Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Re: Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Messaggioda Berto » sab gen 18, 2020 8:48 pm

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Messaggioda Berto » sab gen 18, 2020 8:48 pm

I terroristi nazi maomettani palestinesi di Gaza stanno bombardando Israele
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2779
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 7003387674


Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo maomettano palestinese
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2756
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 0187198759
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Messaggioda Berto » sab gen 18, 2020 8:50 pm

Iran, ebrei in Iran, persecuzione, guerra a Israel
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2237

Islam scita, Iran e ebrei
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2221

Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene
viewtopic.php?f=188&t=2893
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 8930464054
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Messaggioda Berto » sab gen 18, 2020 8:59 pm

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Messaggioda Berto » sab gen 18, 2020 8:59 pm

Molto interessante questo articolo del caro amico Ugo Volli:
Emanuel Segre Amar
18 gennaio 2020

https://www.facebook.com/emanuel.segrea ... 0126594745

È stato Edward Luttwark, per quel che ne so, a coniare la nozione di "grande strategia", che nei casi da lui studiati e cioè l'impero romano e poi quello bizantino, erano linee di azione politico-militare che restavano costanti per molti secoli, senza che le personalità degli imperatori, via via regnanti, potessero modificarle. Qualcosa di simile, fatte le debite proporzioni, accade anche per il conflitto mediorientale, in particolare per quanto riguarda l'azione prima dell'Yishuv (l'insediamento ebraico che dura dall'inizio del secolo scorso fino al 1948) e poi dello Stato di Israele. Si può parlare di una grande strategia ebraica e poi israeliana, ormai ben più che secolare; e anche di una grande strategia araba che la contrasta.

La strategia ebraica
parte dalla necessità, chiarissima già da Herzl e dai suoi contemporanei, di ottenere e difendere a tutti i costi un insediamento in terra di Israele, come sola possibile condizione per mantenere in vita, culturalmente ma anche demograficamente il popolo ebraico, la cui sopravvivenza è stata minacciata dalle persecuzioni e soprattutto dal genocidio, ma di recente anche dall'emorragia dell'assimilazione. Avere un territorio (per Herzl non era neppure importante che fosse uno stato indipendente, fu solo con la bruttissima esperienza del mandato britannico che si capì come questa fosse una necessità primaria), in cui parlare la propria lingua (rinata per merito di Ben Jehuda), sviluppare liberamente i costumi tradizionali ma anche la creatività culturale, economica e scientifica, era questione di vita o di morte. Da questa consapevolezza e dal fatto che il sionismo nasce in Europa, deriva la necessità di ottenere per lo stato l'approvazione internazionale e innanzitutto quello delle nazioni che furono definite occidentali. È una linea d'azione che continua, anche se ormai è chiaro a tutti che il vecchio antisemitismo si traduce in Europa e anche negli Usa, a destra e anche a sinistra dello schieramento politico, in rifiuto di accettare il diritto degli ebrei a un loro stato, secondo linee che, magari inconsapevolmente, continuano la vecchia condanna cristiana degli ebrei all'erranza. Da questa linea conseguono due conseguenze: da un lato una politica della legalità, interna e esterna; dall'altro una discontinuità con l'ambito geografico circostante, che ha attizzato la vecchia ostilità antiebraica del mondo musulmano. La legalità interna vuol dire democrazia, riconoscimento della proprietà privata delle terre da dissodare, regola della legge puntigliosamente affermata anche nei confronti dei nemici politici. La legalità esterna vuol dire cercare il riconoscimento nei fori e nelle organizzazioni internazionali, anche se essi sono tendenzialmente ostili.

Da queste linee politiche, seguono strategia di insediamento e di difesa.
Israele è nata dalla creazione di villaggi e città su terre comprate legalmente; essi erano per lo più isolati e poco popolosi rispetto alla popolazione circostante ostile: ben presto si riconobbe la necessità di difenderli dall'aggressività araba. La strategia di questi insediamenti e poi dell'Yishuv e infine dello stato, che condividevano isolamento e condizione di minorità demografica, fu sempre difensiva. Si trattava di stabilire dei punti forti, di collegarli in perimetri ben difesi, di prevedere e respingere gli attacchi, eventualmente di prevenirli colpendo le concentrazioni di truppe e di armi. In generale, salvo isolati episodi bellici, Israele non ha mai puntato a conquistare spazi occupati dagli arabi, non ha mai condotto una politica imperialista, spesso ha ceduto territori caduti sotto il suo controllo, per garantirsi spiegamenti difendibili o per non danneggiare le proprie relazioni internazionali. Anche gli insediamenti nei territori contesi, oggetto di diffusa polemica, sono stati sempre motivati dal ritorno ad antiche abitazioni, distrutte di recente dagli arabi (è il caso di Hebron, del Gush Etzion, della città vecchia di Gerusalemme) o da necessità difensive, come nella Valle del Giordano, sul Golan, sui crinali di Giudea e Samaria. Israele ha sempre saputo di dover convivere con le centinaia di milioni di musulmani che lo circondano da ogni parte, esclusa la costa del Mediterraneo, e ha vincolato la propria tattica a questa necessità strategica, cercando accordi e moderando le conseguenze territoriali delle proprie vittorie. Un'altra conseguenza di questa grande strategia è il tentativo di trovare alleanze dietro le linee degli attaccanti: una volta con la Persia e la Turchia, quando erano filo-occidentali: oggi con gli stati sunniti, che temono la sovversione iraniana e della Fratellanza Musulmana.
Al contrario, il mondo arabo e in generale musulmano ha tenuto nei confronti di Israele una strategia offensiva ed eliminazionista.
Gli arabi e in genere i musulmani credono davvero di poter eliminare Israele, se non oggi sul medio o lungo termine. Pensano che per farlo sia necessaria la "lotta armata", che si tratti di spedizioni militari o di terrorismo. Questo significa cercare di entrare nei luoghi dove gli ebrei vivono e di sterminarli, o almeno di procurar loro tali danni e lutti da indurli a fuggire altrove. Tutto ciò deriva da un calcolo demografico, dato che gli arabi sono cinquanta volte più numerosi degli abitanti di Israele, da una abitudine culturale millenaria alla guerra per bande, dal disprezzo che il Corano attribuisce agli ebrei. Sul piano militare, la strategia dell'attacco frontale allo stato ebraico è stata abbandonata dai principali paesi arabi quasi cinquant'anni fa, ma mai davvero rinnegata nella propaganda, tant'è vero che essa è ancora adottata dai movimenti terroristi e sottoscritta dalla maggioranza delle opinioni della "piazza araba" come mostrano i sondaggi; del resto essa ispira nei fatti ma soprattutto giustifica ideologicamente la strategia imperialista iraniana oggi attivissima.

Vi è dunque un'asimmetria di comportamento e di pianificazione, oltre che di retorica, nel conflitto mediorientale, che dura da cent'anni e passa.
La sua manifestazione concreta si modifica a seconda dei rapporti di forza, ma le linee principali restano quelle: Israele che difende la propria esistenza con lucidità e coraggio, usando la propria superiorità morale e tecnologica; intorno gli assedianti che provano a travolgerlo quando pensano di avere un vantaggio sufficiente; più in là un mondo che assiste badando ai propri interessi in questa regione centrale: il vecchio imperialismo britannico filoarabo, oggi in parte (e di nuovo inconsapevolmente) imitato dal neo-colonialismo europeo; lo scontro fra Russia (già URSS) e USA che ha portato a schieramenti opposti nel conflitto. Coloro che pensano "generosamente" che un'iniziativa politica o una stretta di mano possano cambiare questa realtà sono destinati a essere duramente delusi, come è accaduto agli israeliani che avevano pensato agli accordi di Oslo o allo sgombero di Gaza come promesse di pace. Le grandi linee strategiche che ho delineato mostrano che la fine dell'assedio di Israele potrà avvenire solo quando gli assedianti e non i difensori rinunceranno alla guerra e lo faranno non solo con accordi segreti e necessariamente provvisori, ma apertamente, spiegando ai propri popoli il diritto degli ebrei al loro stato.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Messaggioda Berto » mer apr 29, 2020 12:24 pm

Il problema Israele
12 febbraio 2020
Niram Ferretti

http://www.italiaisraeletoday.it/il-pro ... i2yuPoKZXA

Settantadue anni dopo la sua nascita, il 14 maggio del 1948, Israele continua a persistere come problema. Settantadue anni dopo la sua nascita, settantacinque anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, durante la quale il popolo ebraico ha sperimentato la più grande tragedia della propria storia. Israele è, ancora oggi, l’unico Stato nato a seguito della catastrofe bellica costata agli ebrei un prezzo inaudito, che una parte consistente dell’opinione pubblica mondiale considera illegittimo. L’unico Stato che una parte altrettanto se non più consistente del mondo arabo e musulmano appoggiato da estremisti di sinistra e di destra e da noti o più o meno noti accademici, scrittori, giornalisti, ritiene non abbia diritto all’esistenza.

“Un piccolo paese di merda”, lo qualificò, nel 2001, Daniel Bernard, l’allora ambasciatore francese a Londra suscitando aspre polemiche e ispirando alla giornalista Deborah Orr sull’Indipendent, un articolo in cui, approvando la definizione di Bernard, spiegava ai lettori che vi è una differenza sostanziale tra antisemitismo e antisionismo perché, “L’antisemitismo è l’avversione per gli ebrei…e l’antisionismo è solo avversione per l’esistenza di Israele”.

Dobbiamo qui fermarci un momento e riflettere. Se questo solo esistenziale non ci fosse, non potrebbe esserci alcun antisionismo, proprio come se non ci fossero gli ebrei non potrebbe esserci alcun antisemitismo, perché in fondo, e con logica consequenziale, si potrebbe dire che “L’antisemitismo è solo avversione per l’esistenza degli ebrei”.

La Orr dunque, senza avvedersene, con l’avverbio solo, entra con i piedi nel piatto del problema mostrandoci come l’antisionismo in quanto rifiuto dell’esistenza di Israele non sia altro che antisemitismo mascherato e mascherato assai maldestramente.

Come ha evidenziato Pierre Andrè Taguieff, uno dei più acuti studiosi francesi di antisemitismo: “L’anti-sionismo radicale, il cui obiettivo è l’eliminazione di Israele come Stato ebraico, è il nocciolo duro della nuova giudeofobia. È ancora necessario definire con precisione l’antisionismo che qualifico come radicale, assoluto o demonologico”.

Eccoci qui di nuovo nel 2020 appena cominciato, ad affrontare problemi che sembrano insolubili, eccoci qui di nuovo a confrontarci con la questione ebraica, e con chi, ci dice che Israele sarebbe un sopruso nei confronti degli arabi-palestinesi, un anacronismo, qualcosa che non dovrebbe essere.

Infondo nulla di sorprendente, vino vecchio in otri nuovi, odi stantii, ossessioni e fantasmi ululanti che continuano a infestare il nostro presente, a flagellarlo.

Ci sono illustri precursori. Arnold Toynbee considerava il popolo ebraico un fossile, e prima di lui Karl Marx, appunto ne La Questione ebraica, identificando l’ebreo con il Dio denaro prospettava la dissoluzione del giudaismo nella nuova società comunista non più oppressa dalla signoria del capitale.

Molti altri esempi si potrebbero fare ma qui abbiamo presente una costante, l’idea che l’ebraismo sia qualcosa di superato o qualcosa da superare. Si incaricherà il progresso, la parola talismano di tanti fattucchieri, a farlo. E come il progresso eliminerà l’ebraismo, relitto della storia, così esso eliminerà Israele, refuso della storia.

Lo scenario non è cambiato. Non fatevi ingannare, da trucchi, giochi di specchi, speciose e disinvolte distinzioni, dagli abracadabra dei sofisti dell’ultima ora. Chi odia Israele e le sue ragioni, anzi la sua ragione, il suo essere, difficilmente vorrà per gli ebrei il meglio, vorrà per loro un futuro sereno e veramente emancipato, nei limiti di quanto questo possa accadere all’interno dell’esperienza umana.

Già, le ragioni di Israele. Il suo essere, il suo esistere. Ma quali sono queste ragioni? Su cosa si fondano? Quale è la loro forza, la loro persuasione?
Nel 1923 in un suo celebre scritto, Il Muro di Ferro, uno dei maggiori protagonisti del sionismo, Vladimir Jabotinsky riconosceva agli arabi un diritto alla terra nella quale dimoravano, ma, allo stesso tempo, riconosceva agli ebrei un diritto analogo. Il diritto all’immigrazione ebraica, il diritto ad emigrare in una terra con cui gli ebrei, come anni dopo avrebbe sottolineato Gershom Scholem, hanno sempre avuto un rapporto ininterrotto.

In una intervista del 1975 data nella sua casa di Gerusalemme a un giornalista tedesco, il grande intellettuale ebreo, diceva, “Il ricordo che gli ebrei hanno della Palestina è una realtà, le aspirazioni ebraiche all’assimilazione tentarono di combattere questo ricordo, e tuttavia non si è riusciti a cassare Gerusalemme e Sion dalle preghiere ebraiche di 2000 anni“.

La storia è questa eco che giunge da un passato lontano, che risale fino ad Abramo e ad una promessa, la storia racconta di una fedeltà profonda, di un richiamo mai venuto meno, di una appartenenza, di un legame indistruttibile.

La storia che altri vorrebbero negare, deformare, annientare. Scipparla, cancellando le tracce della presenza ebraica dal passato del Medioriente come è avvenuto con le due risoluzioni Unesco del 16 aprile 2015 e quindi del 16 ottobre 2016, quando Israele viene espropriato nominalmente del Kotel hamaravi (il Muro Occidentale) e del soprastante monte del Tempio, da sempre il sito più sacro per l’ebraismo.

A queste risoluzione seguirà poi ai primi di maggio del 2016 una ennesima risoluzione la quale rifiuta a Israele qualsiasi legittimità su Gerusalemme.

Tutto ciò si iscrive nel tentativo di rimozione di Israele da parte islamica, (che si articola sia sulla sua delegittimazione storico-politica, sia sulla volontà di annientarlo fisicamente), con l’appoggio consistente di una buona parte dell’élite politica europea e dei suoi addentellati accademici e massmediatici (con una parallela controparte nel mondo accademico nordamericano), per la quale, lo Stato ebraico non sarebbe altro che un misfatto.

Eppure, nonostante tutto questo, la verità dei fatti continua a resistere alle manipolazioni. Israele non è solo memoria, appartenenza, legittimità per ogni ebreo nel mondo di trovare una casa là dove la storia del proprio popolo è nata, Israele è anche salvaguardia e tutela, unità, è la scommessa ancora difficile, ancora travagliata, contro quelle forze che, come una bufera, e nel Novecento una bufera annichilente, si sono rovesciate contro il popolo ebraico.

Questo era ciò che fu chiaro a Herzel, a Jabotinsky, a Ben Gurion (al di là, per quanto riguarda gli ultimi due, delle loro accentuate differenze di vedute). A loro fu chiaro come è chiaro ad ogni israeliano oggi, che il popolo ebraico non è, no, un fossile come pensava Toynbee, non è una forma dell’alienazione come pensava Marx, ma è un presente sempre in cammino, verso il futuro che lo chiama da lontano, che lo invita a proseguire nelle avversità, nelle tempeste, nei travagli.

Israele è dunque una scommessa contro le forze della morte e della distruzione, contro chi, oggi, come ieri, l’Iran, il maggiore pericolo per la stabilità mediorientale, vorrebbe distruggerlo.

Dobbiamo dire una cosa e dirla con una sicurezza perentoria, che Israele esiste e può esistere solo in virtù dell’essersi potuto difendere e del sapersi difendere. E questo, a rifletterci un momento, è sgomentevole. Così come è sgomentevole che ancora oggi, nel terzo millennio, davanti alle sinagoghe, a luoghi ebraici, vi siano copiose le forze dell’ordine, a proteggerli. E’ sgomentevole che ci sia questa necessità, che gli ebrei, nei paesi in cui vivono debbano ancora proteggersi, e che debbano farlo massimamente nel loro Stato.

Eppure questo è quello che la storia ci dà ed è inutile girarci intorno o dolerci più di tanto, bisogna guardare la realtà e guardarla in faccia prendendo le misure necessarie. Tutto ciò era evidente a Moshe Dayan nel 1956 quando pronunciando l’elogio funebre del soldato Roi Rothberg, diceva, “Noi sappiamo bene che, per ridurre al loro nulla la loro speranza di annientarci, bisogna che siamo armati e sul chi vive, dal mattino alla sera”.

E sarebbe stato ancora più evidente nel 1967 e poi nel 1973 e successivamente con le due Intifade, la più terribile, quella del 2000-2005, quando, con implacabile regolarità, i Signori della morte davano ordine ai loro sicari di uccidere sugli autobus, nei locali, nei ristoranti, per la strada, cittadini israeliani, civili e militari. E li uccidevano, li mutilavano, unicamente perché erano lì dove, secondo l’estremismo islamico, gli ebrei non avevano, non hanno, il diritto di essere, di stare.

Statuto di Hamas

Questo è esplicitato chiaramente nello Statuto di Hamas del 1989 all’Articolo 6, dove possiamo leggere che Hamas, “Innalzerà la bandiera di Allah su ogni metro quadro della Palestina” poiché “Non c’è soluzione per il problema palestinese se non il jihad”.

Dunque, Israele è la testimonianza di cosa significa perseverare e costruire e investire nel futuro malgrado le avversità. E questa è una costante ebraica. Non c’è stato un giorno in cui, prima della sua fondazione e successivamente ad essa, Israele non abbia cercato di trovare un accordo con i suoi vicini arabi e non c’è stata guerra che Israele non abbia combattuto unicamente allo scopo di difendersi.

E questo è accaduto per un motivo molto semplice. A causa di un rifiuto. Perché a monte di tutto c’è un rifiuto. Lo stesso rifiuto che qui in Europa, per secoli, ha fatto degli ebrei il capro espiatorio, il simbolo del male.

Ecco, Israele è lì che si oppone a questo rifiuto. E questa, infondo è la sua ragione fondamentale. Quella più granitica. Lo fa guardando avanti, progettando, investendo, lo fa credendo che, nonostante tutto, il presente continuerà ad avanzare giorno dopo giorno verso un tempo di pienezza. E’ questa la sua forza più profonda e la sua testimonianza più vibrante.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Messaggioda Berto » mer apr 29, 2020 12:25 pm

Uno stato per gli ebrei: sembrava un sogno irraggiungibile. 72 anni fa nasceva Israele
David Di Segni
29-04-2020

https://www.shalom.it/blog/editoriali-b ... le-b838391

Che cosa deve aver provato la generazione reduce dalla Shoah quando è stato proclamato lo Stato di Israele? Loro, che avevano vissuto il malefico piano di distruzione del nostro popolo, con quante lacrime agli occhi hanno ascoltato, quel lontano shabbat di ormai 72 anni fa, la proclamazione dello stato ebraico? Finalmente uno stato dove niente e nessuno ci avrebbe mai più perseguitati. Niente più svastiche, niente più rastrellamenti, un’intera terra dove essere finalmente liberi d’essere orgogliosamente ebrei, ma ad un costo. Quanti giovani non hanno mai fatto ritorno a casa? Quanti padri hanno baciato le proprie mogli per l’ultima volta, accarezzandole sul viso, senza mai tornare? Pugni stretti e cuore in gola, la scalata per la libertà sembrava un sogno irraggiungibile. Tutto reso possibile da chi ha combattuto fisicamente, da chi si è occupato della diplomazia, dai primi migranti ebrei di fine ottocento, e dai visionari come Thedoro Herzel, Ben Gurion, Golda Meir, Chaim Weizmann, che hanno reso possibile questo sogno chiamato Israele. Persone carismatiche. “Gli ebrei che lo vogliono avranno il loro stato”.

Oggi, che festeggiamo i 72 anni di Israele, la quale troppo spesso viene attaccata da coloro che bramano la sua (e nostra) sconfitta, dobbiamo voltarci indietro e ringraziare chi ci ha costruito il ponte verso la libertà, verso la terra che stilla latte e miele, verso quell’unica democrazia che brilla nel medio-oriente. I loro sforzi non saranno vani, finché il popolo d’Israele sarà vivo e unito come un pugno chiuso. Proteggeremo la nostra libertà, affinché niente di male possa più accadere alla nostra gente, perché i nostri giovani si possano sentire liberi e fieri d’esser ebrei, come è sempre stato. La storia ci ricorda quanto siamo stati forti all’uscita dall’Egitto, o quando la sorte si è ribaltata nella lontana Susa di Persia, ed ancora, quando abbiamo scalato la vetta per istituire il nostro stato, quello di Israele. Faremo in modo che la storia, di vita, del nostro popolo duri in eterno, questa è una promessa.

Oggi, che non possiamo riversarci nelle vie per sventolare le bandiere di Israele, siamo comunque uniti col pensiero ed il cuore, il cuore di Am Israel.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Lunedì 14 maggio 2018 prossimo io festeggio con Israele

Messaggioda Berto » ven apr 16, 2021 9:30 am

I 73 anni di Israele, motivo al contempo di umiltà e di ispirazione
Dato tante volte per spacciato da nemici veri e finti amici, lo stato ebraico è vivo, vegeto e fiorente grazie alle qualità della sua popolazione
(Da: Jerusalem Post, 14.4.21)
15 Aprile 2021 Attualità

https://www.israele.net/i-73-anni-di-is ... spirazione

Mentre Israele celebra, giovedì, il suo 73esimo compleanno, vale la pena ricordare che fin dall’inizio c’è sempre stato chi diceva che non ce l’avrebbe fatta, che non avrebbe potuto sopravvivere.

Lo dissero nel 1948 i diplomatici in gessato del Dipartimento di Stato americano che cercavano di convincere il presidente Harry Truman a non riconoscere lo stato che stava nascendo. Lo dissero quello stesso anno i capi arabi mentre mobilitavano interi eserciti per combattere e annichilire lo stato ebraico appena nato. Lo dissero i politici europei alla viglia della guerra dei sei giorni, dando Israele per perduto mentre i vicini arabi stringevano il cappio intorno al collo dello stato ebraico mirando a distruggerlo.

Nel corso degli anni esperti e politici, editorialisti e opinionisti hanno snocciolato milioni di parole per sostenere che Israele non può sopravvivere: che sarà sopraffatto dai nemici che lo circondano, che sarà dilaniato dalle divisioni al suo interno, che sarà spazzato via dal puro e semplice dato demografico. Tanto per fare un esempio, nel 2008 un articolo di copertina del settimanale canadese Maclean era intitolato: “Perché Israele non può sopravvivere”.

Eppure eccoci qui, 73 anni dopo, ancora in piedi, ancora vivi e vegeti. Di più, fiorenti e vigorosi come non avrebbero mai immaginato coloro che avevano così poca fede nel paese, nella sua gente, nelle sue capacità. Certo non sono mancati problemi, non sono mancati dilemmi, non sono mancati vizi e momenti politici dolorosamente laceranti. E tuttavia siam qui, sopravvissuti e fiorenti.

Coloro che preannunciavano la morte imminente di Israele hanno sempre trascurato un elemento importante: le persone che dimorano in Sion desiderano la vita e desiderano viverla qui, liberi in una terra indipendente, in questo piccolo angolo del mondo. E quel desiderio di vita li ha spinti ad adattarsi e improvvisare, negli scorsi sette decenni, per fare fronte alle mutevoli realtà demografiche, politiche, militari e compiere i passi necessari per garantirsi la sopravvivenza.

Stando ai dati puri e semplici – il numero di ebrei rispetto al numero di arabi in Medio Oriente, il numero di ebrei rispetto al numero di arabi tra il fiume Giordano e il mar Mediterraneo, il numero di missili balistici puntati contro Israele, la virulenza dell’ostilità di tanti che circondano Israele, la percentuale di popolazione che non lavora o che non sta acquisendo a scuola le competenze necessarie per lavorare nel XXI secolo – si potrebbe effettivamente arrivare alla conclusione che le possibilità di sopravvivenza del paese sono scarse. Ma i dati nudi e crudi non misurano la volontà delle persone e la loro capacità di adattarsi, rinnovarsi e rifiorire. Le realtà politiche, militari e demografiche cambiano, e ciò che Israele ha dimostrato da tempo è un’incredibile attitudine a rinnovarsi e adattarsi ai cambiamenti, per sopravvivere e prosperare.

Sebbene oggi compia 73 anni, molti continuano a vedere Israele come lo vedevano i nostri nonni: un paese giovane, scarso di popolazione e fragile. Ma a 73 anni un paese non è poi così giovane. Fra gli oltre 190 stati dell’Onu, ce ne sono solo 75 che esistono da più anni di Israele. E sebbene sia fisicamente piccolo, con 9,3 milioni di abitanti Israele è all’85esimo posto nel mondo in termini di popolazione. E nessuno, guardando a questo paese, può onestamente dire che è debole o fragile.

E poi, l’età dello stato non rende giustizia a Israele. Dire che Israele ha solo 73 anni è come dire che l’Egitto ha solo 99 anni perché ha ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito nel 1922, o che la Grecia ha solo 199 anni perché la Prima Repubblica Ellenica venne fondata nel 1822. La presenza a tutti gli effetti del popolo ebraico in questa terra risale a più di 3.000 anni fa. Gli israeliani ne hanno avuto ulteriore conferma il mese scorso quando gli archeologi hanno annunciato la scoperta di un frammento del Libro di Zaccaria risalente a quasi due millenni fa. Quel rotolo va ad aggiungersi al vasto materiale archeologico che mostra che gli ebrei calcano i deserti, le colline e le valli di questa terra da tempo immemorabile, venerando lo stesso Dio, leggendo gli stessi libri sacri, vivendo la loro vita al ritmo dello stesso calendario degli ebrei di oggi.

Lo stato d’Israele ha solo 73 anni, un puntino sulla lunghissima linea temporale della storia ebraica: una prospettiva che è motivo al contempo di umiltà e di ispirazione. Umiltà, perché cosa sono 73 anni nell’arco della storia ebraica? Un batter d’occhio. Ma anche stimolo e ispirazione, perché il tanto che è già stato realizzato in questo batter d’occhio non è che un assaggio del tanto che resta ancora da realizzare, qui, negli anni a venire.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Precedente

Torna a Veneti e ebrei

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 1 ospite

cron