Democrasia xvisara (on bon somexo)

Democrasia xvisara (on bon somexo)

Messaggioda Berto » ven gen 17, 2014 8:42 am

Democrasia xvisara (on bon somexo)
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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... _1900.jpeg

Ła democrasia no ła xe łomè coeła grega, łè anca coeła de łi comouni, ansi łè pì coeła de łi comouni ke coeła grega ke ła jera arestogratega come coeła veneta.

Ła democrasia vera ła xe come coeła Xvisara, endoe tuti łi çitadini łi deçide, tuti e no lomè na parte arestogratega o casta come entel caxo de la Grega/Greça de na olta e de la Repiovega Veneta.

Ła democrasia no ła xe coeła del stado tałian:: raprexentativa, endereta e sensa ligo o vincoło de mandà/mandato; de fato ma falba democrasia endoe łi eleti łi costituise na casta arestogratega coeła de łi partidi e łi çitadini łi xe espurpià de ła so soranetà.

Ła democrasia (coela vera) no ła xe n’afar de ła masoneria satanega e del louminixmo come ke siga coalke oseso envaxà dal demogno edeolojego e da l'entegraleixmo relijoxo.


Storia e istitusion xvisare
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Re: Democrasia xvisara (on bon somexo)

Messaggioda Berto » ven gen 17, 2014 8:50 am

Democrazia diretta: ecco tutti i benefici di un sistema tipo quello svizzero

http://www.lindipendenza.com/democrazia-diretta-svizzera


di FRANCO FUMAGALLI

Per poter conoscere e apprezzare i caratteri distintivi della Democrazia diretta nei confronti di quella rappresentativa (quella attualmente in vigore in Italia) è utile riportare, in sintesi, alcuni degli aspetti pratici risolti da questa forma di sistema politico-amministrativo.

I benefici della democrazia diretta possono così essere riassunti:

- equità nella gestione del potere politico;

- effettivo controllo dei cittadini sul potere politico;

- sviluppa il senso di responsabilità nei cittadini;

- costringe i politici a maggior trasparenza;

- miglior conoscenza politica dei cittadini;

- blocco dei meccanismi di spartizione tra i partiti;

- toglie tutti i privilegi ai governanti;

- rende impossibile la burocrazia;

- il sistema parlamentare non è indispensabile per scrivere leggi;

- impedisce alla burocrazia e alle lobby di “governare” il paese;

- permette al revoca dell’eletto con iniziativa popolare.

In quest’ultimo caso, la revoca, effettuata in modi e con regole precise, permette che amministratori incapaci o disonesti possano essere :

- sollevati dagli incarichi;

- aiuta l’amministratore a conservare la mentalità di candidato;

- è un modo per ricordare agli eletti che sono dei dipendenti;

- riduce il potere delle lobby;

- permette al cittadino di interessarsi di più su come vengono affrontati i

problemi;

- risoluzione rapida di conflitti partitici;

Oltre a questi controlli esercitati dai cittadini sui partiti e sui politici, vi sono anche riscontri positivi di carattere economico nei Paesi in cui viene praticata. Alcuni di questi benefici possono essere così sintetizzati:

- migliore efficienza dell’amministrazione pubblica;

- minor spesa pubblica;

- minor debito pubblico;

- spese pubbliche effettuate per risolvere i problemi dei cittadini;

- tassazione generale solo per il pagamento dei servizi erogati

Può anche essere ricordato che i sistemi di voto per esercitare la democrazia diretta, sono efficaci e meno costosi. I referendum si attuano in diversi modi:

- ci si può recare alle urne;

- votare per posta;

- via internet (diversi test sono stati realizzati con successo).

Si può sottolineare, per chiarezza, che i referendum sono autentica espressione di volontà popolare poiché parte dai cittadini ed è da loro controllato. Per ultima ma non certo la meno importate annotazione: l’unico modo per insegnare la democrazia diretta (autogoverno) è praticarla.

*Unione Padana Mantova



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Articolo discretamente illuminante, ma, da svizzero, mi preme fare qualche distinguo:

- blocco dei meccanismi di spartizione tra i partiti;

Frase fuorviante: nella confederazione (ed in ognuno dei cantoni) il potere politico è de-facto diviso tra i vari partiti e gli enti sotto il controllo statale soffrono (come in ogni altro paese del globo) del principio di spartizione tra i partiti. L’unica (mica poco) sottile differenza è data dall’assenza di una reale opposizione: tutti i maggiori partiti sono chiamati a governare e questo porta ad una “spartizione partitica” forse più egalitaria ma tuttavia presente.

- impedisce alla burocrazia e alle lobby di “governare” il paese;

Fatevi un giro a palazzo federale prima di dire certe castronerie: i lobbisti sono in maggioranza rispetto agli inservienti. Già che ci siamo diamo anche un’occhiata alla composizione del parlamento: avvocati, titolari d’impresa, membri di consigli d’amministrazione.
Il diritto referendario permette di controllare relativamente il fenomeno del lobbismo che è comunque presente.

- permette al revoca dell’eletto con iniziativa popolare.

Vero. Addirittura è prevista questa possibilità in ognuno dei singoli parlamenti cantonali e, in casi gravi, si può richiedere la revoca totale del governo.
Questa è la teoria. Non ricordo sia mai stata applicata però.

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Già che si tira in ballo la Svizzera…
In Svizzera esistono dei cantoni (Appenzello interno,Appenzello esterno, Glarona ecc. dove esiste ancora la: “Landsgemeinde”

Ci si riunisce due volte all’anno nella piazza della capitale di quel cantone (Regione) se piove, nevica o c’è il sole.
La scheda che autorizza il voto è una spada sottile e lunga ca 110 cm-
I partiti espongono una nuova legge, una mozione, una grande costruzione tipo stradale, ospedale ecc. Alla fine della discussione si vota per alzata di mano…e si deve chiudere l’ombrello… Se questo è evidente ok argomento accettato o rifiutato. Se le differenze sono minime si deve tenere alzata la mano fino alla fine della conta. Caso mai uno per partito fà il riassunto a favore o contrario e si rivota. I partecipanti (maschi e donne sopra i 18 anni) sono in media ca 10.000 persone. Poi tutti vanno ad abbeverarsi del loro liquore alle erbe nostrano.
E’ una cosa che esiste da secoli e non hanno alcun interesse ad abolirlo.

Per quel che riguarda trasparenza, spartizione degli affari ai partiti, privilegi, lobby che governano il paese, spesa pubblica, gli eletti vengono ricordati che sono dipendenti ho i miei dubbi, comunque regolarmente questi nodi vengono a galla e il politico si ritira per motivi privati

Le lobby in Svizzera la fanno da padrone: diversi direttori di aziende tipo banca, assicurazioni, automobilistico sono anche consiglieri nazionali…
Per quel che riguarda la soluzione dei conflitti in Svizzera si conosce la parola compromesso se esso non c’è su un determinato argomento lo si mette nel cassetto e regolarmente lo si tira fuori per vedere se si puo fare compromesso.

Le votazioni per diretta, per posta o internet c’è.

Le tassazioni sono cantonali. Il piu’ caro è il Giura il meno caro è Zugo dove c’è la concentrazione di indirizzi ma anche ditte che hanno la sede principale. Il Ticino è attualmente il 5. meno caro

Ecco, alcune precisazione sulla democrazia diretta in Svizzera fatte da uno Svizzero
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Re: Democrasia xvisara (on bon somexo)

Messaggioda Berto » ven gen 17, 2014 8:51 am

A Bolzano come in Svizzera l’opposizione la fanno i cittadini

http://www.lindipendenza.com/a-bolzano- ... pposizione

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di ENZO TRENTIN

La Federazione Svizzera si basa su una coesione molto forte della popolazione e uno dei pilastri della solidarietà politica dei cittadini svizzeri è quello della democrazia diretta: la popolazione può dire la propria – nel vero senso della parola e non solo per esprimere un parere – dal livello amministrativo comunale fino alle decisioni cantonali e federali. Possono proporre e decidere anche modifiche della costituzione e delle leggi. I processi decisionali in Svizzera, a causa di questo meccanismo, sono spesso più lenti – dice il cancelliere dello stato del Canton Ticino Giampiero Gianella – ma alla fine, presa una decisione, la stabilità è garantita. Molti studi su questo sistema di democrazia – prosegue il cancelliere Gianella – hanno messo in evidenza uno stretto rapporto tra partecipazione alle consultazioni e buoni risultati economici del territorio. Nel paese di Arlecchino e Pulcinella, come i nostri lettori ben sanno, non è così.

Abbiamo già scritto di quanto avviene alla Provincia autonoma di Bolzano, dominata dalla Südtiroler Volkspartei (SVP), e dove tutte le altre formazioni politiche sono impotenti all’opposizione. Nelle scorse settimane, imitando in questo i cittadini svizzeri, gli abitanti delle valli dell’Alto-Adige si sono attivati per contrastare le iniziative del partito egemone, che spaccia per esercizio della democrazia diretta, una legge provinciale che nei fatti è l’esatto opposto.

58 promotori e promotrici, fra cui numerosi rappresentanti delle 35 organizzazioni che si sono attivate, hanno depositato nel Consiglio provinciale la richiesta di referendum contro la legge provinciale approvata dal Consiglio stesso all’inizio di giugno 2013 con la sola maggioranza della SVP. Non solo l’intera opposizione ha respinto questa legge, mentre il partner di governo si è astenuto dal voto, non solo l’«Iniziativa per più democrazia» e tutte le organizzazioni aderenti da tanti anni impegnate per un buon regolamento della partecipazione diretta si sono opposte, ma anche esperti riconosciuti a livello internazionale si sono pronunciati negativamente su questa legge voluta dalla sola SVP. La nuova legge, alla pari di quella vigente introdotta dalla SVP nel 2005, è destinata a non essere utilizzabile da parte dei cittadini.

Parallelamente al referendum (confermativo) il comitato dei promotori intende riproporre il suo disegno di legge sulla democrazia diretta in forma di proposta di legge di iniziativa popolare (pdlip) rivolta al Consiglio provinciale. Questo testo è già stato approvato nel primo referendum provinciale dalla stragrande maggioranza dei votanti, poi ulteriormente migliorata prevedendo ora anche votazioni referendarie su semplici proposte (cioè non solo su proposte di legge pienamente articolate) nonché la raccolta delle firme per via elettronica.

Un anno fa la dirigenza della SVP aveva rifiutato di offrire una votazione referendaria in cui l’elettorato avrebbe potuto scegliere fra due proposte di legge sul tavolo: quella sua e quella nostra. Ora, raccogliendo 8.000 firme fino alla metà di settembre i bolzanini vogliono raggiungere lo stesso scopo. L’obiettivo è quello di bocciare la legge sulla democrazia diretta della SVP e nel contempo ripresentare al Consiglio provinciale neoeletto la loro proposta di legge, che, ricordiamo, è già stata presentata due volte a questo Consiglio, ma è sempre rimasta inosservata. Con questo abbinamento si vol far capire finalmente che è questa la proposta che meglio si presta per un buon regolamento dei diritti di partecipazione dei cittadini nella provincia. Si tratta della proposta che dal 1995 in forma continuamente migliorata viene sottoposta per la quarta volta alla rappresentanza politica, firmata da sempre più cittadini, per la quale nel referendum del 2009 si sono già espressi 114.884 cittadini, mancando di un soffio il raggiungimento del quorum. La volontà popolare, pensiamo, è già ampiamente dimostrata.

Benché con legge in questione, e che si vuole abrogata, sia caduto il quorum di partecipazione e si sia introdotta la votazione su atti della Giunta provinciale, ci sono tutta una serie di ostacoli come

•la doppia raccolta di firme per arrivare al referendum popolare;
•il quadruplamento del numero totale di firme richieste per poter indire un referendum;
•la mancanza di uno strumento centrale di ogni sistema di partecipazione diretta, cioè del referendum confermativo e di altri strumenti referendari;
•a commissioni e politici è attribuita la facoltà arbitraria di impedire votazioni referendarie;
•con la votazione su alternative parallele (controproposte della maggioranza del Consiglio) senza apposito regolamento della procedura ogni iniziativa popolare può essere fatta fallire. Si tratta di una legge tesa ad impedire iniziative e votazioni popolari. Infine questa legge esclude espressamente che possa essere la popolazione a legiferare sulle leggi di governo locale. È questo uno dei motivi principali per cui ricorrono al referendum contro questa legge della SVP. Per fortuna questo tipo di referendum è offerto da una legge provinciale a parte, che viene imposta dallo Statuto di Autonomia, come voluto dal Parlamento.

Il referendum è contro la legge con la quale il gruppo consiliare della SVP, con i soli propri voti, vuole modificare le regole della partecipazione. Per la prima volta in Alto Adige i cittadini avranno la possibilità di decidere in prima persona se una legge varata dal Consiglio provinciale dovrà entrare in vigore o meno. Se questa legge, o perché non si riuscisse a raccogliere abbastanza firme o perché venisse accettato nel voto entrasse in vigore, per via delle soglie assurdamente alte nonché per le ampie possibilità riservate al potere politico di interdire le votazioni, ci si potrebbe scordare in Alto Adige di esercitare il potere referendario. Questa non è “solo” convinzione dell’asssociazione Initiative für mehr Demokratie, ma – come già detto – anche di esperti di fama mondiale e di tutte le organizzazioni che da anni si battono per buone regole di partecipazione. E ancora, questa posizione è condivisa in modo compatto da tutta l’opposizione del Consiglio (che ha votato contro questa legge) nonché dal partner di coalizione, il PD, che si è astenuto.

Affinché in futuro in Alto Adige si possa esercitare il diritto referendario, il comitato dei promotori, sostenuto da 3 organizzazioni, raccoglierà entro il 13 settembre 8.000 firme in tutta la provincia, per far si che i cittadini possano decidere in prima persona se questa legge della SVP dovrà entrare in vigore o meno.

Contemporaneamente alla raccolta delle firme per il referendum contro la legge della SVP si raccolgono anche le firme per portare nuovamente in Consiglio provinciale la nostra proposta di legge sulla democrazia diretta. Possono firmare le due richieste tutti gli aventi diritto al voto nel proprio Comune di residenza e a Bolzano anche nei Centri civici di quartiere. Serve solo presentarsi con un documento valido recante una foto.

* * *

Le seguenti organizzazioni sostengono il referendum e l’iniziativa popolare 2013

1.AGO Sindacato autonomo degli enti locali
2.ALU Arbeitsgemeinschaft Lebenswertes Unterland
3.bioedilizia sudtirolo – costruire & vivere sano
4.ASGB
5.Associazione ambiente e salute
6.attac-Südtirol / altoadige
7.AVS Alpenverein Südtirol
8.Bund Alternativer Anbauer
9.Lega delle Cooperative/Bund der Genossenschaften
10. Centro Tutela Consumatori VZS/CTCU

11. CGIL/AGB

12. CISL/SGB

13. Cittadinanza attiva

14. Federazione degli ambientalisti

15. democracy international

16. Filmclub

17. Fondazione llse Waldthaler

18. Gruppo ambientalista Bolzano

19. Gruppo ambientalista Val Venosta

20. Gruppo ambientalista Appiano

21. Gruppo ambientalista Salurno

22. Gruppo ambientalista Val D’Ultimo

23. GS – Sindacato dei dipendenti provinciali

24. Heimatpflegeverband

25. Heimatpflege Oltradige-Bassa Atesina

26. Heimat Brixen, Bressanone, Persenon

27. Legambiente / Umweltbund Bolzano

28. Lia per natura y usanzes

29. Mehr Demokratie e.V.

30. Movimento Giovani Bolzanini

31. OEW Organizzazione per Un mondo solidale

32. Piattaforma Pro Pusteria

33. Rete dei Diritti Senza Voce

34. sh/asus associazione studenti/esse sutirolesi

1.VKE
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Re: Democrasia xvisara (on bon somexo)

Messaggioda Berto » ven gen 17, 2014 8:52 am

Svizzera, concorso pubblico per cambiare l’inno nazionale
http://www.lindipendenza.com/inno-svizz ... a-concorso

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di REDAZIONE

La Svizzera ha deciso di lanciare un concorso per un nuovo inno nazionale, con un testo e un ritmo più moderni dell’attuale composto nel XIX secolo e chiamato ”Salmo svizzero”.

La Swiss Public Welfare Society (SGG), fondata nel 1810 per difendere l’interesse generale ed i valori svizzeri, ne ha dato l’annuncio ad inizio agosto in occasione della Festa Nazionale. Il concorso, sarà lanciato nel gennaio 2014, e avra’ una durata di sei mesi: una giuria apposita selezionerà il vincitore e la proposta vincente sarà presentata nel 2015 al governo svizzero, che decidera’ in proposito.

Il testo del nuovo inno dovrà essere permeato dello spirito del preambolo della Costituzione Federale del 1999, mentre la melodia dell’inno attuale dovrà essere riconoscibile in quella futura. Due tentativi non sono riusciti sin qui a cambiare l’inno. Il primo ha avuto luogo nel 1986 e il secondo alla fine degli anni ’90.
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Re: Democrasia xvisara (on bon somexo)

Messaggioda Berto » ven gen 17, 2014 8:52 am

Serve una costituzione svizzera. Ecco le ragioni per farlo

http://www.lindipendenza.com/unione-pad ... e-svizzera

Di FRANCO FUMAGALLI*

Nella realtà produttiva, a fronte di un problema si devono dare risposte chiare e precise a quali risultati si vuole arrivare (“cosa”), in che modo si deve operare per raggiungerli (“come”), in quale tempo iniziare e per quanto tempo si deve operare (“quando”), le ragioni per le quali si vuole operare (“perché”) e a chi spetta il compito (“chi”). Questo tipo di procedimento mi sembra possa essere utilizzato anche per considerazioni politiche sul necessario cambio costituzionale. Il più difficile punto da realizzare è, naturalmente, “come”. In termini democratici, lo strumento può essere un apposito referendum. Si può dire che la risposta al “quando” sia: il più presto possibile; quella al “perché”: per evitare la rovina del Paese; quella al “chi”: dai cittadini.

Rimane il “cosa”: quali modifiche attuare. Queste devono prevedere, principalmente, la realizzazione di una Costituzione di tipo federale. Detto questo, si dovranno evidenziare le innovazioni da inserire nel nuovo Statuto. Non si fa molta fatica a proporle: basta copiare. Esiste una realtà a noi vicina geograficamente, ma lontana, se così si può dire, secoli da noi, che ci può insegnare: la Svizzera. La sua più che centenaria Costituzione contiene gli strumenti perché i cittadini, in qualsiasi momento, possano modificarla. E’ possibile illustrare, nel modo più conciso possibile ma non certo esaustivo, alcune delle prerogative dello Statuto svizzero. Questo popolo da più di 700 anni (1291) possiede una Carta che si è potuta adeguare alle esigenze dell’evoluzione sociale e dei tempi e anche oggi è, forse, il documento fondamentale più democratico del mondo.

La Svizzera è una Confederazione, ovvero un’unione politica, su base paritaria, di 26 Stati (Cantoni), che mantengono la loro identità con leggi, tradizioni, culture e linguaggi propri. I Cantoni hanno una Costituzione in comune che riguarda principalmente e generalmente la difesa, la politica estera, la moneta e il commercio estero. Il loro atto costitutivo rappresenta un concreto esempio di come si possa codificare un sistema di democrazia vera, quella “diretta” e non “rappresentativa”, ad es. quella nostra, dei partiti, che ci ha portato nello stato in cui siamo. E’ evidente la ragione per la quale le formazioni politiche preferiscano la “democrazia rappresentativa”: perché dà loro il potere. La “democrazia diretta” diminuisce le loro funzioni e li pone al margine della vita politica.

A livello nazionale, in Svizzera, sono previsti alcuni strumenti principali per praticare la “democrazia diretta”:

a) referendum obbligatorio per le modifiche costituzionali;
b) referendum facoltativo, se richiesto da 50.000 cittadini, per modifiche o abrogazione di leggi esistenti ( quindi, ad es. gli stipendi dei parlamentari e dei politici devono essere approvati dai cittadini);
c) i cittadini hanno diritto di porre a referendum una loro proposta di legge (quindi referendum propositivo) se raccolgono almeno 100.000 firme;
d) non esistono verifiche sulla costituzionalità del contenuto delle iniziative, né dal Parlamento, né dal Governo né da qualsiasi corte di giustizia ( quindi non ci sono limiti alle materie su cui si richiede il referendum).
Sono sempre e solo i cittadini che decidono.

Questi strumenti sono quelli che mancano alla Costituzione italiana per essere all’altezza dei tempi. A chi pensasse che in Svizzera si possano realizzare queste condizioni perché è limitata territorialmente e di ridotta popolazione, si può dire che, comunque, un’Italia federale non avrebbe 26 stati e che una Costituzione simile vige in California, territorialmente e più grande dell’ Italia e ha una popolazione di 40 milioni di abitanti. Pur con differenze, quasi sempre dovuti a tradizioni diverse, ogni Cantone gestisce la propria comunità in modo del tutto derivante dalla propria origine storica.
Ciò che va bene per un Cantone può non andar bene per un altro. Per rendere meglio l’idea della longevità del sistema si può dire che dura dal 1848 e si sono avuti periodici aggiornamenti sia per quanto riguarda il contenuto sia per quanto riguarda la tecnologia usata per realizzarli.
Da non dimenticare anche che la pubblicità elettorale in TV è proibita.
E questo è un ulteriore modo per risparmiare sui costi della politica.

*Unione Padana Mantova
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Re: Democrasia xvisara (on bon somexo)

Messaggioda Berto » ven gen 17, 2014 8:53 am

Tra federalismo, secessione e piccole patrie

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http://www.lindipendenza.com/tra-federa ... ole-patrie

di ENZO TRENTIN

Dalla drammatica ondata degli spostamenti di grandi masse verso l’Europa sottoposta a una costante pressione sulle sue frontiere più aperte come quelle italiane, si capisce agevolmente come sia divenuto assolutamente centrale la questione dei poteri locali e della cittadinanza: di chi possa dirsi tale e di chi debba e possa in definitiva decidere i problemi quotidiani che più investono la vita del cittadino. Devono essere dei nostri rappresentanti lontani, concentrati in «Roma ladrona», cui è stata conferita una delega sostanzialmente in bianco, o non dovranno essere piuttosto dei politici cittadini come noi, che operino localmente, sotto il nostro controllo quotidiano? E anche laddove territori come il Veneto o la Lombardia (o altri che vi aspirano) arrivassero all’indipendenza, come risolveranno il problema testé esposto? Affidandoci ancora alla cosiddetta “rappresentanza”? Perciò anche il problema della città e della cittadinanza, già aperto sul piano storiografico, ha ripreso consistenza e attualità, mentre si profila come soluzione possibile quella del potere locale: come dare un nuovo ruolo e più penetranti poteri alle città nel più ampio e ridisegnato contesto?

Il federalismo di aeree geografiche e/o di città-Stato, è di conseguenza balzato all’attenzione pubblica come mai prima, anche perché si parla di modelli concreti esistenti e funzionanti all’estero come Amburgo e Berlino (ad esempio), oltreché dei tradizionali cantoni svizzeri, a volte basati ancora sulla democrazia assembleare diretta (Landesgemeinde), o dei tradizionali «Stati» americani nati dalle colonie inglesi. Questi esempi non vengono più sentiti oggi (ce lo dice la fortuna di Tocqueville, ad esempio) come relitti del passato, ma come modelli possibili di organizzazione del potere nel presente: è la via, cioè, della grande responsabilità assegnata alla classe dirigente locale e alla cittadinanza che la esprime.

Osserviamo, allora, per sommi capi come nasce la civiltà Comunale.

Il Comune è una forma di governo locale che interessò in età medievale vaste aree dell’Europa occidentale ma che ebbe origine in Italia centro-settentrionale attorno all’XI secolo, sviluppandosi, poco dopo, anche in alcune regioni della Germania centro-meridionale e nelle Fiandre. Si diffuse successivamente (in particolare fra la seconda metà del XII e il XIV secolo) con forme e modalità diverse anche in Francia, Inghilterra e nella penisola iberica. In Italia, culla della civiltà comunale, il fenomeno andò esaurendosi fin dagli ultimi decenni del XIII secolo e la prima metà del secolo successivo, con la modificazione degli equilibri politici interni, con l’affermazione sociale di nuovi ceti e con la sperimentazione di nuove esperienze di governo (signoria cittadina, come prosecuzione del fenomeno podestarile che tratteremo in futuro). In Italia, quanto meno dal punto di vista teorico, le città erano sottoposte all’autorità suprema dell’imperatore: questo è il punto di partenza per comprendere la dinamica storica che accompagnò lo sviluppo del Comune in Italia e le lotte che esso dovette sostenere per affermarsi.

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... trie-2.jpg

Una di tali lotte fu indirettamente originata da Ottóne di Frisinga.

Costui nel 1138 divenne vescovo di Frisinga; partecipò alla crociata con l’imperatore Corrado III (1147-49) e accompagnò poi Federico Barbarossa, di cui era lo zio, nella sua prima discesa in Italia. Meglio conosciuta è l’opera di Ottone “Gesta Friderici imperatoris” (Imprese dell’Imperatore Federico), scritta per desiderio di Federico Barbarossa, e introdotta da una lettera dell’Imperatore stesso all’autore. Inoltre, la sorella di Ottone, Giuditta, era andata in sposa al marchese Guglielmo V del Monferrato. Ottone era quindi imparentato con le più potenti famiglie della Germania e dell’Italia del nord.

Contestualmente bisogna tener presente che sin dagli albori della storia la società dell’uomo era stata dominata da un principio politico indiscusso e indiscutibile, addirittura sacro: nessuna comunità poteva nascere, sopravvivere e crescere senza che un monarca la reggesse, ovviamente per diritto divino. E allora, ai fini della nostra trattazione, arriviamo ad un giorno del 1143 in cui Otto von Freising, ossia Ottone di Frisinga, durante un viaggio scoprì – assai scandalizzato, ci dice il professor Quentin Skinner di Cambridge – che quel sacro principio in Italia era stato violato. Nel nord della Penisola infatti le città si governavano da sole.

Era successo che lì, intorno all’anno Mille e per la prima volta nella storia allora nota, i sudditi si erano ribellati alla signoria, ad ogni forma di signoria laica o religiosa che fosse, e si erano trasformati in cittadini e costituiti in libero comune, privando per maggiore cautela, soprattutto in Toscana, la nobiltà di ogni diritto politico attivo e passivo (Mauro Aurigi in “il Palio o delle libertà” ci ricorda che Siena fu la più rigorosa di ogni altra città sotto questo aspetto, e la norma rimase in vigore fino alla caduta della Repubblica nel 1555).
Non c’era più una plebe, ma un popolo capace di provare sentimenti nuovi e straordinari come l’amore per la città-patria, la fierezza di sentirsene cittadino pari a tutti gli altri e di sentirsene nel contempo, sempre insieme agli altri, padrone. Si trattava, in sintesi, dell’orgoglio civico e di tutto il resto che oggi va sotto il nome di capitale sociale: il civismo, i pari diritti, la fiducia e il rispetto reciproci, la solidarietà, la cooperazione, tutto quello insomma che ancora, dopo quasi mille anni, distingue il nord dell’Italia da un sud a cui quell’aspirazione fu negata, talvolta soffocandola nel sangue. È questo spirito e non altro che sta alla base della vittoria sul Barbarossa nella battaglia di Legnano avvenuta il 29 maggio 1176, ad opera della Lega Lombarda formata da Milano, Ferrara, Piacenza e Parma, e dal 1º dicembre 1167 allargata tramite l’alleanza con la Lega Veronese ed altri Comuni, che portò nella Lega ben 26 (in seguito 30) città della pianura padana (che allora poteva essere definita ‘Lombardia’ nella sua totalità), tra cui Crema, Cremona, Mantova, Piacenza, Bergamo, Brescia, Milano, Genova, Bologna, Padova, Modena, Reggio nell’Emilia, Treviso, Venezia, Vercelli, Vicenza, Verona, Lodi.

Insomma quei cittadini erano animati da uno speciale spirito: combattevano per la libertà che essi stessi avevano determinato a statuire. Lo stesso spirito che in tempi recenti portò alla cacciata dei colonialisti francesi dall’Algeria il 19 marzo 1962, o alla evacuazione dai tetti di Saigon dei soldati USA il 30 aprile 1975. I liberi cittadini si autodeterminano. Nella cultura costituzionale di queste città infatti c’è la piena adozione del principio maggioritario per le votazioni assembleari, divergente dalla massima politica che proprio allora, traendo da un passo del Digesto di Giustiniano, sanciva che «quel che tocca tutti da tutti deve essere approvato» (quod omnes tangit ab omnibus adprobari debet), il famoso principio passato anche nell’Oculus pastoralis, divenuto fondamento precipuo del parlamentarismo medievale per ceti. Infatti, come scrive Mario Ascheri (Le città-Stato – ed. Il Mulino – 2006): «Nel turbinio dei conflitti tra impero e papato, i vescovi potevano essere imposti dall’esterno, e addirittura essere degli stranieri diretti rappresentanti d’un re tedesco.» Si ricorda sempre, a questo proposito, il luminoso esempio di Raterio, cacciato dai cittadini di Verona. In questa città, da sempre su un nodo viario assolutamente fondamentale, i cittadini arrivarono al punto di combattere per le piazze con tanto di caduti contro i Teutonici, com’è ben certo per il 996.

«I cittadini» prosegue Mario Ascheri «si dotano quindi di […] statuti come raccolte di regole complessive del diritto cittadino, perché la città per garantirsi doveva predisporre un programma di governo quanto più esaustivo e preciso, facendo tesoro degli errori maturati, oltreché riunire in un unico testo per comodità di giudici e litiganti le normative di diritto sostanziale e processuale divenute tradizionali. Negli statuti rimaneva per lo più ferma la parte ormai tradizionale, di diritto privato, penale e processuale, ma aggiornava alle mutate esigenze la parte che oggi diremmo politica, costituzionale e amministrativa – con tanto di impegni precisi in tema di accordi diplomatici, di lavori pubblici, di esazione fiscale e così via. […] La revisione annuale dello statuto divenne quindi un momento alto e delicato della politica in città, perché una commissione incaricata, di solito mista di «politici» e di giuristi e notai per assicurare veste tecnico-giuridica alle scelte politiche, doveva dare una valutazione complessiva, dei problemi emersi in passato e prospettare i contenuti di un vero programma di lavoro [...] Conoscere i personaggi membri di quelle commissioni – purtroppo raramente conservati per la mancanza di registri comunali amministrativi preservati almeno fin verso la metà del Duecento – vorrebbe dire poter identificare il nucleo ristretto del ceto dirigente.»

Sono temi o dimenticati o ignoti al pubblico più vasto, pur tempestato di parole sul federalismo, l’autonomia, l’autodeterminazione, l’indipendenza, la secessione. Temi che dobbiamo invece recuperare – unitamente allo spirito civico di cui sopra s’è detto – in questa sede vedendone le lontane origini prettamente medievali e tipicamente italiane con alcune implicazioni per il dibattito culturale ed istituzionale attuale, facendone pertanto oggetto di un esame tanto colto quanto serenamente propositivo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Democrasia xvisara (on bon somexo)

Messaggioda Berto » ven gen 17, 2014 8:53 am

Lo stato dei veneti, ovvero l’orgoglio di vivere indipendenti

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http://www.lindipendenza.com/lo-stato-d ... dipendenti

di DAVIDE LOVAT

Questo libro è stato scritto perché un popolo deve avere una missione da compiere, un obiettivo da raggiungere, qualcosa di grande da fare per il quale essere fieri e orgogliosi di appartenervi. Il popolo veneto all’interno dell’Italia è umiliato e privato di ogni tensione positiva verso il futuro e il calo delle nascite è il chiaro segnale di questa perdita di fiducia in se stessi e nella vita. Bisogna trovare di nuovo qualcosa che ci coinvolga tutti, che ci possa impegnare con tutte le nostre migliori energie, che dia un senso alla nostra esistenza e che ci consenta di avere una speranza per i nostri figli. Qualcosa che ci dia l’orgoglio di vivere e perciò il desiderio di trasmettere la vita stessa. La Storia è in evoluzione, gli Stati e i confini sono sempre cambiati e sempre cambieranno. Per ricostruire uno Stato indipendente e moderno sul territorio dove fu quello antico, bisogna prima ricostruire un immaginario collettivo, un’identità di sentimenti e di vedute, un patrimonio culturale condiviso che c’è, ma è disordinatamente disperso nella confusione e nell’indistinzione portata dal dominio italiano prima e americano poi.

Il proposito di queste pagine è di far riflettere sulla millenaria specificità storica e culturale dell’identità del popolo veneto, così diverso dalle altre genti italiche, sulla diversità politica conclamata nei secoli, ma anche sulla globalizzazione, sulla crisi economica e morale dell’Occidente, sull’Europa che vogliamo costruire per il futuro. Infine viene fatto un ragionamento dettagliato sull’ipotetico Stato Veneto futuro, per stimolare la riflessione oltre la dimensione dei proclami generici. Per fare qualcosa, bisogna pensare al come.

DAVIDE LOVAT è Dottore in Scienze Politiche con indirizzo storico, laureato a Padova con tesi d’eccellenza in Filosofia del Diritto, docente di religione cattolica, ha già pubblicato “L’Italia era un bel progetto” (2006) “Tu sarai leghista! Leghista sarai tu!” (2010).
Si definisce ironicamente “Medico del corpo sociale” rilevando la mancanza di formazione specifica di gran parte della classe politica che si dedica a “curare il corpo comune” senza avere le nozioni per procurarne il bene. Dice di sè: “In Occidente nel XXI secolo stanno venendo sospese le libertà democratiche e gli Stati vengono trasformati in dominazioni di gruppi organizzati sovrannazionali che usano i partiti per tenere a bada il popolo sovrano, illudendolo di avere un potere. Essendo io cristiano cattolico, tomista, federalista e profondamente democratico, in questa situazione mi posso definire solo come DISSIDENTE POLITICO e il mio impegno andrà sempre più marcatamente contro il sistema delGrande Fratello della Finanza che sta progressivamente sottomettendoil mondo intero.”



http://www.lindipendenza.com/wp-content ... INOSSI.pdf

“I nemici di coloro che si vogliono emancipare dalla schiavitù sono di tre tipi:
innanzitutto i pregiudizi e il senso d’inferiorità inculcato fin dalla nascita;
secondariamente, come è ovvio, i padroni schiavisti che beneficiano del loro sfruttamento e non vogliono perdere i notevoli vantaggi economici derivati da quella condizione;
infine, i peggiori nemici in assoluto sono gli altri schiavi ormai abituati alla condizione di sottomissione, come se si trattasse di un destino ineluttabile. Tra questi ultimi, i più feroci nemici dell’emancipazione e della libertà sono gli schiavi vecchi che hanno un ruolo privilegiato presso i padroni.”

“Cominciai così a ragionare sullo stato dei Veneti, intendendo la condizione di umiliante sfruttamento che questo popolo, dimentico delle sue nobili origini e della sua gloriosa tradizione storica, si trova a subire sotto il dominio delle altre popolazioni d’Italia, quelle stesse popolazioni da cui si era vittoriosamente difeso e distinto per tutti i secoli della sua indipendenza. Fu un’illuminazione perché soprattutto presso i vecchi, che hanno goduto del trentennio di benessere diffuso di fine millennio, si trovano oggi i più accaniti nemici dell’anelito di libertà che è tornato a divampare nei cuori delle giovani generazioni dopo aver arso flebilmente, quasi soffocato, sotto la cenere delle tragedie del XX° secolo. Pensando a come argomentare le ragioni dell’indipendenza contro questi soloni che passano per intellettuali e contro i lacchè del potere, scribacchini e pennivendoli che per uno stipendio sono pronti a denigrare i propri fratelli anziché sposarne la causa, cominciai a ideare lo Stato dei Veneti, stavolta inteso come l’ordinamento giuridico libero e sovrano, insistente sul territorio storicamente abitato dal popolo veneto.”
“Quando la maggioranza dei Veneti avrà capito che l’indipendenza è migliore della sottomissione all’Italia, la Repubblica Serenissima risorgerà dalle sue ceneri come l’araba fenice. Sono persuaso che non manchi ancora molto a quel giorno, mentre scrivo queste pagine all’inizio dell’anno del Signore 2014. Necessita solo una presa di coscienza che metta termine al senso di dipendenza psicologica tipico del sottomesso, quella sorta di masochistica Sindrome di Stoccolma che fa amare l’aguzzino e impedisce di emanciparsene. Serve una intima rottura che permetta di vedere quello che ancora molti rifiutano pregiudizialmente di riconoscere: per il popolo veneto è male rimanere soggetto alla sovranità italiana.”


Tra globalizzazione e bisogno di una Patria

Nell’ultimo trentennio abbiamo assistito all’accelerazione del progresso tecnologico in modo mai visto prima. Il mondo è oggi interconnesso a più livelli: grazie agli strumenti della nuova tecnologia si viaggia in modo da poter raggiungere ogni parte del mondo in poche ore, si raggiungono gli antipodi della Terra in un giorno, si trasmettono informazioni e documenti istantaneamente in tempo reale, si vedono immagini di avvenimenti in corso di svolgimento dall’altra parte del pianeta, si parla simultaneamente in videoconferenza con persone diverse situate in città tra loro lontanissime, si trasferiscono ingenti somme di denaro pigiando un tasto, si leggono in diretta i giornali di qualsiasi Paese straniero prima che vengano stampati e venduti, e molte altre possibilità fino a prima impensabili sono oggi prassi quotidiana. I confini spazio-temporali sono stati ridotti e talvolta abbattuti. Questo ha causato logiche conseguenze non solo nella vita commerciale e lavorativa, non solo in quella individuale, ma ovviamente anche nella vita politica e sociale. Questo fenomeno di circolazione di mezzi, merci, informazioni, persone e idee, ha preso il nome di globalizzazione. Esso offre all’uomo una serie di vantaggi notevoli e permette di realizzare livelli di soddisfazione materiale e anche spirituale degni della sua naturale vocazione al progresso; tuttavia reca con sé anche un pericoloso rovescio della medaglia, un risvolto negativo che è uguale e contrario agli aspetti negativi. Esso consiste nella tendenza all’omologazione, all’uniformità, alla negazione delle
specificità, alla standardizzazione di procedure, modi di pensare, di agire, di regolare gli aspetti specifici dell’esistenza, prescindendo dalla realtà specifica vissuta in concreto. Nella sua tendenza all’astrazione, la globalizzazione reca in sé il germe del totalitarismo perché tende a dominare autoritariamente ovunque e in ogni ambito, compresi quelli strettamente privati che per la loro natura sarebbero da sottrarre all’interferenza di qualsiasi autorità di tipo politico.

E’ dunque naturale la reazione spontanea delle persone che, attaccati da questo fenomeno, cercano nella riscoperta delle radici profonde della loro identità i
fondamenti per dare un senso alla vita, tanto personale quanto associata. Si assiste perciò in ogni parte del mondo, soprattutto in quelle con maggiore tradizione storica e culturale, al fenomeno della rinascita delle piccole patrie e del desiderio di riconoscersi in una comunità di appartenenza ben definita e connotata da valori e riferimenti certi e conosciuti da generazioni su generazioni, partendo dal valore della famiglia e dell’appartenenza familiare a un preciso contesto sociale, economico, religioso, geografico, storico e culturale.

Si tratta di un fenomeno connaturato all’essenza umana e dunque insopprimibile, se non a prezzo di inaudite violenze e di gravi ingiustizie sulla falsariga delle
mostruosità compiute dai totalitarismi di marca nazista e comunista nel XX° secolo, perché “i popoli, le nazioni non muoiono” come ebbe a dire durante la Prima Guerra Mondiale il pontefice Benedetto XV. Sterminare i popoli per sacrificarli sull’altare di un’ideologia è cosa già tentata, una vergogna perpetrata in massima misura contro il popolo ebraico e contro la sottorazza slava dal Terzo Reich, ma attuata anche contro il popolo armeno dal regime turco pochi anni prima, ed emulata anche dai regimi comunisti nei confronti della razza degli oppositori politici. Che il razzismo sia etnico o ideologico non fa differenza; i milioni di morti causati da tali regimi infami devono essere un monito perpetuo per l’umanità affinché mai più si possa ripetere lo sterminio di chi ha un’identità etnica, religiosa o culturale diversa da quella di chi sta momentaneamente detenendo la supremazia politica, economica e militare.
Auschwitz deve essere un insegnamento definitivo e un baluardo sempiterno per la difesa del diritto a esistere di ogni identità che perduri spontaneamente nella Storia dell’uomo.
In questo senso è tanto più auspicabile che la richiesta di riconoscimento dei popoli che attualmente non godono della piena libertà venga accolta e che le autorità internazionali si prodighino al massimo livello d’impegno per garantire il raggiungimento del pieno esercizio di autodeterminazione dei popoli storicamente determinati e radicati su un territorio. Finora il diritto di autodeterminazione è stato enunciato, poi definito, quindi codificato, infine citato come presupposto giuridico per giustificare la nascita di nuovi Stati voluta dalle potenze del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Negli ultimi 30 anni sono molti i Paesi nuovi ad aver ottenuto l’indipendenza e la piena sovranità. Alcuni per il disfacimento dell’URSS che ha generato la nascita di 15 nuove repubbliche; altri per le conseguenze della guerra in Jugoslavia che ha portato alla creazione di 6 Stati e un territorio, il Kosovo, in fase di regolamentazione; altri ancora per scissione da uno Stato unitario (la Cecoslovacchia divisa in due repubbliche, Ceca e Slovacca, il Sudan frazionato tra Nord e Sud, la nascita di Timor Est nella parte orientale dell’isola indonesiana di Timor); infine ci sono i casi che interessano questo libro.

In Europa (la cosa in futuro riguarderà l’Africa, per gli stessi motivi) alcuni popoli stanno combattendo una battaglia da veri pionieri, in favore di quei popoli che ne vorranno giustamente seguire le orme. La formazione degli Stati è scaturita dalle guerre imperialiste monarchiche dei secoli scorsi e ha talvolta calpestato le nazionalità e le indipendenze delle nazioni storiche, cosicché alcuni popoli si trovano a essere conglobati con il loro territorio all’interno di ordinamenti giuridici statuali ai quali sono essenzialmente estranei. Ecco perciò che la Scozia torna a chiedere l’indipendenza dall’Inghilterra, la Catalogna ambisce a staccarsi dalla Spagna, le Fiandre di lingua fiamminga a separarsi dal Belgio francofono, il Sud Tirolo a riunirsi con il mondo tedesco, l’Ulster a unificarsi con il resto dell’isola d’Irlanda e, per ultima - ma forse storicamente la più legittimata dal parametro della lunga consuetudine storica – l’ex Repubblica Serenissima di Venezia, già Decima Regio dell’Impero Romano per far capire la portata storica dell’unità antropologica e geopolitica di questa nazione, vuole tornare indipendente dall’Italia, a cui fu annessa nel 1866.

Tutti questi popoli chiedono di ottenere, per loro volontà diretta anziché per strategie delle grandi potenze mondiali, il diritto democratico all’autogoverno, secondo i modi e le procedure previste dal diritto internazionale. Al momento in cui questo libro viene scritto, solo Scozia e Catalogna hanno indetto un referendum consultivo che, in caso di successo tramite il consenso maggioritario della loro popolazione, avvierebbe il processo costituzionale di un nuovo Stato sovrano. Le altre realtà soffrono invece di una dura opposizione antidemocratica da parte degli Stati che attualmente esercitano la sovranità su quelle terre e pretendono di negare il consenso alla libera espressione democratica del voto per l’autodeterminazione dei popoli. Il mio auspicio è che lo spirito di soccorso al diritto di esercizio della democrazia si diffonda presso tutte le persone di buona volontà e che contemporaneamente i difensori dello status quo imposto con la violenza antidemocratica, imperialista e tendenzialmente totalitaria, vengano messi davanti alla loro coscienza di uomini liberi che vogliono negare la libertà altrui.


Il peso del Fisco

Il modello fiscale che più mi piace è quello Svizzero.
Esso si basa sul principio di sussidiarietà e sulla tripartizione istituzionale comune/cantone/federazione, dove ogni livello di potere ha le sue competenze esclusive e riceve di conseguenza le risorse necessarie all’adempimento. Le cifre che seguiranno possono sembrare incredibili, soprattutto ai nostri imprenditori abituati alla vessazione da feudo medievale praticata dallo Stato italiano, ma si tratta di dati ufficiali facilmente verificabili (1). In Svizzera
ogni cantone ha competenze delegate diverse, nel pieno compimento del principio federalista che consente a ogni unità amministrativa di pattuire col livello superiore quali siano i propri compiti esclusivi; di conseguenza esistono tanti sistemi fiscali quanti sono i cantoni, cioè ben 262

. Per fare qualche esempio, i dati del 2008 (fonte:

Dipartimento federale delle finanze) dicono che nei capoluoghi cantonali la pressione fiscale (si intende la somma delle imposte cantonali, comunali e parrocchiali) per una persona celibe con un reddito di 80 mila Chf4 variava dai 5.623 Chf di Zugo (7,3% del reddito) ai 13.517 Chf di Neuchàtel (16,9% del reddito).

Ma la situazione nei capoluoghi non riflette quella di ciascun cantone, che si presenta anch’essa molto variegata. Così, se nella città di Zurigo una persona con le caratteristiche che abbiamo descritto doveva nel 2008 al fisco 8.092 Chf, pari al 10,12% del suo reddito lordo, a Neerach o a Uitikon, nello stesso cantone, ne doveva 6.480, l’8,1% del suo reddito. Ma ci sono disparità ancora più evidenti, come ad esempio nel cantone di Svitto, dove nel capoluogo la pressione fiscale ammontava a 6.440 Chf (8,05% del reddito) e a Wollerau, medesimo cantone, era di 3.816 Chf (4,47%). Ciò evidenzia grandi differenze, dovute anche alla concorrenza virtuosa che si instaura fra cantoni, i quali hanno tuttavia l’obbligo di garantire i servizi di propria competenza ai livelli qualitativi standard della Federazione che, come sappiamo, sono molto elevati.

Se arrivati in fondo a queste cifre non avete ancora vomitato, prendendo atto del confronto impietoso con l’Italia, vomiterete di sicuro pensando al livello qualitativo dei servizi italiani in confronto a quelli svizzeri: si paga 5 volte di più per avere meno della metà…. Non è una buona ragione questa, cari imprenditori veneti, per dedicare anima e risorse alla causa dell’indipendenza del Veneto? Se tutti gli altri discorsi di questo libro non vi convincessero, forse questo volgare discorso di schei potrebbe

1
Fonte “Svizzera” ed. Il Mulino 2011, di Sergio Gerotto, Professore associato di Diritto Pubblico Comparato presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova.

2
La suddivisione amministrativa federale della Svizzera dimostra che anche il Veneto può organizzarsi con unità amministrative intermedie fra Stato e Comuni più piccole dei confini attuali delle Province italiane, senza che l’efficienza ne risenta negativamente.

3
In Svizzera ci sono anche queste, in alcuni cantoni, per la Storia particolare della vicenda religiosa del Paese. 4 Franchi svizzeri, in sigla internazionale. Il Chf è attualmente valutato 1,2 € con cambio “semi-bloccato” per intervento federale anti-speculazione; ciò significa che servono 5 Chf per fare 4 €. farlo! Ah, quanto sarebbe meglio se il desiderio d’indipendenza vi scaturisse dal cuore invece che venire dai conti in tasca e dal portafoglio!

Uno Stato Veneto organizzato su base federale col modello cantonale offrirebbe servizi del livello svizzero con costi simili.
“Se lo vuoi veramente, non è un sogno” 5
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Re: Democrasia xvisara (on bon somexo)

Messaggioda Berto » ven gen 17, 2014 8:54 am

I governi vogliono saper tutto di noi. Controllano e non vogliono controlli

http://www.lindipendenza.com/i-governi- ... -controlli

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... ssange.jpg

di JULIAN ASSANGE*

“Tutti gli uomini per natura desiderano conoscere.” Aristotele, quando scrisse questo, stava dicendo che ciò che rende gli esseri umani diversi dalle altre creature, la cosa che ci definisce, è la ricerca e l’acquisizione della conoscenza. Questo non significa soltanto che noi come esseri umani siamo creature curiose; questo vuol dire che la nostra capacità di pensare e influire sul nostro mondo è strettamente connessa alla nostra capacità di conoscere. Essere vivi in quanto esseri umani dipende dall’essere capaci di conoscere nello stesso modo in cui dipende dall’avere un cuore che batte. Tutti noi comprendiamo questo in modi empirici. Noi comprendiamo ad esempio che parte dell’essere un adulto pienamente indipendente che compie delle scelte per la propria vita è comprendere il mondo intorno a noi ed elaborare delle scelte grazie questa conoscenza. Nel libro dei proverbi è scritto che una casa viene costruita attraverso la saggezza e attraverso la comprensione viene consolidata. Ma attraverso la conoscenza le sue stanze si riempiono di rari tesori di bellezza.

Ma c’è dell’altro in tutto questo. Il proverbio immediatamente successivo recita: “i saggi sono più potenti di forti”. Questa, che io sappia, è la prima comparsa di un’idea ormai diffusa: conoscenza è potere. Mantenere ignorante una persona equivale a chiuderla in una gabbia. Da questo consegue che i potenti, se vogliono mantenere il loro potere, cercheranno di conoscere quanto più possibile sul nostro conto e cercheranno di farci sapere il meno possibile sul loro. Vedo ovunque evidenza di questo: sia negli scritti religiosi che promettono emancipazione dalla repressione politica, sia negli scritti rivoluzionari che promettono la liberazione dai dogmi repressivi della Chiesa e dello Stato.

I potenti in tutta la storia hanno compreso questo aspetto. L’invenzione della stampa trovò l’opposizione dei vecchi poteri dell’Europa perché segnò la fine del loro del sapere e dunque la fine del loro monopolio del potere. La riforma protestante non fu soltanto un movimento religioso ma una lotta politica, la lotta per diffondere una conoscenza ristretta attraverso la produzione e la disseminazione. Attraverso il sistema della confessione la Chiesa cattolica spiava le vite dei suoi fedeli, mentre la messa in latino escludeva la maggioranza delle persone che non parlavano latino dalla comprensione della radice stessa del pensiero che li univa. Il sapere è sempre fluito verso l’alto, verso vescovi e re, e non verso il basso, verso servi e schiavi.

Il principio rimane lo stesso nell’era attuale. I documenti pubblicati dal whistleblower dell’NSA Edward Snowden dimostrano che i governi osano aspirare, attraverso le loro agenzie investigative, ad una onniscienza divina circa le vite di ciascuno di noi, ma allo steso tempo nascondono le loro azioni dietro la segretezza ufficiale. Mentre governi e corporazioni apprendono sempre di più sul nostro conto, noi sappiamo ogni giorno di meno sul loro. Come sempre, la politica è quella di veicolare le informazioni più sensibili verso l’alto, mai verso il basso. Oggi ricordiamo che è buona cosa vedere cosa accade tra un potere e l’altro, e portare alla luce del giorno le macchinazioni dei potenti. Non dobbiamo sentirci in colpa per il fatto di covare il più umano tra i desideri umani: quello di conoscere.

I potenti farebbero bene a ricordare le parole di uno dei più grandi attivisti della storia, come riportato nel Vangelo di Matteo: “Non c’è nulla di occulto che non sarà rivelato, nulla di nascosto che non sarà reso pubblico. Ciò che avete detto nell’oscurità verrà udito alla luce del giorno, E ciò che avete bisbigliato in un orecchio in una stanza nascosta verrà un giorno proclamato da un tetto all’altro”.

FONTE ORIGINALE: http://www.bbc.co.uk/news/uk-politics-25573643 -

Traduzione di Giacomo Consalez: “Il 2 gennaio 2014, il fondatore di WikiLeaks Julian Assange, confinato all’interno di un’ambasciata nel centro di Londra, ha parlato a proposito della conoscenza e della sua relazione con il potere in un breve componimento scritto per il quarto canale della BBC. Questa è la mia traduzione letterale del testo”.
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Re: Democrasia xvisara (on bon somexo)

Messaggioda Berto » ven gen 17, 2014 8:54 am

Devolution e secessione per ridimensionare gli Stati a misura d’uomo

http://www.lindipendenza.com/sale-devol ... tati-uniti

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Proponiamo in ANTEPRIMA per L’Indipendenza la traduzione integrale in italiano dell’articolo After This Year’s Mess, Small Is More Beautiful Than Ever da parte di Kirkpatrick Sale, saggista e pensatore politico di estrema sinistra, è direttore del Middlebury Institute, think tank americano per lo studio del separatismo, del secessionismo e dell’autodeterminazione, favorevole al decentramento. (Traduzione di Luca Fusari)

C’è una e una sola conclusione a cui dovrebbero pensare tutti i sopravvissuti nell’ultimo anno al sequestro, allo shutdown, agli ingorghi, all’Obamacare e all’intrusione del governo senza precedenti: il governo che abbiamo in questo Paese è troppo incompetente, inetto, corrotto, dispendioso ed inefficiente, troppo centralizzato, antidemocratico, ingiusto, invasivo, troppo insensibile alle esigenze dei singoli cittadini e delle piccole comunità, e tutto questo perché è troppo grande. Semplice no?.

Il motivo per cui la maggior parte di noi non arriva a tale conclusione è che come nazione ci siamo da tempo fissati sul valore della grandezza, delle dimensioni, del colossale, della quantità, dell’immensità alla rinfusa, Big Mac, Whoppers, Green Giant, grandi negozi, il commercio globale, la produzione di massa, le magioni, i grattacieli, sicché la più piccola dimensione concepita è quella di un jumbo. Siamo solo non educati a vedere le cose in termini di scala, adeguatezza e proporzione. Come nazione abbiamo ucciso quasi un milione di persone del nostro popolo per rafforzare il valore di unicità e grandezza, e per punire l’idea di divisione e separazione.

Il punto è semplice, una nazione di più di 300 milioni di persone, che copre quasi 4 milioni di chilometri quadrati da oceano a oceano ed oltre, non può essere governata da qualsiasi sistema (e/o da qualsiasi agenzia) dispotico o democratico. Certamente non da un sistema in cui 535 persone dovrebbero legiferare ciascuna per 58 mila persone! Ci vogliono 4 milioni e 430 mila persone per amministrare a livello federale. Questo è oltre la capacità umana, oltre la capacità anche degli angeli.

Questa verità ci guarda in faccia ogni giorno, eppure non la ammetteremo e non la diremo mai. Poiché sarebbe una confessione che la nazione è un fallimento, l’esperimento americano del repubblicanesimo su larga scala è verso il suo epilogo, e avremo modo di compiere un passo indietro per fare qualcosa di molto molto diverso. Come nazione in profonda difficoltà politica, economica, finanziaria e culturale, non sembriamo essere in grado di affrontare tale verità.

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Eppure è solo ammettendo che la nazione è troppo grande per funzionare che possiamo trovare una possibilità di uscire dal caos profondo che abbiamo creato. Questo è il primo passo per pensare all’alternativa. Ovviamente non sono le elezioni, per questa via non si cambia nulla e di certo non le dimensioni.

Non è con degli emendamenti alla Costituzione (il documento che inevitabilmente ci ha portato a dove siamo oggi) che cercano solo di riformare un sistema che si è sviluppato finora ben oltre la concezione dei Fondatori (avevano una nazione di poco meno di 4 milioni di persone), che si può migliorare i difetti dell’originale. Né con alcun tipo di riformulazione, di riorganizzazione, di rielaborazione o anche di rivoluzione.

La devolution, la dissoluzione, la secessione, il separatismo, possono rendere tutto più piccolo. Ecco un importante fatto trascurato: non c’è solo una dimensione e scala in cui funzionano le cose, ma le possiamo scoprire di nuove cercando nella storia ed osservando il mondo che ci circonda. L’essere umano e il suo cervello sono limitati e in grado di funzionare correttamente solo in misura limitata.

Sono tentato di suggerire che gli esseri umani si sono evoluti per circa due milioni di anni in società di dimensioni molto piccole, forse non più grandi di 500 persone, e probabilmente per molte buone ragioni. Ma non sembra del tutto realistico cercare di riorganizzare il Paese in piccole comunità, anche se può però sembrare evolutivamente corretto, quindi dobbiamo pensare ad altri modi di avvicinarci alle dimensioni ottimali.

Uno è quello storico. Le città-Stato greche erano generalmente con meno di 50 mila abitanti, Platone ha suggerito che l’ideale sarebbe 5040 cittadini o forse 35-40 mila abitanti, Atene per gran parte del suo tempo fu di quelle dimensioni, arrivando a una sua crescita limite di circa 150 mila abitanti solo all’apice della sua potenza. Le città che inventarono e favorirono la nascita delle università nel XII°secolo erano inferiori ai 50 mila abitanti. Bologna ne aveva forse 35 mila, Parigi 50 mila, Oxford e Cambridge erano con meno di 20 mila.

Le città dell’Italia medievale che generarono il Rinascimento erano di circa 50 mila persone; Firenze circa 40 mila, Venezia poco più, Roma intorno ai 55 mila. Constantine Doxiadis, che ha passato una vita a studiare queste cose, ha affermato che «se guardiamo indietro nella storia (…) troviamo che, per tutta la lunga evoluzione degli insediamenti umani, le persone in tutte le parti del mondo hanno avuto la tendenza a creare insediamenti urbani che hanno raggiunto un optimum dimensionale di 50 mila persone».

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Ma dal momento che oggi non possiamo immaginare nazioni così piccole, dovremmo cercare di capire quale sarebbe la giusta dimensione di un moderno Stato nazione. Questo è un po’ più difficile da ricavare, ma c’è un punto di partenza, sono le informazioni sugli Stati sovradimensionati che collassano.

Anni fa, Toynbee ha dimostrato che gli Stati che crescono sino a diventare degli imperi inevitabilmente crollano a causa del crescente numero di problemi derivanti dalla maggior crescita dello Stato, e che «l’unificazione politica forzata» in uno Stato centralizzato anziché essere il suo culmine «è in realtà l’ultima tappa prima del crollo».

La crescita dei governi, a prescindere da loro sistema di comando, comporta la crescita delle loro burocrazie e dei loro eserciti, e per giustificare questa espansione quasi sempre scelgono la guerra, come Lewis Mumford ha evidenziato, essi «sperperano vitalità umana e la ricchezza economica in atti di guerra», il che richiede nemici reali o molto spesso fabbricati.

Il Warfare a sua volta richiede aumenti delle tasse o deficit con prestiti da pagare, con una quasi sempre conseguente grande disparità tra ricchi e poveri, e misure necessarie per mantenere questa disparità irreversibile. Questo produce un sistema politico che, sebbene sempre più autoritario, nel tempo diventa fragile e infine insostenibile sia politicamente che economicamente, da qui la legge di Toynbee.

Non è possibile trovare una tipologia di popolazione nel momento in cui avviene tale collasso, perché questa fase differisce nelle diverse epoche, nelle tecnologie, nell’estensione geografica e nelle condizioni politiche. E’ possibile solo determinare se una nazione moderna è su questa traiettoria, e non ci vuole molta immaginazione per vedere come sono messi oggi gli Stati Uniti. La meraviglia è semmai constatare che non siano in precedenza già crollati.

Per arrivare a un’idea di quella che sarebbe una dimensione nazionale di successo, credo che potremmo guardare ed imparare dalle nazioni contemporanee. Il mio studio sulle dimensioni delle nazioni, di pochi anni fa (in Rethinking the American Union, a cura di Donald Livingston, Pelican, 2012), ha scoperto che metà delle nazioni del mondo sono piccole e con meno di 5,5 milioni di persone, 18 delle prime 20 nazioni più prospere (ordinate per PIL) sono sotto i 5 milioni di abitanti; la maggior parte degli Stati più liberi (secondo i parametri definiti da Freedom House) sono inferiori ai 5 milioni di abitanti e il 37% con meno di 1 milione di persone; il Sustainable Society Index (uno studio sociologico del 2012) vedeva tra i primi dieci in classifica solo piccoli Stati (la Svizzera, con 7,9 milioni, guida la lista).


E’ interessante notare che uno sguardo alle dimensioni geografiche delle nazioni di successo confermano quanto diciamo sulla questione: ben 85 delle 223 entità politiche conteggiate dalle Nazioni Unite hanno meno di 10 mila miglia quadrate (la dimensione del Vermont) e tre quarti delle nazioni più ricche al mondo sono inferiori per estensione a tale media, 17 di esse sono più piccole del Vermont.

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La mia conclusione da tutto questo, e credetemi non lo dico perché vivo nel ‘Palmetto State’, è che la dimensione ottimale degli Stati di successo sta nella gamma dei 3-5 milioni di persone, circa la dimensione della South Carolina, e non più grande di 35 mila miglia quadrate, circa le dimensioni della… South Carolina.

Così abbiamo alcune linee guida sulle tipologie di nazioni che sembrano funzionare bene, in contrasto con i colossi instupiditi che abbiamo intorno a noi oggi. In realtà non è così complicato: oltre una certa popolazione, oltre una certa dimensione, il controllo e l’efficienza del governo diventano più difficili, la vera rappresentanza (e tanto meno una parvenza di democrazia) diventa impossibile, e i costi di gestione, trasporto, distribuzione e comunicazione diventano insostenibili.

Il grande economista Leopold Kohr lo esprime così: «i problemi sociali hanno la spiacevole tendenza a crescere in un rapporto inversamente proporzionale (…) alla capacità dell’uomo di affrontarli, tutti crescono solo in un rapporto aritmetico. Il che significa che se una società cresce oltre la sua dimensione d’optimum, i suoi problemi saranno poi superiori alla crescita di quelle facoltà umane necessarie per affrontarli».

Quindi lo ripeto: devolution, dissoluzione, secessione. Non lasciamoci confondere da spauracchi storici, cominciamo a pensarci seriamente.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Berto
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Re: Democrasia xvisara (on bon somexo)

Messaggioda Berto » ven gen 17, 2014 8:55 am

DEMOCRAZIA E’ SALVARE LE GRANDI BANCHE ZEPPE DI DEBITI

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http://www.lindipendenza.com/democrazia-debiti-banche

Un dogma è di solito definito come qualcosa che è considerato troppo prezioso e prestigioso per pensare di modificarlo.
Qualsiasi proposta che si avvicina alla sua completa abolizione è definita come sorprendentemente ridicola. Nel regno della prostituzione legalizzata (la politica), le carriere vengono fatte difendendo dogmi, non importa a quale costo, se questo sia socialmente dannoso, o intenzionalmente disonesto. L’istruzione pubblica obbligatoria è il primo che viene in mente. I vari sistemi di compravendita dei voti che si mascherano da rete di sicurezza sociale sono un altro esempio. Ogni volta che la classe politica o i suoi difensori nei media si trovano in un vicolo cieco tentando di convalidare l’ultimo complotto del governo per riempire i suoi forzieri o per incatenare le libertà già indebolite, spesso ricorrono all’evocazione del più grande dogma esistente: la democrazia .

A partire dai primi anni della comprensione di base, i bambini del mondo Occidentale vengono inondati dalla propaganda affinché credano che senza la democrazia la società discenderebbe nel caos invivibile. Le scuole, sia pubbliche che private, perpetuano ogni anno questa fantasia a milioni di partecipanti forzati. Viene detto loro che il governo, che ha praticamente le mani in pasta dappertutto, è stato formato solo con le migliori intenzioni.

In America in particolare, la democrazia rappresentativa costruita con il genio collettivo dei padri fondatori del paese viene lodata come un dono per l’umanità. E sebbene la sua influenza sia in calo negli ultimi anni, la Costituzione servì da modello per lo sviluppo di stati-nazione in tutto il mondo.

Nel 1987, la rivista Time ha stimato che dei 170 paesi che esistevano all’epoca, “più di 160 hanno scritto carte modellate direttamente o indirettamente sulla versione USA.”

La Costituzione si presenta come la creazione miracolosa di individui divini quando, in realtà, non era niente del genere.
Come ogni tentativo di centralizzare il potere dello stato, la Costituzione è stata formata dai desideri economici dei suoi estensori. Thomas Jefferson, John Adams, Thomas Paine, e Henry Adams non erano nemmeno presenti alla Convenzione di Philadelphia mentre veniva redatta. Molti Americani all’epoca erano sospettosi per quello che finì per essere un colpo di stato per eliminare gli Articoli della Confederazione, foriere di una vera decentralizzazione, in cambio di un’istituzione abbastanza potente da essere utilizzata con lo scopo di distribuire rendite. Come Albert Jay Nock ha osservato:

La Costituzione venne stabilita sotto auspici inaccettabili; la sua storia era stata quella di un colpo di stato.

Venne redatta, in primo luogo, da uomini che rappresentavano particolari interessi economici. Quattro quinti di loro erano creditori pubblici, un terzo era composto da speculatori terrieri e un quinto rappresentava interessi nei trasporti marittimi, nella produzione manifatturiera e nel merchandising.
La maggior parte di loro era costituita da avvocati. Nessuno di loro rappresentava gli interessi del mondo produttivo.

Quando la Costituzione venne promulgata, gli stessi interessi economici nei diversi stati vennero spinti per essere ratificati nelle convenzioni statali come misure minoritarie, spesso — anzi, nella maggior parte dei casi — con metodi che avevano l’intento evidente di sconfiggere la volontà popolare. Inoltre, e fatto più inquietante di tutti, l’amministrazione del governo secondo la Costituzione è rimasta totalmente nelle mani degli uomini che avevano ideato il documento, o che erano diventati i leader del movimento per la ratifica nei diversi stati.

La storia nuda e cruda non viene mai insegnata nelle scuole pubbliche ed è poco conosciuta dal grande pubblico.
C’è una ragione per questo, naturalmente. Quando vengono rimossi tutti i fronzoli, lo stato appare come il racket criminale organizzato che è davvero.
Gli incaricati come “rappresentanti del popolo” pensano a se stessi e al loro benessere finanziario. Mentre il governo cresce e le burocrazie normative fioriscono in dimensioni e portata, la formazione della legge non diventa solo un lavoro per il legislatore eletto ma anche per gli esecutori. In altre parole, le stesse persone incaricate di far rispettare la legge hanno anche la discrezionalità su quelle regole che vogliono imporre. Questi burocrati non eletti, in uno sforzo costante per convalidare le loro posizioni di autorità, non cercheranno mai di tagliare i soldi delle tasse che è la loro linfa vitale. Invece, spenderanno tutto il loro bilancio ogni anno, poiché vivono del loro desiderio di avere un lavoro significativo attraverso la distruzione della libertà. La volontà popolare viene venduta per garantire un nuovo blocco di elettori privilegiati.

La crescita del Leviatano attraverso la burocrazia è andata avanti in tutto il mondo Occidentale ma sta accelerando ad una velocità preoccupante negli Stati Uniti e in Europa. Nell’edizione 2012 di 10,000 Commandments del Competitive Enterprise Institute, che fornisce uno scorcio dello stato normativo Americano, è documentato che le agenzie federali erano responsabili per l’attuazione di 3,807 regole. Questi regolamenti economicamente distruttivi sono stati fissati nella pietra, nonostante siano stati approvati solo 81 disegni di legge dal Congresso e firmati dal Presidente. La democrazia rappresentativa è stata sostituita dal governo dell’inspiegabile. In un ambiente in cui i potenti sono protetti dalle sanzioni negative, l’opportunità di clientelismo, corruzione e accordi sottobanco aumenta di dieci volte. La politica delle porte girevoli diventa la norma poiché i regolatori che scrivono le leggi finiscono per essere impiegati presso le stesse imprese che evitano la loro natura punitiva.

In tutta Europa, i tecnocrati non eletti continuano a cercare di salvare l’unione monetaria. Le misure di austerità, che equivalgono più ad aumenti fiscali piuttosto che a tagli della spesa pubblica, sono stati imposti da burocrati che non hanno alcuna identificazione con le persone a cui vengono imposte.
E’ pianificazione centrale su scala continentale. La persona con la maggior influenza nella crisi è stata il presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi. Anche se Draghi ha un solo voto nel corpo che controlla la stampante monetaria, è visto come il suo portavoce. La settimana scorsa mentre iniziavano le Olimpiadi, ha tristemente avanzato l’osservazione improvvisata secondo cui farà “tutto ciò che serve per preservare l’euro.” L’osservazione, che Draghi lo ammetta o no, ha portato con sé la vecchia nozione secondo cui la stampante verrebbe presto messa in moto nel tentativo di sedare la crisi tramite l’acquisto del debito sovrano. Le azioni sia negli Stati Uniti che in Europa hanno sperimentato un rally alla notizia, ma sono affondate subito dopo che il piano si è rilevato una farsa. Non c’era alcun asso nella manica; Draghi stava solo bluffando.

Tuttavia l’evento è stato assai rivelatore della dipendenza dell’economia globale dall’iniezione costante di moneta fiduciaria. In un sistema bancario centrale, le preferenze dei consumatori che normalmente guidano la struttura della produzione nel libero mercato fanno un passo indietro rispetto ai capricci degli operatori della stampante. I mercati finanziari incentrano le loro operazioni intorno a lotti freschi di nuova moneta digitale. La riserva frazionaria viene incoraggiata ancora di più. Perché il denaro non è neutrale ed entra nell’economia sempre in punti specifici, i primi destinatari sono in grado di spendere ed investire prima che i prezzi complessivi vengano influenzati. I ricevitori ultimi devono fare i conti con prezzi in aumento mentre i loro salari ristagnano; abbassando così il loro reddito reale.

L’economia di libero mercato è analoga alla democrazia perché i consumatori votano con i loro portafogli chi produce il miglior prodotto. Nel settore bancario centrale, a pochi individui viene concessa la licenza monopolistica di produrre ciò che facilita tutte le transazioni. Non c’è nulla di democratico nel settore bancario centrale, in pratica; è un sistema di governo dall’alto verso il basso basata sull’idea fantasiosa che esista una quantità ideale di denaro che solo alcuni economisti intellettualmente dotati sono in grado di determinare. Con cento anni di attività sotto la sua cintura, la professione del banchiere centrale ha imparato, attraverso le varie recessioni che hanno afflitto il XX secolo, che la stampa di denaro sembra risolvere tutto.

Dall’inizio della crisi dell’Eurozona, chiunque non si sia abbeverato alla propaganda del buono e onesto governo, ha capito che le grandi banche sono i veri beneficiari dei vari salvataggi. Poiché le banche commerciali del Nord Europa sono esposte al debito sovrano, è nel loro interesse evitare il default anche se questo significa ricevere i pagamenti degli interessi in una valuta svalutata. Alla popolazione dei PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) viene detto che i loro governi vengono salvati per il bene delle persone. Quello che realmente sta accadendo è che i banchieri stanno tirando le redini di una classe politica senza scrupoli che in ultima analisi sta cercando di incassare aiutando i propri amici nelle alte sfere. La retorica di preservare la democrazia da parte dei funzionari dell’Unione Europea non è nient’altro che un escamotage puerile se confrontato con lo sfruttamento sistematico incarnato dallo stato.

Per l’establishment dominante, l’approvazione del “noi, le persone” conta soltanto finché non vengono identificati i veri oppressori. La democrazia è una farsa per convincere le masse che sono responsabili del loro futuro, quando in realtà sono serve dell’autoritarismo. L’economista e filosofo Hans-Herman Hoppe aveva veramente ragione quando ha riconosciuto che

La democrazia non ha nulla a che fare con la libertà. La democrazia è una variante soft del comunismo, e raramente nella storia delle idee è stata presa per altri scopi.

Piuttosto che dare alla gente una voce, la democrazia consente il soffocamento della vita attraverso il potere statale. Quando i manifestanti di Occupy cantavano “così e come deve essere la democrazia” lo scorso autunno, consideravano a torto il potere del governo come il mezzo migliore per alleviare la povertà. Ciò che è veramente la democrazia moderna: salvataggi infiniti, privilegi speciali, e guerra imperiale il tutto pagato dalle fatiche dell’uomo comune.

Niente di tutto questo vuole suggerire che una transizione verso la democrazia reale sia la risposta. L’adagio popolare secondo cui la democrazia è “due lupi e un agnello che votano su cosa mangiare per pranzo” è innegabilmente accurato. Un sistema nel quale un gruppo di persone può votare per mettere le sue mani nelle tasche altrui non è economicamente sostenibile. Il conflitto tra gli individui scatenato dalla democrazia porta a una degenerazione morale e danneggia l’accumulo di capitale. Non è una panacea per il marciume che sgorga dai centri del potere. La vera libertà umana riguardo i diritti di proprietà è l’unico fondamento da cui la civiltà può crescere e prosperare.

Articolo di James E. Miller su Mises Canada - Traduzione di Francesco Simoncelli – Tratto da http://www.vonmises.it
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