arabi abitanti nella West Bank sarebbero vittime di tutti gli atti inumani contemplati dalle Convenzioni escluso al momento quello di genocidio (questo è riservato a Gaza).

Peccato che la maggioranza dei palestinesi abitanti in Cisgiordania dimori nelle aree A e B, la prima interamente sotto la supervisione dall’Autorità Palestinese, la seconda amministrata civilmente dall’Autorità Palestinese ma ad amministrazione congiunta relativamente alla sicurezza. Che Falk voglia affermare che l’Autorità Palestinese commetta crimini contro il proprio stesso popolo? Giammai.

Si è poi appreso che i rifugiati nei paesi limitrofi e in giro per il mondo, non potendo tornare nelle loro case a differenza degli ebrei della diaspora, dimostrano quanto siano giustificate le accuse di apartheid. Naturalmente, non viene detto che ad oggi, grazie alla prassi dell’UNRWA di estendere lo statuto di rifugiati a tutti i discendenti dei profughi del 1948 che oggi ammontano a più di cinque milioni, il loro ingresso in massa in Israele, secondo i desiderata dell’OLP, di Hamas, dell’Autorità Palestinese e, ovviamente, del docente di Princeton, sancirebbe la fine di Israele come stato a maggioranza ebraica. A questo scopo è necessario che i palestinesi esercitino tutta la possibile pressione, in qauli forme esatte, Falk non lo specifica, ma ogni buon intenditor saprà cogliere ciò che è sottinteso.

Il convegno è stato aperto con le parole di Eliana Ochse che già il 17 gennaio illustrò, allora agli studenti di un altro dipartimento, il significato dell’apartheid (in afrikaan: separazione) e come venne applicato in Sudafrica; la relatrice si è però, ancora una volta, dichiarata non esperta di politica internazionale, pur essendo convinta che “la situazione in Israele sia ancor più complessa”. Si è quindi proseguito parlando di “gruppi razziali” a studenti ai quali si dovrebbe insegnare che il concetto di “razza” non è in rapporto ai gruppi umani, scientificamente applicabile; ma l’inganno doveva continuare perché la maggior parte non poteva sapere che in Israele, a differenza del Sudafrica, le scuole, gli ospedali, i teatri, i servizi pubblici sono aperti a tutti, indipendentemente dalla loro etnia, così come gli stipendi e le garanzie sindacali sono uguali per tutti i lavoratori, e non esistono professioni precluse ai non ebrei. Persino l’IDF consente ai cittadini arabi israeliani, dietro loro esplicita richiesta, di potere servire nell’esercito. Ma tutto ciò, i fatti, e non la fiction, sbriciolerebbe all’istante la favola nera di Israele come versione ebraica del Sudafrica razzista

La favola nera si è poi arricchita di ulteriori capitoli, fermo restando il posto d’onore dato all’apartheid, persino “peggiore di quello dei sudafricani”, liberati dal “giogo colonialista” di cui invece sarebbero vittime i palestinesi. L’apartheid, è il cuore pulsante del crimine che Israele perpetuerebbe senza sosta, la soggiogazione ebraica su quella araba. E’ questo l’acme onirico di una macchina di diffamazione che nel suo eccesso tracima nel caricaturale, sfocia nel grottesco, investe ogni cosa, fa dell’ebraico, lingua ufficiale dello Stato insieme all’arabo, uno strumento di soggiogazione. Tutto è apartheid per Richard Falk, esso è categoria riassuntiva, principio metafisico. Il resto è accessorio, dettaglio ornamentale, glossa.

Raramente, in un’aula universitaria che non fosse localizzata a Gaza, a Ramallah o a Teheran, si è potuto assistere a una demonizzazione così pervasiva e accanita nei confronti di Israele. Alfred Rosenberg o Joseph Goebbels non avrebbero potuto fare meglio. Purtroppo non erano disponibili.




I fascisti antisemiti italici

Trump, Israele e la Terza Guerra Mondiale
www.ilprimatonazionale.it
Pino Martini
Milano, 9 mag. 2018

https://www.ilprimatonazionale.it/ester ... iale-85028

Soli, isolati ma determinati. A creare il caos. La coppia Netanyahu-Trump ha dato nuovamente spettacolo sulla scena internazionale. L’uscita dall’accordo per il nucleare iraniano, decisa da Bibi e prontamente approvata da Donald dopo una serie di sketch cabarettistici (vedi conferenza tv del primo ministro israeliano con tanto di plastici alla Bruno Vespa), avvicina il Medio Oriente alla guerra.

Uno scherzo da ragazzi, verrebbe da dire, visto che basterebbe alimentare l’incendio che sta divorando da sette anni la Siria. Intanto i due si sono portati avanti. Israele bombarda ormai con regolarità Damasco e dintorni colpendo presunti siti iraniani.

Per dare maggior sfogo alla sua paranoia Netanyahu ha fatto aprire i rifugi anti-aerei nel nord di Israele evocando imprecisati attacchi degli iraniani. Una fissazione quella di Bibi per l’Iran che risale al 2012. È da allora che chiede ininterrottamente interventi armati agli Stati Uniti per fermare il “pericolo” iraniano. Ma se con Obama non aveva ricavato nulla, anzi l’ex Presidente USA aveva ottenuto il maggior successo internazionale della sua politica con l’accordo nucleare, oggi le cose sono cambiate a tutto vantaggio di Israele,o meglio delle ossessioni dell’attuale governo israeliano.

L’indecifrabile, soprattutto in politica estera, Trump ha infatti totalmente e acriticamente sposato la politica di Tel Aviv. Tre sembrano le ragioni che hanno mosso Trump alla rottura con Teheran: ribaltare tutte le mosse di Obama in abito interno (leggasi Obamacare) e internazionale (leggasi Iran), ritenere di incontrare il favore dell’opinione pubblica americana sempre più anti islamicae vendicare l’affronto khomenista del 1979 con il sequestro di cittadini americani.

E dunque una visione di piccolo respiro che si sposa esattamente con quella di Netanyahu, il cui unico scopo è impedire la nascita di un concorrente nucleare nella regione a qualunque costo. Anche a rischio di una guerra che andrebbe a coinvolgere i tantissimi attori in campo diventando così “mondiale”.

Curioso che Trump mentre cerca la pace con la Corea del Nord che possiede testate atomiche vuole fare la guerra all’Iran che non le ha. Le conseguenze di questa mossa si annunciano devastanti e incentiveranno la corsa agli armamenti. La morale statunitense, infatti, è che chi ha un deterrente nucleare non viene attaccato, chi non ce l’ha rischia. Una spirale che non renderà il mondo più sicuro a partire dal Medio Oriente.



Frustrated London Muslim Mayor Attacks Trump: “Jerusalem does not belong to Israel”
Il sindaco musulmano di Londra, frustrato, attacca Trump: "Gerusalemme non appartiene a Israele"
http://www.israelifrontline.com/2018/05 ... srael.html



Informazione Corretta - Rai/Sole24ore: il caso Alberto Negri
Commento di Deborah Fait

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=70569

Rai Uno. La Vita in diretta. 10 maggio 2018. Intervista di Francesca Fialdini a Alberto Negri su Israele-Iran.
https://www.raiplay.it/video/2018/05/La ... 08daf.html

Allucinante intervista di Francesca Fialdini a Alberto Negri del Sole 24 Ore sulla situazione tra Israele e Iran. Israele ha contrattaccato pesantemente in Siria dopo un lancio di una ventina di missili partiti dal sud della Siria verso il Golan israeliano e la Galilea, quasi tutti, meno quattro intercettati da Iron Dome, caduti su territorio siriano. All'inizio dell'intervista parte un servizio di Simona Giampaoli dal Libano dove, parole sue, "l'esercito di Tel Aviv" ha colpito postazioni siariane, ha dimostrato una volta di più che il giornalismo italiano è stracolmo di incompetenti.
Sono anni che i media dicono e scrivono "esercito di Tel Aviv" e continuano a farlo nonostante gli USA abbiano dichiarato a parole e a fatti che la capitale dello stato di Israele è Gerusalemme.
Nonostante, come ogni nazione del mondo, Israele abbia il diritto di scegliere la propria capitale.
Nonostante Gerusalemme sia sempre stata città ebraica e capitale di Israele per 1000 anni, mai capitale di nessuno stato arabo.
Ma torniamo all'intervista che sembrava un dialogo tra due complici contro qualcosa o qualcuno di altamente nauseabondo. Naturalmente verso chi poteva essere diretto tale malcelato disprezzo se non a Trump e a Israele?
Alberto Negri, antiisraeliano tutto d'un pezzo, con la solita espressione odiosa e supponente del sotuttoio, su invito della Fialdini, ha subito attaccato il presidente americano e Netanyahu "Dopo la dichiarazione di Trump, Netanyahu sente di avere mano libera per colpire l'Iran in Siria dove sono presenti Hezbollah che, in qualche modo, sono ritenuti una minaccia da Israele".
Che stupendo modo viscido di fare informazione! "In qualche modo.... ritenuti una minaccia...." Invece, secondo Negri cosa sarebbe Hezbollah? Un' associazione benefica? Negri non sa che questi terroristi, ritenuti tali persino dall'Europa, da anni colpiscono Israele con i missili forniti dall'Iran? Non sa che Nasrallah (nome che significa Vittoria di Dio), il loro capo che vive da anni in un bunker sotto terra, continua a minacciare di distruggere Israele?
Dopo aver vinto le elezioni in Libano Nasrallah ha dichiarato che è ora di non sprecare il tempo e di colpire Israele. Hezbollah, il partito di Dio, quelli che, durante le loro parate militari, fanno il saluto nazista, sono "solo in qualche modo ritenuti una minaccia" dal solito Israele che vede terroristi dappertutto. Quanta indecente malafede!
Continua Negri, dall'alto del suo sapere, e ci informa che l'alta tensione creata da Trump metterà in difficoltà il "moderato" Rouhani e colpirà anche l'Italia che ha 27 miliardi di dollari investiti in Iran.
Eccolo qua l'arcano, i soldi! Pensa te che non l'avevamo neanche capito! Per i soldi, per poter continuare a fare affari con gli ayatollah, Italia e tutta l'Europa mettono il mondo in pericolo e non gliene frega niente che l'Iran parli ogni giorno di voler distruggere Israele. Una teocrazia crudele minaccia di morte una democrazia come Israele e loro pensano a fare affari. Una dittatura che obbedisce ai voleri del suo Dio, continua a preparare la sua bella bomba e loro ancora pensano a fare affari.
La Fialdini aggiunge il suo dentino avvelenato alle parole vergognose del collega: " ed è andato addirittura a spostare l'ambasciata USA a Gerusalemme. Quali saranno le conseguenze?"
Negri: "Cementare l'asse Washington Israele"
A questo punto ecco un bel servizio di Piero Marrazzo sulla situazione al confine tra Libano e Israele. L'Iran , dice Marrazzo, continua a rifornire di missili Hezbollah. Il dialogo tra Netanyahu e Putin non si è mai interrotto." Non piace tanto alla Fialdini che, quasi senza volere, lo interrompe ma poi gli ridà la parola per sentire, molto delusa, che lo spostamento dell'ambasciata a Gerusalemme lascia molto tiepidi i paesi arabi i quali non si intromettono nelle proteste palestinesi.
Mmmmm, niente bene per i due complici grondanti veleno. A conclusione Alberto Negri ci informa che l'America vuole disimpegnarsi dal Medio Oriente ma, per farlo, ha bisogno di un gendarme e, allo scopo, ha trovato Netanyahu e Israele.
Fine dell'intervista che richiede subito mezzo litro di camomilla ma, tranquilli, non finisce qui.

Basta girare sui telegiornali di Sky TG24 per farsi venire altri attacchi di fegato. http://video.sky.it//news/mondo/sky-tg2 ... 419797.vid
"Israele bombarda ciclicamente la Siria" e l'ultima perla che vale l'Oscar della porcheria:"Spostando l'ambasciata a Gerusalemme Trump ha legittimato l'occupazione della città". Penso che una dichiarazione del genere non abbia bisogno di commenti nè di capire quali sono le opinioni di certo giornalismo italiano, indegno, bugiardo, abietto. Abbiamo però un consolazione a tutto questo marciume, pensare alla disperazione dell'ayatollah Ali Khamenei, Guida suprema iraniana, adesso che l'IDF gli ha distrutto tutte le basi missilistiche che colpivano il nord di israele.


Gino Quarelo
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Re: Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Messaggioda Berto » dom mag 13, 2018 8:54 pm

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Re: Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Messaggioda Berto » dom mag 13, 2018 8:54 pm

Tornano i cortei dell'odio in centro. E i bimbi al megafono invocano l'intifada
Alberto Giannoni - Dom, 13/05/2018

http://www.ilgiornale.it/news/milano/to ... 25939.html

Nella manifestazione contro Israele, i cori guidati dalle grida di due piccoli

Tornano i cortei dell'odio, tornano i cori pro intifada nel centro di Milano. E stavolta a scandire gli slogan al megafono vengono chiamati anche i bambini.

Un'altra manifestazione anti-Israele attraversa la città, a 5 mesi di distanza dal sit-in di dicembre, quello che in piazza Cavour fece risuonare indisturbati anche cori jihadisti e antisemiti che provocarono reazioni indignate quanto effimere (nonostante i discorsi di rito nei Giorni della memoria). Invettive violente contro gli Usa e contro lo Stato ebraico risuonano anche in questo pomeriggio, da Porta Venezia a piazza Scala.

I partecipanti non sono molti. Gli agenti ne contano circa 200, in gran parte italiani, anche perché stavolta fedeli e leader dei centri islamici non si vedono, o preferiscono girare alla larga, memori forse dell'imbarazzo creato da quei cori anti-ebraici, che furono condannati anche dalla sinistra e - su richiesta della Comunità ebraica - perfino dal sindaco, sebbene in forma piuttosto rituale e omissiva. Cinque mesi dopo sono meno numerosi dunque, ma altrettanto arrabbiati. Per lo più militanti di estrema sinistra, acerrimi nemici ideologici di Stati Uniti come di Israele. Tanto ostili da invocarne la «distruzione», come si legge in un volantino firmato dal Partito comunista dei lavoratori, una delle mini-formazioni nate nell'alveo dell'ultrasinistra. Bandiere rosse e vecchi militanti comunisti, reduci ideologici di un passato che non torna più. In piazza c'è lo stesso fronte dell'odio che anima abitualmente la contestazione alla Brigata ebraica nel giorno della Liberazione; lo stesso che promuove deliranti iniziative come quella che un mese fa è stata celebrata all'università Statale (suo malgrado), contro il Giro d'Italia a Gerusalemme. Sventolano le bandiere rosse dei «Carc», insieme a quelle di fantomatici partiti comunisti e a quelle del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina , formazione di ispirazione marxista-leninista. Il paradosso è che i gruppuscoli tardo-comunisti italiani si trovano su questo fronte idealmente alleati con l'islamismo che in piazza confonde regolarmente e drammaticamente politica e religione. È accaduto proprio questo a Milano, negli ultimi anni. Era una manifestazione sulla Palestina» quella che nel 2009 finì con l'ormai storica preghiera sul sagrato di piazza Duomo. Ed era una manifestazione identica a quella di ieri - stessi promotori-stesso percorso - quella che il 16 dicembre portò due imam milanesi a scatenarsi in un'invettiva al megafono, in piedi su un furgoncino. Una settimana prima, il 9 dicembre, in un sit-in analogo, erano stati scanditi gli slogan jihadisti e antisemiti : le stesse sigle che a dicembre protestavano per lo spostamento dell'ambasciata americana a Gerusalemme, stavolta si sono ritrovate per chiedere «la liberazione di tutti i prigionieri palestinesi», il «diritto al ritorno dei profughi» e la «fine dell'occupazione sionista». E oltre alle tirate ovviamente unilaterali e faziose, oltre alle fantasie su «genocidi, pulizia etnica e persecuzioni», insieme a una miriade di insulti diretti a Israele, definito Stato «criminale, terrorista, fascista», la novità del giorno sono gli slogan scanditi al megafono da un paio di bambini: «Un sasso qua e un sasso là» e «intifada fino alla vittoria». Una scena che induce a tenerezza e preoccupazione i passanti, indifferenti o increduli.
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Re: Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Messaggioda Berto » dom mag 13, 2018 8:55 pm

Israele, palestinesi pronti a insorgere contro ambasciata Usa a Gerusalemme. Con Trump si schierano 4 Paesi europei
13 maggio 2018

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... ei/4353029

Freme Israele, protestano i palestinesi per l'inaugurazione della nuova sede diplomatica Usa che Trump ha deciso di spostare nella Città Santa riconoscendone di fatto possesso e l'autorità solo agli israeliani. Si temono scontri, militari in allerta. E quattro Paesi dell'Unione europea su 28 vanno a dare manforte presenziando alla cerimonia di lunedì: sono Austria, Romania, Repubblica Ceca e Ungheria

Festeggiamenti, diplomazie e proteste. Una cappa di tensione tra appuntamenti incendiari è calata a Gerusalemme e nei Territori palestinesi, in vista dell’inaugurazione della nuova ambasciata degli Stati Uniti nella città contesa e di una settimana di proteste palestinesi potenzialmente esplosiva. Nella Città Santa oggi migliaia di israeliani e sostenitori dello Stato ebraico provenienti dall’estero marceranno all’insegna di bandiere con la stella di David, andando fino al muro del pianto nella Città vecchia. Solo il primo atto di una settimana fitta di appuntamenti potenzialmente incendiari e carichi di significati simbolici, in occasione dell’anniversario della conquista di Gerusalemme Est da parte dell’esercito israeliano nel 1967: quella che gli israeliani chiamano la “riunificazione” della città.

Sono 4 i Paesi dell’Unione europea, su 28, che presenzieranno alla cerimonia di lunedì che sancisce il passaggio dell’ambasciata americana in Israele da Tel Aviv, dove è stata finora, a Gerusalemme, dopo la decisione presa dal presidente Donald Trump. All’inaugurazione della nuova sede ci saranno i rappresentanti diplomatici di Austria, Romania, Repubblica Ceca e Ungheria. Lo ha reso noto il ministero degli Esteri israeliano. La linea della maggior parte dei Paesi Ue è quella che riconosce Gerusalemme capitale di due Stati, e quindi di opposizione alla scelta di Trump di riconoscere la città capitale solo di Israele.

Martedì i palestinesi commemorano la nakba, la catastrofe che la proclamazione dello Stato israeliano ha rappresentato per loro, con il relativo esodo dalle terre un tempo possedute. Israele si prepara ai festeggiamenti sotto il segno dell’alleanza con gli Usa, dopo una settimana caratterizzata dall’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare con l’acerrimo nemico Iran, da un’operazione senza precedenti contro obiettivi iraniani in Siria, dalla vittoria di Netta Barzilai a Eurovision. Ma i palestinesi potrebbero mobilitarsi massicciamente nelle proteste in programma nella Striscia di Gaza, che rischiano di finire in un bagno di sangue.

Le forze israeliane sono in stato di allerta alta. L’esercito ha annunciato che raddoppierà i soldati dispiegati attorno alla Striscia di Gaza, controllata da Hamas e sotto blocco israeliano da oltre 10 anni. La Cisgiordania, distante poche decine di chilometri, è occupata dall’esercito di Israele da oltre 50 anni. L’enclave costiera dal 30 marzo è scenario della Marcia del grande ritorno dei palestinesi, in cui migliaia di persone si sono radunate in varie giornate lungo il confine con Israele, segnato dalla barriera di separazione. Rivendicano così il diritto a tornare nelle terre da cui furono cacciati o da cui dovettero fuggire nel 1948, e si oppongono al blocco. Da domani si entrerà nella fase più calda delle proteste, in parallelo all’inaugurazione dell’ambasciata americana a poche decine di chilometri di distanza. Il timore delle forze di Israele è che i manifestanti tentino di sfondare la barriera di separazione. Oggi il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, è andato al Cairo per colloqui, secondo alcune voci perché l’Egitto starebbe tentando di mediare per calmare la situazione. Dal 30 marzo, i palestinesi uccisi dai soldati israeliani nella Striscia di Gaza sono stati 54, mentre tra gli israeliani non ci sono state vittime o feriti. Ma l’esercito israeliano è pronto anche a violenze a Gerusalemme e in Cisgiordania.

La tensione è salita di nuovo nella regione il 6 dicembre scorso, quando il presidente americano Donald Trump ha annunciato il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele e il trasferimento dell’ambasciata. Israele ha visto in questa rottura con decenni di diplomazia americana e con il consenso internazionale la presa d’atto di quella che considera una realtà storica: “Gerusalemme è citata 650 volte nella Bibbia, per una semplice ragione: da 3mila anni, è la capitale del nostro popolo e solamente del nostro popolo”, ha detto il premier, Benjamin Netanyahu. I palestinesi vedono invece nella decisione di Trump la negazione delle loro rivendicazioni sulla città contesa e l’apice della posizione presa dalla Casa Bianca, sempre più pro-Israele. Vorrebbero infatti fare di Gerusalemme Est la capitale dello Stato cui aspirano. Hanno quindi sospeso le relazioni con le autorità americane, rifiutando di considerarle come mediatori. L’ambasciata americana, provvisoriamente ospitata dai locali dove si trovava il consolato americano in attesa della costruzione di una nuova sede, si aprirà senza Trump. Ci saranno invece la figlia e consigliera Ivanka, il marito e consigliere Jared Kushner, il vice segretario di Stato John Sullivan e il segretario al Tesoro Steven Mnuchin. Trump interverrà tuttavia in video collegamento davanti agli 800 invitati.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Messaggioda Berto » mar mag 15, 2018 4:52 pm

DOVE TRIONFA LA RAGIONE
Niram Ferretti
14/05/2018

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Mentre a Gerusalemme si inaugura l'ambasciata americana, ai confini con Gaza, l'esercito israeliano è alle prese con Hamas e il tentativo dell'organizzazione terroristica figliata dai Fratelli Musulmani e oggi finanziata dall'Iran, di aprirsi un varco nella barriera di metallo che delimita il confine con lo Stato ebraico e di infiltrare terroristi armati al suo interno.

Questa evidenza ci dice chiaramente una cosa soprattutto, che nello stesso momento in cui, grazie alla determinazione dell'attuale amministrazione americana alla Casa Bianca, cioè di Donald Trump, la storia si sta facendo, altrove, a pochi chilometri di distanza, i nemici del progresso, dello sviluppo e della democrazia sono in azione.

Attualmente, il numero dei palestinesi uccisi dall'esercito, uomini che hanno aperto il fuoco, hanno fatto esplodere ordigni esplosivi, hanno cercato di danneggiare la barriera, è di 45. Probabilmente aumenteranno. Hamas capitalizza sulle "vittime". Lo ha sempre fatto, l'ultima volta nel 2014, durante l'operazione Margine Protettivo a Gaza. Sa che può contare sui media occidentali, soprattutto europei, perchè Israele venga esposto al pubblico ludibrio.

Anticipiamo già i titoli delle prossime ore, "Israele spara sui palestinesi", "Massacro a Gaza", "I soldati israeliani sparano su i manifestanti", ecc. Ci siamo abituati. L'Europa, questa Europa che dai primi anni Settanta, subito dopo la vittoria di Israele nella Guerra dei Sei Giorni del 1967, si è piegata al ricatto arabo sul petrolio e ha cercato di contrapporsi sempre più agli Stati Uniti soprattutto a traino franco-tedesco, è la stessa Europa che ha svenduto Israele in nome dell'ideologia palestinista. E' la stessa Europa che ha votato contro la decisione statunitense di dichiarare Gerusalemme capitale di Israele, è la stessa Europa che ha appoggiato le risoluzioni islamiche dell'Unesco intese a cancellare le radici ebraiche dalla storia di Gerusalemme.

E' la stessa Europa che si è fatta sostenitrice a più non posso dell'accordo sul nucleare iraniano voluto da un presidente americano che non ha mai fatto mistero di volere declassare mondialmente il ruolo degli Stati Uniti, facendo della più grande potenza del pianeta un pari inter pares. E' la stessa Europa che vorrebbe fare affari con i mullah iraniani, il cui scopo è quello, se potessero, di annientare Israele.

Il passato e il presente si intrecciano. Viene in mente il gruppo di ministri arabi che il 14 e 15 dicembre del 1973 si presentò a un summit della CEE a Copenaghen e che fece dire a Henry Kissinger, "Deve essere stata la prima volta nella storia che una delegazioni di ministri esteri compaiono non invitati al summit di un continente al quale non appartengono. D'altronde non fu l'allora presidente francese Georges Pompidou a dire sempre a Kissinger nel pieno della crisi petrolifera, "Voi vi basate sugli arabi per un decimo del vostro fabbisogno. Noi dipendiamo da loro interamente"?

Va detto forte e chiaro. Oggi, gli Stati Uniti e Israele compongono agli occhi di questa Europa post identitaria e postnazionalista che non è stata in grado con la UE di darsi una configurazione politica coesa, qualcosa di inammissibile, di inaccettabile. Perchè sono paesi potenti, uno il più potente sul palcoscenico mondiale, l'altro nel Medioriente. Perchè sono paesi con una spiccata identità nazionale, perchè sono paesi che sanno ancora cosa significa essere una patria. L'Europa, nella sua convinzione di essere migliore e superiore, "progressista", di avere superato queste caratteristiche statali che ritiene arcaiche, da archiviare, è la stessa che in nome della sua presunzione di superiorità morale e culturale, ha fatto del palestinismo una delle voci della propria presunta coscienza illuminata.

Ma la ragione, quella vera, che illumina la realtà nelle giuste proporzioni e adegua le cose all'intelletto, non è con i terroristi che si fanno scudo di bambini e di una popolazione stremata e sobillata per cercare di entrare in Israele e commettere massacri. Sì trova a Gerusalemme, dove finalmente, dopo ventitre anni di attesa a seguito di una legge incardinata al Congresso e costantemete rinviata, Gerusalemme combacia con ciò che è politicamente da settanta anni e culturalmente da 3000, la capitale dello Stato ebraico.


Gerusalemme capitale storica sacra e santa di Israele, terra degli ebrei da almeno 3 mila anni.
viewtopic.php?f=197&t=2472

“Grazie presidente Trump Riconoscendo la storia hai fatto la storia”
14 maggio 2018
David Sinai

http://www.italiaisraeletoday.it/grazie ... -la-storia

“Presidente Trump – ha detto Benjamin Netanyahu – riconoscendo la storia, hai fatto la storia, tutti noi siamo profondamente commossi e tutti noi siamo profondamente grati. Grazie, Presidente Trump, per avere il coraggio di mantenere le promesse!”

Sessantanove anni dopo che Israele aveva dichiarato Gerusalemme come sua capitale, e 23 anni dopo che il Congresso degli Stati Uniti aveva approvato una legge che imponeva che Washington trasferisse la sua ambasciata, gli Stati Uniti hanno aperto formalmente l’ambasciata a Gerusalemme.

In un video all’indirizzo dell’assemblea, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha detto che “Israele, come tutte le nazioni sovrane, ha il diritto di nominare la propria capitale. Gli Stati Uniti saranno sempre un grande amico di Israele e un partner nella causa della libertà e della pace.”
Il genero e il consulente senior di Trump, Jared Kushner, è salito sul palco. per dichiarare che “Quando il presidente Trump fa una promessa, la mantiene.Trasferendo la nostra ambasciata a Gerusalemme, abbiamo dimostrato ancora una volta al mondo che ci si può fidare degli Stati Uniti. Noi stiamo con Israele perché crediamo entrambi nella libertà, siamo uniti perché crediamo entrambi nei diritti umani, siamo uniti perché entrambi crediamo nella democrazia e sappiamo cosa è giusto da fare.”

Da sottolineare che Kushner ha ricevuto un clamoroso e fragoroso applauso quando ha menzionato la decisione del presidente Trump di uscire dall’accordo nucleare iraniano, e quando ha reso grazie all’ambasciatore statunitense all’ONU Nikki Haley per il suo duro lavoro.


Io sto con Trump, gli USA e non sono antiamericano.
Sto con Israele e i suoi ebrei e e assolutamente non posso minimamente stare dalla parte dei nazi maomettani chiunque essi siano: palestinesi, arabi, siriani, iraniani, irakeni, egiziani, pakistani, turchi, marocchini, tunisini, algerini, libici, nigeriani, afgani, ...
https://www.facebook.com/Netanyahu/vide ... 5553887076



GAZA: PERCHE' È HAMAS E NON ISRAELE AD AVERE LEMANI SPORCHE DISANGUE
Di Franco Londei
15/05/2018

https://www.facebook.com/noicheamiamois ... 1121133610

Se un gruppo terrorista islamico qualsiasi organizzasse una manifestazione al confine con l’Italia mettendo insieme 40.000 scalmanati con l’intenzione di violare i nostri confini e riversarsi nel nostro territorio per compiere attentati, cosa dovrebbe fare l’esercito italiano? Farli entrare comodamente oppure contrastarli con ogni mezzo possibile al fine di difendere la popolazione dai terroristi? Immagino che tutti direbbero che l’esercito italiano dovrebbe difendere i nostri confini.

Ora trasferite questo scenario immaginario lungo il confine tra Israele e la Striscia di Gaza, cambiate lo scenario da immaginario a reale e mettete l’esercito israeliano al posto di quello italiano. Ora avete un quadro chiaro di quanto successo ieri.

Oggi vediamo la stampa internazionale che a titoli cubitali parla di “massacro di palestinesi”, che parla di “risposta sproporzionata” da parte dell’esercito israeliano e che come sempre condanna Israele per aver difeso i propri confini da quello che era a tutti gli effetti un attacco alla sua integrità nazionale. Dicono che Israele ha le mani sporche di sangue.

E no, è una narrazione dei fatti completamente deturpata. Non è Israele ad avere le mani sporche di sangue, quelle ce le hanno gente come Assad, Erdogan e altri dittatori islamici che non per niente sono stati tra i primi a criticare la risposta israeliana, le mani sporche di sangue ce le ha Hamas che ben conscio del fatto che l’esercito israeliano non avrebbe permesso a migliaia di palestinesi di distruggere la barriera di confine ed entrare in Israele, li ha mandati deliberatamente e scientemente allo sbaraglio sperando, si, sperando, in un numero di “martiri” più alto possibile.

Ad Hamas servivano assolutamente un certo numero di “martiri” da spendere nella quotidiana lotta per riacquistare visibilità internazionale e non ha esitato un attimo a usare famiglie, vecchi, donne e bambini per raggiungere l’obiettivo, e questo ben sapendo che forzando la mano dei militari israeliani questi si sarebbero difesi. Missione compiuta con estremo gaudio della stampa internazionale che ormai da troppo tempo non riceveva da Hamas un simile regalo.

Ora, tolto il fatto che quando ci sono vittime civili (ammesso che fossero veramente civili) è sempre una brutta cosa, attaccare Israele e accusarlo di avere le mani sporche di sangue senza guardare minimamente al contesto generale dimostra una profonda malafede da parte di chi lancia queste accuse. Anzi, proprio per il fatto che siano accuse fatte in malafede dimostrano contiguità con i terroristi di Hamas. Ditemi voi se questa è la strada per la pace di cui in tanti si riempiono la bocca.



Informazione Corretta
Riprendiamo dal FATTO QUOTIDIANO di oggi, 14/05/2018, a pag. 8, con il titolo 'Arafat e Abu Mazen hanno rifiutato la pace', l'intervista di Roberta Zunini allo storico Benny Morris.

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=70598

Alle equilibrate risposte di Benny Morris fanno da contraltare le domande faziose di Roberta Zunini, sempre contro Israele. Ecco le due peggiori:
"Perché i palestinesi costretti a fuggire dalle loro case quando venne costituita Israele, non possono esercitare il diritto al ritorno promesso dalle Nazioni Unite? Se i coloni hanno invaso la terra che sarebbe dovuta diventare parte dello Stato palestinese perché gli esuli non possono rientrare?"
"Da più di un mese stiamo assistendo a una reazione sproporzionata dell'esercito israeliano contro migliaia di abitanti di Gaza che chiedono pacificamente di ritornare nelle case dei loro padri e nonni..."
Parole di puro veleno, ma Benny Morris non cade nella trappola e risponde correttamente alla giornalista.

Ecco l'articolo:
Roberta Zunini, giornalismo come menzogna
Benny Morris

Yasser Arafat nel 2000 a Camp David rifiutò la proposta dell'allora premier israeliano Ehud Barack e in seguito Abu Mazen, l'attuale presidente dell'Autorità nazionale palestinese, quella di Ehud Olmert: appare evidente che la dirigenza palestinese non vuole la pace. La questione delle colonie e dell'occupazione sono solo scuse". A settant'anni esatti dalla fondazione di Israele, Benny Morris, il più noto dei cosiddetti "nuovi storici" israeliani, non ha dubbi nell'indicare chi sia il colpevole della morte dei negoziati tra israeliani e palestinesi. Ironia della Storia: fu proprio durante i negoziati di Camp David, quando la delegazione di Tel Aviv sostenne che Israele non aveva alcuna responsabilità nella creazione del problema dei rifugiati, che la delegazione palestinese produsse le copie dei libri dei nuovi storici israeliani per "Oggi l'ambasciata americana viene spostata da Tel Aviv a Gerusalemme. Mi spiace per la contrarietà dell'Italia" suffragare la posizione contraria. La visione sostenuta dai nuovi storici vuole che la fondazione dello Stato d'Israele sia basata su eventi eticamente discutibili, addirittura sulla pulizia etnica, come ancora sostiene Ilan Pappè, un altro noto professore di Storia della stessa corrente. "Purtroppo, come ho detto, anche Abu Mazen ha dimostrato di non volere la pace. Non vedo nessun interlocutore. Di certo non può esserlo Hamas: vuole la distruzione di Israele".

Come può pensare che i palestinesi accettino gli insediamenti considerati anche dalle Nazioni Unite illegali? Le colonie purtroppo sono una realtà, così come l'occupazione. Ma a Camp David c'era ancora ampio margine per trovare un compromesso. Oggi in Cisgiordania vivono mezzo milione di coloni ebrei ed è impossibile che lascino le loro case e attività. Inoltre si stanno espandendo in continuazione.

Perché i palestinesi costretti a fuggire dalle loro case quando venne costituita Israele, non possono esercitare il diritto al ritorno promesso dalle Nazioni Unite? Se i coloni hanno invaso la terra che sarebbe dovuta diventare parte dello Stato palestinese perché gli esuli non possono rientrare? Oltre alle colonie, il diritto al ritorno è da sempre il maggior ostacolo alla pace. La risoluzione dell'Onu approvata in seguito alla nascita di Israele prevede che i palestinesi possano rientrare solo se hanno intenti pacifici. In alternativa era previsto un risarcimento. Ma i leader palestinesi hanno sempre impedito che il popolo esercitasse questo diritto. Altrimenti avrebbero perso potere.

Da più di un mese stiamo assistendo a una reazione sproporzionata dell'esercito israeliano contro migliaia di abitanti di Gaza che chiedono pacificamente di ritornare nelle case dei loro padri e nonni... Ciò che sta avvenendo a Gaza non è una protesta di massa pacifica perché è manipolata da Hamas che vuole distruggere Israele. Si tratta di una vera provocazione per indurre l'esercito israeliano a reagire in modo violento e per guadagnare il consenso dell'opinione pubblica mondiale che ignora le vere dinamiche all'interno della Striscia e vede solo un lato della questione. Ma il vero colpevole è Hamas. La sua intenzione è far cadere la barriera di protezione e far invadere Israele dai due milioni di abitanti della Striscia. Che abbiano intenzioni distruttive lo si vede anche dalle azioni che stanno portando avanti, per esempio lanciare "oggetti incendiari" oltre la barriera allo scopo di bruciare i campi israeliani, come è accadutone i giorni scorsi. Quello che sta avvenendo a Gaza, le marce del ritorno, non sono cortei pacifici, perché dietro c'è Hamas.

Ma se anche avessero intenzioni pacifiche, crede che le autorità israeliane, ora e in futuro, potrebbero accettare il ritorno dei profughi? L'attuale governo e la nazione stanno andando sempre più a destra come forma di reazione all'aumento della radicalizzazione dei musulmani palestinesi e a causa dell'aumento demografico degli ebrei ortodossi e dei sefarditi che sono tradizionalmente conservatori. Se i profughi tornassero, avverrebbe un sovvertimento in grado di mettere in pericolo l'essenza ebraica di Israele.

Crede sia possibile una guerra tra Israele e Iran? L'Iran è molto pericoloso perchè è guidato dagli ayatollah, che hanno il controllo economico e militare. Potrebbe scoppiare una guerra tra Israele e Iran, ma più probabilmente Israele continuerà a bombardare le basi militari iraniane che sono state costruite in Siria perché l'obiettivo di Teheran è rendere questo paese al confine con Israele una succursale dell'Iran. Un obiettivo che non fa piacere nemmeno alla Russia. E Israele non può permettere, per la propria incolumità che, oltre al Libano, dove governa il partito armato sciita Hezbollah, anche Damasco si trasformi in una piattaforma per ammassare armi con cui ricattarci.
Cosa ne pensa dell'accordo sul nucleare smantellato da Trump? Era un pessimo accordo perché valido solo fino al 2025 e non teneva conto dello sviluppo in corso della flotta di missili balistici iraniani.
Oggi è il giorno del controverso spostamento dell'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme... Gerusalemme è la capitale di Israele, mi dispiace per la contrarietà di Italia e resto d'Europa.



Sponda da Hezbollah e Iran: ora si teme l'"onda" islamica
Mondo arabo in subbuglio. Abu Mazen: «Colonialisti»
Roberto Fabbri - Mar, 15/05/2018

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 27030.html

La protesta palestinese ai confini di Gaza sfocia in un massacro annunciato e - altrettanto annunciata - arriva l'interessata solidarietà dei nemici di Israele.

Dalla Turchia all'Iran fino agli assatanati di Al Qaida il mondo musulmano è in tumulto e sia pure nella varietà dei toni il messaggio è comune: se decine di giovani palestinesi sono stati falciati dalle pallottole israeliane mentre cercavano di varcarne il confine la colpa è solo di Israele e non di chi - leggi Hamas - li ha mandati (minorenni inclusi) a compiere un atto violento e illegale che non poteva restare senza conseguenze. Questo tumulto ha tutta l'aria di essere funzionale a ulteriori sviluppi violenti destinati a far coincidere il settantesimo anniversario della fondazione di Israele con una rivolta araba.

I segnali non mancano. La Turchia denuncia il «terrorismo di Stato» che Israele starebbe esercitando nel difendere i suoi confini, chiama gli Usa «corresponsabili del massacro» e il suo ministro degli Esteri Mevlut Çavusoglu esorta la Lega Araba e l'Organizzazione della cooperazione islamica a «prendere misure congiunte» per difendere la causa palestinese. Il Kuwait, attualmente membro non permanente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, chiederà una riunione d'urgenza. L'Iran attacca contemporaneamente «il regime israeliano autore di un massacro nella più grande prigione a cielo aperto del mondo», Donald Trump che inaugura a Gerusalemme «la sua ambasciata illegale, e «i suoi collaboratori arabi che si muovono per distogliere l'attenzione». Nelle stesse ore Hezbollah, la milizia sciita libanese armata e finanziata da Teheran, si muove per distogliere l'attenzione dai suoi sostenitori iraniani e rivendica l'attacco contro il Golan israeliano della settimana scorsa. «Abbiamo lanciato 55 missili per far capire a Israele che non può colpire impunemente - ha detto il leader del «partito di Dio» Hassan Nasrallah - e il prossimo attacco sarà nel cuore della Palestina occupata».

Il numero uno dell'Anp attacca a testa bassa gli americani: l'ambasciata trasferita a Gerusalemme altro non è che «l'avamposto dei colonizzatori». Nei prossimi giorni sicuramente la febbre della collera nel mondo arabo e musulmano non farà che salire: c'è voluto il sangue di decine di palestinesi per riaccendere una solidarietà che negli ultimi tempi si era andata affievolendo. La crisi si svilupperà su tre piani distinti. Quello diplomatico, quello delle violenze di piazza (probabilmente integrate da qualche atto provocatorio da parte di Hezbollah o dello stesso Iran), e quello del terrorismo islamico. Che non è solo quello istituzionalizzato di Hamas, ma anche quello della rediviva Al Qaida, il cui leader Ayman al-Zawahiri si è rifatto sentire per chiamare alla guerra santa contro gli Stati Uniti. Donald Trump, ha detto Zawahiri da tempo relegato alla marginalità, ha svelato il vero volto della Crociata moderna, e i dirigenti dell'Autorità nazionale palestinese si dimostrano «dei venditori del loro Paese». La risposta è la solita, l'unica che Zawahiri conosce: guerra santa fino al trionfo dell'islam.



Il leader di Al-Qaeda: riconquistare Gerusalemme e anche Tel Aviv
giordano stabile

http://www.lastampa.it/2018/05/14/ester ... agina.html

In un audio intitolato «Anche Tel Aviv è una terra dei musulmani» il leader di Al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, interviene sul trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme. Il leader di Al-Qaeda attacca i Paesi islamici che hanno «di fatto riconosciuto Israele quando hanno sottoscritto la Carta dell’Onu che obbliga al rispetto dell’integrità territoriale degli Stati membri», quindi anche dello Stato ebraico: «Molti hanno stabilito rapporti ufficiali o segreti con Israele e accettato Tel Aviv o Gerusalemme Ovest come sua capitale, anche se sono terre islamiche e nessuno può accettare che sia cedute agli ebrei».

«Crociata americana»

Al-Qaeda si inserisce così nella scontro su Gerusalemme e cerca di mettere in difficoltà i governi arabi del Golfo. Il medico egiziano che ha assunto la guida di al-Qaeda dopo l’uccisione nel 2011 del suo fondatore Osama bin Laden, ha aggiunto che l’Autorità nazionale palestinese è fatta di «venditori della Palestina» e ha esortato appunto i suoi adepti a prendere le armi. Il presidente Usa Donald Trump «è stato chiaro ed esplicito e ha svelato il vero volto di una crociata moderna». Con lui non funziona la riconciliazione ma solo la resistenza, tramite la jihad.

Anche Erdogan si schiera

Se i Paesi arabi del Golfo hanno tacitamente accettato la mossa americana, su posizioni più rigide si è espresso il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan. «Gerusalemme Est è la capitale della Palestina», ha ribadito durante la sua visita a Londra, «nonostante i passi intrapresi» per riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Il leader turco ha ricordato che all’Assemblea dell’Onu 128 Paesi si sono espressi contro il trasferimento dell’ambasciata.

Timori di scontri

Decine di migliaia di israeliani hanno marciato ieri a Gerusalemme, in un clima di orgoglio nazionale, alla vigilia dell’apertura dell’ambasciata americana in programma per oggi, in coincidenza con il 70esimo anniversario della fondazione dello Stato di Israele. Domani i palestinesi commemorano la Nakba, cioè la «catastrofe» che per loro ha rappresentato la proclamazione di Israele. Sono attese proteste palestinesi.



Dopo 61 morti a Gaza, Hamas chiama all'Intifada contro Israele
Lucio Di Marzo - Mar, 15/05/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/isr ... 27161.html

Gli islamisti vogliono un'insurrezione. Netanyahu vede i vertici della sicurezza

È un nuovo appello all'Intifada quello che arriva dal movimento islamista di Hamas all'indomani dell'uccisione di 61 palestinesi da parte dei soldati israeliani mandati a tenere sotto controllo le manifestazioni organizzate sul confine con Gaza.

''La reazione naturale alla morte delle persone che stavano protestando pacificamente dovrebbe essere una Intifada araba e islamica'', tuona il numero due del gruppo che controlla la Striscia, Khalil al-Hayya, secondo il quale non c'è che una risposta possibile a quanto avvenuto nel giorno in cui Israele celebrava il suo 70esimo anniversario e lo spostamento dell'ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme.

Sono circa 40mila le persone che ieri sono scese in strada a manifestare, almeno 1.200 quelle che sono rimaste ferite dal fuoco israeliano, che vanno a sommarsi ai 61 morti, tra i quali ci sono anche otto minorenni. ''La risposta palestinese deve essere chiara a Gaza e in Cisgiordania. Non c'è altra scelta, se non mettere a fuoco e fiamme Gaza e la Cisgiordania in risposta di quello che è successo'', ha aggiunto al-Hayya.

Nella notte il premier israeliano Benjamin Netanyahu vedeva i vertici di sicurezza, per preparsi a scontri e violenze che sembrano una possibilità concreta oggi, nel giorno della Nakba, in cui i palestinesi ricordano la sconfitta nella prima guerra arabo-israeliana. Le sirene sono tornte a suonare nella regione meridionale di Eshkol, lungo il confine con Gaza. Solo un falso allarme, che ha portato però centinaia di persone a cercare rifugio contro un possibile attacco da parte di Hamas.

Le reazioni a quanto accaduto ieri sono arrivate da tutto il mondo islamico, con in prima fila la Turchia, da tempo vicina ad Hamas e generalmente ostile a Israele. Mentre Erdogan richiamava per consultazioni gli ambasciatori a Tel Aviv e Washington, è stata annunciata un grande manifestazione a Istanbul per venerdì, a conclusione di tre giorni di lutto nazionale.

Oggi anche l'Irlanda ha convocato l'ambasciatore israeliano. "Le forze letali dovrebbero essere usate soltanto come misura estrema, non come prima misura", ha commentato l'Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni unite, Rupert Colville.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Messaggioda Berto » mar mag 15, 2018 4:54 pm

“Grazie presidente Trump Riconoscendo la storia hai fatto la storia”
14 maggio 2018
David Sinai

http://www.italiaisraeletoday.it/grazie ... -la-storia


“Presidente Trump – ha detto Benjamin Netanyahu – riconoscendo la storia, hai fatto la storia, tutti noi siamo profondamente commossi e tutti noi siamo profondamente grati. Grazie, Presidente Trump, per avere il coraggio di mantenere le promesse!”

Sessantanove anni dopo che Israele aveva dichiarato Gerusalemme come sua capitale, e 23 anni dopo che il Congresso degli Stati Uniti aveva approvato una legge che imponeva che Washington trasferisse la sua ambasciata, gli Stati Uniti hanno aperto formalmente l’ambasciata a Gerusalemme.

In un video all’indirizzo dell’assemblea, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha detto che “Israele, come tutte le nazioni sovrane, ha il diritto di nominare la propria capitale. Gli Stati Uniti saranno sempre un grande amico di Israele e un partner nella causa della libertà e della pace.”
Il genero e il consulente senior di Trump, Jared Kushner, è salito sul palco. per dichiarare che “Quando il presidente Trump fa una promessa, la mantiene.Trasferendo la nostra ambasciata a Gerusalemme, abbiamo dimostrato ancora una volta al mondo che ci si può fidare degli Stati Uniti. Noi stiamo con Israele perché crediamo entrambi nella libertà, siamo uniti perché crediamo entrambi nei diritti umani, siamo uniti perché entrambi crediamo nella democrazia e sappiamo cosa è giusto da fare.”

Da sottolineare che Kushner ha ricevuto un clamoroso e fragoroso applauso quando ha menzionato la decisione del presidente Trump di uscire dall’accordo nucleare iraniano, e quando ha reso grazie all’ambasciatore statunitense all’ONU Nikki Haley per il suo duro lavoro.



Io sto con Trump, gli USA e non sono antiamericano
Sto con Israele e i suoi ebrei e e assolutamente non posso minimamente stare dalla parte dei nazi maomettani chiunque essi siano: palestinesi, arabi, siriani, iraniani, irakeni, egiziani, pakistani, turchi, marocchini, tunisini, algerini, libici, nigeriani, afgani, ...
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Su Gerusalemme l’eutanasia della democrazia europea di fronte all’Islam
14/05/2018

https://www.rightsreporter.org/su-gerus ... e-allislam

Oggi a Gerusalemme, cioè nella legittima capitale di Israele, si inaugura la nuova ambasciata degli Stati Uniti dopo che il Presidente Trump ne aveva ordinato il trasferimento da Tel Aviv. L’estremismo islamico è in subbuglio e se c’è una cosa certa è che non si lascerà sfuggire l’occasione per cercare di creare caos, attentati e morti.

Hamas, l’Iran e l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ormai da mesi soffiano sul fuoco sostenuti incredibilmente dalla posizione assunta dall’Europa che se da un lato si è detta contraria alla decisione del presidente Trump, dall’altro non ha fatto nulla per cercare di gettare acqua sul fuoco delle annunciate violenze, anzi, ha dato l’impressione di schierarsi con quegli estremisti islamici che vorrebbero trasformare una decisione logica e comunque politica in un conflitto di religione finendo così per gettare benzina su quel fuoco che avrebbe dovuto spegnere.

Israele e Stati Uniti non si piegano all’Islam

Ma Israele e Stati Uniti non si sono piegati alla prepotenza islamica, non hanno ceduto al ricatto violento di coloro che ritengono Gerusalemme una città esclusivamente musulmana, addirittura una città santa per l’Islam. Oggi l’inaugurazione ci sarà anche se blindata da eccezionali misure di sicurezza allargate a tutto il Paese e al confine con Gaza.

La resa e il suicidio europeo

L’Europa si è schierata sin da subito contro la decisione del Presidente Trump di trasferire l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, ma non perché la decisione in se non fosse corretta, d’altro canto ogni Paese ha il diritto di scegliersi la capitale che vuole, ma per il timore che il mondo islamico si sollevasse e che trasformasse questo atto normale e assolutamente diplomatico in una guerra di religione. Un timore fondato ma che tuttavia non giustifica una resa senza condizioni come quella europea.

E’ come se l’Europa condizionasse la sua politica estera in base ai desiderata musulmani e non al Diritto Internazionale. Si poteva essere contrari al trasferimento dell’ambasciata USA a Gerusalemme senza però schierarsi così smaccatamente dalla parte islamica, un atteggiamento che finisce per giustificare le violenze che sicuramente oggi ci saranno. Una resa all’islam che non trova nessuna giustificazione logica se non quella del suicidio, di una eutanasia della democrazia di fronte alla prepotenza islamica.

Oggi nessuno dei più importanti Paesi europei parteciperà alla inaugurazione della ambasciata USA a Gerusalemme, certamente nessuno dei Paesi fondatori della UE, gli stessi che proprio sulla democrazia hanno creato le basi dell’Unione Europea. Un non senso incomprensibile per chi va in giro per il mondo a sostenere di essere la maggior rappresentazione di pace e democrazia del pianeta.


Io veneto sto con Israele e i suoi ebrei che sono tra gli uomini più umani e civili della terra
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Il giorno in cui Israele ha vinto
14 maggio 2018

http://www.linformale.eu/il-giorno-in-c ... e-ha-vinto

Sono tanti i momenti, a partire da quel 14 maggio del 1948, in cui Israele ha potuto festeggiare delle vittorie di natura politica, accademica o economica. Israele è una grande nazione e questo è chiaro a tutti, nonostante un territorio limitato e l’accanimento dei vicini arabi, ha costruito uno stato forte, un’economia competitiva, un sistema fresco, funzionante e democratico.

Ad Israele non manca nulla (ad eccezione del petrolio, forse). Nell’ultimo anno, registrando l’ennesima vittoria politica, Gerusalemme, grazie ad abilità politica e intelligenza, è riuscita addirittura a vincere il pregiudizio delle grandi nazioni arabe, che pur condividendo ancora una certa preoccupazione per il destino dei palestinesi, si sono convinte che Israele può essere un valido partner, se non altro per quanto riguarda la tecnologia, lo sfruttamento delle risorse idriche, l’intelligence.

Israele ha vinto molto più in un anno di quanto non avesse vinto nei precedenti quattro, quando l’amministrazione Obama, cosi imbevuta di terzomondismo e spirito di arrendevolezza nei confronti del terrorismo di matrice islamica, aveva per la prima volta rotto il patto non scritto di fiducia e amicizia con lo stato ebraico, appoggiando il JCPOA e dando, cosi all’Iran il via libera per ottenere tutti gli strumenti necessari per la nascita di un programma nucleare militare.

Mentre il mondo, ha festeggiato l’avvicinamento tra occidente e la repubblica teocratica degli ayatollah, Israele ha continuato a ricevere le solite minacce senza riscontro, tentando, ormai senza più l’appoggio degli alleati storici, di riscoprire il proprio valore e di elaborare una nuova strategia. In poco tempo, grazie anche all’appetito territoriale sciita, il quale ha suscitato lo spavento del mondo arabo, Israele ha tessuto una rete di rapporti con i propri vicini con abilita notevole.

Dopo essersi guadagnato, con una fatica imponente tanto quanto il pregiudizio contro di sè, il rispetto di numerosi stati dell’Africa centrale, aiutati tanto nella lotta all’Ebola quanto nell’ambito del deficit idrico e in quello agricolo, dopo essersi guadagnato e il rispetto di una buona parte del Sud America, (di chi ne ha chiesto l’appoggio contro le FARC e contro la criminalità organizzata), Israele ha finalmente superato gli otto anni dell’amministrazione Obama. Tutto ciò nonostante la delusione iniziale e le pugnalate alle spalle provenienti dall’altro alleato storico, l’Europa – che tra le dichiarazioni propalestiniste della Mogherini e l’appoggio alle risoluzioni UNESCO in cui si afferma che non esiste legame tra il popolo ebraico, il Monte del Tempio e le tombe dei Patriarchi.

Israele ha fatto, come sempre da prima della sua nascita, di necessità virtù, plasmando le politiche degli ultimi anni sulla base della più netta strategia militare “alla Sun Tzu”, tessendo reti con i “nemici dei nemici” e servendosi del servizio di intelligence più efficiente al mondo per prevenire la nuclearizzazione dell’Iran e per contastarne le aspirazioni egemoniche. Si tratta dello stesso spirito di determinazione che mosse i pionieri a trovare l’acqua nel deserto e a coltivarlo nelle condizioni più drammatiche e che ha portato la politica a trovare, nell’epoca dei tradimenti, una nuova schiera di alleati e una nuova narrativa che possa affrontare al meglio gli anni a venire.

Quello che mancava a Israele non è mai stata la vittoria, bensì il riconoscimento, da parte del mondo, della vittoria stessa. L’inaugurazione dell’ambasciata americana a Gerusalemme è una vittoria simbolica per Israele, perché, di fatto non afferma un cambiamento sostanziale, un ribaltamento di piani, certifica semplicemente la realtà: Gerusalemme è la capitale di Israele, lo è dal 1948, e lo è spiritualmente e culturalmente da 3000 anni.

Ma la giornata di ieri rappresenta, forse come nessun altro avvenimento nella storia di questo grande piccolo paese, il riconoscimento di questa realtà da parte degli Stati Uniti, un amico ritrovato grazie all’elezione di Donald J. Trump. Si tratta di una ventata di aria fresca per la popolazione israeliana, che ha lottato decenni per sé stessa e per la difesa dell’Occidente senza mai ottenere una parola di appoggio da parte dei molti che hanno beneficiato per decenni dell’unico baluardo di democrazia nella regione.

Il giorno in cui Israele ha vinto di più non è un giorno di vittoria, ma un giorno di riconoscimento, di sostegno, appoggio e amicizia. È un giorno che molti hanno sognato, senza sperare che, per questo, si potesse inventare da zero una pace con un partner inesistente. Il giorno in cui Israele ha vinto non ha nulla a che vedere con la guerra, non parla della fine degli scontri con i palestinesi, non riguarda la pace con gli stati arabi: il 14 maggio del 2018 verrà ricordato come il giorno in cui Israele ha finalmente identificato Gerusalemme con se stessa grazie al realismo dell’Amministrazione Trump, che ha riconosciuto e ufficializzato un’identità negata dagli interessi della comunità internazionale.

La verità storica non potrà più essere sottoposta al revisionismo delle istituzioni europee, né di chi, appoggiando il falso, ha pensato anche solo per un momento che Israele concedesse Gerusalemme a chi ha contribuito per decenni a negarne il legame indissolubile con il popolo ebraico.



Gerusalemme capitale storica sacra e santa di Israele, terra degli ebrei da almeno 3 mila anni
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Re: Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Messaggioda Berto » mer mag 16, 2018 1:42 pm

Israele 70 buone ragioni per celebrare (e amare) lo Stato di Israele
Bernard-Henry Lévy
14 maggio 2018

https://www.corriere.it/esteri/18_maggi ... 592e.shtml

E pluribus unum...102 origini diverse...In altre parole, la prima nazione multietnica che funziona veramente. La prima repubblica “alla Rousseau” dove un bel mattino si sia detto: “Facciamo un Contratto”. E il Contratto fu! Paese rifugio. Paese promessa. Paese «di troppo» per un popolo di troppo. Se il mondo tornasse ad essere inabitabile per altre Mireille Knoll (l’ottantacinquenne ebrea uccisa in aprile a Parigi, ndt), questo Paese così prezioso continuerebbe ad esistere.

Democrazia

La democrazia è difficile? Lenta? Ha bisogno di tempo? In Israele, una notte, il 14 maggio 1948, fu sufficiente. Per fare una democrazia, occorre una cultura democratica? Cultura che di Israele i pionieri russi, o centro-europei, o tedeschi, o arabi non avevano. Eppure..

Miracolo israeliano. Prodigio di un legame sociale che poggiava sul nulla. Meraviglia di una lingua morta, reinventata e ravvivata. Nessuna democrazia, si dice ancora, resiste allo stato d’eccezione della guerra. Salvo Israele.

Terrorismo

Il terrorismo, in Israele, non esiste da sette giorni (come negli Stati Uniti del Patriot Act) o da sette anni (come nella Francia del 1961), ma da settant’anni, e le sue istituzioni reggono. Sì, sono settant’anni che Israele vive, come dice il versetto, «sulla propria spada»: e lo spirito di libertà vi continua a soffiare. Settant’anni di vita senza aver conosciuto una giornata di pace: e nessuno, né ebreo né arabo, cambierebbe Paese.

Atene, non Sparta.
E diritto di critica

Irriverenza della stampa, implacabile con i dirigenti. Intransigenza della giustizia che, quando un primo ministro sbaglia, mette il primo ministro in prigione.

Uno scrittore ribelle, David Grossman, orgoglio del Paese. Un altro: Amos Oz. Un altro: Avraham B. Yehoshua.

Esiste un altro luogo del mondo in cui il famoso «diritto di criticare Israele» sia esercitato meglio che in Israele? Esiste una Ong più accanita di «Breaking the Silence» nel denunciare l’«uso sproporzionato della forza»? Una democrazia dove una minoranza ostile al principio guida del Paese — «il sionismo» — goda di tutti i propri diritti civili? Un Paese che tolleri, in tempo di guerra, che una città come Kufr Manda solidarizzi con il nemico?

Gli arabi e i militari

L’arabo, seconda lingua ufficiale del Paese. Un numero di deputati arabi inimmaginabile in Francia. Un giudice, arabo, che siede alla Corte suprema. E, alla Corte suprema, una donna, Esther Hayut, eletta presidente per la terza volta.

Il «muro», in Cisgiordania, sconfina nel villaggio palestinese di Beit Jala? La Corte ordina di spostare il muro. Esso rovina, a Bil’in, gli ulivi? Si ripiantano gli ulivi.

Una «sbavatura» dei militari? Viene sottoposta a giudizio. Un ordine inappropriato? Viene rifiutato. Un’operazione non conforme alla «purezza delle armi»? E’ possibile — questo si è visto — ricorrere alla giustizia. E i centri di terapia dove, in tempo di guerra, si curano i feriti del campo avverso. E i dispensari del Golan, gli unici dove, nel settore, trovano asilo le vittime siriane di Bashar. E, sempre per i siriani, gli ospedali fraterni di Safed, Kiryat Shmona e Nahariya. E il villaggio di Jubata-al-Khashab, nella provincia di Quneitra, ricostruito grazie a fondi privati e pubblici israeliani.

Operazioni umanitarie

E le operazioni umanitarie di Tsahal. Esiste un esercito che, per le popolazioni, effettui missioni umanitarie così numerose? In Messico, dopo il sisma del 2017.. In Nepal, o a Haiti, o in Turchia, dopo i terremoti del 2015, 2010, 1999... Nel Mediterraneo, quando l’Unità 669, nel 2003, vola in soccorso di dieci marine turchi in balia di un tifone... In Sierra Leone, dove Tsahal è il primo a correre in aiuto delle migliaia di contadini trascinati da un torrente di fango... E tutte le Ong che scavano pozzi in Africa o inviano pompieri a Porto Rico.

La scienza israeliana. I robot dell’ospedale Hadassah. Le ricerche più avanzate su alzheimer, parkinson, terapia cellulare o chirurgia del cervello.

Saggezza e studio. Saperi profani e talmudici.

La bellezza di Tel Aviv e la pietra bianca di Gerusalemme. E Haifa, la cosmopolita. E Jaffa, con i suoi fortini di nobile pietra ocra. E i paesaggi di sassi del Negev, dove si sente l’impronta lasciata da altri occhi, secoli prima di noi. E i megaliti, come solcati dal dito di Dio. E i deserti in alta quota. E i mari più bassi del mare. E il kibbutz, vicino a Tiberiade, dove Sartre capì il senso del versetto: «La tua discendenza sarà come la sabbia del mare». Di fatto, terra o sabbia? Un’altra Babele o un regno di nuovo tipo? Davvero Stato banale, o ritorno a Giacobbe, soprannominato Israele perché lottò con l’angelo?

Paese ammirevole

Non è la natura che, in Israele, è generosa con gli uomini, ma sono gli uomini ad esserlo con la natura.

Israele è una delle imprese più rischiose, ma anche più belle, che il popolo ebreo abbia dovuto affrontare. Per tale impegno, si attirerà il biasimo di Samuele al popolo che si assoggettava a Saul, o rimarrà discepolo di Mosè? Da Paese appassionante, si trasformerà in Paese ammirevole, o sublime? E cosa ci dice dell’Umano e del suo segreto?

Buon compleanno, Israele.

(traduzione di Daniela Maggioni)

https://www.youtube.com/watch?v=19s_GRVIbxc
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Re: Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Messaggioda Berto » dom mag 20, 2018 10:59 am

???

Israele, un sogno incompleto

Il Sole 24 ORE
Ugo Tramballi
2018-05-19

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/ ... d=AE8fqAjE

«I primi israeliani spesso non erano felici della loro vita privata ma credevano nel loro Paese e nel loro futuro. Avevano un sogno. Questa, forse, è la differenza più profonda fra gli israeliani di allora e quelli di oggi», scrive lo storico Tom Segev in 1949. The First Israelis (Free Press, 1998). Cosa significhi essere un popolo felice è difficile da definire: forse è solo un’ambizione collettiva irrealizzabile nello stesso momento, per l’intera collettività di ogni Paese della Terra.

Ma se c’è un luogo della geopolitica oltre che dell’anima, dove ininterrottamente da 70 anni descrivere la felicità è più complicato, quello è Israele. Forse avevano più certezze gli 806mila ebrei di Palestina, molti dei quali scampati alla Shoah, che alle quattro del pomeriggio del 14 maggio 1948 (il sesto giorno di Iyar del 5708) ascoltarono alla radio la dichiarazione d’indipendenza. Loro più dei 6 milioni e 484mila ebrei d’Israele di oggi.

Alla Dizengoff House, il Museo di Tel Aviv in Rothschild Boulevard, David Ben Gurion annunciava «la fondazione di uno Stato Ebraico in Eretz Israel, che sarà conosciuto come Stato d’Israele». Oggi Rothschild è uno dei viali più smart della città: gli alberi sono ombrosi, circolano bici elettriche, si mangia il miglior sushi del mondo fuori dal Giappone e un appartamento costa al metro quadro quanto a Tribeca, New York. È difficile immaginare che a una ventina di chilometri in linea d’aria continui il conflitto con i palestinesi.

Allora Rothschild era lo specchio del socialismo spartano dello Stato ebraico nascente. Ed era in prima linea, a due passi dalla cittadina araba di Yaffa. Mentre Ben Gurion parlava alla radio, gli uomini erano già al fronte: un fronte in ogni wadi, piana e montagna del nuovo Paese, agli angoli delle strade di ogni città divisa in quartieri ebraici e arabi. Agli angoli di Rothschild si scavavano trincee e rifugi anti aerei.

Alle Nazioni Unite non era stato facile il lavoro diplomatico per arrivare a questo, e alle frontiere così insicure presto avrebbero premuto gli eserciti dei Paesi arabi. Eppure non è sbagliato affermare che gli israeliani di allora sognassero più di chi oggi vive in un Paese protetto dalle forze armate tecnologicamente inferiori solo alle americane; in un’economia fra le più avanzate che non ha smesso di crescere anche in mezzo alla crisi finanziaria globale, come in nessun altro Paese occidentale. Sentirsi in tutto e per tutto occidentali ma essere geograficamente in Medio Oriente, vivere nel posto giusto e contemporaneamente in quello sbagliato, è forse l’essenza del problema d’Israele.

Le origini dei coloni ebrei nati o andati in Palestina e la determinazione del loro insediarsi hanno una forza epica. Ma qualcosa non ha funzionato se sette decenni più tardi, celebrando un successo, lo Stato non ha ancora frontiere certe, riconosciute e sicure. Israele ha istituzioni, leggi, università, premi Nobel, autostrade, banche, fisco, startup e sindacati. Ma resta come lo Stato degli arabi palestinesi, che di tutto questo non ha nulla: un sogno incompleto. A causa della geopolitica di oggi che sta cambiando le alleanze regionali, e delle vittorie militari «il conflitto arabo-israeliano è di fatto terminato». Ma queste vicende «non hanno permesso di regolare quello con i palestinesi», sostiene il giovane storico David Elkaim (Histoire des guerres d’Israel, éditions Tallandier, Paris, 2018).

Stendere la dichiarazione d’indipendenza del 1948 non era stato un compito facile. Come definire i confini del nuovo Stato: accontentarsi di quello che il piano di spartizione delle Nazioni Unite aveva fissato o mettere già nero su bianco le future ambizioni territoriali? E Stato ebraico era una definizione politica o anche religiosa? Doveva prevalere l’essenza laica e socialista del “nuovo ebreo” o la fede antica della quale era stata fatta rinascere la lingua, tornata a essere l’idioma ufficiale in pieno XX secolo? Accanto ai fondatori, i coloni, i kibutznikim che dovevano conquistare, coltivare e difendere la terra («Siamo una generazione di coloni, eppure senza un’arma da fuoco non riusciremo a piantare un albero», diceva Moshe Dayan), inaspettatamente arrivarono dai ghetti europei migliaia di ultra ortodossi e di haredim, i timorati di Dio. Loro non condividevano l’impresa sionista. Per evitare uno scontro fra religione e Stato, si evitò di scrivere una Costituzione.

Forse è per questo che 70 anni più tardi l’ultima generazione d’israeliani fatica a sognare quanto i first Israelis. Frontiere e fede erano le grandi incertezze nella stesura dell’indipendenza, frontiere e fede sono ancora i due grandi nodi irrisolti alla fine del secondo decennio del XXI secolo. «Il movimento giovanile e le sue camicie blu, il kibbutz, le gite e l’archeologia. E poi, più tardi: la partecipazione alla politica, le relazioni arabo-ebraiche, il dialogo israelo-palestinese. Lo scontro tra falchi e colombe. Ho lasciato fuori qualcosa?», ha scritto l’intellettuale e politologo Meron Benvenisti, fotografando settant’anni di storia d’Israele.

Sotto la pressione dei conflitti Israele ha conosciuto nazionalismo e nativismo molto prima di europei e americani. Da oltre una trentina d’anni le destre e il movimento dei coloni hanno connesso ciò che il socialismo dei fondatori aveva volutamente tenuto separati: la fede e il nazionalismo. Il grande tema di oggi è come definire «lo Stato-nazione ebraico» di fronte a una minoranza araba del 20% e ai 2,9 milioni di palestinesi della Cisgiordania occupata. Il problema esiste da sempre ma era un tabù: nessuno sapeva come risolvere il dilemma fra avere tutta la terra per gli ebrei e restare uno Stato democratico. La demografia dice che in meno di mezzo secolo fra il Mediterraneo e il fiume Giordano, i palestinesi saranno di più. «C’è la possibilità di mantenere una maggioranza ebraica anche al prezzo di violare i diritti» e la Corte Suprema deve trovare «lo strumento costituzionale» per farlo nella legalità, aveva detto qualche mese fa alla Knesset la giovane ministra della Giustizia Ayelet Shaked, una pasionaria di Eretz Israel, non del suo carattere democratico. È difficile che Israele viva per altri 70 anni senza risolvere questo dilemma.
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Re: Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Messaggioda Berto » lun mag 13, 2019 10:12 pm

Ora Israele aspetta "l'accordo del secolo". Così Trump cerca la pace con i palestinesi
Fiamma Nirenstein - Lun, 13/05/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 93459.html

A giorni la presentazione del piano Usa. «Due aree invece dei due Stati»

Ancora l'eco dei 700 missili di Hamas sul sud di Israele echeggia; i morti sono stati pianti e seppelliti; i feriti sono ancora ricoverati; Natal, l'organizzazione che risponde al telefono alle richieste di aiuto psicologico, ha ricevuto mille telefonate durante i giorni della miniguerra; e adesso Israele incrocia le dita.

È in arrivo oggi a Gaza l'inviato del Qatar con la prima tranche dei 480 milioni di dollari per Hamas, Israele lascia entrare lui e i grandi camion di merci di ogni genere attraverso Kerem Shalom chiuso dal 4 maggio. Passano merci nella misura di 15mila tonnellate al giorno.

Il passaggio affogato di sole, di polvere, di misure di sicurezza che tante volte hanno salvato gli addetti da attacchi terroristici adesso è di nuovo aperto per i latticini, la carne, la frutta per la popolazione di Gaza. È una misura di calma, se non di pace. Più facile il modesto accordo odierno con Israele: Netanyahu ha gestito tutta la vicenda evitando il confronto verticale nonostante la gente del sud sofferente chiedesse (compresa la sinistra) un'operazione di guerra per porre fine agli incendi, agli assassini, agli assalti delle amasse al confine e alle distruzioni. Il numero dei morti israeliani è di 4, quello dei palestinesi 23, in larga misura militanti. Ma i due milioni di abitanti di Gaza, che anche l'Egitto tiene al bando per motivi di sicurezza, soffrono giorno dopo giorno la dittatura islamista di Hamas, che detta la quotidianità sempre in guerra.

Giovedì comincia a Tel Aviv l'Eurovision, le delegazioni canterine di tutto il mondo provano nel mondo ideale delle moquette e dei lustrini: è un'occasione diplomatica che nessuno vuole disturbata da un missile. Ma tutti sanno che, anche se l'Eurovision passerà tranquilla, la quiete è provvisoria. Né calma le acque il ripetuto annuncio che ormai mancano pochi giorni, quelli che si contano fino alla fine del Ramadan in corso, e fino alla festa ebraica di Shavuot il 10 giugno perché venga presentato il famoso «Accordo del secolo» di Donald Trump. Il principale fautore ne è il consigliere per il Medio Oriente e genero del presidente Jared Kushner, che è pronto a dire on the record solo che il piano richiederà sacrifici da tutte e le due le parti. È evidente che Netanyahu, grato del passaggio dell'ambasciata a Gerusalemme, accoglierà il piano con atteggiamento positivo, anche se non è affatto da escludere che gli chieda rinunce territoriali che non gli piaceranno affatto e che potrebbero fare cadere l'eventuale governo, per ora in costruzione. Invece i palestinesi non fanno passare giorno senza che Abu Mazen faccia sapere che non se ne parla nemmeno, che non ci sarà «una pace economica o umanitaria», come la motteggia lui. Ma quello che si sa dalle poche rivelazioni sempre tuttavia smentite, è che invece di parlare di «due stati» si parla di «aree»; uno Stato includerebbe una militarizzazione palestinese ingestibile per la sicurezza delle parti; che tuttavia verrà disegnato un confine senza prevedere espulsioni né di popolazione ebraica né palestinese, ma cancellando avamposti e piccoli insediamenti. Il piano si occupa anche di Gerusalemme, e conserverebbe lo status quo pur nel riconoscimento dell'autonomia palestinese. Kushner, sembra, prevede forti contributi economici per uno sviluppo notevole e tuttavia ben controllato, in modo che il denaro non finisca in violenza, della parte palestinese. Netanyahu potrebbe trovarsi in difficoltà di fronte alle proposte dell'amico, ma potrebbe incentivarlo il consenso che Trump richiede dai Paesi sunniti dell'area, forse trasformato in una promessa di pace generale, il sogno di ogni israeliano.
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