Xvisara cor de l’Ouropa, n’Ouropa en megnolo

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Messaggioda Berto » ven gen 17, 2014 8:03 pm

Ła Xvisara ła xe el cor de l’Ouropa, n’Ouropa en megnoło; ła xe el cor come ke el Donao o Danubio łè la so arteria prençepal.

Ła xe fata da coatro aree etnołengoesteghe ke ła łiga a tuta l’Ouropa:

a ovest l’ara çelta,
a nord l’ara xermana,
a est l’ara romancio xlava,
a sud l’ara talega.


Etnojenexi xvisara

https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... p4V0U/edit

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Re: Xvisara cor de l’Ouropa, n’Ouropa en megnolo

Messaggioda Berto » mer gen 22, 2014 6:43 pm

Luca Schenato, un Veneto in Svizzera

http://www.dirittodivoto.org/dblog/arti ... ticolo=385

Dopo che il nostro Marco Pinetti ha recensito negli scorsi giorni il manifesto indipendentista "Veneto è chi il veneto fa", mi sono detto che sarebbe stato bello ospitare sulle nostre pagine direttamente l'autore di quel piccolo gioiello della "letteratura secessionista". Ho così inviato a Luca Schenato, che da parecchio tempo ormai risiede stabilmente in Svizzera, una serie di domande legate a questa sua scelta. Perchè, in fondo, Luca la sua secessione dal malvagio stato italiano l'ha realizzata, direi anche molto felicemente, come leggerete. Prima di salutarvi, un appunto: nelle risposte di Schenato ho lasciato le emoticons. Non è stata una scelta casuale, ma voluta, in ossequio allo spirito decisamente 2.0 (o forse persino 3.0) del mio interlocutore, uno di quegli uomini con il dono raro di saper al contempo vivere e creare il futuro.

* * *

AlexStorti)

Perché ti sei trasferito in Svizzera?

LucaSchenato)
Mi sono trasferito qui per vari motivi. Per provare esperienze nuove (di vita e lavorative), perché mi ero stancato di vivere in uno stato criminogeno, perché avevamo in progetto con mia moglie di avere un figlio e io non volevo che questo eventuale figlio crescesse in Italia. Non è stato facile, anche se non ci siamo trasferiti in Nuova Zelanda, e rido quando qualcuno dice che “scappare” è la soluzione più semplice; sì, certo…

Cosa significa essere emigrato veneto oggi? E in Svizzera in particolare?

I veneti storicamente sono sempre stati viaggiatori e io mi inserisco volentieri in questa tradizione. Con il mio lavoro sono spesso in Asia Orientale e quando ho scoperto che il club dei frequent flyer della Cathay Pacific, compagnia aerea di Hong Kong, si chiama “Marco Polo”, beh, ho fatto un sorrisino.

I veneti oggi non emigrano più, fortunatamente, per la fame nera come dopo l’annessione al regno sabaudo ma soprattutto perché restando in Italia non possono realizzarsi completamente a causa della progressiva distruzione del tessuto economico causata dal parassita IT.

Io e mia moglie diciamo spesso scherzando che siamo emigrati di serie B perché il Ticino in fin dei conti è “l’estero più vicino”: tre ore di macchina da Verona e lingua italiana parlata. Essere un veneto emigrato in Svizzera oggi non so bene cosa possa significare, forse un mangiarsi le mani nel vedere come vanno le cose qui (che comunque non è il paradiso) e pensare a come potrebbero andare di là.

Le tue impressioni sulla Confederazione in termini di tassazione.

In Italia gli opinion makers sono riusciti a far passare un’accezione negativa del termine “paradiso” riferito a “paradiso fiscale”, contrapposto al caro vecchio e patriottico inferno italiano. La Svizzera semplicemente ha un regime fiscale leggero, ultralight rispetto al macigno italiano. Oltre alla tassazione contenuta, un aspetto fondamentale, soprattutto per le aziende, sono le regole chiare, semplici e non soggette a mutazioni continue a seconda di come cambia il vento. Inoltre la possibilità di parlare con gli uffici pubblici trovandosi di fronte gente che non è lì per metterti i bastoni tra le ruote è un’esperienza nirvanica per noi abituati, appunto, all’inferno.

Vorrei sottolineare comunque che qui il costo della vita è più o meno il doppio rispetto all’Italia, quindi trasferirsi pensando di pagare poche tasse e di vivere come si vive in Italia è un errore. Personalmente l’aver deciso di trasferirmi qui ha poco a che fare con l’aspetto strettamente economico.

E in termini di convivenza fra cittadini di provenienza straniera?

In Svizzera circa il 25% della popolazione è di origine straniera. Il Paese è storicamente aperto all’immigrazione, nonostante molti luoghi comuni che dipingono una Svizzera xenofoba e razzista. Ovviamente ci sono problemi anche qui, a volte anche gravi, ma la capacità di integrazione della società svizzera è buona; ovviamente per chi vuole integrarsi.

Personalmente non mi sono mai sentito discriminato, forse aiuta il fatto di essere uno straniero decisamente “filo-svizzero”: avevo già idee che in Italia sono viste come “strambe” e qui invece comunemente accettate, come il fatto che il cittadino trasparente di fronte allo stato sia una situazione pericolosa da evitare.

Come vedono gli svizzeri l'UE?

La grande maggioranza degli svizzeri non vuole nemmeno sentir parlare di adesione alla UE perché non vuole perdere l’indipendenza, la possibilità di prendere decisioni senza delegare a un centro di comando lontano. La democrazia diretta e il federalismo (vero, non farlocco) sono incompatibili con la delega europea e gli svizzeri lo sanno bene. È in corso una guerra neanche troppo sotterranea tra UE e Svizzera per piegare quest’ultima all’uniformità europea. La Svizzera è nel cuore dell’Europa e lo scambio con altri Paesi europei è fondamentale per l’economia svizzera, ma un conto è il pacifico scambio, un altro l’assorbimento nella UE. Il continuo fare da gradasso e bullo della UE ha avuto come reazione un’estrema diffidenza e un grande fastidio nei confronti della UE. In Svizzera in pratica solo i socialisti vorrebbero entrare nella UE; ma è normale, ogni mossa dei socialisti svizzeri sembra atta a stravolgere quello che la Svizzera è.

Abitando in Svizzera mi sono reso conto in modo chiaro di come la UE sia un’istituzione per niente necessaria. Liberatomi della retorica europeista che mi ha bombardato da quando sono nato fino a quando me ne sono andato, ho constatato che c’è vita (e migliore) al di fuori della UE. Di solito si tende a usare i termini “Europa” e “UE” come intercambiabile: eh no, la Svizzera è in Europa ma per fortuna non nella UE.

Cosa sono i "ticinesi"? e come si percepiscono, rispetto ai Lombardi e rispetto agli altri Svizzeri?

I ticinesi hanno una loro propria identità e un loro sentir comune (nonostante i forti campanilismi o la divisione tra Sottoceneri e Sopraceneri) che si sono sviluppati con il tempo (è stato Napoleone a “inventare” il Canton Ticino). Parlano il loro idioma quotidianamente senza differenze di classe sociale e in questo assomigliano molto a noi veneti.

Di sicuro non si sentono lombardi e tendono a percepire quello che c’è “oltre ramina”, cioè oltre frontiera, quindi in Italia, come, appunto, “Italia” senza distinzioni tra Lombardia, Piemonte o Lazio.

Essendo il Ticino l’unico Cantone interamente a sud delle Alpi e l’unico avente come unica lingua ufficiale l’italiano, è quello più “eccentrico”. Di conseguenza nei confronti degli altri svizzeri i ticinesi hanno atteggiamenti ambivalenti: quando si sentono trascurati dal resto della Svizzera (e a volte oggettivamente lo sono) hanno un atteggiamento di repulsione. Di norma però sono fierissimi di essere svizzeri. Non sono mai stati italiani e sentimenti di unione all’Italia sono sempre stati storicamente molto minoritari.

Non esiste una “vera Svizzera”, ma una Svizzera maggioritaria (quella tedesca) e tante Svizzere minoritarie, una Svizzera rurale e una cittadina, una Svizzera alpina e una dell’Altipiano. Tutte queste compongono l’essenza della Svizzera, ossia il suo essere una Willensnation (Nazione per volontà dei suoi cittadini) che fanno della Svizzera un Sonderfall (un caso particolare) europeo.

Hai provato a discutere con qualche collega, conoscente o vicino di quanto sta succedendo in Veneto? E della Catalogna?

Di solito sono abbastanza discreto ma a volte è capitato di parlare del Veneto. La reazione sbigottita comune è stata: “e come fate a sopportare?”.
Comunque chi entra in casa mia vede bene il Gonfalone appeso e mi premuro sempre di dire che quella è la bandiera della mia nazione di provenienza.

Tornerai in Veneto?

Mai dire mai nella vita, ma al momento i miei progetti a lungo termine non lo prevedono. In Veneto ho affetti e amicizie ma la mia casa ora la sento qui. Qui è nato mio figlio e qui voglio che cresca. Se penso all’idea di un eventuale trasferimento in futuro, mi viene più in mente Hong Kong o Singapore.

Cosa significa per te, da libertarian e da indipendentista veneto all'estero, avere un figlio?

Ho pensato molto a come educare mio figlio mentre vedevo la pancia di mia moglie crescere. Di sicuro si infrangerà tutto passando dalle belle teorie ai crudi atti pratici :) Quello che vorrei per mio figlio è crescerlo in un ambiente stimolante nel quale possa farsi milioni di domande e cercare milioni di risposte. È un individuo unico e non è l’emanazione mia o di mia moglie, quindi che segua la propria strada sempre facendo le proprie scelte.

Farò in modo che il veneto per lui non sia un idioma estraneo (meglio sapere una lingua in più che una lingua in meno) ma adesso viviamo qui e non voglio crescerlo come un corpo estraneo nell’ambiente nel quale vive. Mi piacerebbe che a venti anni si percepisse come ticinese svizzero di origini venete e lombarde. Ma comunque ci penserà lui a come pensarsi :)
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Re: Xvisara cor de l’Ouropa, n’Ouropa en megnolo

Messaggioda Berto » lun feb 17, 2014 10:32 am

La frammentazione degli Stati Europei è una necessità storica

http://www.lindipendenza.com/la-frammen ... ta-storica

di JOSEPH HENRIET

E sotto gli occhi di tutti, ed è un fatto innegabile, che la Confederazione Elvetica, una Nazione piccola rispetto agli altri Stati europei vicini, è una fra le prime potenze economiche mondiali. La sua posizione sembra sia stata raggiunta grazie al fatto che non è uno stato centralista. Confederazione di nome, è in pratica è una Federazione di Cantoni, piccoli stati, che conservano un alto grado di sovranità rispetto all’organo federale sovra-cantonale. E’ stato possibile raggiungere questa posizione anche perché in quel paese il popolo è interpellato regolarmente e le sue decisioni sono sempre prese in considerazione: questo fatto crea nella società svizzera un alto grado di coesione sociale che permette di superare anche le situazioni più critiche, quando esse si presentano. In questa nazione vige la democrazia diretta (politeia aristotelica o poliarchia di cui parla il politologo americano, Robert Dahl), forma di governo diversa dall’oligarchia praticata in quasi tutti gli altri Paesi europei. L’oligarchia allontana la gente dalla politica, mentre la poliarchia sviluppa nella società la coesione sociale; coesione sociale che porta, ad esempio, quando c’è bisogno di aumentare la produzione di un’azienda, gli operai stessi a prendere la decisione di allungare l’orario di lavoro. In clima di poliarchia, la corruzione è quasi del tutto assente e l’onestà, la correttezza, la puntualità e l’efficienza sono solide caratteristiche dell’amministrazione pubblica e privata. Non a caso i capitali di mezzo mondo sono affidati ai banchieri svizzeri.

La Germania attuale sembra avere brillantemente superato la crisi di questo inizio millennio proprio perché è organizzata anch’essa in senso federale, più o meno come la Svizzera. E’ composta da sedici Lander che hanno una propria Costituzione, un’ampia sovranità e molta autonomia che assicura il mantenimento delle diversità regionali. Solo in uno stato federale, dove il popolo si sente responsabilizzato, è possibile che si formi quello spirito di sacrificio necessario in certi momenti storici per superare crisi e difficoltà che inaspettatamente o meno si presentano. In uno stato federale è anche possibile meglio controllare l’operato dei propri governanti sicché questi generalmente sono di etica esemplare. Ciò porta al rigoroso rispetto delle leggi e alla serietà nell’attuare le decisioni prese, anche se non sempre popolari. In uno stato federale, più che in uno centralizzato, è molto più alta la coesione sociale che porta tutte le classi sociali e corporazioni ad accettare, quando necessario, di fare i sacrifici in proporzione alle loro capacità economiche.

Gli Stati Uniti d’America, che insieme alla Svizzera, sono gli stati in cima alla graduatoria mondiale per progresso scientifico e tecnologico e per prodotto industriale lordo, è un altro paese a conduzione federalista, dove si dà ampio spazio alla meritocrazia, alla giustizia sociale e alla serietà amministrativa.

Andando a ritroso nella storia, osserviamo la Grecia classica: essa ha prodotto le basi del pensiero scientifico, che poi avrebbe permesso il nostro progresso tecnologico, quando era un paese molto diviso: le città erano praticamente indipendenti, molto sovente in conflitto fra di loro, ma anche in sana e proficua competizione e unite nel combattere il nemico straniero.

E’ notorio che il Rinascimento italiano, con il ripescaggio del pensiero greco classico, ha prodotto il miracolo italiano in campo artistico, culturale ed economico, influenzando in seguito tutta l’Europa occidentale e gettando le basi della sua supremazia tecnologica, con lo sviluppo industriale, sostituendosi alla Cina. Il Rinascimento è nato quando l’Italia era frammentata in numerosi stati indipendenti, più o meno la situazione della Grecia antica, fra di loro in competizione.

In queste cinque nazioni era, ed è presente, la frammentazione statale, di cui parleremo, che favorisce la crescita culturale, le scoperte, le innovazioni, il benessere economico e la pace sociale.

La frammentazione, risultato della decentralizzazione degli stati, è dunque humus necessario per progredire. In questo momento, per le società europee, progredire vuol dire innanzitutto guarire dai mali che l’affliggono: corruzione, mancanza di potere decisionale da parte del popolo, povertà culturale, ricerca frenata e compromessa, asfissiante burocrazia che assorbe gran parte delle risorse provenienti dalle tasse, e altro ancora… Solo la frammentazione degli stati renderà possibile il percorso di risanamento e di ripartenza.

La frammentazione politica porta però benefici solo in presenza di altre caratteristiche come la diversità culturale e la libera circolazione degli individui. La frammentazione non deve essere né troppo piccola né eccessiva. Ci deve essere un grado di frammentazione ottimale: gli stati risultanti dal processo di frammentazione devono essere per così dire a dimensione d’uomo dove si possa sviluppare una economia sufficientemente solida. Fatto che escluderebbe, ad esempio, che la piccola Valle d’Aosta, o le Langhe, o la Valtellina possano aspirare ad essere stati-membro della Confederazione europea, mentre sarebbe ammissibile la candidatura dell’Arpitania o della Federazione Padana.

A sostegno di quanto affermiamo, analizziamo ancora, con l’aiuto dello storico Jared Diamond, la storia della Cina, dell’Europa occidentale e dell’India. Fino al Cinquecento la Cina era tecnologicamente più avanzata e lo è stata per due millenni. Pensate a tutte le scoperte e invenzioni fatte in quel paese e diffuse nel mondo intero: la polvere da sparo, la stampa, la bussola, la carta, la porcellana, l’acciaio, la pasta, l’agopuntura e molte altre.

Sembra però che il suo monolitismo politico, l’organizzazione verticistica dell’impero e la vastità del territorio centralmente controllato dall’imperatore e dalla ridotta cerchia dei suoi consiglieri, abbiano frenato ad un certo punto la crescita tecnologica e la capacità d’innovare. Il governo cinese scelse, per esempio, di non sviluppare la marina, anche se fu la Cina ad inventare la bussola; marina che ha invece fatto la fortuna dell’Europa occidentale; le permise di scoprire le Americhe e poi di occupare l’Oceania. I cinesi si limitarono a conquistare le etnie continentali vicine, ma mai si spinsero lontano sui mari: cosa che avrebbero senz’altro fatto se avessero appunto sviluppato la marina.

A partire dal Cinquecento fu l’Europa a prendere la testa dello sviluppo tecnologico, l’Europa che era divisa in numerosi stati in competizione fra di loro, dove la disunità politica favoriva la competizione, dava maggiore possibilità agli innovatori di sviluppare le loro idee e dunque consentiva l’avanzamento della scienza e della tecnologia. Se ci fosse stata unità politica europea, probabilmente il rifiuto del Portogallo di finanziare il progetto di Colombo, sarebbe stato assoluto e definitivo; il navigatore non avrebbe potuto indirizzarsi ad altri, come ha fatto poi con la Spagna, e il suo progetto sarebbe naufragato. Gli europei non avrebbero scoperto l’America e non ci sarebbero stati tutti i benefici derivati. A differenza della Cina e dell’Europa che sono riuscite alternativamente a primeggiare in ambito tecnologico, l’India, che aveva tutte le possibilità per farlo, non è mai riuscita a distinguersi; da quel grande Paese non è mai uscito alcun apporto significativo per il progresso scientifico. Ciò è dovuto a due principali fattori: l’eccessiva frammentazione del territorio e la divisione della società in classi impermeabili che non favorivano certo la solidarietà sociale che ritroviamo in una società dove vige la democrazia diretta o poliarchia.

La frammentazione ottimale si applica perfino alle semplici aziende allo scopo di favorire la formazione e la nascita di idee innovative. La fortuna di Microsoft è dovuta al fatto che essa è organizzata in tante piccole aziendine semi-indipendenti in competizione tra loro a cui si lascia grande libertà creativa e di gestione del tempo. L’ IBM invece perse competitività rispetto a Microsoft perché era un’azienda a conduzione verticistica, divisa in gruppi gerarchici isolati. Questo modello di amministrazione si è rivelato inefficiente e ha comportato il declino dell’azienda. Per risalire la china, ora la IBM sta copiando gli schemi organizzativi della Microsoft.

E’ possibile stabilire dunque una regola generale valida a tutti i livelli, a cominciare dal livello aziendale per andare fino a quello dell’organizzazione degli stati. Se si vuole essere innovati e competitivi, a livello organizzativo europeo, non dobbiamo strutturarci in modo troppo monolitico, troppo gerarchico e verticista, né troppo frammentario, ma dividerci in sottogruppi in competizione interna e con alto livello di comunicazione.

L’applicazione del federalismo in Europa, alternativa al tipo di unione centralizzata alla quale molto faticosamente stanno oggigiorno lavorando Germania, Italia, Francia e gli altri Paesi, deve essere assolutamente e seriamente presa in considerazione. L’Europa ridisegnata tenendo conto delle specificità culturali dei popoli che la compongono è una necessità storica che non si deve ignorare. Cancellare gli stati attuali e riarchitetturare politicamente e amministrativamente tutta l’Eurasia occidentale è condizione imprescindibile per un migliore vivere sociale. Il progetto deve essere realizzato senza cadere più in basso. E’ sufficiente armarsi di saggezza e di buona volontà.

Dice Diamond Jared: ” L’Europa sempre più lanciata sulla strada dell’unità dovrà cercare in tutti i modi di non fare sparire quelle condizioni favorevoli di diversità che ne hanno assicurato il successo negli ultimi cinque secoli”.
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Re: Xvisara cor de l’Ouropa, n’Ouropa en megnolo

Messaggioda Berto » mar mar 11, 2014 11:42 pm

Cenni storici sulle migrazioni in Svizzera

http://www.sev-online.ch/it/ohne-uns/geschichte.php

I flussi migratori non rappresentano nulla di nuovo. Anche i motivi che inducono le persone a lasciare il proprio paese sono sostanzialmente invariati: condizioni di vita difficili dovute a guerre, espulsioni, povertà e altri motivi economici oppure, più semplicemente, la curiosità e la voglia di viaggiare. Bisogna comunque considerare che spesso i paesi d'arrivo necessitano di manodopera estera.

Quasi tutti abbiamo un passato di migrazione!

Se vogliamo essere giusti, quasi ognuno di noi ha un passato d’ immigrato: fino al 1848 in Svizzera esisteva solo la cittadinanza cantonale.
Un cittadino di Glarona che si spostava a Zurigo era considerato uno straniero.
Il passaporto svizzero esiste solo dal 1915 e questo spiega bene come sia difficile definire chi sia “straniero”.
Una definizione che è molto influenzata dalla situazione politica e sociale del momento. E ancora dalla prassi per le naturalizzazioni.
Non da ultimo per via di una politica restrittiva in materia, la Svizzera ha una della più alte quote di stranieri d’Europa.

Un quinto di tutti gli stranieri (20,7%) è nato in Svizzera e appartiene perciò alla seconda, se non alla terza generazione di stranieri. Due quinti (39,3%) di quelli nati all’estero risiedono in Svizzera da almeno 15 anni, il 14,6% di loro da almeno 30 anni. Quasi tutte le persone in possesso di un passaporto italiano o spagnolo (87,5%, risp. 86,3%) sono titolari di un permesso di soggiorno permanente. Nella maggior parte degli altri paesi europei, queste persone sarebbero già da tempo naturalizzate.

I flussi migratori del 17mo secolo

Una caratteristica che va attribuita alla Svizzera è la sua tradizione di paese aperto ai rifugiati.
Alla fine del 17.mo secolo, i cantoni svizzeri concessero per la prima volta asilo a stranieri, in grande misura: si trattava degli Ugonotti protestanti.
Essi hanno portato nuovi impulsi all’economia svizzera, anche se non sempre sono stati accolti a braccia aperte dalle autorità, come si potrebbe credere.
Diversi governi cantonali si diedero da fare per cercare di farli proseguire verso la Germania.

Nel 19mo secolo gli stranieri fanno progredire la Svizzera

Nel 19mo secolo la Svizzera si distingueva per la sua politica particolarmente liberale in materia d'immigrazione. Per entrare in Svizzera non erano necessari documenti. Molti migranti appartenevano al mondo accademico e infondevano un certo dinamismo alle università svizzere. Nel 1833 fu fondata l'Università di Zurigo: le sue cattedre furono tutte affidate a professori stranieri. Nel 1915 in Svizzera il 27 per cento dei professori universitari non era ancora in possesso di un passaporto elvetico. A tutt'oggi molte cattedre sono affidate a professori provenienti dall'estero.

Nel 19mo secolo, tuttavia, giunsero in Svizzera anche molti artigiani tedeschi. Contrariamente alla popolazione indigena, composta in prevalenza da contadini, questi nuovi immigrati possedevano conoscenze tecniche molto ricercate per i "settori economici emergenti". Nel contempo, tuttavia, molti agricoltori svizzeri dovettero emigrare all'estero. Si vociferava che i "forestieri" portavano via il lavoro ai lavoratori svizzeri. A dire il vero molti contadini emigravano poiché non erano in grado di adattarsi al nuovo indirizzo progressivo e industriale dell'economia svizzera. D'altro canto, senza l'arrivo di lavoratori esteri, l'economia svizzera non sarebbe mai diventata ciò che è oggi.

Un'altra categoria di immigrati era costituita da imprenditori lungimiranti. Molte aziende svizzere di fama mondiale sono state fondate da imprenditori immigrati: Nestlé (Germania), Maggi (Italia), Wander (Germania) e Ciba (Francia).

Nella seconda metà del 19mo secolo è stata costruita la rete ferroviaria.

Anche in Svizzera iniziò la costruzione di gallerie ferroviarie: il traforo del San Gottardo (1872), il Sempione (1898) e il Lötschberg (1907) sono stati in buona parte costruiti da minatori e specialisti stranieri. Il censimento federale del 1910 ha per esempio indicato che su 1000 lavoratori impiegati nella costruzione di ferrovie, 899 provenivano dall'estero. La quota di stranieri era molto elevata anche in altri settori, come quello culturale (770 lavoratori su 1000) o nell'edilizia (muratori 582; marmi e graniti 547; genio civile: 519)

Politica restrittiva in materia di immigrazione

Nel 1914 la percentuale degli stranieri residenti in Svizzera raggiunse il 15% della popolazione complessiva, toccando una punta massima.
Nelle città di frontiera si sono registrati aumenti nettamente superiori: +30,8% a Lugano, +37,6% a Basilea, +40,4% a Ginevra.
Fu durante questo periodo che la Svizzera diventò uno dei paesi più ricchi del mondo. Intanto negli ambienti politici si dibatteva persino l'eventualità di naturalizzazioni forzate. In tal modo si sperava di indurre la manodopera estera a rimanere in Svizzera.

Contemporaneamente andava però alimentandosi un dibattito politico sull'inforestieramento. Durante la prima Guerra mondiale le disposizioni in materia di polizia degli stranieri erano diventate più rigorose, era stato introdotto un obbligo di visto e istituito l'Ufficio centrale federale di polizia degli stranieri.
Nei libri di storia questo è considerato il periodo più restrittivo della politica federale in materia di immigrazione.

Fra la prima e la seconda Guerra mondiale, con l'ascesa al potere del nazionalsocialismo in Germania, nel nostro paese il numero dei rifugiati politici è andato vieppiù crescendo. Successivamente, durante la seconda Guerra mondiale, la Svizzera ha accolto un gran numero di rifugiati, respingendone però molti altri.
Al riguardo il rapporto Bergier scrive: "Una politica più sensibile alle esigenze umanitarie avrebbe salvato migliaia di persone dal genocidio commesso dai nazifascisti e dai loro alleati."

Gli stagionali danno una spinta all'economia svizzera

Fonte: Geschichte BL

Diversamente dalle aziende dei paesi limitrofi, l'industria svizzera si è rimessa in moto rapidamente dopo la guerra, denotando un urgente bisogno di manodopera estera; inizialmente ai lavoratori veniva accordato un cosiddetto "permesso stagionale". Grazie allo statuto dello stagionale, le aziende svizzere potevano reclutare lavoratori esteri per una durata di 9 mesi, dopodiché questi venivano rinviati al loro paese. Un serbatoio inestinguibile di forza lavoro, che poteva essere allontanata non appena diventava superflua. Le famiglie di questi lavoratori dovevano rimanere nel paese d'origine.

Fra il 1950 e il 1970 l'effettivo della popolazione straniera permanente è passata da 140'000 a 584'000 unità. Di nuovo si è fatto strada lo spauracchio dell'inforestieramento (l'niziativa Schwarzenbach è stata bocciata di misura). Gli stranieri – sostenevano i fautori dell'iniziativa – sottraevano i posti di lavoro agli svizzeri. La verità era diversa: essi eseguivano lavori che nessuno svizzero era più disposto ad accettare. Lo scrittore Max Frisch, con una frase rimasta celebre, disse: "Volevamo braccia, sono arrivati uomini."

Così, tra la seconda metà degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, più di 300'000 cittadini italiani sono rientrati in patria in seguito a una nuova crisi economica.

Nuova politica migratoria

Dopo il 1950 diverse flussi migratori hanno condotto in Svizzera vari gruppi di rifugiati intenzionati a fuggire dalle situazioni critiche createsi nei rispettivi paesi di provenienza: tibetani, ungheresi, cechi, slovacchi e tamil. Il loro arrivo in Svizzera ha dato origine a un'ondata di solidarietà da parte della popolazione svizzera. Fin agli anni Settanta l'economia ha ripetutamente espresso riserve e disappunto nei confronti dello statuto dello stagionale. Era controproducente dal profilo economico istruire continuamente nuova manodopera per poi rispedirla a casa e ricominciare da capo.

La base di una nuova politica migratoria che consentisse di migliorare la posizione giuridica dei lavoratori esteri e stata gettata negli anni Settanta con l'agevolazione del ricongiungimento familiare e un miglioramento del diritto di residenza. Man mano anche il concetto di inforestieramento è scomparso.

La naturalizzazione: un ostacolo

Gli immigrati erano ormai radicati nella società elvetica. Gli italiani erano già accettati da tempo. Ciò nonostante ottenere la nazionalità svizzera rappresentava un ostacolo importante. Così, data la modesta quota di naturalizzazioni rispetto agli altri stati europei, la Svizzera presentava un tasso elevato di cittadini stranieri sul totale dei suoi abitanti.

Negli anni Ottanta l'economia eIvetica ha attraversato una fase economica molto positiva con una forte richiesta di manodopera estera. Questa volta i lavoratori provenivano da paesi più lontani. In questa fase le autorità svizzere hanno elaborato il modello basato sui tre cerchi. I cittadini del primo cerchio (Stati membri dell'UE e dell'AELS) avrebbero potuto muoversi liberamente; quelli del secondo cerchio (USA, Canada, Australia, Nuova Zelanda) avrebbero goduto di una libertà limitata, mentre i cittadini provenienti dal terzo cerchio (Asia, Africa, America latina) non avevano il diritto di immigrare in Svizzera.

Aumento della proporzione di migranti qualificati

Durante gli anni Ottanta in Svizzera gli effettivi della popolazione immigrata erano in continua ascesa. Se nel 1980 la percentuale di stranieri si attestava al 14,8% della popolazione, nel 1990 aveva raggiunto il 18,1% e nel 2000 il 20,8%. Oggi tale quota si aggira intorno al 22,5%. I tre gruppi più importanti sono gli italiani (16,7%), seguiti dai tedeschi (15,5 %) e dai portoghesi (12,5%). Sembra protrarsi nel tempo la tradizione secondo cui gli stranieri occupano posti di lavoro in settori tendenzialmente sottopagati (pulizie, industria, economie domestiche, settore paramedico, edilizia). Tuttavia dall'estero arriva anche sempre più personale altamente qualificato (medici, scienziati, docenti universitari). Questo è dovuto essenzialmente al numero insufficiente di giovani formati per assicurare il ricambio ai massimi livelli.

Il prof. George Sheldon (Università di Basilea) giunge alla conclusione che "tra il 1995 e il 2000 quasi l'intero aumento annuo della produttività del lavoro, pari allo 0,5%, era da ricondurre all'immigrazione" (Comtesse, 2009).

Illegali ma richiesti: che ipocrisia!

Manifestazione Sans Papiers a Berna
Anche il SEV faceva parte alla manifestazione degli Sans Papiers a Berna, Ottobre 2011

Tramite l'accordo di Schengen la Svizzera ha ulteriormente consolidato il modello dei tre cerchi. Malgrado la chiusura dei confini, circa 100'000 persone, cosiddetti sans-papiers, vivono illegalmente in Svizzera. Vivono e lavorano nel nostro paese senza possedere i permessi necessari. Evidentemente, però, per questa manodopera esiste un mercato. Lavorano infatti come badanti, aiuti domestici, nell'edilizia ecc. Una situazione assurda: ufficialmente non siamo disposti ad accettare immigrati da paesi appartenenti al "terzo cerchio" ma l'economia è lieta di accogliere la loro forza lavoro. Sovente i datori di lavoro sfruttano la situazione precaria dei sans-papiers, facendoli lavorare in condizioni vergognose per uno stipendio da fame (???).

(Fonti: UfS, unia)
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Re: Xvisara cor de l’Ouropa, n’Ouropa en megnolo

Messaggioda Berto » ven mar 14, 2014 6:30 am

Tasse, lavoro, sanità, pensioni: tra Svizzera e Italia c’è l’abisso

http://www.lindipendenza.com/tasse-lavo ... ce-labisso

di GUGLIELMO PIOMBINI

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Se è vero, come sostiene la vulgata prevalente, che la crisi attuale è stata provocata dalla finanza senza regole e dagli eccessi del capitalismo, allora i paesi europei economicamente più liberi dovrebbero trovarsi nelle condizioni peggiori. Possiamo verificare questa tesi confrontando la situazione economica di due paesi confinanti abitati da popolazioni parzialmente simili, l’Italia ela Svizzera. Quest’ultima, grazie alla sua forma confederale, ha sempre avuto un settore pubblico più leggero di quello dell’Italia, ma negli ultimi anni le differenze tra i due paesi si sono enormemente allargate.

Nella classifica mondiale della libertà economica 2014, curata annualmente dall’Heritage Foundation e dal Wall Street Journal, il sistema economico svizzero risulta il quarto più libero del mondo (dopo Hong Kong, Singapore e l’Australia), mentre quello italiano si trova all’86esimo posto. Ancora meglio fa la Svizzera nell’indice mondiale della competitività, piazzandosi al primo posto su 148 economie mondiali, mentre l’Italia si trova al 49esimo posto.

La Svizzera è particolarmente competitiva proprio in quel settore finanziario demonizzato dagli avversari del libero mercato. Non esiste infatti un paese in cui il settore finanziario rappresenti una quota così importante del PIL come la Svizzera(il 13 % contro il 4 % della Francia o della Germania). Nonostante questa maggiore esposizione ai rischi, la piazza finanziaria elvetica si è dimostrata solida, e durante la crisi ha beneficiato di aiuti statali in misura nettamente minore rispetto a quanto avvenuto in altri Paesi (fonte).

La recessione che ha colpito l’Europa sembra infatti aver risparmiato la Svizzera, che pur trovandosi incastonata nel cuore del vecchio continente, ha continuato a creare business ad un ritmo costante. Secondo uno studio della rete globale di revisione RSM, tra il 2007 e il 2011 il numero di aziende in Svizzera è aumentato da 499.000 a 648.000, uno dei tassi più alti nell’area Ocse: +149.000 unità, pari ad un tasso di crescita medio annuo del 6,8%. Nel 2013 il pil della Svizzera è aumentato del 2%, mentre l’Italia ha chiuso il 2013 con un calo del pil dell’1,9 % e un calo della produzione industriale del 3,8%.

Per quanto riguarda gli altri indicatori, secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale in Svizzera nel 2013 il reddito procapite a parità di potere d’acquisto è stato di 46.475 dollari contro i 30.094 dollari dell’Italia; l’inflazione su base annua è stata dello 0,2 % contro l’l,3 % dell’Italia; l’incidenza della spesa pubblica sul pil è circa il 33 % contro il 50 % dell’Italia; il debito pubblico è in Svizzera il 36,4 % del Pil contro il 132,6 % dell’Italia; il tasso di disoccupazione in Svizzera nel 2013 è stato del 3,3 %, mentre in Italia nel gennaio 2014 ha fatto un nuovo balzo al 12,9 %; particolarmente eclatante è il dato sulla disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni, che in Svizzera è solo del 3,6 % contro il 40 % dell’Italia! (Il Mondo, 9/9/2013).

Come ha fattola Svizzeraa realizzare queste straordinarie performance economiche? La verità è che la Confederazione Elvetica rappresenta un vero e proprio paradiso liberale, se paragonata all’Italia.


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La tassazione

Benvenuti nel Paese con le tasse più basse d’Europa, titolava un recente articolo uscito su Il Sole-24 Ore. La leggerezza del fisco elvetico è favorita dalla concorrenza fiscale che si fanno i 26 cantoni per attrarre imprese e investimenti. Il fisco svizzero agisce infatti su tre livelli: federale, cantonale e comunale. L’imposta federale incide sul 7,83 % degli utili, quella cantonale varia dal 4,4 al 19 %, quella comunale dal 4 al 16 %. In media quindi sulle aziende l’erario esercita una pressione che varia tra il 16 e il 25 %, sulle persone fisiche dal 5 al 20 %.

L’IVA è la più bassa d’Europa, all’8 % (contro il 22 % dell’Italia!), ma sui beni di consumo è al 2,5 %, mentre l’istruzione e le cure mediche sono esenti. Non ci sono imposte sulle successioni per i discendenti diretti. Alcuni Cantoni garantiscono delle esenzioni fiscali per certi periodi o per certe attività, ed è possibile stringere accordi con l’erario sulle tasse da pagare per gli anni successivi.

Una notevole differenza con l’Italia riguarda il famigerato cuneo fiscale. Il datore di lavoro italiano farà un salto sulla sedia quando scoprirà quanto pagano in tasse i colleghi della Svizzera sugli stipendi dei dipendenti. «Per 1000 euro di salario il datore di lavoro in Italia deve spenderne altri 1300, qui appena 200», spiega Gianluca Marano, quarantenne di Milano che nel 2008 ha aperto a Chiasso una società di consulenza per gli imprenditori e i privati che vogliono aprire un’attività oltre il confine. Nel complesso il carico fiscale complessivo delle aziende (total tax rate) in Svizzera raggiunge al massimo il 28,7% del reddito d’impresa, contro l’incredibile 67,7 % dell’Italia, secondo i dati della Banca Mondiale.

Non c’è quindi da meravigliarsi se negli ultimi anni centinaia di imprese italiane si sono trasferite nel Canton Ticino. All’ingresso di Chiasso c’è un cartello che dice “Benvenuta impresa nella città di Chiasso”. Uno dei tanti imprenditori italiani in trasferta ha commentato: «Quando arriva un imprenditore in Svizzera lo accolgono le autorità. In Italia gli mandano la guardia di finanza». Nel complesso sono 558.000 gli italiani che risiedono in Svizzera, su una popolazione di 8 milioni di abitanti, ai quali si devono aggiungere i quasi 60.000 frontalieri che passano quotidianamente il confine per lavoro, aumentati del 75 % dal 2002 a oggi.

Di recente l’Ufficio Federale di Statistica ha svolto un’approfondita indagine sugli stipendi svizzeri. I risultati confermano che in Svizzera si guadagna mediamente il doppio o il triplo rispetto ai paesi confinanti: nel biennio 2007-2008 il salario medio era infatti equivalente a circa 3000 euro mensili al netto delle imposte. È vero che il costo della vita è mediamente più alto che negli altri paesi europei, tuttavia, rileva l’indagine, «in nessun caso è doppio o triplo. Per fare un raffronto affidabile con gli altri paesi basti pensare che i costi tra assicurazioni e imposte varie rappresentano in media circa il 30%-35% del budget totale di una persona, il resto serve per vivere».

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Le pensioni

Probabilmente non esiste al mondo un sistema pensionistico più ingiusto, rovinoso e finanziariamente insostenibile di quello italiano. L’Inps si fonda su un meccanismo diabolico che taglieggia i lavoratori privati per concedere spropositati privilegi pensionistici alle categorie statali privilegiate. La moria delle aziende è spesso dovuta all’impossibilità di far fronte a un carico previdenziale completamente slegato dagli utili prodotti, e la maggior parte delle cartelle esattoriali sono costituite da contributi previdenziali non pagati. In Italia l’esosa contribuzione previdenziale obbligatoria a carico degli artigiani e dei commercianti, per non parlare di quella degli iscritti alla gestione separata (prevista al 33% per il 2014), è la principale causa di dissuasione dall’iniziare una nuova attività economica.

Il problema è che i lavoratori privati perdono la proprietà dei risparmi che versano all’Inps, mentre la classe politico-burocratica riesce facilmente a dirottarli verso le proprie tasche per mezzo di leggi, leggine e sentenze amministrative. In sostanza, coloro che pagano i contributi e sostengono l’intero sistema, i lavoratori autonomi e dipendenti del settore privato, ricevono una pensione che rappresenta una frazione minuscola di quanto hanno effettivamente versato; d’altro canto, alcune categorie statali che non hanno mai versato contributi o che li versano solo in maniera figurativa, come i politici, i magistrati, i militari e i dipendenti pubblici in genere, si sono garantiti elevati trattamenti previdenziali, vitalizi, pensioni d’oro, doppie, triple e baby.

Questi sperperi e queste palesi ingiustizie non possono esistere nel sistema pensionistico svizzero, che si fonda su tre pilastri. Il primo è quello della pensione pubblica, che richiede contributi obbligatori piuttosto limitati (il 4,2 % del reddito per il datore di lavoro e per il dipendente) e garantisce solo il minimo fabbisogno vitale al momento della pensione. La pensione pubblica è infatti quasi uguale per tutti: la minima è di 1105 franchi al mese (poco più di 900 euro al cambio attuale), la massima è il doppio (2210 franchi, cioè 1813 euro). Sul piano dell’equità non ci sono quindi paragoni con la distanza siderale che in Italia separa il trattamento pensionistico di un pensionato sociale (500 euro al mese) da quello di un membro della casta politico-burocratica (fino a 90.000 euro al mese, talvolta a partire dalla mezza età).

Il secondo pilastro pensionistico svizzero è quello della previdenza professionale, che a differenza della pensione pubblica non è a ripartizione ma a capitalizzazione (si riceve cioè l’investimento accumulato). I contributi per la previdenza professionale sono in pratica obbligatori solo per i lavoratori dipendenti che percepiscono un salario superiore a 20.000 franchi e inferiore a 82.000. Per tutte le altre categorie, come quelle dei lavoratori autonomi, questo tipo di assicurazione pensionistica è solo facoltativo. Infine, il terzo pilastro pensionistico svizzero è quello della pensione integrativa privata, che serve a colmare eventuali lacune; è facoltativa ma viene favorita con delle agevolazioni fiscali.

Nel 2014 il sistema pensionistico svizzero è stato giudicato dal Global Retirement Index, un indice che valuta 150 sistemi pensionistici internazionali, il migliore del mondo quanto a capacità di garantire la sicurezza finanziaria agli ex lavoratori. Fare ulteriori confronti con il sistema pensionistico pubblico italiano, ricolmo di disparità e privilegi, e destinato alla bancarotta a causa dei suoi colossali deficit, sarebbe blasfemo.

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La sanità

Se il sistema sanitario italiano è ben conosciuto per i suoi enormi sperperi, la corruzione, gli ospedali fatiscenti e le liste d’attesa interminabili, niente di tutto questo si verifica nel sistema sanitario svizzero, che è interamente privato e gestito dalle assicurazioni. Il paziente paga mensilmente un’assicurazione obbligatoria di circa 300 euro al mese, cifra nient’affatto elevata se si tiene conto che in Svizzera gli stipendi sono mediamente molto più alti che in Italia e le tasse molto più basse. Nessuno resta fuori perché una società di “compensazione sociale” provvede a coprire le spese di chi non può sostenerle. Il sistema svizzero è attentissimo ad evitare gli sprechi, e per questa ragione è molto raro, ad esempio, che un medico prescriva antibiotici.

L’assicurazione sanitaria privata comunque garantisce tutto, compreso il ricovero in ospedale in stanza singola o con al massimo tre persone. Anche se si stenta a crederlo, quando un paziente entra in ospedale per operarsi viene accolto da un infermiere che, catalogo alla mano, gli chiede di scegliere quale stampa preferisce avere sul muro (Picasso, Van Gogh, ecc.). Poi viene organizzato una specie di seminario personale dove i medici spiegano al paziente tutti i dettagli dell’intervento. Il paziente può scegliere di essere operato dal primario oppure dall’assistente. Nel primo caso paga un surplus, ma se quel giorno non c’è e opera un assistente (comunque sempre un medico d’eccellenza) il supplemento viene immediatamente restituito con tante scuse. Infine, l’assicurazione sanitaria spesso riduce il premio da pagare a coloro che svolgono attività salutari, come frequentare la palestra, la piscina o la sauna. Chi è più in forma, quindi, paga meno per la sanità! (Sanità? Vietato Sprecare, Il Fatto Quotidiano Zurigo, 12 aprile 2012)

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Il mercato del lavoro

In Svizzera il mercato del lavoro, anche sotto il profilo dei licenziamenti, è molto liberale. Solo in caso di malattia, incidente o gravidanza i lavoratori godono di una protezione contro il licenziamento temporalmente limitata. Di regola i lavoratori e i datori di lavoro sono liberi di licenziarsi o licenziare nei termini concordati nel contratto di lavoro, o in mancanza semplicemente rispettando i termini di disdetta previsti dal codice delle obbligazioni. Questa grande flessibilità in entrata, ricorda Paolo Malberti sul Corriere della Sera, fa sì che «ogni giorno come apri il giornale sei subissato di annunci. Se non ti trovi più bene dove stai, fai qualche colloquio e cambi ditta. E con l’occasione puoi anche toglierti la soddisfazione di mandare il capetto che te li ha rotti a quel paese».

In ogni caso per chi rimane senza lavoro non ci sono sussidi pubblici o casse integrazioni come in Italia, che favoriscono senza ragione i dipendenti delle grandi aziende rispetto a tutti gli altri. C’è invece un’assicurazione privata che copre il rischio di rimanere disoccupati, usufruibile da chi ha lavorato come dipendente in Svizzera per più di 12 mesi negli ultimi due anni. Questa assicurazione contro la disoccupazione viene pagata con dei contributi pari al 2 % dello stipendio, per metà a carico del datore di lavoro e per metà a carico del lavoratore.

Il bello del mercato del lavoro svizzero è che le regole del settore privato non sono molto diverse da quelle che valgono per il settore pubblico, comprese quelle sui licenziamenti: ecco forse spiegata la ragione principale della sorprendente efficienza della burocrazia svizzera. Tanto per fare un paio di esempi, ci vogliono solo due settimane per la registrazione al Registro del Commercio e un solo giorno per immatricolare un veicolo. In Svizzera, infatti, non esiste come in Italia il posto fisso a vita per il dipendente pubblico che, in spregio a ogni sbandierato principio costituzionale di uguaglianza, crea una società divisa in due caste: i cittadini di serie A (gli statali ipertutelati qualunque cosa accada) e i cittadini di serie B (i lavoratori privati assoggettati alle incertezze dell’economia).

Negli ultimi decenni si è imposta infatti nella maggioranza dei cantoni e dei comuni svizzeri la tendenza ad equiparare le condizioni di impiego degli impiegati pubblici a quelle vigenti nell’economia privata. La Confederazione ha seguito questa evoluzione con la nuova legge sul personale federale entrata del 2002, che ha abolito lo statuto di funzionario autorizzando così i licenziamenti. Dal 1° luglio 2013 è entrata in vigore un’ulteriore revisione legislativa che ha reso ancor più flessibile il rapporto di pubblico impiego.

In Svizzera comunque i dipendenti statali sono molto meno numerosi che in Italia: solo 1 su 47 abitanti, mentre in Italia sono 1 su 18 (1 su 23 in Lombardia). In particolare i dipendenti federali in Svizzera sono circa 35.000, cioè uno ogni 200 abitanti: un rapporto che esprime senza bisogno di troppe spiegazioni la leggerezza del governo centrale nella confederazione elvetica. In sostanza la probabilità di imbattersi in un dipendente pubblico svizzero è del 60 % inferiore rispetto alla probabilità di imbattersi in un dipendente pubblico italiano.

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Quando le strade hanno cominciato a divergere?

Perché l’Italia è uno Stato fallito sull’orlo del crack, mentre la Svizzera è un successo planetario? Se guardiamo alla storia, ci accorgiamo che le strade prese dai due paesi hanno cominciato a divergere proprio negli anni dell’unità d’Italia. In Svizzera le ultime turbolenze si ebbero nel 1848, nella “guerra civile” del Sonderbund tra cantoni cattolici e cantoni protestanti. Si trattò in realtà di uno scontro incruento, nel quale morirono meno di cento persone e che durò solo 26 giorni. Alla fine venne adottata una nuova costituzione, dopodiché la Svizzera imboccò definitivamente la via della saggezza, della neutralità, del federalismo e della riduzione ai minimi termini del governo centrale. Anche gli italiani avrebbero potuto seguire la sorte felice degli svizzeri, se ai tempi del Risorgimento fossero prevalse le idee di Carlo Cattaneo e di coloro che proponevano un assetto confederale per l’Italia. Gli avvenimenti presero purtroppo una piega opposta.

Un’interminabile serie di sciagure si sono infatti abbattute sugli italiani da quando la penisola è stata forzosamente unificata per via militare dai Savoia. Fin da subito le popolazioni del sud dell’Italia non accettarono la conquista dei piemontesi, che avevano inasprito fortemente la tassazione e introdotto la coscrizione obbligatoria, e si rivoltarono in massa. Questa guerra civile durò una decina d’anni e, malgrado venga minimizzata ancora oggi nei libri di testo come “lotta al brigantaggio”, fu in verità il conflitto più cruento che si ebbe in Europa nel periodo compreso tra le guerre napoleoniche e la prima guerra mondiale. L’esercito piemontese represse la rivolta con lo stato d’assedio, i campi di concentramento e la tattica della terra bruciata. Quante furono di preciso le vittime tra la popolazione meridionale non si saprà mai, ma le stime degli storici vanno dalle centomila (secondo Giordano Bruno Guerri) al milione (secondo La Civiltà cattolica).

Il 1874 può essere considerato l’anno simbolo della distanza ormai abissale che separava la Svizzera dall’Italia unita. Una modifica della costituzione elvetica attribuì infatti ai cittadini quel potere referendario di confermare, abrogare o proporre nuove leggi, che ancora oggi rende la Svizzera famosa nel mondo. In quegli stessi anni in Italia si era conclusa da poco la feroce repressione al sud, e il Regno d’Italia era diventato uno degli stati più centralisti e fiscalisti d’Europa. Come ricorda Gilberto Oneto, tra il 1860 e il 1880 la porzione di reddito nazionale assorbita dalla tassazione praticamente raddoppiò. Fra il 1865 e il 1871 si ebbe un aumento del 63 % delle imposte sul reddito e del 107% delle imposte sui consumi che gravavano soprattutto sulle classi popolari, come l’odiata tassa sul macinato che trasformava i mugnai in esattori, inaugurando la prassi italiana di mettere cittadini contro altri cittadini. All’inizio degli anni Settanta il ministro delle finanze Quintino Sella ammise che l’Italia era il paese più tassato al mondo. Nel 1892 la pressione fiscale raggiunse il 18 % del pil contro il 7 % dell’Inghilterra e il 10 % della Germania.

La tassazione eccessiva provocò la rovina dell’economia italiana, e con essa un fenomeno sconosciuto prima dell’unità: l’emigrazione di massa all’estero degli italiani. Tra il 1876 e il 1914 emigrarono 14 milioni di italiani, su una popolazione che nel 1881 era di poco superiore a 29 milioni. All’inizio gli emigranti partirono soprattutto dalle regioni del nord, in particolare dal Veneto. Il grande esodo meridionale cominciò con l’adozione delle tariffe protezionistiche del 1887, che colpirono soprattutto l’agricoltura del sud, gettando nella disperazione milioni di persone già oberate dalle tasse italiane e dalla pesante novità del servizio di leva, che distraeva per anni dai lavori nei campi le braccia migliori (G. Oneto, La questione settentrionale, 2008, p. 152, 154).

Il Regno d’Italia era anche uno Stato militarista e guerrafondaio: sentendosi grande e forte, si lanciò in una serie continua di guerre che mai i piccoli Stati preunitari si sarebbero sognati di intraprendere. Dal 1861 al 1871 impegnò metà dell’esercito nella repressione della rivolta delle regioni del sud; nel 1866 entrò nella terza guerra d’Indipendenza senza alcun motivo (dato che l’Austria aveva già offerto il Veneto al Regno d’Italia in cambio della sua neutralità), rimediando alcune cocenti sconfitte; poi cominciò l’epoca delle sciagurate avventure coloniali in Somalia ed Eritrea, culminate con l’umiliante disfatta di Adua nel 1896, e in Libia nel 1911.

Per gli abitanti della penisola, comunque, le disgrazie non erano finite. Nel 1915 il governo italiano non seguì il saggio esempio di neutralità della Svizzera, e si gettò a cuor leggero nella fornace della prima guerra mondiale. Milioni di coscritti, quasi tutti poveri contadini, vennero spediti a morire nelle trincee. Quelli che cercavano di salvarsi la vita disertando o rifiutandosi di avanzare sotto il fuoco nemico venivano fucilati dai carabinieri che sparavano a vista sui “codardi”, o dai plotoni d’esecuzione che per punizione decimavano interi reparti. In questa “inutile strage” il Regno d’Italia sacrificò la vita di quasi settecentomila italiani, mentre un numero più che doppio di giovani rimasero feriti o mutilati.

Seguirono i vent’anni del fascismo, che dichiarava di voler portare a compimento la rivoluzione nazionale del Risorgimento, e la catastrofe immane della seconda guerra mondiale, che lasciò l’Italia completamente distrutta. Nel 1948 l’Italia evitò per un soffio di diventare una dittatura comunista di tipo staliniano, ma nei vent’anni successivi l’adozione di politiche economiche più liberali generò il cosiddetto “miracolo economico”. Forse è stato questo l’unico periodo positivo della storia dell’Italia unita. Nel 1968 si aprì infatti la stagione degli anni di piombo, del terrorismo e della crisi economica. Chiuso questo tragico periodo, negli anni Ottanta ebbe inizio l’epoca dell’esplosione della spesa statale, del debito pubblico, della tassazione e della corruzione, che ci ha portato alla crisi dei giorni nostri.

Il verdetto della storia sembra chiaro. In 150 anni di vita lo Stato nazionale ha dato agli italiani soprattutto due cose, morte e tasse. È venuto il momento di ripudiare questo esperimento fallimentare, questa parentesi sbagliata della nostra storia, e di rivendicare quella vocazione pluralistica e quelle libertà che hanno reso grande non solo la Svizzera, ma anche la civiltà italiana nei secoli passati.

Comenti================================================================================================================================

Stefano Spagocci
13 Marzo 2014 at 8:23 pm #
C’era da aspettarsele le virulente reazioni degli “italiani veri” contro la Svizzera. L’idendidà nazziunale idagliana è basata sul disprezzo di tutto ciò che proviene da Oltralpe (non solo la Svizzera) e sull’idea che “noi romano-mediterranei” siamo per natura superiori ai “freddi barbari” del nodde. A seconda dei casi, poi, i freddi barbari sono dipinti come cinici e furbi profittatori o come tonti che, a differenza dei creativi mediterranei, hanno bisogno di seguire una morale rigorosa. Consiglio di leggere “L’Industria dell’Olocausto”, dell’ebreo Finkelstein, sull’oro ebraico in Svizzera. Mi auguro infine che coloro i quali hanno inveito contro la Svizzera non siano indipendentisti. Purtroppo in Lega domina l’attegiamento italo-mediterraneo di cui ho parlato prima. Lasciatemi cantare …

Alberto Pento
12 Marzo 2014 at 8:03 pm #
Ła Xvisara no ła sarà el paradixo, però:
en Xvisara no ghe xe i Fiorelo ke łi te tira soto so łe strike de pasajo stradal, co łi so çentenari de morti copà ogni ano;
en Xvisara łe Banke no łe pratega l’anoteçixmo e no łe frega i pori clienti robandoghe so i conti corenti e vendendoghe titołi spasadura come Cirio, Parmalat evc.;
en Xvisara no ghè łe banke ke fa tramaci onti come coełe romane, tałiane e padane;
en Xvisara no ghè na casta połedega de ladri e farabuti e on stramaro de altre caste statali e parastatali ke łi roba a tuto spiano a ła pora xente ke laora, ai vecioti ai małà ai dexgrasià;
en Xvisara no ghe łe pore batone costrete a batare so łe strade e a prategar na prostitusion sporca e a ris-cio; a ghè dei bei, neti e sani bordełi, dei bar atresà ke łi par sałe de ospedałi, co profesioniste coi fioki e no te te senti on mixerabile e onto come ente ła Tałia co te vè en volta par łe strade;
en Xvisara no ghè xente ke ła se copa parké no ła ga laoro o parké el stato nol paga łe fature;
en Xvisara no ghè tuti łi alcołixà ke ghè kì ente ła Tałia;
en Xvisara el çitadin no łè espuprià de ła soranetà połedega com eki ente ła Tałia;
en Xvisara no te catarè el paradixo però no ghè l’enferno ca se cata ente ła Tałia e mi a prefariso çento ‘olte jirarme l’Engadina e i Grijoni, el Tiçin col so parco nasional ke lè on spetacoło, i bei laghi de Loxana e de Costansa, łe strade nete sensa łe mote de scoàse drio i bordi;

Par mi Roma ła podaria rovinar tuta drento el Tevare ke no faria gnanca na criada!

L’oror de łi tałego romani
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... Nyamc/edit

L’oror de łi tałego padani
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... Fxb3c/edit

Łi sasini de l’ebreo Cristo – I romani
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... dtS1k/edit

Łi barbari romani
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... l0bVE/edit

L’orenda canta mamełega
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... V3TWs/edit

Asenteixmo ente ła piovega ministrasion tałiana
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... JOOUk/edit

Caporałà tałego o tałian
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... RrUm8/edit

Banke robarie e depredasion taleghe
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... RFSTA/edit


Fulvio Bassani
12 Marzo 2014 at 11:55 pm #
Signor Pento, visto che ama tanto la Svizzera, cosa aspetta a trasferirsi in quelle contrade ? Chieda la residenza, il diritto d’asilo, tutto quello che vuole ,ma si sbrighi. Non soffra più. Gli elvetici le chiederanno sicuramente il certificato penale italiano e l’ammontare del suo conto corrente, dei suoi risparmi. Se sono molto sostanziosi , esaudiranno i suoi desideri. Se sono esigui, si rassegni. Comunque faccia un tentativo e poi ci racconti l’esito. Partono tanti giovani per trovare un lavoro all’estero. Lei non sarebbe un’eccezione, anche se, immagino, il suo trasferimento non sarebbe provocato dalla disoccupazione ma dall’odio verso l’Italia. Però se qualcuno , dall’estero, vuol ritornare in Italia( come ha fatto la Signora Graziana che é felice di potersi recare spesso a Roma) , non lo rattristi augurandogli la distruzione della Penisola ! Suvvia..un po’ di gentilezza, di allegria…la vita é già tanto amara..


Alberto Pento
13 Marzo 2014 at 3:40 pm #
El wara ke mi a stago ente la me tera veneta e no ente la Talia, ke no confondemo le robe: tera veneta ke pal momento la xe ocupa dal stato talian ma ke spero presto la se lebere.
No so miga mi ca go da ndar via da la me tera veneta ma xe li onti taliani e ke li vaga pur a l’enferno driti.

Graziana Malan
12 Marzo 2014 at 12:32 pm #
Sono figlia di friulani emigrati in Svizzera nei primi anni ’50. Nata e cresciuta a Zurigo. Dopo la maturità (scuole svizzere) ho lavorato come impiegata, in banca, per oltre 15 anni (la mia sede di lavoro era nella lussuosa Bahnhofstrasse). Svolgendo quell’attività, ho potuto conoscere molti retroscena di vergognosi investimenti bancari provenienti dall’estero. Dopo il matrimonio con un italiano, sono ritornata definitivamente in Italia, a Viterbo. Ed ora, in pensione, sono felice quando, nei fine settimana, mi reco con i nipotini a passeggiare nella bellissima Roma. Il Signor Piombini ci ha indicato i dati statistici ottimali (e reali) della Svizzera di “superficie”. Mancano quelli del “sottosuolo” elvetico, che le autorità ufficiali forniscono col contagocce. Per non influenzare negativamente gli investitori stranieri . Tasso di suicidi, alcolismo, droga, prostituzione nei locali pubblici, riciclaggio e ricettazione giganteschi, ecc.. Il Signor Totti ha ragione. La Svizzera, per quanto sia alto il suo livello di prosperità economica, non é il paradiso terrestre. E’ uno Stato come gli altri, con tante magagne nascoste anche dai giornalisti. Ai cultori di letteratura consiglierei la lettura del libro DER VERDACHT, del grande romanziere elvetico Friedrich Durrenmatt (con l’umlaut). Avendo un lavoro, l’Italia é bellissima, stupenda.Ed é una fortuna poterci vivere.

Mister Libertarian
12 Marzo 2014 at 6:05 pm #
Signora Graziana, non sono mai stato in Svizzera e quindi forse lei ne sa più di me.
Leggendo questi dati anch’io mi sono fatto l’idea che l’Italia sia una vera pacchia, un paese bellissimo e stupendo: ma solo per i politici, i dipendenti pubblici e tutti coloro che sono mantenuti dallo stato.
Per chi lavora nel settore privato, invece, l’Italia assomiglia tanto a un inferno burocratico e fiscale.

Fabio Furlan
12 Marzo 2014 at 8:06 pm #
Lei esagera. Non mi pare che i professionisti (medici, avvocati, notai, ingegneri, ecc..) e i grandi industriali se la passino male in Italia. Sono i piccoli imprenditori ad avere problemi e, soprattutto, i giovani che rischiano di restare per anni esclusi dal ciclo lavorativo. Forse, uscendo dall’euro ( moneta che consente ai tedeschi di dominare l’Europa), l’economia italiana potrebbe riprendersi. Quanto alla ricchezza degli Svizzeri, penso che abbia ragione il Signor Totti. Il fatto che i governanti elvetici, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, abbiano nascosto per decenni la verità ai vincitori(Americani e Inglesi) sugli enormi depositi di oro e valuta effettuati dai Tedeschi e dagli Ebrei(poi assassinati), ci fa capire l’origine della rapida e sistematica crescita industriale di questo piccolo popolo di ex emigranti. Ogni popolo ha i suoi scheletri negli armadi. E gli Svizzeri dovrebbero vergognarsi di aver definito ratti i nostri emigranti frontalieri.

Alberto Pento
13 Marzo 2014 at 7:04 am #
Si i cei, tuti i cei dai laoradori otonomi ai laoradori dependenti del privà, dai veci pensionadi, ai malà enai dexgrasià, ke li xe la majoransa de la xente, 3/4, se no de pì.
Le caste statali e no, ladre, paraside e mafioxe le se la pàsa benon.
Democrasia vera (no ła pol esar ke direta), referendo, Xvisara:
viewforum.php?f=118

Romolo Totti
11 Marzo 2014 at 9:14 pm #
Eureka ! Il Signor Piombini l’ha finalmente trovato ! L’Eden, il Paradiso Terrestre esiste e.. confina con l’Italia . La Svizzera ! L’esterofilia é una delle malattie italiane. Soprattutto nei periodi di decadenza, non intravedendo una chiara soluzione dei problemi nazionali, alcuni Italiani , spesso solo con la mente , si precipitano all’estero e trovano la “chiave della felicità”. Nel Settecento, la penisola era spesso contesa tra le potenze straniere. Alcuni intellettuali, invece di invitare gli Italiani ad unirsi, a non farsi opprimere da sovrani stranieri predoni, per avere possibili “sistemazioni” (cattedre, stipendi, impieghi, ecc..) si genuflettevano , indirizzando loro versi adulatorii. Tristemente celebre il “padano” Vincenzo Monti, che prima scriveva versi contro i Francesi rivoluzionari (la Basvilliana), poi adulava Napoleone (Prometeo ). Infine, al ritorno degli Austriaci , scriveva in loro onore “Il ritorno di Astrea”. Dopo la sconfitta della Seconda Guerra Mondiale, gli USA erano il nuovo mito . Tanto da indurre uno scansonato cantante napoletano, Renato Carosone, a prendere in giro gli ammiratori della società statunitense (Tu vo’ fa’ l’americano). Con l’attuale crisi economica, che sconvolge oltre all’Italia altri Paesi Europei, riemergono gli esterofili. Leghisti ed indipendentisti si commuovono per la prosperità e l’organizzazione della Germania o della Svizzera. Ed invitano i Lombardi a farsi annettere dalla Repubblica rossocrociata. Annessione che non interessa minimamente ai politici elvetici. Alcuni dei quali hanno scatenato addirittura una campagna razzista proprio contro i frontalieri polentoni, definendoli ratti !! Con il suddetto articolo, il Signor Piombini ci indica entusiasticamente i primati economico-finanziarii della vicina Confederazione.Che, sia ben chiaro, sono innegabili. Ma nell’elenco celebrativo delle glorie elvetiche emerge qualche inesattezza e qualche “piccola omissione”. Scrive infatti il Piombini : “..il 1874 può essere considerato l’anno simbolo della distanza ormai abissale che separava la Svizzera dall’Italia..”. Dal punto di vista dell’organizzazione politica tale asserzione può essere accettabile. I polentoni Savoia, invasori, massacratori e predoni, avevano unito l’Italia considerando i territori meridionali come una colonia . Che doveva essere governata e sfruttata da pochi “eletti massoni”. Ma dal punto di vista economico, la “distanza abissale” tra Svizzera e Italia mi sembra una grossolana esagerazione. GLI SVIZZERI, FINO AL 1914, ERANO UN POPOLO POVERO; UN POPOLO DI EMIGRANTI. Basta leggere una qualsiasi storia della Svizzera. Se non si ha il tempo per andare in biblioteca, si può digitare “Emigrazione svizzera nel mondo” e si trovano dati precisi, forniti da studiosi svizzeri. Luigi Lorenzetti e Giorgio Cheda ci fanno sapere che su una popolazione elvetica che , in oltre mezzo secolo, oscillava dai 3,5 ai 4, 5 milioni di abitanti, gli emigranti furono 400.000 (dal 1850 al 1914) ! Migliaia furono i ticinesi ed i grigionesi che abbandonarono le loro case per raggiungere le Americhe e l’Australia. Come i Veneti ed i Meridionali. Essi scrivono anche che , per oltre 450 anni, a partire dal XV secolo, oltre DUE MILIONI DI SVIZZERI, PER SOPRAVVIVERE, SONO EMIGRATI ALL’ESTERO PER FARE I… MERCENARI ! Combattendo e morendo , per soldi, in guerre straniere. Preferibilmente negli eserciti francesi e degli Stati Italiani, tra cui il Regno Delle Due Sicilie. E veniamo alla “piccola omissione “. Se fino alla Prima Guerra Mondiale gli Svizzeri (di tutti i cantoni) erano poveri ed emigravano, e se nel primo Dopoguerra anche l’economia di questo piccolo Paese fu colpita dalla crisi economica originata negli USA (crollo di Wall Street, 1929), come mai gli Elvetici si arricchiscono enormemente a partire dal 1945 ? Vero è che quasi tutta l’Europa Occidentale, nel Secondo Dopoguerra, risorge economicamente, tanto che in Italia si parla di “Miracolo Economico”. Però é anche vero che l’arricchimento della Svizzera é incomparabile . L’industrializzazione di questo piccolo Paese esplode in quegli anni . Per creare imprenditoria ci vogliono consistenti capitali e gli Svizzeri ne dispongono in quantità infinite, erogate dalle banche ad interessi irrisori. Interessi che Inglesi, Francesi ed Italiani possono soltanto sognare . Come mai ? Da dove hanno tratto gli Elvetici ( negli Anni ’50 erano circa 5 milioni) queste enormi, infinite risorse finanziarie, tali da metterli al sicuro per almeno un secolo ? Signor Piombini, lei sa da dove proveniva questa ENORME, IMMENSA REFURTIVA ! Perché non l’ha citata nel suddetto articolo ? Lei avrebbe dovuto indicare compiutamente le origini di questo benessere attuale. Origine dovuta all’ENORME CRIMINE COMPIUTO NEGLI ANNI 1933-45 DAGLI “ONESTISSIMI” SVIZZERI. CHE RICICLAVANO E RICETTAVANO ENORMI QUANTITA’ DI ORO RUBATE ALLE BANCHE NAZIONALI EUROPEE (BELGIO, OLANDA, NORVEGIA, FRANCIA, DANIMARCA, POLONIA, ECC.) dai Tedeschi e depositate in Svizzera in cambio di valuta. Valuta (dollari, sterline, franchi svizz. , ecc.) necessaria per comprare , tramite anche gli “onesti” intermediari svizzeri, spesso con le solite triangolazioni (per es. USA- Portogallo-Germania), armi, metalli per l’industria bellica, ecc. Senza questi acquisti, la Germania sarebbe stata sconfitta due anni prima (lo hanno affermato strateghi inglesi). Mentre interi popoli soffrivano, combattevano, venivano sterminati, gli “onesti, pacifici, civilissimi” Svizzeri si arricchivano per generazioni e generazioni. E quanti miliardi e preziose opere d’arte , depositati dagli Ebrei perseguitati, sono finiti “per sempre” nelle banche svizzere . Che ovviamente, garantivano il segreto bancario. E perché l’onestissimo governo svizzero accettava i miliardi ma non i possessori dei miliardi , esclusi dal diritto d’asilo ? Che poi erano condannati allo sterminio nei lager tedeschi. E perchè nel Secondo Dopoguerra, gli onesti governanti svizzeri tentarono di nascondere la verità ai capi dei governi europei e degli USA che indagavano sul trafugamento dell’oro fatto dai tedeschi ? Tanto da indurre giornali inglesi e tedeschi a scrivere :”Svizzeri, popolo di briganti !”. E perché i furbastri Elvetici, fino ai giorni nostri, hanno continuato imperterriti a riciclare e ricettare enormi quantità di denaro e beni preziosi, depositati da sanguinari dittatori, capi di governo, politici, criminali di tutte le razze del mondo ? Il suo articolo, Signor Piombini, sarebbe stato più analitico , più esaustivo se non si fosse limitato ad elogiare la “brillante” organizzazione confederale come unica scaturigine della ricchezza svizzera. Cordiali Saluti.

REPLY
gianluca
11 Marzo 2014 at 9:26 pm #
che spatafiata inutile…

Alberto Pento
11 Marzo 2014 at 10:17 pm #
Mi ke so veneto e no so talian (a parte la çitadenansa forsoxa) no sofro de esterofilia,
primo parké no sento e no considero estero l’Ouropa e la Xvisara;
secondo parké sento e considero estero la Talia a scuminsiar da la so capital Roma;
terso la Nasion par mi lè coela veneta e no la Talia;
coarto le dexgràsie venete le xe scuminsià co Napoleon ma no le xe fenie co la Talia pitosto col rivo del Stado Talian le xe aomentà de diexe ‘olte;
cointo …

Caro amigo talian ti par mi a te si estaro e la Xvisara la resta on sogno come la Xermagna.

Taliani: ladri, farabuti, buxiari, sasini, traidori, parasidi, bruta xente, mafioxi, onti, singani, patacari, çarladani, marmaja, sasini de Cristo e persecudori de ebrei, …
Kisà parké ki ke jera persegoià el nfava en Xvisara:
Adio Lougano Bela
http://www.youtube.com/watch?v=k84G4ODpBsE

Alberto Pento
11 Marzo 2014 at 10:29 pm #
Me scuxo par ver meso la canson so Lugan ke no la ghe fa far purpio na bela figura a la Xvisara come Pàrea (Patria) de la lebertà, ma li jera altri tenpi e no senpre se pol far coel ke se vuria.
Anca li xvisari li ga le so peke però no se pol dir ke en fato de lebartà no li se la gapie gagnà co lote e barufe secolari e ancò li xe on faro par tuti e par naltri veneti on sogno … altro ke l’enferno talego.

Alberto Pento
11 Marzo 2014 at 10:42 pm #
Cenni storici sulle migrazioni in Svizzera
http://www.sev-online.ch/it/ohne-uns/geschichte.php

Daniele Brambilla
12 Marzo 2014 at 9:03 am #
Ottimo commento, Signor Totti. Altro che efficienza e onesta’ calviniste ! I furbi elvetici si sono arricchiti sfruttando le disgrazie altrui. Ed ora si propongono come modello sociale. Utilizzando i capitali di tutti i delinquenti del mondo ! E ci sono pure Italiani boccaloni che li elogiano .

ML
13 Marzo 2014 at 8:38 am #
Signor Romolo Totti (romano al 100 %, scommetto), con gli ebrei si sono comportati meglio gli italiani, che hanno emanato le leggi razziali e aiutato i tedeschi a deportarli nei campi; o gli svizzeri, che si sono limitati a ricettare del denaro di dubbia provenienza, per poi restituirlo interamente (alla fine degli anni novanta) quando è stato richiesto dalle associazioni ebraiche?

Alcalde.
11 Marzo 2014 at 4:45 pm #
La progressiva meridionalizzazione del Nord non come immigrazione ma come modello sociale ha definitivamente precluso ogni possibilità di erigere un modello federale e autonomo.
Ormai si è adagiati su un assistenzialismo flaccido tipico di culture latine dove solo lo Stato è visto come il rimedio di tutti i mali.
Viene a mancare quello spirito indipendente e coraggioso che ha fatto la differenza in Svizzera dove le esigenze dei singoli sono accoltein referendum seri e legali.
Imoltre ciò ha creato un esercito di parassiti e boiardi di Stato dediti soltanto al ladrocinio e corruzione avendo accesso a fondi e rimborsi fasulli con le nostre tasse pagate per lo più dalle provincie padane.
Alcalde

Matteo C.
11 Marzo 2014 at 2:51 pm #
Tanti complimenti Guglielmo!

Alberto Pento
11 Marzo 2014 at 12:40 pm #
A rengrasio anca mi ke so veneto vixentin.
E pensar ke al termene del 1300 i cantoni xvisari li gheva dimandà al Comoun de Viçensa sel volea entrar a far parte de la Confederasion Xvisara ma Viçensa la ga prefaresto la Repiovega Veneta a cu la se ga dà entel 1404.
Tanti vixentini diti çinbri li vien da l’Alemagna Xvisara, dal Tirol e da la Baviera.
viewtopic.php?f=138&t=537

Mister Libertarian
11 Marzo 2014 at 5:10 pm #
Segnor Pento, ma nel miletresento ghi l’andava a saper ke Venezia saria andata a finir soto l’Italia?
Me ghe scusi se o scrito ma, ma non so miga veneto mi.

Alberto Pento
11 Marzo 2014 at 10:43 pm #
A ke li ani no jera purpio posibile prevedarlo.

Tartarini
11 Marzo 2014 at 11:11 am #
Eccellente articolo.

dm
11 Marzo 2014 at 8:37 am #
E’ possibile chiedere all’autore – che ringrazio per l’articolo ineccepibile – un SECONDO articolo che descriva le condizioni su TASSE SANITA’ FISCO ecc. dei vari stati preunitari?
Sarebbe articolo molto utile e credo gradito a molti
grazie

Guglielmo Piombini
11 Marzo 2014 at 10:45 am #
La ringrazio. L’argomento che propone merita di essere approfondito. Quello che so per certo è che il Regno di Sardegna aveva il livello di tassazione più alto di tutti, e che dopo l’unificazione le tasse nel Regno d’Italia aumentarono in maniera notevole rispetto a quanto erano abituati gli abitanti degli stati preunitari.
(Con l’occasione ringrazio anche Toscano Redini e tutti gli altri che hanno apprezzato l’articolo)

marcello
11 Marzo 2014 at 1:24 pm #
Concordo pienamente con la richiesta al BRAVISSIMO Piombini di avere uno schema comparato delle tasse degli stati preunitari.
Aggiungo anche l’Italia PreFascismo
e l’Italia DURANTE il Fascismo.
Mi hanno sempre interessato ma non le ho trovate su Internet.
Cordiali saluti e complimenti vivissimi.
Marcello Gardani

flavio
11 Marzo 2014 at 6:52 am #
Da Svizzero, nonostante alcune inesattezze, complimenti per l’articolo. È la prima volta che leggo su un giornale italiano qualcosa di così vicino alla realtà!

Paul Brembilla
10 Marzo 2014 at 11:18 pm #
Ottimo articolo. Andrebbe letto in tutte le scuole di regime….

Joachim
10 Marzo 2014 at 10:56 pm #
Se mai riusciremo a liberarci dallo stato italiano non dovremo poi fare grandi sforzi legislativi e costituenti: basterà adottare leggi e costituzione svizzera nella sua versione scritta in italiano. Un articolo da divulgare!

Unione Cisalpina
10 Marzo 2014 at 8:43 pm #
komplimenti alla Svizzera ed all’estensore dell’artikolo x la sua kiara e “gustosa” relaziione…

Toscano Redini
10 Marzo 2014 at 7:16 pm #
Piombini questa volta ha superato sé stesso.
Grande, grandissimo! Complimenti.

Giacomo Consalez
10 Marzo 2014 at 4:23 pm #
Congratulazioni per questo articolo documentatissimo e scritto magistralmente

Guglielmo Piombini
10 Marzo 2014 at 6:12 pm #
Ringrazio Giacomo, Alfag02, Luke e Mirko per gli apprezzamenti!

Alfag02
10 Marzo 2014 at 1:54 pm #
E’ la verità !

Luke
10 Marzo 2014 at 1:07 pm #
Grandioso! Qs articolo è da diffondere il più possibile.
Però, che rabbia…

Mister Libertarian
10 Marzo 2014 at 11:22 am #
E’ importante secondo me che i movimenti indipendentisti abbiano dei punti di riferimento concreti per i propri progetti.
Un futuro Veneto o una futura Lombardia indipendente dovrebbero a mio avviso ispirarsi a un modello politico ed economico quanto più lontano possibile da quello dell’Italia, e quanto più simile a quello della Svizzera.

Mirko
10 Marzo 2014 at 9:49 am #
Grande come sempre Guglielmo! Complimenti per l’articolo!
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Re: Xvisara cor de l’Ouropa, n’Ouropa en megnolo

Messaggioda Berto » gio mag 22, 2014 7:40 am

Svizzera, mercato globale e aziende al di sopra della media

http://www.lindipendenza.com/svizzera-m ... ella-media

In Europa, la Svizzera rappresenta l’alternativa a livello globale. Più di ogni altro mercato locale, infatti, la Svizzera offre realmente degli investimenti globali, poiché il mercato interno è troppo piccolo per poter soddisfare l’alta qualità e l’alto potenziale di crescita delle imprese elvetiche quotate. Infatti, oltre il 90% dei ricavi delle aziende svizzere quotate è generato all’estero, in maniera comunque equilibrata: il 40% del fatturato proviene infatti dall’Europa, il 30% dall’America e il rimanente 30% dall’Asia.

Il mercato elvetico, nell’insieme, offre agli investitori il più alto livello di Cash Flow Return on Investment (CFROI), il tasso che misura, in termini reali, il rendimento degli investimenti dell’impresa. Tale vantaggio è dovuto all’eccellente posizionamento geografico delle imprese svizzere che, ancor prima dei loro competitor, sono state in grado di istituire proprie basi di produzione, fidelizzazione dei clienti e reti di fornitura a livello globale. Le società svizzere solitamente hanno anche dei livelli molto elevati in termini di innovazione, grazie a una visione globale e a una serie di leggi sul lavoro liberali, in grado di attrarre dipendenti di alta qualità.

Ad aprile, lo Swiss Performance Index (SPI) è salito dell’1,6%, tuttavia c’è stato un evidente spostamento degli investitori da quei titoli che, negli ultimi sei mesi, hanno registrato uno slancio positivo, verso azioni che hanno sottoperformato negli ultimi tempi. Infatti, indipendentemente dai solidi resoconti sugli utili, dagli outlook positivi e dai dati macro di supporto, alcuni titoli hanno raggiunto livelli semplicemente troppo elevati secondo gli operatori e sono stati quindivenduti. Analogamente, titoli che continuano a vedere una revisione a ribasso degli utili e i cui outlook sono legati più alla speranza che a una reale crescita, sono stati nuovamente scelti dagli investitori. Il mese di aprile ha effettivamente visto un numero incoraggiante di Opa in Svizzera. Tuttavia, finora, i prezzi elevati hanno ostacolato una forte sovraperformance dopo il debutto. Inoltre, alcuni movimenti negativi sui tassi di cambio e una serie di forti revisioni a ribasso degli utili delle maggiori compagnie elvetiche, hanno fatto calare il consenso sugli utili attesi.

In generale però, le società svizzere hanno un forte riconoscimento in termini di marchio, non solo per il fatto stesso di essere “Swiss made”, ma anche grazie alla costanza delle loro performance, che ha consentito a tali società di registrare performance operative e sul mercato azionario al di sopra della media degli altri mercati. Infatti, negli ultimi 30 anni, il mercato svizzero ha costantemente sovraperformato l’indice MSCI World. È quindi chiaro che la Svizzera giochi un ruolo di alta qualità all’interno del continente europeo, in termini di performance sostenibile. Pertanto, riteniamo che il mercato svizzero possa registrare in generale una buona performance nel 2014, e in particolare ci attendiamo che il contributo maggiore arrivi dalle società di dimensioni più ridotte, rispetto alle grandi compagnie.

A cura di Eleanor Taylor Jolidon – Fund Manager, Swiss & Global Equity di Union Bancaire Privée – UBP
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Re: Xvisara cor de l’Ouropa, n’Ouropa en megnolo

Messaggioda Berto » mar ago 19, 2014 3:43 pm

Swissinfo: la casa non è un diritto per gli stranieri. Film a Locarno

http://www.lindipendenzanuova.com/swiss ... ra-alloggi

Locarno

Ogni notte, in Svizzera centinaia di persone sono costrette a dormire per strada. Sono per lo più cittadini europei o titolari di un visto Schengen. Col suo ultimo documentario “L’Abri”, presentato in prima mondiale al Festival di Locarno, Fernand Melgar si è immerso nella realtà dei senzatetto che errano per le vie di Losanna.
“L’Abri”, il nuovo documentario di Fernand Melgar.
Una barriera di ferro divide chi sta dentro e chi sta fuori. Poco prima delle dieci, durante i mesi più freddi, il rifugio della protezione civile di Losanna apre le sue porte. Cinque franchi per un letto, una doccia e un pasto caldo in un bunker. Sono un centinaio a fare la coda ogni sera.
All’Abri, però, non c’è posto per tutti. I letti disponibili sono 107, ma per questioni di sicurezza sono ammesse solo 50 persone, una decina in più quando il termometro scende sotto zero. Davanti alla barriera, la gente sgomita, si dispera, si infervora. Il rifugio diventa un luogo di smistamento. «Con quali criteri li selezionate?», chiede un poliziotto chiamato a dar man forte. Prima gli anziani, le donne e i bambini; chi è domiciliato in città e chi ha un lavoro. «Stasera abbiamo già tanti rom, prendi due africani», risponde uno dei guardiani. E il suo collega aggiunge: «Ma chi sono io per scegliere?».
Per sei mesi, giorno per giorno, il regista svizzero Fernand Melgar ha osservato la lotta quotidiana dei migranti per un tetto e un po’ di dignità. Accompagnato da Elise Shubs, che si è occupata del suono, ha filmato al di qua e al di là della barriera, dando voce ai senzatetto e ai guardiani del centro di Losanna, la sua città.
Un lavoro, ma non un tetto
Gli ospiti del rifugio provengono in gran parte dall’Europa del Sud e dell’Est. Sono migranti spagnoli, portoghesi e italiani; famiglie rom, spesso accompagnate dai loro bambini; giovani africani e latinos, che dopo aver ottenuto un visto Schengen in Spagna o in Italia, sono stati i primi a subire le conseguenze della crisi.
Mentre alcuni sono ancora alla ricerca di un impiego, altri lo hanno già trovato ma non guadagnano abbastanza per pagare l’affitto. A Losanna, come in altre città svizzere, gli appartamenti liberi si fanno sempre più rari e le pigioni improponibili. I salari non sempre sono corretti.
Per brevi istanti, la camera di Melgar si allontana dal centro per seguire alcuni protagonisti. César e Rosa, emigrati dalla Spagna dopo aver perso tutto, con l’idea di lavorare in una stazione di sci. Trascorrono la giornata in biblioteca per ripararsi dal freddo e sfruttare internet gratuito. Non sono i soli. Qualche tavolo più in là, è seduto Amadou, un giovane africano con un permesso Schengen, anche lui ospite à L’Abri. Poi c’è la famiglia rom: i genitori, due bambine piccole, una notte trascorsa in automobile e qualche ora a chiedere l’elemosina. Risultato: 2 franchi e novanta.
La notte, chi sta fuori, si rannicchia su una panchina, nei parchi o nelle stazioni, in una baracca abbandonata oppure in automobile, per chi ne possiede una. Sempre lontani dagli sguardi, l’orecchio in allerta. Se vengono beccati dalla polizia rischiano una multa fino a 200 franchi. Non si sgarra: il regolamento della città vieta il campeggio, con o senza tenda.
Presente a Locarno per la prima mondiale de “L’Abri”, in corsa per il Pardo d’oro, il municipale socialista Oscar Tosato – incaricato del dossier – ha sottolineato che la città di Losanna ha certo una politica molto aperta, ma non può far tutto da sola. «Siamo consapevoli che c’è una penuria di alloggi a prezzi modesti e per questo abbiamo in previsione di costruire nuovi immobili sociali. Parte della popolazione, però, si oppone e dobbiamo tenerne conto. Mettere a disposizione ulteriori posti per i senzatetto non è una soluzione a lungo termine: costa alla collettività e rischia di richiamare altri migranti e creare un modo di vita parallelo».
Quella barriera che separa il letto dalla strada, agli occhi di Melgar è però da comprendere anche in senso più ampio, come quella frontiera che separa la Svizzera dal resto dell’Europa. Un po’ più chiusa dopo il 9 febbraio. «Tu dentro, tu fuori».
È estate a Locarno e l’Abri ha chiuso le sue porte ormai da mesi. Riaprirà soltanto ai primi freddi, mentre loro – i senzatetto – sono sempre di più a dormire al chiaro di luna.
Fernand Melgar nasce nel 1961 in Marocco, da una famiglia di sindacalisti spagnoli esiliati durante il franchismo. A due anni i genitori lo portano illegalmente in Svizzera, dove lavorano come stagionali. Nel 1980 fonda con degli amici Le Cabaret Orwell, culla della musica underground della Svizzera francese, e tre anni dopo inizia a fare cinema. I suoi documentari sull’accoglienza e l’espulsione dei richiedenti l’asilo – “La Forteresse” (2008) e “Vol Spécial” (2012) – hanno ricevuto numerosi premi e suscitato accesi dibattiti politici. “L’Abri” è in corsa per il Pardo d’oro al Festival di Locarno.


Freno svizzero all’immigrazione
Il 9 febbraio 2014, il popolo svizzero ha accolto col 50,3% dei voti l’iniziativa popolare “Contro l’immigrazione di massa”, lanciata dall’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice). Il testo prevede l’introduzione di contingenti, tetti massimi e preferenza nazionale entro tre anni. Data l’incompatibilità di queste misure con la libera circolazione delle persone, il governo svizzero ha chiesto all’UE di poter rinegoziare l’accordo. Nel mese di luglio, Bruxelles ha respinto la domanda elvetica.
Figlio di migranti spagnoli, un’infanzia segnata dall’illegalità, Melgar ripete a chi gli chiede delle soluzioni, che lui è soltanto un «testimone» e il suo un cinema della «non tranquillità, una finestra» su una realtà sommersa. Nel film «non ci sono buoni o cattivi, solo esseri umani che cercano di convivere».
«Ho cercato di mostrare come rispettando un regolamento comunale voluto dalle autorità, si facciano scelte inimmaginabili. Senza intenzione di fare del male. Tu dentro, tu fuori. I sorveglianti sono loro, ma potremmo essere noi», dichiara il regista.
Una problematica svizzera…
Il numero di senzatetto non è censito ufficialmente in Svizzera, ma secondo l’ultimo rapporto di Caritas, diverse regioni – come Basilea o Zurigo – constatano un aumento.
Il diritto a un alloggio è iscritto nella Dichiarazione universale dei diritti umani. Senza evocarlo in modo esplicito, la Costituzione svizzera prevede un impegno da parte delle autorità federali e cantonali affinché chiunque abbia accesso a un’abitazione adeguata. Perché allora non aprire un altro centro della protezione civile, si chiedono gli stessi sorveglianti ritratti nel documentario, invece di lasciar dormire la gente per strada?
Diritto all’alloggio
Il diritto all’alloggio non è sancito in modo esplicito nella Costituzione federale. L’articolo 41e recita: «La Confederazione e i Cantoni si adoperano affinché ognuno possa trovare, per sé stesso e per la sua famiglia, un’abitazione adeguata e a condizioni sopportabili». A differenza di altri diritti fondamentali, come la libertà d’espressione, il diritto all’alloggio non è considerato giustiziabile. Ciò significa che un cittadino non può invocarlo davanti a un tribunale, in caso di presunta violazione.
A Ginevra, il numero di persone senza domicilio fisso è stimato a mille. «Le strutture non sono sufficienti e garantiscono soltanto un aiuto d’urgenza, spesso limitato a poche settimane», spiega Camille Kunz, responsabile della comunicazione di Caritas Ginevra, che ha più volte lanciato l’allarme. «Sarebbe necessario un accompagnamento sul lungo termine. Non si trova un alloggio in un batter d’occhio e ogni giorno trascorso per strada è un ulteriore passo verso la precarietà, dalla quale è difficile rialzarsi».

Di Stefania Summermatter, Locarno
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Re: Xvisara cor de l’Ouropa, n’Ouropa en megnolo

Messaggioda Berto » mar ago 26, 2014 6:37 am

Dopo l’inno da rifare, gli immigrati: via la croce dalla bandiera svizzera

http://www.lindipendenzanuova.com/immig ... e-disturba

di STEFANIA PIAZZO


C’era anche da aspettarselo. Dopo il flop della Germania che in materia di politica immigratoria si trova a registrare due richieste di naturalizzazione ogni 100 stranieri aventi diritto al passaporto tedesco, ora tocca alla vicina Svizzera dimostrare che il politicamente corretto, quello che antepone l’esaltazione della diversità come fattore di condivisione e crescita sociale, di integrazione, soffra un momento di acuta crisi.
La notizia è che una associazione di immigrati in Svizzera, Secondo plus, ha lanciato una proposta, anzi, meglio, rivendica il diritto ad un fastidio: non piace, ai mussulmani, la croce bianca in campo rosso che contraddistingue la bandiera della Confederazione. Esattamente: via la croce, non appartiene alla cultura e alla storia degli ospiti in terra svizzera. Non è una barzelletta, non è una forzatura. Tanto che la testata svizzera http://www.aargauerzeitung.ch/ ha interpellato i propri lettori chiedendo che cosa ne pensino: la croce va tolta si o no?
La croce, siccome disturba chi non crede in Gesù o crede in altro, secondo l’associazione di immigrati, va tolta. La bandiera svizzera non corrisponderebbe più al paese multiculturale che oggi si presenta agli occhi dei cittadini e delle istituzioni. Dunque, via anche l’identità di un simbolo e il suo valore.
In altre parole, servono nuovi simboli in cui identificarsi rispetto a quello attuale. E arriva dunque la proposta di cambiare insegna da parte degli immigrati di seconda generazione.
Mentre in Svizzera già bolle in pentola il cambio dell’inno nazionale, il salmo che loda il creato e dio assieme al territorio, perché ritenuto superato, ora arriva la seconda scossa: via anche la croce.
Il dato di fatto è che Germania, Svizzera e anche Belgio si stanno misurando con i problemi della seconda e terza generazione di stranieri.
L’Italia è ferma al palo della prima e seconda generazione. Quel che sta accadendo fuori dai confini, questione di tempo, arriverà anche nello stato italiano, con l’aggravante del fattore doppia C, il cattocomunismo.
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Re: Xvisara cor de l’Ouropa, n’Ouropa en megnolo

Messaggioda Berto » ven ott 17, 2014 6:53 am

Fare impresa in Svizzera, tutto facile ma attenti agli abbagli
Piccola guida ai manager che vogliono aprire un'attività nella Confederazione

http://www.tvsvizzera.it/attualita/Fare ... 39391.html
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Re: Xvisara cor de l’Ouropa, n’Ouropa en megnolo

Messaggioda Berto » dom ott 19, 2014 8:18 pm

Anche le formiche nel loro piccolo...

Un documentario di Romano Venziani e Luciano Paltenghi sul piccolo mondo del grande Parco Nazionale svizzero.

http://www.tvsvizzera.it/intratteniment ... 48790.html


http://it.wikipedia.org/wiki/Acido_formico



A ghe so stà anca mi e lè bèl, bèl, purpio bèl sto parco xvisaro ... lo go vixità tre volte e so ndà a catar i gnari de i Gepeti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Gypaetus_barbatus
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Lè ente l'Engadina, tera del romancio:
http://it.wikipedia.org/wiki/Engadina
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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