Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » gio ott 19, 2017 12:38 pm

Catalogna, Puidgdemont: "Indipendenza se Madrid sospende autonomia". Rajoy: "Sabato avvieremo la procedura"
Ancora braccio di ferro tra Madrid e Barcellona. Giudicata insufficiente la risposta del leader catalano
19 ottobre 2017

http://www.repubblica.it/esteri/2017/10 ... -178699110

NELLA seconda lettera di Carles Puigdemont, consegnata stamattina a Mariano Rajoy, il presidente catalano aveva che se il governo di Madrid deciderà di applicare il 155 lui chiederà al Parlamento della Generalitat di votare la dichiarazione di indipendenza (annullando la sospensione). La decisione è stata votata ieri sera dal partito di Puigdemont, il PDeCat. Rajoy ha già risposto: “Ricatto inaccettabile” e ha convocato per sabato, prima è impegnato con il vertice europeo di Bruxelles, il consiglio dei ministri che attiverà l'iter dell'applicazione dell'articolo 155 che porta alla sospensione dell'autonomia catalana.

Sono falliti tutti i tentativi di mediazione: Rajoy e il socialista Pedro Sánchez avevano proposto a Puigdemont di convocare le elezioni e a cambio Madrid avrebbe evitato l’avvio del 155. L’arresto dei due Jordis, Sànchez e Cuixart, e la possibilità che le due organizzazioni civiche dell’indipendentismo,
Anc e Òmnium, vengano dichiarate illegali dai giudici ha definitivamente radicalizzato lo scenario. Rafforzata con un’unità di elite dei Mossos la scorta a Puigdemont. Ora i tempi per l’approvazione del 155 al Senato nazionale possono variare da una a due settimane.



Guardia Civil perquisisce sede Mossos per sequestrare registrazioni comunicazioni referendum
19 ottobre 2017

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/e ... 0d0d9.html

(ANSA) - BARCELLONA, 19 OTT - Agenti della Guardia Civil spagnola in borghese stanno effettuando una perquisizione nel commissariato di Lleida dei Mossos d'Esquadra, la polizia catalana, riferisce Tv3.
Gli agenti spagnoli, che agiscono su mandato di un giudice di istruttore, intendono sequestrare le registrazioni delle comunicazioni interne del 1 ottobre, durante le operazioni di voto del referendum di indipendenza.
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Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » ven ott 20, 2017 10:01 pm

???

Catalogna, Felipe VI: "La secessione è inaccettabile"
20 Ottobre 2017

http://www.iltempo.it/esteri/2017/10/20 ... le-1036759

Il re spagnolo Felipe VI ha denunciato come "un tentativo inaccettabile di secessione" il referendum illegale del primo ottobre scorso sull’unilaterale dichiarazione di indipendenza della Catalogna, che per il sovrano "è e sempre sarà parte essenziale della Spagna del XXI secolo". Per il re ci penseranno "le legittime istituzioni democratiche" a risolvere il problema rappresentato dal tentativo di secessione catalana. Felipe VI, che parlava alla consegna dei premi Asturie presente il premier Mariano Rajoy, e con i vertici dell'Ue, dal presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, a quello del Consiglio, Donald Tusk, e del Parlamento europeo, Antonio Tajani, ha detto che "nessun progetto futuro si può costruire basandosi sulla rottura della convivenza democratica. Nessun progresso e libertà si può basare sul disamore né sulla divisione, sempre dolorosa e straziante della società, delle famiglie e degli amici. E nessun progetto può condurre all’isolamento e all’impoverimento di un popolo". L’intervento del re sulla Catalogna è il primo dopo quello del 3 ottobre, 48 ore dopo il referendum illegale, e alla vigilia dell’applicazione dell’art. 155 della Costituzione per sospendere l’autonomia della Catalogna. "Non vogliamo rinunciare a ciò che abbiamo costruito insieme", ha insistito il re, sottolineando che la Spagna ha superato "gli errori del passato", riferimento al periodo del regime del dittatore Francisco Franco (1936-1975), quando la Catalogna, effettivamente, subì una discriminazione concreta.
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Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » ven ott 20, 2017 10:05 pm

Come l'indipendentismo si è mangiato la Catalogna
di Elena Zacchetti
2017/10/20

http://www.ilpost.it/2017/10/20/indipen ... -catalogna

Il 10 gennaio 2016 la presidente del Parlamento catalano, Carme Forcadell, annunciò che la votazione per il nuovo presidente del governo catalano era andata a buon fine: con 70 voti Carles Puigdemont, allora sindaco di Girona, era stato eletto nuovo presidente della Catalogna. L’accordo sul nome di Puigdemont, politico di un partito di centrodestra con una grande tradizione di governo in Catalogna, era stato trovato solo il giorno precedente, dopo due sessioni fallite a causa di disaccordi tra la coalizione che aveva ottenuto più voti alle elezioni, Junts pel Sí, formata da politici della sinistra e del centrodestra indipendentisti catalani, e l’altra forza indipendentista presente nel Parlamento catalano, la CUP, un partito di sinistra radicale e marxista. L’elezione di Puigdemont fu accolta dai deputati della nuova maggioranza parlamentare con un grande applauso e molti sorrisi, visto lo scampato pericolo di dover andare a nuove elezioni.

Puigdemont, 54 anni, era fino a quel momento un politico semisconosciuto: era un giornalista, poi nel 2006 era stato eletto deputato nel Parlamento catalano. Fin da subito era stato preso in giro per la sua capigliatura.

Dopo l’annuncio di Forcadell, Puigdemont si alzò dal suo scranno e andò ad abbracciare Artur Mas, politico di spicco del suo stesso partito e presidente uscente. Mas era il candidato designato da Junts pel Sí, ma si era ritirato poco prima a causa di un veto della CUP sul suo nome. Puigdemont lo ringraziò, strinse la mano ai suoi alleati di partito, come Jordi Turull, che sarebbe diventato il portavoce del suo governo, e a chi aveva sostenuto la sua candidatura, come la deputata della CUP Anna Gabriel. Poi fece un breve discorso di fronte ai deputati che terminò con «Visca Catalunya lliure», frase in catalano che significa: «Viva la Catalogna libera». Prima di chiudere la seduta, Forcadell chiese ai deputati di non abbandonare subito l’emiciclo: si sarebbe cantato l’inno ufficiale della Catalogna, Els Segadors, un canto molto ricorrente anche durante le manifestazioni a favore dell’indipendenza catalana. Si alzarono tutti in piedi, la musica partì e i deputati cominciarono a cantare: davanti, nella parte destra dell’emiciclo, quelli di Junts pel Sí, per lo più in giacca e cravatta; dietro quelli della CUP, in felpa e maglietta, con il pugno alzato.

Era una coalizione come se ne vedono poche in giro, e che resiste ancora oggi: riuniva deputati marxisti antisistema (della CUP) che avevano dato appoggio al partito di centrodestra che in quel momento apparteneva più di tutti al sistema (PDeCAT, di Puigdemont e del presidente uscente Mas, persino coinvolto in alcuni scandali negli anni precedenti), che a sua volta si era alleato a un partito di sinistra tradizionalmente molto autonomista e poi indipendentista (Esquerra Republicana, ERC). C’era una sola cosa, una sola, che li accomunava: l’indipendenza della Catalogna.

Già allora l’indipendentismo si era mangiato tutto il resto della politica catalana, rendendo inutili le normali divergenze e discussioni politiche in nome di un obiettivo considerato più importante di ogni altra questione economica e sociale. Questo processo, che visto da qui sembra una cosa fantapolitica, è avvenuto peraltro in una delle regioni più ricche e produttive d’Europa. Come è stato possibile?

Il presidente catalano Carles Puigdemont stringe la mano alla deputata della CUP Anna Gabriel nel Parlamento catalano, a Barcellona, il 29 settembre 2016 (AP Photo/Manu Fernandez)

L’indipendentismo catalano, che non lo era fino a pochi anni fa
Il movimento che oggi sostiene l’indipendenza della Catalogna non è venuto fuori dal niente: non è nato tre settimane fa, con il referendum dell’1 ottobre, né tantomeno con l’investitura di Puigdemont a presidente, nel gennaio 2016. È cresciuto nel tempo, ha avuto un’enorme accelerazione negli ultimi sette anni ma cominciò a formarsi dopo la fine del regime fascista di Francisco Franco che si impose durante la Guerra civile spagnola nella Seconda metà degli anni Trenta e terminò con la cosiddetta “transizione”, nella metà degli anni Settanta.

Durante il franchismo, tanto in Catalogna come nel resto della Spagna, furono annullate le libertà democratiche, tra cui la libertà di stampa, e vennero dichiarati fuori legge tutti i partiti politici. Franco soppresse lo Statuto di Autonomia della Catalogna, cioè la norma isitituzionale che regola i rapporti tra lo Stato spagnolo e la regione autonoma della Catalogna, oltre che qualsiasi organo o istituzione dell’autogoverno, e vietò l’uso della lingua catalana nell’amministrazione pubblica, nelle scuole e nei mezzi di comunicazione. Con la fine del franchismo fu scritta la nuova Costituzione spagnola e nel 1979 fu negoziato un nuovo Statuto, con il quale la Catalogna ottenne lo status di “Comunità Autonoma” e il diritto all’autogoverno. Negli anni successivi il Parlamento catalano approvò una serie di leggi per promuovere la lingua e la cultura catalane, un processo che allora era visto come necessario per riappropriarsi dell’identità e dei diritti soppressi durante il franchismo.

Mariam Tey, vicepresidente della Societat Civil Catalana (SCC) – l’organizzazione anti-indipendentista che ha organizzato la grande manifestazione unionista dell’8 ottobre – ha raccontato al Post: «All’inizio questo movimento era molto ben accolto da un po’ tutti i catalani, perché era una risposta alla dittatura. Tutti volevamo avere una lingua e una cultura catalana più presenti nella società. Per molti anni questo movimento fu visto come una novità. Poi, quando ci accorgemmo che era la strada verso un’indipendenza radicale, era troppo tardi. Non avevamo le risorse per poterlo fermare».

Per molti anni in Catalogna l’indipendentismo fu una componente minoritaria delle forze politiche rappresentate in Parlamento. Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila si cominciò a parlare di un approccio federale, che doveva passare per l’approvazione di un nuovo Statuto di Autonomia, anche perché quello in vigore era ormai vecchio di vent’anni. La proposta arrivò da Pasqual Maragall, che faceva parte del PSC, la sezione socialista catalana del Partito Socialista (PSOE), il principale partito di sinistra spagnolo. Maragall ottenne l’appoggio di ERC, che oggi sostiene il governo Puigdemont e che già allora era indipendentista. Iniziò così un lungo processo di riforma che si concluse nel 2006, durante il quale Convergéncia i Unió (la coalizione di centrodestra da cui nacque l’attuale PDeCAT) mantenne una posizione in generale collaborativa, ma in certi momenti molto ambigua.

Il presidente catalano Pasqual Maragall (PSC), a sinistra, e il primo ministro spagnolo Jose Luis Zapatero (PSOE) al Parlamento catalano, Barcellona, 27 luglio 2006 (LLUIS GENE/AFP/Getty Images)

Il fatto che le proposte di maggiore autonomia economica, politica e culturale arrivassero da forze politiche di sinistra, ha spiegato al Post Albert Marcet – docente di economia all’Università Autonoma di Barcellona, indipendentista – non deve stupire più di tanto: «In Spagna il “nazionalismo” delle regioni è sempre andato di pari passo con le sinistre, ed è stato così per tutto il Ventesimo secolo. Dall’altra parte il “nazionalismo” spagnolo è sempre stato vicino alle destre (anche se non sempre)». Questo è uno dei motivi per cui oggi spesso chi è anti-indipendentista – di qualsiasi orientamento politico, anche di sinistra – viene accusato di essere di destra, o addirittura franchista.

Lo Statuto di Autonomia della Catalogna elaborato dalle sinistre fu approvato dal Parlamento catalano nel 2005. Fu un processo molto travagliato, che doveva mettere d’accordo tra loro innanzitutto i partiti catalani e poi la politica catalana con l’allora governo spagnolo, guidato dal socialista José Luis Zapatero. Furono fatte diverse rinunce: per esempio la formulazione “la Catalogna è una nazione” fu messa nel preambolo, dove non avrebbe avuto effetti giuridici. Il testo finale, diverso da quello inizialmente proposto dalle sinistre catalane, fu comunque approvato dal Parlamento spagnolo e poi di nuovo in un referendum tenuto in Catalogna nel 2006, con il 73 per cento dei voti favorevoli. Nel giugno del 2010 però, a seguito di un ricorso del Partito Popolare, che era sempre stato contrario a rinegoziare l’autonomia, il Tribunale costituzionale spagnolo – il massimo organo giuridico del paese, più o meno l’equivalente della nostra Corte Costituzionale – dichiarò incostituzionali 14 articoli dello Statuto, svuotandolo parzialmente. La decisione del Tribunale fu seguita da enormi proteste in diverse città catalane. La frustrazione tra coloro che l’avevano promosso e sostenuto fu enorme. Protestarono tutti i partiti politici in Parlamento tranne il PP e Ciutadans, partito catalano che in seguito riuscì ad entrare anche nel Parlamento spagnolo con il nome Ciudadanos.

La bocciatura dello Statuto di Autonomia viene considerata oggi uno dei momenti più rilevanti per l’accelerazione dell’indipendentismo in Catalogna, ma non l’unico e non il più importante.

Secondo molti, la spinta principale fu la crisi economica iniziata nel 2007-2008 e che ebbe i suoi effetti più disastrosi negli anni successivi. In altri paesi europei la crisi portò alla nascita di nuovi partiti politici populisti e anti-establishment, e anche in Spagna si vide un fenomeno simile con la nascita di Podemos. In Catalogna però fu diverso. La rabbia conseguente alla crisi rafforzò il fronte autonomista e indipendentista, che aveva avuto nel corso degli anni il “nemico perfetto”, quello che ancora oggi fa da calamita ai diversi gruppi indipendentisti: il PP, i conservatori del governo di Madrid, a cui si poteva – a ragione o a torto – dare la colpa di molti mali. È una cosa da tenere a mente, questa, perché ritornerà anche negli anni successivi.

Nel dicembre 2011 era stato eletto primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, che tutt’oggi mantiene questa carica. Rajoy è il leader del PP, partito che negli ultimi anni è stato coinvolto in una serie molto lunga di scandali legati alla corruzione. Per gli indipendentisti il governo di Rajoy divenne il simbolo di una struttura statale della Spagna inefficiente e corrotta, che aveva imposto alle Comunità autonome spagnole dure misure di austerità.

Il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, a destra, mostra una copia del “Don Chisciotte” al presidente catalano Carles Puigdemont, durante un incontro a Madrid il 20 aprile 2016 (CURTO DE LA TORRE/AFP/Getty Images)

Albert Marcet ha detto al Post: «La Catalogna fu obbligata a fare moltissimi tagli, per esempio del 20 per cento nella salute e nell’istruzione, che dipendono dal governo regionale. Nel frattempo il governo centrale non tagliò praticamente niente, nonostante fosse incredibilmente inefficiente. Così il governo di Madrid riuscì a soddisfare gli obiettivi di deficit imposti da Bruxelles. Fu una slealtà enorme e la gente se ne accorse». Di nuovo, non tutti sono d’accordo con questa analisi e per molti il fatto di scaricare tutte le colpe sul governo di Madrid fu una mossa del governo di allora per non prendersi la responsabilità dei tagli.

Cambiate le condizioni, la politica catalana si adeguò.

Eccoli, gli indipendentisti
C’è una cosa da tenere a mente per capire la politica catalana: cioè che da sempre si è giocata su due tavoli diversi, uno in Catalogna e uno a Madrid. Nel corso degli anni i partiti catalani hanno stabilito alleanze molto diverse, spesso accompagnate da accordi legati alle vicende politiche spagnole. Era una cosa che aveva già permesso una certa flessibilità nel gestire le divisioni politiche tradizionali tra destra e sinistra, flessibilità che si vede bene ancora oggi nel Parlamento catalano. I cambiamenti verso l’indipendentismo nella politica e nella società catalana si concentrarono tra il 2010 e il 2012. In questi due anni successero almeno due cose che contribuirono a polarizzare il dibattito politico catalano attorno alla questione dell’indipendenza, che fino a quel momento era rimasto sotto traccia, perché si parlava per lo più di autonomia, di stato plurinazionale o di federalismo.

Primo. Nel 2011 nacque l’Assemblea Nazionale Catalana (ANC), un’organizzazione non legata a partiti politici che si diede come unico obiettivo l’ottenimento dell’indipendenza della Catalogna. La ANC riuscì a raggiungere nel giro di pochissimi anni decine di migliaia di soci e simpatizzanti di diverse aree politiche: dal centrodestra di PDeCAT, il partito di Puigdemont, alla sinistra di Esquerra Republicana, alleata con il PDeCAT nella coalizione che sostiene l’attuale governo, fino ad arrivare alla CUP, il partito di estrema sinistra di Anna Gabriel. La ANC, insieme a un’altra organizzazione, Ómnium Cultural, cominciò a mobilitare una fetta consistente della società civile catalana, molto trasversale, con l’obiettivo comune dell’indipendenza. Questi due gruppi, per esempio, sono quelli che hanno organizzato le manifestazioni indipendentiste a Barcellona in occasione della Diada, il giorno di festa della Comunità autonoma della Catalogna, che si celebra ogni 11 settembre e alle quali partecipa stabilmente più di 1 milione di persone chiedendo l’indipendenza.

Questa capacità di mobilitare centinaia di migliaia di persone non c’è sempre stata: è una cosa recente, ma le basi erano state messe per anni. Ómnium, per esempio, nacque negli anni Sessanta, agì in clandestinità durante il franchismo e poi si impegnò a promuovere la lingua e la cultura catalane. Nel corso degli ultimi decenni sono nate decine di organizzazioni di questo tipo, anche se più piccole: sono stati istituiti premi culturali, cinematografici e letterari, e si è sviluppato un dibattito sull’autonomismo, e poi sull’indipendentismo, anche al di fuori della politica, che ha coinvolto personaggi della cultura e dell’accademia catalana.

Jordi Cuixart, presidente di Ómnium Cultural (a sinistra) e Jordi Sanchez, presidente dell’ANC, a Madrid il 16 ottobre 2017 (AP Photo/Francisco Seco)

La popolarità di Ómnium e dell’ANC in un pezzo della società civile catalana spiega bene le proteste di questi ultimi giorni per l’arresto dei leader delle due organizzazioni, Jordi Cuixart (Òmnium) e Jordi Sànchez (ANC), deciso in via precauzionale da una giudice dell’Audiencia Nacional, tribunale di Madrid. I “due Jordi”, come vengono chiamati, sono accusati di sedizione, un reato previsto dal codice penale spagnolo per chi impedisce l’applicazione della legge con la forza o con mezzi al di fuori della legge. Secondo molti, la loro carcerazione preventiva ha alimentato le tensioni e le divisioni all’interno della società catalana, e tra il governo catalano e il governo spagnolo. Per i “costituzionalisti”, si tratta solo di avere applicato la legge.

Secondo. Nel 2012, nel pieno della crisi economica e della protesta contro il governo centrale di Madrid, l’allora presidente del governo Artur Mas, di Convergéncia Democrática (CDC, più conosciuto con il solo nome Convergéncia), cominciò a spostarsi, e a spostare il suo partito, su posizioni indipendentiste. L’11 settembre 2012 a Barcellona fu organizzata dalla ANC una manifestazione per l’indipendenza – in occasione della Diada – a cui parteciparono centinaia di migliaia di persone (1 milione e mezzo secondo la polizia municipale e il governo catalano, 600mila secondo la delegazione del governo spagnolo in Catalogna).

Il giorno precedente, il 10 settembre, il primo ministro Mariano Rajoy aveva dato la sua prima intervista televisiva dopo otto mesi di silenzio. Nell’intervista, trasmessa dalla televisione pubblica spagnola TVE, Rajoy aveva liquidato la richiesta principale che in quel momento il governo di Artur Mas stava facendo a Madrid: elaborare un patto fiscale con la Catalogna più favorevole ai catalani, che fosse simile a quello già in vigore per i Paesi Baschi e Navarra, altre due Comunità autonome spagnole. Il patto fiscale non era un tema nuovo nel discorso autonomista catalano. Il 20 settembre, dopo un incontro tra Mas e Rajoy e il rifiuto di Rajoy di accordare un patto fiscale più favorevole alla Catalogna perché contrario alla Costituzione, Mas disse:

«C’è una Costituzione, non la vogliono rivedere, in nessun modo, in termini più aperti di quello che si poté fare 35 anni fa. Le Costituzioni si adattano, e se non si adattano non annullano la volontà dei popoli. E se la Catalogna nei prossimi mesi, o nei prossimi anni, in maniera maggioritaria, pacifica e democratica vorrà intraprendere un certo cammino e progetto per il futuro, non si potrà certamente mettere lì la Costituzione come se fosse una parete insuperabile, non funziona così»

La svolta indipendentista di Convergéncia fu un cambiamento importante per la politica catalana: molti sostennero che fu decisa in parte per ridare slancio a un partito che negli anni era stato coinvolto in alcuni scandali di corruzione e che stava perdendo consensi. Convergéncia era stata la forza al centro della politica catalana dalla fine del franchismo: di centrodestra, liberale, il cui primo leader, Jordi Pujol, aveva governato in Catalogna per più di 20 anni. Era un partito che chiedeva più autonomia ma non l’indipendenza. Dopo l’11 settembre 2012, il giorno della Diada, Artur Mas convocò elezioni anticipate. Si votò il 25 novembre, il partito di Mas perse 12 seggi ma Esquerra Repubblicana, la sinistra indipendentista, ne guadagnò 21. La CUP entrò per la prima volta in Parlamento, con 3 deputati.

Era iniziata una nuova fase della storia politica catalana.

Si, ma dall’altra parte? Non c’è mai stato niente?
Uno dei più grandi misteri di quello che sta succedendo in Catalogna, almeno visto da qui, è la quasi totale incapacità di mobilitare la cittadinanza da parte degli anti-indipendentisti, che però ci sono. Come mostrano i risultati elettorali del 2015, i risultati del referendum dell’1 ottobre (che pure vanno presi con le molle) e i sondaggi realizzati nel corso degli anni, l’anti-indipendentismo in Catalogna esiste. Forse è persino maggioritario, anche se di poco, o comunque è appoggiato da circa la metà dei catalani.

La grande manifestazione unionista dell’8 ottobre, quella organizzata a Barcellona dalla Societat Civil Catalana, ha coinvolto decine di migliaia di persone: la «maggioranza silenziosa», l’ha definita la stampa spagnola; la «maggioranza silenziata», l’hanno definita gli anti-indipendentisti. Non è facile dire perché da una parte si sia sviluppato un discorso così rumoroso, radicato e organizzato, mentre dall’altra no.

Il discorso di Mario Vargas Llosa, premio Nobel per la Letteratura, alla manifestazione unionista organizzata dalla Societat Civil Catalana l’8 ottobre. Vargas Llosa ha criticato i nazionalismi, dicendo: «La passione può essere anche distruttiva e feroce, quando è mossa dal nazionalismo e dal razzismo. La peggiore di tutte quella che ha causato più distruzione nella storia, è la passione nazionalista. Religione laica, eredità sfortunata del peggior romanticismo, il nazionalismo ha riempito la storia dell’Europa, del mondo e della Spagna di guerre, sangue e cadaveri. Da un po’ di tempo il nazionalismo sta causando distruzione anche in Catalogna»

In buona parte questo fenomeno si potrebbe spiegare col fatto che nel corso degli anni il governo catalano ha usato molti fondi per finanziare progetti che promuovessero la lingua e la cultura catalane, provocando una moltiplicazione di organizzazioni e associazioni di vario tipo. Secondo molti anti-indipendentisti, inoltre, queste convinzioni sono state anche alimentate da una generale egemonia delle idee autonomiste e indipendentiste nei mezzi di comunicazione catalani, giornali e radio, con stretti legami con la politica, come mostrò nel 2015 in una grossa inchiesta pubblicata sull’Español il giornalista Jordi Pérez Colomé.

Non tutti però sono d’accordo con questa lettura, e anzi la ribaltano. Sostengono che mentre in Catalogna tutti hanno facile accesso alla stampa spagnola, unionista, il contrario non funzioni, anche perché la radio e la televisione pubblica catalana vengono trasmesse solo in Catalogna, mentre quelle pubbliche spagnole in tutta la Spagna. Sostengono poi che il discorso dei finanziamenti ai giornali catalani sia stato molto sopravvalutato: per esempio il Periódico e la Vanguardia, due giornali molto sovvenzionati, non hanno una posizione generale favorevole all’indipendenza. Negli ultimi giorni si è riaperta anche una polemica sul sistema educativo catalano, che secondo alcuni deputati della destra costituzionalista contribuirebbe ad alimentare l’odio nei confronti degli spagnoli: anche su questa interpretazione, comunque, c’è molto poco accordo.

Il punto su cui c’è più convergenza è un altro. L’idea di creare un nuovo Stato, della costruzione di una società nuova, è sempre stata molto più attraente di un discorso “costituzionalista” e conservatore dello status quo. Sono idee diverse, di intensità diversa. È più difficile mobilitare migliaia di persone per la conservazione di qualcosa, soprattutto perché quel qualcosa esiste già e non funziona nemmeno benissimo: non finché venga minacciato concretamente, almeno, come è successo con il referendum dell’1 ottobre scorso.

Il discorso indipendentista ha probabilmente anche giovato del fatto che non c’è stato un vero dibattito sui costi che avrebbe portato l’indipendenza: non vuol dire che sia stato del tutto assente, ma sicuramente non è stato all’altezza dell’enormità delle conseguenze di una Catalogna indipendente. «Non c’è stato un dibattito approfondito perché il dibattito è sempre stato ‘potete votare’ o ‘non potete votare’», ha detto al Post Francesca Ferreres, membro del Segretariato nazionale dell’ANC, indipendentista. È come se lo scontro politico si fosse fermato un momento prima: il momento che per gli indipendentisti è stato quello dell’esercizio di un diritto fondamentale (poter votare) e per gli anti-indipendentisti del rispetto della legalità e della Costituzione (quindi non poter votare), perché per la legge spagnola solo lo Stato può convocare un referendum di questo tipo. Negli ultimi anni poi, ha raccontato al Post un membro di ERC, la sinistra indipendentista, si è sviluppato una sorta di “nuovo indipendentismo” centrato su una specie di “pensiero magico” secondo cui l’indipendenza sarebbe stata indolore e senza costi.

Da quel punto, comunque, non ci si è mossi più di tanto: il vero dibattito sul sì e sul no è stato rimandato.

E poi c’è la politica. Il PP, che alle ultime elezioni spagnole ottenne il 33 per cento dei voti, in Catalogna ha poco più del 10 per cento dei voti. I leader locali del PP catalano sono i più impopolari in ogni sondaggio, ma lo stesso partito nazionale non ha grande interesse a investire in Catalogna per cambiare la situazione. Come ha scritto il catalano Ton Vilalta sul Lavoro Culturale, «la storia elettorale spagnola degli ultimi 20 anni ci insegna che il PP non ha bisogno di ottenere buoni risultati in Catalogna per governare in Spagna. […] In più, mostrarsi inflessibili di fronte alle rivendicazioni dei nazionalisti catalani è spesso redditizio in termini di consenso nel resto del paese. Al contrario, la geografia elettorale spagnola impone a un ipotetico governo alternativo, composto da PSOE e/o Podemos, di ottenere un ottimo risultato in Catalogna per avere i numeri per governare». Questo fa sì che i partiti con ambizioni nazionali diversi dal PP, come PSOE e Podemos, entrambi rappresentati nel Parlamento catalano, debbano ogni volta trovare un modo per mettere insieme un discorso che possa funzionare sia in Catalogna che nel resto della Spagna. E non è facile.

Il presidente del gruppo del Partito Popolare al Parlamento catalano, Xavier Garcia Albiol, durante un dibattito parlamentare il 6 settembre 2017, il giorno che il Parlamento catalano approvò la “legge del referendum” (LLUIS GENE/AFP/Getty Images)

Il risultato è che per molti anni questi partiti sono rimasti in mezzo; sono stati travolti dalla progressiva polarizzazione della politica catalana sul tema dell’indipendentismo e anti-indipendentismo, non riuscendo a farsi spazio senza prendere posizioni nette. Per esempio nelle ultime settimane il PSC, il Partito Socialista Catalano, si è adeguato alla linea del PSOE nazionale, cioè condannare nettamente il referendum illegale dell’1 ottobre e il comportamento del governo catalano; dopo la carcerazione preventiva di Jordi Sánchez e Jordi Cuixart, però, il suo leader, Miquel Iceta Llorens, ha parlato di una decisione “sproporzionata” e si è unito alle proteste degli indipendentisti, cosa che al contrario non ha fatto Pedro Sanchéz, il leader del PSOE nazionale. Anche Podemos ha avuto enormi difficoltà a posizionarsi nella nuova politica catalana: ha appoggiato il diritto di votare dei catalani per definire il proprio futuro, ma si è detto contrario a un referendum illegale, e poi ha proposto un dialogo che però non sembra avere alcuna possibilità di realizzarsi. Al contrario, un partito catalano che ha guadagnato negli ultimi giorni è Ciutadans, di centrodestra e schierato nettamente a favore dell’unità della Spagna.

Negli ultimi anni il discorso sull’indipendentismo e l’anti-indipendentismo si è mangiato tutto il resto: chi in Catalogna non si è posizionato su queste nuove linee politiche ha rischiato di essere ignorato, o ha perso rilevanza.

Due bolle: richieste politiche e risposte giudiziarie
Oggi la probabilità di un dialogo tra governo catalano e governo spagnolo sembra essere inesistente. Non solo perché le due parti la pensano diversamente sull’indipendenza della Catalogna, ma perché non hanno accettato le stesse regole del gioco. Il governo catalano vuole giocare nel campo della politica, sacrificando la legalità; quello spagnolo risponde appigliandosi al rispetto delle leggi vigenti, senza accettare un dato di realtà, senza prendere atto di quello che è successo politicamente in Catalogna. Ma nemmeno questa è una cosa nuova.

Il 9 novembre 2014, quando al governo c’era ancora Artur Mas, si tenne il cosiddetto “processo partecipativo sul futuro politico della Catalogna”, una votazione organizzata dal governo catalano senza valore legale e non riconosciuta dal governo spagnolo. Nella scheda c’erano due domande: «Vuole che la Catalogna sia uno stato?»; «In caso affermativo, vuole che questo stato sia indipendente?».

Il presidente catalano Artur Mas vota in un seggio di Barcellona al “processo partecipativo sul futuro politico della Catalogna”, una votazione senza valore legale che si tenne il 9 novembre 2014 (David Ramos/Getty Images)

Questo “processo partecipativo” era una soluzione di ripiego: la terza, dopo che lo stato spagnolo ne aveva scartate altre due. Il governo centrale di Madrid, il PP di Rajoy e il Parlamento spagnolo avevano negato al governo catalano il permesso di celebrare un referendum di autodeterminazione in Catalogna, un obiettivo che faceva parte dell’accordo che era stato fatto dalla maggioranza uscita dalle elezioni catalane del 2012. Il Parlamento catalano aveva così approvato una propria legge del referendum e aveva fissato la data per il 9 novembre 2014. La legge era stata votata anche dalla CUP, un partito fino a quel momento “allergico” a tutto ciò che era Convergéncia. David Fernández, allora deputato della CUP al Parlamento catalano, spiegò così in un’intervista quello che era successo: «Cosa è successo in Catalogna affinché poli così antagonisti si siano messi d’accordo? Il merito non è nostro, è dello Stato spagnolo».

Il governo di Rajoy aveva fatto ricorso al Tribunale costituzionale, la legge del referendum era stata sospesa e poi dichiarata incostituzionale e il governo catalano aveva fatto mezzo passo indietro. Mezzo perché Mas, in accordo con le altre forze indipendentiste, aveva annunciato che si sarebbe tenuto comunque un “processo partecipativo sul futuro politico della Catalogna”, che però non sarebbe stato vincolante. Di fronte a questa eventualità, Jordi Évole, uno dei giornalisti catalani più conosciuti, anti-indipendentista ma a favore di un referendum sull’indipendenza della Catalogna, disse una cosa in un’intervista ad Antena 3 che è utile anche per capire le conseguenze del referendum dell’1 ottobre:

«La cosa peggiore che credo potrebbe succedere è che di fronte a una votazione considerata “leggera”, che non vale tanto come quella che si voleva fare, diciamo così, qualcuno del governo centrale spagnolo dicesse un’altra volta, “lo proibiremo”. Non credo che sarebbe una cosa buona. Io credo che la proibizione stia portando sempre più persone a essere indipendentiste. E ne porterebbe ancora di più, per esempio, se il 10 novembre venisse pubblicata sui giornali la foto di un agente della Guardia civile o di un poliziotto nazionale che ritirano un’urna elettorale. Sarebbe molto potente.»

Il 2 novembre, a una settimana dal voto, il governo spagnolo annunciò che avrebbe fatto ricorso contro la nuova consultazione, ricorso poi accolto dal Tribunale costituzionale. Il governo catalano organizzò comunque la votazione, che si tenne il 9 novembre. Mas, insieme ad altri funzionari del suo governo, fu poi condannato dal Tribunale Superiore di Giustizia della Catalogna per i reati di prevaricazione e disobbedienza e gli fu imposto il pagamento di una multa di 5,1 milioni di euro, ovvero i costi che il governo aveva sostenuto per organizzare il “processo partecipativo”. Alla consultazione la partecipazione fu bassa, il 37 per cento; i sì vinsero con l’80 per cento dei voti.

Due mesi dopo Mas annunciò che si sarebbero tenute elezioni anticipate. In campagna elettorale si parlò quasi esclusivamente del diritto a votare e di indipendenza. Convergéncia ed ERC si misero insieme col nome di “Junts pel Sí”, con un programma elettorale che parlava esplicitamente di tenere un referendum sull’indipendenza della Catalogna, e che prendeva una netta posizione a favore dell’indipendenza. La CUP si presentò da sola, mise il veto sul nome di Mas ma appoggiò la candidatura di Puigdemont, nonostante avesse idee completamente diverse su tutto ciò che non fosse l’indipendenza catalana. Il mantra del nuovo governo – quello di “Visca Catalunya lliure” e dell’inno El Segadors – divenne «Referendum o referendum», ripetuto da Puigdemont, dai membri del suo governo e dalla CUP, con la promessa di rispettare qualsiasi risultato elettorale, anche il no. Una proposta ritenuta inaccettabile, e nemmeno negoziabile, né dal governo spagnolo né dai partiti unionisti catalani della minoranza parlamentare.

Nel settembre 2016 il governo catalano rischiò di cadere perché Junts pel Sí e la CUP non trovavano l’accordo per l’approvazione del bilancio. Puigdemont chiese in Parlamento che gli fosse rivotata la fiducia e durante il suo intervento disse: «La soluzione della richiesta catalana si farà pertanto in questa maniera: referendum o referendum. Ripeto: referendum o referendum»

Si può tornare indietro? L’1 ottobre, non un giorno qualsiasi
Il referendum sull’indipendenza dell’1 ottobre, e tutto quello che è successo prima e dopo, è stato un momento incredibilmente nuovo e importante per la politica catalana. Il referendum si è tenuto sulla base di una legge approvata dal Parlamento catalano il 6 settembre, la “Legge del referendum”, simile a quella approvata ai tempi di Mas dopo il rifiuto del governo spagnolo di sedersi a un tavolo e parlare della possibilità di votare. Il PP ha fatto ricorso al Tribunale costituzionale, che l’ha sospesa (la bocciatura definitiva è arrivata martedì scorso), e quindi ne ha reso impraticabile l’applicazione. Il governo Puigdemont e la maggioranza che lo sostiene non hanno fatto passi indietro e hanno continuato a organizzare la votazione, rivendicando una decisione che era stata presa da una maggioranza democraticamente eletta il cui obiettivo era, fin dall’inizio, tenere un referendum vincolante sul futuro della Catalogna. Di nuovo, le due parti hanno sostenuto la propria posizione parlando due lingue diverse – una politica, l’altra per via giudiziaria e per il rispetto della legge vigente – e la situazione è precipitata.

Ci sono un paio di cose da dire al riguardo. La prima è che secondo molti, anche quelli che sostengono il diritto dei catalani a votare sul proprio futuro (come Catalunya Sí que es Pot), la legge del referendum è stata votata forzando le stesse leggi catalane: per questioni di enorme importanza – anche meno rilevanti di una possibile indipendenza – è richiesta una maggioranza parlamentare dei due terzi dei deputati, e non una maggioranza semplice. Questo criterio non è stato rispettato. E poi, oltre alla sospensione della legge del referendum da parte del Tribunale costituzionale, alla polizia catalana era arrivato l’ordine del Tribunale Superiore di Giustizia della Catalogna di sequestrare urne e schede elettorali dagli edifici del governo a Barcellona, materiale che lo stesso governo aveva tenuto nascosto per settimane. In altre parole: non c’è dubbio che il governo e la maggioranza parlamentare catalani abbiano agito al di fuori della legge.

Il presidente catalano Carles Puigdemont e i deputati della maggioranza parlamentare applaudono dopo l’approvazione della “legge del referendum”, quella relativa al referendum sull’indipendenza della Catalogna che si è tenuto l’1 ottobre. I deputati della minoranza avevano lasciato i loro scranni prima della votazione, sostenendo che il Parlamento stesse agendo in violazione della legge catalana. Barcellona, 6 settembre 2017 (LLUIS GENE/AFP/Getty Images)

Gli indipendentisti sostengono che forzare il regolamento fosse l’unico modo per dare la possibilità al popolo catalano di decidere sulla questione dell’indipendenza. Lo stesso Puigdemont ha ammesso che avrebbe preferito avere una maggioranza più ampia, ma non c’erano le condizioni. L’opposizione ha denunciato in più occasioni che i diritti dei parlamentari catalani erano stati violati, con la complicità della presidente del Parlamento, l’indipendentista Carme Forcadell.

L’1 ottobre è successo un po’ di tutto: nonostante lo scetticismo generale, il governo catalano è riuscito a tenere nascoste le urne e le due grandi organizzazioni indipendentiste ANC e Ómnium si sono occupate di mobilitare migliaia di persone per garantire l’apertura dei seggi. Il governo spagnolo ha risposto mandando agenti della Guardia civile e della Polizia nazionale ai seggi, per sequestrare le urne e le schede elettorali, dopo che la polizia catalana, i Mossos d’Esquadra, avevano mostrato di non voler collaborare più di tanto. Le immagini delle cariche della polizia, e quelle dei civili feriti, sono circolate parecchio, provocando moltissime critiche. Di nuovo, il giornalista Jordi Évole ha scritto:

«Con la testa, molti catalani se n’erano già andati dalla Spagna. Oggi Rajoy ha ottenuto che diventassero di più. Ieri molti cittadini contrari all’indipendenza hanno provato una enorme repulsione per quello che stavano vedendo. Non dico che siano diventati indipendentisti, però sono sicuro che abbiano desiderato “indipendizzarsi” da questa Spagna, che sembra che provi piacere a massacrare la Catalogna. Per fortuna, ce n’è un altro pezzo che sta andando in piazza per mostrare la sua solidarietà»

Gli indipendentisti sono stati accusati di avere diviso la società catalana, di avere provocato nuove tensioni dentro alle famiglie, nei gruppi di amici, nelle scuole. Il dibattito politico sull’indipendenza è diventato così intenso – annullando temporaneamente tutte le altre questioni – anche perché per molti è diventato una questione legata ai diritti fondamentali degli individui. Mariam Tey, della SCC, ha detto al Post: «Più che una lotta tra Spagna e Catalogna, o tra catalani, è diventata una lotta per la difesa dei diritti individuali. Il governo si introduce continuamente nel nostro spazio privato, ci chiede cosa pensiamo e cosa sentiamo. È un regime totalitario, senza violenza finora, però totalitario». Gli indipendentisti sostengono che il governo spagnolo stia negando al popolo catalano il diritto all’autodeterminazione, e quindi dicono di essere loro i discriminati: rivendicano il fatto che la stragrande maggioranza dei catalani vorrebbe un referendum legale, quindi concordato con lo stato (una convinzione sostenuta dai sondaggi realizzati negli ultimi anni). Dicono che se vincesse il no accetterebbero il risultato del referendum, scioglierebbero il Parlamento e convocherebbero nuove elezioni.

L’intervista di al Jazeera a Puigdemont prima del referendum dell’1 ottobre. Puigdemont dice che il suo governo si sta preparando per l’eventualità che la Catalogna diventi uno stato indipendente, che se vincesse il no lui si dimetterebbe il giorno successivo e convocherebbe nuove elezioni, e che riterrebbe una vittoria personale anche solo il fatto di tenere un referendum, al di là del risultato finale, nonostante lui sia indipendentista «da tutta la vita»

È difficile vedere una via d’uscita a questa situazione. Da anni si fa riferimento al conflitto tra governo spagnolo e governo catalano come uno “scontro di treni”, qualcosa che prima o poi sarebbe successo e da cui sarebbe stato molto complicato uscire: quel momento, probabilmente, è arrivato con il referendum dell’1 ottobre.
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Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » dom ott 22, 2017 6:32 am

Non è la legalità spagnola che conta ma quella catalana e la volontà del popolo catalano.
I catalani dovrebbero incominciare la resistenza civile, politica, fiscale-finanziaria, anagrafica in ogni luogo della Catalogna.

I catalani dovrebbero iniziare uno sciopero generale ad oltranza, e autodenunciarsi in massa facendo la fila presso le procure spagnole dichiarando che loro non sono spagnoli ma catalani, che non riconoscono la costituzione spagnola ed alcuna autorità spagnola in Catalogna; poi dovrebbero organizzarsi in milizie civiche nonviolente di paese e di quartiere e difendere i presidi della polizia catalana, dovrebbero ostacolare in ogni modo i movimenti della polizia e dell'esercito spagnolo e prepararsi alla legittima difesa qualora l'invasore spagnolo adoperasse la violenza.
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Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » dom ott 22, 2017 8:18 am

DiarioCatalano - scrivere la storia

https://www.facebook.com/profile.php?id=100008286305188
https://www.facebook.com/hashtag/diario ... 1538807703

Il Presidente della Generalitat de Catalunya ha appena terminato il suo discorso in diretta televisiva, trasmesso da quelle a rete pubblica catalana, TV3, che il governo spagnolo ha posto fra i suoi target "militari" -oggi il principale sindacato, la CCOO, ha denunciato la presenza di uomini armati in borghese, con tutta probabilità agenti spagnoli, infiltrati fra i dipendenti della televisione-.

Puigdemont ha parlato per poco più di dieci minuti, alternando il catalano al castigliano e all'inglese -quest'ultimo sottotitolato per gli spettatori-.
Il Presidente, come nei suoi precedenti interventi analoghi, ha dapprima ricostruito il contesto che stiamo attraversando, non senza ricordare alcune tappe delle vicende storiche catalane e spagnole: ad esempio sottolineando che la Generalitat de Catalunya precede amplissimamente la Costituzione spagnola del 1978 e la stessa parabola tragica del franchismo.

Puigdemont ha detto che quanto sta minacciando il governo spagnolo -decapitazione totale dell'autogoverno catalano- è inaccettabile e contrario ai principi democratici, nonché alla stessa costituzione spagnola.
Per questo motivo, forte del mandato democratico ottenuto nelle elezioni autonomiche 27 settembre 2015, egli si accinge a chiedere la convocazione di una sessione plenaria straordinaria del Parlamento catalano, prevista per i prossimi giorni, per dar seguito alle necessarie deliberazioni -chiaramente il riferimento è all'attuazione dell'indipendenza-

VilaWeb ha già anticipato in esclusiva che la seduta parlamentare dovrebbe tenersi venerdì 27 ottobre, in concomitanza con la sessione del Congresso spagnolo convocata per approvare le misure golpiste, ai sensi dell'articolo 155 della Costituzione spagnola.

In lingua castigliana, Puigdemont si è rivolto subito dopo ai democratici si Spagna, invitandoli a non restare fermi di fronte alla minaccia del governo di Madrid, poiché essa si ritorcerà anche contro di loro.
Infine, in inglese, il Presidente si è rivolto ai concittadini europei, definiti "sorelle e fratelli d'Europa", affinché comprendano il senso della lotta democratica catalana: essa si inserisce nel solco della battaglie combattute nella storia del continente per superare le tirannie.

I giorni che verranno saranno probabilmente i più complicati, tesi e intensi cui ci è stato dato di assistere nel corso di questa rivoluzione democratica.
La nascita di una Repubblica sta per compiersi.


Dead men walking

La mossa di Rajoy sta già cominciando a rivelarsi per quello che è: molto peggio che un bluff giuridico-politico, bensì un vero e proprio suicidio di stato. Un suicidio i cui attori sono molteplici: Rajoy stesso, ormai sempre più percepito -anche da chi non ha il coraggio di dirlo apertamente, come il presidente del Consiglio Europeo, Tusk- come una specie di piccolo Erdogan iberico; il PP, partito nato dalla neofranchista Alleanza Popolare, trasformatosi oggi nel coagulo autocratico che sta portando la Spagna dritta verso la più grande crisi costituzionale dal 1978; la monarchia borbonica, incapace di svolgere il benché minimo ruolo di mediatrice fra le diverse anime del regno, come ha rivelato in modo cristallino anche un dettaglio linguistico del discorso televisivo del Re Filippo VI: nessuna parte di esso tenuta in catalano, perchè per il Re la Catalogna è qualcosa a metà fra una colonia e un'anomalia incomprensibile -e infatti un editoriale odierno del New York Times ha chiesto al Re stesso di abdicare, trasformando la monarchia spagnola in una repubblica-.

Ma c'è un altro soggetto che pare aver scelto la strada dell'harakiri, invece di quella della razionalità e della democrazia. Questo soggetto è il PSOE, il vecchio partito socialista spagnolo che da ieri, dopo l'annuncio di dare appoggio incondizionato all'applicazione golpista dell'articolo 155 della Costituzione, ha cominciato a perdere pezzi in tutti i Paesi Catalani. Si stanno infatti moltiplicando le dimissioni di nomi importanti dagli organi direttivi del partito, inclusi alcuni sindaci catalani che non avevano sostenuto il referendum del 1º di Ottobre.

Nel frattempo la stampa mondiale, prendendo atto della strada intrapresa dal governo Rajoy, avvisa delle conseguenze devastanti che tale percorso può riservare. In fondo, se vogliamo ipotizzare un semplice scenario per venerdì prossimo, basta pensare a cos'è successo il giorno del referendum: in tantissimi seggi sono state sufficienti poche centinaia di persone, in molti casi soltanto alcune decine, per far andare in panne la macchina repressiva messa in moto da Madrid. Ora, considerato che i luoghi sensibili da proteggere, da parte della cittadinanza, venerdì 27 Ottobre, si conteranno sulle dita di poche mani, immaginate quante migliaia di persone si troveranno di fronte i poliziotti spagnolisti. Contro un muro umano di decine di migliaia di manifestanti che saranno scesi in strada, in modo organizzato, a difesa per esempio del Parlamento della Catalogna, cosa potranno fare le truppe golpiste? Spingere? Sparare? Ma stiamo scherzando?

Se, il 1º di Ottobre, un migliaio di feriti per la gran parte fortunatamente lievi -sia chiaro, lo dico con il massimo rispetto per loro-, è stata sufficiente per gettare discredito mondiale su Rajoy, cosa succederebbe se ci fossero morti in un assalto paramilitare al Parlamento di Barcellona? C'è qualcuno davvero disposto a credere che uno scenario del genere lascerebbe le teste di struzzo eurocomunitarie mute? O addirittura schierate aprioristicamente a difesa della ridicola teoria dell'"affare interno spagnolo"? Ripeto: non scherziamo.

Chiudo con una nota che dimostra quanto avevo già anticipato -pur non avendo io, purtroppo, alcuna competenza di hacking e di programmazione-: fra ieri e oggi la cyberguerriglia, condotta da Anonymous nell'ambito dell'Operazione Catalogna, ha fatto crashare almeno una decina di siti istituzionali spagnoli, fra cui quello del Tribunale Costituzionale per quasi un giorno intero, e poi quelli di vari ministeri, quello del PP e anche quello della Fondazione Francisco Franco (sì, quando vi dico che in Spagna il franchismo è vivo e vegeto non è un'esagerazione, ma una realtà giuridica, politica e persino istituzionale). Pensate a cosa accadrebbe se gli hackers internazionali se la prendessero con siti strategici in ambiti logistici: "Pobre España", come dice l'hashtag che sta circolando impetuoso da ieri, dopo l'annuncio del golpe Rajoy.

Prima che mi dimentichi, ve l'ho già detto che il Lehendakari (primo ministro) dei Paesi Baschi ha espresso ufficialmente pieno appoggio alla decisione di Puigdemont di resistere contro l'applicazione dell'articolo 155?
Quando la Spagna si risveglierà dalla sua ubriacatura di (im)potenza, forse capirà che gli uomini da arrestare per sedizione sono coloro che oggi la governano. Ma sarà probabilmente già troppo tardi. La nascita della Repubblica Catalana è già nei fatti.
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Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » lun ott 23, 2017 6:46 am

???

I musulmani nel referendum spagnolo
ottobre 21, 2017
Rodolfo Casadei

http://www.tempi.it/catalogna-islamizza ... e1y8DBx2jI

Così lo zelo antispagnolo ha spinto gli indipendentisti e la sinistra radicale a gonfiare l’enclave musulmana in Catalogna. Per di più corteggiando la gente sbagliata. Come dimostra la strage di Barcellona

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola .Secondo l’Ucide, Unione delle comunità islamiche di Spagna, alla fine del 2016 nel paese di re Felipe V vivevano 1.919.141 musulmani, pari al 4 per cento di tutta la popolazione. Di quei quasi due milioni di musulmani 515.482 risiedevano in Catalogna, regione dove vivono 7 milioni e 523 mila persone. Questo significa che in Catalogna i musulmani rappresentano il 6,4 per cento della popolazione, mentre nel resto della Spagna sono il 3,58 per cento: la densità dei musulmani in Catalogna è quasi il doppio di quella nel resto della Spagna.

Secondo i dati più recenti, nel paese iberico esistono 1.264 luoghi di culto islamici (moschee e sale di preghiera), 109 dei quali possono essere indicati come aderenti alla tendenza salafita, cioè l’interpretazione fondamentalista dell’islam che in molti casi è risultata propedeutica all’adesione da parte di molti al jihadismo e alle organizzazioni del terrorismo islamista. Secondo dati incrociati della polizia spagnola e di quella catalana, delle 109 moschee di tendenza salafita censite su tutto il territorio spagnolo ben 79 sorgono in Catalogna, dove i luoghi di preghiera islamici sarebbero 256. Nella comunità autonoma governata dagli indipendentisti di Carles Puigdemont una moschea su tre sarebbe salafita, mentre nel resto della Spagna solo una su 30. Nel 2006 le moschee salafite in Catalogna erano 36: in dieci anni sono più che raddoppiate.

E non abbiamo ancora detto tutto. Gli spagnoli convertiti all’islam risultano essere circa 70 mila, 20 mila dei quali si sono convertiti negli ultimi sei-sette anni. Di costoro, 7 mila sono catalani. Secondo l’Observatorio islamico de Perpignan, il 70 per cento dei 7 mila convertiti catalani proviene dalla sinistra radicale della Cup e dalla sinistra indipendentista storica dell’Erc, due dei tre principali partiti catalani che hanno promosso il referendum secessionista dell’1 ottobre (l’altro è il PdeCat di Puigdemont, erede del centrista CiU). Sommati insieme questi due partiti non raccolgono più del 20-25 per cento dei voti in una normale elezione catalana.
Guardia civil ritiene che il 40 per cento di questi 7 mila convertiti sia esposto a un processo di radicalizzazione, e che il 5 per cento di questi ultimi (cioè circa 140 persone) rappresenti una minaccia reale per la sicurezza dello Stato.

Un vuoto da riempire
La Catalogna è stata colpita dal terrorismo jihadista il 17 e 18 agosto scorsi, con gli attentati di Barcellona e di Cambrils che hanno causato 16 morti innocenti. Prima di allora erano stati sventati attacchi imminenti nell’aprile 2015, quando la polizia catalana aveva arrestato 11 terroristi (cinque dei quali spagnoli convertiti all’islam), nel 2008 quando furono bloccati undici jihadisti (nove dei quali pakistani) che volevano compiere attentati suicidi nella metropolitana di Barcellona, e nel 2006 quando l’operazione Sciacallo portò all’arresto di 20 jihadisti nei pressi di Tarragona, in seguito prosciolti a causa di errori di forma nell’inchiesta.

I dati di fatto di cui sopra, compreso il terreno fertile nel quale sono maturati attentati terroristici riusciti e sventati, sono il prodotto delle politiche dei partiti pro-indipendentisti che hanno governato la Catalogna negli ultimi vent’anni, e della militanza ideologica della sinistra antisistema che si raccoglie nella Cup. Gli uni e l’altra hanno favorito l’islamizzazione della Catalogna in funzione antispagnola, per di più corteggiando le persone sbagliate all’interno della comunità musulmana. Come ha scritto tempo fa Luis del Pino su Libertad Digital: «La politica di immersione educativa in catalano e la marginalizzazione del castigliano hanno agito da freno all’immigrazione proveniente dai paesi latinoamericani. Se sei peruviano e vuoi lavorare in Spagna, perché complicarti la vita andando in un posto dove obbligano te e i tuoi figli a imparare una nuova lingua? Meglio andare altrove. Questo fenomeno ha creato un vuoto in Catalogna e i posti di lavoro che non sono occupati da immigrati latinoamericani tendono ad essere coperti da immigrati di altri paesi, principalmente nordafricani e pakistani. E non solo gli immigrati latinoamericani si sono trovati dissuasi dall’andare in Catalogna, ma il governo regionale ha adottato una politica intenzionalmente orientata a premiare l’immigrazione proveniente dal Marocco». Esecutore esemplare di questa politica è stato Angel Colom, che nel 1996 lasciò Erc per approdare a CiU, il partito che ha quasi sempre governato la Catalogna. Di lì a poco fu nominato responsabile dell’immigrazione del Cdc (uno dei due partiti federati in CiU), presidente della Fondazione Nuovi Catalani e ambasciatore ufficioso della Generalitat in Marocco. In questa veste costui ha incoraggiato l’immigrazione marocchina in Catalogna, ha stretto rapporti con le comunità islamiche nella regione allo scopo di guadagnarle alla causa indipendentista, ha visitato un gran numero di moschee dove ha spiegato che nella Catalogna indipendente per gli immigrati sarebbe diventato più facile ottenere la piena cittadinanza. In un’occasione Colom ha dichiarato a El País nel 2012: «Non si può costruire uno stato catalano senza la partecipazione dei catalano-marocchini».

Nel 2014 il governo catalano ha approvato un Piano Marocco 2014-2017 col quale di fatto offriva al governo di Rabat il controllo dell’islam in Catalogna e prometteva di introdurre l’insegnamento dell’arabo e del tamazigh in orario scolastico e di far votare gli immigrati alle elezioni.

In occasione del referendum consultivo sull’indipendenza del 2014 i nazionalisti catalani hanno proposto ai musulmani di istituire seggi per il voto presso le moschee, e in alcuni casi hanno incontrato risposte positive. Alla vigilia del referendum del 1° ottobre scorso la Commissione islamica, massimo organo di rappresentanza dei musulmani in Spagna, ha diffidato le moschee catalane dall’ospitare iniziative filo-indipendentiste, consapevole delle conseguenze negative che avrebbe avuto per la presenza dell’islam in Spagna.

«Noi conquisteremo municipi»
Per portare avanti il loro programma gli indipendentisti si sono appoggiati a personaggi equivoci. Per un certo periodo braccio destro di Colom è stato l’imam Noureddin Ziani, presidente dell’Unione dei centri culturali islamici in Catalogna, organizzazione che aveva sede negli stessi locali della Fondazione Nuovi Catalani. Nel 2013 Ziani è stato espulso dalla Spagna su istanza dei servizi segreti, accusato di spionaggio e di complicità con l’islam radicale. Ziani era infatti molto legato a Mohamed Attaouil, fondatore di una moschea nei pressi di Girona nota come punto di riferimento dei salafiti radicali di tutta Europa, e di Abdelwahab Houizi, imam a Lerida noto per essere stato registrato mentre teneva il seguente discorso ai suoi correligionari a proposito degli indipendentisti: «Loro si appoggiano a noi per ottenere voti, ma non sanno che quando ci lasceranno votare voteremo tutti per i partiti islamici, perché noi non siamo né di destra né di sinistra. Noi conquisteremo municipi, e a partire da lì, grazie alle competenze dell’autonomia, cominceremo a impiantare l’islam». Il 15 novembre 2012 Houizi interveniva pubblicamente insieme a Noureddin Ziani e ad altri imam radicali, fra i quali Mohamed et-Takkal, responsabile della moschea Al Forkan di Villanueva y Geltrú, successivamente espulso dalla Spagna a causa del suo estremismo, a un evento promosso dalla Fondazione Nuovi Catalani a Barcellona. La moschea di Villanueva y Geltrù era ben conosciuta da Abdelbaki Es Satty, l’imam di Ripoll ucciso il 16 agosto scorso dalla esplosione delle bombole del gas con le quali stava preparando un attentato contro la Sagrada Familia. Es Satty utilizzava la moschea Al Forkan come base di reclutamento e di indottrinamento di combattenti che venivano inviati a combattere in Iraq al tempo dell’occupazione anglo-americana, e più recentemente in Siria e Iraq per conto dell’Isis e altri gruppi estremisti. Risiedeva, almeno fra il 2003 e il 2005, nello stesso appartamento dell’imam Mohamed Mrabet, poi arrestato nel contesto dell’operazione Sciacallo, e dove soggiornò anche Belgacem Bellil, l’algerino che nel novembre 2003 si lanciò con un camion carico di esplosivo contro la base dei carabinieri italiani a Nassiriya. I terroristi che gravitavano sulla moschea di Al Forkan sono inoltre coinvolti negli attentati di Madrid e Casablanca del 2003. Nonostante tutto ciò, ancora nel maggio di quest’anno l’Asamblea nacional catalana (Anc), un’importante organizzazione indipendentista, ha promosso un evento propagandistico rivolto ai musulmani proprio nella moschea di Al Forkan.

Perché diventare salafiti
Mrabet, arrestato nel 2006 e condannato nel 2009, è stato assolto in Cassazione insieme a cinque compagni nel 2011. Suo avvocato era Jaume Asens, vicesindaco di Barcellona e uno dei fondatori di Podemos, eletto nelle liste di Barcelona en Comù. Asens è stato anche un dirigente della Ong specializzata in problemi della casa creata da Ada Colau, sindaco di Barcellona. Altro esponente politico della sinistra radicale catalana specializzato nella difesa di musulmani accusati di terrorismo è Benet Salellas, che ha ottenuto l’assoluzione di un sodale di Mrabet ed è membro del parlamento catalano per conto della Cup.

Così spiega le conversioni di estremisti di sinistra catalani all’islam salafita lo studioso Vicente Salafranca: «La Spagna per loro è la patria del cattolicesimo, dei grandi eroi esaltati da alcuni storici, eroi che forgiarono la loro leggenda attraverso la fede in Cristo. Rinunciare al cattolicesimo per loro è un modo di rinunciare alla Spagna. Effettivamente molti di loro si sono fatti musulmani per odio verso le tradizioni spagnole».
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Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » lun ott 23, 2017 7:59 pm

La Catalogna vuole anticipare Rajoy: giovedì pronta alla dichiarazione di indipendenza
Luca Veronese
2017-10-23

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/20 ... 2045.shtml

I nazionalisti catalani hanno deciso di votare la dichiarazione unilaterale di indipendenza giovedì nella seduta dell’Assemblea regionale, anticipando così di un giorno il commissariamento della regione da parte dello Stato spagnolo. Fonti vicine ai vertici della Sinistra repubblicana, il partito indipendentista guidato da Oriol Junqueras, che forma la coalizione di governo a Barcellona, spiegano infatti che «la Generalitat dopo avere proposto una tregua e un nuovo dialogo, dopo aver chiesto una mediazione internazionale per avviare una trattativa con Madrid, di fronte al muro di Mariano Rajoy e del suo governo non ha ormai altra scelta che proseguire nel percorso verso l’indipendenza, facendo valere i risultati del referendum del primo ottobre quando oltre due milioni di catalani hanno votato a favore della secessione».


La via stretta della Catalogna tra politica e diritto

Appuntamento a giovedì
I separatisti della Catalogna hanno messo in calendario una seduta del Parlament, l’Assemblea regionale nella quale hanno la maggioranza, giovedì alla vigilia della messa sotto tutela della regione da parte del governo di Madrid. Sabato scorso il governo spagnolo - sostenuto anche dai Socialisti - ha avviato la procedura per attivare l’articolo 155 della Costituzione, che permette a Madrid di «usare tutte le misure necessarie» per ricondurre alla legalità la regione «nell’interesse generale della spagna» e che di fatto permette quindi di azzerare l’autonomia di Barcellona: Rajoy ha annunciato che il presidente catalano Carles Puigdemont e tutti i componenti della giunta regionale saranno rimossi, che Madrid prenderà il controllo delle istituzioni pubbliche, incluse le forze di polizia e i media locali. E che in catalogna si terranno entro sei mesi nuove elezioni per rinnovare il Parlament.


Catalogna, Tajani: «Nessun Paese Ue la riconoscerà»

Venerdì toccca al Senato di Madrid
Per Barcellona quello di Rajoy è un «colpo di Stato del tutto illegale», tanto che la seduta convocata giovedì da Puigdemont e dai suoi, potrebbe durare fino a venerdì, quando il Senato spagnolo sarà chiamato a dare via libera alle misure previste da Rajoy per la Catalogna. E sempre secondo fonti vicine alla Genaralitat catalana, gli indipendentisti starebbero definendo gli ultimi dettagli di «un piano di disobbedienza»: dopo aver dichiarato la Catalogna indipendente dalla Spagna, sono intenzionati a continuare la battaglia, ufficio per ufficio, funzione per funzione, sfidando ancora l’autorità statale e le leggi spagnole, rifiutandosi di sottostare a ordini che «vengono da uno Stato diverso dal nostro».

La situazione è tuttavia ancora fluida e - senza clamori, in modo informale - continuano anche i tentativi di arrivare a una soluzione politica concordata, guardando a una riforma più generale delle autonomie e dei rapporti tra lo Stato e le amministrazioni regionali. Puigdemont dovrebbe partecipare personalmente alla seduta del Senato, forse mercoledì, per esprimere la posizione della Generalitat. E quello potrebbe essere l’ultimo spazio utile per intavolare una forma di dialogo.

Gli indipendentisti potrebbero anche decidere, è questa la linea dura della sinistra estrema che appoggia il governo di Puigdemont, di boicottare le elezioni imposte da Rajoy, avviando una fase di caos e conflitto continuo ancora più grave di quella vissuta fin qui dalla Catalogna.

Madrid: sabato stop all’autonomia catalana. Due giorni per un negoziato in extremis

I sondaggi premiano gli indipendentisti
Gli indipendentisti oggi non hanno una maggioranza certa nella popolazione catalana ma hanno la maggioranza nell’Assemblea regionale. Gli anni della lunga crisi economica avevano fatto aumentare il consenso per la secessione senza mai sfondare chiaramente la soglia del 50% della popolazione. Il referendum del primo ottobre - «illegale» secondo la legge spagnola e avversato in tutti i modi da Rajoy - ha dato tuttavia una nuova spinta agli indipendentisti soprattutto a causa dell’intervento violento della polizia contro i catalani ai seggi. Secondo gli ultimi sondaggi - realizzati da Gesop per El Periodico de Catalunya tra il 16 e il 19 ottobre - in caso di elezioni, i partiti indipendentisti raggiungerebbero il 48% dei voti e avrebbero di nuovo la maggioranza nel Parlament con almeno 70-73 seggi sui 135 totali. A guadagnare peso sarebbe la Sinistra repubblicana di Oriol Junqueras, mentre il centro-destra del PDeCAT guidato da Puigdemont e prima di lui da Artur Mas e di Jordi Pujol, uscirebbe molto ridimensionato.

Riconoscere la Catalogna, boicottare la Spagna e comprare solo prodotti catalani
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Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » mer ott 25, 2017 10:05 pm

Il presidente catalano Carles Puigdemont non andrà a parlare al Senato spagnolo
mercoledì 25 ottobre 2017

http://www.ilpost.it/2017/10/25/puigdem ... ticolo-155

Il presidente catalano Carles Puigdemont ha deciso di non intervenire al Senato spagnolo in merito all’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, ovvero quell’articolo che permette allo stato spagnolo di costringere una Comunità autonoma (come la Catalogna) a rispettare la legge. Negli ultimi due giorni si era parlato della possibilità che Puigdemont si presentasse in Senato per cercare di dissuadere i parlamentari spagnoli dall’applicazione dell’articolo 155. Oggi il governo catalano ha però confermato che non ci sarà alcuna visita: secondo il giornale catalano Nacional, Puigdemont avrebbe rinunciato perché ritiene che il governo spagnolo abbia già deciso di applicare l’articolo 155 e non abbia alcuna intenzione di tornare sui suoi passi.

Giovedì sera ci sarà una seduta del Parlamento catalano, convocata formalmente per discutere di come porsi di fronte all’applicazione dell’articolo 155: molti credono però che la seduta sarà usata da Puigdemont e dalla maggioranza parlamentare che lo sostiene per dichiarare l’indipendenza della Catalogna. Venerdì invece dovrebbe tenersi la votazione definitiva al Senato spagnolo relativa alle misure decise nell’ambito dell’articolo 155.


Rajoy, 155 'unica risposta possibile' a Puigdemont - Europa

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2 ... 4a45a.html

La coalizione indipendentista Junts Pel Si (JpS) che appoggia il presidente Carles Puigdemont chiede che la 'repubblica catalana sia proclamata durante la sessione del Parlament di domani e venerdì, stando a un documento interno citato dalla stampa di Barcellona. Il Govern di Puigdemont è diviso fra repubblica e elezioni anticipate, secondo diversi media. Non è chiara a momento la posizione del vicepresidente Oriol Junqueras, uomo forte del governo.

L'attivazione dell'articolo 155 della costituzione e il commissariamento della Catalogna sono "l' unica risposta possibile" alla sfida indipendentista del presidente catalano Carles Puigdemont, ha detto il premier spagnolo Mariano Rajoy davanti al Congresso dei deputati. L'applicazione del 155, ha affermato rispondendo a una interrogazione, deve ripristinare la legge e l'ordine costituzionale in Catalogna.

La coalizione indipendentista Junts Pel Si (JpS) che appoggia il presidente Carles Puigdemont chiede che la 'repubblica catalana sia proclamata durante la sessione del Parlament di domani e venerdì, stando a un documento interno citato dalla stampa di Barcellona. Il Govern di Puigdemont è diviso fra repubblica e elezioni anticipate, secondo diversi media. Non è chiara a momento la posizione del vicepresidente Oriol Junqueras, uomo forte del governo.

La città di Girona ha dichiarato "persona non grata" re Felipe VI di Borbone dopo le dure prese di posizione del capo dello Stato sulla crisi catalana e il duro commissariamento annunciato dal premier spagnolo Mariano Rajoy. In una mozione approvata dal consiglio comunale riferisce Punt Avui è stato dichiarato persona non grata anche il prefetto spagnolo in Catalogna Enric Millò. Il sindaco Marta Madrena ha denunciato la "umiliazione" che Madrid vuole imporre ai catalani.



Catalogna, Spagna non ci ha dato scelta
Junqueras, da Madrid nessun'alternativa a repubblica
25 ottobre 201718:47

http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews ... a7820.html

(ANSA) - BARCELLONA, 25 OTT - La Spagna non ha lasciato ai separatisti catalani "nessuna alternativa" alla proclamazione di una nuova repubblica. Lo ha detto all'Associated Press il vice presidente catalano Oriol Junqueras (Erc). Parlando del suo partito Esquerra Republicana de Catalunya (Erc), lo storico partito indipendentista catalano di sinistra alleato del PdeCat del presidente Carles Puigdemont, Junqueras ha detto che "continuerà a lavorare per costituire una Repubblica, perché abbiamo un mandato democratico per costituire una Repubblica di questo tipo".
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Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » gio ott 26, 2017 6:55 am

D come Dialogo, D come Dictadura

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 8286305188

Una piccola premessa: l’articolo 155 della Costituzione spagnola, in forza del quale il governo Rajoy vorrebbe decapitare l’autogoverno della Catalogna, prevede una complessa procedura parlamentare. Per arrivare, infatti, all’approvazione, da parte del Senato spagnolo, delle misure stabilite dal governo di Madrid, è necessario passare attraverso alcune fasi dibattimentali. Fra queste, è prevista anche la comparizione del Presidente della regione autonoma “sotto accusa” -nel nostro caso, la Generalitat de Catalunya, in persona di Carles Puigdemont-.

Sebbene la procedura prevista dall’articolo 155 rappresenti già di per sé, per l’appunto, una sorta di messa in stato d’accusa nei confronti di una comunità territoriale, la possibilità di difendere le proprie ragioni, riconosciuta al relativo Presidente, è considerata come una sorta di disponibilità al dialogo. Quindi, sempre tornando al nostro specifico caso, la maggior parte degli osservatori ha pensato che sarebbe stato giusto, da parte di Puigdemont, recarsi a Madrid per esporre le ragioni della Catalogna.

La stessa cosa, del resto, l’ha pensata anche lui, il nostro Puigdemont. Proprio lui, infatti, ha sempre predicato il dialogo. Come avrebbe potuto, adesso, nel momento più teso del confronto ispano-catalano, tirarsi indietro? Proprio adesso che l’opinione pubblica mondiale ha capito che è la Catalogna che tende la mano, mentre è Madrid a voltare la schiena.

Ma.
Ma, proprio quando Puigdemont aveva detto che sì, sarebbe andato al Senato spagnolo per esporre e difendere le ragioni della Catalogna, ecco che il vecchio, intramontabile, direi quasi genetico spirito franchista del Partido Popular è tornato a manifestarsi. Prepotentemente.
Cos’è successo? Ve lo spiego.

Subito dopo che da Barcellona è stato reso noto, ai rappresentanti del Senato madrileno, che il Presidente catalano Puigdemont avrebbe accettato di presenziare, nell’ambito della procedura prevista dall’articolo 155, l’entourage di Rajoy ha iniziato a manifestare nervosismo. Molto nervosismo. Puigdemont avrebbe parlato a Madrid in diretta TV, con tutta la stampa mondiale in prima fila. Pensate che questo avrebbe fatto piacere a quel democratico di Rajoy? A quell’anima nerissima di Soraya Saenz de Santamaria? Non scherziamo.

E infatti.
E infatti, ben sapendo che in Catalogna era in procinto di essere convocata la seduta plenaria del Parlamento, organizzata per rispondere all’eventuale approvazione delle misure autoritarie disposte da Rajoy, seduta alla quale ovviamente parteciperà anche Carles Puigdemont, ecco che i rappresentanti senatoriali hanno cominciato a mettere i bastoni fra le ruote alla comparizione del presidente catalano. Dall’iniziale invito per mercoledì (oggi), hanno detto che avrebbe dovuto parlare giovedì (domani), nel tardo pomeriggio, e poi no, forse lo avrebbero costretto a parlare addirittura venerdì. Tutto appositamente studiato per impedire a Puigdemont di presenziare anche a Barcellona, rendendo di fatto impossibile la seduta del Parlamento catalano.

E allora.
E allora Puigdemont questo pomeriggio, dopo molti ragionamenti e confronti con il proprio Governo, ha deciso che non andrà al Senato di Madrid. E ha spiegato che non ci andrà perchè si è reso conto che, in quella sede, non c’è nessuna intenzione di dialogare: è tutto già deciso. Rajoy non vuole il dialogo; vuole instaurare una dittatura in Catalogna.

Parole grosse?
No. Nonostante Pablo Iglesias, leader di Podemos e grande fautore del dialogo, abbia criticato l’odierna scelta di Puigdemont, è stata proprio una senatrice catalana del suo partito, Celia Cánovas, a smentirlo, lanciando due messaggi quasi disperati, uno audio e uno video, pochi minuti fa, direttamente dal palazzo senatoriale. La rappresentante di Podem -sezione catalana di Podemos- ha detto testualmente: “Ciò che sta succedendo al Senato è un’autentica dittatura [...] tutto è deciso e si approverà tal quale indicato nella petizione del governo, non accettano nessuna modifica, la dittatura del PP e del PSOE è stata instaurata [...] utilizzano il Senato come proprio regno personale”.
Considerato che Celia Cánovas è una stimata avvocatessa, possiamo giudicare queste sue parole decisamente forti e gravi, e soprattutto fondate.
Ha ragione Puigdemont. La Spagna non vuole dialogo, vuole imporre la sua dittatura.

La Catalogna però, grazie al cielo, si sta preparando. Non siamo più nel 1937, siamo nel 2017. E’ ora di farlo capire anche ai tiranni.
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Re: Catalogna, indipendenza e Islam in Catalogna

Messaggioda Berto » gio ott 26, 2017 9:08 pm

Catalogna: Puigdemont non convoca elezioni anticipate. Madrid chiede attivazione dell'art.155
2017/10/26

http://www.repubblica.it/esteri/2017/10 ... -179385860

BARCELLONA - Puigdemont non convoca le elezioni anticipate. Avrebbe dovuto parlare alle 13.30, poi un'ora dopo, infine l'attesa dichiarazione del presidente della Catalogna è stata spostata alle 17 nella Galeria Gòtica del Palau, sede del governo regionale.

Ha preso tempo, ha aspettato, ha tentato un dialogo. "L'applicazione dell'articolo 155 è abusiva e ingiusta, non accetto le misure che il governo di Madrid ha adottato", ha detto infine il presidente catalano. E Madrid ha chiesto l'attivazione dell'articolo 155. "Per far fronte a una situazione estremamente grave in cui lo Stato di diritto ha strumenti eccezionali. Ciò che prevede l'articolo 155 non esiste solo in Spagna", ha spiegato al Senato la vicepremier spagnola Soraya Saenz de Santamaria.

Al Senato spagnolo, la vicepremier spagnola Soraya Saenz de Santamaria (nella foto) ha chiesto l'attivazione dell'art. 155 per "ristabilire l'esercizio dell'autogoverno catalano in un quadro costituzionale" e "tutelare l'interesse generale della Spagna". Il delegato del governo catalano a Madrid Fernand Mascarell non è stato autorizzato a intervenire davanti alla Commissione del senato spagnolo perché, ha spiegato lui stesso, non è considerato membro del governo catalano

Nella sua breve dichiarazione, il presidente Puigdemont ha spiegato come fosse "il mio dovere tentare tutte le vie per trovare una soluzione dialogata e concordata per evitare l'applicazione dell'articolo 155". "Avrei indetto le elezioni se vi fossero state le garanzie, ma queste garanzie" da parte di Madrid "non ci sono". Puigdemont ha parlato di un atteggiamento "vendicativo" da parte del governo spagnolo. Ha quindi lasciato cadere la palla. "Sarà il Parlamento catalano a decidere se proclamare l'indipendenza dopo aver confermato che non convocherà elezioni per non aver ricevuto garanzie dal governo spagnolo" sullo stop al commissariamento della Catalogna. "Oggi - ha concluso - nulla giustifica una richiesta di elezioni regionali".

Il presidente ha quindi svelato il motivo dell'iniziale rinvio dell'annuncio della convocazione di elezioni anticipate il 20 dicembre, come anticipato dai media spagnoli. "Ho tentato di ottenere le garanzie, ma non ho ottenuto una risposta responsabile dal Pp", ha spiegato dal palazzo della Generalitat, nella sua breve dichiarazione. Ora sta al Parlament: la riunione della seduta plenaria è stata rinviata alle 18.

L'esecutivo catalano stamattina si è riunito per diverse ore alla Generalitat per cercare di delineare un accordo sulla risposta al premier Mariano Rajoy. Nel primo pomeriggio si è tenuto un vertice fra Puigdemont e il vicepresidente Oriol Junqueras a Palazzo della Generalità a Barcellona. Il partito di Junqueras, Erc, aveva minacciato di uscire dal governo se fossero state convocate le elezioni anticipate. I toni con Madrid sono sempre rimasti alti: Puigdemont ha anche inviato una lettera di nove pagine al governo centrale in cui avvertiva: "Il commissariamento è un attacco frontale alla Costituzione".

A Barcellona hanno sfilato almeno 4 mila manifestanti, in maggioranza studenti, per protestare contro Puigdemont, definito 'traditore' per aver rinunciato all'indipendenza. Decine di persone si sono radunate nella zona, accogliendo la richiesta dei leader indipendentisti di "non accettare nessuna rinuncia".

Ci sono stati scontri: diverse pattuglie della polizia spagnola hanno impedito agli agenti dei Mossos d'Esquadra di scaricare documenti da distruggere in un furgone in una discarica vicino a Barcellona. Dopo un teso a faccia a faccia, la Policia Nacional ha ottenuto un ordine di sequestro da un giudice che indaga sulla presunta 'inazione' della polizia catalana contro i seggi del referendum del 1 ottobre. I Mossos hanno consegnato il materiale.
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