Venetismo, referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Re: Referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » gio dic 15, 2016 9:32 pm

Indipendentismo. È possibile allargare la cerchia?
di Michele Fiorini

8 dicembre 2016, festa dell’Immacolata Concezione della B.V.M.

http://www.lintraprendente.it/2016/12/i ... la-cerchia

Quanta voglia hanno, gli indipendentisti veneti di lungo e medio corso, di ascoltare i “novizi” e quanto credito sono disponibili ad attribuire loro? Quanto sono interessati, i nuovi, a conoscere e comprendere le storie dei più o meno storici combattenti e leader? E quanto ritengono utile o dannoso, per il futuro del movimento indipendentista (l’aggettivo “veneto” da qui in avanti è sottinteso), che ci sia un determinato passato? Infine: il dialogo, se non l’intesa, tra “vecchi leoni” e nuove milizie, è un obiettivo essenziale? Eventuale? È forse uno spreco di energie? Queste sono alcune delle domande preliminari, di metodo e di merito, che pongo a me stesso, da novizio dell’indipendentismo: preliminari rispetto a una valutazione (almeno un poco) strutturata sulle prospettive dell’indipendentismo stesso.

La sensazione che ho, infatti, è di affrontare uno scrigno antico, che mi attendo sia ricolmo di tesori, ma che potrebbe rivelarsi pieno di vecchi arnesi privi di valore, per la cui apertura appare comunque necessario uno sforzo enorme, che non sono certo di voler fare o di saper sopportare. Intorno ci sono alcuni che, pieni di fede nell’esistenza del tesoro, si affannano ad aprire lo scrigno da più o meno lungo tempo, ma senza successo, anzi forse danneggiandolo un po’. Ecco che arrivano altri, vogliosi di dare il loro contributo: cosa faranno, i cercatori d’oro già all’opera, con questi nuovi venuti?

Fuor di metafora, credo sia interesse di tutti dire come si vedono le cose e ascoltare, con molta franchezza e con altrettanto rispetto, nella convinzione che l’obiettivo sia talmente impegnativo da rendere autolesionista l’esclusione non strettamente necessaria di energie, di esperienze e di contributi. La soglia minima di accoglienza di nuovi indipendentisti non è nemmeno la convinzione che il Veneto indipendente dovrà essere molto diverso dalla Repubblica italiana: pure chi pensa che debba essere una realtà statale invasiva e burocratizzata come l’Italia, solo più efficiente, dovrebbe trovare spazio nel movimento indipendentista. C’è bisogno di tutti, ripeto, e la dialettica tra liberali e statalisti non potrà purtroppo mancare nemmeno nel Veneto indipendente.

-Precisando ciò, ho già in sostanza dichiarato qual è l’obiettivo prioritario che il movimento, a mio avviso, dovrebbe porsi: la diffusione di un messaggio credibile e spendibile, al fine di guadagnare l’attenzione (e, poi, l’adesione) di una quantità importante di popolo veneto. Personalmente, non ritengo che siano strumenti idonei il richiamo nostalgico alla Repubblica Veneta e al “W San Marco” declinato in tonalità nazionalista. Così come sono convinto della dannosità strategica, per la causa indipendentista, del “passaggio” autonomista e di vicende come quella della legge regionale appena approvata sullo status di minoranza.

La via maestra per inviare oggi ai veneti un messaggio credibile si sorregge, a mio avviso, sui quattro pilastri della (1) intollerabilità e (2) irreversibilità della situazione attuale della Repubblica Italiana, da un lato, e della (3) realizzabilità e (4) sostenibilità del Veneto indipendente. Non c’è teorizzazione filosofico-politica che possa persuadere un cittadino veneto medio ad aderire al movimento, se non lo si convince di quei pilastri. Non c’è richiamo alla storia di Venezia, non c’è appello alla lingua e alla cultura comuni che possa funzionare.

D’altro canto, non c’è altra risposta che l’indipendentismo, una volta dimostrata la consistenza di quelle quattro realtà: non ha senso l’autonomismo, e men che meno il regionalismo, quando ci si convince della malattia grave, infettiva e incurabile che ha colpito la Repubblica Italiana. Ma, dimostrato ciò, i timori di molti definitivamente cadranno solo dimostrando pure che c’è il modo non cruento di arrivare all’indipendenza, e a un’indipendenza sostenibile e benefica.

Ad alcuni, questi ragionamenti appariranno banali o modesti, magari perché hanno già una visione del processo indipendentista come evento “in positivo” e non come reazione a una situazione critica che, se migliorasse un poco, diverrebbe dopotutto tollerabile. Ma la realtà del popolo veneto non può essere negata e, oggi, l’indipendentismo è inesistente nella mente della stragrande maggioranza, anche solo come ipotesi pensabile.
I Veneti, oltre che pacifici e tolleranti, sono concreti e prudenti. Ma sono capaci di progettare le imprese più ardite e di sostenerle con energie illimitate, che comprendono creatività e coraggio. Non troveremo mai, però, un popolo veneto disposto a sostenere progetti che considera utopistici o elaborati da idealisti scollegati dalla realtà, se non addirittura da gente spiantata che non ha nulla da perdere.

Troviamo i sistemi, le parole e le persone per parlare ai Veneti dei “quattro pilastri”, e avremo un popolo disponibile a fare tutto quanto serve per ottenere la libertà.
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Re: Referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » lun dic 19, 2016 10:15 am

I PARTITI SONO IL PROBLEMA NON LA SOLUZIONE
19 Dec 2016
http://www.lindipendenzanuova.com/i-par ... -soluzione

di ENZO TRENTIN – Nel lombardo-veneto ci sono dei buontemponi che pensano d’indire un referendum consultivo per l’autonomia. Spenderanno milioni di Euro, che con i tempi che corrono non ci sono, per chiedere ai cittadini il consenso di fare ciò che è già in loro potere: imbastire trattative col governo. La partitocrazia è così, che sia formata da un solo partito politico o da molti non cambia nulla. Quello che producono è propaganda e demagogia.

Durante in ventennio c’era il solo partito fascista. Propagandava ed esaltava i primati. Trasformò l’Italia in una grande caserma. L’aeronautica italiana degli anni 30 del XX secolo deteneva molti primati, alcuni tuttora insuperati, ma quando si giunse all’inevitabile guerra gli aerei erano obsoleti ed in numero esiguo. Oggi ci sono molti partiti, e l’Italia da caserma si è trasformata in un bordello dove la Maîtresse partitocratica pensa solo a sgraffignare le marchette pro bono suo. Poi basta una pioggia ed è subito emergenza.

I buontemponi di cui sopra ciarlano di voler trasformare le loro Regioni in modo da renderle simili all’Alto-Adige, ed ignorano o fanno finta di non sapere che anche i Sud-tirolesi sono abbindolati dalla partitocrazia che da loro si identifica nella Südtiroler Volkspartei (SVP).

Initiative für mehr Demokratie è un’associazione che da oltre venti anni opera per ottenere degli strumenti di democrazia diretta degni di questo nome. Elabora e deposita periodicamente proposte di legge provinciale, e da fine ottobre 2016 si può prendere visione del nuovo disegno di legge sulla democrazia diretta steso sotto le regia di tre membri della 1a Commissione legislativa del consiglio provinciale (Amhof, Foppa, Noggler). Un testo realizzato sulla base di audizioni organizzate per i cittadini e le organizzazioni.

Sappiamo che il disegno di legge non è stato ancora nemmeno presentato ufficialmente al Consiglio provinciale per essere prima valutato dai gruppi consiliari. Per questo “iniziative” ha deciso di uscire in pubblico solo a gennaio 2017 con una serie di azioni politiche.

Le prime reazioni di partito SVP, e quelle del presidente della Provincia fanno temere che sul disegno di legge, nonostante esso si muova secondo il nostro giudizio già al limite dell’accettabile, si interverrà ancora in modo peggiorativo. Peggio ancora: sembra addirittura dubbio che il disegno di legge sarà presentato in modo altrettanto trasversale di come è stato sviluppato.

L’Iniziativa per più democrazia ha quindi preso posizione e così scrive ai cittadini Sud-tirolesi:
«Il disegno di legge sulla democrazia diretta e la partecipazione di Magdalena Amhof, Brigitte Foppa e Sepp Noggler è l’esito di un lavoro innovativo, intenso e serio. Però alla fin fine si tratta sempre di un compromesso partitico. Esso contiene una serie di miglioramenti rispetto alla legge in vigore, al contempo però presenta tutta una serie di manchevolezze se lo si valuta in base a uno standard internazionale di buona prassi in materia di democrazia diretta. Ci aspettiamo dai partiti e dal Consiglio provinciale stesso un ulteriore passo verso una qualità praticabile e un completamento della proposta.

Con considerazione per il lavoro svolto da parte di Magdalena Amhof, Brigitte Foppa e Sepp Noggler l’Iniziativa per più democrazia ha valutato il disegno di legge per un nuovo ordinamento della democrazia diretta scaturito da un processo partecipativo lungo, intenso e trasversale e ribadisce quanto segue:

È evidente la ricerca di un compromesso possibile tra posizioni partitiche e interessi di gruppo opposte. Va onorato il fatto che il disegno di legge non contiene costruzioni e formulazioni tese a rendere l’utilizzo di tali strumenti di partecipazione volutamente difficoltose.

Sono evidenti i miglioramenti in termini di applicabilità ed elementi nuovi rispetto alla legge attuale come ad esempio:

– la riduzione del quorum dal 40% al 25%, l’assenza di quorum per i referendum consultativi;
– la riduzione del numero di firme da raccogliere per lanciare un referendum da 13.000 a 8.000;
– introduzione del referendum confermativo su leggi del Consiglio se non varate da maggioranze dei 2/3;
– introduzione del referendum consultivo (non vincolante però da eseguire prima dell’entrata in vigore) su delibere della giunta che comportano costi oltre i 28 milioni di euro;
– introduzione del referendum consultivo (non vincolante) su tutte le delibere della Giunta prese non più di un anno prima;
– riduzione dei periodi di sospensione di ogni attività riguardante i referendum prima e dopo le elezioni;
– diritto di voto per i sedicenni;
– clausola di garanzia per i gruppi linguistici in forma di diritto di veto;
– introduzione dell’opuscolo referendario con presentazione delle posizioni a favore e contrarie;
– introduzione aggiuntiva di una sessione autunnale per le votazioni referendarie;
– obbligo di pubblicazione dei mezzi finanziari impegnati per la pubblicità;
– istituzione di un ufficio per l’educazione politica e la partecipazione;
– diritto di consulenza giuridica per i promotori
– innalzamento dell’importo a un euro come rimborso dei costi per la raccolta delle firme;
– introduzione del Consiglio dei cittadini con il compito di stendere pareri non vincolanti.

Sono altrettanto evidenti le seguenti manchevolezze:

– Il referendum confermativo su delibere della giunta è solo consultivo e limitato a delibere che comprendono costi relativamente alti. Circa 28 milioni di euro;
– non è possibile il referendum su delibere di giunta limitatamente ai Comuni interessati direttamente dalla delibera. Con questo probabilmente non si potrà tener conto dei più frequenti motivi di richiesta referendaria;
– non sono possibili referendum confermativi su leggi che vengono varate con la maggioranza dei 2/3;
– manca il diritto di petizione;
– manca il referendum consultivo su diverse opzioni;
– non è previsto che il Consiglio provinciale porti al voto referendario una sua controproposta al disegno di legge dei promotori che darebbe ai cittadini la possibilità di scelta tra due proposte;
– la previsione di referendum richiesti da un terzo dei consiglieri provinciali stimola l’abuso partitico dello strumento di democrazia diretta;
– la raccolta delle firme rimane inutilmente onerosa con la richiesta di autenticazione da parte di pubblici ufficiali e mandatari. Manca la possibilità di raccolta elettronica delle firme come era già prevista nel disegno di legge Schuler;
– il tempo utile di quattro mesi per la raccolta delle firme è inutilmente troppo breve;
– sono illogiche soglie uguali (8.000 firme) per strumenti di democrazia diretta che hanno diversa valenza;
– rimane esclusa dall’intervento referendario la regolamentazione degli stipendi dei politici;
– il termine di un giorno e mezzo per la stesura di un parere da parte di un Consiglio dei cittadini estratto a sorte è totalmente irrealistico.

Visto complessivamente, il compromesso presentato si colloca strettamente al limite dell’accettabile. Ci aspettiamo perciò da parte dei consiglieri provinciali non solo che si impegnino all’interno dei loro partiti e poi nel plenum del Consiglio affinché non si retroceda ulteriormente rispetto alle posizioni elaborate nel disegno di legge, ma che si proceda invece ad ulteriori miglioramenti del disegno di legge per renderlo integrale e per aprire una nuova stagione nella relazione tra rappresentanza politica e cittadinanza.»



Insomma, è vero che in Trentino-AltoAdige si vive meglio l’autonomia che non nell’autonoma Sicilia, ma in ambedue i paralleli geografici i partiti non sono la soluzione ma il problema che ostacola una corretta vita democratica.
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Re: Referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » ven gen 06, 2017 10:44 am

Gli italiani sono fatti. Ma non sono riusciti bene
di ENZO TRENTIN
6 Jan 2017


http://www.lindipendenzanuova.com/gli-i ... sciti-bene


Il 15 settembre 1923, Ernest Hemingway scrisse per “The Toronto Daily Star” un articolo sul mestiere di re in Europa. Prendiamo a pretesto il brano riguardante l’Italia per fare un po’ di speculazione intellettuale, e di raffronto con i nostri giorni.

«King Business in Europe Isn’t What It Used to Be […] Vittorio Emanuele d’Italia è un ometto basso, molto serio, mani e piedi piccolissimi. In divisa, quando portava le fasce militari, le sue gambe apparivano tozze e smilze come quelle di un fantino. La bassa statura del re d’Italia è una caratteristica dell’antica casata dei Savoia, nella cui lunga serie di regnanti i più alti erano anche più bassi di pugili peso bantam [peso gallo. Ndr].

Attualmente il re d’Italia è forse il più popolare sovrano d’Europa. Ha ceduto il regno, l’esercito e la flotta a Mussolini. Mussolini glieli ha resi cortesemente con molte proteste di fedeltà alla casa Savoia. Poi ha deciso di tenersi l’esercito e la flotta. Quando chiederà il regno, nessuno è in grado di dirlo.

Ho parlato a molti fascisti, antico nucleo originario del partito, che avevano tutti giurato di essere repubblicani. “Ma abbiamo fede in Mussolini” dicono. “Mussolini saprà quando sarà il momento.”

C’è una probabilità, naturalmente, che Mussolini sia disposto a rinunciare alla sua vecchia idea repubblicana, come già fece Garibaldi. Lo ha fatto temporaneamente, ma ha il dono di fare apparire definitivo ciò che fa provvisoriamente».

Ecco allora le speculazioni che ci sentiamo di proporre: nel suo lungo regno, Vittorio Emanuele III ricevette dalla stampa, da eminenti uomini di cultura o da politici, alcuni epiteti celebrativi legati alla Grande guerra: il “Re soldato”, “Re di Peschiera”, “Re della Vittoria”, o semplicemente “Re Vittorioso”. Dopo l’8 settembre 1943 fu anche chiamato dai fascisti di Salò il “Re Fellone”. Per l’ennesima volta l’Italia cambiava alleato nel corso di un conflitto. In fuga da Roma il Re, suo figlio Umberto, con Badoglio e lo Stato Maggiore approdarono a Brindisi, e la confusione provocata generò il caos in tutti i fronti sui quali ancora combattevano gli italiani. Lasciati senza precisi ordini, 815.000 soldati si sbandarono, vennero catturati dall’esercito germanico, e furono internati in diversi Lager.

In modo inverso nel corso della II G.M. i sovrani norvegesi e olandesi si ritirarono in esilio durante l’occupazione tedesca dei loro Paesi. Rimarchevole Cristiano X di Danimarca. Egli rimase nella capitale durante l’occupazione, diventando così un simbolo visibile di lealtà. Senza scorta, senza accompagnatori, solo con il suo cavallo Jubilee Cristiano X era un esempio di resistenza passiva, non violenta, e sosteneva in modo esemplare il morale dei danesi. Ostentò persino la Stella di Davide (il segno distintivo ebraico imposto dagli occupanti nazisti a tutte le persone di religione e di origine ebraica, nei Paesi occupati) come segno di supporto e solidarietà con gli ebrei danesi, che soffrivano la persecuzione durante l’occupazione.

Considerevole il salvataggio di migliaia e migliaia ebrei durante tale occupazione. Il Movimento di Resistenza, e l’aiuto di molti civili danesi, diedero vita all’evacuazione via mare degli ebrei dalla Danimarca verso la vicina Svezia neutrale. Oltre a quel salvataggio, l’interessamento dei danesi per la sorte del 5% di ebrei autoctoni che erano stati deportati nel campo di concentramento di Theresienstadt, consentì a più del 99% degli ebrei danesi di sopravvivere all’Olocausto.

Forse bastano questi dati per comprendere come, ad un certo punto, gli italiani optarono per la repubblica. In ogni caso l’opinione pubblica non ha idea di cosa siano disposte a fare alcune persone per esercitare il potere. Ci sono tanti diamanti falsi in questa vita che passano per veri, e viceversa. Dunque è bene soffermarsi a constatare che il “Re Fellone” amando la numismatica, non voleva impicci di governo, ma non per questo aveva smesso gli abiti del disinvolto. Mussolini pur di fare il Duce strizzò l’occhio alla borghesia, alla chiesa, ai Savoia. L’ipocrisia è un buon lubrificante, e lui non era meno spigliato. Dell’opinione degli iscritti al PNF non si curava granché.

Si sa che i seguaci di partito basta incistarli negli organismi dello Stato per farli star buoni e fedeli. In fondo un partito politico è ancor oggi una macchina centralizzata al servizio del leader, e della quale il leader non può fare a meno per raggiungere i suoi scopi. Anche ai giorni nostri chi avrebbe mai dato a Umberto Bossi la responsabilità di amministrare un condominio; ma tramite la Lega Nord…

È un giochino che funziona anche per un personaggio dalla lingua sciolta. Prima di fare il politico è anche stato un imbonitore che, con il pomposo appellativo di promoter, instradava i giovani nelle discoteche.

Nel dicembre 2014, in quella che fu la riunione sino ad allora più partecipata di indipendentisti veneti: circa tremila, a Bassano del Grappa. Gli ingenui “indy”, prima gli fecero da cordone di sicurezza durante il corteo, poi lo fecero salire sul palco a sermonggiare sull’indipendenza del Veneto. Passarono poche settimane, e già agli inizi del 2015, in piena campagna elettorale per le regionali, tentò di far credere che l’autonomia del Veneto è un passo necessario verso l’indipendenza. L’elettorato lo premiò.

Domanda: preso atto di come vanno le cose nel mondo, forse è giunto il tempo di sostituire le “democratiche” elezioni con dei ballottaggi?

Comunque, il “nostro”, come manovratore s’era già distinto nel 2014 quando operò per far approvare una legge regionale atta a indire un referendum consultivo per l’autonomia (legge regionale 15/2014), ed il giorno successivo un’altra per un referendum consultivo sull’indipendenza del Veneto (legge regionale 16/2014).

Domanda: come poteva non sapere che specie quest’ultima L.R. gli sarebbe stata cassata dallo Stato centralista?

I mesi passano, i suicidi di imprenditori che non ce la fanno a sostenere un fisco persecutorio sono centinaia. L’opinione pubblica non è certo soddisfatta dei governi Monti, Letta e Renzi. È alla ricerca di soluzioni. Sembra ragionevole supporre che l’autoctono manovratore, ai giorni nostri, riproponga l’artificio. Insomma, una sorta tria o tris o tela o filetto; nomi che vengono usati per indicare il gioco che si può considerare una semplificazione del mulino.

Manovra (attraverso i Consiglieri Finozzi, Sandonà, Montagnoli e Michieletto) per indire un referendum consultivo per l’autonomia del Veneto in autunno 2016. Non si sa se congiuntamente con il suo omologo alla Regione Lombardia. A proclami e promesse sono entrambi forti, e l’elettorato li ha sempre premiati; ma Matteo Renzi ha già detto che non si faranno questi referendum. Tuttavia la questione non è archiviabile, e dal cilindro un coniglio uscirà. Forse è meglio utilizzare una “testa di turco” (Si dice di una persona sulla quale vengono fatte ricadere tutte le colpe o le responsabilità altrui). Prontamente Antonio Guadagnini deposita il magniloquente Progetto di Legge n. 154: Referendum consultivo sull’indipendenza del Veneto.

A proposito di “testa di turco” – ça va sans dire – qui: http://www.miglioverde.eu/piemonte-cont ... -autonoma/ Roberto Gremmo accenna ad un esemplare piemontese: Renzo Rabellino, che con le sue disinvolte e compulsive acrobazie elettoral-politiche ha praticamente “disinnescato” le aspirazioni autonomistico-indipendentiste di quel popolo.

Sui social network, intanto, non manca qualche ingenuo che sostiene la bontà di una chiamata referendaria duplice e simultanea: 1) volete l’autonomia? 2) Volete l’indipendenza? Sanno tutti che giocando sulla disaffezione dell’elettorato e sull’equivoco, il risultato finale sarà pressappoco: «Vedete, i veneti vogliono l’autonomia, non l’indipendenza». Oppure, «i veneti non vogliono l’autonomia, figuriamoci se vogliono l’indipendenza!», poiché è lapalissiano che in caso di vittoria del referendum per l’indipendenza diranno: «Ma in fondo si trattava solo di un referendum consultivo…»

Sosteneva lo scrittore e commediografo William Somerset Maughan: «L’ipocrisia è un compito ventiquattr’ore su ventiquattro.», e la constatazione è che una finzione non può durare. Prima o poi gli indipendentisti veneti si stancheranno dei venditori dei gadget, dei conferenzieri impegnati a spacciare come perfetta l’oligarchia della Serenissima, dei memorialisti di celebrazioni storiche, di solleticare l’orgoglio per antiche battaglie vinte, e di plebisciti truffa. Alcuni stanno già organizzandosi per elaborare la bozza di un nuovo assetto istituzionale. Così forse le anime candide la smetteranno di sognare la vittoria di un referendum consultivo le cui conseguenze è fuor di dubbio che l’Italia non rispetterà.

Secessione! Secessione! Altro che referendum!

Si inneggia in molti ambienti indipendentisti.
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Re: Referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » sab gen 07, 2017 5:04 pm

La virtù civica e l’indipendentismo veneto
7 Jan 2017

http://www.lindipendenzanuova.com/la-vi ... smo-veneto

È interessante notare che dopo circa 200 anni dalla nascita delle prime democrazie moderne periodicamente si ritorni a questo argomento di discussione: il popolo non sa o non saprebbe governarsi. Il popolo non ha la competenza necessaria a governarsi. E alla parola popolo si può dare l’estensione che si vuole. Infatti, ricordiamo, che per “popolo” non si è mai inteso la totalità degli esseri umani che compongono la comunità. Prima gli ateniesi escludevano donne, meteci e schiavi e alcune altre categorie. Nel corso dei secoli quando anche alcuni tentativi di democrazia si sono messi in piedi, e poi dalla rivoluzione francese e americana in poi, sempre si sono escluse delle categorie. Chi non possedeva terra. Chi non pagava le tasse. Chi non aveva la pelle bianca. Chi non sapeva scrivere. Chi non era maschio… La ragione era sempre che non avevano la competenza o la saggezza necessaria, o l’interesse a governare.

Curiosamente la questione della competenza viene posta nella quasi totalità dei casi da parte di chi ha già il potere verso quelli che lo richiedevano, o da parte di chi crede di possedere quella competenza in quanto possessore di quella particolare caratteristica verso quelli che quella caratteristica non l’avevano o possedevano. I nobili verso i borghesi che erano semplici possidenti senza lignaggio. I borghesi possidenti verso chi non aveva terre o mezzi e non poteva pagare tasse. Gli uomini dalla pelle bianca verso quelli con un altro colore. I maschi verso le femmine. Gli acculturati verso gli analfabeti… gli anziani verso i giovani. In una memorabile sentenza, Elmer Eric Schattschneider (1), uno dei maggiori scienziati politici statunitensi messosi in luce dopo la II G.M., ebbe a scrivere che «la democrazia è stata creata per i cittadini, e non viceversa.»

Nelle moderne democrazie c’è un primo modello che possiamo chiamare politica della «virtù civica». Esso esprime una vita politica straordinaria e perfino eroica. I cittadini partecipano attivamente alla politica perseguendo l’obiettivo del bene pubblico o dell’interesse generale, animati dalla qualità della virtù civica. Al di là delle doti che presentano nel privato, nella vita pubblica i cittadini sono pronti a sacrificarsi e ad impegnarsi alacremente in vista del bene collettivo. (2) Questo modello di vita politica ha una lunga storia, a partire dai filosofi politici della Grecia classica, con particolare riferimento ad Aristotele, continuando con l’Umanesimo del Rinascimento italiano, poi con i pensatori politici della rivoluzione americana e così via. Per mezzo della sua associazione storica con l’idea di governo repubblicano, la centralità della virtù civica è ricondotta a ciò che viene chiamato repubblicanesimo classico.

Alcune eccezioni presenti nella storia confermano la difficoltà di realizzare l’ideale classico negli Stati di grandi dimensioni. Quando Roma si trasforma da Città-Stato a impero, mantiene la struttura politica e costituzionale originaria, escludendo dal diritto di cittadinanza e partecipazione alla vita pubblica una fascia via via crescente di popolazione. Come i Greci, i Romani non riuscivano ad accettare, e forse nemmeno a concepire, che affinché gli ideali del governo repubblicano potessero sopravvivere in uno Stato di grandi dimensioni, le assemblee dei cittadini dovessero essere sostituite da organismi elettivi. Come nella Repubblica veneziana dove, benché le sue dimensioni territoriali e demografiche fossero ampie se comparate con quelle delle altre repubbliche italiane, la cittadinanza venne severamente ristretta ai soli discendenti maschi dell’aristocrazia ereditaria, che non arrivavano nemmeno alle duemila unità.

Occorre tuttavia ricordare che le assemblee cittadine delle antiche repubbliche, sebbene piccole, erano raramente così omogenee da scongiurare gravi conflitti politici. In tal senso, anche allora la pratica politica era lontana dall’ideale. L’evidenza storica mostra che la vita politica nelle Città-Stato, Atene inclusa, non era molto migliore di quella di oggi: spesso brutale, faziosa, spietata e perfino letale. Leggendo la storia dei piccoli Stati, James Madison era giunto alla conclusione che l’esistenza di fazioni fosse la rovina della repubblica.

Più recentemente Ernesto Rossi, uomo politico liberale (è stato co-autore del Manifesto di Ventotene), prova che la polemica nei confronti dei partiti è una polemica che nasce sin dagli albori del regime post-fascista e non può non essere annoverata dalla tradizione liberale. Non si tratta, perciò, di una polemica eversiva ed antidemocratica. Rossi infatti scrive: «Le grandi masse non si conquistano con i ragionamenti, ma facendo appello agli istinti e ai sentimenti più elementari, con i metodi di imbonimento con i quali vengono indotte a entrare nel baraccone delle meraviglie, ad affollare la piazza in cui è impiccato un “traditore del popolo”…: slogan di poche martellanti parole, cartelloni a colori piatti, promesse irrealizzabili, suoni di trombe, sventolii di bandiere» (“Le serve padrone” da Il Mondo 24/06/1950)


Secondo Robert A. Dahl (3), l’esistenza di interessi differenziati implica l’esistenza di differenti interpretazioni del bene pubblico o comune, ovvero di differenti beni pubblici. Solamente le società di piccole, se non di piccolissime dimensioni, possono coltivare una visione unitaria del bene pubblico, come si ritiene sia stata coltivata dagli Ateniesi del V secolo a.C., ma anche da Jean-Jacques Rousseau che, sulla base di quella esperienza, ha continuato a sostenere (sia pure con qualche dubbio) che una democrazia può rimanere tale solamente se di piccole dimensioni. Questa visione è stata radicalmente messa in discussione, per la prima volta nella storia, nel dibattito che si è svolto all’interno della Convenzione costituzionale di Filadelfia e che ha portato, quindi, all’elaborazione della (seconda) Costituzione statunitense del 1787.

Stante ciò, un Veneto indipendente composto da circa cinque milioni di abitanti appare a noi la dimensione equilibrata per contemperare le varie istanze della democrazia, a patto che ci sia un giusto bilanciamento tra quella “rappresentativa” e la “diretta”, da attivarsi, però, quest’ultima con semplicità e tempestività, senza complesse operazioni preliminari e burocratiche, ogni volta che le circostanze lo impongono. In fondo i nostri antenati non disponevano dei mezzi tecnici di cui attualmente possiamo disporre.

Si tenga presente che nel lungo periodo del confronto ideologico, nessun attore partitico ha voluto introdurre i vincoli derivanti dalla democrazia diretta, sia perché non ne comprendeva l’importanza e sia perché ne temeva le conseguenze principalmente su di sé. Le regole e le istituzioni democratiche sono state considerate come accorgimenti strumentali, per favorire l’uno o l’altro attore partitico, e non già come assetti giustificati per la loro valenza universale. Come stupirsi che l’Italia non abbia ancora una legislazione sul conflitto d’interesse (così da impedire la coincidenza tra gli interessi economici e quelli politici); oppure una legislazione che regolamenti il potere di ricatto di alcuni gruppi d’interesse funzionale, potere di ricatto che ne incrementa la capacità contrattuale a danno però dei diritti dei cittadini; oppure una legislazione che favorisca una piena competizione del mercato, intaccando le posizioni di monopolio o di rendita, così consentendo un continuo intreccio tra monopoli economici, bancari e finanziari e interessi politici? Forse, la riflessione di Robert A. Dahl può fornire alcune utili indicazioni a coloro che, in Italia, si sono posti nella prospettiva di dare vita a una Political economy democratica: ovvero a una reazione tra economia e politica coerente (almeno) con le esigenze basilari di una democrazia poliarchica.

Per quanto riguarda la Poliarchìa (che non coincide pienamente con la democrazia) si tratta di una forma di governo in cui il potere politico è esercitato con pari autorità da una pluralità di soggetti politici. Il termine poliarchica fu introdotto da J. Althusius, nell’ultimo capitolo della sua Politica methodice digesta (1603), per distinguere le varie forme di governo a seconda che il potere sia monarchius (cioè detenuto da una sola persona) o polyarchius (cioè detenuto da più persone), usando una terminologia che è stata poi resa familiare da R. A. Dahl (4) il quale, elabora di contro alle teorie che egli considera tradizionali della democrazia il concetto di democrazia poliarchica. Per essa si intende un modello di democrazia pluralistica articolato sulla diffusione del potere politico (e dei relativi “contro-poteri”) all’interno della struttura sociale.

E c’è, ancora, la politica dell’iper-egoismo. Più specificatamente, sono due le condizioni economiche che favoriscono la politica dell’iper-egoismo. La prima è la mancanza di crescita economica: senza un valore aggiunto da dividere il gioco politico è infatti a somma zero – se vinco io, perdi tu e se perdi tu, vinco io. Alcuni osservatori hanno definito in questo modo la vita politica in Argentina nella parentesi democratica tra la fine del peronismo e la dittatura militare. La seconda condizione, ben illustrata dai casi dell’Italia e del Giappone, è la combinazione di un alto tasso di crescita economica con l’iper-egoismo nella vita politica. Questa combinazione è ottenuta trasformando le elezioni e la vita parlamentare in uno spettacolo finanziato dai sussidi del mondo industriale. In Giappone, la politica economica e i programmi di intervento pubblico vengono formulati e attuati da una burocrazia meritocratica indipendente dalle elezioni, dal Parlamento, dai partiti, ma soggetta alle pressioni di gruppi di interesse, anche di matrice mafiosa. L’Italia, almeno fino alla decimazione della classe politica post-bellica, sembra essere stata governata da una cleptocrazia. Per di più, in entrambi i paesi, la classe politica è stata usata dalle (e ha usato le) maggiori organizzazioni criminali. E in entrambi i paesi, in particolare in Italia, c’è stata un’ondata di rifiuto popolare della politica indecente e degradata dell’iper-egoismo, che potrebbe condurre, se già non lo sta facendo, a dei cambiamenti autoritari.

L’indipendenza del Veneto, come di qualsiasi altra area dello stivale, si potrà ottenere non per mezzo di singolari associazioni elettoralistiche formate da movimenti sedicenti indipendentisti diretti da transfughi della peggiore partitocrazia italiota. Né è possibile essere così ingenui da pensare che sarà possibile, attraverso un’assemblea regionale, avviare un processo che porti all’indipendenza. Su questo stesso giornale, di recente, è stato scritto: «Non vogliamo speculazioni meramente elettoralistiche – ha dichiarato Valdegamberi – ma sostenere un progetto serio sul quale chiediamo che le singole forze politiche esprimano la loro posizione…» Ebbene, siamo desolati per il fatto di non aver ancora potuto leggere un progetto per un nuovo assetto istituzionale, o patto, o foedus largamente condiviso dalle popolazioni alle quali questi uomini politici si rivolgono. Costoro spesso citano l’indipendentismo scozzese; ma omettono o ignorano che il 18 settembre 2014 gli scozzesi andranno a votare per la loro indipendenza ben sapendo come saranno le nuove istituzioni. Lo Scottish National Party, infatti, ha elaborato, e più volte aggiornato, con il contributo di oltre 400 associazioni autoctone, un “Libro Bianco” [LEGGI QUI] in proposito. Dove si può trovare qualcosa del genere a cura degli odierni indipendentisti aspiranti al Consiglio regionale veneto?

* * *

NOTE:

(1) E.E. Schattschneider, The Semisovereign People. A Realist’s Vieu of Democracy in America, introduzione di D. Adamany, The Dryden Press, Hinsdale 19752 (prima edizione 1960), p. 82.

(2) Robert A. Dahl Toward Denocracy: A Journey, 1997, IGS Press, Berkeley, California

(3) Idem c.s.

(4) Robert A. Dahl, in A preface to a democratic theory (1956)
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Re: Referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » sab gen 14, 2017 3:10 pm

A VENT’ANNI DALL’IMPRESA DEI SERENISSIMI, I VENETI VOGLIONO UN REFERENDUM

http://www.miglioverde.eu/a-ventanni-da ... referendum

L’anno 2017 a quanto sembra dovrebbe essere l’anno del referendum per l’autodeterminazione del Veneto. Sì lo so formalmente questo referendum ha un nome un po strano ovvero “referendum sull’autonomia del Veneto”. Autonomia? Cosa vuol dire? Saranno i Veneti con il loro agire, con la loro volontà e forza a determinare il livello di autonomia che vorranno. Io mi auguro, anzi sono sicuro che i Veneti decideranno che l’autonomia divenga autogestione ed indipendenza delle Terre Venete ricostituendo la Repubblica Veneta attraverso l’istituto della democrazia diretta interpretato dal referendum. I Veneti vogliono il referendum, i Veneti vogliono riappropriarsi del libero arbitrio, quello che è stato loro sottratto dalla farsa plebiscitaria del 1866 voluta dalla feccia savoiarda. Già vari prezzolati accademici e politicanti stanno denigrando le genti venete, stanno mistificando la storia dalle proprie cattedre universitarie e dai vari seggi che occupano.
Questi loschi personaggi si ricordino che la storia non perdona chi mente, e che già un Goebbels, con le proprie menzogne, è finito nella pattumiera della storia. L’indizione di questo referendum è un successo della decennale lotta del ricostituito Veneto Serenissimo Governo, degli indomiti patrioti che a tutti i livelli lo hanno sostenuto, dei gloriosi giorni della liberazione di Piazza San Marco del 1997, primo atto pubblico di consapevolezza identitaria dei patrioti Veneti che rivendicavano il diritto dei Veneti a ritornare ad essere nazione indipendente. A vent’anni dai fatti del 1997, nonostante la repressione portata avanti dall’occupante italiano e dai propri lacchè locali, abbiamo l’occasione di gridare al mondo che il Popolo Veneto non è morto, con la stessa indomita forza del Leone dei nostri gonfaloni i veneti hanno ripreso a ruggire per riaffermare il proprio anelito alla libertà. Dobbiamo prepararci ad una mobilitazione generale per portare in tutte le città, in ogni contrada, in ogni valle il nostro sogno di libertà.
L’occupante italiano non starà a guardare, tenterà di mistificare la realtà, negherà la verità storica ed in questo sporco gioco sarà aiutato da veneti di nome ma non di fatto. La nostra forza di Veneti che amiamo il Veneto travolgerà tutto, il futuro della nostra terra ci appartiene, usiamo il referendum per riappropriarcene senza timore. Non dobbiamo vergognarci della storia della nostra terra, è la nostra storia con tutti i pregi e difetti, nessuno potrà rubarcela o strumentalizzarla per danneggiarci. Venete e Veneti dobbiamo essere un sol corpo e muoverci senza paura e senza timore, e senza cadere ai tatticismi italiani, andare sicuri verso la libertà. Referendum subito per la libertà del Veneto!

Demetrio Shlomo Yisrael Serraglia
vicepresidente di Veneto Serenissimo Governo


Alberto Pento
Me piaxaria saver endoe k'a xe i veneti, i młioni de veneti cosienti e deçixi k'a ghe vol par poder far on vero referendo cofà en Catałogna o en Scosia. Mi no gh'in vedo tanti e i poki k'a ghè o łi ghe va drio al fanfaron de Xaia e a ła pataca de ła Liga co łi so referendi counsoultivi sensa vałor, o łi ghe va drio a łi envaxà del mito de ła Serenisima ke nol ne porta da gnaona parte, parké ła Serenisima lè morta 220 ani pasà, morta dal bon e no par finta anca se ghè coełi ke łi crede ke ła sipia ancora viva come i fans de Elvis Aaron Presley (ai so tenpi no ła xe sta bona de far sù on stado veneto a soransa de tuti veneti e co xe rivà Napoleon ła se ga całà łe bràghe e ciao Nineta). On conto a xe recouperar ła nostra storia pristorega e dei dogadi xermani e venesian, dei comouni co ła so democrasia e de łe nostre çità tra cu anca Venesia col so enpero de tera e de mar e de on stado veneto a soransa de tuti i veneti ke no lè mai nato e on conto lè fisarse sol mito de ła Serenisima e credar de poder resusitarla ke lè on credar da panpe come el credar ente i miracołi de Cristo e dei santi cristiani. La tera ła xe lomè de i omani de bona vołontà e no de coełi k'a crede ente i miracołi e ente i miti.
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Re: Referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » mar gen 17, 2017 9:27 am

IN ITALIA NON SI CAMBIA IL REGIME ENTRANDO NELLE ISTITUZIONI
17 Jan 2017
di ENZO TRENTIN
http://www.lindipendenzanuova.com/in-it ... stituzioni

L’unico che ci riuscì fu Benito Mussolini. Aveva una sua idea di Stato, anche se fu costretto a “plasmarla” vai via nel tempo. Conquistò dapprima alcuni seggi parlamentari, poi anche con l’uso della forza trasformò le istituzioni. La chiamò: rivoluzione fascista. La Repubblica che nasce con il referendum del 2 giugno 1946, e che si dota di una nuova costituzione nel 1948, è un’imposizione degli Alleati che vinsero la II GM. Con questa repubblica nata dalla Resistenza per essere “occupata” della partitocrazia, non è possibile.

All’incirca negli ultimi tre decenni alcuni soggetti hanno provato a cambiare il volto della politica italiana, ma senza riuscirvi. Qui per brevità prenderemo in esame solo tre soggetti. Il primo di questi era un perfetto sconosciuto, per di più rozzo: Umberto Bossi. Dapprima nessuno lo prese in considerazione; tuttavia il suo triviale linguaggio arrivò ad una parte dell’elettorato. In principio fu premiato con alcune decine di Consiglieri comunali sparsi qua e là, poi arrivò in Parlamento con una rappresentanza esigua, e via via più consistente.

In seguito, sulla scia della visibilità acquistata come giudice del pool “Mani Pulite”, anche Antonio di Pietro ottenne una rappresentanza locale e poi nazionale. Mentre l’ultimo in ordine di tempo è Beppe Grillo; “megafono” e assieme volto noto grazie alla sua professione e al taglio di alcuni suoi spettacoli, del suo più “defilato” mentore: il fu Gianroberto Casaleggio. Anche qui in principio fu premiato con alcune decine di Consiglieri comunali sparsi qua e là, poi arrivò in Parlamento con una consistente rappresentanza.

Tutti: Lega Nord, Italia dei Valori, Movimento cinque Stelle, hanno ottenuto il consenso dell’elettorato grazie alle loro promesse di rivoluzionare le istituzioni italiane. Abbiamo visto com’è andata a finire. La LN da partito “nordista” è diventata nazionalista. Collabora con la francese Marine Le Pen, Presidente del Fronte Nazionale. Il M5* sta probabilmente iniziando la sua fase declinante anche grazie alla gaffe materializzata nell’UE dove gli è stato rifiutato il cambio di gruppo parlamentare, per non parlare della storia infinita del Sindaco di Roma: Virginia Raggi. Il sistema politico italiano è così una sommatoria. Un impasto di cooptazione, corruzione e conflitti d’interessi volutamente ignorati e mai risolti.

Quegli indipendentisti veneti che credono alla via istituzionale per mezzo di leggi regionali sulle minoranze etniche, e su referendum consultivi, e quant’altro affine, sembrano ignorare del tutto la storia. Danno l’impressione d’essere inconsapevoli di giocare con gli strumenti (truccati) di un soggetto che nella sua storia ha sempre cambiato le carte in tavola. In realtà sono “accecati” da alcuni pseudo leader sedicenti indipendentisti, ma lautamente compensati dallo Stato italiano, e che pertanto non dovrebbero raccogliere gran credito, soprattutto perché se si ottenesse ora l’indipendenza, sarebbero loro a occupare i ruoli più importanti del nuovo soggetto istituzionale, perché i soli che oggi possono vantare un’esperienza istituzionale.

Gli indipendentisti veneti ignorano anche la capacità di subornazione. E quando si parla di subornazione, è importante tenere a mente che si parla di una corruzione studiata: il subornato viene montato, con la prospettazione più o meno esplicita di un vantaggio, a compiere atti contrari a quello che sarebbe il proprio dovere. Basta costatare come iniziano ad apparire interventi giornalistici a favore del referendum consultivo per l’autonomia, segno evidente che il potere politico-economico che detiene i mezzi d’informazione ha scelto la “lunga via” dell’autonomia al rischio dello strappo derivante dall’indipendenza. E per costatare quanto lunga sia questa via, basta guardare proprio alla storia di quell’autonomia dell’Alto Adige che è sbandierata ad ogni occasione dagli Zio Tom dell’indipendentismo veneto.

Invece, il dovere di un sincero indipendentista dovrebbe essere quello di prefigurare le nuove istituzioni in cui vorrebbe vivere, non nel modificare quelle altrui. Scriveva Antoine De Saint-Exupéry: «Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito.» Gli indipendentisti veneti non dovrebbero raccogliere uomini e talenti per cambiare uno Stato italiano mal costruito sin dall’inizio ed irriformabile; ma prospettare la bellezza del mare infinito in cui vogliono far navigare in libertà e prosperità il popolo veneto.
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Re: Referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » ven gen 20, 2017 9:59 am

VENETO, QUEL DIRITTO UNILATERALE ALL’AUTODETERMINAZIONE CHE NON ESISTE
di ENZO TRENTIN
http://www.miglioverde.eu/veneto-quel-d ... non-esiste

Ci è stato chiesto di commentare un comunicato auto-elogiativo e propagandistico redatto dal portavoce ICEC del Veneto che ha suscitato speranze in alcuni ambienti indipendentisti. Il titolo è questo: “All’Europarlamento: sì a Risoluzione di Venezia, approvata dalla Regione Veneto. Legittimo dichiarare l’autodeterminazione in modo unilaterale”.

Per chi non l’avesse letto ne stralciamo questa parte: «Il simposio organizzato al parlamento Europeo congiuntamente da diversi gruppi parlamentari europei e da ICEC, la piattaforma sociale internazionale per l’esercizio del diritto all’autodeterminazione in Europa, ha chiuso i lavori con la sottoscrizione della “Resolution of Venice”, ovvero con la sottoscrizione internazionale della Risoluzione 27 del 29 novembre 2016 del Parlamento Veneto, presentata dal Segretario del Consiglio Regionale e capogruppo di “Siamo Veneto” Antonio Guadagnini.

La risoluzione afferma la “legittimità dell’unilateralità” del processo di autodeterminazione. Ecco l’atto internazionale di chiusura dei lavori del 2° Simposio ICEC al parlamento europeo:
“We therefore recognize that whenever the exercise of the universal right of Self-determination is rejected by the state institutions, citizens and nations of Europe can do and should do the only possible thing: unilaterally exercise through their representative democratic parliaments this right that is configured by its nature in the international law framework” Venice, 2016 November 29th (“Riconosciamo pertanto che ogni volta che l’esercizio del diritto universale di autodeterminazione sia negato dalle istituzioni statali, i cittadini e i popoli d’Europa possano e debbano fare l’unica cosa possibile: esercitare unilateralmente – attraverso i loro democratici parlamenti – tale diritto, che si configura per propria natura nel quadro giuridico internazionale”. Venezia, 29 novembre, 2016)»
Le parole chiave per smorzare tanta esultanza veneta sono: «attraverso i loro democratici parlamenti». Orbene, i parlamenti sono organi legittimati a legiferare. Rientra quindi nelle loro facoltà deliberare l’autodeterminazione dei popoli o delle aree geografiche che li hanno espressi. Tuttavia per non creare un inaccettabile vuoto di potere, un minuto dopo tale decisione dovrà essere approvato e deliberato un nuovo progetto istituzionale o Costituzione o Statuto che dir si voglia. Ma se tali parlamenti hanno a disposizione un tale strumento e sono disposti a votarlo, che necessità hanno di dichiarare prima l’autodeterminazione? Non basta affermare: le nuove regole che ci diamo da indipendenti sono queste?
Nello specifico:
1. Una risoluzione regionale non è un atto deliberativo avente forza di legge, ma il parere dell’amministrazione in relazione ad una determinata fattispecie.
2. Ha il parlamentino della Regione Veneto un progetto istituzionale per l’indipendenza? La risposta è no!
3. Si appresta invece a chiedere, attraverso un referendum consultivo, il consenso dei suoi amministrati per contrattare una maggiore autonomia dallo Stato italiano di cui è emanazione.
A conferma dell’inutilità della “Resolution of Venice”, si può constatare come la Generalitat de Catalunya – che un progetto istituzionale per la sua indipendenza ce l’ha da tempo – abbia deliberato il suo processo di disconexiò senza appoggiarsi a nessun documento simile a quello prodotto dalla Regione Veneto, e promosso da ICEC.
In conclusione a noi pare si tratti dell’ennesima versione del paradosso del Comma 22, formulato nel romanzo Catch 22 di Joseph Heller (“Tranello 22”, di norma tradotto con “Comma 22”). Il paradosso riguarda un’apparente possibilità di scelta in una regola o in una procedura, dove, in realtà, per motivi logici nascosti o poco evidenti, non è possibile alcuna scelta ma vi è solo un’unica possibilità. Nel romanzo ambientato durante la seconda guerra mondiale, i regolamenti a cui i piloti erano soggetti contenevano il Comma 22: «Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo.» Ovviamente si tratta di una norma regolamentare che, in realtà, non è mai esistita. Ma questo paradosso, i sofisticati indipendentisti veneto-europei di cui sopra pare lo abbiano introdotto.
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Re: Referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » dom gen 22, 2017 10:18 am

L’Opinione dell’Uomo Qualunque di Roberto Agirmo - AUTONOMIA del Veneto Vs INDIPENDENZA del Veneto

Roberto Agirmo con Gabriele Riondato e altre 49 persone.
19 gennaio alle ore 10:47

https://www.facebook.com/robertoagirmo/ ... 9362366873

Perché questi due termini devono viaggiare assieme.

Leggo da parte di alcuni “Indipendentisti” indefessi che correre appresso all’Autonomia sarebbe “stupido” e “solo” l’Indipendenza potrebbe portarci fuori dalle secche!

Questi stessi “Indipendentisti” vedono come fumo negli occhi questa iniziativa regionale.

Qui di seguito cercherò di spiegare da INDIPENDENTISTA quale io sono, perché il percorso AUTONOMISTA sia INDISPENSABILE!

L'Italia è inequivocabilmente un paese irriformabile è fallito sia economicamente che socialmente e moralmente, oggi l’Italia è metaforicamente paragonabile ad un Titanic che affonda e neppure troppo lentamente!

Con l'indipendenza i problemi si risolverebbero e questo è certo, basti pensare al residuo fiscale di € 21.000.000.000 che rimarrebbe a “casa” e già con questo avremmo un Rating finanziario pari ad una tripla AAA ( Dichiarazione Fitch )

Però ....
l'indipendenza non può arrivare dall’oggi al domani, serve un percorso programmatico legale è pacifico!

Il 7 dicembre è stata approvata una legge ( passata quasi inosservata ) d’importanza strategica, ovvero la " Tutela della minoranza nazionale Veneta" ( primo passo oggi in fase attuativa ) l’attuazione di questa legge anche se probabilmente proveranno a cassarla, creerà movimento d’opinione, creerà interesse, creerà curiosità e fondamentalmente creerà informazione sulle istanze dei Veneti! ( che aiuterà il disegno complessivo )

Adesso grazie a persone come Luca Zaia , Roberto Ciambetti ed a molti altri, cosi come era anche previsto nel programma elettorale delle regionali che hanno eletto l’attuale giunta si sta procedendo all’indizione del referendum per l’Autonomia!

Che sia ben chiaro, nessuno s’illuda che il giorno dopo la vittoria del SI all’Autonomia le cose cambino sul lato del pratico!

Il giorno dopo la Vittoria, non cambierà quasi nulla …….. ma ciò che cambierà avrà EFFETTI DIROMPENTI;
la maggioranza dei Veneti avrà preso coscienza in modo esplicito che sono coesi verso un obiettivo e sarà quindi meno difficile portare avanti tutte le rivendicazioni a partire da quelle economiche ad arrivare a tutte le altre, quelle sociali, identitarie storiche e culturali, questo processo “virtuoso” aggregherà sempre di più i Veneti e come diceva Alexandre Dumas …… Uno per tutti tutti per uno, perché l’unione farà la forza, quella forza di popolo indispensabile per portare avanti istanze sempre più “Importanti”.

Passo indietro ……..
passando attraverso l'autonomia potenzialmente qualora applicata ( ipotesi assai remota ) potremmo spostarci in una suite di questo Titanic Italia che sta affondando, potremmo quindi iniziare a strutturarci per il passo successivo, quel passo indispensabile all’approssimarsi dell’affondamento completo di questo stato allo sbando; il passo successivo quindi sarà quello di prendere questa suite e navigare in modo indipendente.

Quando questA STRATEGIA sarà chiara a tutti diventerà più veloce il cammino e prima raggiungeremo l'obiettivo finale!

Per tanto da Indipendentista convinto dico SI con tutte le mie forze al Referendum per l’Autonomia del Veneto.



Alberto Pento
Tutta propaganda filoleghista; la Lega-Liga e i suoi filatori esterni sono del tutto inaffidabili e l'hanno dimostrato in tutti questi anni e continuano a dimostrarlo con le loro continue falsità propagandistiche e illusorie, per garantirsi i voti necessari a permanere negli scranni politico-amministrativi degli enti locali e garantirsi i relativi privilegi castuali in parte estesi ai filatori esterni. In attesa, raccontano: "che i veneti del Veneto raggiungano la fantomatica unità politico-partitica nella Regione italiana del Veneto per conquistarla a stragrande maggioranza per poi legiferare in senso automista-indipendentista come se ciò fosse possibile (legale) sulla base della legislazione italiana, europea e internazionale.
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Re: Referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » lun gen 30, 2017 9:37 am

Zaia vuole l’autonomia come in Trentino Sud Tirol. Agli indipendentisti non basta
30 Jan 2017
di ENZO TRENTIN
http://www.lindipendenzanuova.com/zaia- ... -non-basta

Da molto tempo il governatore del Veneto va dichiarando di voler indire un referendum consultivo per l’autonomia del Veneto, allo scopo di far assomigliare la sua Regione a quella autonoma del Trentino-Alto Adige.

Naturalmente molti autentici indipendentisti bocciano quest’idea. L’autonomia è cosa diversa dall’indipendenza che Luca Zaia afferma di desiderare. E, detto en passant, non capiscono nemmeno perché i molti partiti o movimenti sedicenti indipendentisti, come pure gli svariati governi e autogoverni del popolo veneto, non si siano ancora espressi sull’opportunità, o meno, di spendere 14 milioni di euro, di denaro pubblico, per conferire un mandato a Zaia per trattare con il governo nazionale. In fondo, essi constatano che egli ha già un mandato elettorale per risolvere i problemi della Regione che presiede, ed è profumatamente pagato per questo. Dunque…?

Gli indipendentisti di cui sopra nutrono seri dubbi che Luca Zaia abbia consapevolezza del corretto metodo democratico, sia sulla conoscenza del funzionamento delle istituzioni della Regione a Statuto speciale. Infatti, costoro ricordano che da oltre un anno numerosi comitati e associazioni hanno depositato – senza ottenere ad oggi alcuna risposta – più petizioni all’apposito ufficio regionale, con cui chiedono l’introduzione di autentici strumenti di democrazia diretta allo scopo di poter deliberare, e che con il referendum consultivo non c’entrano assolutamente nulla.

Gli indipendentisti rammentano al Governatore veneto che, in questi giorni, Iniziativa per più democrazia (Initiative für mehr Demokratie) onora il Presidente della Provincia autonoma di Bolzano, Arno Kompatscher, per aver sostenuto e aver convinto la maggioranza del Consiglio provinciale a far valere per il referendum consultivo sul piano di risanamento dell’aeroporto di Bolzano le seguenti cinque condizioni basilari che lo qualificano come un referendum confermativo:

effettuazione della votazione referendaria su una materia che è di competenza della Giunta provinciale.
la decisione dei cittadini avviene prima della delibera definitiva.
l’esito della votazione per la rappresentanza politica è vincolante.
la votazione è valida indipendentemente dalla misura di partecipazione dei cittadini al voto.
garanzia di un’informazione dei cittadini equa e corretta attraverso un opuscolo consegnato per posta agli elettori.

La posizione sostenuta dal Presidente della Provincia autonoma di Bolzano, Arno Kompatscher, è esemplare e di buon esempio per la regolamentazione degli istituti di democrazia diretta. Implica la convinzione che anche le delibere della Giunta devono corrispondere alla volontà maggioritaria dei cittadini, volontà che può essere verificata solo se i cittadini hanno la facoltà di esercitare il diritto referendario rispetto alle delibere di Giunta sotto le condizioni descritte.

Per questo motivo Initiative für mehr Demokratie ha conferito la “Rosa della Democrazia” e un attestato, che sono stati consegnati pochi giorni fa in occasione di un incontro avente per oggetto la nuova legge per la democrazia diretta. Tale cerimonia s’è svolta nell’ufficio del presidente. Con la consegna il Presidente è stato incoraggiato a far sì che le condizioni da lui sostenute con convinzione vengano riprese nella nuova legge provinciale sulla democrazia diretta, affinché valgano anche per uso che i cittadini faranno di questi strumenti.

Con la “Rosa della Democrazia” l’Iniziativa per più democrazia onora chi si impegna maggiormente nella realizzazione di nuove forme e regole valide per la partecipazione democratica dei cittadini alla ricerca delle decisioni migliori.

Una rosa rossa in un cilindro di vetro, nel 1972 è stato l’elemento di una performance dell’artista Joseph Beuys. La rosa da allora è simbolo di iniziative mosse dal rispetto della dignità dell’essere umano che perseguono la realizzazione, sempre più avanzata, dell’idea della democrazia. La “Rosa” è stata in precedenza conferita ai Comuni di: Fiè, Lana, La Val, San Candido, Ortisei, Varna e Verano.

Stante le attuali condizioni della Regione Veneto, gli indipendentisti dubitano che un tale riconoscimento possa essere conferito a Luca Zaia ed ai suoi colleghi Consiglieri regionali.
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Re: Referendo par l'endependensa e i fanfaroni

Messaggioda Berto » sab feb 04, 2017 9:24 am

On fanfaron ke no' nomino parké el me fa skifo el ga dito na roba justa:

Devo ringraziare il governatore Zaia che questa sera ha chiarito ufficialmente quanto dico da 10 anni a questa parte. Dopo il referendum (lomè counsultivo) per l'autonomia del Veneto - che a questo punto diventa ancora più una inutile perdita di tempo - auspica l'approvazione di una legge di riforma costituzionale per consentire al Veneto di avere l'autonomia sul modello di Trento e Bolzano. Peccato che una legge di riforma costituzionale prevede l'approvazione dei 2/3 del Parlamento, oppure di almeno il 50% dei parlamentari + almeno il 50% degli elettori italiani in un referendum approvativo. Praticamente è più facile andare sulla Luna in bicicletta, però il processo durerebbe almeno altri 4-5 anni, il tempo giusto per assicurare alla lega di continuare a prendere in giro i veneti e non solo mantenendosi comode poltrone a fronte del nulla cosmico. Grazie Zaia.
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