Votar o no votar

Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » ven feb 02, 2018 10:58 am

Un governo di salvezza nazionale
Marcello Veneziani
31/01/2018

http://www.marcelloveneziani.com/artico ... -nazionale

Egregi Signori del centro-destra – dico a voi Berlusconi, Salvini, Meloni e Quartagamba – dopo lo spettacolo deprimente delle liste e i criteri scadenti con cui avete scelto i candidati, vi resta solo una possibilità per recuperare fiducia e credito.

Chi vi scrive non ha nascosto la sfiducia nei vostri confronti, non vede né un vero programma né vera coesione sui temi di fondo e nemmeno riconosce un leader supremo di cui fidarsi. E sospetta torbidi giochini dopo il voto.

Con queste premesse è giustificato temere l’accrocco che verrà fuori se toccherà a voi formare un governo.

D’altra parte la sfiducia manifesta nei vostri confronti, nelle vostre capacità di governo e nelle vostre reali intenzioni non ci induce a preferire i dilettanti allo sbaraglio grillini, privi di ogni visione politica e d’ogni capacità di governo, orecchianti, arrabbiati ma poi allineati sui temi radical di fondo. E tantomeno ci induce a ripiegare su quella cupola politically correct della sinistra renziana e renzofoba, da cui divergiamo su ogni piano.

Quindi ci tocca fare i conti con voi, perché l’unica seria alternativa al voto per il centro-destra resta per noi solo l’astensione, il gran rifiuto o il voto amatoriale di nicchia. Se non l’espatrio.

Fatte queste premesse torno alla vostra ultima chance per presentarvi agli italiani.

Statemi a sentire e non prendetemi per matto. Dunque per essere credibili voi dovreste presentarvi in queste settimane non promettendo che le vostre armate brancaleone partoriranno dai loro scassati ranghi il migliore dei governi possibili. Ma impegnandovi a non mandare al governo le vostre truppe, maggiordomi e tirapiedi; vi farete da parte e proporrete un governo dei migliori.

Mi spiego meglio: lasciate che il centro-destra esprima una cabina di regia per dare l’indirizzo politico al governo e poi indicate per la compagine di governo le migliori personalità nei singoli settori, fuori dai partiti.

Traduco in termini più precisi.

Indicate dodici eccellenze per guidare altrettanti ministeri: Interni, Esteri, Economia e Finanza, Lavoro, Famiglia, Giustizia, Difesa, Istruzione e Ricerca, Beni culturali, Ambiente, Salute, Sviluppo. Il meglio che c’è e che è disponibile all’eroica impresa. Sottolineo come novità il Ministero della Famiglia, fondamentale per tutelare l’architrave della società italiana, incentivare le nascite e sostenere la politica per la famiglia (case, asili, assistenza agli anziani).

Prevedete poi, a fianco dei dodici ministeri, una serie di deleghe speciali che sostituiscano i vecchi sottosegretariati su settori cruciali come: Immigrazione, Commercio estero (inteso come tutela del Madre in Italy), Comunicazioni, Spettacolo, Pari Opportunità, Agricoltura, Sport, Grandi Opere, Protezione civile, Alimentazione, Turismo, Trasporti, Pubblico Impiego, Affari Locali e Sud, Energia.

Una compagine più esile e mirata rispetto alle composizioni dei governi ultimi con pacchi di sottosegretari per accontentare correnti, partitini, notabili e ruffiani.

I ministri e vicari avrebbero come cabina di regia per l’indirizzo politico e l’attuazione del programma un coordinatore e tre vice delegati ai rapporti con l’Europa, col Parlamento e coi Media. I quattro sarebbero i leader della coalizione o loro emissari. Figure politiche.

Resta l’incognita del presidente del consiglio. Visto che entriamo nel Carnevale, chiamiamolo per ora Zorro, il condottiero mascherato. Il premier dovrà essere il leader riconosciuto da tutte le forze. Cercatelo oltre voi.

Non so se riuscirete davvero a superare la fatidica soglia del 40% e ad avere la maggioranza assoluta per governare. Mi pare difficile. Ma una scelta del genere – , sostegno in Parlamento ma fuori dal governo- darebbe uno spiraglio di fiducia, quasi il sospetto che davvero pensate alla rinascita del nostro Paese, vi fate da parte e promuovete sul serio un governo dei migliori per la salvezza d’Italia.

Pensateci, non è una pazzia. Semmai la pazzia è pensare che siete davvero in grado di accordarvi sull’indirizzo politico, mettervi da parte e scegliere i migliori su piazza.
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Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » ven feb 02, 2018 10:58 am

Il leader islamico Piccardo: "I musulmani voteranno Cinque Stelle"
Il leader islamico alla Zanzara: "La poligamia è una battaglia giusta. Credo che i musulmani voteranno per i grillini"
Luca Romano - Gio, 01/02/2018

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 89485.html

I musulmani d'Italia voteranno per il MoVimento Cinque Stelle. Ad assicurarlo è un esponente di primo piano della comunità islamica come Davide Piccardo, a lungo portavoce delle associazioni milanesi che fanno capo all'islam.

"Finora la maggior parte degli islamici votava la sinistra, adesso vedo che si orientano sui 5 Stelle. Anch’io voterò il Movimento", ha dichiarato pochi giorni fa ai microfoni della Zanzara su Radio 24.

Fra i temi del dibattito, anche una questione ormai parecchio dibattuta: la poligamia. Fra chi vorrebbe reintrodurla e chi pensa che bisognerebbe continuare a proibirla, il tema rappresenta una costante nella discussione fra ascoltatori e conduttori.

Conversando con Giuseppe Cruciani e David Parenzo, Piccardo ha tessuto un vero e proprio elogio della poligamia: “Sarebbe una battaglia di civiltà, e andrebbe riconosciuta in Italia. Siccome c’è una situazione diffusissima di uomini con più di una donna, ci vuole per queste donne un riconoscimento sociale e riconoscere dei diritti. Altrimenti vivono come mogli di serie B. Tutto qui”.

Certo, restano diversi punti imbarazzanti, come la negazione della poliandria, che consentirebbe anche alle donne la possibilità di avere più mariti. E che secondo Piccardo resta invece impraticabile: "Per la religione islamica donne e uomini hanno delle specificità, sono diversi. L’uomo riesce a gestire più relazioni in modo stabile dal punto di vista affettivo, economico, fisico e procreativo. E la donna no”.

In effetti qualche anno fa l'importante esponente grillino Carlo Sibilia si era detto favorevole all'introduzione dei "matrimoni di gruppo" e addirittura fra specie diverse. Chissà che ora le speranze dei musulmani che sognano la poligamia non si appuntino su porposte come queste.




La ricetta economica dei 5 Stelle

https://it.businessinsider.com/piu-stat ... i-5-stelle

Stop ai contanti e alle liberalizzazioni per tagliare il debito. Più Stato in economia e più peso in Europa. E ancora: rilanciare l’industria italiana aiutando le piccole e medie imprese partendo dal motto “small is beautiful” e riconoscendo che le Pmi sono “l’asse portante dell’industria europea”. Sono alcuni dei punti principali intorno ai quali ruota il programma di “Sviluppo economico” del Movimento 5 Stelle che dedica anche un vago passaggio all’uscita dall’euro: “In molti affermano che il referendum sull’euro è impossibile poiché l’articolo 75 della Costituzione lo vieta. È falso, per chiedere il parere del popolo si può infatti ricorrere ad un “referendum consultivo”. La storia italiana ha già visto un precedente: quello del 1989 quando si chiese al popolo italiano di esprimersi sul conferimento del mandato al Parlamento europeo per redigere un progetto di Costituzione europea. In quel caso il Parlamento italiano approvò una legge costituzionale per far sì che si potesse tenere tale referendum”. Al di là delle parole di Luigi Di Maio, cosa accadrà nel caso della moneta unica resta un mistero.

Europa

I 5 Stelle vogliono aumentare il peso dell’Italia per andare a incidere sulle decisioni politiche di maggiore rilievo. Non prima, però, di aver cambiato alcune fondamentali regole

Abolizione del fiscal compact, ovvero l’obbligo di portare il debito al 60% del Pil in vent’anni
Adozione degli Eurobond osteggiati dai tedeschi
Scorporo degli investimenti in innovazione dal calcolo del 3% del deficit
Abolizione del pareggio di bilancio per legge

Più peso dello Stato in economia

Per il M5S è “fondamentale una netta distinzione tra i cosiddetti comparti e servizi essenziali, e comparti e servizi secondari, tra la produttività e l’improduttività di una partecipazione in chiave non tanto economica quanto di soddisfacimento di bisogni collettivi”. In particolare, la critica è rivolta a quella aziende controllate dallo Stato – come Eni, Enel, Snam e Terna – che operano “in totale autonomia senza alcun controllo e senza alcun reale indirizzo politico per il raggiungimento di obiettivi di interesse nazionale“. Per i 5 Stelle “il problema non riguarda solo i manager che cercano di perseguire l’unico interesse di profitto e di mercato dell’impresa stessa (in alcuni casi senza nemmeno riuscirci)”, ma il ruolo dell’azionista pubblico che dovrebbe “orientare le politiche di investimento di queste imprese”.

Un governo a 5 Stelle spingerebbe le imprese di Stato a “svolgere un ruolo fondamentale nello sviluppo del paese sia dal punto di vista della ricerca, dell’applicazione delle migliori pratiche, della spesa per investimenti per il rilancio del paese attraverso l’innovazione tecnologica sul territorio nazionale con lo sviluppo di opportunità occupazionali”. Secondo il M5S le grandi imprese “pubbliche” non devono investire risorse “per espandersi su mercati internazionali alla ricerca del margine migliore e del profitto immediato trascurando il nostro Paese“. Il programma del Movimento cita il caso di Eni e delle attività trasferite all’estero: “Si è ridotto il perimetro delle attività soggette ad imposizione fiscale in Italia, portando il livello effettivo di tassazione sugli utili del gruppo ad una percentuale che si stima essere pari ad appena il 6 per cento, a fronte di una tassazione media sulle società che operano sul territorio nazionale ormai superiore al 50 per cento. In un momento di grande sofferenza per le casse pubbliche italiane e di assoluta necessità di risorse da destinare a politiche pubbliche in funzione anti crisi, crescono le imposte che Eni SpA versa all’estero, erogando dividendi alle società controllate aventi sede in Stati e territori a regime fiscale privilegiato la cui opacità rende di fatto impossibile alcun controllo sulla natura e sugli scopi delle stesse”. Viene poi citato il numero dei dipendenti che prima della privatizzazione erano 110mila, di cui due terzi in Italia, mentre oggi sono 80mila e meno della metà in Italia. “La fondamentale presenza dello Stato – prosegue il programma – è quindi indispensabile per l’implementazione della visione di paese che abbiamo, del raggiungimento di obiettivi di sovranità, autosufficienza, di sviluppo”.

Stop privatizzazioni

Il Movimento non crede che le privatizzazioni possano ridurre in maniera efficace lo stock di debito pubblico per questo vogliono “subordinare il processo di privatizzazione sia di Ferrovie dello Stato S.p.A. che delle altre società a controllo pubblico ad un ampio confronto tra Governo e Parlamento e ad una seria e verificabile analisi dei possibili esiti e degli effetti economici, industriali, occupazionali e sociali attesi dai processi di privatizzazione in corso, anche al fine di rivedere la decisione di vendere asset vincenti del patrimonio pubblico per il solo fine di pervenire ad una minima riduzione dello stock di debito pubblico, scelta perdente nel medio e lungo periodo”.

Più carte di credito, meno contanti

In Italia, l’86% delle transazioni avviene ancora in contanti. Eppure l’utilizzo della moneta elettronica, da un lato aiuterebbe nella lotta contro l’evasione fiscale; dall’altro ridurrebbe il costo di gestione del contante ma che secondo i dati della Banca d’Italia ammonta a circa 8 miliardi di euro all’anno. Con questo obiettivo, il programma dei 5 Stelle punta ad “assicurare che venga reso conveniente l’utilizzo dei mezzi elettronici di pagamento sia con l’eliminazione, o comunque un significativo abbattimento, dei costi fissi del terminale POS, sia con l’abolizione delle commissioni bancarie sui pagamenti, eventualmente anche mediante forme di defiscalizzazione che contemplino il riconoscimento di un credito d’imposta agli esercenti che ancora non si sono dotati degli strumenti necessari al pagamento elettronico, per incentivarli al loro utilizzo”. Una rivoluzione copernicana rispetto al contesto attuale in cui le banche aumentano i costi a carico dei clienti – dai prelievi ai bancomat al canone per la carte di credito – per recuperare i mancati introiti legati al taglio delle commissioni bancarie a livello europeo. I 5 Stelle vogliono anche “verificare le opportunità di sviluppo e diffusione di ulteriori sistemi di pagamento elettronico, alternativi al POS (quali, a solo titolo esemplificativo, il Quick Image Payment e i Bitcoin), al fine di proseguire nella costante e progressiva eliminazione dell’utilizzo del contante”.
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Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » sab feb 03, 2018 10:37 am

Nei suoi diari Arafat racconta che fu pagato per mentire a favore di Berlusconi
ilario lombardo
2018/02/02

http://www.lastampa.it/2018/02/02/itali ... agina.html

L’Espresso ha scoperto i diari segreti di Yasser Arafat, leader dell’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e poi presidente dell’Autorità nazionale palestinese. Si tratta di 19 volumi scritti in arabo a partire dal 1985 e conclusi nell’ottobre del 2004, quando Arafat ha lasciato il suo quartier generale a Ramallah, in Cisgiordania, per essere ricoverato in un ospedale di Clamart, alla periferia di Parigi dove morì un mese dopo.

I diari

I diciannove volumi sono una miniera di informazioni che raccontano intese politiche, azioni di guerra e affari che fino adesso erano rimasti oscuri. La lettura del diario rivela ad esempio che Arafat aiutò Berlusconi quando questi era sotto processo per aver finanziato illecitamente il Partito Socialista di Bettino Craxi.

L’incontro e il bonifico

Arafat incontrò segretamente Berlusconi nel 1998, in una capitale europea, e dopo quell’incontro decise di confermare la falsa versione data da Berlusconi ai giudici, cioè che i 10 miliardi di lire al centro del processo erano destinati non al Partito Socialista Italiano bensì all’Olp, come sostegno della causa palestinese. Non era vero, ma Arafat rivela nei diari di aver confermato pubblicamente questa versione ricevendo in cambio un bonifico. Nel diario si trovano annotati i dettagli con i numeri di conto e i trasferimenti del denaro ottenuto da Arafat.

I rapporti con Craxi

I diari rivelano inoltre la trattativa tra Arafat e l’Italia avvenuta nel 1985, quando Craxi era primo ministro e Giulio Andreotti ministro degli Esteri, durante la vicenda dell’Achille Lauro, la nave da crociera dirottata da quattro terroristi palestinesi. Arafat rivela che fu Giulio Andreotti (e non Bettino Craxi, come si era sempre creduto) a consentire al terrorista Abu Abbas di scappare in Bulgaria e di lì rifugiarsi in Tunisia.

Il ruolo di Andreotti

Giulio Andreotti, secondo quanto emerge dai diari del leader palestinese, ha sempre avuto un ruolo importante nelle mediazioni internazionali che hanno riguardato la Palestina e sarebbe stato spesso una sorta di mediatore nascosto tra l’Olp e gli americani. Nei diari il leader palestinese non si assume mai la responsabilità di aver commissionato un attentato. Prende atto delle stragi compiute dai palestinesi e le commenta. A lui venivano proposti gli attentati e lui si limitava a rispondere: «Fate voi». Poi quando scoppiavano le bombe che gli erano state annunciate, il comandante sorrideva e scriveva: «Bene, bene».

La prima guerra del Golfo

Nessun attentato dell’Olp coinvolse l’Italia dopo il 1985. «L’Italia è la sponda palestinese del Mediterraneo», scrive Arafat nei suoi diari, che confermano gli accordi segreti tra Olp e governo di Roma affinché il territorio italiano fosse preservato da attentati. La lettura dei diari rivela inoltre che Arafat era fortemente contrario alla Prima Guerra del Golfo (1990-1991), scatenata dall’allora presidente dell’Iraq Saddam Hussein: «Devo schierarmi con lui, il mio popolo me lo impone», scrive Arafat, «ma ho cercato con più telefonate di farlo desistere dalla follia che sta facendo»

I negoziati con Rabin

Arafat racconta anche di aver fatto negoziazioni di pace segrete con l’allora premier israeliano Yitzhak Rabin. E dell’ex presidente israeliano Shimon Peres scrive: «Una bravissima persona: un bel soprammobile». Arafat dedica molto spazio a raccontare i suoi stretti rapporti con il dittatore cubano Fidel Castro: racconta con affetto e stima i diversi incontri con lui, fino all’ultimo avvenuto all’Avana. I diciannove volumi di cui L’Espresso fornisce gli stralci sono stati affidati a due fiduciari lussemburghesi, che dopo una lunga negoziazione hanno ceduto i documenti a una fondazione francese con la clausola che il contenuto dei diari debba essere usato solo come “documentazione di studio” e non per pubblicare libri o girare film.



I DIARI DI ARAFAT E QUEL VIZIO TUTTO ITALIANO DI FARE ACCORDI CON I TERRORISTI ISLAMICI
Di Gabor H. Friedman
03/02/2018

https://www.facebook.com/noicheamiamois ... 3095278747


Nei giorni scorsi ha fatto scalpore in Italia una esclusiva de l’Espresso che rivelava il contenuto dei diari di Arafat nei quali, tra le altre cose, si confermava che c’era un accordo segreto tra gli italiani e i palestinesi affinché questi ultimi non colpissero il nostro Paese in cambio però dell’uso del territorio italiano per le loro attività, per il transito di terroristi e armi e di tutto quanto servisse alla loro logistica, il cosiddetto “lodo Moro”.

Oggi ne parla anche la stampa israeliana e più in particolare il Times of Israel e anche se i fatti erano ormai noti da diverso tempo non si può fare a meno di provare una certa vergogna per questo accordo tra l’Italia e il diavolo fatto persona, Yasser Arafat, e tutta la sua banda di criminali per per decenni ha insanguinato sia Israele che il mondo intero.

Il Times of Israel ricorda in particolare come furono gli italiani su ordine di Giulio Androtti (e non di Bettino Craxi) a permettere la fuga del terrorista Abu Abbas (vero nome Muhammad Zaidan) in Bulgaria mentre avrebbe dovuto essere consegnato agli americani in quanto responsabile del sequestro della Achille Lauro e dell’uccisione di Leon Klinghoffer, un ebreo disabile che venne ucciso a sangue freddo proprio perché ebreo. Un episodio che getta vergogna e discredito su tutti gli italiani.

Quello che però da più di tutto da pensare in tutta questa storia non sono tanto i fatti già noti (se si fa eccezione per l’ordine che venne da Andreotti e non da Craxi come si era sempre pensato) quanto piuttosto le strane coincidenze con quanto sta avvenendo oggi.

Allora i palestinesi si accordarono con il Governo italiano in quanto ritenevano che l’Italia fosse il Paese perfetto per il transito dei terroristi islamici, delle armi, dei soldi e della logistica e per questo non compirono attacchi terroristi sul nostro territorio (anche se poi in realtà lo fecero in diverse occasioni non sempre note).

Oggi l’Italia (grazie al cielo, aggiungo) è una delle poche nazioni occidentali impegnate in diversi teatri di guerra a non essere stata colpita dal terrorismo islamico. Se si pensa che il terrorismo islamico ha colpito più volte il Belgio che non ha truppe nei teatri bellici di interesse delle organizzazioni terroristiche e non l’Italia che invece ha truppe in Afghanistan, in Iraq, in Libano ecc. ecc. non si può fare a meno di notare l’incongruenza di tale comportamento. Intendiamoci, nessuno naturalmente si augura attentati di matrice islamica in Italia, ma a chiunque segua anche solo minimamente i fatti legati al fenomeno del terrorismo islamico questo strano paradosso non può essere sfuggito.

Il dubbio è che l’Italia sia troppo preziosa per i terroristi islamici di oggi come lo era per i terroristi palestinesi di allora. Non vogliamo dire che oggi ci sia una qualche forma di accordo sul tipo del “lodo Moro”, questo no, ma che qualcosa non torni ci pare evidente.

È possibile che, magari i servizi segreti italiani, abbiano stretto una specie di accordo con i terroristi islamici affinché non colpiscano l’Italia in cambio di una certa “disponibilità” italiana a fare da base logistica e di transito? È una domanda legittima che specie dopo la pubblicazione dei diari di Arafat non possiamo non porci.

Certo, egoisticamente parlando potremmo anche dire «ma chi se ne frega», ma che razza di gente saremmo se pensassimo solo alla nostra sicurezza a scapito di quella degli altri? Che razza di Stato è quello che conclude accordi con i terroristi islamici invece di combatterli?

E allora alla fine la vera domanda è: il “lodo Moro” è stato un episodio isolato legato a fatti e situazioni temporali di un determinato momento storico oppure è un metodo tuttora attuale?

In Italia interessa solo l’incontro con Berlusconi

Lo scoop de l’Espresso sui diari di Arafat in Italia ha fatto scalpore più per la rivelazione che anche Berlusconi incontrò segretamente Arafat e che in qualche modo lo convinse, dietro appropriato bonifico, a confermare la versione secondo la quale una certa cifra (dieci miliardi) versati da Berlusconi al Partito Socialista di Craxi fossero in effetti destinati alla OLP. Non era vero, secondo i diari di Arafat quei soldi erano in realtà destinati proprio al PSI e quindi erano un finanziamento illecito ai partiti, ma Arafat (ben pagato) confermò la versione di Berlusconi. Non sappiamo se tutto ciò corrisponda a verità, Arafat era un bugiardo seriale, quello che invece ci sorprende è che tutto il resto sia passato in secondo piano rispetto a questa notizia.

È vero che in Italia è in corso una campagna elettorale portata avanti da tutti senza esclusione di colpi e che le rivelazioni de l’Espresso che colpiscono l’immagine di Berlusconi erano troppo appetibili per non essere sfruttate politicamente, ma che questo faccia passare in secondo piano sia il supporto logistico dato al terrorismo palestinese dal nostro Paese ai tempi di Andreotti, che il possibile supporto logistico attuale, ci sembra francamente davvero folle.

Ci sembra folle che nessuno in Italia si faccia le domande che ci siamo poste noi. Ci sembra folle guardare al dito e non alla Luna.

Insomma, l’Italia di Andreotti, il “lodo Moro”, gli intrighi segreti e disgustosi con i terroristi sono una cosa del passato oppure sono ancora oggi di attualità? Questa è la domanda più importante che ci dovremmo porre a seguito della pubblicazione dei diari di Arafat. Tutto il resto, comprese le speculazioni politiche, dovrebbero arrivare solo dopo aver accertato questo.
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Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » lun feb 12, 2018 2:04 pm

Soldi non restituiti, incubo sul M5S. Le Iene pubblicano il servizio sul sito, nel mirino altri dieci parlamentari
andrea carugati
2018/02/11

http://www.lastampa.it/2018/02/11/itali ... agina.html

Con una giocata magistrale - bloccati in tv - quelli de Le Iene stanno per mandare in onda il servizio sul Movimento cinque stelle (più correttamente: una prima parte) sul loro sito (http://www.iene.mediaset.it). Si parla dei due parlamentari M5S ricandidati nonostante gravi irregolarità (eufemismo) nelle restituzioni, e serie opacità nelle documentazioni. E è solo l’inizio di ciò che hanno Le Iene, di cui La Stampa ha potuto avere qualche nozione. La notizia era stata anticipata giorni fa, proprio dal nostro quotidiano. [update: si scopre che Le Iene hanno nel mirino «almeno una decina di altri parlamentari»]

L’indiscrezione è arrivata nel primo pomeriggio, dopo che nella serata di ieri e per tutta la mattinata, la messa in onda tv era stata di fatto bloccata, con un’interpretazione assai restrittiva (e opinabile, ma su questo vedremo gli sviluppi dei prossimi giorni) della norma sulla par condicio. La norma naturalmente non vieta l’informazione, ma Le Iene non sono un format tecnicamente giornalistico, dunque sono meno protetti. Tuttavia il team voleva applicare fino in fondo una sua filosofia di trasparenza, e ha deciso di smistare il servizio sul sito, comunque visto da cinque milioni.

Che cosa ci faranno vedere, per ora? Secondo le notizie che siamo in grado di anticiparvi, ci saranno sicuramente due faccia a faccia con i due parlamentari al centro del caso, Cecconi e Martelli, avvenuti entrambi prima che esplodesse la cosa, e ben prima che il blog delle stelle se ne occupasse per cercare di mettere una pezza: potrete vedere in che modo tentavano di spiegare il problema (da principio addirittura negandolo, con modalità anche assai diverse tra i due). Ci sarà poi un primo pezzetto di un’intervista a Luigi Di Maio, che è stato seguito da altri due inviati della trasmissione nella campagna elettorale, che in questi giorni stava facendo in Puglia. Di Maio appare nel servizio in difficoltà. Nel suo tour percorre la Puglia assieme ad altri due candidati grillini, e Le Iene provano a domandargli se il candidato premier è in grado di garantire per i candidati M5S che lo accompagnano. [update: nel servizio Le Iene rivolgono una domanda precisa su Barbara Lezzi e Maurizio Buccarella. In serata, la Lezzi replica su Facebook: «Domani mattina andrò in banca per farmi rilasciare la documentazione che accerta che tutti i bonifici che ho effettuato in questi anni non sono stati revocati»]. La domanda fa fermare il giovane leader di Pomigliano, che - se sono vere le notizie di cui siamo in possesso - risponderebbe «questo dovete chiederlo a loro». A breve - e comunque quando la messa online integrale sarà terminata - potremo verificare se tutte le indiscrezioni che vi stiamo anticipando sono corrette.

Resta una domanda, alla quale però non siamo in grado di rispondere: Le Iene hanno materiali anche su altri casi, oltre quelli di Cecconi e Martelli? Lo scopriremo solo vivendo, naturalmente augurandoci che per trasparenza tutto possa essere visibile a tutti, nelle forme previste dalle leggi. [update: si spiega chiaramente in questa prima parte del servizio de Le Iene che esiste altro materiale]



M5S, ora scoppia il caso scontrini: pasti, trasferte, hotel, consulenti
di Francesco Lo Dico
15/02/2018

https://www.ilmattino.it/primopiano/pol ... 49625.html

Francescani lo sono stati. Ma il voto di povertà è durato poco. Lo spartiacque arriva nell'aprile del 2014, quando Grillo sbarca a Roma d'urgenza. Insofferenti per le restituzioni a piccole e medie imprese che limano di molto i loro guadagni, senatori e deputati chiedono al padre superiore del Movimento di poter tenere per sé almeno la diaria mensile di 9mila euro. Nel corso di quella drammatica riunione Grillo propone una quota fissa di restituzione della diaria uguale per tutti, ma non c'è niente da fare. «Un atto di generosità che Beppe ha pagato a caro prezzo», racconta un ex parlamentare del Movimento. È proprio a partire dall'aprile 2014 che molti pentastellati cominciano a trattenere buona parte dei rimborsi.

Un'inversione di rotta che appare evidente anche su maquantospendi.it, il sito che spulcia tra i rimborsi dei Cinque Stelle. Ad aprile 2014, i grillini avevano restituito più di un milione di euro. Ma dal mese successivo, i soldi della diaria destinati alla collettività crollano a 300mila euro al mese, per non andare più oltre i 600mila se non in rari casi. È proprio da allora che i grillini smettono il saio della parsimonia. E indossano la grisaglia del privilegio «Da quel momento racconta l'ex parlamentare M5s anche i nostri deputati e senatori cominciarono a sciamare nei ristoranti del centro di Roma dove strinsero gli stessi accordi che aveva stretto quella casta che tanto odiavamo: sei fatture per i pasti dal lunedì al sabato, inutile aggiungere altro. Nella Capitale lo sanno anche i muri come funziona. Altri invece si misero d'accordo con fornitori, amici, e avvocati». Nessuno è in grado di dire quanti dei pasti consumati siano sospetti. Magari neppure uno, in assenza di controprove. Ma la certezza è che da aprile 2013 a gennaio 2017, i parlamentari del M5s hanno speso in cibo 3,2 milioni di euro.

Tra i più affamati Mattia Fantinati ( 46,391.65), Silvia Chimenti ( 41,649.26) e Danilo Toninelli ( 40,659.80). Praticamente a digiuno Massimiliano Bernini con zero euro, ma tra i più gandhiani ci sono anche il deputato torrese Luigi Gallo (poco più di 6mila euro di pasti in 4 anni) e Roberta Lombardi. Maquantospendi.it mette a verbale che i parlamentari grillini hanno speso in canoni mensili 5,5 milioni di euro in tre anni. Ma la somma è a geometria variabile. Ad esempio, la deputata uscente Marta Grande certifica da aprile 2013 a gennaio 2017 spese d'affitto per 108mila euro. «Un lusso, dato che vive a Civitavecchia: a un'ora di treno da Roma», commenta l'ex parlamentare del M5s». Ma a un'ora di treno da Roma vive anche il parsimonioso Massimiliano Bernini, che però preferiva rientrare a Viterbo tutte le sere, ed è quindi costato alle casse pubbliche zero euro. Tra le sistemazioni più esose, figurano quelle di Nicola Bianchi ( 73,601.14), Barbara Lezzi (quasi 67mila euro) e Nicola Morra (61mila), mentre Luigi Di Maio si è limitato a spendere 16mila euro. Il leader Cinque Stelle guida però la classifica delle missioni non ufficiali: 42mila euro in tre anni. E quella della cancelleria: 7mila e 500 euro in penne e matite.

Nella hit delle consulenze (spese complessive per quasi 2,5 milioni di euro fino a gennaio 2017), spiccano invece i 136mila euro di Lello Ciampolillo. Lo stesso che fino a ottobre 2017 ha speso anche 90mila euro in hotel e 70mila euro di trasporti, di cui quasi 30mila in taxi. Ma differenze e contraddizioni emergono anche alla voce spese sanitarie. Nel 2017 il deputato grillino Riccardo Fraccaro cantò vittoria perché l'assistenza sanitaria non sarebbe più stata a carico dei contribuenti. Ma il mese precedente il collega Danilo Toninelli aveva fatto in tempo a farsi restituire 5.480 euro di assicurazione sanitaria integrativa, proprio mentre il più morigerato Di Battista ne chiedeva indietro soltanto 90. Il big grillino ha tuttavia speso parecchio in consulenze: 56 mila euro, di cui 40mila in avvocati. Molto gettonati i anche i trasporti, che ammontano a un totale di 1 milione e 633mila euro. Federico D'Incà, ricandidato dal M5s, ha speso in mobilità 39.772 euro, di cui 32mila per rimborsi chilometrici. Il piatto dei rimborsi previsti per la diaria è d'altra parte succulento. Sul tavolo ci sono 3.500 euro per affitti e pasti. E altri 3.700 euro per il mandato, che vanno rendicontati soltanto per il 50 per cento: l'altra metà la Camera li paga a forfait, senza ricevuta. In totale 9mila euro tutti da spendere. Ma al netto di rancori e guerre intestine, l'unica strada per fugare ogni dubbio sarebbe proprio quella trasparenza da sempre invocata dai Cinque Stelle. La stessa che ispira il regolamento di cui si sono dotati i gruppi parlamentari del M5s all'inizio della loro avventura.
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Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » lun feb 12, 2018 6:08 pm

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » gio feb 15, 2018 8:09 am

Politica, la grande astensione al voto il 4 marzo
Enzo Trentin
10 febbraio 2018

https://www.vicenzareport.it/2018/02/po ... il-4-marzo

Vicenza – In un precedente articolo abbiamo già rilevato come l’84% degli italiani non ha fiducia nei partiti politici (Censis), a questo rilevamento vanno aggiunte almeno altre due constatazioni. La prima è contenuta in un’intervista, del 2 febbraio, fatta dal quotidiano “La Repubblica” all’ex ministro del bilancio del 1994, Giancarlo Pagliarini, che così possiamo riassumere:

“Nel medioevo le bande di re e di signorotti che volevano gestire il potere dichiaravano guerre e si prendevano a botte. A mio giudizio la nostra politica oggi è ancora medioevo. L’obiettivo non dovrebbe essere quello di gestire il potere ma quello di servire i cittadini. In questo caso i diversi partiti dovrebbero lavorare assieme. A Berna (Svizzera) oggi i sette membri del governo rappresentano i quattro partiti più votati alle ultime elezioni: due sono dell’Udc (Unione democratica di centro. Alle ultime elezioni hanno ottenuto il 29%), due sono del Ps (Partito socialista svizzero. 19%) , due del Plr , i liberali radicali. (16%) e uno del Ppd (il Partito popolare democratico. 12%). In totale 76%”.

Nel valutare la percentuale complessiva si deve tener presente che in Svizzera la partecipazione alle elezioni parlamentari è stata per decenni all’incirca del 40%, perché in quel Paese sono funzionanti gli istituti della democrazia diretta.

Pagliarini prosegue: «L’articolo 177 della Costituzione impone che il governo deve decidere in quanto autorità collegiale. Questo significa che nei confronti dell’esterno i ministri difendono le decisioni del governo anche se queste non coincidono con quelle del loro partito di appartenenza o con la loro opinione personale. Con questa cultura la Svizzera, che è grande il doppio della Lombardia, “siede stabilmente in cima, o nei pressi della cima, di quasi tutti gli indici globali di ricchezza, competitività, qualità della vita, innovazione…” (Parag Khanna, “ La rinascita delle città-stato”). Dunque i partiti, che sono diversissimi tra loro, non si fanno la guerra ma ragionano con pragmatismo e lavorano assieme per i cittadini. Invece da noi i partiti litigano continuamente. Perché? A mio giudizio per il motivo che da noi non si lavora per i cittadini ma si lotta per gestire il potere. L’idea di lavorare assieme, facendo ognuno i necessari passi indietro, da noi è considerata assurda e la chiamano “inciucio”, anche a costo di far colare a picco l’intero paese”.

Insomma, l’elettore che non sia “tifoso” di questo o quel partito, o che di riffa o di raffa non sia o aspiri a diventare un tax consumers; cioè una persona che vive di politica (i veri ladri di democrazia), percepisce che il suo voto non servirà a cambiare l’andazzo corrente, anche perché chi è preposto a fare le riforme non ha alcun interesse a privarsi del potere che gli è stato conferito e legittimato per mezzo del voto. L’altra considerazione riguarda i mezzi di comunicazione mainstream, che sono tutti presi da quella che, per semplicità, definiremmo la “mania di grandezza”: ci vuole più Europa, ci vogliono più accordi internazionali che perfezionino la globalizzazione, etc. etc.

A questo proposito è utile conoscere il punto di vista di Leopold Kohr, economista, giurista e politologo (1909-1994), noto per la sua opposizione al “culto della grandezza” nel campo dell’organizzazione sociale, è tra gli ispiratori del movimento del “Piccolo è Bello”. Ne “Il crollo delle nazioni” così argomenta:

“La causa di tutte le forme di miseria sociale è una sola: la grandezza […] La grandezza, ovvero sia il raggiungimento di dimensioni eccessive, non rappresenta uno dei tanti problemi sociali, ma costituisce il solo ed unico problema dell’universo […] Se le stelle del cielo o gli atomi di uranio si disintegrano in una esplosione spontanea, ciò avviene non perché la sostanza di questi corpi abbia perduto il suo equilibrio, ma perché essa ha cercato di espandersi eccessivamente, superando quegli invalicabili limiti che circoscrivono ogni incremento di materia. Se il corpo umano si ammala ciò è dovuto, come nel caso del cancro, al fatto che una cellula, o un gruppo di cellule, ha incominciato a svilupparsi eccessivamente, oltre gli stretti limiti fissati dalla natura. E se un organismo sociale si lascia prendere dalla febbre dell’aggressione, della brutalità, del collettivismo o della stupidità collettiva, ciò avviene non tanto perché esso sia caduto sotto un cattivo governo o sia colpito da aberrazione mentale, quanto perché gli individui – che sono di solito così amabili se presi uno ad uno o in piccoli gruppi – si sono fusi in unità sociali eccessivamente vaste, come le masse proletarie, i grandi sindacati, i cartelli, o le grandi potenze, incominciando quindi a scivolare irreparabilmente verso un’inevitabile catastrofe”.

Oltre a queste riflessioni, proponiamo ai lettori di questo quotidiano due constatazioni. Almeno un paio di nuovi movimenti o partiti politici apparsi negli ultimi lustri, hanno usato una specie di parola magica, di “apriti sesamo”, per arrivare a far breccia sull’elettorato per acquisirne il consenso. Il primo è stata la Lega Nord che con il tema del federalismo è entrata addirittura a far parte del governo, e ad esprimere dei ministri. Tuttavia il prof. Gianfranco Miglio ebbe a confessare la sua sorpresa nel constatare che tra i dirigenti di questa formazione politica non c’era nessuno che comprendesse cos’è veramente il federalismo. Il risultato finale è che oggi nessuno parla più di federalismo o lo prende in considerazione.

Il secondo soggetto politico è il M5S che, con l’argomento della democrazia diretta, è avviato alla stessa conclusione. Qui non sprecheremo molte parole, perché anche a livello di Enti locali, dove governa il M5S non c’è nessun autentico strumento di democrazia diretta, ed in ogni caso il quotidiano “Il Figlio” vi sta dedicando molto spazio per verificare l’inconsistenza di questa battaglia civile (vedi qui).

Molti intellettuali (Hans Hermann Hoppe è tra questi) sostengono: Perché i piccoli Stati, gli Stati decentralizzati, sono più ricchi? Perché vogliamo avere una grande moltitudine di Stati? Fin dal Medioevo, l’Europa era estremamente decentrata: la Germania fino al 1871 era composta da trentotto principati e la situazione italiana era simile fino al 1866. Se consideriamo il periodo attuale, il Paese più ricco in Europa è la Svizzera, o forse addirittura il Liechtenstein, un Paese di soli trentaseimila abitanti. Il successo della Svizzera è dovuto alla democrazia diretta, ed anche al fatto che la Svizzera è altamente decentrata: è costituita da un gran numero di Cantoni indipendenti e ammette la loro concorrenza fiscale.

Alcuni Cantoni prevedono imposte inferiori, per questo molte aziende si sono stabilite in quelle aree dove le tasse sono più basse, evitando quei Cantoni che tassano le attività in modo più pesante. Il progetto dell’Unione europea è ovviamente l’esatto contrario: evitare ogni concorrenza fiscale, rendere ogni paese uguale a un altro, per armonizzare le imposte e le normative, in modo che non ci sia più motivo di trasferirsi da un posto all’altro. Se uno Stato, per esempio il Lussemburgo, ha tasse inferiori rispetto ad altri paesi europei, l’Europa non invita gli altri ad abbassare le imposte al livello di quelle del Lussemburgo, ma chiede al Lussemburgo di aumentare le tasse al livello di quelle della Germania e della Francia. Questa strategia dell’Europa è un progetto socialista, non ha niente a che vedere con la proprietà privata o con il commercio libero. Mira a rafforzare sempre più il potere dei governi, permettendo loro d’infierire sempre di più sulla proprietà privata e la propria cittadinanza.
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Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » ven feb 16, 2018 2:36 pm

Politica, risolverebbe tutto la democrazia diretta?
Enzo Trentin
16/02/2018

https://www.vicenzareport.it/2018/02/po ... ia-diretta

Vicenza – Il Movimento 5 Stelle risolverà tutto con la democrazia diretta? Prima, però, è necessario analizzare cos’è la democrazia diretta. La Svizzera è il solo paese, se si eccettua il piccolo principato del Liechtenstein, ad avere un sistema di democrazia diretta molto strutturato a livello nazionale. Un simile sistema di processo decisionale diretto dei cittadini esiste anche in alcuni Stati americani, la California ne è l’esempio tipico. Però a livello federale negli Stati Uniti non esiste la democrazia diretta, il che vuole dire che tutta una serie di poteri rimangono fuori portata del referendum.

«La Svizzera è la sola nazione nel mondo dove la vita politica gira veramente attorno al referendum. In questo paese (con 8,372 milioni – 2016) di leader politici rifuggenti la notorietà, e la divisione dell’autorità esecutiva tra i sette membri del Consiglio Federale scoraggia ulteriormente la politica della personalità. Quando succede che un uomo politico si levi sopra la massa, è quasi sempre sull’onda di una campagna referendaria. L’attività legislativa in seno all’Assemblea Federale è una intricata danza per schivare o guadagnare il suffragio popolare. I grandi momenti politici della Svizzera moderna non si sono verificati nella sequela di fieri statisti, ma in seno ai dibattiti nazionali che hanno condotto le masse alle elezioni per decidere del futuro del loro paese.» (Kris William Kobach “Democrazia diretta in Svizzera” © Dartmouth, 1994).

L’articolo 177 della Costituzione italiana impone che il Governo deve decidere in quanto autorità collegiale. Questo significa che nei confronti dell’esterno i Ministri difendono le decisioni del Governo anche se queste non coincidono con quelle del loro partito di appartenenza o con la loro opinione personale. Con questa cultura la Svizzera, che è grande il doppio della Lombardia, «siede stabilmente in cima, o nei pressi della cima, di quasi tutti gli indici globali di ricchezza, competitività, qualità della vita, innovazione…» (“La rinascita delle città-stato” Parag Khanna © 2017). Dunque i partiti, che sono diversissimi tra loro, non si fanno la guerra ma ragionano con pragmatismo e lavorano assieme per i cittadini. Invece da noi i partiti litigano in continuazione.

L’iniziativa popolare consente agli Svizzeri di indire un referendum virtualmente su qualsiasi tema. Le sole eccezioni sostanziali sono alcune disposizioni vincolanti di diritto internazionale, il divieto di genocidio e schiavitù. Le iniziative popolari, ad esempio su tasse, spese statali, questioni militari e anche sulla forma di governo sono fatti normali in Svizzera. Gli svizzeri decidono il 4 marzo se permettere alla Confederazione di continuare a prelevare due imposte che sono le sue principali fonti di entrata. Un voto che rientra in una vicenda elvetica ultracentenaria di federalismo e di democrazia diretta.

L’iniziativa popolare è dunque la pietra angolare della democrazia diretta. Dopotutto, nel referendum facoltativo, i cittadini non fanno che rispondere ai provvedimenti del Parlamento che sono ancora in fase di discussione. Tuttavia con l’iniziativa popolare essi determinano attivamente l’agenda politica. In Svizzera non esistono referendum che siano stati formulati dal Parlamento o dal governo; noti anche come plebisciti. I referendum o vengono prescritti dalla Costituzione, o sono indetti dai cittadini, utilizzando il metodo della raccolta di firme. Anche la California è patria della democrazia diretta. Il “Parlamento” più grande del mondo chiama alle urne ogni due anni 15 milioni di elettori-deputati. Basta raccogliere le firme del 5% degli aventi diritto per promuovere una consultazione, varare, abolire o emendare leggi, diminuire le tasse, tagliare la spesa pubblica, elevare il salario minimo.

La California del resto non è unico neppure in America: altri 17 Stati dell’Unione possono cambiare la Costituzione approvando emendamenti per via referendaria e ancora 21 (più il Distretto di Colombia) concedono ai loro cittadini il diritto di iniziativa per fare leggi e non soltanto per cancellarle. Ma 15 Stati danno agli elettori ambedue questi poteri: quello legislativo e quello costituente. E la California, neppure questo va dimenticato, produce le tecnologie d’avanguardia che potranno cambiare ancora più radicalmente il sistema delle consultazioni popolari, realizzando il “villaggio globale” e sostituendo quelle cabine con un pulsante elettronico. Sono prospettive che spaventano i legislatori, i politologi, i filosofi politici di ogni parte del mondo, inclusa l’America, ma la California non fa niente per ostacolarle.

Nel Paese di Arlecchino & Pulcinella, di tali strumenti a livello nazionale non se ne parla proprio. Anzi i mezzi d’informazione mainstream insistono a sostenere che da noi vige la Costituzione più bella del mondo. Qualche chance si potrebbe avere a livello locale attraverso gli Statuti dei Comuni, delle Province (a proposito, non dovevano essere state soppresse?) e delle Regioni, ma a guardare come sono stati introdotti gli istituti di partecipazione popolare sanciti dalla Carta Europea delle Autonomie Locali (a proposito di… «ce lo chiede l’Europa») c’è da farsi cadere le braccia. È ora necessario considerare che i predetti Statuti degli Enti locali appaiono a partire dal 1990, e con successive leggi arriviamo al D.Lgs. 18-8-2000 n. 267 – Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.

Nel Comune di Torino, retto da un Sindaco Pentastellato, lo Statuto (come in qualsiasi altro Ente locale) è redatto, modificato ed approvato dal Consiglio comunale. Per chi volesse approfondire (si veda qui) all’Articolo 17 – Referendum, sono elencate una serie di materie escluse da tale strumento di sovranità popolare, tanto che c’è da chiedersi se i cittadini potranno almeno scegliere il colore delle divise degli uscieri comunali.

Ma non bastasse, abbiamo l’Articolo 18 – Giudizio sull’ammissibilità del referendum abrogativo e propositivo: 1. Il giudizio sull’ammissibilità del referendum […] avviene, con le modalità stabilite dal Regolamento, ad opera di apposita Commissione, […] 2. Fanno parte della Commissione, con facoltà di delega, il Presidente ed un Vicepresidente del Consiglio Comunale, il Segretario Generale ed il Direttore del Servizio Centrale Consiglio Comunale. La Commissione assume le proprie decisioni a maggioranza dei componenti.

Insomma, non solo il Consiglio comunale si fa le regole, ma nomina anche gli arbitri che giudicano l’ammissione o meno dell’esercizio referendario. E ancora: Articolo 20 – Quorum ed effetti del referendum […] 1. La disposizione oggetto del referendum […] ha efficacia […] se alla consultazione ha partecipato il 25% degli aventi diritto…». E qui è bene sottolineare che il quorum di partecipazione non esiste nei paese “normali”.

Per questo palese conflitto d’interessi (Quis custodiet ipsos custodes?) un’anima candida potrebbe ricorrere all’Articolo 24 – Difesa civica: 1. Le funzioni di garanzia dell’imparzialità e del buon andamento della Pubblica Amministrazione comunale, da esercitarsi anche attraverso la segnalazione di abusi, disfunzioni, carenze e ritardi dell’Amministrazione nei confronti dei cittadini, possono essere attribuite, mediante convenzione, al Difensore Civico provinciale. Da chi viene nominato o eletto il Difensore civico? Ohibò! Ma dal Consiglio comunale, lo stesso che si fa “su misura” lo Statuto. Riepilogando, la partitocrazia ha già svilito il federalismo per mezzo della Lega Nord, adesso è il momento di screditare e affossare la democrazia diretta per mano del Movimento cinque stelle?

Persino Napoleone Bonaparte, condottiero, abile stratega, e ladro d’opere d’arte, arrese alla democrazia diretta dichiarando ai sessantotto notabili svizzeri che giunsero a Parigi, rispondendo al suo invito, a Saint-Cloud, il 12 dicembre 1802: «La Svizzera non assomiglia ad alcun altro Stato: per i fatti della sua storia, per la sua posizione geografica, per le sue diverse lingue e religioni e per l’estrema differenza di costumi che si rileva fra le sue diverse parti. […] La natura – egli dedusse – ha fatto il vostro Stato federalista, voler superare questo dato di fatto, non sarebbe cosa da uomo saggio. Per paesi diversi, diversi governi.» Insomma, non abbiamo avuto il federalismo. Avremo la democrazia diretta?
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Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » dom feb 18, 2018 11:34 am

Colomban: "Grillo vuole ridurre l'Italia come il Venezuela"
15 febbraio 2018

http://www.repubblica.it/politica/2018/ ... -188905613

L'imprenditore veneto, ex assessore alle partecipate nella giunta Raggi, al Corriere: "Di economia capisce poco. Adatta il socialismo reale al terzo millennio. E immagina un modello di società che non deve creare ricchezza, dove le imprese le finanzia lo Stato". Reddito di cittadinanza: "Gli chiedevo: chi paga? Lui non lo spiega, ma si capisce benissimo: tasse su patrimoni, eredità, rendite speculative"

"Grillo? Vuole ridurre l'Italia come il Venezuela". Lo spettro di un regime a 5 stelle non è la banale bordata dell'avversario in campagna elettorale, ma il pesantissimo giudizio di un ex inside man. O meglio, di un imprenditore coinvolto dal movimento nell'esperienza della giunta Raggi a Roma. Si tratta di Massimo Colomban, 68 anni, fino allo scorso ottobre assessore alle partecipate del Comune capitolino, intervistato da Stefano Lorenzetto per il Corriere della Sera.

L'articolo raccoglie le "confessioni" dell'imprenditore veneto, fondatore e presidente onorario di Permasteelise, multinazionale dell'edilizia specializzata in grandi opere destinate a lasciare un segno. Per la sua esperienza, si legge, era stato chiamato a dare una mano alla sindaca Virginia "con l'intesa - rivela - che poi avrei scritto il programma di riforme per l'Italia".

Ma è andata molto diversamente. Colomban ha alzato bandiera bianca all'idea di "cambiare il Movimento5 stelle. Più facile - afferma nell'intervista - vestire gli edifici con vetro e metallo che togliere la camicia rossa ai grillini". Soprattutto, impossibile cambiare Grillo. E qui si ritorna a quel pesantissimo giudizio iniziale, per entrare in dettaglio nel ritratto del leader che si evince dalle parole di Colomban. "Adatta il socialismo reale al terzo millennio - dice l'imprenditore in un passaggio -. Di economia capisce poco. Se affronti una questione seria svia il discorso, prende tempo".

L'affondo, qualche riga più avanti. "Gli ho affibbiato vari soprannomi: Raùl, come il fratello di Fidel Castro, Chàvez, Maduro. 'Vuoi ridurmi l'Italia come il Venezuela', lo rimproveravo. Una cosa è sicura: se arriva al governo lo sviluppo si ferma. Grillo pensa che sia un pericolo". L'Italia immaginata da Grillo, prosegue Colomban, "è un'utopia (...) un modello di società che non deve creare ricchezza. E pretende che a guidarlo sia lo Stato, con la Cassa depositi e prestiti a finanziare le imprese".

E si parla del reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia grillino: "E io a dirgli, ma chi paga? - ricorda ancora Colomban - (Grillo) non lo spiega, ma si capisce benissimo dove andrà a parare. Tassa sui patrimoni. Tassa sulle eredità. Tassa sulle rendite speculative". Colomban conclude così l'argomento reddito di cittadinanza: "Togliere alle imprese per dare a chi non fa neppure la fatica di cercarsi un lavoro è una follia".
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Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » ven feb 23, 2018 8:02 am

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Re: Votar o no votar

Messaggioda Berto » ven feb 23, 2018 8:02 am

Vittorio Feltri: politici, sfigati allo sbaraglio. Votate chi volete, presto ve ne pentirete
21 Febbraio
Vittorio Feltri

http://www.liberoquotidiano.it/news/pol ... resto.html

Varie aziende fuggono dall’Italia, e la nostra politica non fa nulla per evitarlo. Non è in grado di trattenerle. È convinta che si debba obbedire all’Europa piuttosto che alle leggi elementari dell’economia.

I nostri governi sgangherati ripetono fino alla noia che il problema numero uno è il lavoro. Però non sono capaci di aiutare le imprese a incrementare i loro affari. Infatti, anziché supportarle allo scopo di espanderle, le puniscono con un sistema fiscale opprimente che impedisce ogni sviluppo. Mantengono in piedi una burocrazia avvilente, una giustizia civile che grida vendetta ed alimentano un debito pubblico mostruoso, in crescita vertiginosa. Poi i partiti impegnati nella campagna elettorale promettono mari e monti, soldi a destra e a manca, senza avere in tasca un euro.

Siamo di fronte a un gruppo di irresponsabili che, pur di strappare un voto in più, non esitano a raccontare fole all’elettorato stanco e disgustato, pertanto incredulo.

Da anni e anni sentiamo i soliti tromboni, i quali cianciano di riduzione della spesa - spending review e frottole simili - e alla fine scialacquano denaro in quantità superiore rispetto a quanto incassano imponendoci tasse su tasse, denaro buttato via per soddisfare clienti e mantenuti. Si illudono di incantare i cittadini, mentre costoro - basta frequentare il bar commercio - li considerano degli incompetenti. E tali sono.

Non è questione di destra o di sinistra e neppure di centro. Amministratori, deputati e senatori non hanno idea di come si gestisce una famiglia - la loro - figurati se sono all’altezza di guidare un Paese che non conoscono. Vivacchiano in Parlamento e nei ministeri con lo spirito di impiegati che campano per tirare la fine del mese e riscuotere l’indennità, cioè lo stipendio, che è modesto ma superiore a quello che meriterebbero.

Sono degli sfigati allo sbaraglio, dei buoni a nulla pronti a votare leggi idiote, da aggiungersi a una massa di norme altrettanto idiote, e trascurano le necessità impellenti del popolo. Esempi clamorosi: la legittima difesa, la riduzione delle imposte, il contenimento delle uscite pubbliche, la riforma del sistema giudiziario, l’uniformità del groviglio sanitario. Di questi problemi se ne infischiano poiché non hanno gli strumenti culturali per valutarne la portata. Quelli di sinistra parlano a vanvera di patrimoniale e distribuiscono a capocchia bonus, promuovono l’accoglienza degli immigrati che poi abbandonano nelle strade, facendoli dormire a cielo aperto, alcuni, e altri depositandoli gratis in alberghi pagati da Pantalone. Una nazione così scassata e nelle mani di imbecilli poltroni sta ancora in piedi perché una minoranza di volonterosi continua a lavorare sodo, nonostante la Casta cerchi di impedirglielo con regole di stampo sovietico. Il giorno in cui costoro non ce la faranno più, e non è lontano, andremo tutti a ramengo. Dopo di che ci sarà solo da piangere.

Ci manca che vincano i pentastellati alleati del Pd e dei Liberi e Uguali: sarebbe una forte accelerazione verso lo strapiombo. Votate, votate chi volete, ve ne pentirete presto.
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