Lo stato dei veneti, ovvero l’orgoglio di vivere indipendentihttp://www.lindipendenza.com/lo-stato-d ... dipendentidi DAVIDE LOVAT
Questo libro è stato scritto perché un popolo deve avere una missione da compiere, un obiettivo da raggiungere, qualcosa di grande da fare per il quale essere fieri e orgogliosi di appartenervi. Il popolo veneto all’interno dell’Italia è umiliato e privato di ogni tensione positiva verso il futuro e il calo delle nascite è il chiaro segnale di questa perdita di fiducia in se stessi e nella vita. Bisogna trovare di nuovo qualcosa che ci coinvolga tutti, che ci possa impegnare con tutte le nostre migliori energie, che dia un senso alla nostra esistenza e che ci consenta di avere una speranza per i nostri figli. Qualcosa che ci dia l’orgoglio di vivere e perciò il desiderio di trasmettere la vita stessa. La Storia è in evoluzione, gli Stati e i confini sono sempre cambiati e sempre cambieranno. Per ricostruire uno Stato indipendente e moderno sul territorio dove fu quello antico, bisogna prima ricostruire un immaginario collettivo, un’identità di sentimenti e di vedute, un patrimonio culturale condiviso che c’è, ma è disordinatamente disperso nella confusione e nell’indistinzione portata dal dominio italiano prima e americano poi.
Il proposito di queste pagine è di far riflettere sulla millenaria specificità storica e culturale dell’identità del popolo veneto, così diverso dalle altre genti italiche, sulla diversità politica conclamata nei secoli, ma anche sulla globalizzazione, sulla crisi economica e morale dell’Occidente, sull’Europa che vogliamo costruire per il futuro. Infine viene fatto un ragionamento dettagliato sull’ipotetico Stato Veneto futuro, per stimolare la riflessione oltre la dimensione dei proclami generici. Per fare qualcosa, bisogna pensare al come.
DAVIDE LOVAT è Dottore in Scienze Politiche con indirizzo storico, laureato a Padova con tesi d’eccellenza in Filosofia del Diritto, docente di religione cattolica, ha già pubblicato “L’Italia era un bel progetto” (2006) “Tu sarai leghista! Leghista sarai tu!” (2010).
Si definisce ironicamente “Medico del corpo sociale” rilevando la mancanza di formazione specifica di gran parte della classe politica che si dedica a “curare il corpo comune” senza avere le nozioni per procurarne il bene. Dice di sè: “In Occidente nel XXI secolo stanno venendo sospese le libertà democratiche e gli Stati vengono trasformati in dominazioni di gruppi organizzati sovrannazionali che usano i partiti per tenere a bada il popolo sovrano, illudendolo di avere un potere. Essendo io cristiano cattolico, tomista, federalista e profondamente democratico, in questa situazione mi posso definire solo come DISSIDENTE POLITICO e il mio impegno andrà sempre più marcatamente contro il sistema delGrande Fratello della Finanza che sta progressivamente sottomettendoil mondo intero.”
http://www.lindipendenza.com/wp-content ... INOSSI.pdf“I nemici di coloro che si vogliono emancipare dalla schiavitù sono di tre tipi:
innanzitutto i pregiudizi e il senso d’inferiorità inculcato fin dalla nascita;
secondariamente, come è ovvio, i padroni schiavisti che beneficiano del loro sfruttamento e non vogliono perdere i notevoli vantaggi economici derivati da quella condizione;
infine, i peggiori nemici in assoluto sono gli altri schiavi ormai abituati alla condizione di sottomissione, come se si trattasse di un destino ineluttabile.
Tra questi ultimi, i più feroci nemici dell’emancipazione e della libertà sono gli schiavi vecchi che hanno un ruolo privilegiato presso i padroni.” “Cominciai così a ragionare sullo stato dei Veneti, intendendo la condizione di umiliante sfruttamento che questo popolo, dimentico delle sue nobili origini e della sua gloriosa tradizione storica, si trova a subire sotto il dominio delle altre popolazioni d’Italia, quelle stesse popolazioni da cui si era vittoriosamente difeso e distinto per tutti i secoli della sua indipendenza. Fu un’illuminazione perché soprattutto presso i vecchi, che hanno goduto del trentennio di benessere diffuso di fine millennio, si trovano oggi i più accaniti nemici dell’anelito di libertà che è tornato a divampare nei cuori delle giovani generazioni dopo aver arso flebilmente, quasi soffocato, sotto la cenere delle tragedie del XX° secolo. Pensando a come argomentare le ragioni dell’indipendenza contro questi soloni che passano per intellettuali e contro i lacchè del potere, scribacchini e pennivendoli che per uno stipendio sono pronti a denigrare i propri fratelli anziché sposarne la causa, cominciai a ideare lo Stato dei Veneti, stavolta inteso come l’ordinamento giuridico libero e sovrano, insistente sul territorio storicamente abitato dal popolo veneto.”
“Quando la maggioranza dei Veneti avrà capito che l’indipendenza è migliore della sottomissione all’Italia, la Repubblica Serenissima risorgerà dalle sue ceneri come l’araba fenice. Sono persuaso che non manchi ancora molto a quel giorno, mentre scrivo queste pagine all’inizio dell’anno del Signore 2014. Necessita solo una presa di coscienza che metta termine al senso di dipendenza psicologica tipico del sottomesso, quella sorta di masochistica Sindrome di Stoccolma che fa amare l’aguzzino e impedisce di emanciparsene. Serve una intima rottura che permetta di vedere quello che ancora molti rifiutano pregiudizialmente di riconoscere: per il popolo veneto è male rimanere soggetto alla sovranità italiana.”
Tra globalizzazione e bisogno di una Patria Nell’ultimo trentennio abbiamo assistito all’accelerazione del progresso tecnologico in modo mai visto prima. Il mondo è oggi interconnesso a più livelli: grazie agli strumenti della nuova tecnologia si viaggia in modo da poter raggiungere ogni parte del mondo in poche ore, si raggiungono gli antipodi della Terra in un giorno, si trasmettono informazioni e documenti istantaneamente in tempo reale, si vedono immagini di avvenimenti in corso di svolgimento dall’altra parte del pianeta, si parla simultaneamente in videoconferenza con persone diverse situate in città tra loro lontanissime, si trasferiscono ingenti somme di denaro pigiando un tasto, si leggono in diretta i giornali di qualsiasi Paese straniero prima che vengano stampati e venduti, e molte altre possibilità fino a prima impensabili sono oggi prassi quotidiana. I confini spazio-temporali sono stati ridotti e talvolta abbattuti. Questo ha causato logiche conseguenze non solo nella vita commerciale e lavorativa, non solo in quella individuale, ma ovviamente anche nella vita politica e sociale. Questo fenomeno di circolazione di mezzi, merci, informazioni, persone e idee, ha preso il nome di globalizzazione. Esso offre all’uomo una serie di vantaggi notevoli e permette di realizzare livelli di soddisfazione materiale e anche spirituale degni della sua naturale vocazione al progresso; tuttavia reca con sé anche un pericoloso rovescio della medaglia, un risvolto negativo che è uguale e contrario agli aspetti negativi. Esso consiste nella tendenza all’omologazione, all’uniformità, alla negazione delle
specificità, alla standardizzazione di procedure, modi di pensare, di agire, di regolare gli aspetti specifici dell’esistenza, prescindendo dalla realtà specifica vissuta in concreto. Nella sua tendenza all’astrazione, la globalizzazione reca in sé il germe del totalitarismo perché tende a dominare autoritariamente ovunque e in ogni ambito, compresi quelli strettamente privati che per la loro natura sarebbero da sottrarre all’interferenza di qualsiasi autorità di tipo politico.
E’ dunque naturale la reazione spontanea delle persone che, attaccati da questo fenomeno, cercano nella riscoperta delle radici profonde della loro identità i
fondamenti per dare un senso alla vita, tanto personale quanto associata. Si assiste perciò in ogni parte del mondo, soprattutto in quelle con maggiore tradizione storica e culturale, al fenomeno della rinascita delle piccole patrie e del desiderio di riconoscersi in una comunità di appartenenza ben definita e connotata da valori e riferimenti certi e conosciuti da generazioni su generazioni, partendo dal valore della famiglia e dell’appartenenza familiare a un preciso contesto sociale, economico, religioso, geografico, storico e culturale.
Si tratta di un fenomeno connaturato all’essenza umana e dunque insopprimibile, se non a prezzo di inaudite violenze e di gravi ingiustizie sulla falsariga delle
mostruosità compiute dai totalitarismi di marca nazista e comunista nel XX° secolo, perché “i popoli, le nazioni non muoiono” come ebbe a dire durante la Prima Guerra Mondiale il pontefice Benedetto XV. Sterminare i popoli per sacrificarli sull’altare di un’ideologia è cosa già tentata, una vergogna perpetrata in massima misura contro il popolo ebraico e contro la sottorazza slava dal Terzo Reich, ma attuata anche contro il popolo armeno dal regime turco pochi anni prima, ed emulata anche dai regimi comunisti nei confronti della razza degli oppositori politici. Che il razzismo sia etnico o ideologico non fa differenza; i milioni di morti causati da tali regimi infami devono essere un monito perpetuo per l’umanità affinché mai più si possa ripetere lo sterminio di chi ha un’identità etnica, religiosa o culturale diversa da quella di chi sta momentaneamente detenendo la supremazia politica, economica e militare.
Auschwitz deve essere un insegnamento definitivo e un baluardo sempiterno per la difesa del diritto a esistere di ogni identità che perduri spontaneamente nella Storia dell’uomo.
In questo senso è tanto più auspicabile che la richiesta di riconoscimento dei popoli che attualmente non godono della piena libertà venga accolta e che le autorità internazionali si prodighino al massimo livello d’impegno per garantire il raggiungimento del pieno esercizio di autodeterminazione dei popoli storicamente determinati e radicati su un territorio. Finora il diritto di autodeterminazione è stato enunciato, poi definito, quindi codificato, infine citato come presupposto giuridico per giustificare la nascita di nuovi Stati voluta dalle potenze del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Negli ultimi 30 anni sono molti i Paesi nuovi ad aver ottenuto l’indipendenza e la piena sovranità. Alcuni per il disfacimento dell’URSS che ha generato la nascita di 15 nuove repubbliche; altri per le conseguenze della guerra in Jugoslavia che ha portato alla creazione di 6 Stati e un territorio, il Kosovo, in fase di regolamentazione; altri ancora per scissione da uno Stato unitario (la Cecoslovacchia divisa in due repubbliche, Ceca e Slovacca, il Sudan frazionato tra Nord e Sud, la nascita di Timor Est nella parte orientale dell’isola indonesiana di Timor); infine ci sono i casi che interessano questo libro.
In Europa (la cosa in futuro riguarderà l’Africa, per gli stessi motivi) alcuni popoli stanno combattendo una battaglia da veri pionieri, in favore di quei popoli che ne vorranno giustamente seguire le orme. La formazione degli Stati è scaturita dalle guerre imperialiste monarchiche dei secoli scorsi e ha talvolta calpestato le nazionalità e le indipendenze delle nazioni storiche, cosicché alcuni popoli si trovano a essere conglobati con il loro territorio all’interno di ordinamenti giuridici statuali ai quali sono essenzialmente estranei. Ecco perciò che la Scozia torna a chiedere l’indipendenza dall’Inghilterra, la Catalogna ambisce a staccarsi dalla Spagna, le Fiandre di lingua fiamminga a separarsi dal Belgio francofono, il Sud Tirolo a riunirsi con il mondo tedesco, l’Ulster a unificarsi con il resto dell’isola d’Irlanda e, per ultima - ma forse storicamente la più legittimata dal parametro della lunga consuetudine storica – l’ex Repubblica Serenissima di Venezia, già Decima Regio dell’Impero Romano per far capire la portata storica dell’unità antropologica e geopolitica di questa nazione, vuole tornare indipendente dall’Italia, a cui fu annessa nel 1866.
Tutti questi popoli chiedono di ottenere, per loro volontà diretta anziché per strategie delle grandi potenze mondiali, il diritto democratico all’autogoverno, secondo i modi e le procedure previste dal diritto internazionale. Al momento in cui questo libro viene scritto, solo Scozia e Catalogna hanno indetto un referendum consultivo che, in caso di successo tramite il consenso maggioritario della loro popolazione, avvierebbe il processo costituzionale di un nuovo Stato sovrano. Le altre realtà soffrono invece di una dura opposizione antidemocratica da parte degli Stati che attualmente esercitano la sovranità su quelle terre e pretendono di negare il consenso alla libera espressione democratica del voto per l’autodeterminazione dei popoli. Il mio auspicio è che lo spirito di soccorso al diritto di esercizio della democrazia si diffonda presso tutte le persone di buona volontà e che contemporaneamente i difensori dello status quo imposto con la violenza antidemocratica, imperialista e tendenzialmente totalitaria, vengano messi davanti alla loro coscienza di uomini liberi che vogliono negare la libertà altrui.
Il peso del Fisco Il modello fiscale che più mi piace è quello Svizzero. Esso si basa sul principio di sussidiarietà e sulla tripartizione istituzionale comune/cantone/federazione, dove ogni livello di potere ha le sue competenze esclusive e riceve di conseguenza le risorse necessarie all’adempimento. Le cifre che seguiranno possono sembrare incredibili, soprattutto ai nostri imprenditori abituati alla vessazione da feudo medievale praticata dallo Stato italiano, ma si tratta di dati ufficiali facilmente verificabili (1). In Svizzera
ogni cantone ha competenze delegate diverse, nel pieno compimento del principio federalista che consente a ogni unità amministrativa di pattuire col livello superiore quali siano i propri compiti esclusivi; di conseguenza esistono tanti sistemi fiscali quanti sono i cantoni, cioè ben 262
. Per fare qualche esempio, i dati del 2008 (fonte:
Dipartimento federale delle finanze) dicono che nei capoluoghi cantonali la pressione fiscale (si intende la somma delle imposte cantonali, comunali e parrocchiali) per una persona celibe con un reddito di 80 mila Chf4 variava dai 5.623 Chf di Zugo (7,3% del reddito) ai 13.517 Chf di Neuchàtel (16,9% del reddito).
Ma la situazione nei capoluoghi non riflette quella di ciascun cantone, che si presenta anch’essa molto variegata. Così, se nella città di Zurigo una persona con le caratteristiche che abbiamo descritto doveva nel 2008 al fisco 8.092 Chf, pari al 10,12% del suo reddito lordo, a Neerach o a Uitikon, nello stesso cantone, ne doveva 6.480, l’8,1% del suo reddito. Ma ci sono disparità ancora più evidenti, come ad esempio nel cantone di Svitto, dove nel capoluogo la pressione fiscale ammontava a 6.440 Chf (8,05% del reddito) e a Wollerau, medesimo cantone, era di 3.816 Chf (4,47%). Ciò evidenzia grandi differenze, dovute anche alla concorrenza virtuosa che si instaura fra cantoni, i quali hanno tuttavia l’obbligo di garantire i servizi di propria competenza ai livelli qualitativi standard della Federazione che, come sappiamo, sono molto elevati.
Se arrivati in fondo a queste cifre non avete ancora vomitato, prendendo atto del confronto impietoso con l’Italia, vomiterete di sicuro pensando al livello qualitativo dei servizi italiani in confronto a quelli svizzeri: si paga 5 volte di più per avere meno della metà…. Non è una buona ragione questa, cari imprenditori veneti, per dedicare anima e risorse alla causa dell’indipendenza del Veneto? Se tutti gli altri discorsi di questo libro non vi convincessero, forse questo volgare discorso di schei potrebbe
1
Fonte “Svizzera” ed. Il Mulino 2011, di Sergio Gerotto, Professore associato di Diritto Pubblico Comparato presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova.
2
La suddivisione amministrativa federale della Svizzera dimostra che anche il Veneto può organizzarsi con unità amministrative intermedie fra Stato e Comuni più piccole dei confini attuali delle Province italiane, senza che l’efficienza ne risenta negativamente.
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In Svizzera ci sono anche queste, in alcuni cantoni, per la Storia particolare della vicenda religiosa del Paese. 4 Franchi svizzeri, in sigla internazionale. Il Chf è attualmente valutato 1,2 € con cambio “semi-bloccato” per intervento federale anti-speculazione; ciò significa che servono 5 Chf per fare 4 €. farlo! Ah, quanto sarebbe meglio se il desiderio d’indipendenza vi scaturisse dal cuore invece che venire dai conti in tasca e dal portafoglio!
Uno Stato Veneto organizzato su base federale col modello cantonale offrirebbe servizi del livello svizzero con costi simili.
“Se lo vuoi veramente, non è un sogno” 5