Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » mer mar 07, 2018 10:02 am

5) massimo sostegno all'insediamento, riconoscimento del nazismo maomettano;


Isis, il grillino Di Stefano: "Il terrorismo islamico non esiste"
Giuseppe De Lorenzo - Lun, 29/06/2015

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... po-reale/1

Lo ha scritto sui social, sabato mattina, a qualche ora dalle notizie delle stragi islamiste di Lione, Sousse e nel Kuwait.

Manlio Di Stefano, deputato cinque stelle, ha preso posizione contro la stampa "main stream" che chiama terrorismo islamico quello che - secondo lui - non lo è. Il suo post si titola così: "Il terrorismo islamico non esiste".

Insomma, per Di Stefano l'11 settembre, Charlie Hebdo, l'Isis e la strage sulla spiaggia tunisina sono storie inventate, o che non c'entrano con il radicalismo islamico. "Spegnete la TV e la radio, chiudete i siti web della stampa detta “main stream” - suggerisce il deputato su Facebook - e prendetevi qualche minuto per svuotare la testa dalle immagini viste in questi ultimi anni e soprattutto dalle parole sentite. “Terrorismo islamico”, “Attentato di matrice musulmana”, “Guerra religiosa”, “Caccia ai cristiani”…fermiamoci un po’ a riflettere su queste frasi senza preconcetti". Preconcetti, pregiudizi. Ecco, così Di Stefano considera il racconto sulle bandiere nere dell'Isis e sulle violenze del terrorismo islamico.

Poi riporta il racconto di un suo follower, musulmano, che è certo che questi attacchi siano in realtà rivolti contro l'Islam stesso: "Ripeto - dice l'elettore grillino musulmano - non esiste terrorismo di matrice religiosa. Le prime vittime siamo noi, hanno voluto colpirci apposta durante il mese sacro". Il motivo per cui Di Stefano ha riportato queste parole è sempice, ed è in linea con la posizione del M5S sul tema: chiamare questi attentati con il loro nome, infatti, secondo il deputato è "islamofobia". "Con questo non voglio dire - dice il grillino - che non esista una guerra di religioni in corso. Sto dicendo però che dietro il nome di Stato Islamico c’è un’accozzaglia di mercenari che usano la religione per fare proselitismo. Esattamente come i generali degli eserciti occidentali che si battono il petto in chiesa ogni domenica e poi massacrano milioni di civili inermi come in Iraq o Afghanistan".

"Chi uccide - continua Di Stefano - non rispetta nessuna religione, non segue nessun libro sacro che sia esso Corano, Bibbia o Torah. Chi uccide è solo un criminale. Non prestiamo il fianco a chi vuole questa guerra tra poveri, non alimentiamo l’islamofobia vedendo nei musulmani i nostri nemici, anche loro, come noi, si dividono in persone per bene e criminali".

A quanto pare i grillini considerano l'Isis una favola. Niente di strano, considerando che Alessandro Di Battista, poco tempo fa, propose addirittura di "elevare ad interlocutori" i terroristi.




Finanza islamica a Torino
http://tv.ilpopulista.it/video/21-Genna ... amica.html


TIEF 2017, TORINO PUNTA SULLA FINANZA ISLAMICA
novembre 2016

http://www.etnocom.com/mixita/tief-2017 ... a-islamica

“La finanza islamica è non solo un’ opportunità economica, è anche un’opportunità di integrazione. Molti musulmani che vivono nella mia città non possono comprare una casa perché non abbiamo gli strumenti finanziari adatti, noi stiamo provando a lavorare su questo”.

Lo spiegava qualche settimana fa il sindaco di Torino Chiara Appendino, in missione a Dubai per il Global Islamic Economy Summit, annunciando la terza edizione del Turin Islamic Economic Forum (TIEF) che si terrà il 6 e il 7 marzo prossimi . “In passato – sottolineava – abbiamo parlato di cibo e di moda, stavolta ci concentreremo sugli strumenti finanziari per aiutare anche la popolazione musulmana ad essere integrata nel nostro Paese”.

Il TIEF 2017 è organizzato dal Comune in partnership con Università di Torino, Camera di Commercio e Associazione per lo Sviluppo di Strumenti Alternativi e di Innovazione Finanziaria (ASSAIF). Sarà l’occasione per approfondire tutti gli aspetti di un mondo molto lontano da quello delle nostre banche, che si basa su precetti in linea con i dettami del Corano, che vanno dal divieto di riscuotere interessi alla condivisione dei rischi tra creditore e debitore, passando per il rifiuto di strumenti rischiosi come i derivati.

Filo conduttore, l’utilizzo della finanza islamica per innescare processi virtuosi su due fronti. Da un lato, il Comune vorrebbe farne uno strumento di inclusione sociale nelle periferie, ad esempio con progetti dedicati agli immigrati, dall’altro, una leva per l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese piemontesi. Anche per questo, dopo la due giorni torinese, è prevista per la prima volta una sessione di lavoro del TIEF negli Emirati Arabi, per far incontrare imprese italiane e investitori esteri.

“Attualmente in Italia non esistono ancora banche d’investimento islamiche né sportelli bancari islamici, ma se si considerano la crescente presenza di musulmani nel mondo e l’ammontare dell’imponente giro d’affari che gestiscono, un’eventuale integrazione tra il nostro sistema bancario ed il modello alternativo di finanza islamica costituisce un’opportunità sempre più rilevante per l’economia europea ed in particolare italiana” scrive il professor Paolo Pietro Biancone, responsabile dell’Osservatorio sulla Finanza Islamica dell’Università di Torino.

“L’apertura di sportelli bancari islamici in Italia apporterebbe infatti grandi vantaggi al Paese in quanto potrebbe attrarre liquidità dai paesi arabi e faciliterebbe l’internazionalizzazione delle attività che le nostre imprese effettuano in quei paesi” conferma l’economista. Una sfida che all’ombra della Mole hanno preso molto sul serio.



Mutui su misura, senza interessi.
29/03/2017

http://www.la7.it/tagada/video/mutui-ag ... 017-208907

Mutui su misura, senza interessi. Strumenti sharia compliant che rispettino le regole della finanza islamica. Il tutto in attesa che sbarchi presto in città la prima banca islamica d'Italia. Per il sindaco grillino di Torino, Chiara Appendino, è un questione di «inclusione sociale». Intervistata da Maria Latella su Sky, il primo cittadino ha ricordato che la «finanza islamica non è solo possibilità di raccogliere opportunità economiche, con finanziamenti in infrastrutture e aziende, ma è anche un tema di integrazione». L'attenzione è rivolta alle 50mila persone di religione musulmana che vivono a Torino e che tengono i soldi sotto il materasso perché in Italia non esistono sportelli islamici fedeli ai dettami religiosi. Gli stessi che impediscono loro di «comprare case», visto che i mutui sono vietati dal Corano insieme a qualsiasi strumento finanziario che comporti degli interessi passivi. Per questo motivo, il Comune studia delle alternative su misura, delle «possibilità di accedere al credito senza violare le prescrizioni del Corano permettendogli di acquistare una casa o di aprire una attività».



Liguria vieta burqa: M5S, giunta Toti riduce diritti donne
Alice Salvatore, è incostituzionale. Pensiamo a nostre vittime
07 marzo 2017

http://www.ansa.it/liguria/notizie/2017 ... 0e5e1.html

"Una delibera discriminatoria e incostituzionale che, invece di estendere i diritti delle donne, li riduce ulteriormente. Un pessimo segnale, alla vigilia dell'8 marzo, che offende tutte le donne". Alice Salvatore, portavoce del MoVimento 5 Stelle Liguria, risponde così all'annuncio dell'assessore Viale di proibire l'ingresso negli ospedali liguri a chi indossa il burqa.
"Inorridisce l'idea che, nel 2017, si possa impedire alle donne l'accesso alle cure sanitarie essenziali solo ed esclusivamente per i vestiti che indossa - spiega la consigliera regionale -. In Italia esistono già leggi che vietano di girare in luoghi pubblici a volto coperto, come prevede il Testo unico di pubblica sicurezza. Questa delibera non è altro che l' ennesimo atto di propaganda demagogica già andato in scena in Veneto e in Lombardia. Un provvedimento che viola palesemente l'articolo 3 della Costituzione e andrà incontro a una inevitabile bocciatura da parte della Corte Costituzionale. Ma ormai a questo Toti e i suoi ci hanno fatto l'abitudine. Ciò a cui i cittadini liguri non si abitueranno mai è di essere governati da una coalizione politica retrograda e medievale che, in nome di un presunto principio di libertà, discrimina le persone in base a sesso, razza e religione".
"Se vogliamo parlare di discriminazioni - conclude Salvatore - pensiamo intanto alle troppe di cui sono vittime a casa nostra le donne, che ancora scontano un gap importante sul lavoro e sulle retribuzioni e che continuano ad essere oggetto di violenze, soprattutto domestiche. Fenomeno, questo, che dilaga ovunque e sul cui contrasto in questi anni si è investito poco o nulla". (ANSA).





Il leader islamico Piccardo: "I musulmani voteranno Cinque Stelle"
Luca Romano
Gio, 01/02/2018

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... emiciclo/1

Il leader islamico alla Zanzara: "La poligamia è una battaglia giusta. Credo che i musulmani voteranno per i grillini"

I musulmani d'Italia voteranno per il MoVimento Cinque Stelle. Ad assicurarlo è un esponente di primo piano della comunità islamica come Davide Piccardo, a lungo portavoce delle associazioni milanesi che fanno capo all'islam.

"Finora la maggior parte degli islamici votava la sinistra, adesso vedo che si orientano sui 5 Stelle. Anch’io voterò il Movimento", ha dichiarato pochi giorni fa ai microfoni della Zanzara su Radio 24.

Fra i temi del dibattito, anche una questione ormai parecchio dibattuta: la poligamia. Fra chi vorrebbe reintrodurla e chi pensa che bisognerebbe continuare a proibirla, il tema rappresenta una costante nella discussione fra ascoltatori e conduttori.

Conversando con Giuseppe Cruciani e David Parenzo, Piccardo ha tessuto un vero e proprio elogio della poligamia: “Sarebbe una battaglia di civiltà, e andrebbe riconosciuta in Italia. Siccome c’è una situazione diffusissima di uomini con più di una donna, ci vuole per queste donne un riconoscimento sociale e riconoscere dei diritti. Altrimenti vivono come mogli di serie B. Tutto qui”.

Certo, restano diversi punti imbarazzanti, come la negazione della poliandria, che consentirebbe anche alle donne la possibilità di avere più mariti. E che secondo Piccardo resta invece impraticabile: "Per la religione islamica donne e uomini hanno delle specificità, sono diversi. L’uomo riesce a gestire più relazioni in modo stabile dal punto di vista affettivo, economico, fisico e procreativo. E la donna no”.

In effetti qualche anno fa l'importante esponente grillino Carlo Sibilia si era detto favorevole all'introduzione dei "matrimoni di gruppo" e addirittura fra specie diverse. Chissà che ora le speranze dei musulmani che sognano la poligamia non si appuntino su porposte come queste.


Nazismo maomettano = Islam = dhimmitudine = apartheid = razzismo = sterminio
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » mer mar 07, 2018 11:28 am

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Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » mer mar 07, 2018 11:29 am

6) antisemitismo e antisraelismo, filo nazismo palestinese.


Beppe Grillo, gli ebrei e il MoVimento 5 Stelle

https://www.giornalettismo.com/archives ... stelle/amp

L'allarme sui media legati alla comunità ebraica

La Stampa apre oggi con un articolo di Paolo Mastrolilli in cui si racconta della preoccupazione di alcuni media americani legati alla comunità ebraica per l’antisemitismo di cui ci sarebbe traccia nel MoVimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Spiega il quotidiano:

L’attenzione su questo problema era stata attirata dall’intervista con l’ex comico che il corrispondente a Roma del giornale Yedioth Ahronoth, Menachem Gantz, aveva pubblicato a giugno dell’anno scorso. Allora Grillo aveva confermato di temere che Israele potrebbe diventare la causa della Terza Guerra Mondiale, aveva accusato il Mossad di manovrare tutta l’informazione sul Medio Oriente che arriva in Europa, aveva detto che i discorsi di Bin Laden erano stati tradotti male e la sua fine lo insospettiva, e aveva difeso la politica iraniana. Ora che il Movimento 5 Stelle ha vinto le elezioni, alcuni media sono tornati ad esaminare le sue posizioni, per rileggerle in chiave delle responsabilità politiche che potrebbe avere. L’American Thinker, un sito conservatore, ha inquadrato il fenomeno a livello continentale, con un articolo intitolato “Dangerous Times: How Euro-socialism Set off a Fascist Bomb”. Il punto è dimostrare che gli errori del socialismo europeo stanno riaprendo le porte al fascismo, e il risultato di Grillo viene paragonato a quello ottenuto da Mussolini nel 1922.

Il pezzo dice che l’ex comico sta sfruttando la reale corruzione per lanciare un messaggio populista contro il mondo della finanza:

«Ora il Clown ha la sua fonte di soldi e ideologia, che porta diritto a Teheran. Lui odia gli ebrei: il suo sito li cita 2.500 volte, e cita l’Iran 2.500 volte. Il Clown ci dice che l’Islamic Development Bank non esige interessi: questa è pura propaganda islamo- fascista». L’America Thinker accusa Grillo di demagogia e aggiunge: «Gli ebrei governano il mondo attraverso l’usura (questa è una vecchia storia in Europa)». Toni simili si ritrovano anche su Tablet Magazine e sull’Algemeiner, che riprende un articolo di Giulio Meotti in cui si ricordano le uscite di Beppe contro «l’industria dell’Olocausto », la difesa degli attacchi di Mel Gibson agli ebrei, e le frasi pubblicate dai militanti sul blog e su Facebook, tipo «Israele è come la Germania nazista ». Il pezzo riporta le dichiarazioni di Davide Romano della sinagoga di Milano Bet Shlomo, secondo cui «Grillo ha un problema con gli ebrei».



M5s, Di Battista: "A Gaza è un genocidio. Richiamiamo l'ambasciatore da Israele"
di Luca Sappino 24 luglio 2014

http://m.espresso.repubblica.it/palazzo ... a-1.174122

“Di politica interna non voglio parlare” dice all’Espresso, prima di rievocare i suoi viaggi e elencare i suoi rapporti internazionali, soprattutto nel sudamerica. Delle bombe che cadono su Gaza, però, parla: “Quello che sta portando avanti Israele è un genocidio

” dice senza mezze misure, riprendendo “le parole di tanti leader internazionali”, tra cui “Ortega e Morales

, con cui abbiamo molti rapporti di lavoro”.

E siccome “fanno bene a parlare di genocidio”, Alessandro Di Battista annuncia che i deputati 5 stelle della commissione esteri presenteranno una risoluzione per il richiamo dell’ambasciatore italiano in Israele, “un atto simbolico dovuto”.

Non teme le accuse, Di Battista: “Chi parla di antisemitismo dovrebbe capire che l’unica cosa a fare il gioco degli antisemiti sono le azioni del governo israeliano”. Di Battista sa che “Israele non è il suo governo”, così come “la Palestina non è Hamas”.

Via l’ambasciatore e parole più nette dal governo, che per ora “in politica estera è stato debolissimo”, “inesistente”, “peggio del governo Berlusconi”. “Renzi tace”, accusa Di Battista, che poi, sull’idea di nominare Mogherini in Europa, aggiunge: “Mi chiedo perché in tanti spingano per mandarla in un posto prestigioso sì, ma poco rilevante”. Forse per liberare un posto qui in Italia? “Diciamo che avrebbe avuto molto più senso, e questo noi abbiamo chiesto, ricoprire posti chiave su altre tematiche, magari economiche e con portafoglio”.

Di Battista, su Gaza il Movimento ha già lanciato le sue sette proposte. Si va dai blocchi commerciali e delle commesse militari con Israele, alla revisione degli accordi internazionali. Oggi lei ne aggiunge un altro.

“Non io, ma il Movimento 5 stelle. Presenteremo in commissione una risoluzione per chiedere che il governo richiami, come atto simbolico ma dovuto, l’ambasciatore da Israele”.

Difficile.

“Dovrebbero farlo, così come si dovrebbe ridiscutere il diritto di veto nel consiglio di sicurezza dell’Onu, e fanno bene a chiederlo i leader degli stati dell’America latina come Rafael Correa, Daniel Ortega e Evo Morales. Gli stessi che parlano giustamente di genocidio, rispetto all’azione di Israele a Gaza”.

Giustamentre secondo lei.

“No, giustamente secondo noi. E secondo la definizione che di genocidio danno le Nazioni Unite. Siamo davanti a un’invasione, a una segregazione che dura da molti anni, con il popolo palestinese chiuso come fosse in una prigione, senza terreni da coltivare, con l’embargo”.

L’accusa di essere contro lo stato d’Israele è dietro l’angolo.

“E’ un’accusa infondata, mi creda. E sciocca. Perché solo uno sciocco può confondere la critica anche dura al governo di Israele, alla sua politica estera con l’odio verso lo stato di Israele o con l’antisemitismo. Vuol dire ignorare il fatto che nella stessa politica israeliana c’è chi si oppone alle attuali strategie del governo. Quello che bisogna semmai dire è che sono le azioni del governo israeliano la benzina gettata sul fuoco degli antisemiti nel mondo. Perché il terrorismo non si distrugge certo con la violenza, anzi. La violenza genera odio e l’odio ingrassa il terrorismo”.

Si parla di difesa, rispetto a un lancio di missili da Gaza.

“Noi vorremo parlare con Hamas per chiedere che anche loro cessino il lancio di missili. Non devono dare il pretesto a Israele. Ma poi il Movimento 5 stelle sta con i più deboli e quindi, in questo caso, con i palestinesi”.

Nel Movimento non la pensano tutti come lei. Il consigliere torinese Vittorio Bertola scrive che le proposte “partorite da Di Battista e dai nostri parlamentari sembrano uscite da un gruppo di studenti del liceo durante una okkupazione”. Così, con due k.

“Ha una sua idea, sono contento, è normale. La posizione del gruppo parlamentare è però condivisa e ci siamo arrivati dopo averne discusso con molti esperti. Non è un’improvvisata studentesca”.

Senta, il ministro Mogherini ha dato disponibilità per riferire in commissione affari esteri, la prossima settimana. Voi volevate un passaggio in aula.

“Mi sembra il minimo. Converrete che è curioso che il medioriente esploda, con conflitti in Egitto, un califfato in Iraq, l’invasione a Gaza e il governo italiano non ne discuta con il parlamento. Anche la presidente Boldrini, che sui temi è molto attiva, l’ha invitata a riferire in aula. Ma il governo Renzi in politica estera è debolissimo. Sembrerà strano, ma anche il pessimo governo Berlusconi faceva meglio”.

E’ inutile che le chieda se l’idea della nomina europea per Mogherini la soddisfi.

“Guardi, penso che Mogherini abbia dimostrato anche troppo polso e autonomia e forse è per questo che la propongono per quell’incarico”.

Dice che vogliono liberare un posto in Italia?

“Mi chiedo solo perché in tanti spingano per mandarla in un posto prestigioso sì, ma poco rilevante”.

Ma voi avreste avuto una proposta alternativa, pronta, per quell’incarico?

“Se ne occupano i colleghi europarlamentari. Io dico solo che come Movimento avremmo preferito che l’Italia facesse una battaglia per un posto in una commissione più importante, con portafoglio, con competenze su tematiche economiche”

Ancora Bertola, il vostro consigliere a Torino, dice che invece, banalmente, “non siete pronti a ricoprire incarichi così importanti”.

“Stiamo crescendo, studiando. Anche a livello di relazioni internazionali, di rapporti. E studiando abbiamo già dimostrato di arrivare a intuire alcune cose. Le faccio l’esempio della mia collega Marta Grande che è stata uccisa dai media per aver denunciato in aula una foto di violenze in Ucraina che però non era una foto reale…”

Una gaffe niente male, converrà?

“D’accordo. Ma poi nessuno ha scritto che lei, nell’ultima audizione con la Mogherini in commissione aveva suggerito una no fly zone sull’Ucraina. Non so se il ministro non si sia fatta carico dell’istanza o se non si sia potuto far nulla per altre ragioni, ma era un intuizione che dimostra una certa capacità”.




Beppe Grillo e le "verità" su Mossad, Israele e Iran
25.06.2012
Mazzetta

https://www.giornalettismo.com/archives ... ele-e-iran

«Grillo è un buon attore che sa che cosa vuole il suo pubblico. Ma non sa dire che cosa vuole». Al giornalista isrealiano è bastata un chiacchierata per scoprire il bluff.

CHI E’ GRILLO? – Lui non è il leader del movimento che ha creato, lui c’entra poco, anzi, a dirla tutta neppure lui capisce del tutto il movimento che ha creato, ma intanto tira avanti e naviga a vista, al comando di una nave che non conosce e che non sa neppure in che direzione stia andando. Quello che poi colpisce nell’intervista è la faciloneria con la quale Grillo pontifica di politica estera, mettendo in mostra limiti evidenti, subito colti dall’intervistatore

I DIRITTI UMANI – Grillo ha un approccio al mondo tutto suo e al giornalista che gli chiede dell’Iran ha offerto risposte davvero imbarazzanti, come quella sulla pena di morte. L’Iran di Ahmadinejad? «Un giorno ho visto impiccare una persona, su una piazza di Isfahan. Ero lì. Mi son chiesto: cos’è questa barbarie? Ma poi ho pensato agli Usa. Anche loro hanno la pena di morte: hanno messo uno a dieta, prima d’ucciderlo, perché la testa non si staccasse. E allora: che cos’è più barbaro?». Una risposta agghiacciante, perché la questione non è ovviamente nella gara a chi sia più o meno barbaro, ma semmai nel rispetto dei diritti umani e il fatto che negli Stati Uniti li rispettino poco o che anche Israele ricorra agli ancora più barbari “omicidi mirati”, non dovrebbe spostare di una virgola la condanna a un regime che usa la pena capitale praticando pubbliche esecuzioni che riportano al medioevo.

DONNE ED ECONOMIA – Non va meglio con il resto, come per i diritti delle donne: «Mia moglie è iraniana. Ho scoperto che la donna, in Iran, è al centro della famiglia. Le nostre paure nascono da cose che non conosciamo». Nemmeno un po’ preoccupato da quel regime? «Quelli che scappano, sono oppositori. Ma chi è rimasto non ha le stesse preoccupazioni che abbiamo noi all’estero. L’economia lì va bene, le persone lavorano. È come il Sudamerica: prima si stava molto peggio. Ho un cugino che costruisce autostrade in Iran. E mi dice che non sono per nulla preoccupati».

IN FAMIGLIA, MA NON IN SOCIETA’ – Anche qui il fatto che in Iran la donna sia “al centro della famiglia” e che le donne persiane siano molto più emancipate e meno represse di molte donne che vivono in altri paesi musulmani, nulla toglie a una realtà che è fatta di un’evidente discriminazione ai danni delle donne. Ancora più preoccupante è come s’esprime sulla situazione economica e sulla repressione del regime in particolare, che dalla lettura di Grillo sembra far bene e raccogliere le critiche solo di alcuni disfattisti che sono scappati all’estero. Scappati senza motivo, sembra, tanto che in Iran non c’è crisi economica, anzi “l’economia va bene” e sulla repressione non spende una parola.

ME L’HA DETTO MIO CUGINO – Le fonti e i dati sui quali si basa Grillo per affermazioni tanto stentoree? Suo cugino. Davvero, Grillo dice che in Iran va bene perché glielo ha detto suo cugino. Altra fonte d’informazione di Grillo sull’Iran è il suocero iraniano, saranno questi i famosi “esperti” sui quali il M5S fonda le sue analisi? C’è da sperare di no, anche perché difficilmente le sue parentele potranno coprire il globo, ma intanto in Israele se la ridono e l’intervistatore non manca di perfidia aggiungendo: “«Se un giorno Grillo farà parte del governo italiano il suocero avrà un ruolo fondamentale nella politica estera», che in realtà non sono parole di Grillo, o almeno non sono riportate tra i virgolettati.

LA LOBBY – Ma in Israele faranno sicuramente più rumore le parole di Grillo sulla lobby ebraica “che controlla il sapere”: “Tutto quel che in Europa sappiamo su Israele e Palestina, è filtrato da un’agenzia internazionale che si chiama Memri. E dietro Memri c’è un ex agente del Mossad. Ho le prove: Ken Livingstone, l’ex sindaco di Londra, ha usato testi arabi con traduzioni indipendenti. Scoprendo una realtà mistificata, completamente diversa”. Che MEMRI sia uno strumento della propaganda israeliana non ci piove, ma che in Europa e in Occidente non arrivino notizie di quel che succede in medioriente perché tutto arriva filtrato dal MEMRI è una sciocchezza colossale, una balla che, se Grillo perdesse qualche tempo ad istruirsi prima di bersi qualsiasi baggianata, avrebbe potuto evitare con facilità. Il problema dell’informazione sul medioriente non è MEMRI, ma semmai un sistema d’alleanze che ci lega ad Israele in maniera tale che ben pochi tra politici e giornalisti hanno voglia di criticarla e di discutere la montagna di notizie che comunque arrivano in Europa e in Occidente a prescindere da quello che combina MEMRI, che per conto suo in realtà non è che una briciola dell’apparato che Israele schiera sul fronte della guerra delle parole che prende il nome di Hasbara.

COPPIE GAY? FORSE – Grillo che denuncia la lobby ebraica si dimostra poi subito succube di quella cattolica, alla faccia della sua pretesa di essere impegnato in «una rivoluzione culturale, non politica». Rispondendo al giornalista che gli chiede se è favorevole ai matrimoni gay con un pavido “forse”. Inutile rimarcare che si tratta di questioni di principio, non di cose che salomonicamente si possano tagliare e dividere a metà facendo un po’ per uno e che la risposta sia la più ipocrita che sia possibile fornire a una domanda del genere.

CASALEGGIO – “Io parlo e lui scrive”, dice poi del suo rapporto con Gianroberto Casaleggio, ma a questo punto sarebbe carino sapere a chi è affidato il compito d’informarsi, di pensare e di prendere posizione, perché Grillo ammette di non essere in grado di vestire i panni del leader politico (“non ne ho la statura “) eppure agisce e si comporta come tale, declamando parole d’ordine, promuovendo o cacciando gli attivisti del M5S a suo piacimento. Una strategia, quella del comico, che più che essere improntata all’umiltà pare funzionale ad evadere qualsiasi responsabilità personale. Il non-statuto dellla sua non-associazione in fondo è solo un illusionismo utile ad evitare un vero statuto e la costituzione di una vera associazione, che limiterebbero il potere di Grillo e lo costringerebbero a confrontarsi con gli altri associati, un confronto di cui evidentemente preferisce fare a meno, gestendo il movimento grazie a una ristretta cerchia di familiari e collaboratori.

RIVOLUZIONE BUFFA – In realtà Grillo non è il portatore di una rivoluzione culturale e lo confessa implicitamente rifiutando di prendere posizione su temi come i diritti umani e quelli delle minoranze. Si tratta di espedienti utili non solo a evitare disagi alla torma di suoi fan che ce l’ha con gli zingari e con gli immigrati (l’adesione al movimento è riservata ai cittadini italiani, roba che nemmeno la Lega Nord), ma soprattutto a scaricare verso il basso le sue responsabilità di duce e unica autorità del M5S. Grillo detta la linea, sceglie i modi della comunicazioone del movimento, ne scrive le regole, ne è giudice e sbirro e anche il portinaio che decide chi può condidarsi e chi no, ma quando il giornalista gli chiede ragione delle sue non-risposte (diversamente da Travaglio) si nasconde dietro frasi quali:

Non ho gli elementi per decidere. È la gente che deve pronunciarsi, coi referendum sulla rete».

COME BERLUSCONI – Il gioco è abbastanza scoperto e squallido, Grillo parla spesso per sentito dire, lancia il sasso e poi nasconde la mano, proprio come Berlusconi. Decide tutto e poi dice che non decide niente, ordina e poi dice di sottomettersi alla volontà della mitica “gente”, che però sul suo blindatissimo blog (sede deputata dal non-statuto ad essere l’unica fonte di verità e l’unico logo di dibattito per il Movimento) non ha alcun diritto di tribuna, visto che sul blog scrive solo Casaleggio e quelli ai quali Casaleggio permette di farlo. I referendum in rete non li ha visti nessuno e nemmeno la famosa piattaforma che doveva permettere agli aderenti al movimento di votare sulle questioni e realizzare la mitica “democrazia diretta”. Favole.

POCHE IDEE, MA CONFUSE – Si conferma insomma un Beppe Grillo che non ha idea di quel che dice, ma che lo dice lo stesso. Un Grillo cosciente di essere già oltre i limiti delle sue possibilità e che per questo si blinda dietro non-statuti, non-associazioni e non-idee, ma che non rinuncia a dirsi alfiere di una rivoluzione culturale che non c’è, a meno di non voler scambiare per rivoluzione culturale questa maniera approssimativa e populista di lanciare non-idee a un mitico “popolo della rete” che secondo Grillo dovrebbe essere il padrone del movimento e che invece è relegato, esattamente come fu per i fan di Berlusconi, ad accontentarsi di quello che passa sul blog applaudendo a comando e celebrando un nuovo unanimismo di facciata, mantenuto grazie alle espulsioni di critici e dissidenti e di chiunque appaia contrastare il volere del padrone del movimento, pure lui difeso da una Hasbara ringhiante che nulla ha da invidiare per grossolanità e prepotenza a quella israeliana.



COMPLOTTO SIONISTA, BIG PHARMA E ARANCE CANCEROGENE: TUTTI I DELIRI DELLA NUOVA SENATRICE M5S
12/03/2018

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 70536248:0

Insegna in un liceo di Latina ed è appena stata eletta al Senato della Repubblica con il M5S. Fin qui, la storia di Marinella Pacifico non sembra essere particolarmente interessante o compromettente. Ma basta scavare un poco nel suo (recentissimo) passato per precipitare in un abisso di ignoranza e complottismo che lascia basiti.

Al momento, la buona Marinella ha cancellato buona parte del suo account facebook, ma, per sua sfortuna (e nostra fortuna), Next quotidiano ha salvato un quantitativo di screenshot sufficienti a far rischiare alla Pacifico la tanto agognata poltrona.

Tra questi, è necessario citarne alcuni. Il 22 ottobre, ad esempio, la troviamo a scagliarsi contro Saviano, i cui introiti, a detta della Pacifico, sarebbero dovuti a un qualche tipo di connessione tra camorra e massoneria. Il complotto sionista però è già nell'aria, visto che, nello stesso post, cita anche Vittorio Arrigoni, l'odiatore seriale di Israele che fu massacrato proprio dai suoi amici palestinesi. L'appellativo di "sionista" spetta anche alla Boldrini, che, tra l'altro, è sempre sembrata poco amichevole nei confronti di Israele. Ai suoi studenti non sembra essere andata meglio, visto che li ha costretti, solo due mesi fa, a parlare di sovranità monetaria alla luce degli "studi" di Salvo Mandarà, il tecnico video convertitosi a studioso di moneta e complotti ufficiale del M5S fino alla sua morte. Come Mandarà, anche la Pacifico ha sostenuto che i diversi attentati islamisti avvenuti in Francia negli ultimi anni non siano altro che falsi costruiti ad arte da qualche potere sionista in agguato.

Se passiamo all'abito scientifico le cose, per Marinella Pacifico, non vanno meglio. Dalle arance, considerate "frutti cancerogeni", al completo rifiuto dei vaccini, fino all'accusa, lanciata a Benedetta Parodi, di "essere pagata dalle multinazionali del farmaco per far morire la gente di malattia lenta."

Un delirio continuo, come anticipato, che non è consono a un senatore della Repubblica, e che dovrebbe far riflettere profondamente coloro che l'hanno votata. E non solo loro.




Ensemense só e contro łi ebrei e Ixrael
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Rasixmo e rasisti contro łi ebrei e Ixrael
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Idiozie e odio contro Israele e gli ebrei
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Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » gio mar 08, 2018 6:58 am

7) La inconsistente e fasulla democrazia diretta dei grillini.
La democrazia diretta del web è solo una illusione, un specchietto per i tordi internettiani seguaci di Grillo il pataccaro illusionista delle piazze.
La vera democrazia diretta non è quella di eleggere i rappresentanti politici attraverso il web, ma quella di esercitare la sovranità votando in ogni dove su tutte le questioni importanti e oltretutto non può essere che federale, assolutamente non centralista, referendaria e comunale come in Svizzera.
.


SULLA COSIDDETTA “DEMOCRAZIA DIRETTA” DEI GRILLINI
1 marzo 2016

http://www.glistatigenerali.com/partiti ... i-grillini

Quello della democrazia diretta è un concetto oggi forsennatamente brandito da variopinti capipopolo totalmente digiuni di ogni sapere politico e che pure trascinano con sé masse di giovani nonché un terzo dell’elettorato italiano. E ciò è da un lato semplicemente spaventoso perché irretisce una massa di ignari e di “absolute beginners” politici, un po’ meno dall’altro ove si consideri che questo democraticismo estremo è totalmente falso, ossia di facciata, un trucco. Ma non è paradossale la considerazione che l’oltranzismo dei grillini e la formula “uno vale uno” essendo una semplice frode a danno dei più per garantire un potere incontrollato alle oligarchie che governano il MoVimento ci sollevi dalla preoccupazione di un pericolo reale che le loro confuse asserzioni pur prefigurano?

Non è chiaro se i pensatori del MoVimento si richiamino a Rousseau ossia al suo democraticismo rigoroso che si rivolta in totalitarismo come ormai è pacifico fra gli studiosi che hanno letto il filosofo ginevrino dopo l’ubriacatura ideologica degli anni ’70, epoca che inscriveva il suo pensiero direttamente nel perimetro del democraticismo marxista visto allora come un punto progressivo e non quello spaventoso preambolo alla “democrazia totalitaria” del cosiddetto socialismo reale in cui la “sovranità generale” era amministrata dal Politburo in nome e per conto del proletariato.

In ogni caso è bene fare chiarezza anche sulla cosiddetta democrazia diretta di Rousseau appigliandoci a qualche studio recente sull’Illuminismo. Per schiarirci le idee in tema trascriverò due paginette (pp.58-59) di “Una rivoluzione della mente. L’illuminismo radicale e le origini intellettuali della democrazia moderna” di Jonathan Israel (Einaudi 2011) che sembrano scritte proprio per noi, per il nostro confuso quadro politico. (I grassetti sono miei).

«Rifiutando la diretta o “semplice democrazia” come la chiamava Paine, del tipo raccomandato da Rousseau, i primi artefici della rivoluzione filosofica democratica, in Olanda, come in Francia e in Gran Bretagna, cercavano una soluzione convincente al problema di come organizzare una democrazia effettiva e praticabile. Il principale strumento politico individuato era quello della rappresentanza intesa come modo di organizzare democrazie di vasta scala su basi realizzabili e stabili e di democratizzare le monarchie miste.
Un’idea chiaramente delineata da Diderot, d’Holbach e dalla loro “sinagoga” parigina intorno al 1763 per la voce “Représentants” nell’Encycolpédie, da quel momento fortemente presente nel lavoro, tra gli altri, di d’Holbach e Mably. Costituiva anche una delle differenze fondamentali tra quella che si potrebbe chiamare la linea principale dell’ideologia repubblicana radicale europea negli anni sessanta e settanta del Settecento, con la sua istanza per una stampa libera, non soggetta a regole, e il deviazionismo repubblicano di Rousseau, con la sua concezione radicalmente diversa di “volontà generale” e la sua richiesta di una forte censura sulla stampa*. L’idea che la sovranità popolare, essendo assoluta, non potesse essere delegata e che i rappresentanti avrebbero dovuto quindi sempre essere controllati, rigidamente comandati dai costituenti e soggetti a censura, restava infatti una delle dottrine fondamentali di Rousseau.

La concezione di Rousseau si sviluppò in seguito nella retorica rivoluzionaria della “volontà”, del sentimento e dalla sovranità popolare assoluta, che si opponeva all’impulso dell’Illuminismo radicale interno alla Rivoluzione francese, al discorso della “ragione”, come è stato opportunamente chiamato. ** La nozione di Rousseau di una sovranità “assoluta e inalienabile”, qualcosa che non poteva essere “né delegato né rappresentato”, richiede una forte censura della stampa, specialmente per controllare l’influenza dei philosophes modernes che egli accusava di propagare idee su Dio, l’anima, il patriottismo e le donne completamente contrarie a quelle della gente comune. Gli obiettivi politici di Rousseau, di conseguenza, miravano a un programma che i philosophes radicali – d’Holbach, Diderot, Helvétius e Mably, e tutti i più importanti portavoce dei patriotten olandesi – disapprovavano in misura diversa e volevano consapevolmente evitare. D’Holbach e Diderot, inoltre, negavano che il loro modello implicasse qualunque riduzione della libertà individuale rispetto a quella di Rousseau. Sovrana in apparenza, in realtà la gente comune in una democrazia diretta è schiava dei “demagoghi perversi” che sanno come manipolarla e adularla. Nella democrazia diretta la gente spesso non ha una concezione reale di che cosa sia la libertà e il suo governo può essere più rigido di quello del peggiore dei tiranni. La libertà senza la ragione, sosteneva d’Holbach, ha un valore in sé insufficiente; di conseguenza “la storia della maggior parte delle repubbliche – ammoniva – richiama di contunuo alla mente l’immagine sinistra di nazioni che fanno il bagno nel proprio sangue a causa dell’anarchia”

L’illuminismo radicale, dunque, è definito in parte da una netta, anti rousseauiana preferenza per la democrazia rappresentativa».


*J. Miller, Rousseau: Dreamer of Democracy, New Haven, 1984, pp- 64, 80, 116-18, 120.
** K.M. Baker, Reason and Revolution: Political Consciousness and Ideological Invention at the End of tre Old Regime, Dordrecht 1991, pp. 79-91.



La democrazia diretta secondo il M5s e la Casaleggio Associati
di Lorenzo Castellani
2016/12/19

https://www.ilfoglio.it/politica/2016/1 ... tta-111724

Se si volesse usare un’espressione della scienza politica si direbbe che quella imposta a Roma dai 5 stelle è una governance ibrida. Significa che istituzioni pubbliche e private si fondono insieme, annacquando i confini tra una società di capitali e il Comune di Roma, tra spazi della politica e funzionamento del management privato. Ciò che i grillini stanno mostrando nella Capitale, ma la dinamica si ripete anche altrove e persino su scala nazionale, è la sovrapposizione tra la Casaleggio Associati, la leadership carismatica di Grillo e le istituzioni pubbliche. Dal punto di vista dell’analisi politica stiamo assistendo ad un fenomeno inedito in cui profitti privati, leaderismo e governo della cosa pubblica s’intrecciano tra loro delineando uno scenario da romanzo utopico.

La democrazia diretta dei pentastellati è effettivamente “diretta” da una società privata e dal suo speaker. Per la prima volta la sovranità politica che si nutre della democrazia viene appaltata ad una società d’affari che si occupa del decision-making e delle nomine pubbliche. Vista al microscopio la struttura dei grillini si basa su due basi fondamentali: Grillo e la Casaleggio Associati. Intorno a questi si muovono gli eletti della rete e, quando conquistate, tutte le decisioni fondamentali della vita istituzionale. I due pilastri, società privata e leader, decidono inoltre il funzionamento politico: luogo e modalità delle riunioni, quando gli iscritti votano o meno sul blog, chi sale e chi scende nelle gerarchie del Movimento, quando si deve fare lo streaming o meno.

Lo staff della società di comunicazione decide, insomma, sugli strumenti per l’esercizio del potere. E’ una struttura complessa, ma abbastanza flessibile da poter essere piegata alla bisogna del momento. Fin tanto che le due basi fondamentali andranno d’accordo la molecola del Movimento 5 Stelle può continuare a funzionare, ma come ogni meccanismo di potere richiede la selezione continua di vincitori e vinti che le due matrici del partito stabiliscono a seconda delle occasioni e delle problematiche. Chi si mette di traverso viene espulso ed eliminato politicamente. Vediamo ora come, in termini partici, la governance ibrida dei grillini si organizza.

Prima di tutto la società privata detiene i simboli, gestisce tutta la comunicazione e i rapporti con la stampa, stabilisce meccanismi di accesso alla partecipazione, scrive i regolamenti, gestisce l’hub di siti e blog, guadagna con la pubblicità derivante dal numero delle visualizzazioni su queste piattaforme. In secondo luogo, questa profila i candidati ad una determinata carica e spinge quello che ha maggiori probabilità di successo elettorale verso la vittoria delle elezioni. Non esistono meccanismi pubblici di riscontro e verifica dei voti espressi quindi, per quanto è possibile saperne, il sistema di voto elettronico utilizzato dal Movimento potrebbe anche manipolare il numero e le preferenze effettivamente espresse dagli utenti. I risultati, insomma, potrebbero essere predeterminati o influenzati dalla Casaleggio&Associati. Lo stesso meccanismo si determina a livello nazionale sia in termini elettorali che mediatici in cui la società decidere chi sponsorizzare presso i media in un dato momento, chi prende parte alle decisioni, chi può scrivere o effettuare dichiarazioni, chi partecipa alle consultazioni e via dicendo.

Una volta al governo, il capo carismatico Beppe Grillo e il titolare della società privata, Davide Casaleggio, decidono come risolvere i problemi politici con riunioni riservate, telefonate, spostamenti di incarichi, sostituzioni, selezioni del personale politico. In questo caso, gli iscritti del Movimento non hanno facoltà di intervento o di voto su queste dinamiche. Infine, l'eletto firma un contratto con la società privata che gestisce il partito. Il contratto prevede che sulle questioni politico-giuridiche importanti l'eletto consulti la società privata per risolvere tali questioni secondo il volere del titolare e di Beppe Grillo. Se viola le regole viene disconosciuto, perde l’utilizzo del simbolo e deve pagare una sostanziosa penale.

Questa struttura e questo insieme di tecnologie del potere, qui descritte secondo il canone machiavellico della “realtà effettuale della cosa”, ha permesso, fino ad oggi, al Movimento 5 stelle di superare i momenti di impasse o difficoltà politica e di sfruttare i momenti favorevoli. La prova dei fatti, a livello elettorale, è l’oscillazione tra la stabilità nei consensi e la crescita elettorale. Una meccanica infernale, ma funzionante.

Certo, il successo di questi metodi non può offuscare una riflessione sulle conseguenze che questi determinano a livello politico e, sopratutto, istituzionale. Perché, nel caso del Movimento 5 stelle, le istituzioni e le decisioni pubbliche vengono colonizzate da una società privata. Gli elettori si limitano a scegliere i candidati quando e come la Casaleggio Associati lo richiede. Un sistema non troppo distante da quello dei vecchi partiti, ma con l'aggravante che in questo caso non esistono organismi collegiali e congressi regolati.

La partecipazione è one-shot: in un colpo solo quando disposto dal capo carismatico e dal titolare della società privata. Così i governanti eletti diventano, di fatto, dipendenti della società di comunicazione che possono essere licenziati in qualsiasi momento di difficoltà politica. Pubblico e privato si fondono a livello decisionale perché le decisioni pubbliche vengono prese da una società di capitali. Così il potere privato risucchia le istituzioni pubbliche. Il governo dei 5 stelle è un esecutivo privatizzato e contrattualizzato nel quale l’obbligazione contrattuale sostituisce l’obbligazione politica a livello fondamentale cioè nelle stanze del governo e nei meccanismi partitici. Un nuovo vincolo esterno è stato inventato e applicato: vincolo contrattuale attraverso cui una società di capitali gestisce, da lontano, le istituzioni pubbliche. Un assetto che mai è stato immaginato nemmeno nella più visionaria delle utopie ultra-liberiste.



Chi sono e come ragionano
Vincenzo Latronico
21 settembre 2017

http://www.corriere.it/sette/17_settemb ... 2984.shtml

«Perché ad Alcamo stanno facendo un lavoro eccezionale». «Perché gli altri sono tutti ladri e corrotti». «Perché è l’unico progetto politico partecipato dal basso». «Perché Fassino/Alemanno/Marino ha distrutto questa città». «Perché mi fido di Beppe». «Perché sono l’unica novità». «Perché con la loro incapacità faranno crollare il sistema e poi si potrà ricostruire». Da anni, quando incontro qualcuno che sostiene il Movimento 5 Stelle, sono abituato a chiedergli o chiederle le ragioni del suo voto. Le risposte che ottengo – fatta la tara agli insulti, e ai rifiuti opposti da chi sa che ogni tanto scrivo sui giornali – sono estremamente varie, e vanno dal riferimento a un’esperienza positiva di amministrazione locale all’odio per un altro partito ridotto a un nomignolo spregiativo; dalla fiducia nelle potenzialità rivoluzionarie della democrazia diretta online all’accelerazionismo di chi, sentendo una crisi in arrivo, vuole gettare benzina sul fuoco perché la catarsi sia più rapida e totale.

Sarebbe ingiusto vedere nella varietà di queste risposte un segno di inconsistenza ideologica. Negli anni qualunque elettore del Pd o dell’ex Pdl ha offerto un ventaglio di giustificazioni altrettanto ampio per le sue preferenze, con l’aggiunta di quel rassegnato «perché l’ho sempre fatto» che spesso è la motivazione più profonda. Ma a pensarci bene questa domanda, fatta agli elettori di un partito “tradizionale”, ha poco senso: perché la risposta vera quanto banale è «perché sono di sinistra/di destra», che sono etichette vaghe e mutevoli e spesso vuote, ma che qualcosa ancora vogliono dire. E chi vota il Movimento 5 Stelle cos’è? Come ragiona? Il Movimento 5 Stelle si è sempre definito «né di destra, né di sinistra», che di norma significa di destra. Eppure, per quanto oggi possa apparire implausibile, dietro la cortina fumogena dei cicli di notizie sempre più veloci e dalla propensione al revisionismo di certi suoi esponenti, nei suoi primi anni era animato da valori e parole che si riferivano esplicitamente alla sinistra più marcata, come in effetti attesta già il termine “movimento”.

Un bel saggio uscito la scorsa settimana per Rosenberg&Sellier – Il movimento nella rete, di Paolo Ceri e Francesca Veltri – offre una ricostruzione storica molto precisa dei primi anni del M5S. All’epoca, Grillo citava come modello operativo il forum no-global di Porto Alegre; i politici che invitava come interlocutori erano Bertinotti, Pannella e Pecoraro Scanio. A leggere le prime discussioni – sul “muro del pianto”, la sezione del blog di Grillo da cui è partito tutto; nei meetup “Amici di Beppe Grillo”, da cui sono nate le prime liste civiche – appare chiaro che molti attivisti della prima ora erano persone con un passato di impegno movimentista, deluse dall’irrilevanza o dai compromessi dell’attivismo tradizionale, in cerca d’altro. Oggi questo sembra cambiato. Nel 2011 Luigi Di Maio segnalava il suo sostegno facendosi fotografare insieme a un gruppo di rifugiati, il soggetto politico più debole e oppresso che vi sia al momento in Italia; oggi è fra i primi a sostenere complotti fra ong e scafisti in nome di un “aiutiamoli a casa loro” che richiama la retorica della Lega Nord. La sindaca di Roma, e molti dei suoi collaboratori, non vengono dall’esperienza dei movimenti di sinistra ma dalla destra romana. Se nel 2009 lo schieramento politico di riferimento di Beppe Grillo era il Pd (alle cui primarie ha provato a candidarsi), nel 2014 il M5S a Bruxelles ha aderito senza esitazioni al gruppo parlamentare dell’Ukip, un partito xenofobo dell’estrema destra inglese. L’anno scorso, il blog di Grillo ha celebrato la vittoria di Trump, tracciando un paragone esplicito con M5S.

Eppure il programma del Movimento presenta ancora un impianto sostanzialmente di sinistra, con riferimenti frequenti – seppure a volte un po’ vaghi o semplicistici – ai beni comuni, al reddito di cittadinanza, all’importanza di garantire un accesso democratico a istruzione e sanità. Questo programma non è stato redatto dall’alto, bensì scritto e votato dagli iscritti al M5S attraverso il “sistema operativo” Rousseau. Potrebbe quindi apparire che questi iscritti non siano completamente allineati con la faccia pubblica della dirigenza del Movimento, ma siano, per dir così, “più a sinistra” – come storicamente di sinistra è il richiamo alla democrazia diretta incarnato dalla piattaforma Rousseau. Ma quindi questi iscritti chi sono?

È sempre delicato cercare di trarre conclusioni dai commenti che si trovano in calce a una pagina o un post. I commenti aggressivi e gli insulti sono spesso più facili da scrivere, e condividere, delle analisi ragionate; quindi il tono sarà sempre falsato in quella direzione. Non giova il fatto che il punto di incontro in rete dei simpatizzanti del Movimento non è più tanto beppegrillo.it (che stando ai dati Alexa ha perso l’86% di traffico rispetto al picco del 2013, e riporta 100-150 commenti a post rispetto agli oltre mille di quattro anni fa), ma una frammentaria galassia di pagine Facebook. Questo rende più facile che i commenti siano accuse contro gli esterni – troll o semplicemente persone che non condividono le idee esposte – o generiche dichiarazioni di appoggio anziché contributi a una discussione di idee.

Sfogliando i commenti sul blog di Grillo, sulle pagine Facebook di Di Maio e Di Battista, sarebbe facile trarre la conclusione che moltissimi dei simpatizzanti del Movimento siano antivax xenofobi e ringhianti odiatori dei “pidioti”. Sarebbe una conclusione falsa. A dire il vero sul vecchio blog di Grillo la “discussione” non c’è mai stata: i commenti, di qualunque sorta, si affastellavano a migliaia uno dopo l’altro, senza possibilità di costruire conversazioni strutturate e senza che il proprietario rispondesse mai a chi gli scriveva. Nelle primarie dei cittadini 2.0 del 2009, il primo grande momento di democrazia digitale del M5S, su oltre cinquemila commenti ne è stato accolto esattamente uno. All’epoca si diceva che era un problema legato alla piattaforma, e che con Rousseau sarebbe cambiato tutto. Adesso Rousseau c’è, e se si vuole capire come si ragiona nel M5S, forse il posto dove guardare è lì.

Rousseau è un sito a cui può accedere, come ospite, chiunque; per partecipare occorre essere iscritti da un po’ di tempo. Le due sezioni principali sono quelle in cui le proposte di legge degli eletti del M5S vengono sottoposte a “vizi di forma”, “modifiche” e “suggerimenti” degli iscritti, e quella in cui sono direttamente gli iscritti a proporre le loro leggi. Qui i commenti sono molti di meno, nell’ordine di poche decine per ogni post; e per più della metà sono generici segni di accordo: legiferare pare meno appassionante che litigare online. Ma quelli che lo fanno spesso avanzano proposte informate e ragionevoli, sembrano rafforzare l’idea della “intelligenza collettiva” che rende possibile eleggere cittadini onesti ma impreparati come portavoce di un movimento di persone con ogni sorta di competenza. Ci sono giuristi che suggeriscono come migliorare il ddl intercettazioni, nutrizionisti che precisano la composizione delle bevande alternative al latte, biologi che studiano le infezioni ospedaliere. Però il sistema non prevede la possibilità di rispondere a un messaggio – né da parte del firmatario della legge, né degli altri commentatori – e così spesso si assiste a un dialogo fra sordi, e le proposte vanno inascoltate. Questo non può essere un caso, visto che il sistema è stato progettato appositamente dal M5S.

La distinzione fra “suggerimenti”, “modifiche” e “vizi di forma” è solo un’etichetta che contrassegna i post, ma non obbliga l’estensore della legge a reagire, anche solo per dire di no. Che io sappia, nessuna modifica proposta da un iscritto è stata finora apportata; su oltre tremila proposte dirette degli iscritti, ne sono state portate in parlamento sei. Il commento – tecnico e approfondito – di un poliziotto a una legge sulle intercettazioni inizia con un: «VI PREGO DI LEGGERE PER FAVORE». A vederli da qui, gli iscritti al M5S sembrano soprattutto inascoltati e soli. Eppure questa solitudine sembrano accettarla, benché neghi nella sostanza quello che nella forma è il principio di base del Movimento – la democrazia diretta, la comunicazione fra base e vertici, cioè, “portavoce” –; e continuano a commentare, rivolgendosi a rappresentanti che non rispondono.

La democrazia parlamentare ci abitua a tollerare una misura di dissonanza cognitiva. Un elettore di Berlusconi della prima ora darà più peso, fra sé e sé, ai proclami della “rivoluzione liberale” che non agli anni di governo personalistico e inefficace che vi hanno fatto seguito. Un elettore del Pd preferirà dirsi di aver contribuito a far approvare le unioni civili piuttosto che a far eleggere Clemente Mastella. Qualcosa di simile vale per gli elettori del M5S, un movimento costruito sulla partecipazione in cui parlare coi rappresentanti è molto più difficile che in un partito tradizionale, dove basta andare in sezione; un banco di prova della democrazia diretta in cui proliferano le decisioni prese dall’alto, le scomuniche a mezzo blog, i “comitati di garanti” e i contratti privati con la Casaleggio Associati; un partito né di destra né di sinistra che predica a sinistra e razzola a destra, offrendo qualcosa per tutti i gusti (a volte con espliciti falsi storici, come nel caso di una famosa intervista anti-euro che Grillo ha modificato, negli archivi del suo blog, per sostenere il contrario di ciò che diceva in origine).

In effetti, il tratto ideologico dominante del M5S sembrerebbe proprio questa capacità altissima di tollerare la dissonanza – di vedere ciò che ci piace o ci rispecchia, ignorando o svalutando tutto ciò che sembra contraddirlo. George Orwell lo chiamava bispensiero. Nel 2013, a ridosso del primo grande successo elettorale del M5S, ho scritto un breve romanzo sulla democrazia diretta online, un’idea che di per sé mi ha sempre attirato moltissimo (La mentalità dell’alveare, Bompiani, ndr). In esso, cercavo di mostrare come l’applicazione di quell’idea rischiava di deformarla – nonostante le migliori intenzioni da cui traeva la spinta propulsiva, una rabbia giusta e un fondatissimo bisogno di rinnovamento. I meccanismi della discussione online privilegiano certi atteggiamenti rispetto ad altri (l’accusa alla difesa, la polemica all’analisi); il codice invisibile che ne istituisce le piattaforme (come Rousseau, il cui funzionamento è noto solo alla Casaleggio Associati) determina cosa vediamo e cosa possiamo fare. È a tutti gli effetti un codice legale: con la differenza che alla legge, pagandone le conseguenze, si può trasgredire, ma su Rousseau no, si può fare solo ciò che è previsto.

Tutto questo fa sì che la politica online – soggetta agli arbitri della viralità, regolata da algoritmi di ranking e regole di visibilità dal funzionamento opaco, conservata in archivi mutevoli e soggetti a revisione – tende a creare una camera dell’eco in cui la realtà fattuale, politica, sociale fa sempre più fatica a penetrare. In un comizio o un’assemblea il dissenso si vede; in una votazione cartacea le schede si contano. Nella politica online, no; ed esiste solo quello che viene ammesso nelle piattaforme, selezionato dai filtri, promosso da chiunque abbia le password; e ogni confutazione sarà viziata dall’ostilità della fonte, o comunque accomodabile con un piccolo scatto ulteriore di bispensiero. «Roma è una città impeccabile, curata, pulita, decorosa» ha scritto George Orwell sul blog del M5S, a fine agosto 2017. «]…] Una città civile che sta compiendo il miracolo di far dimenticare decenni di malgoverno, di ruberie e di intrallazzi». «La guerra è pace», ha scritto Beppe Grillo nel romanzo 1984, «la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza». O era viceversa?



M5S, parla l'ex grillino Artini: "La democrazia diretta di Grillo? Una truffa"
Martedì, 21 marzo 2017

http://www.affaritaliani.it/politica/m5 ... 69804.html

“Il caso Genova? Nemmeno Forza Italia aveva mai fatto una cosa del genere! Quanto a squallore, è superiore al ‘che fai, mi cacci?’ di Fini”. Massimo Artini, ex deputato del M5s, è stato appena nominato portavoce di Alternativa Libera, gruppo parlamentare che da domenica scorsa è anche una costituente. L’obiettivo è “riu nire sotto un’unica bandiera coloro che hanno creduto nel Movimento 5 Stelle e che hanno assistito al tradimento di tutti gli ideali che hanno portato alla sua nascita”.

Artini è molto severo sulla decisione di Beppe Grillo di annullare le “comuna rie” di Genova, togliendo il simbolo alla candidata che aveva vinto la sfida interna al M5s. “Fidatevi di me”, ha detto l’ex comico”. “Ma non puoi avere come cardine la democrazia diretta – dice Artini – se poi arriva uno che si sveglia la mattina e dice che ti devi fidare di lui e che il risultato è sbagliato. Noi di Alternativa Libera abbiamo votato tutto online, in maniera condivisa, dalle regole alle linee programmatiche, senza capetti. Sì, siamo pochi, ma le cose vanno strutturate fin dall’inizio. Altrimenti, che cos’è la democrazia? Se ognuno dice la sua e poi decide solo uno, non è democrazia. Mi ricorda ‘Lui è tornato’ (libro e film che raccontano un universo alternativo in cui Hitler non è morto ma è rimasto ibernato per 70 anni, ndr). A un certo punto Hitler spiega il concetto di democrazia: è il popolo che mi dà il potere e io faccio quel che mi pare”.

Artini pensa che Alternativa Libera debba fare alleanze, coinvolgere quante più liste civiche e associazioni possibile. “Da sola AL non va da nessuna parte. Dobbiamo essere un insieme di persone, ma senza personalismi. Prendo il mio caso: non è detto che io debba essere confermato in Parlamento, anzi: lavoro perché chi se lo merita si metta in gioco e consegua un risultato, perché è giusto che chi è più bravo vada avanti. Anche da noi ci sono state votazioni totalmente inaspettate, ma le abbiamo rispettate”. La vicenda di Genova, per Artini, è molto grave. “Nel M5s la gente sta ingoiando tante cose, in particolare i parlamentari, che o vogliono mantenere la seggiola o non ne possono più e aspettano solo che finisca l’anno di parlamento che resta. La situazione in Parlamento è imbarazzante; i deputati e senatori del M5s hanno bisogno di farsi riconfermare, altrimenti tornano nella vita a fare niente”. Per Artini è significativo che Beppe Grillo riesca a far passare qualsiasi decisione senza che nessuno protesti.

“In un sondaggio per la trasmissione ‘Matrix’ di qualche giorno fa c’era un dato indicativo: solo il 7 per cento del 29 per cento del M5s di oggi ha votato Grillo nel 2013. Il rimanente 93 per cento è costituito da un nuovo elettorato che non ha alcuna idea di cosa sia la partecipazione, è un elettorato bue. Se dice una cosa Grillo, va bene. Io penso invece che il M5s dovrebbe mettere in pratica le parole che usa, a partire dall’onestà”. Ma a Grillo e Casaleggio junior non interessano né la coerenza né i voti per governare davvero, “a loro bastano quelle 500 mila persone che fanno 40 clic a testa e producono 20 milioni di clic: servono alla Casaleggio per avere una buona statistica sulle loro azioni mediatiche”. Insomma, la democrazia diretta è una truffa? “Quella del M5s, sì, è una truffa. Noi invece abbiamo fatto qualcosa di chiaro e trasparente, che non ha dato problemi, e a costi irrisori. E mentre Rousseau, la piattaforma del M5s, è di proprietà di Casaleggio, la nostra, Sinapsi, è del gruppo di associazioni di cui fa parte anche Alternativa Libera. Io quindi non ho il potere fare quello che voglio”. Grillo, invece, sì.




M5S, Casaleggio: "Il nostro è il trend della democrazia diretta. Sceglierete online premier e ministri"
Martina Castigliani
18 ottobre 2015

https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/1 ... ri/2137913


Quando ormai si pensava che il Movimento avrebbe preso tempo ancora, Gianroberto Casaleggio è salito sul palco di “Italia 5 Stelle” e ha fatto l’annuncio: la futura squadra di governo sarà scelta in rete. Così come il candidato presidente del Consiglio e pure come il programma “che sarà pluriennale perché basta governare con le emergenze”. Parole ovvie per gli attivisti, ma che se dette dal fondatore che, piaccia o no, siede nella stanza dei bottoni del Movimento, suonano un po’ più ufficiali del solito. I tempi? Sarà una procedura che partirà poco prima delle elezioni per non bruciare i volti. Gli esterni qualificati che possano fare il governo dei migliori? Lo pensano in tanti, ma non si può dire anche se è da sempre l’idea che ha in testa Casaleggio. Sarebbe il “governo di chi può fare meglio”, ma con un’incognita: la sua indipendenza di pensiero quando rispettare il programma è quasi l’unica regola imprescindibile. Dettagli in fondo che saranno definiti più avanti e comunque a dire l’ultima parola saranno gli iscritti.

Morale: niente corse per la poltrona, niente assemblee a porte chiuse o neppure consultazioni del direttorio. Il governo sarà scelto dal basso: “Noi siamo un trend”, ha detto Casaleggio dal palco, “che è il trend del futuro. Il trend della democrazia diretta e delle rinnovabili”. Torna a ronzare nelle orecchie l’idea della democrazia diretta del M5S. Per carità non se ne era mai andata, eppure gli ultimi voti online scarseggiano nella memoria. Gli iscritti non hanno votato, tanto per fare un esempio, per il nome da proporre al cda Rai e la candidatura di Carlo Freccero è nata dopo alcuni colloqui riservati. Sembrava, quello sì, che il trend fosse di fare più i mediatori politici e meno gli “informatici” in attesa di indicazioni dalla rete. Ora a rimettere la partecipazione degli iscritti al centro della scena è stato colui che fino a questo momento più volte è stato contestato per la gestione verticistica del voto online.

I 20mila militanti scarsi che sono arrivati all’Autodromo di Imola di partecipazione dal basso ne sanno qualcosa. Meno del previsto, sono però quelli che hanno affollato stand, gazebo e dibattiti pubblici per discutere dai palchetti e confrontarsi. “Ognuno di voi può cambiare le cose”, ha detto Luigi Di Maio che vive l’ansia di smarcarsi da una candidatura di chi corre favorito per vincere e poi è il primo a rischiare di cadere lungo il percorso. “Noi vogliamo che tutti possano partecipare alla cosa pubblica. E tutti devono poter dire la loro, anche quelli che non ci hanno votato”. Il vicepresidente della Camera ha poi ribadito alcune delle proposte dei 5 Stelle: il vincolo di mandato, il referendum propositivo, il recall, cioè la verifica periodica, da parte degli attivisti, del lavoro degli eletti. Insomma modi per chi sta in fondo alla catena di far valere le proprie idee su chi invece è in posizione di comando. “Siamo entrati nelle istituzioni per restituirvele”, ha chiuso prima di lasciare la parola a Grillo e Casaleggio.

Dal palco dell’Autodromo il clima è di quelli nuovi. Tutti a smentire potere e capacità, tutti a correre dietro nelle seconde righe. Ci si mette anche Grillo facendo sempre più l’artista e sempre meno il politico. “Sogno un Movimento senza il mio nome nel logo”. Anche se poi se ne va cantando “everybody needs somebody“, della serie i 5 Stelle di quella faccia hanno ancora bisogno.

Il Movimento che torna alla rete fa così una scelta: rispettare le regole costi quel che costi e non snaturarsi. Sceglie di restare ancorato ai principi degli inizi e si prende il rischio: che fare la politica a modo loro voglia dire non andare ancora al governo.




Il Movimento 5 Stelle e la democrazia
8 gennaio 2018
Mauro Piras

http://www.leparoleelecose.it/?p=30581

I grillini amano sorprenderci sempre, in materia di democrazia rappresentativa. Li avevamo lasciati, all’inizio di questa legislatura, fermi nella loro idea che il voto di fiducia non fosse indispensabile alla nascita di un governo: basta trovare le maggioranze su ogni singolo provvedimento, dicevano, chi vuole appoggiarci ci voti quando vuole. E per cinque anni hanno denunciato come un crimine più o meno tutti i voti di fiducia. Ora invece, sorpresa, la fiducia diventa una sorta di totem. Che cosa è successo?

Il nuovo Codice etico e il Regolamento per la selezione dei candidati alle elezioni 2018 adottati dal Movimento 5 Stelle in vista delle prossime elezioni, e resi pubblici in questi giorni, contengono alcune novità. Per esempio, l’avviso di garanzia non è più un’infamia che impedisce la candidatura: saranno gli organi di garanzia a decidere caso per caso. Una ragionevole revisione dell’intransigenza originaria. Oppure, un altro punto, ingiustamente criticato: le candidature per i collegi uninominali non vengono decise dalla rete, ma dal Capo Politico del Movimento. Partitocrazia? Forse, ma tutto sommato meglio così: in fondo è sensato che le candidature siano definite politicamente, e non con elezioni online di dubbia legittimità democratica.

Invece non ha suscitato grandi critiche una regoletta che, a prima vista, appare incostituzionale: i parlamentari del Movimento 5 Stelle sono obbligati “a votare la fiducia, ogni qualvolta ciò si renda necessario, ai governi presieduti da un presidente del consiglio dei ministri espressione del MoVimento 5 Stelle” (Codice Etico, art. 3). Un’idea strabiliante. In questo modo si impone uno strettissimo vincolo di mandato ai parlamentari Cinque stelle, vincolo che però non viene imposto agli eletti dai loro elettori, ma dal governo stesso, rovesciando così il senso del voto di fiducia nella democrazia parlamentare. Vediamo meglio la cosa.

Togliere ai rappresentanti Cinque stelle la libertà di votare contro il proprio governo nel caso del voto di fiducia mina la democrazia rappresentativa da due punti di vista: viola la divisione dei poteri propria di qualsiasi costituzione rappresentativa, e viola il rapporto tra Parlamento e governo specifico della democrazia parlamentare.

1) La divisione dei poteri definisce una costituzione, secondo una venerabile formula della Dichiarazione dei diritti del 1789: un paese senza divisione dei poteri non ha costituzione, perché il potere si può accentrare in un solo uomo o in un solo organo, diventando così arbitrario. Questo principio definisce ogni regime politico fondato sui diritti individuali dei cittadini. Ovviamente, definisce i regimi politici in cui una assemblea di rappresentanti del popolo detiene il potere legislativo. La libertà di voto di questi rappresentanti garantisce la libertà del legislativo dall’esecutivo. Se i rappresentanti vengono assoggettati a un obbligo di voto esterno, vedono ridotta questa possibilità di limitare i poteri dell’esecutivo. Se tale obbligo viene dall’esecutivo, vengono direttamente assoggettati a esso. Ed è esattamente quanto accade con il nuovo regolamento M5S: se si formasse un governo a guida grillina, i parlamentari di questo movimento perderebbero la libertà di votare secondo la propria coscienza a ogni voto di fiducia, e verrebbero assoggettati direttamente alla volontà politica del governo. La separazione dei poteri, nei rapporti tra parlamentari Cinque stelle e governo, cadrebbe.

2) Ciò che vale per ogni democrazia rappresentativa fondata sulla divisione dei poteri viene declinato in modo specifico nella democrazia parlamentare. Qui, il governo è espressione della maggioranza parlamentare. Perciò, per avviare le sue attività, deve passare per il voto di fiducia. E deve dimostrare di avere la fiducia della sua maggioranza per tutta la sua durata. Se la perde, cade. In questo vincolo si esprime la divisione dei poteri: attraverso il voto di fiducia, il Parlamento controlla l’operato del governo. Se esso si discosta da quanto espresso dalla maggioranza che lo sostiene, questa ha lo strumento per farlo cadere. Tutto ciò presuppone però la libertà di voto dei parlamentari e l’assenza del vincolo di mandato: i singoli parlamentari devono poter giudicare liberamente il governo, senza essere vincolati da patti che altrimenti renderebbero il governo del tutto libero dal loro controllo. Il vincolo di mandato da parte degli elettori impedirebbe ai parlamentari di votare in coscienza. Se questo vincolo viene poi direttamente dal partito di governo, li assoggetta direttamente a questo eliminando la divisione dei poteri, come già detto: ma questo è più grave nelle democrazie parlamentari, dove il governo è emanazione della maggioranza parlamentare. Il voto di fiducia viene stravolto e rovesciato: invece di permettere il controllo del Parlamento sul governo, diventa uno strumento di controllo del governo sul Parlamento. È il mondo alla rovescia: non è più il governo a essere responsabile di fronte al Parlamento, ma questo di fronte al governo.

Tutto questo è gravissimo. E sorprende che, a parte qualche timida reazione politica, non sia stato oggetto di una grave reazione nell’opinione pubblica, soprattutto da parte di quanti l’anno scorso hanno difeso la Costituzione dalla “deriva autoritaria”. Certo, si può obbiettare che spesso, con accordi politici o, peggio, con pressioni politiche, i partiti vincolano i loro parlamentari nei voti di fiducia, e anche questo limita, di fatto, la divisione dei poteri e la libertà del Parlamento. La cosa è del tutto vera, ed è la ragione per cui il ricorso eccessivo ai voti di fiducia viene condannato unanimemente, e andrebbero trovati meccanismi istituzionali che lo scoraggino. Tuttavia, nessun partito aveva mai posto dei vincoli formali così pesanti. Esplicitare e formalizzare questi vincoli significa rendere inevitabile la dipendenza dei parlamentari dal governo, e esautorare il loro potere.

Come mai i grillini, nemici giurati del voto di fiducia, sono giunti a questo rovesciamento? Blindare così il voto di fiducia sempre significa infatti violare l’idea originaria secondo cui il governo deve procurarsi la maggioranza su ogni provvedimento. In realtà, la contraddizione è solo apparente. Il rifiuto del voto di fiducia nel 2013 e la sua “blindatura” oggi hanno la stessa radice: il rigetto della democrazia rappresentativa in nome di una confusa idea di democrazia diretta. Il principio di partenza è questo: il rappresentante politico deve parlare e agire in nome del popolo, questo deve esercitare direttamente la sua sovranità tramite la partecipazione ai meet-up, la discussione e il voto sulle piattaforme online e un controllo continuo dei rappresentati. Il M5S quindi vuole imporre il vincolo di mandato come chiave della democrazia, contro tutta la tradizione della democrazia rappresentativa. Il problema è che questo “innesto di elementi di democrazia diretta nella democrazia rappresentativa” diventa deleterio nel momento in cui dall’opposizione si passa al governo. Il vincolo di mandato che l’elettore dovrebbe imporre all’eletto viene infatti interpretato in questo modo curioso: l’elettore ha dato mandato al proprio partito di governare, quindi gli eletti in Parlamento devono chinare la testa di fronte al governo, che è una sorta di “espressione diretta” della “volontà popolare”. La sovranità si trasferisce magicamente dal popolo sovrano al governo. I grillini hanno chiamato Rousseau la loro piattaforma online, ma forse Jean-Jacques si sentirebbe preso in giro da questa fine ingloriosa della sua teoria: il “governo” che prende il posto del “sovrano”!

Alla radice di queste pericolose derive istituzionale sta proprio il senso dell’operazione grillina: contestare la democrazia rappresentativa senza proporre un coerente e sensato modello istituzionale alternativo; questo porta a innestare in modo disordinato elementi di democrazia diretta nelle istituzioni rappresentative, perdendo il controllo dei loro effetti. Perché in realtà il M5S non esprime una vera alternativa di regime politico, come a volte cerca di far credere, ma soltanto un male radicale della democrazia, non solo italiana, e cioè una profonda crisi di legittimità. Il suo successo elettorale si regge sulla fusione di diversi elementi: la denuncia della corruzione e della autoreferenzialità di una classe politica che, da decenni, non dà risposte alle esigenze reali dei cittadini; una rivendicazione di partecipazione attiva e di solidarietà sociale; la denuncia delle diseguaglianze e delle ingiustizie provocate dalla crisi economica e dal “turbocapitalismo”, denuncia fatta dalla prospettiva di un “sovranismo nazionale” in economia; la difesa dell’identità nazionale italiana e di posizioni conservatrici sul terreno dei diritti civili. Questo “mélange adultère de tout” non è una debolezza, come molti credono, ma una forza, perché l’ambiguità che fa muovere il M5S tra il sovranismo di destra e la democrazia partecipativa e sociale di sinistra coglie disagi e malumori da tutti i lati, li coagula e lo porta a prevalere sulle incertezze o i pragmatismi degli altri partiti. Soprattutto, questa miscela raccoglie il vero motore delle elezioni politiche recenti in tutti i paesi democratici avanzati: la crisi di legittimità dei sistemi politici tradizionali, dell’establishment.

I risultati di tutte le tornate elettorali recenti lo hanno mostrato chiaramente: l’elezione di Trump negli Stati Uniti; le elezioni in Olanda, dove i liberali hanno vinto con una percentuale di voti piuttosto bassa, in un quadro politico molto frammentato; le elezioni presidenziali in Francia, dove Macron ha vinto cavalcando una parte di quello spirito antisistema, e comunque il quadro politico si è frammentato in quattro parti, di cui due dichiaratamente “antisistema” e “sovraniste”; l’affermazione politica di Corbyn in Inghilterra, fondata su una sorta di nazionalismo di sinistra, e comunque, anche qui, su una rottura netta con l’establishment del suo partito; e infine, clamorosa, ma solo per chi non aveva saputo riconoscere queste forze sotterranee, la situazione in Germania dopo le elezioni, che ha prodotto un quadro di ingovernabilità a causa della crescita improvvisa delle forze antisistema, e della posizione del tutto “non istituzionale” assunta dai “liberali” di Lindner. In tutte le democrazie avanzate il tema che viene intonato è lo stesso: la sfiducia nei confronti delle classi politiche che hanno guidato la costruzione di questi regimi nel secondo dopoguerra, che hanno amministrato prima il difficile equilibrio tra economia di mercato e stato sociale, poi il passaggio traumatico alla competizione globale e a politiche economiche più o meno liberiste. Fino a quando queste scelte hanno prodotto risultati, quelle classi politiche hanno tenuto. Quando la competizione globale nel mercato del lavoro e la crisi economico-finanziaria hanno accresciuto le diseguaglianze e la precarietà dentro queste società, il loro credito è crollato. Ma attenzione: la crisi sociale attraversata da queste società è particolare. Si tratta di società ricche: è una classe media agiata che ha visto ridursi il proprio benessere e le proprie ricchezze, e che reagisce quindi con sentimenti di chiusura, di difesa delle proprie posizioni, rifiutando di vedere ingiustizie più grandi alle proprie porte. Rifiutando di vedere quanta ricchezza è stata creata, invece, in altre parti del mondo; rifiutando di riconoscere la nuova classe media che nasce dallo sviluppo dei paesi emergenti. Non è una forma di protesta che genera potenziali rivoluzionari, rivendicazioni di giustizia sociale o forme di solidarietà; è una forma di protesta che genera paura, insicurezza, chiusura, ostilità verso l’esterno. Ecco perché le forze politiche che se ne alimentano hanno contenuti ambigui: denuncia sociale e chiusura nazionalista, in una formula. Quanto più è ambiguo l’insieme, tanto più è forte la politica che se ne nutre.

Il M5S è la più forte di queste forze politiche dette troppo sbrigativamente “populiste”, perché le sue radici sono più profonde: la delegittimazione della politica, in Italia, non si regge solo su questa vicenda di “crisi della modernità postbellica”, ma anche su una inadeguatezza della classe politica e del sistema politico ben più antichi: l’Italia vivacchia, senza trovare una via delle riforme e dell’innovazione del sistema economico, da almeno venticinque anni, se non più; e le ingiustizie sociali generate dalla globalizzazione e dalla crisi rendono ancora più inaccettabili i “privilegi della casta”, molto più che in altri paesi, molto più di prima. Se a questo si aggiunge una tradizione di diffidenza dello Stato nei confronti dei cittadini, e di slealtà dei cittadini nei confronti dello Stato, che ha radici antiche, ecco che la forza propulsiva del M5S è la più semplice: la condanna della politica “ladrona”, la lotta contro il “Palazzo”, l’antipolitica. È questa la molla più potente, che sfugge a qualsiasi altra forza politica, dal momento che qualsiasi altra forza politica è stata parte di quel sistema contro cui il “popolo” si scaglia. Le cose più semplici e irrilevanti – la questione dei vitalizi, per esempio – diventano delle micce politiche potentissime, e nessuna soluzione ragionevole, nessun ragionamento che ne mostri la scarsa incidenza sui bilanci pubblici riescono a ridurne la portata, politica ed elettorale. Gli altri partiti si trovano quindi al traino.

La parola che sta dietro tutto questo è una: sfiducia. La crisi di legittimità della politica in Italia è una gigantesca crisi di sfiducia: dei cittadini nei confronti delle istituzioni, dei cittadini tra loro. I cervellotici meccanismi ideati dai grillini, che vogliono sottoporre tutto a controllo, in modo ossessivo, esprimono questa radicale crisi di sfiducia che continua ad attraversare tutta la società italiana, e che sfascia la politica. E così, come sempre, è su problemi relativi alla “fiducia” parlamentare che viene fuori la vera natura del M5S: essere il partito della sfiducia, il partito del controllo nevrotizzato su ogni azione politica, perché non c’è nessuna fiducia nel giudizio e nella libera coscienza degli altri. Questo estremismo traduce in politica una sensazione di cui facciamo troppo spesso l’esperienza nella vita sociale. Questa traduzione politica è la sua energia propulsiva. Il problema è che, se questa idea trova la strada verso la maggioranza di governo, il controllo ossessivo rischia di rovesciarsi, come abbiamo visto, nell’assenza di controllo, nell’arbitrio del potere che si autolegittima perché si considera “espressione diretta del Popolo”, “governo della virtù”. Il passo successivo rischia di essere il “terrorismo della pura intenzione”, secondo un’altra venerabile formula.



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Per una democrazia diretta
Rodolfo Sideri
27 Febbraio 2018

http://www.ilpensieroforte.it/cultura/4 ... ia-diretta

Si usa sempre, come si ricordava la precedente settimana, derubricare l’idea di democrazia diretta come concepibile e utilizzabile solo in piccole comunità, ma, nello stesso tempo, è un mantra dei tempi moderni affermare con compiacimento (chissà perché) che il mondo ha ormai dimensioni ridotte e viviamo in un villaggio globale, per usare ancora l’espressione di McLuhan.

Se davvero le dimensioni del pianeta si sono ridotte, quelle di un singolo Stato nazionale, l’Italia ad esempio, devono essere diventate microscopiche, facendo tornare attuale e possibile una democrazia diretta, unico e forse ultimo rimedio alla progressiva perdita di democrazia che si sta rapidamente consumando in Europa (altrove è lecito dubitare ci sia mai stata). A determinare il rimpicciolimento del pianeta molto ha contribuito la comunicazione internettiana e in genere quella digitale. Si tratta allora di pensare come sfruttare un mezzo generalmente utilizzato per fini ludici e/o di progressivo svuotamento delle intelligenze, in modo che possa funzionare in vista di una democrazia diretta 2.0. Ad esempio, si potrebbe pensare di sottoporre tutte le leggi proposte, in un parlamento che certo va ripensato diversamente, al voto digitale.

Ogni cittadino, dotato di una chiave d’accesso equivalente alla tessera elettorale, potrebbe esprimere il proprio voto direttamente a favore o contro la legge proposta. Non si tratta del metodo grillino, tipico di una falsa democrazia, dove si tratta di dire sì o no a una delega o a un rappresentante, ma di esprimere direttamente la propria approvazione o riprovazione alla legge proposta. Compito del governo o dei partiti sarebbe quello di fornire una spiegazione chiara e comprensibile della legge, di spiegarne gli effetti positivi se la si ritiene utile o negativi se ci si oppone alla sua approvazione, in modo da consentire al cittadino di avere contezza di cosa è chiamato a decidere, ovviamente con un voto che rimane segreto.

Se il cittadino elettore non si informa è probabile che neanche voterà, in considerazione che nessuno voglia votare a caso procurando un danno alla collettività e quindi a se stesso, e se non voterà, lascerà che a decidere anche per lui saranno gli altri. Anche questo è lecito in democrazia, benché ci sia da aspettarsi che responsabilizzato così fortemente, il cittadino possa ritrovare una altrettanto forte motivazione alla politica e alla discussione politica che potrebbe, ma forse si esagera nelle speranze, persino sostituire, almeno nell’ordine gerarchico, quella di carattere calcistico. Si diceva come il parlamento andrebbe ripensato, anche per garantire una produzione legislativa, che in questo caso avrebbe carattere di mera proposta, contenuta nei numeri, in modo da rendere possibile un serio interesse da parte della popolazione, ma al contempo garantire anche un livello qualitativamente superiore alle leggi che stabiliscono le dimensioni degli ortaggi o il divieto di parlare al conducente.

Si tratta di definire meglio i caratteri di un’idea che potrebbe diventare programma di una forza politica che si proponga di salvare le sovranità nazionali e con esse la democrazia. Il dibattito è benvenuto.



M5s, la vera piattaforma di e-democracy non vedrà mai la luce
Lorenzo Andraghetti
2017/01/23

http://www.lettera43.it/it/articoli/pol ... uce/207946

Il 17 gennaio 2017 è stata presentata alla Camera una nuova funzione della piattaforma Rousseau del Movimento 5 stelle, chiamata “sharing Rousseau”, ovvero una sorta di Google drive delle buone pratiche degli amministratori locali grillini che in questo modo possono condividerle tra loro prendendone spunto e adattandole di volta in volta al proprio caso. Quella di “sharing Rousseu” è l'ennesima presentazione di una nuova funzione della nota piattaforma del M5s che nel corso degli anni ha più volte cambiato nome, ma che non è mai diventata, nemmeno ora, quello che sarebbe dovuta divenire già dal 2012, ovvero uno strumento per scrivere (assieme agli iscritti) il programma elettorale pentastellato.

UNA CHIMERA DAL 2009. La grande novità politico-organizzativa del M5s delle origini, quello del 2009 per intenderci, aveva come fulcro una piattaforma (o un portale) online in gestione agli iscritti al blog (non alla Casaleggio srl) che avrebbe dovuto fungere da collettore tra tutte le realtà territoriali e con appositi spazi riservati per ogni Comune o Regione. Il principale obiettivo della piattaforma, dichiarato dallo stesso Grillo in numerosi post e video sul suo blog, era quello di creare un programma elettorale condiviso per le elezioni politiche nel momento in cui il M5s si fosse presentato agli elettori di tutta Italia.

BOICOTTAGGIO SISTEMATICO. L'annuncio fu dato ufficialmente a Milano nel 2009, durante la fondazione del Movimento al Teatro Smeraldo dicendo: «Ci sarà tempo per discuterlo (il programma, ndr) insieme in Rete, migliorarlo, cambiarlo nei prossimi mesi». E in seguito ripromesso perfino nel comunicato politico numero 34 dell'agosto 2010: «Abbiate pazienza, sta arrivando (il portale, ndr)». A oggi il programma non è mai stato discusso in Rete e questa funzione tecnica, nella piattaforma attuale, continua a non esserci. Ma c'è di più: nel corso degli anni chiunque abbia tentato di velocizzare la creazione o l'implementazione di uno strumento di e-democracy con o senza il consenso di Casaleggio è stato sempre boicottato.

Breve excursus storico: la piattaforma è stata la priorità per buona parte dei militanti del M5s per molti anni, e in un video girato a febbraio 2012, Casaleggio, in visita al Meetup di Roma, prometteva l'implementazione di Liquid Feedback per tutti gli iscritti al blog e la sua realizzazione entro la fine di quell'anno, che avrebbe permesso le votazioni online per i candidati alle Politiche.

PROMESSE DISATTESE. All'epoca già si notavano parecchi mal di pancia proprio a causa delle promesse che non venivano mantenute (sin dal 2010) ma, nonostante ciò, a fine 2012 non arrivò alcun portale (come promesso per due volte nel corso dell'anno) e il programma elettorale non fu mai discusso né ampliata la bozza del 2009. Arrivò solo la funzione di votazione online dei futuri candidati al parlamento. All'epoca del 2012, alcuni gruppi locali del M5s, stanchi di attendere la piattaforma, avevano già implementato l'uso di Liquid Feedback con buoni risultati. Inizialmente lo fecero i siciliani per tutta la regione in vista delle elezioni locali (2012), e poi la Lombardia (2013).

Ma è nel 2013 che la questione della piattaforma prese fuoco nei Meetup e a mezzo stampa. Colpa un'intervista di giugno del 2013 al Corriere, poco dopo l'ingresso in parlamento, in cui Casaleggio spiazzò tutti e iniziò a parlare non più di Liquid Feedback, «piattaforma» o «portale», ma di «applicazione» (da notare il terzo cambiamento semantico in due anni per definire la stessa cosa). In quella intervista si capiva che lo sviluppo dell'applicazione non avrebbe avuto come software Liquid Feedback, bensì un sistema ex novo progettato direttamente da un'azienda di Milano: Lex.

BARILLARI FECE UN ESPERIMENTO. Arrivati a settembre però, i senatori del M5s, privi di qualcosa che li aiutasse a prendere le decisioni politiche (su temi fuori dal programma elettorale) coinvolgendo gli iscritti, dichiararono aperta una crisi di rappresentanza proprio in mancanza della famigerata piattaforma. Ma andarono oltre: organizzarono autonomamente una presentazione a Palazzo Madama di un sistema di e-democracy, “Parlamento elettronico”, ideato dal Consigliere regionale del M5s Lazio, Davide Barillari, che lo aveva sviluppato nel corso di un anno (in accordo con Casaleggio) e che aveva appena dato il via a un esperimento su scala locale.

MA LA CASALEGGIO LO DELEGITTIMÒ. L'affronto era compiuto e la risposta di Casaleggio non si fece attendere: col solito post scriptum in coda a un intervento sul blog delegittimò ogni piattaforma non certificata dalla società di Milano, togliendo ogni speranza ai senatori pentastellati di veder nascere un vero sistema di democrazia diretta online. Ma allo stesso tempo promise, nello stesso post, un piattaforma certificata entro fine settembre 2013. La promessa, ancora una volta, non fu mantenuta.

Barillari riuscì comunque a presentare il suo progetto alla Camera, soltanto un anno dopo, su invito di due deputati pentastellati che organizzarono una conferenza per l'occasione. Soltanto a fine ottobre Casaleggio saltò fuori con un post rivelando al mondo che quello che attivisti, senatori e giornalisti chiedevano da tempo era già sotto i loro occhi e in fase di costruzione da ben due anni. Non era un portale, una piattaforma o un'applicazione, bensì un “sistema operativo" Ovvero l'ennesima presa in giro in stile: quello che abbiamo sempre promesso? C'è sempre stato! E la reazione della base finì sui giornali al primo incontro con gli eletti.

FINTE RIVOLUZIONI EPOCALI. Il sistema operativo annunciato a inizio ottobre vide realmente luce (ma come, non c'era già?) alla fine del mese e fu presentato sul blog come una rivoluzione epocale. La funzione che avrebbe permesso di definire e votare il programma in Rete, ovviamente, non c'era. In cosa consisteva il nuovo “Lex” pentastellato diventato improvvisamente sistema operativo? Permetteva ai parlamentari di caricare una legge e farla commentare agli iscritti. Una funzione che già da anni era disponibile, per esempio, su Facebook. E a demolire punto per punto ogni falla e inconsistenza del nuovo “gioellino” della Casaleggio srl fu proprio lui, Davide Barillari.

Passato l'ottobre di fuoco della piattaforma e ormai rassegnati, non vi furono più proteste da parte dei parlamentari fino alla fine del 2014, ma uno di loro cercò, dapprima collaborando, poi in modo autonomo, di dar vita a una vera piattaforma in mano agli attivisti (gestita dai parlamentari) dove si potesse votare anche su questioni che non dipendessero dalla volontà del blog.

LE RAGIONI DEI RITARDI? SOLO SCUSE. Massimo Artini, questo il suo nome, si adoperò per mesi alla ricerca di un accordo con Casaleggio, andando direttamente a Milano, fino a quando non si accorse anche lui che le motivazioni addotte per i ritardi sullo sviluppo del portale erano semplici scuse. Casaleggio non voleva perdere il controllo della piattaforma (sapendo che è lì il centro del potere) e non aveva intenzione di concedere ulteriori funzioni decisionali via web che avrebbero reso compiuta quella rivoluzione tanto sbandierata sin dal 2009.

Artini, invece che arrendersi, da informatico sviluppò un codice, sfruttando l'open source della piattaforma di Casaleggio (i dettagli sono complessi da spiegare), per poter far votare gli iscritti al blog su qualsiasi tema. Fece una prova con la sua commissione, la Difesa, ebbe alcuni problemi ma riuscì nell'intento di sfruttare il database degli iscritti al blog senza possederlo (è di Casaleggio) facendoli votare sul tema della “rappresentanza militare”. L'affronto fu punito. Pochi giorni dopo, con la scusa dei soldi, Artini fu espulso dal M5s.

TUTTO IL RESTO È PALLIATIVO. Morale: chi doveva sviluppare la piattaforma avrebbe potuto farlo già nel 2010. Chiunque abbia tentato di dare un vero strumento di e-democracy al M5s è stato sempre boicottato. A oggi le funzioni decisionali per la democrazia diretta non ci sono. Nemmeno il programma per le Europee 2014, con sistema operativo funzionante e molto tempo a disposizione, è stato creato e discusso in Rete. Ogni annuncio di nuove piattaforme, sistemi operativi e “Rousseau vari” non sono altri che palliativi affinché la democrazia online non si realizzi mai. L'unico obiettivo è che rimanga tutto sotto il controllo della Casaleggio Associati.

*Ex attivista e collaboratore parlamentare alla Camera per il Movimento 5 stelle
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » gio mar 08, 2018 7:02 am

M5s, Casaleggio Leaks. I documenti segreti sulla truffa della democrazia grillina
di Claudio Cerasa
2018/02/01

https://www.ilfoglio.it/politica/2018/0 ... m5s-176284

Lo ripetiamo perché forse qualcuno ancora non se ne è reso conto. Dunque. In Italia esiste un partito guidato da un comico di nome Beppe Grillo, diretto da un ologramma di nome Luigi Di Maio, eterodiretto dal capo di una srl privata di nome Davide Casaleggio che si candida ad applicare in tutta Italia il modello Raggi facendo leva su tre messaggi chiari e definiti: noi siamo il partito della trasparenza, noi siamo il partito della legalità, noi siamo il partito della democrazia diretta. Su questo partito, la classe dirigente italiana ha scelto da tempo di non farsi troppe domande, ha scelto di coprirsi gli occhi di fronte ai profili di incostituzionalità e ha scelto di voler considerare solo un puro fenomeno di folclore la presenza, in questo movimento, di un soggetto non eletto da nessuno che attraverso un’associazione privata di nome Rousseau controlla la vita democratica e le attività di un movimento senza che questo movimento possa avere alcun tipo di controllo sulle attività del suo controllore: il signor Davide Casaleggio.

La democrazia del Movimento 5 stelle, come è noto, è governata dall’Associazione Rousseau, di cui Davide Casaleggio è presidente, tesoriere e amministratore unico. Ma mentre Casaleggio ha il potere di governare i dati degli iscritti di Rousseau, le procedure di votazione dei candidati del movimento, le scelte delle proposte da presentare in Parlamento, i soldi versati oggi dagli iscritti e domani dai parlamentari (300 euro al mese, con il risultato che un partito nato per abolire il finanziamento pubblico dei partiti finanzierà con i soldi pubblici incassati dai parlamentari un’associazione privata), al contrario il movimento non può indicare i vertici, non può influenzare le decisioni, non può avere contezza di quali siano le regole interne, la gestione delle risorse finanziarie e le procedure per entrare in Rousseau. Nessuna trasparenza, come è stato costretto ad ammettere ieri nel corso di una trasmissione televisiva il simpatico deputato grillino Danilo Toninelli, che proprio mentre il Foglio pubblicava online, in esclusiva, lo statuto dell’associazione Rousseau ha sostenuto che lo scoop del Foglio, sullo statuto Rousseau, fosse “una mera invenzione, perché non esiste alcuno statuto Rousseau”. Ehm... Mossi da un senso di vicinanza profonda nei confronti dell’onorevole Toninelli oggi offriamo al deputato del Movimento 5 stelle un’altra storia che gli elettori grillini meriterebbero di conoscere e che riguarda una vicenda stranamente non rilanciata nelle ultime settimane dai solitamente molto prolifici onorevoli grillini: la genesi del provvedimento del Garante della privacy contro l’Associazione Rousseau, accusata di violazioni nel trattamento dei dati personali dell’Associazione Rousseau. Quello che tutti sapete è che lo scorso 2 gennaio il Garante per la privacy ha reso noto il suo ammonimento. Quello che nessuno sa è come il garante è arrivato a quell’ammonimento. Ve lo raccontiamo.

Per raccontarvi cosa è successo prima del 2 gennaio bisogna partire da qui: cosa si è scoperto durante i mesi in cui si è lavorato per studiare gli eventuali illeciti commessi da Rousseau nel trattamento dei dati personali degli iscritti alla sua piattaforma (150 mila iscritti, anche se quelli realmente attivi dovrebbero essere circa un terzo). Nel provvedimento del garante, pubblicato il 21 dicembre 2017, erano presenti alcuni rimandi a diversi allegati omessi nel provvedimento. Così ci siamo incuriositi e l’8 gennaio abbiamo mandato allo stesso garante, ai sensi del d.lgs n. 97 del 2016, una “richiesta di accesso civico agli atti relativi all’indagine del garante sulla così detta piattaforma Rousseau e al provvedimento del 21 dicembre 2017, in particolare per acquisire i verbali delle operazioni compiute e le istanze e le altre segnalazioni pervenute al garante, nonché ogni altro elaborato, analisi o rapporto prodotto dall’ufficio”. Il garante ha fatto le sue verifiche (incredibilmente, nessuno prima del Foglio lo aveva chiesto) e il 30 gennaio ci è stato consegnato un plico con tutta la documentazione. E tra i vari file allegati ci sono spunti utili per capire perché sui tre messaggi forti del Movimento 5 stelle – noi siamo il partito della trasparenza, noi siamo il partito della legalità, noi siamo il partito della democrazia diretta – c’è qualcosa che non torna e che anche l’onorevole Toninelli merita di conoscere.

La prima notizia riguarda il tema della trasparenza (e il garante della privacy poi deciderà se si tratta anche di un tema che sconfina nella non legalità). Il 2 gennaio i giornali hanno riportato le accuse del garante della privacy sul tema degli “illeciti nel trattamento dei dati degli utenti” e sul voto elettronico “non anonimo”. Basta sfogliare le carte però per capire che in realtà sono gli stessi legali di Davide Casaleggio il 5 ottobre 2017 a riconoscere che i gestori della piattaforma Rousseau sono consapevoli che il voto non risponde ai criteri di segretezza e che può essere tracciato. Sentite qui: “A specifica domanda dei verbalizzanti, la parte (Casaleggio) ha fatto presente che sussiste la possibilità teorica di ricondurre, tramite altre informazioni disponibili nel sistema, il voto espresso all’identità del votante, possibilità che tuttavia non è mai stata utilizzata”. E a conferma di questa consapevolezza gli avvocati ammettono che i gestori di Rousseau stanno studiando “delle soluzioni basate su tecnologia blockchain, che consentirebbe di pervenire ad una certificazione dei voti espressi, rispettando la segretezza del voto”. Cosa che finora, ammettono gli avvocati di Casaleggio, non è stata garantita. Potrebbe bastare questo per farsi qualche domanda sulla truffa della democrazia diretta, ma nel dossier del garante della privacy si trova qualche considerazione in più. Una è in un rapporto, finora inedito, di trentaquattro pagine, depositato il 29 novembre 2017 presso l’archivio del garante per la protezione dei dati personali, e che è così intitolato: “Note sugli aspetti di sicurezza relativi alle piattaforme on line gestite dalla Casaleggio & Associati S.r.l per conto di Giuseppe Piero Grillo, dell’Associazione Rousseau e del Movimento 5 stelle”. I più attenti tra voi avranno notato che già in questa presentazione c’è una notizia: al contrario di quello che sostiene Davide Casaleggio, che il 2 gennaio ha dato mandato ai suoi legali di “riservarsi il diritto di procedere in qualsiasi sede giudiziale, sia penale che civile, nei confronti di tutti coloro che in modo mendace e in mala fede continueranno intenzionalmente e pubblicamente a confondere la predetta società (la Casaleggio Associati con l’Associazione Rousseau, il garante della privacy afferma che anche Rousseau “è gestita” non da Davide Casaleggio come persona fisica ma direttamente dalla Casaleggio Associati. E per capire perché questa affermazione è formulata senza proposizioni dubitative conviene arrivare alla fine dell’articolo.

Torniamo alla privacy. Cosa dice il rapporto del garante su Rousseau? Due cose. Ci dice che anche nell’unico campo in cui il Movimento 5 stelle avrebbe potuto mostrare la sua competenza i gestori della piattaforma che governa la democrazia diretta del movimento hanno dato prova di straordinaria non competenza. Esempio numero uno. La piattaforma Rousseau è stata realizzata con un sistema che si chiama “Cms Movable Type Enterprise Versione 4.31-en”. Ma questa versione, scrive il garante, concetto già espresso nel provvedimento del 21 dicembre, ha un problema: “E’ affetta da obsolescenza tecnica”. E che significa obsolescenza tecnica? Significa che ogni versione di quel sistema con radice pari a 4.3 scadeva il 31 dicembre del 2013 e oltre quella data, scrive il garante, “non sono più rilasciati aggiornamenti di sicurezza”. Dunque: il movimento che vuole sostituire la democrazia rappresentativa con la democrazia diretta ha costruito un sistema che potenzialmente dà a chi dirige la democrazia la possibilità di controllare ciò che fanno i suoi iscritti e lo ha fatto servendosi di un sistema “artigianale” (definizione del garante) che già cinque anni fa era da buttare nel cestino. Lo diciamo noi? No. Lo dice ancora il garante. Pagina 16: “Il sistema adottato non consentiva di imporre delle policy efficaci relativamente alla qualità delle password, ammettendo l’uso di password banali, facilmente esposte alla decifrazione e ad attacchi. In particolare, si fa presente che tale limitazione comporta, laddove presente, che un qualsiasi utente applicativo o sistemistico del sistema operativo, anche con profili di minor rilievo ma che abbia accesso in sola lettura ai database delle password, solitamente registrate in forma cifrata, possa acquisirle nella forma in cui sono e condurre in modalità on line attacchi brute force sulle password, che, se fruttuosi, consentiranno in un secondo tempo l’effettuazione di accessi abusivi con l’utilizzo in chiaro delle credenziali tecnicamente correte, senza causare alcun allarme sul sistema attaccato”. Basta questo? No, non basta. Passaggio ulteriore che consigliamo a Danilo Toninelli, da sottolineare con la matita blu: “L’incertezza sulla effettiva resilienza del sistema di votazioni elettroniche, l’impossibilità di verificare a posteriori la liceità dei trattamenti svolti, l’impossibilità di accertare l’unicità del voto espresso, nonché l’incertezza sulla sua autenticità e, infine, il rischio anche solo sul piano astratto che sia possibile controllare e ricostruire le preferenze espresse dai votanti a causa della mancanza di anonimato, caratterizzando il sistema Rousseau, nella sua componente di voto elettronico, quale interessante sperimentazione di uno strumento di interazione e partecipazione politica, del tutto privo, tuttavia, di quei requisiti di sicurezza informatica e di protezione dei dati personali, che dovrebbero caratterizzare un vero e proprio sistema di e-voting”. E perché il sistema di e-voting non è sicuro? Lo spiega il garante a pagina 23: “I voti espressi tramite le funzionalità di e-voting offerte dalla piattaforma vengono archiviati, storicizzati e restano imputabili a uno specifico elettore anche successivamente alla chiusura delle operazioni di voto, consentendo elaborazioni a ritroso con, in astratto, la possibilità di profilare costantemente gli iscritti, sulla base di ogni scelta o preferenza espressa tramite il sistema operativo”.

Ci si potrebbe anche fermare qui se non fosse che tra i documenti consegnati al Foglio dal garante della privacy c’è un elemento ulteriore che ci permette di mettere a fuoco il vero burattinaio del Movimento 5 stelle, l’uomo che gestendo da remoto la democrazia diretta offre agli elettori l’illusione di poter contare quando in realtà il sistema realizzato da Casaleggio & Co. non fa altro che alimentare un bluff politico in cui la democrazia diretta è diretta nel senso che c’è qualcuno che può dirigerla dall’alto. E così, come abbiamo raccontato ieri con lo statuto dell’Associazione Rousseau pubblicato da Luciano Capone, sappiamo con certezza che Casaleggio, da presidente, tesoriere e amministratore unico di Rousseau, attraverso Rousseau controlla i dati, controlla i soldi, controlla di fatto il partito teleguidato dalla sua associazione privata e potenzialmente può controllare anche i candidati (anche se certamente non l’ha mai fatto, come hanno detto al garante della privacy i suoi avvocati). Ma sappiamo anche altro. E sappiamo che al contrario di quello che ha affermato il numero uno della Casaleggio Associati in realtà tra l’Associazione Rousseau e la srl fondata da Gianroberto Casaleggio esiste una simmetria che meriterebbe di essere approfondita come nota anche il garante in un passaggio della relazione su Rousseau (“I rapporti tra Movimento, Associazione, Società e lo stesso titolare del trattamento Giuseppe Piero Grillo sono meritevoli di un approfondimento che esula però dalle finalità del presente rapporto”). La simmetria non la si deduce solo dal fatto che la sede di Rousseau è la stessa della Casaleggio Associati (via Morone 6, Milano). Ma la si deduce anche da un dettaglio che forse è sfuggito allo stesso garante. Nel corso dell’ispezione del 5 ottobre in via Morone, di fronte ai dirigenti del Garante della privacy, Casaleggio dice di rispondere non a nome della Casaleggio Associati ma “nella esclusiva qualità di presidente dell’Associazione Rousseau”. Il 18 ottobre del 2017 Davide Casaleggio però invia una email “in risposta alle richieste avanzate da parte dell’autorità garante per la protezione dei dati personali nel corso delle operazioni compiute in data 4 e 5 ottobre 2017 a Milano in via Morone 6”. In quella email Casaleggio spedisce al garante una serie di dati preziosi. La copia dei report del “penetration test”. Gli schemi delle tabelle di Rousseau. I nomi dei soggetti assegnatari di privilegi globali o specifici per ogni database o singole tabelle. I nomi delle persone che hanno accesso da remoto al sistema che gestisce la piattaforma. L’email di Davide Casaleggio si conclude con un significativo nota bene. Questo: “Si prega di mantenere strettamente riservati i nominativi sopra elencati”. C’è solo un piccolo problema: l’email con cui Davide Casaleggio risponde in qualità di presidente di Rousseau alle richieste del garante per la privacy è quella utilizzata dalla Casaleggio Associati per la sua posta certificata. Casaleggioassociati@legalmail.it. Ciò vuol dire che i dati riservati allegati sono a disposizione di chiunque abbia accesso a quella posta certificata.

La domanda che allora oggi Danilo Toninelli dovrebbe rivolgere al controllore del Movimento 5 stelle è questa: siamo sicuri che l’unico soggetto che ha le credenziali per accedere alla posta certificata della Casaleggio Associati sia Davide Casaleggio? I cinque stelle ci insegnano da sempre che il sospetto è l’anticamera della verità. Noi non siamo d’accordo. Ma per una volta un sospetto viene anche noi. E chissà che non venga voglia anche a qualcun altro di farsi due domande su un partito guidato da un comico di nome Beppe Grillo, diretto da un ologramma di nome Luigi Di Maio, eterodiretto dal capo di una srl privata di nome Davide Casaleggio che si candida a governare l’Italia puntando su tre princìpi: siamo il partito della trasparenza, della legalità, della democrazia diretta. Finora, a leggere le carte del garante della privacy, possiamo dire che la democrazia diretta è un bluff e la trasparenza non c’è. E che l’unico campo in cui sarebbe stato lecito aspettarsi almeno un po’ di competenza, la tecnologia, viene gestito dai grillini più o meno come gli alberi di Natale a Roma.

Sulla legalità confidiamo di saperne di più nei prossimi mesi. E su questo punto vi invitiamo a leggere domani un’altra puntata sul Foglio sui Casaleggio Leaks. Il materiale che abbiamo è ricco e vale la pena raccontarlo ancora. A domani.


Il Vangelo secondo Davide (Casaleggio)
L'Opinione delle Libertà
2018/04/06

http://www.opinione.it/editoriali/2018/ ... e-rousseau

Per comprendere il senso prospettico della politica del Movimento Cinque Stelle bisogna leggere l’intervista rilasciata a “Il Sole 24 ore” da Davide Casaleggio piuttosto che dare ascolto ai propositi programmatici di Luigi Di Maio. Con tutto il rispetto per il giovane capo grillino chi dimostra di essere il manovratore delle strategie del “Movimento” è il figlio del “Vate” Gianroberto, passato due anni orsono a miglior vita. Meno visionario del papà, il patron della “Casaleggio Associati” non disdegna comunque di tracciare scenari futuristici. Attento alla competizione nel mondo delle imprese, il co-erede del marchio Cinque Stelle non fa mistero di considerare la politica come la risultante, e non il motore, di una dinamica che scaturisce dall’evolversi dei processi produttivi.

L’innovazione tecnologica è, ad un tempo, il suo credo e la frontiera inesplorata del futuro. Davide Casaleggio all’appuntamento con la “Rete” che si fa “diritto e strumento di condivisione del sapere” intende giungere da controllore del mezzo che trascina con sé la politica ingabbiata nelle meccaniche occulte dell’intelligenza artificiale. Nessuna meraviglia, dunque, se per il nuovo ideologo del grillismo le categorie Otto-Novecentesche di Destra e Sinistra siano superate, obsolete, mancanti dell’attitudine a stare al passo con i tempi. Per Davide Casaleggio la forma della conoscenza filtrata e veicolata attraverso la “Rete” ha preso il posto delle ideologie nel vissuto dei cittadini. Quindi, se la tecnologia si è fatta carico di trasmettere la Conoscenza, a maggior ragione una piattaforma digitale può surrogare il tradizionale processo democratico di formazione del consenso svuotando di significato e di contenuto il principio della partecipazione fisica del comune cittadino al confronto praticato nei luoghi convenzionali del dibattito politico.

In tempi di lotta per le poltrone governative tali discorsi sembrerebbero lunari. Invece, devono destare allarme. Perché dietro il poco del grillino di turno in corsa per la poltronissima di Palazzo Chigi si articola un “pensiero” che non è acqua fresca. Da anni si va ripetendo, non senza fondamento di ragione, che il Movimento Cinque Stelle sia inconsistente dal punto di vista della capacità di elaborare una visione del futuro per il Paese. In effetti è così, salvo a scoprire che il compito di tracciare una “Weltanschauung” d’impronta grillina sia una funzione delegata a un ente terzo, sottratto alle regole del concorso democratico alla formazione della politica nazionale, che è la “Casaleggio Associati”. Come avviene tutto ciò? È complicato da spiegare: il soggetto economico opera sul mercato delle idee attraverso la longa manus dell’Associazione “Gianroberto Casaleggio” e dell’Associazione Rousseau.

In pratica, si tratta di un sistema di scatole cinesi che contiene la piattaforma digitale la quale, a sua volta, nei progetti del suo ideatore e gestore dovrebbe “contenere” la democrazia. Consentiteci la franchezza: a noi questo schema di gioco mette i brividi. Altro che CasaPound e i-fascisti-son-tornati! Il paradigma al quale Davide Casaleggio vorrebbe affidare il futuro dell’Italia e, perché no, un giorno quello del mondo intero preoccupa. Uno dei cardini sul quale poggia il principio di libertà attiene all’autonomia, sacralmente garantita al singolo individuo, nell’accesso diretto alle fonti della Conoscenza. La possibilità assicurata a ciascun cittadino di formarsi una propria idea sul futuro dell’umanità mediate un percorso personale di ricerca e di confronto con culture diverse dalla propria resterebbe irrimediabilmente vulnerato se la trasmissione di tutta la Conoscenza, come pretende Casaleggio, venisse affidata agli strumenti di veicolazione governati dall’Intelligenza artificiale. Di là dalla facile obiezione sul chi controllerebbe il manovratore, ciò che spaventa è l’approssimarsi di una tirannide del virtuale che cancella l’elemento fisico, vitale, del dialogo personale non intermediato tra individui nella formazione di un’opinione libera e consapevole sulla realtà.

Una macchina ci farà comunicare, una macchina ci farà votare, una macchina ci farà scegliere ciò che pensiamo sia meglio per noi e per l’universo di prossimità che abitiamo. E sempre una macchina ci inibirà di praticare la solitudine, intesa come momento sublime di libertà. Lo star soli, che per taluni ancora oggi è vissuto come uno stato di grazia, nel futuro a Cinque Stelle non sarà più consentito perché anche la minima traccia colta attraverso la “Rete” sarà indelebile. Saremo tutti reperibili, che lo vogliamo o no. Davide Casaleggio, ponendosi sulle orme del George Orwell di “1984”, delinea un “Grande Fratello”, immortale perché immateriale, che si prenda cura dei miliardi di “piccoli fratelli”, fatti di carne ed ossa, sangue e sentimenti, e li sollevi dalla fatica desueta della decisione.

Tuttavia, ugualmente sulla scia di Orwell ma nella versione “Fattoria degli animali”, l’uguaglianza universale alla quale saranno costretti gli individui sarà comunque derogata dalla presenza di un nucleo di “fratelli” statutariamente “più eguali degli altri”. Costoro, i detentori dei codici di decrittazione delle volontà individuali e dell’idem sentire comunitario, saranno il nuovo potere che non ha bisogno di alcun processo democratico per legittimarsi. Sarebbe uno scenario da incubo se non fosse che il momentaneo successo di pubblico che sembra aver investito i Cinque Stelle, prima che da Rousseau è passato per il pieno di voti elettorali ottenuti nella zona Settecannoli di Palermo o nella Napoli di Scampia. E questo vorrà pur dire qualcosa?
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Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » gio mar 08, 2018 7:16 am

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Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » gio mar 08, 2018 8:29 am

Idiozie dei grillini


L'ultima follia dei grillini: espropriate le case sfitte
Riccardo Pelliccetti
Dom, 31/07/2016

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... emiciclo/1

Via all'esproprio proletario. L'ex roccaforte rossa di Livorno, amministrata per 60 anni dalla sinistra, si ritrova oggi a fare i conti con un sindaco grillino che ha deciso di adottare misure degne di un regime comunista.

Non è uno scherzo. Nel ventunesimo si parla ancora di requisire le proprietà private e Filippo Nogarin, fedelissimo di Grillo, è uscito allo scoperto mostrando il vero volto dei Cinque Stelle.

Due anni dopo l'elezione, infatti, il discusso sindaco si è trovato ad affrontare l'emergenza dei senza casa in una città messa in ginocchio dalla crisi economica e dove gli sfratti esecutivi per morosità sono centinaia. La lunga lista di famiglie in attesa di una casa popolare ha così spinto il sindaco e la giunta pentastellata a trovare una soluzione. Qual è stata l'idea geniale? La requisizione temporanea degli immobili privati inutilizzati. E così il consiglio comunale ha approvato una mozione, con il voto contrario di Forza Italia e Pd, con cui dà mandato al sindaco in caso di necessità di espropriare edifici e singole abitazioni vuote anche privati.

«Il consiglio comunale impegna il sindaco alla requisizione temporanea degli immobili vuoti e inutilizzati per le emergenze abitative con motivazione di urgenza umanitaria. Laddove possibile con una eventuale indennità di occupazione da parte degli ospitati», recita il testo della mozione, che tra le pieghe nasconde un'altra soluzione, tanta cara ai paladini dell'accoglienza: l'urgenza umanitaria, infatti, riguarda sì gli sfrattati ma anche gli immigrati. «Rientra nelle prerogative del sindaco, che può agire anche in questo modo in caso di emergenza - replica Nogarin alla montagna di critiche Questa mozione approvata rafforza tale capacità operativa del sindaco di intervenire con mezzi eccezionali per governare l'emergenza abitativa». Insomma, per il primo cittadino grillino tutto è legittimo e un provvedimento in stile rivoluzione d'ottobre non deve meravigliare nessuno.

Le opposizioni insorgono. Il Pd e Forza Italia sottolineano che questa misura scatenerà un conflitto con i privati e una sequela di ricorsi. Ma sindaco e giunta difendono con forza la decisione illuminata e, con animo generoso, cercano di blandire le proteste con un «non è escluso un indennizzo da occupazione». Quindi, nessuna garanzia, a prescindere dalla volontà del proprietario. D'altronde, se un sindaco si permette di mettere mano senza scrupoli sulle proprietà private, questo lo dobbiamo anche al fatto che in Italia non vi siano tutele codificate per impedirlo.

Ma il sindaco può davvero procedere con gli espropri? Le associazioni dei proprietari immobiliari hanno seri dubbi e affermano che una misura del genere potrebbe essere facilmente impugnata di fronte al Tar. «Un provvedimento inaccettabile e illegittimo dice il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa - Vediamo come sarà scritto, ma messo così richiama il concetto di esproprio popolare». Concetto che anche la giunta milanese di Pisapia aveva adottato due anni fa nel regolamento edilizio, arrogandosi il diritto di requisire gli immobili privati in degrado, con la scusa del decoro urbano, e utilizzarli per scopi sociali. La situazione livornese è dettata da motivazioni diverse ma, come sottolinea Spaziani Testa, per affrontare l'emergenza abitativa il Comune deve prima occuparsi degli immobili pubblici. Insomma, non solo Confedilizia ma tutte le associazioni sono sul piede di guerra, pronte a far svanire in un'aula di giustizia il sogno sovietico del sindaco grillino.



Il sociologo De Masi: “Per battere la disoccupazione, bisogna lavorare gratis”
di Lidia Baratta
25 Marzo Mar 2017

http://www.linkiesta.it/it/article/2017 ... e-gr/33637

Nel nuovo libro “Lavorare gratis, lavorare tutti” Domenico De Masi propone che i disoccupati irrompano sul mercato del lavoro offrendo la propria opera gratuitamente, in modo da portare a una redistribuzione dell’occupazione

Il Movimento cinque stelle gli ha commissionato una ricerca sul futuro del lavoro, che ha preso forma in un volume di 300 pagine dal titolo Lavoro 2025, con l’elenco degli impieghi a più alto tasso di sostituzione da parte delle macchine. Ora il sociologo Domenico De Masi, uno dei più apprezzati accademici italiani sui temi dell’occupazione, mentre è impegnato a scrivere un libro «più corposo» sul lavoro nel ventunesimo secolo, è in libreria con il testo Lavorare gratis, lavorare tutti. Sottotitolo: il futuro è dei disoccupati. E già dal titolo si intuisce quale sia la soluzione che il sociologo propone per far fronte all’alto tasso di disoccupazione. «Per dare un lavoro ai disoccupati basterebbe ridurre di poco l’orario di lavoro degli occupati», dice. «Ma questo non avverrà, per cui l’unica cosa che i disoccupati possono fare è scompaginare la situazione, offrendo gratuitamente la propria opera finché non ci sarà una redistribuzione dei carichi di lavoro». De Masi propone un piano d’attacco in undici tappe, compresa la creazione di una piattaforma informatica per l’incontro tra domanda e offerta. «Spero che diventi anche proposta politica e che qualcuno si muova», spiega. «Ad oggi il Movimento cinque stelle sembra il più adatto per un progetto di questo tipo. Che potrebbe anche avere ricadute importanti in termini di voti, visto che in Italia ci sono 3,1 milioni di disoccupati».

Quindi il tasso di disoccupazione non calerà.
La disoccupazione non è l’effetto di una crisi passeggera. Anzi, è destinata a crescere. Sia per l’effetto di sostituzione del lavoro umano da parte delle macchine. Sia per l’effetto della globalizzazione: non produciamo più nei nostri confini, ma compriamo dove si produce a un costo più basso.

La tecnologia distrugge più lavoro di quanto ne crea?
Per uno che progetta una macchina, ci sono migliaia di persone che non lavorano. Pensiamo a quanti cassieri di banca sono scomparsi con l’arrivo del bancomat. Quante persone ci saranno volute a progettare un bancomat? Meno delle migliaia di cassieri che hanno perso il lavoro. L’automazione e l’intelligenza artificiale sostituiscono il lavoro umano. I lavori più a rischio sono le attività ripetitive, ma ormai anche medici e giornalisti vengono sostituiti.

Ogni mese però i dati sull’occupazione italiana generano proclami politici a ogni minimo segno più.
Sono esibizioni di statistiche ridicole, di oscillazioni minime da zero virgola. E infatti in Italia ci sono ancora oltre tre milioni di persone che non hanno un lavoro, non sanno come vivere e come mangiare. Nonostante le facili soluzioni proposte con il Jobs Act, questi disoccupati esistono. È chiaro che c’è qualcosa che non va.

Per uno che progetta una macchina, ci sono migliaia di persone che non lavorano. Pensiamo a quanti cassieri di banca sono scomparsi con l’arrivo del bancomat

Ma ci sono Paesi in cui l’occupazione cresce, come gli Usa o in Germania.
Bisogna innanzitutto tenere conto dei diversi metodi di calcolo degli occupati, dell’orario di lavoro più basso e della maggiore presenza di studenti universitari, che non rientrano nel conteggio della forza lavoro. L’Italia, avendo pochi giovani che studiano, anche per questo soffre di un tasso di disoccupazione giovanile alto. E poi bisogna vedere di che tipo di lavori parliamo. Molti nuovi lavori sono i cosiddetti bad jobs, ovvero manodopera sottopagata dai big dell’economia digitale.

Pochi lavoratori e molto profitto. Lei lo ha chiamato “sviluppo senza lavoro”.
Se i negozi tradizionali impiegano 47 dipendenti ogni dieci milioni di dollari generati, Amazon ne impiega solo dieci e quei dieci dipendenti vengono spremuti a ritmi incredibili. Oggi si possono accumulare ricchezze inaudite con l’apporto di un numero esiguo di lavoratori. Tutto grazie a piattaforme tecnologiche, software e algoritmi. Per fare un esempio, ad oggi un dipendente di Facebook vale 25 milioni di fatturato.

Il suo libro non è solo una fotografia del lavoro che scompare, ma lei propone anche delle soluzioni. Cosa bisogna fare?
Bisogna puntare a creare nuovi lavori, cosa che sta già avvenendo con una fantasia infinita spronata dal bisogno. Ma in attesa di questi nuovi lavori, bisogna redistribuire quelli che già esistono. È inutile pretendere il lavoro per i disoccupati se gli occupati fanno straordinari, sono sempre disponibili, anche nel week end e si fermano in ufficio ogni giorno oltre l’orario di lavoro senza essere per questo retribuiti.

Significa che lavoriamo troppo?
In Italia lavoriamo 1.800 ore all’anno. È la quantità di ore maggiore in Europa. In Francia e in Germania ci si ferma a 1.500 ore. In Italia ci sono almeno 2 milioni di impiegati e manager che fanno ogni giorno un paio d’ore di straordinario non retribuito. Parliamo di 110 milioni di giornate lavorative, cioè 500mila posti di lavoro. Oggi lavorare oltre il dovuto sembra quasi un vanto. Ma non dovrebbe essere così.

In attesa dei nuovi lavori, bisogna redistribuire quelli che già esistono. È inutile pretendere il lavoro per i disoccupati se gli occupati fanno straordinari, sono sempre disponibili, anche nel week end e si fermano in ufficio ogni giorno oltre l’orario di lavoro senza essere per questo retribuiti

E cosa dovremmo fare?
Bisogna redistribuire il lavoro, riducendo gli orari. Passando magari dalle 40 alle 36 ore settimanali. In questo modo non avremmo disoccupati. Ma è difficile da applicare: oggi chi ha il lavoro non lo vuole certo mollare.

E quindi che si fa?
Serve che i lavoratori occupati e pagati cedano un po’ di lavoro. Siccome non amo la violenza, ho proposto che i disoccupati mettano la loro forza lavoro sul mercato gratuitamente. In questo modo il mercato si spacca, si altera. E gi occupati, arrivati alle strette, cederanno una parte del lavoro.

Nel suo libro lei indica undici tappe da seguire per mettere in atto questa strategia.
Sì, anzitutto bisogna pianificare l’introduzione di un salario minimo e di un reddito di cittadinanza, e creare una piattaforma informatica come Uber che consenta di mettere in connessione domanda e offerta di lavoro. In questi giorni ho ricevuto molte telefonate di persone che hanno letto il mio libro, disposte a finanziare una piattaforma di questo genere.

Ma la sua proposta si trasformerà anche in una proposta politica?
Spero che qualcuno si muova. C’è una preoccupazione ampia tra i partiti sul futuro del lavoro. Il movimento cinque stelle sembra quello più adatto e più coraggioso in questo momento. Anche perché un programma sul lavoro che parla ai disoccupati muove anche molti voti, visto che in Italia quelli che non hanno un lavoro e non riescono a trovarlo sono ancora oltre 3 milioni.




Di Maio: «Dieci punti per un governo M5S con chi ci sta: anche il Pd, senza Renzi»
Claudio Bozza
6 marzo 2018

http://www.corriere.it/elezioni-2018/no ... f00f.shtml

Il leader pentastellato ha pronta una proposta per raggiungere la maggioranza.
Grillo: «Noi un po’ Dc, un po’ di destra e un po’ di sinistra... Sopravvive chi si adatta»

Una lista di circa 10 punti programmatici da proporre agli altri partiti. È l’idea sul tavolo di Luigi Di Maio che, a due giorni dalle elezioni, sta studiando le prossime mosse per riuscire a trovare i numeri che gli consentano di avere una maggioranza in Parlamento e quindi dar vita a un governo 5 stelle. Il candidato premier M5S, secondo quanto si apprende, martedì mattina era già nel suo ufficio a Montecitorio per proseguire nella messa a punto del metodo da seguire nei prossimi giorni. Un metodo, viene spiegato in ambienti pentastellati, che sarà coerente con quanto annunciato da Di Maio in campagna elettorale e ribadito dopo la vittoria alle elezioni, e cioè trasparente, pubblico, senza «stanze segrete» o «strani inciuci». M5S, secondo quanto si apprende da fonti autorevoli pentastellate, continua a guardare al Pd, a patto che sia senza Matteo Renzi: sono in tanti tra i 5 stelle a dire che si preferirebbe un dialogo con il centrosinistra che comprenderebbe Leu e il Partito democratico «derenzizzato». Ma ciò che emerge con ancor più nettezza, almeno ad oggi, è l’orientamento a rifiutare un’intesa con la Lega di Matteo Salvini. «Smentiamo, come riportato da alcuni organi di stampa, che ci sia una lista di 10 punti programmatici da proporre agli altri partiti. C’è invece un programma elettorale, pubblico e trasparente, votato da quasi 11 milioni di cittadini», precisano dal M5S.

«La specie che sopravvive non è quella più forte, ma quella che si adatta meglio. Quindi noi siamo dentro democristiani, un po’ di destra, un po’ di sinistra e un po’ di centro, possiamo adattarci a qualsiasi cosa quindi vinceremo sempre noi sul clima, sull’ambiente, sulla terra». Beppe Grillo fotografa così la strategia politica che ha portato il Movimento 5 Stelle, da lui fondato, a diventare il partito più votato dagli italiani alle elezioni del 4 marzo. Grillo ha utilizzato questi esempi, dopo aver visitato la mostra «Human+, il futuro della nostra specie», a Palazzo delle Esposizioni a Roma. «Molto ben allestita, palazzo stupendo, è una mostra che vorrebbe simulare dove andrà a finire la nostra specie — dice il fondatore del M5S — La specie che sopravvive non è quella più forte, ma quella che si adatta meglio. Siamo cresciuti e la vita è stata creata dentro un magma di anidride carbonica. Noi questo adattamento della specie lo avremo sempre».

Con chi dialogherà M5S per tentare di raggiungere una maggioranza e far nascere un governo? «C’è un capo politico». Ha risposto così ai microfoni di Sky Beppe Grillo, prima di lasciare l’hotel dove ha soggiornato a Roma, riferendosi naturalmente a Luigi Di Maio. Grillo ha ribadito poi ironico il suo dispiacere per il fatto che il Matteo Renzi voglia dimettersi da segretario del Pd: «Peccato, altrimenti il Pd poteva scendere al 10%...».

Intanto in Sicilia si registra un curioso record: in Sicilia ci sono più seggi vinti che candidati. La valanga di voti per il Movimento 5 Stelle crea infatti un problema da risolvere nell’attribuzione dei seggi. Il movimento oltre ai 28 eletti all’uninominale piazza 25 parlamentari, tra Camera e Palazzo Madama, nella quota proporzionale. Ma è tanto larga, la vittoria, da creare un problema nei subentri, visto che alcuni dei 5stelle eletti nella quota proporzionale hanno ottenuto il seggio anche all’uninominale. Così, nel M5S, emerge il rebus dello scorrimento: la lista — che per legge non poteva superare 4 nomi — è troppo breve rispetto ai seggi realmente ottenuti dai grillini. Ma secondo i giuristi a questo punto si andrebbe a cercare in altri collegi.
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Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » gio mar 08, 2018 7:24 pm

...) Di Maio sposta la capitale italiana da Roma a Napoli


Elezioni in Campania, volano i Cinquestelle. Regge il centrodestra e crolla il Pd
Mezzogiorno, 4 marzo 2018

http://corrieredelmezzogiorno.corriere. ... aa5f.shtml

Successo per M5s che supera il 50% in diversi collegi di Napoli e provincia e fa il pieno di seggi sia alla Camera che al Senato. Forza Italia resiste ma porta a Roma pochi parlamentari. Per il Partito democratico è un tonfo assoluto: ko anche De Luca jr

Gli exit poll prima e le proiezioni poi avevano già dato in nottata un quadro che all’alba si è definitivamente materializzato: in Campania il Movimento Cinquestelle ha fatto man bassa di seggi ottenendo percentuali spesso superiori al 50%. Un successo guidato da Luigi Di Maio e Roberto Fico, che hanno stravinto le sfide nei collegi uninominali. Solo il centrodestra ha tentato una timida resistenza ai Cinquestelle: Forza Italia ha retto, la Lega ha comunque portato a casa un bottino inatteso, mentre Fratelli d’Italia si aspettava qualcosa in più. Il crollo è invece tutto del Pd. Per i dem, Napoli è una Caporetto. Sconfitti ovunque, i candidati hanno sacrificato anche personalità come Paolo Siani: candidato sul quale aveva puntato direttamente Renzi.

De Luca jr sconfitto

Tra gli sconfitti di questa tornata elettorale in Campania c’è Vincenzo De Luca. Il governatore rischia di non vedere partire suo figlio Piero per Roma. A Salerno vince il candidato pentastellato Nicola Provenza. E per il primogenito del presidente della giunta regionale potrebbe esserci soltanto un difficile recupero nel proporzionale nel Casertano.

A Napoli grillini al 52%

Terminati gli scrutini delle 884 sezioni di Napoli città. Il primo partito risulta il Movimento Cinque Stelle con il 52.4%; il centrodestra secondo con il 22.25%; il centrosinistra al 17.23%; Liberi e Uguali al 3.25%.

Euforia nella sede napoletana dei grillini

Grida di gioia si sono sentite già dalla mezzanotte al comitato del Movimento Cinque Stelle, al Neapolitan trips hostel di via dei Fiorentini a Napoli. Roberto Fico ha dispensato sorrisi a tutti, addirittura in nottata si è messo a giocare a ping pong e a sorseggiare birra insieme ad altri attivisti. «Un risultato straordinario - ha detto Fico - una grande successo per il Movimento».

Nel comitato di Pomigliano

Nel comitato di Pomigliano di M5s, invece, c’era anche il fratello di Luigi Di Maio, Giuseppe, che ha seguito gli exit poll e i primi scrutini. Il giovane, visibilmente emozionato, ha commentato i primi risultati sottolineando che «si tratta di un risultato straordinario che non ci sorprende affatto. Nonostante questo io e la mia famiglia siamo molto emozionati - ha proseguito il giovane che ha 23 anni - e siamo sicuri che Luigi non potrà fare altro che il bene del Paese alla guida di un eventuale governo a cinque stelle».



C'è un problema: Di Maio non è Merkel
2018/03/08

https://www.ilfoglio.it/politica/2018/0 ... rda-182820

Sul futuro di questa legislatura ci sono poche certezze, ma qualche paletto è stato fissato: le elezioni hanno prodotto due sicuri vincitori, il M5s e la Lega, e uno sconfitto certo, il Pd. Ciò che però è più paradossale in questa fase postelettorale è che una serie di poteri più o meno forti, di giornali e di opinionisti, dopo anni passati a gettare veleno sugli “inciuci” e i governi “non eletti”, chieda che a risolvere la crisi politica sia proprio chi ha perso le elezioni. Non si sa ancora a chi il presidente Sergio Mattarella affiderà l’incarico, se a Matteo Salvini che guida la prima coalizione o a Luigi Di Maio che è il capo politico del primo partito, ma è già iniziato un intenso pressing sul Pd affinché sciolga immediatamente qualsiasi riserva e si consegni disarmato al M5s regalando i voti necessari a far nascere il governo già apparecchiato da Di Maio.

Paradossalmente la ragione profonda delle accuse rivolte a Matteo Renzi non è quella di non essersi fatto da parte, ma il contrario. Renzi ha annunciato le dimissioni e ha detto che il Pd, sconfitto, dovrebbe mettersi all’opposizione, dove l’hanno collocato gli elettori preferendo le due forze che più di tutte hanno contestato l’operato del governo. La colpa del Pd e di Renzi sarebbe quindi quella di non risolvere l’impasse politica, di non favorire la nascita di un governo pentastellato. Da un lato c’è chi dice che il Pd dovrebbe seguire l’esempio della Spd in Germania, come se il M5s fosse la Cdu e Di Maio la Merkel. Dall’altro c’è chi dice che il Pd dovrebbe sostenere i grillini perché il M5s è la nuova forza di sinistra del paese e Di Maio il suo Corbyn o Tsipras.

Insomma il M5s è una nuova Dc o un nuovo Pci, ma in ogni caso, che sia l’uno o l’altro, il Pd deve concedergli i suoi voti. In Germania la Spd si è assunta di nuovo nei confronti del paese la responsabilità di far nascere un governo, ma la Grosse Koalition è nata con un patto politico ratificato con un referendum degli iscritti, dopo una lunga trattativa programmatica e con l’ingresso nell’esecutivo Merkel. Da noi Di Maio non ha avviato alcuna iniziativa politica, ma si è messo in una posizione passiva: “Dovete venire a parlare con noi altrimenti è difficile che questa legislatura parta”, lasciando che gli altri facciano pressing sul Pd. Non ha neppure detto su quali punti programmatici chiederebbe una fiducia che il Pd dovrebbe fornire a scatola chiusa.

E’ anche possibile che il Pd, nel quadro semplificato di un nuovo bipolarismo populista, decida di ritagliarsi un ruolo ancillare nei confronti del M5s come peraltro ha già fatto, nel suo piccolo, la pattuglia di Liberi e uguali. In fondo è vero che il M5s è una costola della sinistra e che ha corroso la sua base elettorale. Beppe Grillo ha iniziato a fare politica provando a iscriversi al Pd, le sue prime battaglie erano imbevute della peggiore sottocultura che ha alimentato la sinistra negli ultimi 30-40 anni: la battaglia per l’acqua bene comune, l’anti militarismo anti occidentalista, l’ambientalismo anti industriale, la fascinazione per la decrescita con tutta la sua retorica anti sviluppista e anticapitalista, il giustizialismo che riprende a piene mani la teoria berlingueriana e la pratica dipietrista.

E’ per questa continuità ideologica che all’inizio della scorsa legislatura sulla stampa progressista, prima che i grillini diventassero fascisti e ora di nuovo democratici, gli intellettuali progressisti pubblicavano appelli per un “governo del cambiamento”. Ora, può anche succedere che la sinistra italiana inverta la rotta, rifugiandosi in vecchie parole d’ordine non estranee alla sua storia, che decida di archiviare per sempre il progetto riformista bocciato dagli elettori. Ma dovrebbe avvenire dopo una discussione, una riflessione, un congresso, interpellando iscritti e simpatizzanti. Niente di tutto questo. Ciò che si chiede al Pd non è cambiare per recuperare i voti persi, ma rinunciare anche a rappresentare quelli raccolti, come se pure quegli elettori avessero scelto il governo ombra di Di Maio.
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Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » gio mar 08, 2018 10:14 pm

???


Basta sminuire il voto del Sud. Il successo 5stelle non c'entra col reddito di cittadinanza
Alessandro Cannavale
Elezioni Politiche 2018 | 7 marzo 2018

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... za/4209321

Per l’ennesima volta, il voto dei cittadini italiani del Sud viene marchiato da certi analisti che puntano a sminuire la gravità del senso politico che esso sottende. Si tende a delegittimarlo, privandolo di senso, con una spiegazione artefatta e semplicistica e, contemporaneamente, offensiva e razzista. Vado al sodo: alcuni commentatori hanno sostenuto, ancora in piena maratona elettorale, che il successo abnorme del Movimento 5 Stelle al Sud si spieghi, prioritariamente, con il sostegno belluino e incondizionato di milioni di nullafacenti, disoccupati, sottoccupati ed evasori incalliti, che avrebbero così votato soltanto per garantirsi il lauto bonifico del reddito di cittadinanza. Consentitemelo: è la solita narrazione becera e distorta del Sud, costruita in fretta e furia per nascondere tonnellate di polvere (anni di errori e fallimenti) sotto il tappeto dell’ipocrisia.

Che offende, senza neanche cogliere l’enormità di certe affermazioni. Non intendo sostenere il Movimento Cinque Stelle, al quale neanche appartengo, ma solo manifestare la personale insofferenza verso questo modo stereotipato di rapportarsi al Sud del paese.

Una lettura banalizzante, dal fondamento tanto discriminatorio quanto banale. Che dimostra, ancora una volta, quanto gli “esperti della politica” siano tronfi e lontani anni luce dal paese che vive e lavora nell’Italia del 2018, ridotti a illustrare una miope percezione dalla comoda poltrona di un salotto televisivo. Simili considerazioni potrebbero forse trovare spazio in una conversazione da bar, o tra amici, in una stanza. Ma sarebbero assolutamente indegne di trovare albergo sulle reti televisive generaliste. Davanti a milioni di spettatori. Senza un bel bollino rosso. Per la vergogna.

Analoghi tentativi di mistificazione, se ricordate, furono fatti dopo il tracollo della riforma costituzionale, che ebbe al Sud lo stesso indiscutibile responso dalle urne. Eppure, in quel caso, il colpo alla nuca della riforma fu dato senza neanche un ritorno economico. Come mai? Cosa spinse questi loschi meridionali a difendere la Costituzione senza neanche un bonifico, che so, o almeno 80 euro in busta paga?

E allora, perché sottrarre a un voto liberamente espresso la dignità di una piena espressione della volontà degli elettori? Peraltro, val la pena di ricordarlo, i Cinquestelle parlano da anni di reddito di cittadinanza, ma solo quest’anno il risultato politico è così eclatante.

In verità, gli analisti, i commentatori e tutti coloro che col proprio mandato politico hanno tradito la rappresentanza di istanze sociali di milioni di persone, oggi cercano un’impudica foglia di fico per giustificare una debacle che ha ben altre spiegazioni: i meridionali si devono quotidianamente confrontare con i disagi di servizi sanitari sempre più scadenti, servizi ferroviari in dismissione, università sempre più sottofinanziate, reddito pro capite da post-conflitto mondiale (in termini di rapporto col centro nord). Chi si parla addosso nei salotti dimentica colpevolmente che la metà dei poveri (in crescita anche nell’ultimo biennio) si trova al Sud. Se a questi signori si avvicinasse un povero vero, forse costoro reagirebbero vaporizzando una nuvoletta di profumo francese. L’elettorato, tutto questo, lo vive e lo sente sulla propria pelle, con buona pace di certi personaggi.

Torno a ribadirlo, anche stavolta: il Sud ha un ruolo importante nel futuro di questo paese. E i propugnatori del ritardo antropologico studino bene i dati del paese reale prima di propalare idiozie d’ispirazione tardo-lombrosiana.
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Re: Il pacco dei 5 Stelle, le scimmie dell'orango genovese

Messaggioda Berto » gio mar 08, 2018 11:39 pm

Buongiorno amici. Nonostante la straordinaria partecipazione degli italiani alle urne, è un’Italia paralizzata al buio quella che che emerge dalle elezioni politiche.
Magdi Allam
05/03/2018

https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 3376347910

Quattro sono i risultati certi: Il Movimento 5 Stelle è il primo partito con oltre il 30% dei consensi; il Centrodestra è la prima coalizione con la Lega che ha abbondantemente superato Forza Italia; il Partito Democratico, erede del Partito Comunista, è crollato ai minimi storici; non esiste una maggioranza di governo plausibile in seno al nuovo Parlamento.
Per avere la maggioranza servono 316 deputati alla Camera e 158 senatori al Senato. Questa maggioranza sarebbe possibile in tre casi: un governo tra Movimento 5 Stelle, Centrosinistra e Liberi e Uguali; un governo tra Movimento 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia; un governo “tecnico” o “di scopo”, sostenuto dal Centrosinistra, Liberi e Uguali, Forza Italia, con l’astensione del Movimento 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia. Quest’ultima ipotesi è quella più credibile e che sarebbe più accettabile dal Capo dello Stato Sergio Mattarella, esponente del Partito Democratico.
Il prossimo governo “tecnico” o “di scopo” avrà come finalità l’approvazione dell’ennesimo sistema elettorale che dovrebbe finalmente garantire la governabilità. A traghettare questa Italia sempre più decadente, impoverita e anziana, sarà verosilmente l’attuale Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e la stessa classe politica che dal 16 novembre 2011, con la regia di Giorgio Napolitano e l’opera di Mario Monti, ha attuato un colpo di stato finanziario e sottomesso gli italiani a una dittatura finanziaria con quattro governi designati.
Che cosa ci aspetta per il futuro prossimo? La prospettiva verso cui vorrebbero relegarci è un governo del Movimento 5 Stelle sostenuto dalla Sinistra. Ebbene è ora che gli italiani conoscano la verità sul Movimento 5 Stelle, che al di là delle facce ingenue e degli spiriti vergini, è la creatura di maggior successo della grande finanza speculativa globalizzata. L’idolatria della Rete, che si sostanzia nel concepire la Rete come il fulcro della politica, della società e della vita stessa, sostenendo che tutto è vero e legittimo solo se è avallato dalla Rete, costituisce la condizione fondamentale per completare l’imposizione della dittatura finanziaria. In un contesto dove il 95% delle transazioni finanziarie avviene tramite denaro virtuale e solo il 5% in contante, per eliminare definitivamente il contante al fine di rendere tracciabile tutte le transazioni finanziarie, è necessario digitalizzare l’insieme delle attività che in un modo o nell’altro abbiano una valenza finanziaria. Ebbene in Italia il Movimento 5 Stelle è il soggetto politico che promuove l’idolatria della Rete e la digitalizzazione dell’insieme delle attività pubbliche. Affidando questo obiettivo a dei giovani di scarsa cultura ma assetati di potere, il Movimento 5 Stelle è riuscito ad affascinare e raggirare tanti giovani e più in generale tanti contestatori e vittime di questa dittatura finanziaria, promettendo loro il “reddito di cittadinanza”, cioè soldi regalati a chi non ne ha sottraendoli a chi ne ha troppi. Il Movimento 5 Stelle ha ridotto la politica ad una applicazione di gioco di società da scaricare in Internet, con cui divertirsi sul proprio telefonino e, nel caso di vittoria, a un seggio in Parlamento o altra assise istituzionale a condizione di limitarsi ad attuare le direttive decise in seno alla Rete. La grande finanza speculativa globalizzata ha così creato un esercito di utili idioti asserviti al suo potere. Luigi Di Maio emerge come il Macron d’Italia, con la differenza che mentre il Macron di Francia è un dirigente finanziario, benestante e competente, il nostro Di Maio è nullafacente, nullatenente, nullacompetente, insomma una nullità assoluta.
Cari amici, la nostra amata Italia rischia di essere del tutto fagocitata dalla dittatura finanziaria, globalista, eurocratica, statalista, magistrocratica, partitocratica, relativista, mediatica, informatica, immigrazionista e islamofila. Dobbiamo mobilitarci sul fronte culturale per acquisire e diffondere informazione corretta, mobilitare il maggior numero possibile di italiani consapevoli, fieri e determinati, operare concretamente per passare dalla menzogna alla verità, dalla denuncia alla proposta, dalle parole ai fatti. Andiamo avanti forti di verità e con il coraggio della libertà. Insieme ce la faremo.
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