Mein Kampf

Mein Kampf

Messaggioda Berto » sab giu 11, 2016 6:04 pm

Mein Kampf
viewtopic.php?f=130&t=2339


https://it.wikipedia.org/wiki/Mein_Kampf

Mein Kampf (La mia battaglia) è il saggio pubblicato nel 1925 attraverso il quale Adolf Hitler espose il suo pensiero politico e delineò il programma del partito nazional socialista sotto forma di un'autobiografia.
Una prima parte del testo venne dettata da Hitler all'amico di prigionia Rudolf Hess, ritenuto da molti il più fedele fra i suoi seguaci[1], durante il periodo di reclusione nel carcere di Landsberg am Lech seguìto al tentativo fallito del colpo di Stato di Monaco[2] del 9 novembre 1923.
Secondo la prefazione dell'edizione italiana edita da Bompiani, il Times, che pubblicò il volume a puntate, lo definì la «Bibbia laica» perché fornisce la giustificazione al credo politico di ogni nazionalsocialista insegnandogli la via della salvezza nazionale[3].


Citazioni dal Mein Kampf che trattano degli ebrei
http://www.daemuk.ch/citazioni_mein_kam ... liano.html

Attualmente l'individuo deve notare con sofferenza, che nel mondo antico, molto più libero del moderno, apparve, con la venuta del cristianesimo, la prima paura spirituale. Ma non si può obiettare che da quel tempo è pervaso e dominato da quella oppressione, che solo l'oppressione distrugge l'oppressione, solo la paura, la paura.

Ogni tanto le riviste riportano delle notizie al piccolo borghese tedesco: un negro per la prima volta è diventato avvocato, professore, pastore o qualcosa del genere in un posto o in un altro. Mentre la stupida borghesia accoglie la notizia con sorpresa per un così stupefacente avvenimento, ammirata per questo strabiliante effetto della pedagogia attuale, l'ebreo astutamente si serve di questo per convalidare la teoria da inculcarsi ai popoli in merito all'eguaglianza degli uomini. La nostra società borghese e decadente non si accorge che in questo modo si commette un vero peccato contro la ragione; che è una vera pazzia quella di istruire una mezza scimmia perchè si pensi di aver preparato un avvocato, mentre milioni di membri della eccelsa razza civile devono rimanere in posti pubblici e miseri.

Così l'unico vero promotore della rivoluzione, colui che valutò i risultati, cioè l'ebreo cosmopolita, gioì della situazione. I tedeschi non erano ancora giunti come i russi al punto di essere trasportati nella sanguinosa fogna bolscevica e questo perchè non ci fu mai divario tra gli intellettuali e gli operai tedeschi in quanto, erano, come in altri stati, amalgamati gli uni negli altri, perchè c'era una più salda unità di razza, cosa che non ci fu mai in Russia. Lì infatti l'intelligenza per la maggior parte non era di origine russa o almeno non aveva una individualità di rosso slavo.

Così lo scarso numero d'intellettuali faceva sì che questi potessero essere annullati grazie anche alla deficienza di persone intermedie che li amalgamassero con la massa, nella quale era quasi nullo il livello spirituale e morale. Così fu sufficiente scatenare questa massa ignorante contro gli intellettuali, da cui essa era staccata, per ottenere la vittoria della rivoluzione. Il popolo ignorante divenne schiavo dei suoi dittatori ebrei, i quali mascherarono la loro carica sotto il nome di "dittatore del proletariato".

Mentre il mondo ebraico internazionale ci disgrega a poco a poco ma sicuramente, i nostri cosiddetti patrioti gridano contro un individuo e contro un movimento che ebbero il coraggio, almeno in un posto sulla terra, di sottrarsi alla tenaglia ebraico-massonica e mettere contro una resistenza nazionalistica all'inquinamento internazionale del mondo. Ma era troppo affascinante, per caratteri fragili, girare la vela a seconda del vento e arrendersi di fronte alle grida della mentalità generale.

La lotta che l'Italia fascista svolge contro le tre maggiori armi del giudaismo, è ottimo indizio del fatto che - sia pure per vie indirette - a questa velenosa potenza superstatale si possono spezzare i denti. Il divieto della Massoneria, delle società segrete, la soppressione della stampa supernazionale e la demolizione del marxismo internazionale permetteranno col tempo, al governo fascista di servire sempre più gli interessi del popolo italiano senza curarsi delle strida dell’idea mondiale ebraica.
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Re: Mein Kampf

Messaggioda Berto » sab giu 11, 2016 6:05 pm

Capire il Mein Kampf perché non torni più

Con certi venticelli che soffiano qua e là per l'Europa e in Medioriente serve capire dove si può annidare il male e non ripetere un errore fatale
Alessandro Sallusti - Sab, 11/06/2016

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 70124.html

C'è un pezzo di storia che fa ancora paura solo a parlarne. Ed è comprensibile perché gli uomini fanno scattare una legittima difesa contro il male assoluto.
Leggere "Mein Kampf", vero antidoto alle tossine del nazismo
Da Shirer a Mosse, una collana per capire l'orrore del Reich

Parliamo di Hitler e del nazismo, la più grande tragedia - insieme al comunismo staliniano - del Novecento e tra le più orrende della storia intera del mondo. Milioni di ebrei sterminati nelle camere a gas, milioni di tedeschi mandati a morire per una causa aberrante, milioni di uomini liberi morti per estirpare dall'Europa questo cancro.

Tutto ha inizio con un farneticante libro scritto nel 1925 dal futuro Führer e tragicamente noto come Mein Kampf, tradotto «La mia battaglia». Il 31 dicembre 2015 sono scaduti i diritti d'autore sul testo, diritti che erano stati affidati al governatorato della Baviera, che per settant'anni ne aveva vietato la pubblicazione. A gennaio l'Istituto di storia contemporanea di Monaco ha deciso di ripubblicare il testo a fini storici in una edizione commentata con l'avallo del presidente delle comunità ebraiche tedesche. In questi giorni si sta discutendo se adottare questo testo nei piani di studio delle scuole superiori.

Abbiamo deciso di ripetere l'operazione per l'Italia, rieditando il testo originale stampato dalla Bompiani nel 1938 che oggi, per chi vorrà, è in edicola insieme al quotidiano e al primo numero di una collana dedicata alla storia del Terzo Reich. Ovviamente si tratta di un'edizione commentata. La guida critica alla lettura è del professore Francesco Perfetti, una delle massime autorità nel campo della storia contemporanea. La sola notizia di questa pubblicazione ha già suscitato polemiche, la maggior parte delle quali legittime e comprensibili, e le preoccupazioni degli amici della comunità ebraica italiana, che ci ha sempre visto e sempre ci vedrà al suo fianco senza se e senza ma, meritano tutto il nostro rispetto. Escludo però che ad alcuno possa anche solo sfiorare l'idea che si tratti di un'operazione apologetica o anche solo furba. Non si gioca su una simile tragedia. Semmai il contrario. Perché, con certi venticelli che soffiano qua e là per l'Europa e in Medioriente serve capire dove si può annidare il male e non ripetere un errore fatale.

Cito Perfetti: «Al mondo politico, ma anche a quello intellettuale dell'Europa del tempo, può essere oggi rimproverato il fatto di non avere letto in maniera approfondita l'opera e di non averne quindi compreso appieno la dimensione aberrante destinata, come la storia avrebbe tragicamente dimostrato, a minare in profondità le fondamenta del mondo civile».

Studiare il male per evitare che ritorni, magari sotto nuove e mentite spoglie. Questo è il senso vero e unico di ciò che abbiamo fatto.
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Re: Mein Kampf

Messaggioda Berto » sab giu 11, 2016 6:06 pm

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 0809081280

P.A.
È soltanto un testo che fa parte della storia e conoscerlo criticamente fa più bene che male. Anni addietro ho provato a leggerlo, come ho provato con il Corano, ma dopo qualche pagina ho smesso perché non vi ho trovato alcunché di stimolante. Anche oggi, come ogni sabato, ho portato la kippah in solidarietà con gli ebrei. Imparare a ragionare criticamente e non per miti, dogmi, pregiudizi, tabù, conformismi, aiuta ad essere liberi e responsabili. Per me i comunisti sono come i fascisti e i nazisti, se non peggio. Leggere qualche pagina del Mein Kampf non mi ha fatto diventare nazista o hitleriano, anzi mi ha aiutato a capire meglio il fenomeno nazi-hitleriano. Anche leggere il Capitale di Marx o gli scritti di Gramsci può nuocere alla salute ... la storia ha ben messo in evidenza la loro pochezza e inconsistenza. Giorni or sono, in una pagina sull'islam che gestisco, si è iscritto un tizio nazifascista antislamico (come me) e antisemita che poi si è cancellato scontrandosi con il mio non antisemitismo che gli riusciva inconcepibile; non ha saputo spiegarmi ragionevolmente la sua avversione per gli ebrei (che lui si ostinava a chiamare porci); si trattava e si tratta soltanto di pregiudizi dogmatici di origine cristiana che persistono laddove le persone non hanno imparato a ragionare con la loro testa. Tutte vittime della meningite culturale che è tra le malattie più diffuse a livello planetario. Eppoi non si capisce perché il Corano sì e il Mein Kampf no?
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Re: Mein Kampf

Messaggioda Berto » mer giu 15, 2016 4:59 am

Criticare il Mein Kampf e onorare la memoria di Martin Heidegger?: sì, per Donatella Di Cesare
14.06.2016
https://www.facebook.com/alberto.pento

Titolo: «Non è un libro normale, è un inno allo sterminio»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/06/2016, a pag.39, con il titolo " Non è un libro normale, è un inno allo sterminio " il commento di Donatella Di Cesare.

Che il Mein Kampf non sia un libro normale ci pare un'ovvietà, nessuno si è mai sognato di definirlo tale, sia tra chi ne ha giustificato la stampa, meno che mai tra i critici. Quello che ci chiediamo - e non da oggi - è con quale faccia tosta la filosofa Di Cesare possa atteggiarsi su posizioni critiche al nazismo, dopo che è stata fino a poco tempo fa la vice presidente della Fondazione tedesca creata per onorare la memoria del massimo filosofo del nazismo Martin Heidegger ? Quando uscirono i "Quaderni Neri" si dimise, ma la domanda rimane: perchè difese il filosofo nazista fino a diventare vice presidente della Fondazione ? C'è un altro grande ammiratore di Heidegger - e amico della Di Cesare - si chiama Gianni Vattimo, noto alle cronache per aver dichiarato che bisogna tornare a leggere i Protocolli dei Savi di Sion, fanatico ammiratore di Hamas e laudatore della Repubblica islamica dell'Iran, dopo esserlo stato della Cuba di Fidel Castro.
Si può condannare il Mein Kampf e allo stesso tempo condividere le idee del filosofo di Hitler ? In un paese serio sarebbe inaccettabile, in Italia si diventa collaboratori del Corriere della Sera.

Ecco l'articolo:

Hitler non si addice alle edicole. La scelta di «regalare» Mein Kampf come allegato deve essere condannata con grande fermezza da una società civile. Quali che siano i motivi reconditi che possono aver spinto il Giornale a diffondere il libro di Hitler, si tratta di una scelta gravissima, irragionevole e ingiustificabile. Questo fatto — come ha dichiarato Efraim Zuroff, direttore del Centro Wiesenthal di Gerusalemme — è «senza precedenti». Non stupisce che la stampa internazionale abbia dato rilievo alla notizia. Dalla Frankfurter Allgemeine a Die Welt e al Washington Post , per citare solo alcune testate, lo sconcerto è unanime. E ci si chiede come mai, nell’Italia di oggi, Hitler possa tornare a essere popolare. Il «regalo» è giunto sabato scorso — per gli ebrei alla vigilia di Shavuot, la festa in cui si ricorda il dono della Torah, il Libro dei libri. Triste coincidenza, dunque, che nelle edicole di un Paese europeo, coinvolto nello sterminio, girasse la «Bibbia del nazismo». Né si può sorvolare su una coincidenza inquietante: solo pochi giorni fa è stata finalmente approvata la legge contro il negazionismo. Vuoi per richiamo morboso, vuoi per banale interesse, nelle edicole l’allegato è esaurito. Questa sarebbe una operazione culturale? Distribuire il secondo volume del testo di Hitler, intitolato La mia battaglia , nella vecchia edizione Bompiani del 1937? Non è una edizione critica: non ci sono né note, né commenti. Non può farne le veci la breve e discutibile introduzione di Francesco Perfetti, il quale sembra ignorare il successo ottenuto, persino nel mondo accademico tedesco, dall’«antisemitismo della ragione» propugnato da Hitler.
L’edizione critica, pubblicata in Germania nel gennaio del 2016, è costituita da due volumi di 2.000 pagine e corredata da ben 3.500 note. Ma arriviamo al punto. I campioni dell’ultraliberalismo hanno gridato alla censura e si sono appellati alla necessità di leggere Hitler come «documento storico». Qui è bene chiarire: Mein Kampf non è un libro come un altro. Non può essere paragonato ad altri libri antisemiti che hanno propagato e propagano ancor oggi le teorie del complotto. Mein Kampf è il libro che contiene il primo progetto di sterminio planetario del popolo ebraico. Chi lo ha letto lo sa. E sa giudicare la gravità incommensurabile di quelle pagine che preludono all’annientamento.

Per Hitler gli ebrei sono gli «stranieri», che cancellano i confini — quelli geografici e quelli tra i popoli. Distruggono gli altri per dominare il mondo; la loro «vittoria» sarebbe «la ghirlanda funeraria dell’umanità», decreterebbe la fine del cosmo.

Il pericolo maggiore viene indicato nella possibile fondazione di uno «Stato ebraico». Perché non ci deve essere luogo alcuno, per gli ebrei, nel mondo. Di qui l’annientamento. Dare allora queste pagine da leggere senza una guida critica? Certo che occorre conoscere Mein Kampf . E chi responsabilmente si occupa della Shoah lo legge e lo fa leggere. Non era necessario che il Giornale degradasse la cultura italiana per avvertirci che il male si deve conoscere. Noi il male non lo dimentichiamo. Ma siamo convinti che uno studio critico, come quello che d’altronde già si compie in molte università e scuole italiane, sia la strada giusta per conoscere il passato e per guardare con più consapevolezza al futuro.
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Re: Mein Kampf

Messaggioda Sixara » mer giu 15, 2016 3:51 pm

Il «regalo» è giunto sabato scorso — per gli ebrei alla vigilia di Shavuot, la festa in cui si ricorda il dono della Torah, il Libro dei libri. Triste coincidenza, dunque, che nelle edicole di un Paese europeo, coinvolto nello sterminio, girasse la «Bibbia del nazismo». Né si può sorvolare su una coincidenza inquietante: solo pochi giorni fa è stata finalmente approvata la legge contro il negazionismo. Vuoi per richiamo morboso, vuoi per banale interesse, nelle edicole l’allegato è esaurito. Questa sarebbe una operazione culturale? Distribuire il secondo volume del testo di Hitler, intitolato La mia battaglia , nella vecchia edizione Bompiani del 1937? Non è una edizione critica: non ci sono né note, né commenti. Non può farne le veci la breve e discutibile introduzione di Francesco Perfetti, il quale sembra ignorare il successo ottenuto, persino nel mondo accademico tedesco, dall’«antisemitismo della ragione» propugnato da Hitler.
L’edizione critica, pubblicata in Germania nel gennaio del 2016, è costituita da due volumi di 2.000 pagine e corredata da ben 3.500 note.

Bel regalo ke l ghe ga fato a i so letori. Mariavè... ma èi mati a portarselo n caxa, ò capìo ke no i lo lezarà mai, ma zà tegnerlo n caxa, desora de l comodìn te la càmara indoe ca te dormi magari... l è velenoxo kel libro lì, no bixogna gnan nominarlo e manconcora el nome de ki ke lo ga scrìto.
E mi - ca ghe tegno a la me salute mentale - e cuei cofà mi, i dovarìa fare isteso : jrarghe a la larga, ma de i bèi jri pa la longa, scoltème mi.

O sinò, se propio, l edi'zion tedesca de l 2016 co tute le so 2.000 pajne + le so 3.500 node. Auf Deutsch, naturalmente. :)
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Re: Mein Kampf

Messaggioda Berto » gio giu 16, 2016 10:39 am

Germania, secondo uno studio sempre più tedeschi odiano islam, rom ed ebrei
Ivan Francese - Mer, 15/06/2016

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ger ... 72145.html

In Germania, un tedesco su dieci vorrebbe il ritorno di un "Fuhrer" che guidi il Paese con mano ferma.

Dodici su cento credono che i tedesch siano "superiori per natura" agli altri popoli e quasi altrettanti ritengono che gli ebrei abbiano "troppa influenza nella società". E addirittura il quaranta per cento vorrebbe proibire l'immigrazione degli islamici in Germania.

Dati che mettono i brividi: emergono da una ricerca condotta fra 2240 tedeschi dall'università di Lipsia, nell'est del Paese, e pubblicata regolarmente sin dal 2002 con cadenza biennale.

Rispetto agli anni passati, però, i dati mostrano un forte incremento nella propensione alla violenza fra chi simpatizza per i partiti di destra ed estrema destra, che fino a poco tempo fa in Germania erano ancora confinati all'estremità dell'arco costituzionale. Proprio sul tema della violenza la ricerca evidenzia come la società tedesca stia andando incontro ad una polarizzazione fra chi rigetta in toto la violenza e chi la evoca come metodo di risoluzione delle controversie grandi e piccole.

Un sentimento di "ostilità" aggressiva viene registrato soprattutto fra gli elettori del partito euroscettico di destra di Alternative fur Deutschland, dove serpeggiano anche sentimenti razzisti e xenofobi. La metà degli intervistati, peraltro, vorrebbe bandire le comunità di nomadi, rom e sinti, dai centri storici delle città.

Nel mirino anche gli omosessuali: il 40% ha confessato di essere schifato alla vista di un bacio gay, mentre nel 2011 questa percentuale era "solo" del 25%.

Similmente, è cresciuta anche la diffidenza verso i musulmani, con la metà degli intervistati che si sente "straniero nel proprio Paese" a causa dell'eccessiva immgirazione musulmani: il 7% in più rispetto al 2014.

Numeri che mostrano un deciso rifiuto delle politiche multiculturali di cui la Germania socialdemocratica prima e democristiana poi ha fatto una bandiera.



Alberto Pento el comenta
Capisco l'Islam del terrore e dell'orrore e gli zingari ladri e assassini, ma gli ebrei, perché gli ebrei?
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Re: Mein Kampf

Messaggioda Berto » gio giu 16, 2016 1:21 pm

Il vero orrore: il diario di Höss
Davide Simone

14 giugno 2016

http://www.linformale.eu/3351-2

Benché il “Mein Kampf” di Adolf Hitler e il “Mito del XX Secolo” di Alfred Rosenberg siano i manifesti della dottrina nazionalsocialista, è “Comandante ad Auschwitz”, di Rudolf Höss*, a concentrare ed esprimere in modo nitido ed inequivocabile l’anima ideologica, sociale e culturale della croce uncinata e del suo periodo storico. Secondo Primo Levi, Höss non “era fatto di una sostanza diversa da quella di un borghese di qualsiasi altro Paese”, un personaggio che, se nato e cresciuto in una fase storica diversa, “sarebbe diventato un grigio funzionario qualunque, ligio alla disciplina ed amante dell’ordine; tutt’al più un carrierista con ambizioni moderate”. Un uomo “comune”, quindi, un “travet” ben lontano dalla leggenda nera e pericolosamente affascinante di un Mengele, privo dei tratti “satanici” di un Himmler o dell’ambiguo intellettualismo di uno Speer, e perciò ancor più letale e pericoloso. Egli è un automa, un esecutore, fedele all’autorità e all’ideologia che lo ha strappato alle umiliazioni weimariane, sprovvisto di una ratio umana. Nelle pagine del suo diario, il campo diventa una sorta di fabbrica e i morti il prodotto finale.

Non un’emozione, non un cedimento vengono consegnati dalla penna di Höss, nemmeno odio per i nemici o gli internati. Ancora, dopo aver sperimentato con successo l’impiego del famigerato Cyclon B, il veleno usato contro i topi e le cimici (soluzione concepita per risparmiare ai soldati lo stress delle esecuzioni), Höss dirà di aver provato “un grande conforto”. Il grande conforto per aver trovato la soluzione migliore per assassinare milioni di innocenti. Come scrisse sempre Primo Levi, a quel punto “la sua massima aspirazione è raggiunta, la sua professionalità è dimostrata, e lui il miglior tecnico della strage”. Per questo motivo, ben più delle opere hitleriane o rosenbergiane, intrise di rutilanti e sconnesse percussioni ideologiche, è il documento di Höss, questa sorta di libro mastro dell’orrore, a condensare e spiegare il grande male de XX secolo.

*arrestato dopo la fine della guerra, Höss venne processato dalle autorità polacche ed impiccato nel suo stesso campo nel 1947. La medesima sorte toccò un anno prima ad Amon Göth, ex comandante del campo di Kraków-Płaszów.
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Re: Mein Kampf

Messaggioda Berto » gio giu 16, 2016 1:26 pm

Il mito del XX secolo (in tedesco Der Mythus des 20. Jahrhunderts) è un libro scritto dal politico e filosofo Alfred Rosenberg.

Insieme al Mein Kampf di Adolf Hitler è considerato il manifesto del nazionalsocialismo.

https://it.wikipedia.org/wiki/Il_mito_del_XX_secolo

Il titolo è un riferimento al trattato I fondamenti del XIX secolo di Houston Stewart Chamberlain. Il mito del titolo è il nazionalsocialismo, descritto dall'autore come "il mito del sangue, che sotto l'egida della svastica scatena la rivoluzione mondiale della razza".

Le influenze sul libro sono molteplici. Rosenberg si rifà soprattutto a Chamberlain, Arthur de Gobineau e Madison Grant per quanto riguarda le teorie razziste e l'esaltazione della razza ariana, discendente dai popoli indoeuropei. Altre figure ispiratrici furono Meister Eckhart, Richard Wagner (per la concezione del romanticismo) e Friedrich Nietzsche, sebbene l'interpretazione di quest'ultimo in direzione delle teorie naziste sia sempre stata considerata controversa.

La filosofia del Mito
Rosenberg esalta l'idea di una razza superiore, quella ariana, che avrebbe trionfato sul mondo, ma che doveva anche mantenersi pura, eliminando le razze inferiori e "purificandosi" da ideologie che la corrompevano, come il Giudaismo e il Cristianesimo tradizionale, da sostituirsi con il Cristianesimo positivo. Il libro fu l'unico testo dell'ideologia nazionalsocialista ad essere messo all'Indice dalla Chiesa cattolica, che ne condannava in pieno le tesi.

https://www.youtube.com/watch?v=Hxv3rQWPYiQ
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Re: Mein Kampf

Messaggioda Berto » sab mag 09, 2020 5:03 pm

Alfred Rosenberg, «Il mito del secolo XX» e i suoi avversari. Un contributo alla storia del conflitto fra Chiesa cattolica e nazionalsocialismo


http://www.alleanzacattolica.org/indici ... sie325.htm


ERMANNO PAVESI, Cristianità n. 325 (2004)

Alfred Rosenberg, «Il mito del secolo XX» e i suoi avversari
Un contributo alla storia del conflitto fra Chiesa cattolica e nazionalsocialismo

1. Alfred Rosenberg e «Il mito del secolo XX»

Alfred Rosenberg, l’ideologo ufficiale del nazionalsocialismo, ha esposto le sue teorie in modo sistematico e completo nella sua opera più importante, Der Mythus des 20. Jahrhunderts. Eine Wertung der seelisch-geistigen Gestaltenkämpfe unserer Zeit, «Il mito del secolo XX. Una valutazione delle battaglie spirituali del nostro tempo» (1). L’opera, pubblicata per la prima volta nel 1930, ha avuto numerose ristampe ed è giunta, alla fine della seconda guerra mondiale (1939-1945), a una tiratura complessiva di 1 milione e 100 mila copie. La pubblicazione di Der Mythus non ha raccolto solamente larghi consensi all’interno del Partito Nazionalsocialista e in ambienti nazionalisti, ma ha provocato anche discussioni e decise resistenze, alle quali Rosenberg ha risposto in diverse occasioni. La lettura di Der Mythus è indispensabile per comprendere l’ideologia del nazionalsocialismo, mentre dalle reazioni di Rosenberg è possibile rendersi conto di quali fossero i suoi avversari, cioè di chi allora ha reagito contro le sue tesi e in genere contro l’ideologia nazionalsocialista.

2. La vita

Alfred Rosenberg nasce il 12 gennaio 1893 a Reval, nell’Impero degli Zar — oggi Tallinn, in Estonia — da una famiglia appartenente da generazioni alla minoranza tedesca del paese baltico. Lo scoppio della prima guerra mondiale (1914-1918) mette fine a un clima di pacifica convivenza della comunità tedesca con la popolazione slava. La nuova situazione pone in modo acuto la questione dell’identità nazionale e il giovane Rosenberg comincia a interessarsi delle radici della cultura tedesca e di quella dell’Occidente. Si appassiona alla lettura di opere di antichità classica, di letteratura e di filosofia tedesca. Ma la lettura di Die Grundlagen des Neunzehnten Jahrhunderts, «I fondamenti del secolo diciannovesimo», pubblicata nel 1899 dallo scrittore tedesco di origine inglese Houston Stewart Chamberlain (1855-1927) (2), gli fornisce un’interpretazione unitaria della storia dell’Occidente e gli suggerisce un atteggiamento critico nei confronti del cristianesimo: «Da allora ho sempre presente il problema del cristianesimo» (3).

Nell’autobiografia Rosenberg ricorda due episodi che lo hanno colpito profondamente durante un viaggio in Germania nel 1911. In una chiesa osserva un giovane contadino inginocchiato davanti a un confessionale e nota: «E io mi sono chiesto: cosa avete fatto al popolo orgoglioso, che non si rende più conto dell’indegnità di un simile inginocchiamento?» (4). Uscito dalla chiesa, Rosenberg vede in una trattoria un contadino che dà da bere la sua birra al piccolo figlio: «Questa manifestazione di forza e di naturalezza mi ha posto davanti agli occhi quanto in seguito è diventato l’oggetto delle mie considerazioni di filosofia della religione: il rapporto fatale fra una “dottrina rivelata” orientale e lo spirito contadino tedesco» (5).

Dopo le scuole superiori Rosenberg studia architettura prima a Riga, sempre in Estonia, e successivamente a Mosca, dove la facoltà era stata trasferita durante la prima guerra mondiale. A Mosca Rosenberg ha la possibilità di migliorare la conoscenza della lingua, della cultura e della mentalità russe, e segue da vicino gl’inizi della Rivoluzione bolscevica del 1917. Egli è preoccupato per gli sviluppi della situazione politica in Russia e decide, dopo aver terminato gli studi, di lasciare il paese e, nel dicembre del 1918, si trasferisce in Germania.

A Monaco di Baviera trova una situazione rivoluzionaria simile a quella che aveva vissuto a Mosca e decide d’impegnarsi contro la Rivoluzione bolscevica; allaccia in breve tempo contatti con ambienti nazionalisti e fa conoscenza anche di Adolf Hitler (1889-1945). Nel 1919 Rosenberg è iscritto al Deutsche Arbeiter Partei, il Partito dei Lavoratori Tedeschi, da cui nascerà lo NSDAP, il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi. Grazie alla sua personalità e alla sua cultura, molto superiore a quella degli altri collaboratori di Hitler, Rosenberg ottiene incarichi molto importanti e riveste posizioni dirigenziali in tutta la storia del partito, dalle difficoltà iniziali alla presa del potere e al crollo finale.

Nel 1921 è redattore capo del Völkischer Beobachter. Kampfblatt der nationalsozialistischen Bewegung Grossdeutschlands, «L’osservatore nazionale. Foglio di battaglia del movimento nazionalsocialista della Grande Germania», talora, nella propaganda dell’epoca, indicato come «Il giornale del Führer».

Nel 1922, pubblica Wesen, Grundsätze und Ziele der Nationalsozialistischen Deutschen Arbeiterpartei, «Natura, princìpi e obiettivi del Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi», cioè edita e commenta ufficialmente il programma del partito, il che costituisce anche il primo scritto ideologico ufficiale del movimento (6).

Dal 1923 al 1924, mentre sconta la pena per il fallito putsch di Monaco di Baviera, Hitler affida a Rosenberg l’incarico di dirigere il partito.

Nel 1930, Rosenberg è rappresentante dello NSDAP all’Ufficio Affari Esteri del Reichstag, il parlamento del Reich; nel 1933, è capo dell’Ufficio Affari Esteri dello NSDAP; nel 1934, è «Incaricato del Führer per il controllo di tutta la formazione ed educazione spirituale e ideologica del NSDAP», e in questa veste organizza un ufficio indicato spesso per semplicità come Amt Rosenberg, «Servizio Rosenberg»; nel 1940, è «Incaricato del Führer per la sicurezza dell’ideologia nazionalsocialista»; e nel 1941, è ministro del Reich per i territori orientali occupati.

Rosenberg viene processato a Norimberga e giustiziato il 16 ottobre 1946.

Durante la prigionia Rosenberg ha scritto delle memorie, Letzte Aufzeichnungen. Nürnberg 1945/46, «Ultimi appunti. Norimberga 1945-1946» (7). In questi appunti autobiografici egli cerca di sminuire il proprio ruolo all’interno del partito, dichiara di aver rivestito importanti funzioni, ma di esser stato impegnato soprattutto nell’ambito della cultura, di aver passato ogni giorno molte ore in biblioteche, preso dalle sue ricerche, mentre altri gerarchi tessevano reti di rapporti, formavano cordate e cercavano di estendere la propria influenza. Fino all’ultimo rimane fedele all’ideologia nazionalsocialista e a Hitler, ma prende le distanze dalle «deviazioni» del regime, la cui responsabilità attribuisce soprattutto a Joseph Göbbels (1897-1945), a Heinrich Himmler (1900-1945) e a Martin Bormann (1900-1945).

3. La svolta nella teoria della razza

Gli specialisti non sono unanimi circa il ruolo svolto da Rosenberg all’interno dell’ideologia e della politica nazionalsocialiste, e le differenti posizioni dipendono in parte anche dal modo con cui viene recepita la teoria delle «religioni politiche».

Il politologo tedesco Eric Voegelin (1901-1985) si è servito del concetto di «religioni politiche» per contraddistinguere la particolarità di certi moderni movimenti politici di massa. Voegelin si mostra critico nei confronti della pretesa di sistemi politici moderni di costruire forme di Stato sulla base di concezioni astratte dell’uomo. Egli è convinto, infatti, che «[...] le radici dello Stato devono essere cercate nella natura dell’uomo» (8); deve però ammettere che «non è stato ancora risolto il problema di sviluppare la dottrina dello Stato a partire da una teoria della natura dell’uomo» (9).

Per Rosenberg il Terzo Reich costituisce una rivoluzione radicale nei confronti di forme precedenti non solo dello Stato confessionale, ma anche di quello secolarizzato: «Questo Reich non è il fondamento per questo o per quel potere confessionale, ma è il primo Stato nazionale tedesco, al quale non possono essere applicate le formule del secolo XIX, come “Stato laico”, “Stato secolarizzato” e così via, perché esso porta in sé e comprende la vita spirituale, psichica e politica. I valori di questo mondo non sono più idee con un’aura religiosa, ma i valori dell’uomo tedesco sono un tutt’uno, come costituiscono un’unità anche l’uomo tedesco e l’anima nazionale nel loro fondamento più profondo» (10).

Voegelin riconosce nel movimento nazionalsocialista il tentativo di costruire l’ordinamento dello Stato sulla natura profonda dell’uomo, che è strettamente legata alla sua origine e alla sua vocazione, che a loro volta rimandano a problemi di ordine religioso e alla posizione dell’uomo all’interno dell’universo: «La comunità politica è sempre incorporata nel contesto dell’esperienza del mondo e di Dio da parte degli uomini: sia che l’ambito politico occupi, nella gerarchia dell’essere, un grado più basso dell’ordinamento divino, sia che esso venga a sua volta divinizzato. Anche il linguaggio della politica è sempre permeato dalle emozioni della religiosità e diventa così simbolismo, nel senso pregnante della compenetrazione dell’esperienza mondana con quella trascendente e divina» (11).

In Rasse und Staat, «Razza e Stato», Voegelin sottolinea la fondamentale differenza «[...] fra le forme precedenti dell’idea della razza, che è rappresentata da persone come Günther [Hans Ferdinand Karl (1891-1968)], Lenz [Fritz (1887-1976)] e Eugen Fischer [1874-1967] e quella che è rappresentata da Rosenberg e dalla giovane generazione del movimento nazionale [...]. Mentre la forma più vecchia di idea della razza si fonda in modo caratteristico su un’antropologia intesa come scienza naturale, la nuova si presenta esplicitamente come “mito” o, come noi nella sfera scientifica preferiremmo, come idea del corpo, cioè come un’idea della natura generale dell’uomo nordico, che ha come modello un tipo spirituale dell’uomo nordico. Qui, corpo e anima non sono più due ambiti separati, che vengono uniti da una metafisica insostenibile, ma un’unità; qui lo spirito non dipende dal corpo, ma sangue e anima sono solamente differenti espressioni di un’immagine unitaria dell’uomo nordico» (12). Voegelin vede nette analogie fra queste teorie del movimento politico e quelle del filosofo tedesco Ludwig Ferdinand Clauss (1892-1974), che per anni fu assistente del filosofo tedesco Edmund Husserl (1859-1938) e che si è poi dedicato completamente alla ricerca sulla razza.

Per Clauss la teoria della razza non deve limitarsi alle caratteristiche somatiche e, tutt’al più, al temperamento e al carattere, ma deve comprendere anche la visione del mondo, la religiosità e la dimensione spirituale. Sempre per Clauss rivelazione e redenzione presuppongono sistemi religiosi precisi: la trascendenza di Dio, le particolari modalità con cui Dio o il divino si rivela all’uomo, o in cui l’uomo si apre al divino, la questione dell’origine del male nella storia tanto dell’individuo quanto di tutta l’umanità e la questione, poi, se l’uomo necessiti di una redenzione o meno. Per Clauss rivelazione e redenzione non possono aver valore per tutta l’umanità, e non possono fondare una religione universale, in quanto sarebbero tipiche di talune razze, ma non di quella nordica. Clauss distingue per questo differenti tipi razziali che presenterebbero anche forme particolari di religiosità: l’uomo nordico sarebbe un tipo attivo, con un rapporto immediato con il divino, e che non conosce divisione fra corpo e spirito, mentre l’uomo tipico dell’Asia Minore tenderebbe a una scissione interiore, a sensi di colpa e necessiterebbe di una redenzione, mentre l’uomo tipico del deserto vive il divino come qualcosa di esterno e che gli si manifesta attraverso una rivelazione (13).

Contemporanei hanno criticato, nella misura in cui era possibile, queste tesi. Ildefons Herwegen O. S.B. (1876-1946), abate dell’abbazia benedettina di Maria Laach, in Germania, riconosceva, per esempio, le peculiarità della spiritualità dell’uomo germanico ma sottolineava l’unicità del messaggio cristiano: «Il cristianesimo è unico e indiviso nella sua dottrina, nel suo culto e nella sua morale, e immutabile nel suo contenuto essenziale. Il modo di accostarsi a questo mondo cristiano e gli echi che evoca con i suoi stimoli sono differenti da popolo a popolo» (14). Molte teorie sulla religione germanica precristiana, correnti in ambienti nazionalistici, sono state contraddette in punti importanti da Walter Baetke (1884-1978), professore di Filologia Nordica e di Storia della Religione all’università di Lipsia, in Germania (15).

Con Clauss e Rosenberg avviene un cambiamento epocale nella teoria della razza. Anche in Der Mythus si trovano alcuni riferimenti ai caratteri esteriori, come occhi azzurri e capelli biondi, così come prese di posizione contro ogni confusione delle razze e dichiarazioni a favore dell’eugenetica, ma l’interesse principale è rivolto alla cultura umana in tutte le sue manifestazioni: arte, politica, filosofia, religione e morale, che dovrebbero essere in sintonia con quanto Rosenberg definisce la «verità organica», cioè con la forma interna, con la funzionalità e con la volontà di ogni organismo di raggiungere la propria meta. Forme religiose e morale «[...] sono — se sono autentiche — al servizio della verità organica, cioè al servizio del carattere nazionale legato alla razza» (16).

Secondo questa teoria l’uomo dovrebbe poter sentire, pensare e agire in un modo corrispondente alla propria razza, in modo funzionale. Funzionalità nella formazione della vita «[...] significa la costruzione di un essere vivente, mancanza di funzionalità il suo declino; allo stesso tempo si trova a questo proposito lo strumento che consente di migliorare la forma, o di provocare una deformazione. Da un punto di vista ancora più profondo, impedire lo sviluppo della forma significa un duplice peccato: un peccato contro la natura e un peccato contro forze e valori interiori che cercano di affermarsi» (17).

Questa nuova scienza della razza non s’interessa tanto di questioni di tipo biologico, ma piuttosto delle scienze umane. Storia, etnologia, archeologia, scienza della religione, storia dell’arte, filologia antica, linguistica e così via devono aiutare a comprendere tanto le forze e i valori di un popolo, quanto le influenze straniere che ne deformano e ne impediscono lo sviluppo: «Il sapere ultimo di una razza si trova già incluso nel suo primo mito religioso» (18).

Questa nuova politica razziale non può quindi esaurirsi in leggi eugenetiche o che limitano i diritti dei cittadini non ariani, ma si deve occupare della storia almeno degli ultimi duemila anni e deve purificare e proteggere il popolo germanico da influenze esterne religiose, politiche, filosofiche e artistiche. Questo principio viene espresso chiaramente già nel programma dello NSDAP: il partito «[...]combatte lo spirito ebraico-marxista dentro e fuori di noi» (19). Il compito che sta particolarmente a cuore a Rosenberg è proprio quello di riconoscere, di smascherare e, quindi, di combattere lo «spirito ebraico», che attraverso il cristianesimo era penetrato anche nei tedeschi razzialmente puri: «La nostra anima è stata contaminata dall’ebraismo; i mezzi per fare questo sono stati la Bibbia e la Chiesa di Roma. Con il loro aiuto il demone del deserto è diventato il “dio” dell’Europa» (20).

4. Le «religioni politiche»

Rosenberg vede la soluzione della profonda crisi che ha colpito la nazione tedesca dopo la prima guerra mondiale e con la fine dell’ordinamento monarchico non in un programma di partito convenzionale, ma nella costruzione di un Reich, supportato da un nuovo mito fondato sui valori eterni dell’anima tedesca: «Il problema del futuro Reich della nostalgia tedesca consiste quindi nel predicare una nuova visione del mondo a questi milioni di tormentati e d’ingannati, di procurare loro, a partire da un nuovo mito, un valore assoluto che tutto forma o, più precisamente, di purificare il valore della nazione e dell’onore nazionale sopito in tutti dai detriti secolari, di porre sotto il suo segno tutta la vita» (21).

Questo mito è «il mito del sangue», che scaturisce dalla natura più profonda dell’uomo e che, in opposizione alle altre ideologie della razza, non è di natura biologica ma divina.

«Oggi si ridesta però una nuova fede: il mito del sangue, la credenza di difendere soprattutto col sangue l’essenza divina dell’uomo. La fede incarnata colla più chiara consapevolezza che il sangue nordico rappresenta quel mistero che ha sostituito e superato i vecchi sacramenti» (22).

Se si tiene conto di simili tesi non ci si può meravigliare se Voegelin, che nel 1933 riferendosi a Rosenberg parla ancora di movimento «nazionale» e «politico» , nel 1939 utilizza invece il concetto di «religione politica». Der Mythus, l’opera più importante del custode della purezza della visione del mondo nazionalsocialista, non è, in senso stretto, un manifesto politico, ma un libro di fede, che annuncia un mistero, «[...] che ha — come abbiamo appena letto — sostituito e superato i vecchi sacramenti».

Nella discussione a proposito delle «religioni politiche» vi sono specialisti come Hans Mommsen, professore emerito dell’università di Bochum, in Germania, che rifiutano l’applicazione di questo concetto al nazionalsocialismo, che non avrebbe avuto una dottrina unitaria, in quanto i maggiori esponenti del regime avrebbero avuto opinioni diverse su punti importanti e sarebbero stati in conflitto fra loro, Hitler avrebbe frenato le critiche contro la Chiesa cattolica e le comunità protestanti e non avrebbe auspicato la creazione di una Chiesa nazionale. Mommsen è anche del parere che la «sacralizzazione» del Führer e della vita del partito «[...] non aveva lo scopo di creare una religione alternativa» (23). Quest’ultima affermazione appare alquanto problematica, dal momento che lo stesso Mommsen cita una lettera del vice del Führer, Rudolf Hess (1894-1987), dell’aprile 1940, nella quale si legge: «Il Führer non ha solo abbandonato il piano di creare una Chiesa nazionale. Oggi rifiuta totalmente questo piano» (24): a quanto pare il piano di una Chiesa del Reich venne perseguito, almeno per un certo periodo, dallo stesso Hitler, che lo abbandona solo negli anni della guerra per motivi facilmente comprensibili.

Mommsen non sembra neppure tenere in debito conto i diversi livelli della Rivoluzione nazionalsocialista, cioè il fatto che alla presa del potere non segue automaticamente l’affermazione e la diffusione dell’ideologia del partito, cosa di cui uomini come Rosenberg sono pienamente consapevoli. Il 22 febbraio 1934 egli tiene il suo primo discorso ufficiale come «Incaricato del Führer per il controllo di tutta la formazione ed educazione spirituale e ideologica del NSDAP». In tale discorso, intitolato La lotta per la Weltanschauung, Rosenberg sottolinea che «la Rivoluzione nazionalsocialista, portata a termine dal punto di vista del potere politico, dal punto di vista della storia dello spirito — è necessario ripeterlo ancora una volta — è ancora agli inizî» (25).

Rosenberg distingue nettamente la rivoluzione politica da quella culturale e spirituale, così come le loro differenti velocità e strategie. In un articolo del Völkischer Beobachter. Kampfblatt der nationalsozialistischen Bewegung Grossdeutschlands del 1° gennaio 1935 ribadisce che non vi è stata ancora la svolta nell’ambito della scienza, della cultura e dell’arte; Rosenberg è però convinto che il confronto imminente presenta anche aspetti positivi: «Gli avversari della nostra ideologia dovranno prendere posizione» (26). E dà per scontato che la rivoluzione ideologica durerà a lungo: infatti, si deve essere consapevoli del fatto che «[...] noi nell’ultimo anno — e probabilmente anche nell’anno 1935 e dopo — abbiamo vissuto e vivremo in una condizione di transizione. Un’altra situazione non sarebbe naturale; in quanto la Rivoluzione nazionalsocialista ha sollevato talmente tanti problemi fondamentali sulla natura tedesca e sul pensiero europeo, che questi possono essere impostati veramente soltanto attraverso un lento processo di elaborazione interiore» (27).

Karl-Josef Schipperges, docente emerito dell’Istituto Storico del Politecnico di Aquisgrana, in Germania, sottolinea a ragione che il nazionalsocialismo ha sviluppato rituali, una liturgia e concezioni che danno l’impressione di un sostituto della religione tradizionale (28). Quindi, l’essenza delle «religioni politiche» non consiste solamente nelle forme esteriori di tipo religioso assunte da movimenti politici che, a parte la struttura autoritario-totalitaria, non si distinguono da altri movimenti pure politici, ma soprattutto nella pretesa di dare risposte definitive ed esclusive a tutte le domande dell’uomo, politiche e non politiche, quindi anche specificamente religiose.

Il fatto che la rivoluzione politica sia molto più avanzata di quella spirituale, e che questa si sia manifestata in forme che spesso possono apparire poco autentiche, affettate, kitsch e pseudoreligiose non può impedire di considerare il nazionalsocialismo come una «religione politica» almeno nelle intenzioni e in fieri.

Anche se non è stato realizzato nella vita di tutti i giorni il programma del NSDAP presenta una connotazione religiosa, come mostra l’introduzione di Rosenberg al programma del partito del 1922: «Il risveglio più profondo del nostro presente è l’autocoscienza della razza europea così come si è incarnata nell’uomo tedesco, la forza dell’anima che non vuole solo mostrare sé stessa, convinta fermamente che in questo modo viene creato il massimo di cui è capace. Dopo secoli di negazione della natura eterna il movimento völkisch e nazionalsocialista s’inserisce nuovamente nella regolarità del processo vitale eterno. Questa coscienza gli dà la forza e la fede» (29).

È senz’altro possibile che altre personalità influenti del regime, che dal punto di vista del potere politico hanno avuto maggior peso di Rosenberg, abbiano sostenuto altre teorie della razza. Gli obiettivi di Rosenberg erano chiari, soprattutto nelle sue polemiche con Goebbels, che accusa di fare della propaganda superficiale invece di occuparsi di una formazione dottrinale coerente e approfondita. Rosenberg esercita la sua influenza in vari modi.

Anzitutto influisce sulla formazione della Hitlerjugend, la Gioventù Hitleriana, e quindi sulla nuova generazione del partito, il cui capo, il Reichsjugendführer Baldur von Schirach (1907-1974), era convinto che «la via della Hitlerjugend è la via di Alfred Rosenberg» (30).

Spesso viene sostenuta la tesi secondo cui Der Mythus, tanto per la sua mole quanto per il contenuto complesso, ha avuto uno scarso numero di lettori e, quindi, una scarsa influenza. Per esempio, Bernd Kleinhans, alla voce Alfred Rosenberg nel sito < www.shoa.de> scrive: «Comunque il “Mito” venne letto poco a causa della sua scarsa comprensibilità» (31). È possibile che non tutti gli esemplari stampati di Der Mythus siano stati letti e la lettura sia risultata troppo difficile per il lettore medio, ma si deve tener conto che l’opera ha un ruolo importante nel lavoro di formazione all’interno di varie organizzazioni nazionalsocialiste: dalle SS, le Schutzstaffel, le «Squadre di protezione», al Nationalsozialisticher Lehrerbund, la «Lega nazionalsocialista degl’insegnanti», e al Nationalsozialisticher Dozentenbund, la «Lega nazionalsocialista dei professori», e influenza soprattutto gli ambienti più ideologizzati.

Inoltre, si deve ricordare che le tesi in essa contenute vengono esposte in forma più accessibile in innumerevoli pubblicazioni e riviste ufficiali del partito dirette da Rosenberg, come i Nazionalsozialistische Monatshefte, i «Quaderni mensili nazionalsocialisti», o la rivista mensile Schulungsbrief, «Lettera di formazione», che raggiunse una tiratura di ben sette milioni di esemplari (32).

Nei pochi anni di attività l’Amt Rosenberg raccoglie una quantità enorme d’informazioni: scheda tutti gl’iscritti al partito, costituisce un archivio con dossier ben documentati su sessantamila personalità della vita culturale (33), che vengono discriminate in base a questa documentazione. Per esempio, nei concorsi per cattedre universitarie l’Amt Rosenberg doveva fornire una valutazione dei candidati: «Criteri di giudizio erano, oltre alla razza, soprattutto l’atteggiamento nei confronti della religione e i rapporti con le Chiese. Precedenti contatti con ambienti del Zentrum o con un’organizzazione cattolica erano un motivo privilegiato per l’esclusione» (34).

Ma, dal momento che le leggi ancora vigenti e l’autonomia della ricerca e dell’insegnamento ponevano limiti all’ideologizzazione dell’università, Rosenberg progetta la costituzione di una serie d’istituti di ricerca e d’insegnamento di orientamento esplicitamente nazionalsocialista, la Hohe Schule, una «Scuola superiore» per il partito.

Gli obiettivi della Hohe Schule sono stati definiti da Hitler stesso nell’Ordinanza del Führer del 29 gennaio 1940: «La Hohe Schule deve diventare un giorno il luogo della ricerca, dell’insegnamento e dell’educazione nazionalsocialiste. La sua istituzione avverrà dopo la guerra. Per sostenere i preparativi già in atto ordino che il ministro Alfred Rosenberg prosegua questi lavori preparatori, soprattutto nel campo della ricerca e nella costituzione della biblioteca» (35). Per la sede principale della Hohe Schule Hitler stesso aveva scelto una località su un lago della Baviera, il Chiemsee, ma erano previste diverse sedi staccate, che in parte erano nella fase di costituzione, come la sede di Scienza della Religione a Halle, quella per la Ricerca Biologica e della Razza a Stoccarda e un Istituto per lo Studio della Questione della Razza a Francoforte sul Meno (36).

Se fra i gerarchi del partito non vi fu unanimità in campo ideologico, è indubbio che per Hitler l’ideologo del partito era Rosenberg, al quale ha affidato gl’incarichi più importanti in campo dottrinale e al quale ha ripetutamente confermato la fiducia, come in occasione del conferimento del Premio Nazionale Tedesco, che il Führer istituisce nel 1937 dopo aver proibito ai cittadini tedeschi di accettare il premio Nobel. Goebbels, incaricato della laudatio, dichiara: «Con le sue opere Alfred Rosenberg ha contribuito in modo assolutamente eminente a fondare e a rafforzare scientificamente e intuitivamente l’ideologia nazionalsocialista. In una lotta indefessa per mantenere pura la visione del mondo nazionalsocialista ha acquisito meriti molto particolari. Solo in un’epoca futura sarà possibile valutare quanto profonda è stata l’influenza di quest’uomo sulla formazione spirituale e ideologica del Reich nazionalsocialista. Non solo il movimento nazionalsocialista ma anche tutto il popolo tedesco saluterà con profonda soddisfazione il fatto che il Führer, con l’assegnazione del Premio Nazionale Tedesco, ha voluto onorare uno dei suoi più vecchi e più fidati collaboratori» (37).

A Rosenberg vengono spesso affidati incarichi non facili, in quanto si trattava in molti casi di dar vita a istituzioni nuove, cominciando dalla scelta dei collaboratori più stretti. Il fine era chiaro e l’ideologia avrebbe incorporato sempre più anche le tematiche religiose.

Anche altri intellettuali nazionalsocialisti erano consapevoli del fatto che la rivoluzione politica doveva essere seguita e completata da una rivoluzione religiosa, ma che questo passaggio, a causa delle forti reazioni che si sarebbero per certo manifestate, non poteva essere realizzato con precipitazione, come mostrano due citazioni di Ernst Bergmann (1881-1945): «[...] io credo che la rivoluzione resti incompiuta se non si trasforma in una riforma» (38); e «Ci avviamo verso uno scontro di dimensioni tremende. Di proporzioni talmente immani da dover chiudere gli occhi davanti a esso. Per dimensione non è assolutamente paragonabile a quella luterana. Per questo abbiamo la massima comprensione se il Führer vuole ancora rimandare questa lotta, e per il momento la vuole risparmiare alla nostra povera, amata patria, fino a quando sarà guarita e rafforzata» (39).

5. «Der Mythus»

La lettura di Der Mythus può riservare talune sorprese al lettore impreparato. Nelle 700 pagine del testo si trovano alcuni riferimenti alla politica, con critiche dell’attività del partito del Zentrum — che era stato fondato nel 1870 per rappresentare la minoranza cattolica contro la politica ispirata al Kulturkampf (1871-1879) del cancelliere Otto von Bismark (1815-1898), ma dal 1919 partito di governo — e della Rivoluzione bolscevica.

Ma tali riferimenti rappresentano, nell’economia generale dell’opera, una quantità trascurabile. Rosenberg supera l’ambito dell’attualità politica, e la situazione del popolo tedesco viene inserita in una visione unitaria della storia dell’Occidente e di tutta l’umanità. Il problema politico viene interpretato alla luce della storia della cultura e in chiave religiosa, per cui non ci si deve stupire se Der Mythus considera la Chiesa cattolica come il nemico più importante del rinnovamento del popolo tedesco.

Per comprendere meglio la concezione che sta alla base di Der Mythus dev’essere ricordata una tesi particolare dell’autore: «Il concetto di Bene non è assolutamente comprensibile senza quello di Male, e solo attraverso di esso ottiene una limitazione, cioè una forma. [...] Dalla contrapposizione del SI e del NO sempre sussistente, peraltro ha origine ogni vita, tutto ciò che è creativo, ed anche il monista dogmatico — sia materialista che spiritualista — vive solo tramite l’esistenza dell’eterno contrasto» (40); «[...] noi proclamiamo l’antica formula, secondo cui il conflitto è il padre di tutte le cose» (41).

La tesi, secondo cui il bene non è assolutamente comprensibile senza il male e per cui la vita è un processo dinamico, originato dalla tensione fra opposti, può spiegare perché Rosenberg descriva «l’anima nordica» in modo, in definitiva, piuttosto vago, per esempio con i valori di onore e di libertà o come dinamica, combattiva, in ricerca e così via.

Nella nuova teoria della razza il mito prende forma solo vagamente in riferimento a valori positivi e, soprattutto, in contrapposizione a un principio opposto di pari dignità. In Der Mythus è principalmente la Chiesa cattolica a rappresentare la negatività, come può mostrare un passo in cui il domenicano tedesco Johannes Eckhart, noto come Meister Eckhart (1260 ca.-1327), viene contrapposto alla Chiesa come esempio dell’anima nordica: «Con la sua religione, la sua etica e la sua critica della conoscenza antiromane, Eckhart si separa coscientemente, anzi bruscamente, da tutti i basilari comandamenti sia della Chiesa romana che della successiva Chiesa luterana. In luogo della statica anima giudaico-romana, egli pone la dinamica dell’anima nordico-occidentale; in luogo di un violentamento monistico esige il riconoscimento della duplicità di ogni vita; al posto della dottrina della sottomissione e di una felicità da servi egli predica il riconoscimento della libertà dell’anima e del volere; al posto della presunzione ecclesiastica della rappresentanza di Dio mise l’onore e la nobiltà della personalità spirituale; al posto dell’amore estatico, devoto e sottomesso, subentra l’idea aristocratica della segregazione personale e della solitudine spirituale; al posto della violenza della natura subentra la sua realizzazione. E tutto ciò significa: al posto della concezione del mondo giudaico-romano subentra la confessione spirituale nordico-occidentale come il lato interiore dell’uomo tedesco-germanico, della razza nordica» (42).

Nella prima parte di Der Mythus Rosenberg interpreta la storia del mondo antico alla luce della sua teoria della razza. Egli è convinto che «[...] il “senso della storia del mondo” è andato irraggiandosi dal Nord su tutta la Terra, portato da una razza bionda e dagli occhi azzurri, che in varie grandi ondate stabilì il volto spirituale del mondo, e ciò fece anche laddove dovette tramontare. Noi chiamiamo questi periodi di migrazioni nel modo seguente: la migrazione ravvolta nella leggenda degli Atlantidi nell’Africa del Nord; la migrazione degli Arii verso la Persia-India, seguita da Dorii, Macedoni, Latini, il passaggio della migrazione dei popoli germanici; la colonizzazione del mondo tramite l’Occidente germanicamente determinato» (43).

Nel suo cammino la razza nordica affronta molte sfide, descritte da Rosenberg come una lotta fra due princìpi assoluti: «Sulla terra di Grecia si disputò, in modo decisivo dal punto di vista della storia universale, il primo grande conflitto risolutivo fra i valori razziali, a favore della natura nordica» (44). Secondo queste tesi, la lotta non si sarebbe limitata a una sola battaglia, ma si sarebbe prolungata per secoli, in diverse fasi. Le migrazioni nordiche di achei, dori e macedoni incontrano la resistenza delle popolazioni originarie, che ricevono rinforzi dall’Asia Minore. La lotta si svolge su diversi piani: il principio paterno nordico contro l’ordine matriarcale asiatico, la religiosità pura nordica contro la magia sacrificale, divinità «solari» come Apollo e Atena contro culti estatico-tellurici di Dioniso e di Demetra.

Una lotta analoga avrebbe caratterizzato anche gl’inizi del cristianesimo e lo sviluppo della Chiesa cattolica.

«La lotta dei primi secoli postcristiani si può comprendere soltanto come una lotta fra diverse anime razziali contro il policefalo caos razziale, in cui la mentalità siriaco-mediorientale con la sua superstizione, la sua stregoneria e i suoi “misteri” sensuali, aveva riunito dietro di sé tutto ciò che era caotico, spezzato, disgregato, imprimendo al cristianesimo il carattere discordante, di cui ancora oggi soffre» (45).

Elementi asiatici vengono attribuiti per esempio all’evangelista san Matteo e a san Paolo: «Le nostre Chiese paoline, in sostanza, non sono cristiane, ma il prodotto delle aspirazioni apostoliche ebraico-siriache, come iniziate dal gerosolimitano autore del Vangelo di Matteo e completate, indipendentemente da lui, da Paolo» (46). Rosenberg parla addirittura di «imbastardimento, orientalizzazione e giudaizzazione del Cristianesimo» (47), ai quali si era opposto «[...] il Vangelo di Giovanni, che ancora respirava aria aristocratica» (48). «Paolo ha raccolto in modo completamente consapevole tutta la feccia dello Stato e dello spirito nei paesi del suo mondo, per scatenare una rivolta degli esseri inferiori» (49).

A Roma il conflitto all’interno del cristianesimo è stato ampliato da nuovi elementi; i latini hanno dato alla Chiesa un carattere nordico, mentre influssi etruschi hanno rafforzato la componente orientale.

«L’“haruspex” vinse, il Pontefice romano si erse suo immediato successore, mentre la signoria del tempio, il collegio dei cardinali, rappresenta una mescolanza del sacerdozio degli etrusco-siro-mediorientali e dei Giudei col nordico Senato di Roma. A questo “haruspex” etrusco risale anche allora la “nostra” concezione di vita medievale, quella tremenda credenza magica, quella “follia stregonesca” , di cui sono caduti vittime milioni di occidentali» (50).

La diffusione del cristianesimo in Europa non avrebbe solo alienato per secoli la religiosità degli europei, ma anche tutta la loro natura. «La ricerca religiosa dell’Europa è stata avvelenata alla fonte da una forma a essa estranea, quando la sua prima epoca mitologica stava per finire. L’uomo occidentale non poteva più pensare, sentire e pregare in una forma a lui connaturale» (51).

Non viene risparmiato neanche il diritto romano: «Dalla falsificazione da parte delle influenze siriaco-romane dell’idea del diritto, nordica e consapevole dell’onore, dipende una delle cause più profonde anche della nostra lacerazione sociale» (52).

6. La reazione alla cristianizzazione delle popolazioni germaniche e Meister Eckhart

La storia dell’Europa viene interpretata da Rosenberg come la lotta fra i discendenti dei germani e il «caos di popoli romano» (53). La storia di «Albigesi, Valdesi, Catari, Arnoldisti, Stendighesi, Ugonotti, Riformati, Luterani» (54) viene interpretata come la reazione nordico-germanica contro «l’ipnosi romano-mediorientale» (55), una reazione che con Meister Eckhart raggiunge la sua forma più completa e più alta.

«Se non siamo ancora morti, ciò è merito della potenza dell’anima germanica, che ha finora impedito la definitiva vittoria di Roma (e di Gerusalemme). In Meister Eckhart l’anima nordica pervenne per la prima volta alla totale consapevolezza di sé stessa. Nella sua personalità sono già contenuti tutti i nostri successivi grandi uomini. Dalla sua grande anima può — e potrà —, un giorno, nascere la fede tedesca» (56).

Meister Eckhart viene considerato come colui che sarebbe stato in grado di fondare un cristianesimo nordico, se una morte prematura non avesse posto fine alla sua attività. «In tal modo Meister Eckhart non si mostra come un estatico sognatore, ma come il fondatore di una nuova religione, della nostra religione, liberata dall’essenza straniera, come ci era stata infusa attraverso la Siria, l’Egitto e Roma» (57).

La religione di Meister Eckhart non consiste, secondo Rosenberg, in una concezione trascendente di Dio, ma, per esempio, nel riconoscere e nell’«[...] annunciare l’eguaglianza dell’anima e di Dio» (58). Dio non è un essere superiore, al di sopra dell’uomo, ma l’esistenza di Dio dipende da quella dell’uomo: «Se però io non fossi, non sarebbe neanche Dio» (58). L’anima umana deve superare ogni divisione e conflitto interiori e vuole soltanto «[...] essere una cosa sola con se stessa» (60).

Dopo Meister Eckhart e la Riforma, iniziata nel 1517, un’importante tappa per la coscienza tedesca è rappresentata dalla Bauernkrieg, la Guerra dei Contadini (1523-1525), la «[...] prima e finora l’unica rivoluzione sociale tedesca [...]; la sollevazione dei contadini all’inizio del secolo XVI: contro la servitù romana nella sua triplice forma come Chiesa, Stato e Giurisprudenza» (61).

Nei secoli seguenti l’anima tedesca non si esprime più nella religione, ma in politica, nella letteratura, nell’arte, nella filosofia e così via: Bismarck, Johann Wolfgang Goethe (1749-1832), Johann Sebastian Bach (1685-1750), Ludwig van Beethoven (1770-1827), Richard Wagner (1813-1883), Arthur Schopenhauer (1788-1860), Immanuel Kant (1724-1804) e così via, ciascuno a suo modo, avrebbero espresso i valori eterni dell’anima tedesca.

7. «Cristianesimo positivo» e «cristianesimo negativo»

Rosenberg riprende la tesi del 24° punto del programma dello NSDAP, secondo cui «il partito come tale sostiene il punto di vista di un cristianesimo positivo, senza legarsi a una particolare confessione religiosa» (62). Il concetto di «cristianesimo positivo» viene integrato con quello di «cristianesimo negativo» e Rosenberg ritiene di riconoscere all’interno del cristianesimo l’esistenza di un conflitto secolare, riconducibile proprio a quello fra cristianesimo positivo e negativo.

«Il Cristianesimo negativo e quello positivo furono da sempre in conflitto, e anche oggi si combattono accanitamente proprio ai nostri giorni. Quello negativo si vanta della propria tradizione siriaco-etrusca, dei suoi dogmi astratti e dei suoi usi consacrati ab antico, quello positivo desta di nuovo consapevolmente le forze del sangue nordico» (63).

Non è possibile a questo punto ricordare tutti gli aspetti della dottrina cattolica definiti come «estranei alla razza» e quindi caratteristici di un cristianesimo negativo; basti dare qualche esempio, come la tradizione biblica della creazione: «La dottrina giudaico-romana annuncia con la sua affermazione della creazione del mondo dal Nulla un collegamento causale tra “creatore” e “creatura”, essa trasmette quindi una forma di contemplazione valida solo per questo mondo nel campo metafisico e sostiene questa premessa della sua posizione “rappresentativa” del Creatore fino ad oggi con la più ostinata energia, nella consapevolezza di condurre su questa posizione la lotta per la sua esistenza. Contro questo mostruoso principio fondamentale lo spirito germanico è stato da sempre nella più aspra posizione di lotta. [...]

«[...] mai un mondo sorge dal nulla, come insegnarono figli del deserto siro-africani e come Roma assunse con il suo dèmone Jahwe» (64).

Rosenberg definisce «unitarismo» una dottrina religiosa che pretende di essere valida per tutta l’umanità, ritiene inconcepibile che uomini bianchi e di colore possano avere la stessa fede e praticare le stesse forme liturgiche, o addirittura che uomini di colore possano diventare dignitari della Chiesa cattolica e celebrare la Messa con uomini bianchi: «Da “Bonifacio” fino a Ludovico il Pio, che si sforzò di estirpare radicalmente tutto ciò che era germanico, fino ai nove milioni di eretici trucidati, si sviluppa sino al Concilio Vaticano, sino ad oggi, un unico tentativo di affermare una inesorabile fede unitaria, e di diffondere una forma, un articolo di fede coercitivo, una lingua ed un rito per uomini nordici, levantini, negri, cinesi ed esquimesi (si confronti il Congresso Eucaristico di Chicago del 1926, ove vescovi negri celebrarono la Messa). Da due mila anni l’eterno sangue di tutti i popoli e razze si indigna contro di ciò» (65).

Rosenberg critica pure la Chiesa cattolica per aver condannato rigorosamente, fin dall’inizio, le tesi nazionaliste del movimento.

«E così anche i relatori del Katholikentag, la Giornata dei Cattolici Tedeschi, del 1923 a Costanza erano arrivati alla conclusione che la più grande eresia del nostro tempo sarebbe quel “nazionalismo eccessivo”, che avrebbe già provocato i più “terribili disastri e devastazioni” anche nelle teste dei cattolici. Una formula che viene ripetuta ogni mese dai vescovi tedeschi.

«[...] Da questo atteggiamento spirituale procede la valutazione della storia tedesca, il rifiuto del tentativo di creare un Reich veramente tedesco e lo sforzo di non tollerare mai per il futuro un tipo autenticamente tedesco. Il cosiddetto Sacro Romano Impero di Nazione Tedesca, quella costruzione non organica per la quale centinaia di migliaia di tedeschi hanno versato invano il loro sangue, viene circondato oggi di una gloria fantastica e l’epoca medioevale viene presentata come un’epoca della pace, dovuta al fatto che la Chiesa decideva delle sorti del mondo» (66).

Secondo Rosenberg l’amore cristiano per il prossimo sperpera le risorse dello Stato a favore degli svantaggiati e dei deboli, e contemporaneamente si oppone agli sforzi eugenetici: così «[...] la società europea si è senz’altro “sviluppata” come protettrice di ciò che è deteriore, malato, deforme, marcio e criminale. L’“Amore” con l’aggiunta dell’“Umanità” è diventato una dottrina disgregatrice di tutti i comandamenti e di tutte le forme vitali di un popolo e di uno stato, e si è quindi ribellata in tal modo contro la Natura che oggi si vendica. Una Nazione, il cui centro rappresentasse l’onore e il dovere, non manterrebbe delinquenti e fannulloni, ma li eliminerebbe» (67).

Rosenberg prende posizione in particolare contro l’enciclica di Papa Pio XI (1922-1939) Casti connubi sul matrimonio cristiano, del 31 dicembre 1930: «[...] il Vaticano si è mostrato di nuovo come l’avversario più accanito dell’allevamento di quanto è più valido e come protettore del mantenimento e della riproduzione di quanto vale di meno. In opposizione anche a seri eugenisti cattolici Papa Pio XI dichiara agli inizi del 1931 nella sua enciclica “Sul matrimonio cristiano”, che non è legittimo compromettere l’integrità fisica di persone che sono in sé capaci di sposarsi, ma che probabilmente darebbero la vita a una prole minorata. [...] Dunque, chi vuole una Germania sana e spiritualmente forte deve respingere energicamente tanto questa enciclica pontificia, che porta all’allevamento di uomini inferiori, quanto il fondamento del pensiero romano in quanto contro natura e ostile alla vita» (68).

In questo stesso passo Rosenberg ricorda che alcuni ambienti cattolici, in Germania, avevano assunto un atteggiamento conciliante verso la politica eugenetica del nazionalsocialismo. Si deve sottolineare che sono teologi modernisti come Fritz Tillman (1874-1953), Karl Adam (1876-1966) e Joseph Mayer (1886-1967) a difendere posizioni eugenetiche: «Proprio perché questi teologi cattolici erano moderni, sono stati travolti dal vortice eugenetico e simboleggiano allo stesso tempo il doppio volto della modernità. [...]

«Sostenitori principali dell’eugenetica cattolica erano il cattolicesimo sociale, organizzazioni femminili cattoliche e politici “dell’ala sinistra” del partito del Zentrum» (69).

Il teologo cattolico Lucia Scherzberg mostra come Adam abbia sostenuto la compatibilità fra cattolicesimo e nazionalsocialismo, sviluppando una teologia sulla base di concezioni del rapporto fra natura e soprannatura, del peccato originale, della Redenzione non molto differenti da quelle del cristianesimo tedesco auspicato da ambienti nazionalsocialisti, e si sia servito pure della sua collaborazione con il nazionalsocialismo per cercare di attuare i suoi piani di riforma in senso modernista del cattolicesimo tedesco (70). Pur manifestando comprensione per i progetti di riforma di Adam, Lucia Scherzberg trova del tutto ingiustificabile che il teologo tedesco abbia perseguito tale obiettivo sviluppando «una teologia che disprezza l’uomo» (71).

Fine prima parte
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Re: Mein Kampf

Messaggioda Berto » sab mag 09, 2020 5:03 pm

Seconda parte

8. Verso un cristianesimo tedesco

La distinzione fra cristianesimo negativo e positivo non dovrebbe limitarsi al piano teorico ma dovrebbe fornire criteri per purificare il cristianesimo in Germania. «Noi riconosciamo oggi che i valori massimi centrali della Chiesa romana e di quella protestante, quale Cristianesimo negativo, non corrispondono alla nostra anima, che bloccano la strada alle forze organiche dei popoli in senso nordico razzialmente determinati, che devono far loro posto, e che devono accettare di trasformare i propri valori nel senso di un cristianesimo germanico. È questo il senso dell’odierna ricerca religiosa» (72).

Rosenberg fa anche alcune proposte concrete su come germanizzare progressivamente il cristianesimo: «Dev’esser eliminato una volta per tutte il cosiddetto Vecchio Testamento come libro religioso. In tal modo viene a cessare il tentativo fallito dell’ultimo millennio e mezzo di trasformarci spiritualmente in ebrei» (73).

«Da parte di un uomo combattivo (non del politico) dev’essere rafforzato il movimento che si propone l’eliminazione dal Nuovo Testamento dei racconti evidentemente contraffatti e superstiziosi. L’indispensabile Quinto Vangelo non può naturalmente essere deciso da un sinodo. Sarà la creazione di un uomo che sente la nostalgia di una purificazione nella stessa misura in cui ha approfondito la ricerca sul Nuovo Testamento» (74).

«Gesù ci appare oggi come Signore sicuro di sé nel senso migliore e più alto del termine. È la sua vita ad aver senso per gli uomini germanici, non la sua tormentata morte, a cui si deve ascrivere il successo presso le popolazioni alpine e del Mediterraneo» (75).

«Però è fuori discussione che anche oggi migliaia di tedeschi meravigliosi sono attivi come sacerdoti all’interno della Chiesa romana e nel profondo del loro cuore desiderano con ardore soltanto la purificazione del cristianesimo dalla superstizione siriaca e l’approfondimento della vita religiosa per mezzo della separazione da finanziamenti dello Stato e dalle seduzioni del potere politico. [...] Essi saranno felici, un giorno, di poter celebrare il servizio divino purificato unicamente nella santa lingua materna e al servizio di valori superbi. Non è ancora arrivata l’ora in cui sacerdoti tedeschi potranno avanzare nei confronti della casta superiore legata a Roma la richiesta di una trasformazione dell’anima, del capo e dei membri. Ma arriva. Anche qui vi dovranno essere, come sempre, dei martiri. Ma a uno Stato tedesco spetta poi il dovere di proteggere questi uomini dalla persecuzione e di farli integrare nella Chiesa Nazionale Tedesca» (76).

«Con l’eliminazione delle prediche sul servo e il capro espiatorio come Agnello di Dio, sull’incarico a Pietro di fondare la Chiesa romana, sul “compimento” del Vecchio Testamento, sull’indulgenza, sui mezzi miracolosi magici anche la pratica esterna (rito) dovrà essere modificata di conseguenza. Insieme a una vasta letteratura d’informazione, che dev’essere diffusa dal clero della Chiesa tedesca all’interno di quelle che fino a ora sono le loro comunità. Ma da un nuovo atteggiamento interiore verso l’immagine di Gesù deriva inevitabilmente anche una trasformazione necessaria, apparentemente solo esteriore: la sostituzione nelle chiese e nelle strade di paese delle croci che rappresentano lo strazio della Crocifissione. Il crocifisso è il simbolo della dottrina dell’Agnello sacrificale, un’immagine che c’ispira il crollo di tutte le forze e per mezzo della raccapricciante rappresentazione del dolore ci deprime, ci rende “umili”, come volevano le Chiese con la loro bramosia di potere» (77).

«Le Chiese e le comunità della Chiesa Tedesca devono disporre che nei luoghi di pellegrinaggio le opere d’arte bastarde del barocco di origine gesuitica vengano progressivamente sostituite da quadri e statue del portatore della vita, che appaia di nuovo il Dio con la lancia, e poi da immagini e da detti di Meister Eckhart e di altri predicatori tedeschi» (78).

«[...] contemporaneamente dovranno essere eliminati gl’inni a Jehova dai libri di canti religiosi» (79).

Rosenberg si rende conto della scarsa importanza dei gruppi che vogliono far rivivere la fede degli antichi germani; ma apprezza questo lavoro come contributo che potrebbe essere d’aiuto nell’auspicato processo di germanizzazione delle Chiese cristiane: «Le comunità di fede germanica finora non sono andate oltre ad accenni teorici. I tentativi pratici non sono stati incoraggianti. Ma, indipendentemente dal loro esito, queste ricerche rappresenteranno il lievito nel campo della storia della religione nordica, che stimolerà le componenti della Chiesa Tedesca, tanto quelle provenienti dalla Chiesa cattolica, quanto da quella luterana. Poiché al posto delle storie veterotestamentarie di magnaccia e di commercianti di bestiame verranno messe leggende e favole nordiche, raccontate all’inizio in modo semplice e successivamente comprese come simboli» (80).

9. Le reazioni a «Der Mythus»: prelati e cardinali mobilitano le masse dei fedeli

Nell’introduzione alla terza ristampa del 1931, Rosenberg analizza le reazioni di diversi ambienti alla sua opera. Al primo posto ricorda le reazioni di parte cattolica, alle quali dedica anche lo spazio maggiore. Se ne dichiara in parte meravigliato, ma anche confermato nel suo proposito, poiché «[...] la furiosa, sfrenata polemica soprattutto dei circoli romani mi ha dimostrato quanto fosse profondamente giustificata la valutazione da me data, nella presente opera, del principio romano-siriaco» (81) e denuncia la mobilitazione delle masse da parte di prelati e cardinali (82).

Successivamente Rosenberg ricorda che Der Mythus è stato discusso vivacemente in ambienti protestanti, che teologi condividevano alcune interpretazioni dell’antichità e della Riforma in chiave di psicologia della razza, ma che l’attaccamento al Vecchio Testamento e la «venerazione di Paolo, un peccato originale del Protestantesimo» (83), impedivano un’intesa maggiore.

Al terzo posto vengono ricordate le reazioni in ambienti nazionali: «Da parte nazionale il “Mito”, per paura del Zentrum, è stato passato sotto silenzio, e solo pochi hanno osato impegnarsi a favore dei suoi ragionamenti. Il giudizio di disapprovazione da parte di queste file consisteva però quasi sempre nell’attribuirmi il fatto di aver voluto diventare un “fondatore di una nuova religione”», accusa che Rosenberg respinge categoricamente (84).

Solo al quarto posto vengono ricordate le reazioni democratico-marxiste: «Lo schieramento democratico-marxista aveva dapprima cercato, mettendolo a tacere, d’impedire la diffusione dell’opera. Poi fu però anch’esso costretto ad una presa di posizione. Questa gente ha dunque attaccato il “falso socialismo”, come a lor dire esso veniva insegnato nella presente opera a danno dei lavoratori» (85). Per Rosenberg le reazioni tardive del campo democratico-marxista si sarebbero limitate a smascherare il nazionalsocialismo come «falso socialismo».

10. «Agli oscurantisti del nostro tempo»

Rosenberg accusa la Chiesa cattolica di aver diffamato per anni Der Mythus davanti al popolo tedesco e in tutto il mondo. «Nel 1934 è intervenuto il capo stesso della Chiesa romana e ha messo il mio scritto all’indice, mettendomi insieme a una compagnia ricercata e squisita. [...] questa proibizione è stata ripetuta migliaia di volte in tutti i convegni ecclesiastici, fino a quando nel 1934 la conferenza episcopale a Fulda ha lanciato su di me la maledizione di tutti i fedeli romani» (86).

Effettivamente la Chiesa cattolica tedesca guarda con preoccupazione all’attività di Rosenberg e ai suoi successi, in quanto proprio le sue tesi contraddicono le dichiarazioni ufficiali di rispetto delle Chiese cristiane e i richiami a un cristianesimo positivo da parte del governo del Reich. Già nell’ottobre del 1933 una nota dei vescovi tedeschi sul Concordato e sulla situazione della Chiesa in Germania denuncia il ruolo dell’opera Mein Kampf, «La mia battaglia»,di Hitler e di Der Mythus nella formazione degl’insegnanti e le devastazioni provocate da quest’ultimo nei cuori dei giovani insegnanti (87). Il governo tedesco sostiene a lungo che Der Mythus esprime solamente il pensiero personale di Rosenberg, ma la sua nomina a tutore della purezza ideologica del partito e di tutte le associazioni collegate e, quindi, a ideologo del regime conferisce anche alla sua opera un’importanza particolare. La Santa Sede reagisce tempestivamente: il 24 gennaio 1934 Rosenberg ottiene il nuovo incarico e già il 7 febbraio Der Mythus viene messo all’Indice. In marzo viene costituito, presso la diocesi di Colonia, un Ufficio di Difesa contro la Propaganda Anticristiana Nazionalsocialista e alcuni studiosi cattolici contribuiscono alla stesura di uno scritto per confutare scientificamente le tesi di fondo di Der Mythus.

In ottobre vengono pubblicati, sul bollettino ufficiale della diocesi di Münster e successivamente anche nelle altre diocesi, gli Studi sul Mito del secolo XX (88). Nel marzo del 1935 Rosenberg prende posizione contro le critiche con un nuovo scritto intitolato Agli oscurantisti del nostro tempo. Una risposta agli attacchi contro «Il mito del secolo XX». Rosenberg respinge alcune critiche contenute negli Studi sul Mito del secolo XX, ma fa una precisazione di principio sorprendente: «Prima di tutto, a proposito di tutte le critiche, si deve fare una dichiarazione e cioè che quanto io sostengo nel mio “Mito del secolo XX” e quanto considero assolutamente necessario per la nostra epoca continuerebbe ad avere tutto il suo valore anche se tutte le prove storiche venissero confutate in tutti i loro punti. Si può senz’altro enunciare una dottrina giusta per un’epoca e un impeccabile piano per l’elevazione spirituale del presente e del futuro e nello stesso tempo sbagliare un certo numero di paralleli storici o di affermazioni di carattere storico» (89). Si tratta di una tesi molto singolare. In Der Mythus Rosenberg accusa ripetutamente la Chiesa di aver represso la scienza e la ricerca, e pretende di fondare le sue tesi su prove storiche, ma la confutazione delle sue prove non dovrebbe inficiare minimamente la validità delle sue tesi.

Rosenberg lamenta che la confutazione di Der Mythus non venga discussa solamente in ambienti specialistici, ma venga diffusa sistematicamente e capillarmente con campagne su larga scala: «Questi “Studi” sono dunque l’arsenale principale di tutti gli scrittori, predicatori cattolico-romani e di giornali e riviste vicine al Zentrum, e gli argomenti, che partono sistematicamente da una centrale, risuonano migliaia di volte fino nella più piccola parrocchia e vengono ripetuti fedelmente dalla stampa mondiale di tutti gli Stati» (90).

Rosenberg critica con decisione il fatto che la Chiesa cattolica abbia respinto la sua richiesta di prendere le distanze dal Vecchio Testamento e dalle radici ebraiche del cristianesimo: «Ma essa difende con tutte le forze tutto l’ebraismo. [...] Questi passi a difesa dell’ebraismo sono ancora più patetici delle altre omissioni. Si afferma che alla “Sacra Scrittura” appartengono tanto il Nuovo quanto il Vecchio Testamento. E se in un antigiudaismo falsamente inteso si dovesse pretendere un cristianesimo senza Vecchio Testamento, si troverebbe nella Chiesa cattolica un’“avversaria inconciliabile”. La Chiesa non può non dichiarare di non poter rinunciare al Vecchio Testamento senza rinunciare a sé stessa» (91).

La reazione della Chiesa non si limita a dispute teologiche; il dissenso si manifesta anche pubblicamente nelle poche forme ancora possibili, garantite dal Concordato del 1933. Per esempio, assumono un significato particolare pellegrinaggi e festività religiose, in particolare la festa di San Giorgio il 23 aprile, la Giornata della Gioventù la domenica della Santissima Trinità, la festa di San Michele il 29 settembre e la festa di Cristo Re in ottobre (92), fatto deprecato da Rosenberg: «Proprio negli ultimi due anni la propaganda per “Cristo Re” è stata fatta con un’energia come non era mai successo, e oggi che la parola Führer in Germania è usata ovunque, anche i prelati del Zentrum parlano del loro “massimo Führer Gesù Cristo” e applicano tutti i concetti dello Stato nazionalsocialista e del nuovo pensiero ideologico a Gesù Cristo» (93).

Con il pretesto che l’attività della Chiesa cattolica minaccia la pace religiosa lo scritto Agli oscurantisti del nostro tempo. Una risposta agli attacchi contro «Il mito del secolo XX» si chiude con la richiesta di una limitazione dello spazio vitale per i fedeli cattolici: «Qui sarà necessario che lo spazio vitale della minoranza cattolico-romana venga garantito e contemporaneamente limitato con adeguata sicurezza e coerenza, per evitare le continue provocazioni contro la Germania e per garantire finalmente la pace religiosa disturbata da questi discorsi e scritti provocatori» (94).

11. «Protestanti in pellegrinaggio a Roma»

Pochi mesi dopo la pubblicazione di Agli oscurantisti del nostro tempo. Una risposta agli attacchi contro «Il mito del secolo XX» Rosenberg ultima un nuovo scritto, dedicato ai critici protestanti di Der Mythus. Come viene spiegato nella prefazione del 1937, Rosenberg ne ha rimandato per anni la pubblicazione per non deteriorare ulteriormente le relazioni con avversari protestanti, nella speranza di una resistenza più morbida o addirittura di una svolta in senso nazionalsocialista. Gli sviluppi degli anni successivi lo hanno però spinto alla pubblicazione del testo, aggiornato alla situazione del momento. Non si può non ricordare che anche in quest’opera, dedicata alle resistenze in campo protestante, Rosenberg non risparmia nuovi pesanti attacchi alla Chiesa cattolica, per cui questo scritto sembra in alcuni capitoli un aggiornamento di Agli oscurantisti del nostro tempo. Una risposta agli attacchi contro «Il mito del secolo XX», e la critica fondamentale rivolta verso i suoi avversari protestanti è proprio quella di recarsi in pellegrinaggio a Roma, di accodarsi alla Chiesa cattolica.

Rosenberg accusa i suoi avversari protestanti di tradire l’eredità di Martin Lutero (1483-1546), di vedere l’essenza della Riforma unicamente nella fedeltà al Vecchio Testamento e non nella rivolta del sangue nordico contro la concezione romano-orientale del cristianesimo. Per Rosenberg la fedeltà a Lutero richiederebbe piuttosto il rifiuto del Vecchio Testamento, della teoria di un Dio creatore, del peccato originale, della necessità di redenzione dell’uomo. L’uomo germanico sarebbe per natura nobile e non contaminato da un peccato originale; peccaminoso sarebbe piuttosto il tentativo d’ispirargli complessi d’inferiorità e un atteggiamento di soggezione attraverso la dottrina del peccato originale.

«Per quella che ho chiamato “germanizzazione del cristianesimo” gli attuali “Dottori e Vescovi” non hanno maggior comprensione dei Papi a Roma, poiché per la loro brama clericale di potere lavorano di nuovo alla ebraizzazione del cristianesimo e vedono in questo la santità della loro casta» (95).

Rosenberg critica in modo ancora più duro l’atteggiamento di quei protestanti che respingono un’alleanza con i cristiano-tedeschi e la loro concezione völkisch; simpatizzano piuttosto con la Chiesa cattolica e condannano gl’interventi nazionalsocialisti contro il «cattolicesimo politico» considerandoli come una persecuzione religiosa. Rosenberg cita ampiamente una presa di posizione della Chiesa Confessante protestante dopo il decreto del ministro dell’Interno prussiano, Hermann Göring (1893-1946), del luglio del 1935, contro le presunte attività del «cattolicesimo politico».

«Crediamo che non solo quel decreto contro il “cattolicesimo politico” ma anche contro la Chiesa cattolica nella situazione attuale ci riguardi molto da vicino, poiché — a parte il fatto che un decreto simile potrebbe colpire ogni giorno la Chiesa Confessante e che lo stesso decreto potrebbe essere applicato contro la Chiesa Confessante — la lotta della Chiesa cattolica è attualmente la stessa di quella della Chiesa Confessante. Talvolta, nel passato, la Chiesa evangelica ha preso posizione contro la Chiesa cattolica; nel frattempo i fronti si sono spostati, si sono capovolti,... così, al momento, le differenze fra le Chiese evangelica e cattolica si sono sopite al cospetto di un fronte comune. Ai tentativi di accattivarsi la simpatia avvenuti occasionalmente e in modo confidenziale e agli ammiccamenti significativi da parte tedesco-cristiana e tedesco-pagana, che dovevano all’incirca significare che ci dobbiamo unire e, unendo le forze, possiamo schiacciare Roma in Germania, possiamo solo rispondere: Con voi e con i vostri metodi e con le vostre intenzioni e prospettive assolutamente no! Noi abbiamo un rispetto troppo elevato della saldezza e della fedeltà dei fedeli cristiani cattolici, così come del vescovo di Münster, per poter aderire attualmente anche solo da lontano a una simile richiesta.

«[...] Siamo profondamente convinti che nella battaglia condotta oggi in Germania dalla Chiesa cattolica non si tratta di una questione politica ma di una questione autenticamente religiosa, e che la Chiesa cattolica, di fatto, annuncia Cristo. Per amore di verità non esitiamo a dichiarare che la Chiesa cattolica in Germania è una Chiesa Confessante. Né da una parte né dall’altra (forse solo i cristiani tedeschi con la loro Chiesa Nazionale) si è mai pensato che il protestantesimo e il cattolicesimo un giorno potrebbero costituire una sola Chiesa; però incomincia a delinearsi una solidarietà fra le due Chiese di fronte a un tentativo che diventa sempre più manifesto di estirpare la fede cristiana in Germania o, in altri termini, di lasciar morire la Chiesa cristiana in Germania di una morte lenta» (96).

Rosenberg cita anche un appello del vescovo luterano Hans Meiser (1881-1956), pubblicato nel bollettino della Chiesa evangelico-luterana in Baviera alla destra del Reno: «Noi crediamo in una Chiesa santa cattolica e apostolica, che Dio il Signore chiama da tutti popoli e da tutte le razze, e attendiamo il suo giorno, in cui tutti quelli che credono in Gesù saranno un solo gregge sotto di lui, il Pastore. Fino ad allora noi ci atteniamo alla professione di fede della nostra Chiesa luterana, poiché è tratta dalla parola di Dio e in quella è fondata bene e saldamente. Però non osiamo santificarci in una Chiesa Nazionale Tedesca antiromana!» (97).

Rosenberg ha ancor meno comprensione per quei protestanti che si sentono attratti dall’atteggiamento della Chiesa cattolica nei confronti del nazionalsocialismo, come nel caso di Karl Thieme (1902-1963), autore di Cristiani evangelici tedeschi in cammino verso la Chiesa cattolica: «L’autore [Karl Thieme] descrive il “crollo della Chiesa dei teologi” in Germania, l’avvento dei “cristiano-tedeschi”, il presunto “cedimento” del Protestantesimo di fronte a un’“élite combattiva” che aspira a un pensiero conforme alla razza, che “ha conquistato nel popolo tedesco il potere politico”. Chiesa sarebbe ora solo “la personalità popolare nordico-tedesca” non il “corpo totale sovrapersonale”. E l’autore vede in questo crollo — che è anche suo — il montare della “verità cattolica”. Assieme ai suoi compagni si sente “il vero erede del cristianesimo riformatore” e spera nel “rientro nella madre Chiesa, che sola ha conservato la fede genuina” anche per i futuri zelanti della conversione. Thieme definisce questa evoluzione “La fine di un’eresia”» (98).

12. Conclusioni

Nel discorso già ricordato, La lotta per la Weltanschauung, Rosenberg sottolinea: «Siamo orgogliosi perché l’opera della Rivoluzione nazionalsocialista non è si è conclusa, e perché vi sono ancora grandi compiti per la nostra ma anche per molte generazioni future.

«Nel campo più ristretto della Weltanschauung, della filosofia e della vita religiosa sono in atto lotte profonde e sconvolgimenti» (99). Queste «lotte profonde» nell’ambito della vita religiosa non vengono sempre prese nella debita considerazione. Per esempio, Mommsen parla di una «politica delle punzecchiature» del nazionalsocialismo nei confronti delle Chiese (100). Segnalo solamente qualche esempio della politica nazionalsocialista nei confronti della Chiesa cattolica, già nei primi anni del regime. Il Concordato fra il governo nazionalsocialista del Reich del 1933 ha protetto per un certo periodo le organizzazioni cattoliche, ma le attività delle organizzazioni giovanili, che nel 1933 contava 1 milione e 400 mila membri in 28 organizzazioni diverse, vengono progressivamente limitate. L’ordinanza di polizia del 23 luglio 1935 vieta ogni attività che non sia di natura strettamente religiosa. «In particolare venne proibito: indossare uniformi, vestiti che assomiglino a uniformi e capi di abbigliamento che appartengono a un’uniforme; portare distintivi, marciare e camminare in formazioni compatte, fare campeggi; portare in pubblico stendardi e bandiere, se non quando si partecipi a processioni e a celebrazioni religiose di lunga tradizione; svolgere ogni attività sportiva e di addestramento a essa» (101).

La Gioventù Cattolica viene sciolta dalla Gestapo, la Geheime Staats-Polizei, la «Polizia Segreta di Stato», nel 1937 a Paderborn, a Münster, a Treviri e a Limburg, nel 1938 a Colonia e ad Aquisgrana, e nel 1939 in tutto il Reich (102). Anche la stampa cattolica viene repressa progressivamente: «Dei 435 periodici cattolici [nel 1933] ne rimangono nel luglio 1943 solo 7» (103). Già nell’enciclica Mit brennender Sorge, del marzo del 1937, Papa Pio XI denuncia «dolori e persecuzioni» (104) che devono patire i cattolici per la loro fedeltà alla Chiesa, alcuni dei quali vengono «incarcerati e mandati ai campi di concentramento» (105). Questi provvedimenti non possono essere messi sullo stesso piano dei crimini nazionalsocialisti contro la vita: definirli però come espressioni di una «politica delle punzecchiature» sembra una minimizzazione decisamente infondata.

Si possono certamente citare dichiarazioni di Rosenberg che vantano il merito del nazionalsocialismo come salvatore delle comunità religiose dall’ateismo marxista e come garante della libertà religiosa. In tali dichiarazioni viene però nettamente limitato l’ambito d’azione della Chiesa: «Noi crediamo che le Chiese [...] avrebbero ogni motivo [...] per dimostrare la loro profonda gratitudine, poiché è loro possibile predicare indisturbatamente nelle loro chiese» (106). Ma lo stesso diritto di predicare «nelle» chiese non è incondizionato: «Il NSDAP ha sempre dichiarato di avere la volontà di riconoscere e di proteggere ogni professione autenticamente religiosa, che non sia contraria ai valori germanici» (107). Se una fede è autentica, se non è contraria ai valori germanici e può essere riconosciuta dallo Stato, viene deciso dai funzionari del partito.

L’approfondimento di Der Mythus è indispensabile per la comprensione dell’ideologia nazionalsocialista. Rosenberg presenta la sua teoria della razza, che non è solamente biologica, ma comprende anche la dimensione spirituale. Il problema della razza viene esteso quindi alla questione dell’avvelenamento dell’anima nordica da parte d’influenze estranee, rappresentate soprattutto dal cristianesimo e, in particolare, dalla Chiesa cattolica.

E proprio la Chiesa cattolica denuncia tempestivamente i pericoli dell’ideologia nazionalsocialista e gli equivoci della nuova religiosità: «Chi, con indeterminatezza panteistica, identifica Dio con l’universo, materializzando Dio nel mondo e deificando il mondo in Dio, non appartiene ai veri credenti.

«Né è tale chi, seguendo una sedicente concezione precristiana dell’antico germanesimo, pone in luogo del Dio personale il fato tetro e impersonale, rinnegando la sapienza divina e la sua provvidenza» (108).

Viene denunciata pure la negazione del diritto naturale e la proclamazione del principio secondo cui «Diritto è ciò che è utile alla nazione» (109), dal momento che questo «[...] significherebbe, per quanto riguarda la vita internazionale, un eterno stato di guerra tra le nazioni» (110). E gli esponenti del nazionalsocialismo vengono indicati come «i rinnegatori e i distruttori dell’Occidente cristiano» (111).
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