http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... ale-11.jpgCap XV°
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L’indoeuropeo comune e gli altri phyla linguistici come stadio I di «homo loquens»1. Premessa
Se le conclusioni raggiunte nei precedenti capitoli fossero anche in parte corrette, la rilettura dei materiali linguistici messi a disposizione dalla linguistica comparata dovrebbe in qualche modo confermarlo.
Questi ultimi capitoli sono dedicati a questo esperimento di verifica.
Nel frattempo, tuttavia, ci siamo molto allontanati dal II millennio a.C., che avevamo raggiunto sulla base dei materiali linguistici con la TC minima. È quindi opportuno, prima di esaminare altri materiali linguistici rilevanti per la TC lunga o breve, riprendere il filo del discorso da dove lo aveamo lasciato nel IV capitolo.
1.1. Le tre conclusioni della TC minimaLe conclusioni raggiunte con la TC minima erano sostanzialmente tre:
(1)-Tre discipline, tradizionalmente del tutto separate e indipendenti — indoeuropeistica, dialettologia «moderna», e archeologia preistorica — sembrano trovarsi d’un tratto a lavorare in parallelo, e a far convergere le lenti dei loro strumenti, per la prima volta, su un campo visivo divenuto comune.
(2)-La coesistenza del Latino classico con il Latino cosiddetto volgare viene proiettata in un quadro cronologico molto più antico di quello tradizionale, e cioè fin dal II millennio.
Inoltre, invece del sincronismo, o della precedenza, del Latino classico rispetto al volgare, diventa possibile che tipi lessicali volgari precedano quelli classici, e che il Latino classico in tali casi rappresenti una fase innovativa rispetto al Latino volgare.
(3)-Non solo il Latino e le altre lingue italiche sembrano presenti in Italia già nel II millennio, ma anche altri gruppi linguistici IE nelle loro sedi storiche. Per esempio il Germanico può essere già presente nella Germania del II millennio, e almeno alcune correnti di prestiti fra area latina (non più «romanza»!) e area germanica, che la tradizione attribuisce a periodi molto più tardi, si sarebbero già verificate in epoca preistorica.
È quella che ho chiamato la «proiezione micenea».
Accettare risultati così audaci significherebbe riscrivere in buona parte la linguistica storica.
Per questo ci era sembrato necessario verificare se la teoria tradizionale, base e fondamento di tutte le nostre conoscenze storico-linguistiche, fosse suscettibile di critica e di revisione in alcune sue parti fondamentali.
È soltanto se lo fosse ci saremmo sentiti autorizzati a sciogliere le riserve sui risultati raggiunti nel quadro della TC minima, e a continuare nella direzione intrapresa.
1.2. Le nuove conclusioni teoricheOra, le conclusioni teoriche raggiunte vanno molto al di là di quello che serviva per la TC minima. Riassumiamole, collegandole con le prime.
(1)-La legge della conservazione.
La legge che governa i sistemi linguistici è quella della conservazione, non quella del mutamento.
Alla legge della conservazione obbedisce anche il rinnovamento culturo-linguistico di un lessico.
Questo permette di ricostruire, attraverso la semantica storica, l'intera preistoria umana.
(2) Il carattere etno- e sociolinguistico del mutamento linguistico strutturale.
Il mutamento linguistico non è un meccanismo organico, immanente al linguaggio, ma il risultato di processi di ibridazione fra linguemi in contatto, messi in moto da interazioni di tipo demografico, socioeconomico, etnico, più tardi politico.
Cade così il pregiudizio che i linguemi tendano a cambiare nei tempi lunghi per evoluzione interna, o nei grandi spazi, a diventare irriconoscibili in quelli lunghissimi e grandissimi.
Non c’è più ragione di escludere che un linguema nei suoi elementi di base sia rimasto intatto fin dalla sua origine, tanto più che gli elementi databili alla preistoria sono presenti in ciascun linguema.
Inoltre, le condizioni per il mutamento strutturale si verificano solo in particolari circostanze, che anche se possono iniziare con la prima diaspora e con i successivi insediamenti, diventano preponderanti solo a partire dall’età dei Metalli.
(3) L’istantaneità dei mutamenti strutturali.
Non essendo più evolutivo, il mutamento strutturale non è più inesorabile e lento, ma occasionale e istantaneo. Può essere lenta, naturalmente, la sua preparazione, cioè il raggiungimento delle circostanze che lo fanno scattare.
Non vi sono dunque tempi fissi per il mutamento linguistico, ma i suoi tempi sono quelli variabili della storia che lo determina, di volta in volta diversa.
(4) Distinzione fra «antico e moderno» e «arcaico ed innovativo».
Una lingua scritta di attestazione antica non è «madre», e non rappresenta neanche uno stadio precedente di quelle parlate moderne, ma è per definizione una variante parallela ed elitaria, quindi per di più parzialmente artificiale, che può essere sia più arcaica che più innovativa di quelle moderne.
Per definizione, tuttavia, essa è sempre posteriore alle varianti contemporanee non scritte. La sua posizione rispetto alle varianti parlate moderne non è determinata dalla data esterna delle sue attestazioni, ma dall’analisi comparata delle sue varie componenti, sia formali (fonetiche, morfologiche, sintattiche) che semantiche. Passano così in primo piano i dialetti, rispetto alle lingue scritte, antiche medievali e moderne.
(5) Autodatazione lessicale.
Liberata dalla remora catastrofista, e adottato un quadro cronologico che coincide con le origini di Homo loquens e con la sua diaspora, la linguistica storica può adottare senza alcuna riserva il metodo dell’autodatazione lessicale, con le diverse procedure di controllo illustrate, secondo cui la datazione lessicale o motivazionale coincide con la datazione della nozione designata.
(6) Cronologia.
Sulla base di diversi argomenti, siamo arrivati alla conclusione che:
(i) in termini relativi, la differenziazione linguistica del mondo deve precedere non solo quella razziale ma anche quella genetica;
(ii) il primo tipo di differenziazione linguistica è quello culturo-linguistico, non legato all’ibridazione, che si manifesta nel lessico, all’inizio stesso del linguaggio, in virtù del carattere convenzionale del linguaggio;
(iii) la prima differenziazione tipologica e areale dei phyla linguistici sembra legata alla differenziazione — ancora in Africa — fra culture dei choppers (Homo loquens Ia) e culture dei bifacciali (Homo loquens Ib);
(iv) la diaspora degli IE, degli Uralici e degli altri phyla (o macrophyla) linguistici sarebbe quindi un aspetto della diaspora di Homo loquens Ib;
(v) nella TC lunga, la diaspora europea sarebbe molto più recente (ca. 500 Kaf) di quella asiatica (oltre 1 Maf); nella TC breve, tutte e due le ondate migratorie si sarebbero verificate ca. 100 Kaf;
(vi) la difficoltà se non l’impossibilità di individuare, all’interno della documentazione linguistica, dei marcatori evidenti della differenza fra stadio isolante (Ia) e stadio flessivo (Ib), impedisce una differenziazione più netta dei due stadi.
Mentre la scelta fra TC lunga e breve resta aperta, e viene rinviata al giudizio dei paleoantropologi e dei genetisti, la differenza fra lo scenario di 500 Kaf della TC lunga e quello di 100 Kaf della TC breve non cambia le conseguenze primarie della TC in generale che sono le seguenti.
I)-Archeologia, comparatistica tradizionale, macrocomparatistica e dialettologia si trovano definitivamente a lavorare su un campo divenuto comune, grazie al radicale mutamento nell’orizzonte cronologico.
In particolare, la convergenza fra archeologia e dialettologia che risultava già dalla TC minima, può essere ora generalizzata e messa alla prova su scala europea. Sarà questo l’oggetto del secondo volume.
II)-Il mutamento nella cronologia riguarda:
(a) in primo luogo i macrophyla e i phyla linguistici, che diventano ora la testimonianza più arcaica che abbiamo delle parlate di Homo loquens I.
Per la TC lunga, si può partire dalle versioni più sicure e prudenti dei macrophyla, per farli coincidere con lo stadio isolante di Homo habilis o di Homo erectus, o Homo loquens Ia. E si può proseguire con la prima differenziazione, che coinciderebbe con lo stadio Ib, di Homo erectus produttore di bifaccialí.
In questo stadio si sarebbe infatti verificato l’inizio della Diaspora Antica, che sarà stata certo preceduta e seguita da notevoli mutamenti culturo-linguistici.
Nel lungo periodo della diaspora, gli attuali phyla linguistici si sarebbero potuti differenziare non solo lessicalmente ma anche tipologicamente.
(b) Il mutamento della cronologia riguarda in secondo luogo i gruppi linguistici, ora databili, sia nella TC lunga che in quella breve, al Paleolitico Superiore.
(c) Riguarda in terzo luogo i dialetti, che da medievali e moderni diventano «preistorici», come testimonianze viventi di fasi linguistiche risalenti anch'esse — nonostante e attraverso le trasformazioni — a Homo loquens I. (d) Riguarda infine anche Homo scribens, cioè gli stadi antichi — letterari — delle parlate moderne, che non valgono più tanto come prime attestazioni, quanto come «punti di riferimento» entro una sequenza tipologica e cronologica continua.
(III)-Che i dialetti moderni possano essere più arcaici delle lingue «antiche», risulta non solo dal mutamento nell’orizzonte cronologico, ma anche dalla nuova impostazione teorica, che ha sostituito il rapporto generazionale (madre e figlia) con un rapporto di sequenza evolutiva discontinua.
Abbiamo visto che se l’italiano meridionale matre risulta meno arcaico del latino matrem, lo scarto è minimo (perdita della consonante finale), rispetto al francese mère o al ligure mwè, che innovano molto di più, senza essere per altro più moderni.
Inoltre, dato il carattere istantaneo del mutamento linguistico, le varie tappe della sequenza cronologica possono essere sia molto distanti, sia contemporanee, sia molto ravvicinate fra loro.
Infine, nulla vieta di pensare ora che il sistema dialettale *patrinus/ patrina/*matrina, pendant «inferiore» (socialmente marcato) del classico patronus/patrona/matrona, sia preesistente alla formazione del Latino classico stesso.
In termini generali, quella parte del lessico romanzo, attribuita dalla tradizione al Latino volgare, non dev’essere vista come sincronica del Latino classico, ma come precedente le prime attestazioni del Latino scritto.
La fissazione di una norma linguistica, che altro non è che la scelta di uno standard linguistico e lessicale, è solidale e sincronica con la formazione dei gruppi dominanti, e penalizza in maggiore o minor misura tutti i gruppi geosociali divenuti subordinati.
(IV)-Che prestiti germanici, più precisamente «tedeschi», possano essere penetrati in territorio linguistico latino già nel II millennio, e quindi che linguemi germanici ormai differenziati fossero presenti in Germania già allora, risulta dalle stesse considerazioni teoriche che ho fatto per il Latino.
(V)-Uno dei meriti della linguistica storica tradizionale è proprio quello di aver dimostrato che un linguema ricostruito è, almeno tendenzialmente, altrettanto reale di uno attestato. Per quanto riguarda la datazione delle singole forme ricostruite, tuttavia, esse vanno ora messe a fuoco sull’«infinito», e cioè nel lunghissimo periodo della durata dei meccanismi di conversione. All’interno di questo periodo, la datazione dipende da argomenti archeologici e antropologici, e non dalla ricostruzione.
Vedremo meglio questo punto nei prossimi capitoli e nel secondo volume.
1.3. Il primato della semantica
Come abbiamo già visto, nessuna delle sottodiscipline «formali» della linguistica — fonetica, morfonologia, morfologia e sintassi — ha il potere di produrre datazioni assolute dei fenomeni linguistici.
Questo potere è esclusivamente del lessico, e più specificamente della componente semantica e motivazionale del lessico (che naturalmente «si veste» di fonetica, di fonologia, di morfologia e di morfosintassi).
Soltanto la semantica, comprensiva della motivazione, rappresenta un’interfaccia con la cultura, e quindi si pone in un rapporto strutturale con la sua storia.
Il lessico è un gigantesco deposito di sedimentazione della storia culturale della comunità dei suoi parlanti. Attraverso di esso si può ricostruire gran parte della preistoria e della storia dei suoi parlanti.
Il metodo dell'autodatazione aggiunge un supplemento di grande importanza a questo enorme potenziale storico-culturale, facendo della semantica motivazionale il principale strumento di indagine della linguistica storica.
Naturalmente, si può parlare di primato della semantica soltanto riferendosi al problema specifico della datazione, che in questo caso è fondamentale. Per aver valore, la semantica deve fondarsi sui risultati della grammatica storica tradizionale, e cioè sull’applicazione rigorosa dei sistemi di conversione.
1.4. Tre modi di vedere il passato attraverso il lessico
Vi sono almeno tre modi diversi di ricostruire il nostro passato attraverso il lessico di un linguema, o di più linguemi geneticamente affini:
(A)-partendo dalle forme r i c o-s t r u i t e dalla linguistica comparata, cioè dal passato più remoto possibile relativo ai materiali linguistici esaminati;
(B)-partendo da forme attestate antiche, ma ormai estinte;
(C)-partendo dagli strati profondi dei linguemi ancora vivi.
Seguendo questa tripartizione, nei prossimi paragrafi e nei capitoli che seguono esaminerò alla luce della TC:
(A)-materiali linguistici del PIE ricostruito, per raggiungere l'autodatazione più remota possibile, e successivamente fasi stratigrafiche meno antiche;
(B)-materiali lessicali tratti dal Latino, per verificare attraverso questo diverso prisma la stessa periodizzazione stratigrafica che va dalle origini di Homo loquens alle origini di Roma;
(C)-materiali lessicali tratti dai dialetti e dalle lingue viventi, per tornare ancora una volta, ma con un prisma ancora una volta diverso, sulla stessa periodizzazione stratigrafica.
Il quadro che si ottiene, usando questi tre prismi, è sempre lo stesso, ma allo stesso tempo è ogni volta anche notevolmente diverso. Questa è una delle innovazioni più importanti che consegue alla TC: l’uso di tre lenti diverse, la cui immagine converge sullo stesso campo focale.
Attraverso ognuna di esse la realtà del passato appare in qualche modo deformata.
Ma ognuna di esse, allo stesso tempo, conferma l'immagine ottenuta dall’altro. La sintesi di queste tre osservazioni rappresenta, a mio parere, un vero e proprio passo avanti nella nostra conoscenza del passato preistorico.
Prima di iniziare la mia illustrazione, tuttavia, vorrei ancora valutare il metodo di Benveniste, che ha utilizzato principalmente la semantica comparata IE.
1.5. Il metodo di Benveniste
Emile Benveniste [1969] aveva già mostrato quanto produttiva può essere un’analisi semantica, abbinata a buone conoscenze antropologiche. Tuttavia, anche Benveniste accettava la cronologia tradizionale, e di conseguenza, non avendo approfondito la tematica dal punto di vista della preistoria europea, aveva inevitabilmente proiettato istituzioni recentissime - il re, il salario, l’affitto, la compravendita, lo schiavo ecc. - sull’IE comune.
Tuttavia, nonostante questo errore di fondo, che lascia Benveniste nell’orbita tradizionale, alcune sue acute intuizioni metodologiche sono meritevoli di elaborazione. Non parlo quindi delle sue analisi interpretative specifiche, quanto della sua impostazione generale.
Per esempio, nella sua Prefazione, Benveniste definisce prima l’IE come una famiglia di lingue, uscite da una lingua comune e differenziate per separazione graduale, e poi considera il processo di differenziazione come «un avvenimento globale e immenso (...) che si scompone nel corso dei secoli in una serie di storie distinte di cui ciascuna è la storia di una lingua particolare». Se invece di «secoli» Benveniste avesse parlato di «millenni», e se avesse sottolineato che i processi semantici della lingua indivisa lasciano necessariamente riflessi anche nelle singole lingue divise, sarei d’accordo.
Sono anche fondamentalmente d’accordo quando egli sostiene che «la maggior parte dei dati che studiamo non appartiene al vocabolario comune», e che piuttosto, «è la loro genesi e il loro rapporto indoeuropeo che noi analizziamo», ciò che conferma che il PIE è molto più limitato e allo stesso tempo più importante di quanto si pensi. Oppure quando si propone di mostrare «come vocaboli dapprima poco differenziati abbiano assunto progressivamente valori specializzati e costituiscano così degli insiemi che traducono un'evoluzione profonda delle istituzioni, l’emergere di attività o di concezioni nuove». O ancora quando afferma che «le lingue non sono indoeuropee allo stesso modo», perché «Ogni lingua procede a una nuova sistemazione della sua terminologia» [Benveniste 1969, trad. it. 1976, 239].
Benveniste insiste molto, insomma, sulla particolarità degli sviluppi di ciascuna lingua IE, e in tutto il suo libro si sforza di analizzare tali differenze sullo sfondo del patrimonio comune, alcune volte con notevoli risultati. Ciò che non ha potuto vedere è la necessità di correlare le differenze e il patrimonio comune dell’IE alla griglia cronologica dell’intera preistoria, tramite la databilità inerente di ciascuna nozione.
Certo se avesse avuto la corretta visione cronologica, la finezza delle sue analisi gli avrebbe permesso di fare passi da gigante.
1.6. L’autodatazione del protolessico
Prima di procedere nell’illustrazione di un campione del lessico che io suppongo possa appartenere a Homo loquens I (cioè a Homo habilis/erectus nella TC lunga, a Homo sapiens sapiens nella TC breve) ancora insediato in Africa, è bene precisare che mentre la comparatistica IE e uralica ha raggiunto risultati che si possono ormai considerare definitivi per la loro maggior parte, altrettanto non si può dire per la macrocomparatistica, che soltanto in questi ultimi anni è veramente decollata. Per l’IE e per l’Uralico vi sono infatti dizionari fondamentali, basati su oltre un secolo di ricerche, e riconosciuti universalmente: Walde-Pokorny, Pokorny, Buck, Rédei; per l’Euroafroasiatico (= EAA) esistono anzitutto forti riserve da parte dei comparatisti tradizionali, che non possono essere completamente ignorate, e in ogni caso la prima base seria per un tentativo di ricostruzione è quella del dizionario «nostratico» di Vladislav Markovič Illič Svityč
(1934-1966), di 353 radicali, pubblicato postumo negli anni Settanta.
Le prime elaborazioni importanti partono infatti da questa base, e sono tutte di questi ultimi anni. Inoltre, come ho già detto, occorrerà attendere la fine dell’inventarizzazione dei risultati, certamente di notevole interesse, per poter tentare di distinguere, nella nuova cronologia lunga che propongo, fra i diversi strati, non importa se genetici o acquisiti, di questo materiale.
Anche per questo, il mio tentativo di rilettura dei materiali linguistici potrà utilizzare solo occasionalmente una nozione come quella di EAA, ancora troppo incerta. Ho preferito concentrarmi sull’IE, che oltre ad offrire sicurezze molto maggiori supera quantitativamente tutti gli altri lessici ricostruiti (anche quello Uralico), e geograficamente copre la maggior parte dell’area europea. Solo quando mi è stato possibile, ho esteso l’orizzonte all’Uralico e all’EAA, senza mutare per altro le conclusioni raggiunte dall’indoeuropeistica, e anche in tali casi mi sono limitato alle affinità più sicure, che sono quelle con l'Afroasiatico, con l’Uralico, con l’Altaico.
Partiamo dunque dall’IE.
È stato calcolato che il lessico comune IE, così come è stato raccolto e interpretato nella sua silloge principale e più recente, il dizionario di Pokorny [1959-69], citato di qui in poi come P., ammonta a 2.044 termini [Bird 1987], distribuiti egualmente in diversi campi semantici.
Per apprezzare questa cifra e questa ripartizione semantica, occorre rendersi conto che un lessico simile, ancora oggi, sarebbe più che sufficiente per sostenere una conversazione a livello elementare.
Vale la pena di ricordare questo a chi, fra gli studiosi di altre discipline, non sempre bene informati in linguistica, ritiene che l’IE sia un miraggio, o un accumulo di prestiti, o un mero prodotto dell’ideologia.
Naturalmente, non tutti questi termini attribuiti al PIE sono egualmente sicuri.
Ma anche se si eliminano quelli problematici, resta un migliaio di termini, e la sostanza non cambia.
Più o meno, questo nucleo fondamentale del lessico PIE corrisponde a quello raccolto da Giacomo Devoto [1962], citato di qui in poi come D., nelle Tabelle delle sue Origini Indeuropee, che raggruppa esattamente 656 termini, utilizzabili per una prima illustrazione globale.
Con le sue Tabelle Devoto aveva infatti creato uno strumento didattico molto utile, e aveva anche utilizzato, intuendone l’importanza, la classificazione semantica introdotta fin dal 1949 da Carl Darling Buck nel suo prezioso Dictionary [1949].
Devoto suddivise il lessico PIE in 10 categorie semantiche:
i) termini generali,
ii) attività psichiche,
iii) anatomia e psicologia,
iv) meteorologia e religione,
v) famiglia e stato,
vi) economia e trasporti,
vii) tecnica,
viii) alimentazione,
ix) natura selvatica,
x) natura domestica.
Queste categorie semantiche di Devoto, pur se inadeguate (come del resto quelle di Buck) dal punto di vista classificatorio, sono forse più valide del dizionario di Pokorny a dare un’idea del senso e della quantità di lavoro fatto dagli indoeuropeisti.
Dal punto di vista della tipologia semantica generale, il lessico comune IE può essere diviso in due categorie:
(A) famiglie lessicali che mostrano una sostanziale identità di significato;
(B) famiglie lessicali che mostrano una differenziazione semantica interna.
Per l’autodatazione questa distinzione è molto importante: le famiglie lessicali semanticamente omogenee, come abbiamo già visto, non sono necessariamente ereditarie, ma possono essere anche prestiti.
Nell’ottica della TC, per garantire l’antichità del termine occorre che l‘identità semantica sia confermata dall’autodatazione.
Quando l’autodatazione non è possibile, perché i referenti non sono storicizzabili, si può presumere per default che le radici siano ereditarie, in quanto i p r e s t i t i sono d i s o l i t o l e g a t i a nozioni s t o r i c i z z a b i l i. In termini più concreti, se il nome di una nozione come «vento» è comune a tutta l‘area IE, si può presumere che sia ereditario perché non è storicizzabile, ed è di tipo primordiale.
Se il nome di una nozione come «aratro» è pan-IE si può invece presumere che si tratti di un prestito, poiché si tratta di uno strumento che risale al Neolitico avanzato, e di una tipica innovazione tecnologica.
Inutile dire, d’altra parte, che le famiglie lessicali semanticamente omogenee che si lasciano datare al PIE sono di estrema importanza perché riflettono il primo universo cognitivo di Homo loquens indoeuropaeus.
Le famiglie lessicali che mostrano differenziazione semantica interna sono anche estremamente importanti, ma per un’altra ragione. Si lasciano infatti datare in modo multiplo, per il maggior numero di nozioni che presentano al loro interno, e le diverse datazioni sono di solito molto produttive per la ricostruzione del processo di differenziazione areale.
Il problema della ricostruzione del significato originario, tuttavia, non è sempre di immediata soluzione.
Ricordo anche che il principio fondamentale della comparazione - tradotto nella TC - afferma che ciò che si rivela comune a tutti i linguemi di un phylum risale necessariamente al periodo indeterminabile precedente la diaspora.
La cronologia della TC, enormemente diversa da quella tradizionale, sia nella TC lunga che in quella breve, apre prospettive di ricerca del tutto nuove, che promettono di gettare nuova luce non solo sullo sviluppo linguistico, ma anche su quello antropologico di Homo.
Presenterò la documentazione IE prima sinteticamente, attraverso raggruppamenti semantici, e mettendo in primo piano la quantità e l’arcaicità dei materiali. Poi analiticamente, attraverso l’illustrazione di alcuni esempi di singole famiglie lessicali, per dare un’idea delle nuove prospettive di ricerca.
I raggruppamenti semantici della prima presentazione sono in parte diversi da quelli del Devoto (e del Buck), la
cui classificazione è naturalmente appiattita e deformata dall’errata cronologia.
Così, per esempio, la categoria «meteorologia e religione» di Devoto contiene da una parte termini meteorologici assolutamente elementari che certo hanno fatto parte del primo lessico di Homo loquens, dall’altra termini religiosi risalenti al Neolitico se non oltre.
Lo stesso vale per la sua categoria «famiglia e stato»: è chiaro che mentre buona parte della terminologia della famiglia matrilineare può rialire al Paleolitico, quella di tipo patriarcale risale certamente all’età dei Metalli. Inoltre, quella che Devoto chiama terminologia dello «stato» o non è tale o non è ereditaria, dato che lo stato non può appartenere al PIE neanche dal punto di vista della teoria tradizionale.
Anche la sua categoria semantica «tecnica» è molto eterogenea, perché comprende sia termini che designano operazioni del tutto elementari, e quindi potenzialmente primordiali, sia termini relativi a tecniche del Neolitico o ancora più recenti. Al contrario, termini che Devoto classifica nella categoria semantica «natura domestica», e che per definizione dovrebbero essere databili al Neolitico, potrebbero anche essere databili al Paleolitico.
Non c'è ragione di escludere, per esempio, come ha già notato Renfrew, che i nomi di certi animali domestici possano essere gli stessi delle corrispondenti specie selvatiche.
Inutile dire che queste confusioni elementari sono dovute all’errata cronologia, che ha costretto a raggruppare insieme l’antico e il recente. Effettuate queste correzioni otteniamo un quadro globale, che in una prima approssimazione si colloca necessariamente nel Paleolitico, e che in una seconda analisi si lascia forse datare più precisamente.
Avverto che gli elenchi che seguono rappresentano una prima scelta, e non il risultato di un’attenta verifica di appartenenza al PIE di ciascuna radice.
Di conseguenza, è possibile che qualche radice collocata qui possa poi risultare un prestito o un’isoglossa locale.
Avverto anche che le radici IE sono sempre date nella forma della fonte di volta in volta utilizzata, e non in una versione più recente, con laringali e/o glottalizzate.
Termini della vita fisica e fisiologica, e parti del corpo
Termini di questo tipo possono benissimo appartenere al più antico lessico di Homo loquens I (Homo habilis/erectus/sapiens arcaico nella TC lunga, H. sapiens sapiens in quella breve.
...
Chi sono gli Indoeuropei e qual era la loro patria originaria: Teoria della Continuità (TC). Altre proposte concernenti la patria indoeuropea e la relativa cronologia.
Conclusioni.Franco Cavazza, Lezioni di indoeuropeistica, Pisa, ETS, 2001, vol. I, cap. II, pp.167-198:
http://www.continuitas.org/texts/cavazza_lezioni.pdf