Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » ven mar 09, 2018 8:47 am

Perché il Movimento 5 Stelle è diventato il Partito delle Due Sicilie
2018/03/08

http://www.huffingtonpost.it/2018/03/08 ... a_23380580

Sono diverse le ragioni che hanno portato il Movimento 5 Stelle ad affermarsi come il partito del Sud Italia, e non tutte hanno a che fare con l'interpretazione certamente semplicistica che si sta facendo largo, secondo la quale gli elettori meridionali si sono fatti sedurre dalla proposta di introdurre il reddito di cittadinanza. L'ultima analisi dei flussi condotta dall'Istituto Cattaneo spiega come si sono spostati i consensi nei confronti del M5S, partendo da alcuni numeri. Se nel 2013 i grillini avevano ottenuto il 25,5% delle preferenze, con 8,7 milioni di voti, con un consenso trasversale in tutte le aree del Paese, cinque anni dopo sono riusciti non solo a consolidare quel bottino ma anche, com'è noto, ad accrescerlo: due milioni di voti in più, in valore assoluto quasi il 20%. La differenza, però, sta nell'incremento dei consensi disomogeneo avuto nel 2018, grazie alle prestazioni avute nelle regioni centrali (+7,2%) e soprattutto in quelle meridionali (+20,7%). Per dire, in Campania M5S ha registrato un incremento pari al 27,3%, in Basilicata al 20,1%, in Puglia al 19,4% e in Calabria al 18,6%.

È da questa disomogeneità che bisogna iniziare a ragionare per comprendere il boom M5S nel sud Italia. Perché questo exploit ha permesso di mascherare la lieve diminuzione di consensi nell'Italia settentrionale (-2,6% in Friuli, -2% in Liguria e via dicendo). Mentre M5s conquista voti in maniera distribuita ai danni del Pd, "nelle città del Nord ne cede a vantaggio della Lega". Ad esempio, a Brescia i grillini hanno ottenuto un 4,9% di consensi provenienti da ex elettori del Partito Democratico ma hanno ceduto una cifra simile di voti, il 4,7%, a favore della Lega. A Parma addirittura il M5s perde da questo meccanismo di scambio: guadagna 1,7 dal Pd ma ne perde ben 5,5 verso la Lega.

Questo meccanismo di scambio è sistematicamente presente nelle restanti città della "Zona rossa" (Modena Bologna, Livorno, Firenze) e si caratterizza per dei saldi sempre positivi per il M5s (le entrate dal Pd sono sempre maggiori delle uscite verso la Lega).


C'è un passaggio quindi costante di voti da Pd verso M5S, e da M5S verso la Lega, seppur variabile a seconda delle aree della penisola. Cosa succede invece al sud? Anche qui, i flussi provenienti dal Pd verso i Cinque Stelle sono presenti ma la novità è rappresentata dalla mancanza di movimenti in uscita verso la Lega.

Al Sud, la concorrenza della Lega è assente e il panorama elettorale è meno competitivo per il Movimento, che può continuare a fare da partito «pigliatutti»Istituto Cattaneo

Sottolinea quindi l'istituto Cattaneo come la "svolta moderata" data da Luigi Di Maio al Movimento 5 Stelle, risultata vincente da un punto di vista elettorale, abbia certamente attratto quegli elettori del Pd delusi dall'azione di governo dei democratici ma al tempo stesso abbia allontanato i Cinque Stelle più radicali e più fedeli al movimento delle origini che, lì dove hanno potuto (al Nord e in parte al Centro), si sono dirottati verso la proposta leghista. Naturalmente, c'è una componente del successo M5S che deriva dalle difficoltà economiche e sociali più marcate nel sud Italia e, in questo senso, alcune misure popolari del suo programma per il contrasto alla povertà, come il reddito di cittadinanza o l'aumento delle pensioni minime, hanno avuto un ruolo. Ma questo non vuol dire che provvedimenti visti da taluni come "assistenzialistici" siano la ragione principale del risultato elettorale nell'ex Regno delle Due Sicilie. Può essere certamente indicativa, ma ovviamente non esaustiva, una ricerca fatta su Google Trends: la chiave di ricerca "reddito di cittadinanza" è molto utilizzata anche nelle regioni non meridionali.
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Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » ven mar 09, 2018 10:36 am

La rivoluzione del povero Sud passato dai corrotti ai sanculotti
Marcello Veneziani

https://www.facebook.com/shar.kisshati/ ... 3936349053

Fa impressione vedere il Sud a cinque stelle più contorno di leghisti già padani. Vi ricordate cos’era il sud quand’eravate ragazzi o bambini? Era la terra dove si figliava di più, dove fiorivano le clientele, roccaforte democristiana e governativa, e prima monarchica e cattolica, abitata da tanti indigeni e da pochi allogeni. Certo, ogni tanto spuntava un Masaniello, avveniva qualche rivolta – come a Reggio – o emergeva la protesta popolare, per esempio a cavallo del Msi. Ma il corpaccione del sud restava aggrappato al potere, al pubblico impiego, alla protezione sociale, religiosa, familista.

Ora cos’è il sud? È la terra dove si figlia di meno e si parte di più, ma l’emigrazione riguarda i talenti con titolo di studi superiore e non gli emigrati per fame e avventura. È la terra abitata da molti migranti con tanti centri che mantengono comunità di extracomunitari sfaccendati con telefonino. È la terra delle chiese svuotate, come al nord, e delle famiglie sfasciate, non tanto dalle separazioni coniugali quanto dalle fughe dei figli all’estero. È la terra dove gli alberi delle clientele furono espiantati, i pozzi dell'impiego pubblico furono essiccati, le mafie persero i legami in profondità rispetto al tessuto sociale ma si allargarono in superficie tramite il controllo delle attività commerciali, il pizzo, lo spaccio, il malaffare. In questa terra desolata cresce ora come gramigna, muschio o erba selvatica, il grillismo. Come minaccia al potere, come sberleffo ai potenti, come grido di guerra e di rancore, come richiesta di assistenza tramite i famosi redditi di cittadinanza. Che agli occhi di molti meridionali sono il nome nuovo e depurato delle vecchie promesse clientelari: le assunzioni nella pubblica amministrazione, gli aiuti dalla Cassa del Mezzogiorno, le mandrie di assunti tra le guardie forestali, i contributi a pioggia, i sostegni dell’Ente Comunale Assistenza (la mitica Eca del dopoguerra), la 285, i lavori socialmente utili. Con la fantasiosa favoletta che lo Stato grillino chiamerà i disoccupati e offrirà loro lavoro per ben tre volte, e se pure alla terza rifiutano allora toglierà l’assegno di cittadinanza. Immaginate lo stato che dispone di un servizio del genere e soprattutto che dispone di posti da offrire a gogò (oltre che di decine di miliardi per pagare i redditi).

I 5Stelle risvegliano un’indole sudista a metà strada tra la protesta radicale e la richiesta di aiuto, tra l’insorgenza e l’assistenza, con l’attesa di un ominarello della provvidenza. Non è sovranismo, ma è l’antica predilezione per la sovranità, questa volta però il re è pop e tech. Lui è "uno di noi", un reuccio, re Luigi in sedicesimo.

La situazione del sud è grave e si può capire la reazione del voto. Qui nessuno prometteva più niente, questi invece si. In più non sono esponenti di una casta e nemmeno di un ceto dirigente, sono giovani, senza lavoro fisso, a volte sfaccendati, o appena imbarcati. Nuovi, intonsi, e la loro incompetenza, la loro ignoranza, è vista come virtù, garanzia di verginità e fedina penale ancora candida come i loro spogli curriculum. Senza storia. Nella prospettiva di una democrazia diretta fondata sulla rete, i parlamentari di cinque stelle sono visti come cursori della volontà popolare. Di Maio si legge Di Mouse, è il loro topo elettronico che mette in relazione la volontà degli utenti con lo schermo del potere. Via le mediazioni, via la classe dirigente, il popolo, anzi la plebe, si autogoverna tramite i grillini, entra nel Palazzo reale, lo riprende col telefonino, e promette di allargare i benefici della corte all'intero popolo. Come se dove mangiano cento possano mangiare centomila. Un teorema puerile, negato dalla statistica; la distribuzione pauperista divide ricchezza e spartisce povertà, si polverizza. Su un grillo benestante non campano mille cicale.

Però è comprensibile questa ribellione del sud, da qualche parte doveva esplodere e incanalarsi; è sacrosanto il disagio e il senso d'abbandono, sacrosanta la reazione ai potentati, al malgoverno, al malaffare. Anche se alla fine quel che la gente non perdona al malaffare è che ha smesso di distribuire a cascata i suoi benefici, facendo godere un po’ tutti, come una volta. Mi fa male vedere il mio sud in queste condizioni, anzi per essere più precisi, mi fa male vederlo passare da un male a un altro, ritenendo che possa essere una terapia rispetto al precedente. Erano però scarse, lo riconosco, le alternative. Non so, non sappiamo come finirà, se sarà solo una botta marzaiola e poi niente, né come si evolverà, se verrà imbrigliato dai vecchi marpioni che già cercano l’abbraccio mortale per ammansire, circuire e pilotare i grillini. Ma l’ignoranza al potere, l’impreparazione al comando, il pauperismo non ha mai dato buoni frutti. Povero sud, passato dai corrotti ai sanculotti.


Il sud della penisola italica - i meridionali
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Mafie e briganti terronici
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Questa è l'Italia ed il suo stato dopo i mitizzati e cantati " Risorgimento (con i suoi falsi miti unitario romano e rinascimentale), Resistenza e Repubblica con la sua Costuzione"
I primati dello stato italiano e dell'Italia in Europa e nel mondo
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Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » ven mar 09, 2018 10:59 pm

Il sondaggio segreto nella base spinge il M5S verso la Lega
alberto mattioli
2018/03/09

http://www.lastampa.it/2018/03/09/itali ... agina.html

C’è un sondaggio segreto, in mano a Luigi Di Maio, che potrebbe cambiare da qui a qualche settimana le strategie del M5S. Ma che nell’immediato rischia di cambiare la percezione sulla probabilità dei vari scenari di governo. Il sondaggio, commissionato dai vertici del M5S, rivela un elettorato spaccato quasi a metà, ma pare leggermente più propenso ad allearsi con la Lega di Matteo Salvini che con il Pd, anche senza Matteo Renzi. Però in politica tutto può cambiare da un giorno all’altro. I tempi dello stallo istituzionale possono essere lunghi ma, trascinandosi, anche capovolgere improvvisamente gli orizzonti delle possibilità, soprattutto se si è in grado di restare, come Di Maio, in equilibrio tra due ipotesi così diverse.

Avere pronto un sondaggio che spinge il M5S verso la Lega, da tirar fuori al momento opportuno, può rivelarsi molto funzionale alla politica dei due forni che i grillini stanno conducendo nella loro fermezza, che appare immobilità ma che non è tale. È anche una pronta risposta all’appello alla responsabilità rivolto ai partiti da Sergio Mattarella.

«Noi ci siamo, siamo responsabili e siamo l’unico fattore di stabilità tra i partiti» sostengono Di Maio e i parlamentari a lui più vicini, come Danilo Toninelli che ieri al Tg1 ha ribadito la volontà di dire «no al caos e all’instabilità». Se sarà con il Pd, bene. Altrimenti il M5S cercherà di chiudere con Salvini. Una strada che non è certo semplice, considerando che il leghista ha lanciato un’Opa sul centrodestra e non può permettersi di essere fagocitato in un governo dove sarebbe comunque il socio di minoranza.

I 5 Stelle hanno segnato in rosso sull’agenda la data di lunedì, quando il Pd si riunirà in direzione. Da lì potrebbe arrivare qualche risposta, o almeno qualche segnale dai capicorrente, anche se nel M5S sono sempre più convinti che la guerra a Renzi porterà frutti solo più avanti. C’è abbastanza tempo? Di Maio appare confortato dalla presenza di Mattarella. Continua a dire di nutrire massima fiducia nel Capo dello Stato, e tra i due si è consolidata una stima su cui il grillino conta molto ma che lo metterebbe in difficoltà di fronte a un richiesta avanzata dal presidente di far partecipare il M5S a un governo di scopo per cambiare la legge elettorale e poi tornare subito al voto. È un retropensiero che i grillini stanno coltivando, mentre proseguono i contatti con i senatori della Lega. Da quello che si apprende, finora i discorsi si sono limitati ad alcuni ragionamenti sugli effetti del Rosatellum e alle possibili intese sulle presidenze di Camera e Senato.

Non è semplice, ora, per i grillini, parlare schiettamente di alleanze con il Carroccio. Anche perché sull’argomento ci sono spaccature rilevanti tra i leader più riconosciuti, note anche al Colle. Roberto Fico, com’è noto, guida la truppa dei contrari. Inoltre, le preferenze del gruppo parlamentare storico sono più orientate a sinistra, perché la sua composizione è il prodotto della prima fase, quella del 2013, più movimentista. Ma è anche vero che i parlamentari uscenti sono solo un’ottantina sugli oltre trecento eletti. Tutti gli altri sono debuttanti e Di Maio li conoscerà oggi, alla prima assemblea programmata, che si terrà all’Hotel Parco dei Principi di Roma.

I sostenitori del «mai con la Lega» ribattono che il M5S è stato votato in massa al Sud e che una buona fetta del nuovo elettorato proviene dal Pd, attratto molto probabilmente anche dall’idea di tamponare con il voto ai grillini l’avanzata di Salvini. Una lettura che però stride con il risultato del sondaggio sulle alleanze preferibili. A dare una mano a Fico e alla fronda pro-Pd, ci provano i leader della sparuta pattuglia di Liberi e Uguali, nella speranza di persuadere gli ex compagni dem. Stefano Fassina: «Non possiamo essere equidistanti tra Di Maio e Salvini. Noi dobbiamo dare disponibilità al M5S a un confronto di merito» perché «ha intercettato la domanda di alternativa del popolo tradito dalla sinistra». Ci sono punti condivisi, ragionano in LeU, e di fronte a questa sfida «appare sciocco - sostiene Nicola Fratoianni - l’approccio vendicativo di Renzi».
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Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » sab mar 10, 2018 7:30 am

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Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » sab mar 10, 2018 12:09 pm

Secondo Casaleggio e Grillo ci sarà una «Terza guerra mondiale dell'informazione». L'umanità si ridurrà a un miliardo di persone, ridotte a un codice digitale e sottomesse alla dittatura della Rete. Possibile che gli italiani non si rendano conto che chi ispira il M5S sono dei folli?

https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 9652391949

Buongiorno amici. Ogni partito o movimento politico, al pari di ogni ideologia o religione, hanno dei testi di riferimento che illustrano e spiegano le idee su cui si fondano e gli ideali a cui aspirano. Nel caso del Movimento 5 Stelle possiamo individuarli nella produzione scritta, orale e audiovisiva dei suoi due co-fondatori: l'imprenditore informatico legato alla grande finanza globalizzata Gianroberto Casaleggio e il comico Beppe Grillo.

Sin dal 28 maggio 2005, tre giorni dopo l'inaugurazione del suo blog, Grillo si definì «un partigiano della Terza guerra mondiale, quella dell'informazione». Il 12 ottobre 2005 in un post parlò di “democrazia diretta” garantita dalla Rete, dove la «cittadinanza digitale» sarà «il primo diritto di ogni persona».

Il concetto di «Terza guerra mondiale dell’informazione» e la prospettiva della «cittadinanza digitale» sono argomentati in un video dal titolo «Casaleggio e il suo nuovo Ordine Mondiale Gaia» (http://www.youtube.com/watch…) diffuso nel 2008. È una chiara apologia della dittatura informatica.
Il video, in inglese e didascalie in italiano, dice: «Gaia, un ordine mondiale è nato oggi.»
«Il 14 agosto 2054, conflitti razziali, conflitti ideologici, conflitti religiosi, conflitti territoriali, appartengono al passato. Ogni uomo è un cittadino del mondo soggetto alle stesse leggi. Internet è stato il veicolo del cambiamento attraverso le comunicazioni, la conoscenza e l’organizzazione a livello planetario».
Queste le tappe:
«2018 il mondo è diviso in 2 aree maggiori: l’Ovest con la democrazia diretta e libero accesso ad Internet; Cina, Russia e Medio Oriente con una dittatura Orwelliana e l’accesso ad Internet sotto controllo.
2020: inizio della Terza guerra mondiale che durerà 20 anni. Riduzione della popolazione mondiale ad 1 miliardo di persone.
2040: l'Occidente vince; la democrazia della Rete trionfa.
2047: ognuno ha la sua identità in un network sociale e mondiale creato da Google di nome Earthlink; per essere tu devi essere in Earthlink o non avrai identità, non è più richiesto un passaporto.
2050: Brain Trust, un'intelligenza sociale collettiva permette alle persone di risolvere problemi complicati all’ordine del giorno condividendo ogni tipo di informazioni e dati on line.
2054: prima elezione mondiale in Rete per un governo mondiale chiamato Gaia che verrà eletto. Le organizzazioni segrete vengono proibite. Ogni uomo può diventare presidente e controllare le azioni del governo attraverso la rete. In Gaia partiti politici, ideologie, religioni, spariscono. L’uomo è il solo proprietario del suo destino. La conoscenza collettiva è la nuova politica».

Cari amici, mi rivolgo a tutti gli italiani e in particolare ai circa 11 milioni di italiani che lo scorso 4 marzo hanno votato per il Movimento 5 Stelle: ci rendiamo conto che stiamo affidando il nostro destino, il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti, a dei folli che vorrebbero imporre la dittatura informatica, concepire la Rete come il nuovo dio unico da adorare, ridurre la persona a un codice digitale, prospettare un Nuovo Ordine Mondiale dove a governare sarà una «intelligenza sociale collettiva», immaginare che per conseguire questo ambitissimo traguardo la popolazione mondiale dovrà essere decimata da guerre con armi di distruzione di massa passando dagli attuali sette miliardi di persone a solo un miliardo di persone?
Possibile che non vi sorga il dubbio che chi veramente ispira e guida il Movimento 5 Stelle abbiano perso il lume della ragione, il sano amor proprio e il legittimo interesse che ci porta a salvaguardare la nostra umanità depositari dei valori inalienabili della vita, della dignità e della libertà?
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Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » dom mar 11, 2018 7:12 am

Mafiosi, massoni, maiali, Pdioti, ebeti, “lo stato delle cosce”: così il mondo M5S ha costruito le premesse per chiedere oggi l’alleanza al Pd
Francesco Grignetti
2018/03/06

http://www.lastampa.it/2018/03/06/itali ... agina.html

Alla fine di due anni nei quali una delle ragioni costitutive del Movimento cinque stelle - l’esperimento politico di Roberto Casaleggio - è sempre più manifestamente stata abbattere il Pd, il candidato premier Luigi Di Maio, in una polemica con Matteo Renzi, arrivò a dire: «Renzi ci dice che noi abbiamo candidato nelle nostre liste un amico degli Spada. Rispondo io: ma lo dici proprio tu che hai preso i soldi da Buzzi e da Mafia capitale per le elezioni?». La frase è testuale. Renzi rispose che l’avrebbe querelato, e non sappiamo se ciò sia avvenuto. Forse la frase «prendi i soldi da Mafia capitale» non era esattamente la frase di due potenziali alleati. Magari era una dichiarazione d’amore non capita.

Ora che il Movimento cinque stelle cerca i voti (anche, se non soprattutto) del Pd e del centrosinistra, e Renzi è rimasto uno di quelli (pochi?) avversi a questa bizzarra offerta, è forse utile passare in rassegna alcune delle cose che la propaganda M5S ha detto del Pd in questi anni. Alessandro Di Battista si fece fotografare davanti a un grafico a forma di piovra (simbolo neanche tanto velato della Piovra, la mafia) nel quale venivano elencati tutti i democratici che - a detta del Movimento - avevano problemi di vario genere con la giustizia. Sorvoliamo sul fatto che quel grafico contenesse anche degli errori nelle attribuzioni di presunti reati, fatto sta che i tre hashtag erano #mafiacapitale, #gomorraPd e #trivellopoli. Non esattamente un viatico all’amicizia, o alla non belligeranza post voto.

Il Pd «è morto», disse Di Maio quando cancellò all’improvviso un confronto con Renzi; ora il Movimento cerca i voti dei morti. E sarebbe il meno. Persino le scelte lessicali dell’aspirante premier cinque stelle non sono apparse precisamente predisposte al dialogo, in questi mesi. «Noi - disse sempre Di Maio - abbiamo restituito oltre 23 milioni di euro, quelli del Pd hanno intascato oltre 40 milioni di finanziamenti pubblici in questa legislatura, hanno ricevuto 9 milioni di euro non si sa da chi e si sono tenuti pure i soldi sporchi di Buzzi. Il mariuolo Mario Chiesa in confronto era un dilettante. A questa gente, che in queste ore starnazza, dico semplicemente: non c’è nulla di cui possiate vantarvi, dovete solo vergognarvi e tacere». Dovete «vergognarvi», «starnazzate», «tacete», siete «peggio dei mariuoli». Grandi complimenti politici, sicuro segno della volontà di avviare un confronto programmatico dopo le elezioni.

E questo è Di Maio in persona, l’uomo più moderato del Movimento. Perché se poi foste andati per sbaglio nei luoghi più potenti della propaganda non ufficiale pro M5S - ma col nome del candidato premier - per esempio il “Club Luigi Di Maio”, su Facebook, avreste trovato cose come la foto di un maiale accostato al deputato democratico Emanuele Fiano, di religione ebraica. Sul Fatto quotidiano apparve - tra le varie - una vignetta contro la Boschi intitolata «lo stato delle cosce»: parve un disegno di chiara natura civil-progressista, ispirato alla volontà di confronto aperto, e al rispetto delle corpo delle donne: insomma, le sicure premesse per alleanze col centrosinistra.

La Boschi stessa (tuttora eletta col Pd) fu definita «incostituzionale», ma ora il problema parrebbe di minore gravità, per il Movimento, che ci si alleerebbe senza particolari tormenti. Durante le dichiarazioni di voto sulla riforma costituzionale al Senato, l’allora capogruppo del Movimento 5 stelle disse, rivolgendosi sempre a «Maria Etruria»: «Avete demolito la carta costituzionale con la vostra superficialità e con una prepotenza autoritaria sulla base di indicibili accordi massonici» (e Boschi, di cui qualcuno azzardò la lettura del labiale, avrebbe risposto sussurrando: «massone lo dici a tua sorella»). In definitiva un grande leit motiv della propaganda grillina sui social è stato appunto «Pd massoni», «deviati», complici dei crac bancari. Ora nel Movimento si vogliono alleare con i massoni, forse per via delle candidature di massoni scoperte, a sorpresa, nel M5S, e non nel Pd.

I democratici, in questi anni, non sono stati democratici, per i cinque stelle, ma «Pdioti», «ebeti», o - nei casi di maggior gentilezza - «ladri». Appare dunque un po’ curioso che «la meglio gioventù grillina» ora sia così disposta a intrupparsi con siffatta gentaglia. Forse è solo opportunismo, normalissimo da che mondo è mondo; come le sparate euroscettiche, il referendum per uscire dall’euro, i flirt anti-immigrati contro le ong definite «taxi del Mediterraneo». Forse, anche qui, volevano dire che sono per l’Europa, e a favore di una società aperta agli immigrati. Insomma, che «i loro temi in fondo sono più vicini al centrosinistra».
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Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » dom mar 11, 2018 7:23 pm

Martelli prende tempo “Dimettermi? Deciderò”
marcello giordani
2018/03/06

http://www.lastampa.it/2018/03/06/edizi ... agina.html

Il futuro del novarese Carlo Martelli è un rebus. Il senatore uscente del M5S è stato rieletto a palazzo Madama come capolista del collegio plurinominale Piemonte 2, ma già a febbraio su Facebook aveva annunciato la sua volontà di rinunciare al seggio. Martelli era stato travolto dal caso dei rimborsi non versati, come vorrebbe il regolamento del M5S, nel fondo per il microcredito, salvo poi mettersi in regola con le restituzioni. Da allora il matematico era entrato in silenzio stampa: non rispondeva al telefono e si limitava allo stringato «mi spiace, non rilascio interviste» chiudendo la porta di casa.

Subito dopo le elezioni è tornato a parlare: «Le dimissioni? Non so ancora cosa farò - dice -. È troppo presto e non escludo nessuna soluzione. Ho appena ricevuto l’ufficialità della nomina, quindi mi prenderò del tempo per valutare e decidere: questa è l’unica certezza». Il passo indietro non sembra quindi essere così scontato anche perché in concreto sarebbe una mossa difficile da attuare. Nei giorni scorsi Luigi Di Maio aveva ipotizzato la rinuncia alla proclamazione dei candidati eletti e non graditi come prima strada percorribile: «Chiederemo di fare questo passo a coloro che non hanno rispettato le donazioni - aveva spiegato il leader del M5S - andando alla Corte d’appello».

La proclamazione però è una procedura automatica, quindi non discrezionale o impugnabile dal parlamentare. «Non esiste nessun giudice che possa annullarla - tronca Martelli -. La possibilità che questa soluzione si realizzi è dunque in esistente». Anche l’ipotesi delle dimissioni è tutt’altro che scontata: ammesso che il senatore decida di presentarle alla Camera di appartenenza, toccherebbe all’aula stabilire se accettarle o meno. Il voto è segreto e l’esito per niente certo: Giuseppe Vacciano, eletto con il M5S nel 2013, si è visto respingere la propria domanda ben cinque volte tra il 2015 e il 2017. Il motivo è strategico: al suo posto sarebbe subentrato un senatore favorevole al Movimento e motivato a rafforzare il gruppo, per cui gli avversari si sono sempre opposti.
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Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » dom mar 11, 2018 7:23 pm

No, non è colpa del Rosatellum
Salvatore Borghese
2018/03/08

http://www.youtrend.it/2018/03/08/no-no ... rosatellum

Nonostante fosse data da mesi come il risultato più probabile delle elezioni, l’assenza di una maggioranza ha scatenato un coro di commenti da parte di molti osservatori, sia nel mondo della politica che in quello del giornalismo. Molti di questi commenti mettono nel mirino la nuova legge elettorale (il Rosatellum) e le forze politiche che l’hanno approvata: l’accusa è quella di aver prodotto uno “stallo programmato” approvando di proposito una legge elettorale che ostacolasse la formazione di una maggioranza. Queste considerazioni sono, va detto chiaramente fin da subito, di una superficialità sconcertante. Che lo stallo prodotto dalle elezioni di domenica scorsa sia dovuto al Rosatellum è una vera e propria bufala. Vediamo perché.

Prima di tutto, nessuna legge elettorale può prescindere dai risultati elettorali. Il meccanismo di trasformazione dei voti in seggi (una legge elettorale è essenzialmente questo) non può intervenire sui voti espressi dagli elettori: può soltanto usare metodi diversi per convertirli in seggi. Il risultato di queste elezioni è uno stallo per un semplice motivo: i voti si sono distribuiti in modo tripolare. “Tripolare” non vuol dire che ci sono tre poli che hanno avuto lo stesso numero di voti: vuol dire che ci sono tre poli di grandezza rilevante. Nello specifico, il primo polo (il centrodestra) ha avuto il 37% dei voti, il secondo (il Movimento 5 Stelle) il 32%, il terzo (il centrosinistra) il 23%. E non è certo stato il Rosatellum a far votare gli italiani in questo modo: le intenzioni di voto segnalavano che esisteva un tripolarismo già molti mesi prima che la legge fosse concepita e approvata.

Facciamo un passo indietro. Nel giugno dell’anno scorso in Parlamento è naufragato un accordo tra le 4 maggiori forze politiche (PD, M5S, Forza Italia e Lega) su una nuova legge elettorale di impianto “simil-tedesco”. Quella legge era sostanzialmente un proporzionale con soglia di sbarramento al 5%: una legge assolutamente incapace di “fabbricare” una maggioranza in assenza di una vittoria elettorale netta (come avevamo già dimostrato qui).

Vediamo cosa sarebbe accaduto se le elezioni 2018 si fossero tenute con un sistema tedesco (proporzionale con soglia al 5% e attribuzione dei seggi su base regionale). Per la simulazione sono stati utilizzati i dati del Senato, sostanzialmente identici a quelli della Camera ma immediatamente disponibili su base regionale.

Poco sorprendentemente, la soglia di sbarramento del 5% avrebbe tagliato fuori tutti i partiti ad eccezione dei 4 maggiori (M5S, Lega, Forza Italia e PD). Per formare una maggioranza ci sarebbe stato bisogno di un accordo tra il M5S e un altro partito, oppure tra tutti ad esclusione del M5S.

Ma il sistema tedesco non è l’unico proporzionale con effetti premianti per i partiti maggiori: più premiante ancora è infatti il sistema spagnolo, che assegna i seggi provincia per provincia. Abbiamo provato ad applicare questo sistema ai risultati 2018 della Camera, utilizzando i collegi plurinominali al posto delle province (la magnitudo circoscrizionale media è comunque molto bassa: 9,8 seggi). Ma i risultati sono pressoché identici: nessuna maggioranza a meno di accordi post-voto.

Va ricordato che lo spagnolo, così come il tedesco, era stato proposto in passato come possibile riforma elettorale (ad esempio dal Movimento 5 Stelle, o da Forza Italia). Ora sappiamo che se fosse stata approvata una legge di questo tipo, comunque non avremmo avuto la maggioranza.

Tra le varie proposte, c’era stata anche quella di introdurre un “premio di governabilità” in seggi alla lista vincente. È il modello greco, che assegna un “pacchetto” di seggi al vincitore (in Grecia sono 50 seggi su 300, il 16,7% del totale). Cosa sarebbe avvenuto assegnandolo alla prima lista, cioè al Movimento 5 Stelle?

Nessuna maggioranza anche in questo caso. Del resto, la legge elettorale greca già in passato ha dimostrato di garantire una maggioranza solo a patto di superare almeno il 35% dei voti. Il 32% raccolto in questa occasione dal M5S non sarebbe comunque stato sufficiente.

Fin qui, i proporzionali. Se il sistema è proporzionale, sembra ovvio e scontato che sia difficile formare una maggioranza. Ci vuole un sistema maggioritario, si dice. Bene, vediamo cosa sarebbe accaduto ipotizzando che tutti i seggi di Camera e Senato (e non solo una parte) siano stati assegnati in collegi uninominali a turno unico. Il first-past-the-post del modello inglese, per intenderci, il maggioritario puro per eccellenza.

Applicando una semplice proporzione tra i collegi vinti dalle varie coalizioni con il Rosatellum e la totalità dei seggi di Camera e Senato, ci avviciniamo all’individuazione di un vincitore: il centrodestra, con il suo 37% raccolto mediamente dai suoi candidati nei collegi, raggiunge infatti 160 seggi al Senato. Ma si ferma a quota 301 alla Camera: anche in quel caso avrebbe avuto bisogno di altri 15 seggi per governare.

Soprattutto, il paradosso è che i collegi uninominali sono stati prima aboliti (nel 2005) e poi sono ritornati ma in quota minoritaria proprio perché il centrodestra non li ha mai visti di buon occhio. E questo perché con il Mattarellum (1994-2001) i suoi candidati nell’uninominale prendevano molti meno voti rispetto alle liste nel proporzionale. Proviamo allora a vedere come sarebbero andate queste elezioni con il Mattarellum, ossia assegnando non più il 36% dei seggi con il maggioritario (come prevede il Rosatellum), ma il 75% – come prevedeva il Mattarellum. Il restante 25% lo simuliamo con il proporzionale, senza scorporo (che attenuerebbe ulteriormente gli effetti maggioritari del sistema).

Niente da fare: nemmeno il Mattarellum – cui spesso in passato si è proposto di ritornare, come “panacea” in grado di mondare tutti i peccati successivi – avrebbe assicurato una maggioranza con i numeri delle Politiche 2018. Al centrodestra sarebbero mancati 8 seggi al Senato, e ben 25 alla Camera.

Ma allora, qualcuno potrebbe chiedersi, perché non utilizzare il sistema francese, basato sul doppio turno di collegio? Ottima proposta: vediamo in quanti collegi del Rosatellum sarebbe arrivato al secondo turno ciascun partito.

In entrambe le Camere il M5S sarebbe arrivato al secondo turno nella maggioranza dei collegi. Ma il raggiungimento della maggioranza non sarebbe stato scontato: molte sfide al secondo turno sarebbero state “triangolari” (con un esponente del M5S, uno del PD e uno del centrodestra). Poiché al secondo turno è sufficiente la maggioranza semplice, una convergenza dei voti di centrodestra avrebbe verosimilmente tolto al M5S almeno la metà dei seggi.

Sembrano non esserci soluzioni. Ma allora, come mai siamo convinti che un sistema elettorale “debba” produrre una maggioranza? Quali sistemi elettorali ci hanno abituato a pensare che fosse legittimo aspettarsi che la sera delle elezioni si debba conoscere il nome del vincitore?

Il primo sistema sul banco degli imputati è il Porcellum: congegnato in tempo di pieno bipolarismo (2005), garantiva alla coalizione vincente di avere 340 seggi su 630 alla Camera. Così, dal 2006 al 2013 abbiamo sempre avuto una coalizione maggioritaria a Montecitorio. Il problema era il Senato, dove erano previsti premi di maggioranza regionali. E infatti, lo stallo si sarebbe replicato a Palazzo Madama anche nel 2018 (come già nel 2006 e nel 2013) con il centrodestra fermo a 136 seggi su 309 nonostante la vittoria del premio alla Camera.

Il Porcellum peraltro fu dichiarato incostituzionale per vari motivi, tra cui il fatto che il premio di maggioranza non era vincolato al raggiungimento di una soglia minima. Così, dopo la sua bocciatura fu il turno dell’Italicum, approvato con un accordo tra Renzi e Berlusconi. L’Italicum diceva una cosa molto semplice: se nessuna lista avesse raggiunto almeno il 40% dei voti al primo turno, i 340 seggi sarebbero stati assegnati in un ballottaggio tra le prime due liste. Abbiamo provato allora a simulare l’esito del ballottaggio in vari scenari possibili: la vittoria del M5S, la vittoria del PD (seconda lista, nonostante tutto) oppure la vittoria del centrodestra – se si fosse presentato con una lista unica, visto il meccanismo della legge.

Ma se questa legge fu approvata, perché allora non abbiamo un vincitore? Perché anche il ballottaggio dell’Italicum è stato censurato dalla Corte costituzionale. Dando vita, così, a un sistema “monco” (il cosiddetto Consultellum) che era il sistema elettorale in vigore prima dell’approvazione del Rosatellum: un semplice sistema proporzionale, con soglia di sbarramento al 3% e premio di maggioranza solo in caso di raggiungimento del 40% da parte di una singola lista. Nonostante il risultato eccellente, persino il Movimento 5 Stelle si è fermato molto al di sotto di questa soglia.

Quindi, dopo averle letteralmente “provate tutte”, possiamo affermare che non è a causa del Rosatellum se nel Parlamento attuale non c’è una maggioranza. Al contrario, come ha di recente ricordato il nostro Andrea Maccagno, il meccanismo misto previsto dal Rosatellum, con la sua quota di collegi uninominali maggioritari, mette in condizione tutte le forze politiche di ottenere la maggioranza dei seggi, sia alla Camera che al Senato: a condizione, però, di avvicinarsi al 40% dei voti – e di vincere nei collegi uninominali “giusti”.

Ma se nessuna delle forze politiche riesce ad ottenere abbastanza voti, prendersela col sistema elettorale è piuttosto privo di senso. Sarebbe ora che i protagonisti del dibattito pubblico se ne rendessero conto e chiedessero alle forze politiche di prendersi le loro responsabilità nelle sedi istituzionali opportune, come avviene in tante altre democrazie contemporanee.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » dom mar 11, 2018 7:25 pm

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Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » dom mar 11, 2018 7:27 pm

???

Lega e M5S, una sfida fra i due poli del populismo
Stefano Feltri
11 marzo 2018

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... mo/4218134

Da qualche giorno molti giornali denunciano – e forse auspicano – un’intesa tra Movimento 5 Stelle e Lega: avrebbero i numeri per formare una maggioranza e un governo. Eppure i due leader, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, non sembrano averne alcuna voglia. La “Terza repubblica”, come l’ha chiamata Di Maio, è stata inaugurata da un bipolarismo populista.

Fino alla scorsa settimana i poli erano tre: centrodestra, centrosinistra e anti-sistema. Poi è cambiato tutto. La Lega ha egemonizzato il centrodestra, scalzando la leadership di Forza Italia, e la fuga di elettori dal Pd verso i Cinque Stelle ha spostato il Movimento a nuovo centrosinistra, con i democratici a comprimari (anche se ancora non l’hanno ben capito). Siamo tornati in un sistema bipolare, dopo una legislatura a tre, quella 2013-2018.

L’analisi più immediata è che quindi l’interesse primario di Salvini non è governare ora, ma consolidare la propria presa sulla destra, magari nella prospettiva di costruire un partito unico. Per i Cinquestelle, invece, l’esigenza è di formare subito un esecutivo: hanno puntato tutto su questa prospettiva, non si sono preparati a restare all’opposizione e pure il Quirinale sembra pensare che sarebbe pericoloso escludere dal potere il partito di maggioranza relativa. Di Maio, in parte per meriti propri in parte per demeriti di Matteo Renzi e dei suoi, si sta quindi trovando con una opportunità immediata, costruire una maggioranza per governare, e una di medio periodo insperata: cioè diventare il perno di un nuovo centrosinistra populista.

Lo scenario dell’asse M5S-Lega è molto improbabile, quindi. Ma non impossibile. In questo nuovo bipolarismo, si tratterebbe di una grande coalizione tra le due forze principali, un po’ come Spd e Cdu in Germania o come Pd e Forza Italia nel 2011, non certo della costituzione di un polo omogeneo anti-sistema contro cui rinfrescare vecchie identità per contrasto, come spera un pezzo del Pd e i giornali che da questo sono insufflati.

Quello che molti del Pd, ma anche tanti commentatori, non hanno capito è che Lega e M5S sono due partiti populisti ma complementari, non analoghi.

Sono populisti perché del populismo hanno tutte le caratteristiche. Il populismo è stato classificato come una “ideologia sottile”, priva di testi di riferimento, di caratteristiche univoche, di una visione del mondo chiara e coerente. Ma è sicuramente una “mentalità”, come spiega il bellissimo saggio di Marco Tarchi appena ripubblicato dal Mulino, Italia populista. È una mentalità che si basa più “su stimoli emotivi che su considerazioni razionali”, che si richiama a “valori intesi in modo generico e spesso vago”, che si ancora al passato mentre tiene “lo sguardo ben fisso sul presente”. Inoltre entrambe le formazioni condividono un approccio anti-establishment, negano l’esistenza di interessi contrapposti nella società (di classe, di età, di genere, di area geografica) e predicano l’esistenza di un’agenda unica di misure che servono al popolo ma vengono osteggiate dalle élite.

Sono populisti entrambi, ma vogliono rappresentare due popoli diversi, come si capisce leggendo Popolocrazia di Ilvo Diamanti e Marc Lazar, appena uscito per Laterza. Secondo la distinzione classica di Yves Mény e Yves Surel, ci sono tre tipi di popolo: il popolo sovrano, il popolo classe, il popolo nazione. La Lega vuole rappresentare il popolo sovrano, cioè l’unico legittimo titolare del potere che non lo delega mai davvero, e il popolo nazione, una comunità coesa con valori e tradizioni comuni (il giuramento di Salvini sul Vangelo in campagna elettorale), ma anche il popolo inteso come “plebe” o “popolino”, le persone comuni che devono essere protette da élite predatrici.

Il popolo dei Cinquestelle, per usare le etichette di Diamanti e Lazar, è invece il “populus” inteso come un insieme di “cittadini attivi, caratterizzato da una politicizzazione intensa e permanente, che non passa unicamente attraverso il ricorso al referendum, ma attraverso un attivismo continuo, reale e virtuale per il movimento”.

Il punto di arrivo del populismo dei Cinquestelle è la fine della delega, con il cittadino che decide direttamente, magari attraverso Rousseau, la piattaforma per la democrazia diretta. È un “populismo dei cittadini”, idealizzati come veri protagonisti della democrazia invece che meri elettori occasionali. E infatti Di Maio ha presentato la sua Terza Repubblica come “la Repubblica dei cittadini” dopo quella dei partiti, la prima, e quella dei leader carismatici, la seconda.

La Lega invece promette un’altra traiettoria, quello di rappresentanti forti e grintosi, anche disposti a usare metodi spicci pur di difendere il proprio popolo dalle grinfie delle tecnocrazie internazionali. I Cinque Stelle sognano un popolo senza leader, la Lega l’uomo forte al comando che fa da scudo e rassicura (sorvoliamo qui sulla “legge ferrea” che condanna qualunque partito a trasformarsi in oligarchia, come ci avvertiva già nel 1911 Robert Michels).

Sono due populismi – e due accezioni – di popolo complementari e, per molti aspetti, escludenti. Per questo non è affatto naturale che Lega e Cinquestelle convergano in un’alleanza. Mentre è quasi inevitabile che i rimasugli dei partiti tradizionali scelgano su quale fronte schierarsi di questo bipolarismo populista. Anche se non più da protagonisti ma da junior partner di una coalizione.

Alberto Pento
Ma in Svizzera che ideologia politica informa la sua democrazia diretta? E' forse populista anche la Svizzera dove utti i cittadini sono sovrani? Che populismo sarebbe mai quello svizzero?




Iniziativa popolare federale 'Contro l'immigrazione di massa'
Cost. fed. art. 121 e art. 121a (nuovo): Disp. trans. art. 197 n. 9 (nuovo)
https://www.bk.admin.ch/ch/i/pore/vi/vis413.html
Entrata in vigore il 09.02.2014 Votato il 09.02.2014

La Costituzione federale1 è modificata come segue:

Art 121 rubrica (nuova)

Legislazione sugli stranieri e sull'asilo

Art. 121a (nuovo) Regolazione dell'immigrazione

1 La Svizzera gestisce autonomamente l'immigrazione degli stranieri.

2 Il numero di permessi di dimora per stranieri in Svizzera è limitato da tetti massimi annuali e contingenti annuali. I tetti massimi valgono per tutti i permessi rilasciati in virtù del diritto degli stranieri, settore dell'asilo incluso. Il diritto al soggiorno duraturo, al ricongiungimento familiare e alle prestazioni sociali può essere limitato.

3 I tetti massimi annuali e i contingenti annuali per gli stranieri che esercitano un'attività lucrativa devono essere stabiliti in funzione degli interessi globali dell'economia svizzera e nel rispetto del principio di preferenza agli Svizzeri; essi devono comprendere anche i frontalieri. Criteri determinanti per il rilascio del permesso di dimora sono in particolare la domanda di un datore di lavoro, la capacità d'integrazione e una base esistenziale sufficiente e autonoma.

4 Non possono essere conclusi trattati internazionali che contraddicono al presente articolo.

5 La legge disciplina i particolari.

II

Le disposizioni transitorie della Costituzione federale sono modificate come segue:

Art. 197 n. 92 (nuovo)

9. Disposizione transitoria dell’art. 121a (Regolazione dell'immigrazione)

1 I trattati internazionali che contraddicono all’articolo 121a devono essere rinegoziati e adeguati entro tre anni dall'accettazione di detto articolo da parte del Popolo e dei Cantoni.

2 Se la legislazione d'esecuzione relativa all'articolo 121a non è entrata in vigore entro tre anni dall'accettazione di detto articolo da parte del Popolo e dei Cantoni, il Consiglio federale emana provvisoriamente le disposizioni d'esecuzione in via d'ordinanza.

1 RS 101

2 Poiché l’iniziativa popolare non comporta la sostituzione di disposizioni transitorie esistenti, il numero definitivo della presente disposizione transitoria sarà attribuito dopo la votazione popolare. Il numero definitivo sarà stabilito in base alla cronologia delle modifiche adottate in votazione popolare. La Cancelleria federale provvederà agli adeguamenti necessari in occasione della pubblicazione nella Raccolta ufficiale delle leggi federali (RU).


Questo demente scambia per populismo la volontà dei cittadini svizzeri che nel refeendum del 2014 hanno detto no all'immigrazione di massa, indiscriminata e scriteriata

«Il populismo non può monopolizzare la democrazia diretta»
29.12.2016

https://www.tio.ch/ticino/politica/1123 ... a-diretta-

Nenad Stojanovic spariglia le carte sul 9 febbraio e subito fioccano le adesioni: «Mi hanno già scritto in molti per raccogliere firme»

LUGANO - «Bisogna affrontare i partiti populisti sul terreno della democrazia diretta, non possiamo lasciare solo a loro la possibilità di dire cosa il popolo vuole o cosa il popolo non vuole». Con queste parole Nenad Stojanovic spiega il lancio di un referendum contro l’attuazione dell’iniziativa dell’immigrazione di massa decisa dalle Camere federali. L’Udc, nonostante i suoi importanti numeri in parlamento, sta dettando l’agenda della politica svizzera degli ultimi anni in un altro modo: a colpi di iniziative e referendum. Ecco quindi che Stojanovic ha deciso di tentare l’avventura alla Minder e lanciare una raccolta di firme da comune cittadino.

«Grande interesse» - Il referendum ha subito avuto molto risalto sulla stampa di tutta la Svizzera. Condizione sine qua non per l’eventuale riuscita: servono infatti 50mila firme da raccogliere entro aprile. «Da solo non ce la farei mai, è evidente. Ma nelle ultime 12 ore ho già ricevuto molte email di persone disposte a raccogliere firme nei rispettivi cantoni. C’è un grandissimo interesse».

La questione più importante - «Ritengo che il popolo debba avere l’ultima parola su una questione così importante», spiega. «Anzi, sulla questione più importante che ha impegnato la politica svizzera negli ultimi tre anni. Questo indipendentemente dal fatto che uno sostenga o meno la legge di applicazione». Il giornalista, politologo e socialista teme, in caso contrario, che «i politici populisti battano questo chiodo almeno fino alle Federali del 2019, dicendo che l’élite in Parlamento non rispetta la volontà popolare».

Il volere del popolo - È proprio sul concetto di volontà popolare che Stojanovic vuole fare chiarezza. «Si dice che il popolo vuole l’iniziativa contro l’immigrazione di massa, anche se nella realtà la maggioranza è stata molto risicata». Il testo Udc, infatti, era stato approvato dal 50,3%, con uno scarto inferiore ai 20mila voti. «Bisogna anche ricordare che il popolo non ha votato solo il 9 febbraio, ma lo ha fatto a più riprese sugli accordi bilaterali con l’Unione europea, approvandoli sempre con maggioranze ben maggiori. Anche quella è la volontà popolare».

Tradimento? - Molti voti contraddittori su temi analoghi di cui il Parlamento ha dovuto tenere conto attuando l’iniziativa. Non è stato dunque un tradimento della volontà popolare, come ritengono in molti? «Non penso che sia così automatico dirlo. L’applicazione puntuale avrebbe portato all’abolizione dei bilaterali. Il Parlamento si è trovato di fronte a un compito realmente difficile».

Udc messa all’angolo - Non si rischia ora, mettendo all’angolo l’Udc, di accelerare la strada verso un voto sui bilaterali con un risultato tutt’altro che scontato? «Anche lanciando un’iniziativa contro la libera circolazione, non si potrebbe tecnicamente andare al voto prima di 4 anni. Ma se si aspetta il 2020, i partiti populisti continueranno a monopolizzare la volontà del popolo e questo è un veleno per la nostra democrazia».

Ticino campo di battaglia - Il lancio di questo referendum da parte di Stojanovic, con un estremo risalto sulla stampa d’Oltralpe, rende sempre più evidente un fenomeno: sui temi dell’immigrazione, il Ticino è sempre più il campo di battaglia favorito dalla politica svizzera. Come mai? «Si potrebbe scrivere un libro su questo tema. Proprio in questi giorni Bilanz ha dedicato una copertina al Ticino come precursore su alcune questioni», spiega Stojanovic. Che legge la tensione ticinese, però, anche sotto un’altra luce: «In Ticino da 25 anni a questa parte passa una grande narrazione che ormai tutti accettano, secondo cui l’immigrazione è solo un problema e mai un’opportunità». Il riferimento è evidente alla Lega. «Il Ticino, non solo oggi, ma da sempre ha avuto anche effetti positivi dall’apertura delle frontiere, nonostante ci sia chi lo sottace o non se ne rende conto. Io, personalmente, conosco pochissimi politici ticinesi, anche della Lega, che non abbiano un genitore o almeno un nonno straniero».


Svizzera: piano per limitare gli immigrati Ue dal 2017

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/20 ... d=ACC4G0hC

Il governo svizzero ha presentato il piano per porre limiti all'immigrazione di cittadini di Paesi Ue dal 9 febbraio 2017 per dare seguito al risultato del referendum di due anni fa con cui gli svizzeri hanno votato contro l'immigrazione di massa. In particolare, il governo propone di fissare ogni anno un limite al numero di cittadini Ue che possono andare a vivere e lavorare in Svizzera. Oltre scatterà una sorta di clausola di salvaguardia unilaterale con quote vincolanti anche per i frontalieri.

Il referendum del 2014 a favore dell’introduzione di contingenti annuali di stranieri, anche per quelli provenienti dalla Ue, dava tre anni di tempo al governo per attuarlo. Si tratta però di un Piano B perché non scatterà se nel frattempo interviene un’intesa tra Svizzera e Ue. «Un accordo con l’Unione è la migliore soluzione per noi» ha sottolineato il ministro della Giustizia Simonetta Sommaruga, che tuttavia ha spiegato di dover dare seguito all’esito della consultazione. Sommaruga ha anche ricordato che da quando si è svolto il referendum ad oggi ci sono poi stati ben 10 round di negoziati tra Berna e l'Ue senza che si riuscisse a trovare un'intesa.I negoziati con la Ue sono in stand-by fino al referendum del 23 giugno sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea.

Attualmente 1,3 milioni di cittadini della Ue risiedono in Svizzera: solo nel 2015 c’è stato un flusso netto di 100mila europei. Questo crescente afflusso ha alimentato un movimento anti-immigrati nel Paese, con argomenti sempre più popolari come la minaccia di dumping sociale o l’aumento del traffico stradale.

Il referendum, passato per un soffio, ha messo a repentaglio gli accordi Ue-Svizzera del 2002 che regolano la libera circolazione delle persone e le relazioni economiche bilaterali. Il piano presentato oggi crea una commissione incaricata di fissare ogni anno un tetto agli ingressi di stranieri sulla base delle esigenze del mercato del lavoro elvetico, della domanda di lavoratori stranieri e delle prospettive dell’economia. Oltre questo limite scatterà una sorta di clausola di salvaguardia unilaterale con quote vincolanti anche per i frontalieri. Se questo tetto viene superato il governo ha la facoltà di imporre delle quote. La modifica della legge federale prevede anche che gli stranieri in cerca di lavoro in Svizzera non percepiscano alcuna prestazione di aiuto sociale. Il disegno di legge definisce inoltre che quando uno straniero rimane disoccupato perda il suo diritto di soggiorno in Svizzera.

Il progetto ora andrà all’esame del Parlamento. In mancanza di un accordo con la Ue, il nuovo sistema scatterebbe il 9 febbraio 2017.


Anche questo demente scambia la democrazia diretta e la sovranità popolare svizzera per populismo

Svizzera al 5° posto del populismo autoritario in Europa
Sonia Fenazzi
17 agosto 2016

https://www.swissinfo.ch/ita/studio-com ... a/42375008


Ungheria, Grecia e Polonia sono attualmente i tre capofila sul fronte del populismo autoritario in Europa; la Svizzera si colloca in quinta posizione, appena alle spalle dell'Italia. È quanto risulta dal relativo Indice 2016 dell'istituto di ricerca svedese Timbro, che valuta 33 paesi.

Nel termine "populismo autoritario", l'autore dello studio Andreas Johansson Heinö, include tutti quei partiti che osteggiano il concetto di una democrazia liberale, al quale aderiscono tutti i partiti tradizionali in Europa e che è alla base delle istituzioni europee. Secondo questo concetto, la democrazia è intesa come un'accettazione delle decisioni della maggioranza, che devono però rispettare determinati diritti individuali ancorati nella costituzione e nei trattati internazionali.

Il "Timbro Authorian Populism Index 2016 " comprende dunque partiti – sia di destra che di sinistra – molto diversi tra loro. Il ricercatore svedese ha analizzato l'evoluzione di 206 partiti, che hanno ottenuto almeno lo 0,1% in un'elezione in ognuno dei 33 paesi, a partire dal 1980. Per misurare il loro grado d'influenza, ha utilizzato due indicatori: il totale dei mandati in parlamento e la partecipazione al governo.

La situazione nel 2016 è sintetizzata nel seguente grafico, nel quale si nota che solo tre paesi - Islanda Malta, Montenegro - sono esenti da un sostegno elettorale a partiti populisti autoritari:
Il grafico, indica la percentuale dei partiti autoritari e totalitari alle ultime elezioni nei singoli paesi.

https://www.swissinfo.ch/blob/42374896/ ... --data.png

Il grafico, indica la percentuale dei partiti autoritari e totalitari alle ultime elezioni nei singoli paesi.
(swissinfo.ch)

La presenza della Svizzera nella "top 5" è dovuta ai risultati elettorali in parlamento e alla presenza in governo dell'Unione democratica di centro (UDC). Tra l'altro Svizzera e Austria sono tra i primi paesi in cui i partiti autoritari di destra si sono insediati al governo, rileva Andreas Johansson Heinö, autore del rapporto "Timbro Authorian Populism Index 2016".

In merito alla partecipazione dell'UDC al governo federale va ricordato che nel sistema svizzero, secondo una formula non iscritta nella Costituzione o nella legge, ma convenuta dai partiti dal 1959, i sette seggi in linea di principio sono ripartiti proporzionalmente tra le formazioni politiche secondo la loro forza in parlamento. L'avanzata dell'UDC alle Camere federali ha portato all'aumento – da uno a due – dei suoi rappresentanti nell'esecutivo.

Andreas Johansson Heinö indica che in media in tutta l'Europa un elettore su cinque oggi vota per un partito populista, sia esso di destra o di sinistra: mai prima d'ora questi partiti hanno avuto un sostegno così forte in tutta Europa, sottolinea il politologo, precisando che non c'è praticamente alcun paese che sta andando chiaramente controcorrente. Un'evoluzione che secondo il ricercatore rappresenta una grave minaccia per la democrazia liberale.
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